Architettura 10 2011

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CARRIERE&PROFESSIONI

SOMMARIO

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EDITORIALE Marco Zanzi

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L’INTERVENTO Paolo Buzzetti Roberto Snaidero Bruno Gabbiani

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PROGETTARE L’ARTE Kim Herforth Nielsen

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RIQUALIFICARE L’ESISTENTE Pier Luigi Cervellati Vincenzo Corvino, Giovanni Multari Il nuovo volto di Colle Val d’Elsa Alessandra Tesi Mario Vigneri Michele Sgobba

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RESTAURO CONSERVATIVO Stefano Serpenti Andrea Simionato Giovanni Amandorla

148

ARCHITETTURA SOSTENIBILE Giancarlo Bassanini Marta Apolinari e Marco Schiavo Margherita Bianco Daniela Dilillo e Grazia Trombetta Saverio Renda

160

ARCHITETTURA E TERRITORIO Luigi Galardo Andrea Madini Moretti Giovanni Lovece Mauro Piantelli

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SISTEMI ENERGETICI Massimo Botti Norbert Klammsteiner Nicola Passuello

180

RINNOVABILI Angelino Trivellato Amedea Canovi

186

SCATTI D’AUTORE Marco Zanta Filippo Romano

200

VISUAL DESIGN Paolo Tassinari Andrea Medri studio ennezerotre

210

VISIONI IPERREALISTICHE Franca Pigozzi e Daniele Suppo

214

RETAIL CONCEPT Ivan e Dimitri Cipriani e Adam Gaon

218

NETWORKING FOR DESIGN Eric Bevilacqua e Federico Giuliano

028 DIBATTITI Paolo Portoghesi Vittorio Gregotti Joseph Rykwert Franco La Cecla Amedeo Schiattarella 050

IDENTIKIT DELL’ARCHISTRAR Silvia Micheli

052

ESPERIENZE ARCHITETTONICHE Luisita Facchin Palma Librato

058

078

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IN COPERTINA Glenn Murcutt

090 SPAZI ESPOSITIVI Jacques Herzog Tommaso Valle Pasquale Perilla Giovanni Vita Ivana Bonaita

TUTELA DEL PAESAGGIO Paolo Pejrone Franco Zagari Paolo Villa Antonio Paolucci Remo Bodei Giuseppe Leone ARCHITETTURE PER LO SPORT Richard Burdett Gino Zavarella Arnold Weis Luigi Canonica

C&P




RISTRUTTURAZIONE Roberto ed Edoardo Macchiarulo

334

INFORMAZIONE TERRITORIALE Donatella Schiuma e Markus Hedorfer

336

GRANDI SOLLEVAMENTI E TRASPORTI SPECIALI Alberto Galbiati

LAVABO D’AUTORE Ludovica e Roberto Palomba

340

IMPIANTISTICA Giorgio Stucchi

FORME D’INTERNI Maurizio Nava Odoardo Fioravanti Simon Pengelly

344

DIAGNOSTICA STRUTTURALE Cosimo Palmieri

346

INNOVAZIONI Davide Nogara

LO STILE ITALIANO Roberto Giolito Tommaso Spadolini

232

ABITAZIONI ITINERANTI Alberto Bovo

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LIGHTING DESIGN Brian Sironi

242 244

252

COMFORT ESSENZIALE Jean-Marie Massaud

256

PROGETTAZIONE Antonio Iascone Fernando Tomasello e Monica Pastore Lorenzo Monardo Sergio Danese Lorena Alessio Sergio Carta e Osvaldo Tretti Claudio Lisotto Francesco Bilanzuolo Mauro Peloso Andrea Brugnara e Patrizio Sidoti Vittorio Pedrotti Stefano Capretti, Angelo Bizzarri e Simone Senesi Marco Martire

290

PROCESSI PROGETTUALI Luigi Cafiero

292

HOUSING SOCIALE Letizia Lionello

348 PRODOTTI E SERVIZI PER L’EDILIZIA Laila Carta 350

INGEGNERIA Andrea Villa

352

SICUREZZA ANTISISMICA Vincenzo Greco

354

CONSULENZA TECNICA Carmelo Castronovo

356

APPUNTAMENTI Giulio Cesare Alberghini Giovanni Plizzari Il Salone internazionale delle costruzioni

SOMMARIO

CARRIERE&PROFESSIONI

332

222

296 INTERNI Madi Francesco Capoferri 300

AUTOMAZIONE DOMESTICA Michele Maranghino

304

MATERIALI Gaetano Manfredi Giancarlo Chiesa Giuseppe Dibari

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EDILIZIA Matteo Fugazza Giorgio Gasparetto Claudio Muraro e Rosario Costante Fausto Azzolin Cristina Dallacasa Tiziano Tondin

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FINITURE Pietro Carrieri

C&P

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EDITORIALE

Il respiro dell’architettura di Marco Zanzi

Abbiamo dedicato la copertina di questo numero di Architettura della Golfarelli Editore alla SimpsonLee house, un’opera dell’architetto anglo-australiano Glenn Murcutt. La scelta è stata indotta pensando alle galline di Ardengo Soffici. Lungi da noi essere irriverenti. Cosa c’entrano le galline di Ardengo Soffici con le opere di Glenn Murcutt? Tra i bipedi dell’artista e scrittore toscano e l’architetto vincitore del Pritzker 2002 un legame sottile sottile c’è ed è quello che ci ha fatto propendere per i suoi lavori. È riferito a un episodio che coinvolge altri due grandi uomini di cultura e giornalisti italiani mai abbastanza rimpianti: Beniamino Placido e Indro Montanelli. I fatti noti a molti sono questi: un po’ di anni fa Beniamino Placido ha scritto di un episodio che lo aveva visto testimone diretto. Era andato a intervistare Ardengo Soffici che viveva a Poggio a Caiano in una casa di campagna. Al termine, ricorda Placido, mentre veniva accompagnato verso l’uscita, attraversando il cortile della casa, Soffici un po’ seccato gli fece rilevare che non c’erano in giro galline razzolanti, come invece aveva scritto Indro Montanelli in un articolo di qualche tempo prima dedicato allo stesso Soffici. Beniamino Placido sorpreso e divertito, con puntuta ironia arriva a dire: “ecco come si fa il mestiere di giornalista, si può anche inventare, pur di riassumere sinteticamente, efficacemente il reale”. Quando successivamente racconta a Montanelli della casa C&P

di Poggio a Caiano, della trovata escogitata da lui, Montanelli, per renderne l’atmosfera di campagna mettendoci dentro le galline “razzolanti”, Montanelli risponde senza imbarazzo, imperterrito: “Ma le galline c’erano davvero. Me le ricordo benissimo”. Le galline non c’erano, naturalmente. Tuttavia siamo convinti anche noi che dovessero esserci. Vedendo le immagini delle opere di Murcutt, ci siamo detti che queste si rapportano alla natura come le galline “razzolanti” alla casa di Ardengo Soffici. Vogliono rimediare a una “distrazione” della natura. In quel luogo preciso c’era bisogno di quell’elemento architettonico, andava lì, la natura se ne era dimenticata e Murcutt ha rimediato. È una forzatura, certamente, come lo è stata quella di Montanelli. Ma rende bene l’idea. Murcutt è un architetto che non confonde il termine luogo con spazio. È riuscito con discrezione, lievità e raffinatezza a valorizzare in piena armonia, l’identità e la singolarità del paesaggio australiano. “Touch this earth lightly”, dice. È l’interpretazione empatica di quei luoghi che si concretizza riproducendone i ritmi naturali, modellando le forme architettoniche alle caratteristiche morfologiche e ai vincoli climatici dell’ambiente. Ecco, le opere di Murcutt respirano insieme all’ambiente di cui fanno parte. E sembra siano lì da sempre. Si, ce le ricordiamo benissimo. 15



L’INTERVENTO

Semplificare per ripartire di Paolo Buzzetti, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili

Qualità del costruire significa anche sostenibilità ambientale. Il rapporto con il territorio e con le sue risorse oggi non può che essere virtuoso. Questo in Europa lo hanno capito e lo stanno già facendo: nelle principali capitali europee sono stati infatti costruiti interi quartieri ecologici, realizzati con le più moderne tecnologie. Qualcosa sta avvenendo anche in Italia ma troppo lentamente. In questo senso la possibilità di abbattere e ricostruire può essere un incentivo importante alla trasformazione delle nostre città, nell’ottica di una maggiore attenzione all’ambiente e al risparmio energetico. Innanzitutto serve un cambiamento culturale: è necessario che nel nostro Paese si faccia strada la cultura della qualità, a cominciare dalle imprese e dalle pubbliche amministrazioni. In Italia per molti decenni l’attenzione è stata esclusivamente concentrata sulla quantità: l’esigenza, del resto, era quella di dare una casa a tutti. Ma ora il contesto sociale è cambiato, bisogna lavorare sulla riqualificazione urbana. Per questo da tempo l’Ance insiste sulla necessità di adottare strumenti normativi e urbanistici adeguati, che favoriscano un processo di recupero e rilancio edilizio, come sta avvenendo in tutto il mondo, e senza il quale non sarà possibile rendere più vivibili le nostre città. Se non ci sono vincoli storici o paesaggistici particolari, anche l’edificio deve poter essere sostituito quando invecchia, così come un’automobile. Dobbiamo passare dal Piano casa al Piano città, che consenta la riqualificazione delle aree non soltanto residenziali: in questo modo non solo non consumeremo nuovo territorio, ma renderemo i nostri contesti urbani più moderni e vivibili. C&P

Quello che l’Ance denuncia da tempo è che manca in Italia la fase decisionale: ci vuole molto più tempo che in ogni altro Paese per approvare un progetto. La decisione, però, non solo arriva tardi, ma quando arriva può essere modificata e impugnata in varie sedi fino a protrarre il processo per decenni, con conseguenze gravissime sia sul piano sociale che economico. Poche norme chiare e facilmente applicabili sarebbero dunque la chiave per eliminare questo circolo vizioso. Infine uno sguardo alla formazione dei giovani tecnici. Nel 2010 Ance ha firmato un protocollo d’intesa con i presidi della facoltà di Architettura e Ingegneria perché siamo consapevoli che le nostre imprese devono essere prima di tutto sinonimo di qualità e di eccellenza, proprio per questa ragione è importante che possano contare su giovani tecnici già formati e in grado di seguire il processo costruttivo dalla fase progettuale fino a quella esecutiva in senso stretto. Attraverso la nuova figura di “tecnico di cantiere altamente specializzato” puntiamo a contrastare quelle forme di imprenditoria non qualificata che fanno concorrenza sleale a quella sana e regolare, spesso avvalendosi di manodopera in nero, con evidenti rischi per la sicurezza dei lavoratori. Nell’attuale quadro di crisi occupazionale il protocollo assume una valenza ancora più importante. Il percorso formativo previsto punta, infatti, a un immediato inserimento del tecnico nel mondo del lavoro sia attraverso un tirocinio semestrale presso le imprese nostre associate sia con l’utilizzo della rete informativa del sistema Ance. Ciò contribuirà ad agevolare l’incontro tra domanda e offerta». 17



L’INTERVENTO

Il legno punta ai paesi emergenti di Roberto Snaidero, presidente di Federlegnoarredo

Le priorità del settore sono due: il bisogno d’internazionalizzazione delle nostre imprese e la necessità di crescere in numeri, forza e consapevolezza. Per i prossimi mesi la congiuntura sottolinea ancora l’allargamento della forbice tra i mercati esteri e quello interno. In riferimento all’intera filiera legno-arredamento, nei primi due mesi del 2011 le esportazioni sono aumentate del 9% in valore, mentre il fatturato realizzato sul mercato nazionale dalle imprese italiane, al contrario, è diminuito del 6,6%. Francia (+4,9% in valore) e Stati Uniti (+11,3%) si confermano i paesi maggiormente dinamici, mentre la Germania ritorna a una crescita significativa (+14,5%), così come la Russia (+17,3%). La forbice tra mercato interno ed estero è da attribuire a un’incapacità del nostro Paese di rilanciare lo sviluppo, di sostenere le imprese, di proiettare l’Italia verso una nuova stagione di crescita attraverso investimenti infrastrutturali. Lo sforzo che le imprese continuano a fare per controbilanciare il deficit competitivo strutturale non può essere illimitato nel tempo. È evidente che senza politiche di crescita l’economia non potrà ripartire; del resto è proprio questa la critica che stiamo ricevendo in questi giorni dalle istituzioni europee. L’internazionalizzazione è un imperativo della federazione, da affrontare sviluppando quelle relazioni business to business che Federlegnoarredo ha avviato già da tempo. Tra le nostre priorità ci sono senz’altro le missioni imprenditoriali verso paesi emergenti, con particolare attenzione all’area balcanica e mediorientale, lo sviluppo dei saloni WorldWide e C&P

naturalmente Made Expo, la più importante manifestazione fieristica nazionale per il mondo delle costruzioni e del progetto. Quindi punto di riferimento per l’intero settore. Business internazionale, creazione di opportunità di mercato, innovazione: sono questi i principali elementi che, attraverso la manifestazione, possono aiutare le imprese. Grazie alla sua dimensione internazionale, la manifestazione coinvolge operatori stranieri e grandi buyer che entrano in diretto contatto con le aziende. Poi ci sono i progetti per il mercato turco, cinese e americano che abbiamo pensato per il 2012 e le opportunità specifiche offerte da alcuni paesi emergenti, quali ad esempio l’India o il Brasile. Il settore legno-arredo può offrire molte opportunità di inserimento e di crescita ai giovani. Servono professionalità di ogni tipo, a partire dagli ingegneri del legno e dagli architetti, per un comparto, quello delle case in legno, che in questi anni sta crescendo, ma sono richieste anche figure commerciali, operai, artigiani del legno, insomma addetti a ogni livello. Dal punto di vista formativo la federazione nutre il sogno di inaugurare la prima scuola di formazione professionale per gli operatori del legno, già in cantiere nel distretto della Brianza. Vorrei portare a compimento questo progetto, nato dall’intuizione del presidente Messina e di altri imprenditori brianzoli, per replicarlo in tutti gli altri distretti dove siamo presenti. Vorrei, infine, incrementare la cooperazione con le università e i centri di ricerca, arrivando all’istituzione di una cattedra specialistica sull’uso della materia prima del legno presso il Politecnico di Milano. 19



L’INTERVENTO

La manovra finanziaria e la qualità dell’architettura di Bruno Gabbiani, presidente di Ala - Assoarchitetti

Sembrava che l’Italia stesse uscendo dalla crisi del 2008, quando la recessione s’è fatta ancora più minacciosa. Siamo convinti che i tagli sono necessari, ma anche che non s’è imboccata la strada giusta per il risanamento: tutti reclamano sacrifici pesanti, purché li facciano le altre parti sociali e soprattutto quelle più deboli, al punto che le uniche pensioni d’oro da ridurre sono rimaste quelle delle vedove. Cosa c’entra in questo contesto la qualità dell’architettura? Lo vedremo appresso. L’Italia ha conservato sia un corporativismo arcaico, sia una mentalità vetero-socialista, che assommati bloccano l’intera società. I poteri forti dei sindacati degli imprenditori e del lavoro dipendente non fanno, però, autocritica e s’accaniscono contro due bersagli facili. La politica, che se ha raggiunto forse il punto di più basso gradimento di sempre, è anche il fattore del quale in realtà più si soffre l’assenza; e contro i professionisti, che al solito divisi, non riescono a difendere attività che prima di tutto sono nevralgiche per l’esercizio dei diritti costituzionali dei cittadini: salute, libertà personale, patrimonio, territorio. Tutti sanno che i veri problemi strutturali sono l’abnorme apparato della pubblica amministrazione che comporta una complicazione che costa 10 punti di Pil - e l’evasione fiscale, che impoverisce lo Stato e rende insostenibili le imposte per chi già le paga, ma pochi ne traggono le relative conclusioni. Invece bisogna subito ridurre le competenze della pubblica amministrazione, smantellare uffici e riconvertirne gli C&P

addetti con ammortizzatori sociali che pur costosi, saranno compensati dagli effetti positivi sulla produzione. Prendere atto che l’Italia è il Paese con il maggiore debito pubblico e il più grande capitale privato e che è evidente che proprio da questo si deve attingere per risanare il bilancio dello Stato, cioè applicando un’imposta sui grandi patrimoni, diciamo oltre i dieci milioni. Cosa c’entra dunque la qualità dell’architettura? C’entra poiché la legge deve anche impedire, anziché incentivare, che i dipendenti pubblici, invece di svolgere il proprio ruolo facciano concorrenza sleale ai progettisti professionisti. Anche da qui inizia il rilancio dell’architettura italiana in Italia e all’estero e con esso l’impiego dei giovani talenti e il miglioramento della qualità delle opere pubbliche e delle trasformazioni del territorio, con conseguenti beneficio per la bilancia dei pagamenti e esportazione dei componenti delle costruzioni. Non è certo il momento di perdersi di coraggio e del resto nelle emergenze gli italiani hanno sempre reagito e espresso le energie migliori e sapranno farlo anche in questa occasione, se non saranno troppo ostacolati. Il nostro piccolo Paese, inspiegabilmente ai vertici mondiali in diversi settori, ha risorse nel proprio patrimonio di storia, cultura, arte, architettura, design, idea di città e paesaggio, che lo mantengono ancora potenzialmente una nazione guida. 21


Qui a fianco, Glenn Murcutt. Sotto, la Marie Short House. Nella pagina seguente, Arthur and Yvonne Boyd Art Centre a Riversdale

La comprensione della natura e l’interpretazione dei luoghi Una concezione artigianale dell’architettura, segnata da un grande impegno professionale che si sposa con una forte passione per la natura e il paesaggio australiano. Glenn Murcutt spiega come nascono i suoi progetti di Nicolò Mulas Marcello

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«Ogni opera di architettura che viene disegnata senza serenità nella mente è, a mio avviso, un errore, ma se la serenità c’è ed è pervasa da gioia, è ancora meglio». Questo era il pensiero dell’architetto messicano Luis Barragán. E proprio da questa concezione parte Glenn Murcutt. L’architettura è vista dal progettista australiano come uno “state of mind”, un modo per far stare bene le persone, ritagliando loro uno spazio perfetto in mezzo alla natura. «Quando la gente mi dice che nella loro casa c’è tranquillità – spiega Murcutt – o che vivono le mura domestiche come un posto accogliente in cui si respira libertà e serenità, per me è molto importante perché vuol dire che c’è una relazione tra il luogo su cui sorge la casa e il paesaggio circostante». Una concezione, questa, che è valsa all’architetto australiano il premio Pritzker nel 2002 e che lo ha reso celebre in tutto il mondo anche per le sue idee sulla sostenibilità ambientale. «L’architettura che nasce tenendo conto dei legami con il luogo è un’attività affascinante – sottolinea Murcutt –, è molto più che un semplice posizionare oggetti in una maniera che l’architetto considera arte. Questa non è la base dell’architettura per me. Ci sono tante cose di cui tener conto. Occorre considerare il movimento del sole, i venti, le condizioni climatiche, l’altitudine e l’umidità della C&P


IN COPERTINA | Glenn Murcutt

L’architettura che nasce tenendo conto dei legami con il luogo è affascinante, è molto più che un semplice posizionare oggetti in una maniera che l’architetto considera arte

C&P

costa. Bisogna costruire le aperture in base alla pianta originaria e ai profumi del territorio. Ci sono molti fattori che attualmente vanno integrati con l’architettura e molte sono le discipline che aiutano a pensare in questo modo. Penso che sia veramente meraviglioso tutto questo». La sostenibilità di Glenn Murcutt si concretizza pertanto in una capacità, veramente singolare, di dialogare con il contesto, esaltandone tutte le specificità, di sentire cioè la sinergia del legame con il paesaggio australiano. L’interpretazione dei luoghi tende a riprodurre anche in architettura i ritmi naturali dell’ambiente e, grazie ad analisi puntuali delle specifiche condizioni ambientali, produce costruzioni che si adattano perfettamente a quei vincoli climatici che a quelle architetture hanno dato forma. Architetture che tengono conto delle variazioni atmosferiche e che riescono a fronteggiare perfino i fenomeni delle grandi piogge e delle inondazioni, senza opporre resistenza, lasciando che l’acqua scorra naturalmente al di sotto delle costruzioni, staccate dal suolo. «Credo che noi non dobbiamo creare architettura ma piuttosto scoprirla – continua Murcutt –. Penso che 23


Penso che ogni opera di architettura debba essere scoperta, per questo il disegno è parte integrante della scoperta, perché la mano arriva alla soluzione prima che la mente l’abbia capita

Sopra, la Simpson Lee House e due interni. Qui sotto, la Magney House. Nella pagina seguente, alcune vedute dell’ Arthur and Yvonne Boyd Art Centre a Riversdale

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ogni opera architettonica debba essere scoperta, per questo il disegno è parte integrante della scoperta, perché la mano arriva alla soluzione prima che la mente l’abbia capita. Quando c’è l’ordine della struttura, della logica, dell’appropriatezza, dei materiali, dello spazio, del clima e della luce è come se ogni cosa è al proprio posto. E ti viene da dire: è così e basta». La notevole produzione architettonica (più di 500 case unifamiliari) di Murcutt, è la risposta ai bisogni individuali di una committenza privata con cui stabilisce, quasi sempre, un legame molto stretto, e che per questo, è disposta anche ad aspettare alcuni anni per un suo progetto. La sua sembra quasi una concezione “artigianale” dell’ architettura, segnata da un grande impegno professionale personale, insieme alla passione per la natura e il paesaggio australiano. «Alla fine del 1973, – racconta Murcutt – Marie Short venne da me per chiedermi di disegnare la sua casa a Crescent Head in Australia, ora nota come The Short House. Marie voleva una casa che le permettesse di stare al fresco d’estate sedendosi tra i gelsi e allo stesso tempo di stare caldi d’inverno sedendosi sotto gli stessi alberi. Il gelso è un albero a foglie decidue che permette alla luce del sole di penetrare, e la posizione sembrava perfetta per costruire la casa orientandola a nord. Così il sole scaldava la casa C&P


IN COPERTINA | Glenn Murcutt

d’inverno grazie alla sua posizione dall’alba al tramonto, mentre era possibile escluderla dai raggi del sole diretti in estate. In questo modo si è sviluppato tutto in maniera così lineare che quando il lavoro è finito mi sono detto: come è successo tutto questo?». La sfida di autentica comprensione della natura e delle sue regole, si esplica nell’uso consapevole degli elementi naturali come sole, vento e acqua, non solo per la progettazione di forme non arbitrarie ma necessarie, ma anche nella gestione ecologica del costruito, per ottimizzare il livello di comfort microclimatico per i suoi abitanti. «Jamberoo house, che si trova a un’ora e tre quarti a sud di Sydney, è principalmente una casa costiera, come Kempsey house. Una casa che si sviluppa dal caminetto che già esisteva molti anni prima e che mi ha dato l’idea e il senso per costruire l’edificio. Il motivo per cui il C&P

caminetto era lì, era perché i contadini, in passato, avevano molta coscienza delle posizioni degli edifici. Noi abbiamo deciso di disegnare la casa perché la posizione era molto bella. Guardando a nord c’è la vallata e a nord est la costa. Jamberoo house è una casa in pace con il paesaggio nella quale è immersa, che gli conferisce serenità e quiete». Murcutt continua a riconfermare la scelta esistenziale di sostenibilità che segna il suo operare esclusivo dentro il paesaggio australiano, con la natura, per la natura: è nel rapporto esclusivo con questo paesaggio che l’architetto continua a coniugare sensibilità ecologica e sostenibilità ambientale in un’etica-estetica della necessità. Un pensiero che Murcutt riassume così: «L’architettura sostenibile è l’unica possibile, altrimenti non è architettura ma solo mercificazione di nuovi prodotti». 25




Foto Giovanna Massobrio

DIBATTITI | Paolo Portoghesi

«Custodire il fuoco per non adorare le ceneri» Paolo Portoghesi, capofila del movimento postmoderno, cita il compositore romantico Gustav Mahler per incoraggiare la rinascita critica delle tradizioni architettoniche: «Sono ancora vive. E ci ricordano che ogni gesto creativo è sempre al servizio della società» di Paola Maruzzi

Dare spazio alla tradizione intesa come stimolo all’innovazione: questo era, alla fine degli anni Settanta, il postmodernismo secondo il suo capofila, Paolo Portoghesi. Oggi l’esponente del razionalismo italiano che ha firmato opere simbolo della nostra contemporaneità, tra cui la moschea di Roma, il teatro di Catanzaro e la torre del Respiro a Shanghai, guarda indietro e scopre che la nuova architettura, quella che avrebbe dovuto rinascere dalle ceneri della modernità e trovare forme compiute per dare senso al presente, ha fallito il suo intento. Portoghesi si scontra, quindi, con un altro tipo di postmodernismo, quello “liquido” e incerto teorizzato dal sociologo Zygmunt Bauman. «Nella società edonistica» spiega «si è interrotta la narrazione architettonica e urbanistica, lasciando aperte alcune questioni cruciali, tra tutte l’espansione della città». Gli architetti, ingranaggi di un più grande star system, rischiano di rimanere chiusi nella loro torri d’avorio, dimenticando che «il loro compito non si esaurisce nella ricerca artistica». Bisogna, quindi, rinsaldare il rapporto tra committenza e progettazione e, più in generale, tra società e intellighenzia.

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È stato il capofila del movimento postmoderno: qual è oggi la sua eredità? «Da alfiere del postmoderno, come in tanti mi hanno definito, guardo ciò che l’architettura ha prodotto dagli anni Ottanta a oggi e non posso che essere deluso: nel nostro tempo vige il caos, mentre io proponevo un nuovo rapporto critico con la tradizione e la storia. Certo, di questo se n’è parlato molto ma si è risolto pochissimo. Il crollo della modernità è stato un allontanarsi progressivo dall'ortodossia, una fuga verso mille direzioni diverse. L'architettura di oggi si trova di fronte a questioni aperte, che non solo non ha risolto, ma che ha reso ancor più a difficili da sciogliere. Mi riferisco prima di tutto al problema dell'espansione della città, alla necessità di porvi un limite. Di fronte a tutto questo l’architettura postmoderna si è messa al servizio del consumismo, si è detta pronta a qualsiasi operazione».

Ho regalato a papa Benedetto XVI il progetto di una chiesa, il mio sogno è riuscire a realizzarla a Roma: sarà un progetto innovativo nella tradizione C&P




DIBATTITI | Paolo Portoghesi

A sinistra, complesso del quartiere Rinascimento, a Roma. Nella pagina precedente, particolare del plastico della Chiesa di San Benedetto

In un contesto globale fatto di continue contaminazioni culturali, in cui Zygmunt Bauman direbbe che “cose e persone sono sempre fuori posto”, che senso ha parlare di tradizione e difesa delle architetture nazionali? «In una situazione così confusa sembra quasi impossibile difendere un patrimonio di idee che, a dispetto delle apparenze, è ancora vivo. Il compositore romantico Gustav Mahler diceva che la tradizione sta nel custodire il fuoco e non adorare le ceneri. I tradizionalisti sono, appunto, quelli che adorano le cenerei, mentre solo qualcuno si è preoccupato di prendere il fuoco, ciò che fa muovere la storia. Tra questi ci sono stati Louis Kahn e Le Corbusier, per citarne alcuni. E nel panorama italiano contemporaneo continuano a esserci giovani nomi interessanti, come Paolo Germani. Insomma, la strada che io ritengo giusta è ancora aperta, ma bisogna voltare pagina e non crogiolarsi nel piacere edonistico della nostra società. In definitiva bisogna tornare a un’architettura conscia delle proprie responsabilità». L’architettura deve quindi riappropriarsi della funzione “politica”, essere al servizio della società. Perché questo presupposto sembra non essere più attuale? «Pur facendo le dovute eccezioni, si è passati dalla moda dell'impegno politico a quella del disimpegno, un discorso che va al di là della partecipazione alla vita dei partiti. Stiamo attraversando un periodo di grande individualismo, in cui è stato amplificato il valore artistico dell’architettura, a dispetto di quello civile. Ma l’architettura non è solo arte, è soprattutto un modo per migliorare la vita degli uomini: bisogna rivendicarne la funzione sociale, l’importanza e delicatezza delle scelte progettuali». Siete in tanti a sostenere quanto lei dice, penso a C&P

La strada è ancora aperta, bisogna voltare pagina e non crogiolarsi nel piacere edonistico della nostra società, tornando a un’architettura conscia delle proprie responsabilità Vittorio Gregotti per esempio. Cosa manca allora? «È vero, gli architetti italiani sono un po' litigiosi, magari dicono le stesse cose, ma poi si guardano in cagnesco. Sarebbe una buona cosa superare le rivalità. Naturalmente il discorso va esteso a tutti gli uomini di cultura. Da soli gli architetti non possono fare molto. Si tratta di far capire, tutti insieme, che stiamo scivolando verso un atteggiamento per cui non è più l'uomo l’artefice delle proprie scelte, al suo posto ci sono gli strumenti tecnologici che ha inventato». Esiste quindi un rapporto ideale tra architetto e committente? «Il committente ha una funzione determinante e quando questo non è una persona fisica ma un'istituzione allora tutto si fa più complicato, viene meno la possibilità di confronto diretto e discussione. Lo stimolo creativo può essere quindi messo a repentaglio». Da accademico ha iniziato la sua carriera insegnando letteratura italiana alla facoltà di Architettura della Sapienza. Che rapporto lega queste due narrazioni? «La letteratura è un formidabile strumento di comprensione, senza il quale l’architettura sarebbe rimasto un arido oggetto di studio, privo di sentimenti. In tal senso credo che la lettura dei romanzi di Proust dovrebbe essere obbligatoria per chi si occupa di architettura. Questo narratore 31


Sto per inaugurare dei laboratori per la Città della speranza a Padova interamente dedicati alla ricerca del cancro dei bambini; il progetto è in piena sintonia con la committenza

insegna la straordinaria capacità di vedere lo spazio attraverso il tempo e viceversa, non concependoli come aspetti autonomi. Proust ci fa capire che spazio e tempo sono relativi, valgono solo in quanto percepiti». Su cosa sta lavorando? «Sto per inaugurare dei laboratori per la Città della speranza a Padova; si tratta di un edificio interamente dedicato alla ricerca del cancro dei bambini, risultato di un’operazione benefica fatta da un gruppo di industriali. Così ho dato il mio contributo. Penso sia un’opera significativa per quel carattere politico e per la sua piena adesione agli obiettivi della committenza».

Sopra, il centro ricerca della Città della Speranza, a Padova

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Un progetto rimasto nel cassetto? «Ho regalato a papa Benedetto XVI il progetto di una chiesa, il mio sogno è riuscire a realizzarla a Roma, sperando che qualcuno ne comprenda il significato. È progetto innovativo nella tradizione, un po’ come il nostro papa che non è, come molti sostengono, affatto conservatore». C&P



Modello di centralitĂ urbana di Acilia Modonnetta (Roma)


DIBATTITI | Vittorio Gregotti

Dall’architettura critica ai nuovi immaginari urbani Dal trionfo delle città industriali si è passati alle postmetropoli, contesti urbani che negano qualsiasi tipo di sviluppo pianificato. Per Vittorio Gregotti è in corso una crisi disciplinare, l’architettura deve quindi riappropriarsi della sua vera natura: rendere vivibile e riconoscibile lo spazio pubblico di Paola Maruzzi

Capitale di imperi, roccaforte della cristianità, difesa medievale, palcoscenico rinascimentale, polo industriale: nel corso dei secoli la città occidentale ha cambiato pelle diverse volte, senza mai arrivare a uno stato di compiutezza. L’evoluzione è quindi qualcosa di connaturato all’urbanità e gli architetti si sono sempre posti il problema di come disegnarla e immaginarla, almeno fino all’irruzione di quelle che Vittorio Gregotti chiama postmetropoli: si tratta, appunto, di agglomerati che hanno rinunciato alla propria regolamentazione e messo in crisi il concetto stesso di spazio, a discapito della vivibilità. È un destino che sembra accomunare un po’ tutte le grandi città. Sia nei paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo, infatti, la popolazione urbana continua a crescere costantemente e questo non fa che amplificare una caoticità che rischia di C&P

diventare irreversibile. Per Gregotti solo l’architettura può dare risposte costruttive, a patto però che rinunci «a essere merce e orpello». Professore, quali cambiamenti sono in atto? «Aiutati dall’anticultura degli architetti di successo che sostengono, contro ogni idea di disegno urbano, da un lato la singolarità assoluta dell’oggetto architettonico, dall’altro l’identificazione dell’idea di sviluppo e della modernità con la postmetropoli di grandissima estensione e di incessante modificazione, anche le città medie europee tendono a identificarsi in quei valori rinunciando a un disegno della città e delle sue parti fondato sulla dialettica tra regole ed eccezioni. Credo che non solo le periferie ma purtroppo anche molte parti centrali delle città italiane seguano questi modelli: si veda, ad 35



DIBATTITI | Vittorio Gregotti

La vasta scala degli insediamenti ha suggerito molte teorie di disegno del territorio, dalla città-regione alla megalopoli di Gottman, fino alle proposte americane degli anni Sessanta

esempio del peggio, i due principali sviluppi delle aree centrali milanesi dell’ex Fiera e dell’ex centro direzionale». Perché è necessario schierarsi contro quell’architettura che rispecchia una visione positiva della realtà? «Si tratta di una visione considerata convenientemente positiva ma certo lontana sia dal pubblico interesse sia dalla capacità dell’architettura di perseguire qualità e possibilità autenticamente (e non solo stilisticamente) altre. Sono tutte questioni che riguardano anche le diverse arti di ciò che si può definire lo stile del “contemporaneo” che corre parallelo al tentativo di proseguire negli sforzi autocritici del pensiero della modernità». In quali firme ritrova, invece, una capacità di reazione? «Architetti come Alvaro Siza e Tadao Ando sono due esempi tra i non moltissimi che si potrebbero citare positivamente e che ci fanno credere alla reversibilità della crisi della nostra disciplina e alla sua capacità di sopravvivenza appassionata». Se, come lei sostiene, gran parte dell’architettura d’autore si accontenta di destare un effetto scenico, quali sono i significati che dovrebbe assumersi una nuova costruzione per continuare a dare senso alla città contemporanea? «La ricerca di un’architettura urbana civile è in difficoltà a causa delle incertezze sullo stesso C&P

significato del termine civile e per l’incapacità di credere alla stabilità nel tempo del disegno delle parti di una città. E soprattutto manca la capacità di attribuire un’importanza al disegno degli spazi tra le cose, gli spazi da cui guardiamo e utilizziamo la città. Capacità di lettura e di relazione con i contesti urbani e di paesaggio, senso del rapporto tra memoria e identità della città, creatività come processo di modificazione, cioè come coscienza del terreno della storia su cui costruiamo il nostro futuro, e che ci lascia liberi di assumere la responsabilità della direzione da prendere, necessità della misura e della regola che dà senso alla stessa eccezione: questi sono gli elementi indispensabili del disegno di ogni insediamento». Seppure in maniera caotica, le postmetropoli continuano a crescere, inglobando e formando nuove periferie: se non è più valido lo sviluppo urbanistico che si irradia da un unico centro storico, come mettere in relazione questi agglomerati? «La vasta scala degli insediamenti ha suggerito molte teorie di disegno del territorio; dalla città-regione alla megalopoli di Gottman, fino alle proposte americane degli anni Sessanta: soprattutto è stata importante la presa di coscienza europea del materiale di progetto offerto dalla antropogeografia del paesaggio, della presa di coscienza della relazione dialettica con esso, e dello stesso insieme urbano come paesaggio. Tutto questo sono convinto potrebbe ancora costruire risposte importanti anche per l’architettura della grande città». 37


L’Olimpiade dei grattacieli tra Londra, Parigi e Jeddah Tutti in gara per l’edificio più alto del mondo. «Ma esiste anche un pensiero urbano - dice Joseph Rykwert - in cui l’alta densità insediativa è indipendente dall’altezza dell’edificio» di Elisa Fiocchi

Joseph Rykwert, storico dell’architettura. In apertura, lo skyline di Shanghai

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Nel libro La seduzione del luogo. Storia e futuro della città lo storico dell’architettura Joseph Rykwert passa in rassegna la situazione contemporanea di Parigi, Londra e New York, concentrandosi sulle trasformazioni avvenute nel secolo scorso in città come Il Cairo, Mosca e Bombay. Di origini polacche, a lungo professore negli Stati Uniti ma londinese d’adozione, Rykwert è considerato uno dei grandi studiosi della città e delle sue forme, a partire dal mondo classico fino alle moderne megalopoli. La sua continua ricerca di insegnamenti per il futuro da ritrovare, però, nei modelli urbani del passato, emerge chiaramente nelle sue indagini sul senso profondo di una costruzione urbana, al di là degli aspetti architettonici e puramente economici del nostro tempo. La città non è il risultato di forze impersonali, ma un artefatto voluto, un costrutto umano sul quale influiscono molti fattori consci e inconsci, sentimenti e desideri. Qual è il legame tra forma costruita e pensiero sociale? C&P


DIBATTITI | Joseph Rykwert

«Il pensiero sociale è presente nella mente di tutti ma la cosa da chiarire è che la forma costruita non esprime un pensiero sociale bensì lo rappresenta. Sono le nostre decisioni che seguono il pensiero sociale e gli danno forma». Come descrive l’architetto operante nella società tardo e post capitalistica e il suo agire? «Ormai la forma della città è in mano alla speculazione edilizia e non esiste più un pensiero urbano operante e applicabile. Tutto è gestito dal potere finanziario. Si possono dare dei consigli anche ai finanziatori, ma sono sempre tenuti a margine del loro operare. La forma urbana è ormai una rappresentazione dei poteri finanziari dove l’agire architettonico viene meno». Considera deludenti le città nate dopo il 1945. Come giudica, invece, i volti urbani dell’ultimo decennio? «Ormai si è spostato il centro dell’edilizia dal mondo occidentale alla Cina all’india e al Medio Oriente. C&P

Dobbiamo guardare in questa direzione per capire come si propone il modello urbano. Ovviamente, ci troviamo dinanzi a una situazione che è labile e senza precedenti». Come si sta evolvendo la città orientale rispetto a quella europea? «Siamo dominati da questa gara per l’edificio più alto del mondo. Quello più alto d’Europa si trova a Londra, ma tra poco sarà superato da un edificio ancora più alto a Parigi, anzi saranno due torri gemelle. Sorgerà poi un altro grattacielo di un chilometro a Jeddah, la cui costruzione è prevista per il prossimo anno. Stiamo parlando di una vera e propria gara con tanto di concorso ufficiale e agenzia che registra questi record. Una specie di Olimpiade alla quale tutti guardiamo con attenzione. Fortunatamente in Italia non esiste ancora, ma non escludo che forse ci arriveremo». Da giovane si è soffermato sulla città antica: come ha ispirato e influenzato il suo pensiero? «Rappresentava un pensiero sociale molto diverso da 39


A sinistra, un’immagine del grattacielo più alto d’Europa, “The Shard”, a Londra. A destra, il progetto del nuovo grattacielo alto un chilometro che sorgerà a Jeddah, in Arabia Saudita

quello contemporaneo. Il momento più rilevante era rappresentato dal fatto che la città antica veniva, in un certo senso, tagliata dalla natura ma ne era anche una sua rappresentazione. Una natura, che si mostrava sicuramente più equa dell’attuale post darwinista in cui la sopravvivenza del più forte è ora l’’emblema del procedimento naturale».

E le città lontane dai canoni di seduzione? «Prendiamo ad esempio New York. È una città non tanto seducente ma assolutamente affascinante per via della vitalità che contraddistingue la sua struttura urbana. Un altro tema interessante è proprio questo: il fascino della dialettica tra la vitalità della città e la sua struttura urbana».

A partire dal movimento moderno, il rapporto tra l’architettura e le altre arti è divenuto conflittuale. In che modo si manifestano tali contrasti? «Un punto capitale del concetto dell’avanguardia è dato dall’opposizione alle istituzioni, intese come Polizia, Chiesa e Governo. L’architettura, purtroppo, non può procedere senza di esse e quindi, già di per sè, il concetto di un architettura di avanguardia non è altro che una contraddizione in termini. Tale conflitto con le istituzioni si è un po’ diluito e l’avanguardia degli anni Venti e Trenta è ormai passata sotto il controllo delle istituzioni. L’arte è ormai destinata ai musei ed è diventata istituzionale. Venezia è il simbolo di questo processo, perchè è in gran parte sotto l’influenza dalle istituzioni museali e dell’economia della città».

Come si presenteranno le città del futuro? «Siamo tutti perplessi sullo sviluppo attuale della struttura urbana e non è facile capirne le possibili evoluzioni. Il pensiero della crisi in ambito urbano è sempre stato ricorrente ma in questo preciso momento sappiamo che potrebbe colpire le nostre città in modo inaspettato. L’apocalisse, tra l’altro, è un tema continuo nel cinema attuale. Una crisi energetica, ad esempio, si profila già da anni ma non avviene. Se continuiamo a costruire gli edifici più alti del mondo, la crisi è destinata a profilarsi. Sarà più graduale dell’apocalisse inscenata al cinema, ma i fallimenti ci saranno e come reagiremo è impossibile dirlo. Si profila un avvenire non del tutto ottimistico secondo il mio pensiero».

Seguendo il titolo di un suo libro, quali sono i luoghi capaci di sedurla? «Ogni luogo è capace di farlo, basta ci siano delle memorie che ci legano a esso. Ognuno di noi ha i suoi luoghi di seduzione preferiti, li costruiamo con i ricordi perchè la seduzione, da sola, non è in grado di farlo. Trovo che Londra, la città in cui abito, abbia un fascino continuo, ma lo stesso potrei dire di Venezia, luogo mitico della seduzione, e di Varsavia la mia città natale».

Quali esempi urbanistici corrono invece in direzione opposta? «Per fortuna c’è un pensiero urbano, ormai decennale, che lascia indipendente l’alta densità insediativa dall’altezza dell’edificio come avviene a Times Square a Londra, con un opera che ha riscosso un grande successo per il pubblico. Si può pensare proprio a questo agire architettonico come modello per l’edilizia post crisi».

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C&P



DIBATTITI | Franco La Cecla

Franco La Cecla, antropologo e architetto

La logica locale s’insinua nelle grandi metropoli del mondo Tanto più una città è globalizzata, tanto maggiore sarà la tendenza a creare delle appartenenze: dai soi di Bangkok ai roji di Tokyo, passando per i quartieri cinesi di Parigi. Le città s’impoveriscono e il modello di periferia fallisce ovunque. Le riflessioni di Franco La Cecla di Elisa Fiocchi

Ogni città racchiude luoghi pervasi da una loro intimità, memorie stratificate, spazi legati a specifiche modalità abitative e persone che al suo interno vivono di attività minime che eludono le classificazioni. Ma che cosa rimane di queste considerazioni se la progettazione, il più delle volte, è svincolata dalla realtà urbana e dalle sue complessità? L’antropologo e architetto Franco La Cecla offre una risposta precisa a quegli interventi urbani compiuti in maniera inadeguata e superficiale, basati più su valenze iconiche e lontani dall’interesse pubblico. Nel 2008, con il libro Contro l’architettura, invitava ad abbandonare la scia dorata delle archistar, paragonati ai grandi stilisti della moda, costruttori di edifici all’insegna del narcisismo: «Costano troppo e fanno cose inutili al miglioramento della vita quotidiana: sarebbe come chiedere a Valentino Rossi di risolvere i problemi del traffico a Roma». In queste settimane La Cecla è stato in Giappone dove ha tenuto un dibattito con il celebre architetto Kengo Kuma per presentare il libro in lingua giapponese e al Moma di San Francisco per l’edizione inglese. L’agenzia Asia (Architecture social 42

impact assessment), che ha fondato a Londra nel 2005, si occupa per l’appunto di valutare l’impatto sociale delle opere di architettura e di urbanistica. «A Barcellona ha offerto consigli su come espandere la città senza devastare il tessuto sociale che già esisteva, a Piacenza è stato fatto un check-up delle possibilità di usare aeree militari abbandonate e ora lavora all’Aquila per ricostruire gli edifici assieme ai proprietari senza dover attendere le decisioni dall’alto». Come si affronta il tema dell’organizzazione dello spazio contemporaneo tra localismo e globalizzazione? «Proprio perchè c’è stata la globalizzazione, il rapporto con il quartiere e il vicinato in molti posti del mondo è diventato sempre più importante. Bangkok, ad esempio, con i suoi 13 milioni di abitanti è una città trafficata e inquinata dove però la gente vive nei soi: vicoli laterali, grandi arterie senza traffico in cui si fa riferimento alle botteghe di quartiere. Anche nel centro di Tokyo ci sono i roji, una specie di vicoli dietro ai grattacieli dove si esce C&P



Sopra, uno scorcio di un soi di Bangkok. A destra, l’architetto giapponese Kengo Kuma

Bangok con i suoi 13 milioni di abitanti è una città trafficata e inquinata dove però la gente vive nei soi, vicoli laterali senza traffico con botteghe di periferie

per le strade in ciabatte o vestaglia e c’è un controllo comune sui bambini. Si tratta di una consuetudine che esisteva già in passato e che oggi riemerge come risposta ai flussi fortissimi della città e delle sue numerose comunità etniche. Ciò avviene anche a New York o a Parigi, dove tutti i cinesi abitano nello stesso quartiere nonostante ci sia una politica comunale che vorrebbe evitarlo. La logica dunque è locale e spiega che tanto più una città è globalizzata, tanto maggiore sarà la tendenza a creare delle appartenenze».

immigrati che lavorano nel turismo e nei servizi per il terziario. A Mumbay, l’enorme Slum che appare nel film “The Millionaire”, dimostra come 500mila persone siano necessarie per soddisfare un’immediata richiesta di manodopera. Assistiamo così ad un ritorno della povertà all’interno delle città».

Come cambia quindi la concezione classica di periferia? «Le periferie nascono da un’ipotesi elaborata dagli architetti negli anni Sessanta, convinti dell’esigenza di decentrare e dare un posto dove dormire alla gente. Sono risultate un fallimento ovunque e oggi accade che in molti posti, come a Barcellona, il centro prima disabitato è diventato la casa di coloro che precedentemente stavano in periferia, ovvero gli 44

In quali parti del mondo la periferia incarna ancora un modello abitativo? «Nel centro Asia oppure in America latina, dove il modello proposto dall’Europa e dagli Stati Uniti è visto ancora come quello ideale: siamo in un momento in cui quei concetti architettonici da noi scaduti vengono imitati da tutti i paesi in grande sviluppo. Il simbolo è proprio il grattacielo. Anche nel nostro Paese, dove ci sono centri urbani magnifici, si va avanti ancora al pari dell’Asia e la nostra mitologia fa si che l’Expo di Milano serva poi a costruire grattacieli. Proprio noi italiani, che abbiamo forse la più grande tradizione di civiltà urbana del mondo, risultiamo invece incapaci di C&P


DIBATTITI | Franco La Cecla

A sinistra, l’architetto Sinclair Cameron. In basso, un roji giapponese

produrre modelli diversi». Come le nuove tecnologie hanno influito sulla progettazione urbanistica? «Il maggior impatto lo ha avuto la telefonia mobile che ha svincolato la gente dall’obbligo di stare in casa, ha aperto la cultura di strada e la tradizione mediterranea dello spettegolare all’aperto. Hanno stimolato la curiosità e la socialità urbana». E come frenare la corsa delle archistar? «Prima di tutto cominciando a cambiare il modo di lavorare: gli studi di architettura sono stravecchi e gli stessi architetti se ne stanno seduti sulla sedia tutto il giorno senza vedere i posti dove progettare le cose. Anche i migliori architetti, come Renzo Piano, sono ormai dentro al sistema. Il vero problema è che non entrano in gioco competenze diverse: nessun antropologo, geografo, statista e giurista. Non si rendono conto che questa pratica di architettura è inutile ed è ormai finita e funzionerà solo quando C&P

questi studi si rinnoveranno e diventeranno delle vere equipe di lavoro. Non c’è più bisogno di chiamare i grandi nomi per migliorare le città, sarebbe come chiedere a Zaha Hadid di occuparsi del centro di Istanbul o di una città italiana pensando che sia in grado di farlo. Ma la riposta è no, né lei stessa lo vorrebbe». Esiste una risposta concreta all’archistar? «Sta nascendo una nuova generazione di architetti che si occupa della vita delle città. Un’esposizione al Moma dal titolo “Simple solutions for big problems” racconta casi diversi di pratica attuate nelle favelas brasilane e nelle bidonville in Kenya. Ho presentato uno di questi architetti a Bologna, in occasione della fiera Cersaie: si chiama Sinclair Cameron e ha fondato “Architecture for Humanity”. Un altro grande architetto indiano, Balkrishna V. Doshi, ha realizzato quartieri in cui la gente poverissima riesce a vivere, e che possono essere migliorati con il trascorrere del tempo in base alle risorse disponibili». 45


«Facciamo brillare i giovani talenti» Il presidente dell’Ordine degli architetti di Roma getta uno sguardo sul futuro della professione: «Se il ricambio generazionale tarda ad arrivare rischiamo di avere una schiera di disillusi. La nostra cultura progettuale ha bisogno di una creatività giovane» di Paola Maruzzi

Da una parte il ruolo sempre più rilevante delle archistar, dall’altra una schiera di progettisti semisconosciuti che chiede di prendere parte al dibattito sull’architettura contemporanea: questa è la situazione descritta da Amedeo Schiattarella. «Bisogna riequilibrare le parti – spiega il presidente dell’Ordine degli architetti di Roma, che riunisce circa 16mila professionisti – ma in Italia non ci sono sufficienti spazi per fare palestra e per i giovani talentuosi diventa difficile emergere: fiducia e credibilità sono oggi, infatti, indissolubilmente legate alla notorietà». L’estero diventa, quindi, una tappa obbligata. «Siamo stati il primo Ordine a promuovere la scelta di varcare i confini nazionali anche verso quei Paesi a prima vista poco appetibili, come l’Africa e la Polonia». Nella sua riflessione sul momento attuale dell’architettura italiana, Schiattarella affida la scommessa sui giovani a politiche adeguate e insiste sulla «necessità di avere concorsi veri con cui misurarsi». Cosa può fare l’Ordine per far sì che i committenti, sia pubblici che privati, si rivolgano anche a nomi meno noti? «Il nostro compito è stimolare la sensibilità delle amministrazioni, poi le scelte finali conservano sempre un carattere tecnico-politico. Detto questo, stiamo assistendo inermi a un fenomeno preoccupante: se prima l’architettura non era così rilevante da un punto di vista mediatico, ora c’è un’enfasi incredibile che precede soprattutto alcune firme internazionali, divenute persino protagoniste di vere e proprie campagne di comunicazione. Questa tendenza è nata a Berlino e a Parigi e l’Italia l’ha assimilata in pieno, importandone anche gli inevitabili aspetti negativi. Così siamo diventati subalterni alle strategie di comunicazione dello star system: l’architetto viene 46

chiamato in base all’audience che può produrre nell’interesse dei mass media». Di cosa c’è bisogno invece? «Di riequilibrare le parti. Gettiamo uno sguardo sulle nostre città: accanto a elementi architettonici straordinari e monumentali c’è un tessuto eterogeneo, un continuum di costruzioni che sono comunque di grande qualità. Insomma, gli habitat urbani non si fondano solo sulle “eccezioni”. In questo momento c’è bisogno che gli architetti intervengano con spirito di servizio verso la comunità, anche per contrastare l’eccessivo protagonismo delle archistar, la cui logica mediatica finisce per ricadere soprattutto sulle nuove generazioni, che fanno fatica a emergere». Quanto spazio riserva il mercato alla sperimentazione dei giovani architetti? «Non solo a Roma, ma più in generale in Italia, c’è poca sperimentazione e gli spazi di praticabilità del nostro mestiere stanno diventando sempre più angusti. Svolgere pienamente la nostra attività, cioè dare un serio contributo, è estremamente difficile perché ormai l’architetto è visto come un facilitatore del percorso autorizzativo piuttosto che come portatore di cultura. Se mi guardo in giro vedo poca cultura architettonica, risultati scadenti, concorsi che non vanno fino in fondo. Lo spazio creativo si è logorato. All’estero rimangono increduli quando vengono a sapere quello che accade in Italia». Chi non ha la fortuna di fare palestra in uno studio importante, come può garantirsi una formazione altrettanto qualificante? «Rispondere a questa domande significa C&P


DIBATTITI | Amedeo Schiattarella


Se mi guardo in giro vedo poca cultura architettonica, risultati scadenti, concorsi che non vanno fino in fondo: lo spazio creativo si è logorato ripercorrere gran parte degli sforzi che l’Ordine degli architetti di Roma sta compiendo. Siamo stati i primi a promuovere l’esperienza all’estero. Solo negli ultimi anni abbiamo mandato circa 300 giovani italiani in avanscoperta verso studi professionali di mezzo mondo. Questi ragazzi hanno fatto esperienze straordinarie, molti sono rimasti a lavorare fuori, mentre chi è tornato ha portato con sé una nuova visibilità. Oggi come non mai bisogna andare a caccia di altre opportunità. A chi, invece, ha la fortuna di fare esperienza in uno studio importante consiglio di “rubare” con gli occhi perché spesso ai neolaureati viene chiesto di svolgere funzioni meramente strumentali. Ma è l’estero la grande opportunità». Dove consiglia di andare? «È difficile dare una risposta secca. Con grande sorpresa, si stanno rivelando interessanti Paesi insospettati, come l’Africa, la Polonia e più in generale l’Est Europa, mentre Francia, Spagna e Inghilterra sembrano precludere possibilità che un tempo avevano. Sarei, invece, cauto nell’affrontare paesi come la Russia e la Cina, territori sconfinati in cui, per chi è alle prime armi risulta difficile trovare un riscontro». Ma i talenti nascosti esistono davvero o sono solo frutto di una visione ingenua? «Come avviene in tutti i campi della creatività, anche l’architettura alimenta da una parte sogni e speranze, 48

dall’altra costringe a fare i conti con la delusione. In Italia c’è un numero incredibile di architetti e aspiranti tali, quindi è fisiologico che coloro che riescono a svolgere un’attività autonoma sono in pochi. Ma i talenti, seppur non numerosissimi, esistono, il problema è come farli venir fuori: questa è una preoccupazione che va ben al di là della volontà dell’Ordine di rendere possibili nuovi spazi di praticabilità. C’è bisogno di un ricambio generazionale che non deve tardare ad arrivare, altrimenti il giovane talentuoso diverrà un disilluso». Eppure l’architettura è una di quelle professionalità in cui le gratificazioni arrivano solo dopo anni. «È vero, quand’ero giovano si diceva che professionisti si diventa a sessant’anni. Forse oggi questo presupposto non è più attuale, dovremmo rivedere le cose, creare nuove palestre e occasioni». A proposito di temi giovani, la sostenibilità è senza dubbio uno di questi. In futuro avremo solo bioarchitetti? «Intanto non mi piace utilizzare il termine “bioarchitettura”, preferisco parlare di architettura sostenibile: mi dà l’impressione che si tratti meno di una moda, ma che prefiguri il destino della nostra disciplina. La sostenibilità è una tema che fa capo alla responsabilità professionale dell’architetto, ed è chiaro che in futuro si andrà sempre più verso questo nuovo impegno civile». C&P



IDENTIKIT DELL’ARCHISTAR | Silvia Micheli

Nell’Olimpo architettonico Con il fenomeno delle archistar cresce la fama dell’autore nei confronti della sua opera. «Del resto Andy Warhol, già nel 1975, aveva profetizzato che il pubblico ha bisogno delle star più di ogni altra cosa...» racconta la scrittrice Silvia Micheli di Elisa Fiocchi

Silvia Micheli, autrice del libro Lo spettacolo dell’architettura. Profilo dell’archistar con Gabriella Lo Ricco

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Non siamo affatto lontani dal famoso film “Being John Malkovich” del 1999, incentrato sul tema della celebrità e del suo culto, titolo ispiratore dei numeri monografici pubblicati dalla rivista d’architettura Abitare diretta da Stefano Boeri. «Being Renzo Piano (497/2009), Being Norman Foster (507/2010) e Being Zaha Hadid (511/2011) raccontano allo stesso modo le vite private delle archistar, i loro interessi personali, le loro abitudini attraverso reportage fotografici che sembrano catturare maggiormente la curiosità del pubblico rispetto ai loro edifici». A introdurre il processo di trasformazione della figura dell’architetto in celebrità, è la scrittrice Silvia Micheli che, assieme alla collega Gabriella Lo Ricco, lo ha descritto nel libro Lo spettacolo dell’architettura. Profilo dell’archistar edito da Mondadori nel 2003. «Quando è stato pubblicato, il culto delle celebrità in architettura era già al suo culmine – rivela – tuttavia avevamo notato la mancanza di un’analisi critica in grado di decifrare sistematicamente tale fenomeno e, dunque, di comprendere con sufficiente chiarezza le sue cause e le dirette conseguenze». La scrittrice svela le strategie che trasformano l’architettura d’autore in uno sfavillante e ricercato mezzo di promozione culturale e d’immagine. Quali architetti sono considerati gli artefici del movimento? «Abbiamo focalizzato la nostra attenzione sul comportamento dei più qualificati architetti operanti nel XX e XXI secolo. Le Corbusier e Frank L. Wright sono stati tra i primi ad aver intuito il potenziale dei mass media come veicolo di diffusione dei propri risultati progettuali e teorici per raggiungere un pubblico sempre più ampio. Ma è con l’architetto statunitense Philip Johnson, che è iniziata la programmatica rincorsa alla fama anche nel settore dell’architettura. È significativa una sua osservazione: “La gente non visita la mia casa per osservare i quadri ma viene a vedere che tipo di dentifricio uso. Sapete, l’idrolatia...”. In tempi più recenti, è Rem Koolhaas colui che più di ogni altro C&P


Foto Stefano Glodberg Foto Steve Double

ha saputo servirsi del sistema mediatico, arrivando a comparire sui più prestigiosi giornali di settore e, al contempo, sui maggiori settimanali di tendenza quali Wired e Vogue. Il suo volto è diventato un’icona dell’architettura del XXI secolo». Quali strategie di comunicazione vengono adottate dagli architetti nella società contemporanea? «La sorprendente disponibilità a rilasciare interviste, partecipare a talk show televisivi, fornire materiale alla stampa, apparire persino negli spot pubblicitari, ha decisamente incrementato la loro riconoscibilità. Oppure la moltiplicazione di documentari che si concentrano sulla figura dell’architetto, come il film documentario “Frank O. Gehry. Creatore di sogni” di Sydney Pollack, uscito nel 2005. La telecamera viene costantemente puntata sull’architetto, il quale, come una vera star hollywoodiana, s’aggira tra i suoi edifici illustrandone il processo progettuale e costruttivo pur sempre attento a includere dettagli biografici e aneddoti privati scherzosi. In tal senso, l’esperienza dell’architettura diventa a tutti gli effetti uno spettacolo».

C&P

Quali regole, consuetudini o strumenti, creano quello spettacolo dell’architettura di cui parla il libro? «È interessante parlare del sistema dei premi internazionali di architettura come uno dei principali strumenti di accelerazione del fenomeno in questione. Il più prestigioso è il Pritzker Prize, la cui prima edizione del 1979 si è aperta, non a caso, con la premiazione di Philip Johnson. Come esposto nel sito web ufficiale del Pritzker, l’obiettivo del premio è “onorare un architetto vivente il cui lavoro dimostra una combinazione di quelle qualità di talento, visione e impegno che ha prodotto contributi consistenti e significativi per l’umanità e per l’ambiente costruito attraverso l’arte e l’architettura”. L’elenco dei premiati dal 1979 a oggi vanta nomi di architetti che hanno meritevolmente segnato la storia dell’architettura del XX e XXI secolo a livello internazionale. Tuttavia, è da notare il processo di selezione che, annualmente, premia non tanto un edificio, ma il suo autore. Anche l’Aia Gold Medal Award, il più alto riconoscimento dell’American Institute of Architects, e il premio finlandese Alvar Aalto Medal adottano il medesimo sistema di premiazione: a premio consegnato, l’architetto entra a far parte, in modo irreversibile, del ristretto e prestigioso “olimpo architettonico”». 51


Nel confronto tra passato e presente Progetti strettamente legati al contesto, inseriti armonicamente nelle forme del paesaggio. Come coesistono storia e modernità nel lavoro di Luisita Facchin di Matteo Rossi

Recuperare gli spazi, specialmente in Italia, significa, il più delle volte, dover inserire elementi di modernità all’interno di ambienti dall’alto valore storico, senza però mutarne l’aspetto originario. Un’attività complessa, che richiede grande elasticità e capacità di adattamento: «È vero, nel nostro paese l’architettura deve spesso confrontarsi con la storicità dei luoghi. Questo però non deve essere inteso come un limite al nostro lavoro, ma al contrario deve servire come spunto creativo», sottolinea l’architetto milanese Luisita Facchin. «Nelle mie opere amo ricercare il confronto tra passato e presente, approfittando anche di tutto ciò che la tecnologia del nostro tempo ci sta regalando». È questa filosofia che ha ispirato anche la progettazione dell’ascensore realizzato all’interno di 52

un edificio in via Castelfidardo, nel centro storico milanese? «Quanto realizzato è tra i lavori emotivamente più importanti che io abbia mai affrontato negli ultimi anni, frutto di una proficua collaborazione con tutti gli attori coinvolti. Un intervento dall’alto valore architettonico, in cui abbiamo cercato di rispettare la valenza storica del luogo, coniugando funzionalità ed estetica. Ferro e vetro sono gli elementi caratterizzanti della struttura, che con le sue trasparenze crea un impatto visivo immediato, in grado di esaltare e valorizzare il contesto all’interno del quale si inserisce. Tra i miei collaboratori più stretti che hanno contribuito non solo alla progettazione ma anche alla realizzazione del manufatto, ringrazio Marco Marenzana, Ruggero Lacerenza, Luigi Faruzzi, Stefano Grop».

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ESPERIENZE ARCHITETTONICHE | Luisita Facchin

In basso l’architetto Luisita Facchin, titolare dello studio L.F. & Partners di Milano. Tra i collaboratori dello studio, gli architetti Andrea Corti, Davide Galleani e l'ingegnere Marco Zitelli. Nelle altre immagini, alcune realizzazioni dello studio viadeipiatti@fastwebnet.it

Amo ricercare il confronto tra passato e presente, approfittando anche di tutto ciò che la tecnologia del nostro tempo ci sta regalando

Come lei ama sottolineare, l’architettura è sì un’espressione artistica, ma è anche il frutto di un dualismo tra chi progetta e chi commissiona. Quanto incide questo aspetto sul suo processo creativo? «Partiamo dal presupposto che, a mio parere, l’idea progettuale e la sua successiva realizzazione devono rappresentare chi ne usufruirà. In particolare, quando affrontiamo gli interni, nessuno di questi può ritenersi riuscito se chi lo abita non vi ritrova proprie caratteristiche e simboli. Nulla si può creare se non si conosce l’oggetto d’intervento, il contesto diviene quindi caratteristica del progetto. I tempi in cui viviamo ci aiutano a sperimentare e a realizzare qualunque idea, anche con l’aiuto delle nuove tecnologie costruttive, sempre più all’avanguardia». Dunque tecnica e forma? C&P

«Esatto. Entrambi gli aspetti devono svilupparsi in contemporanea per dare vita a quanto il progetto richiede, così da poter concretizzare le idee alla base dello stesso. Questo principio è alla base del tutto, a prescindere dalla traccia stilistica. L’importante è che il progetto sia realmente supportato dalla perfetta conoscenza del luogo nel quale si opera, ecco l’importanza di studiare ogni ruolo e ogni elemento caratterizzato dal sito, ed ecco perché ogni progetto avrà la propria unicità e riconoscibilità. Personalmente ho seguito questi dettami anche nella progettazione del mio studio, in Via dei Piatti a Milano, in cui, tanto per dare un esempio, non si trovano divisori e separazioni. Il tutto è concepito in modo tale da favorire un continuo scambio tra le persone che vi operano. Ecco, in questo senso il progetto riflette i bisogni di chi lo usufruisce». 53


Edifici che dialogano con il contesto Palma Librato è un giovane architetto che nel suo percorso professionale punta sulla qualità e sulla sperimentazione per la realizzazione dei progetti di Luca Cavera

«La qualità è già nell’idea, l’idea di progetto che non è un disegno d’arte, ma una forma d’architettura e che poi si deve poter ben costruire. L’eccellenza si costruisce remando con costante rigore, grinta, tenacia e voglia di imparare. Per realizzare grandi progetti unicamente con le proprie idee bisogna però saper trasformare i remi in ali». Questa è la filosofia che guida la matita di Palma Librato, giovane architetto pugliese che ha già firmato numerose realizzazioni. Il suo lavoro è guidato da un’attenzione per l’aspetto urbano e per le esigenze di chi abiterà gli ambienti. «Gli edifici si devono misurare con i contesti, con le esperienze architettoniche dei luoghi 54

culturali in cui si inseriscono, con le problematiche costruttive. Gli interni devono misurarsi con i desideri degli utenti, con il loro modo di vivere gli spazi della casa». Da quali premesse nasce questo suo approccio alla progettazione? «Un architetto non dovrebbe mai dimenticare che stiamo costruendo edifici che resteranno nelle nostre città per almeno 100 anni. Quindi non costruiamo una sola opera, ma stiamo costruendo un’immagine di città. Per quanto riguarda gli interni, sono convinta che non si possa incollare d’amblè la propria idea e C&P


ESPERIENZE ARCHITETTONICHE | Palma Librato

In apertura, casa unifamiliare a Monopoli (BA). Sopra, a sinistra, edificio per abitazioni a Castellana Grotte (BA). A destra, l’architetto Palma Librato p_librato@libero.it

ignorare la concezione delle spazialità intime delle persone. Bisogna modellare la loro idea attraverso la propria, creando il profondo convincimento che quello di progetto è il loro spazio; l’architetto ha decriptato e decodificato il loro desiderio nell’unica forma di spazio e negli unici colori possibili». Cosa hanno in comune i suoi progetti realizzati e quelli ancora in fase di progettazione? «Cerco di lavorare su alcuni temi, dando una continuità ai progetti. Intraprendo un tema in un progetto e poi lo arricchisco in quello successivo, cercando di aggiungere alla realizzazione il valore della ricerca e quindi un piccolo contributo all’innovazione. La casa mediterranea è un tema che sto sviluppando in due progetti di abitazioni rurali in fase di completamento. Mi interessano anche il decoro delle facciate e il loro ruolo rispetto all’edificio; inoltre negli interni cerco di sperimentare l’effetto delle spazialità interne sull’animo e sulla psiche delle persone. Per ogni progetto però, mi confronto sempre con i committenti, ai quali spiego le mie scelte in modo che queste siano condivise». Qual è il percorso di inserimento nella professione per un giovane architetto? «È un percorso arduo e rischioso. Arduo perché C&P

usciti dalla Facoltà, pur avendo gli strumenti per progettare, non si può essere progettisti e si lavora in bottega all’ombra di un architetto che raramente è un maestro. Rischioso perché se non si iniziano a battere le ali e uscire dal nido protettivo dello studio in cui si svolge il praticantato, si rischia di restare disegnatori a vita. Mentre è importantissimo fare, che vuol dire anche essere presenti in prima persona nella gestione dei cantieri, seguendo il lavoro delle maestranze». Lei è sicuramente un’eccezione nel panorama dei giovani architetti italiani in merito a edifici realizzati su sua regia. «Io ho avuto la grande fortuna di avere ben due maestri che mi hanno forgiata con il fuoco del rigore, della ricerca, dello studio, della cura del progetto, della sintesi per grandi temi, del rischio misurato da continue verifiche verso una spasmodica ricerca del sapere e del saper fare. Dall’Accademia alla Professione, questi concetti mi hanno seguito e permesso di firmare e realizzare da sola una decina di edifici e molti altri in collaborazione. Ma più che alla quantità, guardo a un percorso di qualità, che tento di tracciare con passione e con la responsabilità del ruolo sociale che ho come architetto». 55




Una rivoluzione nella gestione degli spazi verdi in Italia Ăˆ quella invocata con forza dall’architetto Paolo Pejrone. In prima fila nella tutela del paesaggio, il garden designer si scaglia contro il degrado odierno fornendo la sua proposta per restituire dignitĂ a scenari e giardini italiani di Francesca Druidi


TUTELA DEL PAESAGGIO | Paolo Pejrone

Nel tondo, Paolo Pejrone, architetto di giardini e scrittore

Paolo Pejrone ha contribuito, attraverso i suoi progetti e i suoi libri, alla diffusione in Italia della cultura del verde e di una rinnovata attenzione verso l’architettura del paesaggio; paesaggio che, secondo il celebre garden designer, non gode oggi di ottima salute. «La situazione del paesaggio italiano è sempre molto debole – afferma Pejrone – si parla solo e purtroppo si fa poco nel concreto. In Italia sono pochissime le persone ad amare il paesaggio, a comprenderne la vera forza e l’autentico valore: qualche associazione, come ad esempio il Fai, qualche intellettuale, qualche agricoltore illuminato». Cosa fare allora? «Impegnarsi in una costante opera di sensibilizzazione. Comprendere che le modalità di produzione dell’energia rinnovabile sono importanti, ma non devono andare a offendere il paesaggio. E poi fermare quelle costruzioni che nascono come funghi o quei capannoni che sorgono a scapito dei territori. Siamo riusciti a rovinare casa nostra, così intrisa di meraviglia tra chiese, musei e città, a dileggiarla e a sporcarla. Sono mancate le generazioni che, nel secondo Dopoguerra, hanno saputo, non dico far eccellere, ma almeno salvaguardare il paesaggio. A livello macro, la situazione è allo sbaraglio. Rimaniamo un paese di ricordi e di fotografie ormai scolorite».

Foto Dario Fusaro

A chi va imputata la responsabilità maggiore? «Alla scuola innanzitutto. E alle istituzioni che dovrebbero essere illuminate e, invece, sono spente. Forse lo scenario toscano, nei dintorni di Siena, si preserva ancora, ma il resto della penisola è ormai minato. Stiamo ferendo e sconvolgendo millenni di lavoro e di bellezza». Prendendo in considerazione la dimensione micro, quella dei giardini pubblici, le cose vanno meglio? «Chiaro come questa sia una scala d’intervento più facilmente gestibile, ma in generale il lavoro delle soprintendenze è risultato debole. Hanno, di fatto, tutelato poco». C&P

Non scorge alcuna speranza? «Ogni mossa e ogni sassolino che vanno a beneficio di una “guerra” intelligente sono i benvenuti. Se servirà o meno, non è facile prevederlo. Il dato preoccupante resta al momento una disattenzione colpevole, che lascia proliferare affari e impianti in maniera triste e furba». Come andrebbe gestito lo spazio verde all’interno delle città? «Con maggiore intelligenza, rompendo anche con certe tradizioni, ma senz’altro adottando maggiore generosità, sia per quanto riguarda le superfici delle aree verdi sia per la qualità che si riesce a dare alla cittadinanza. Non è l’albero in una qualsiasi piazza Cavour d’Italia a fare la differenza, perché quest’albero non crescerà mai nel contesto migliore. Gli alberi, invece, devono poter vivere bene. Dovrebbero essere creati piccoli boschi nelle periferie, iniziando a decentrare il verde assicurandogli così le condizioni più ottimali. Avremmo in questo modo un verde più felice e piacevole, a beneficio delle piante, oltre che nostro». In che modo valuta il rinnovato interesse per gli orti? «Lo reputo un fatto positivo. Anche se può trattarsi di una moda, fa piacere. Spero possa rappresentare il chiavistello di un’apertura maggiore, di una porta dalla quale affacciarsi su questo mondo. Del resto, se non si parte, non si arriva. Seguire la crescita dell’orto, il fatto di “adoperarlo”, conferisce senso e mette polvere nel cannone della gioia del giardinaggio». Ci sono altre tendenze simili in atto? «Si registra la tendenza a sofisticare, ad esempio con le pareti verdi, una sorta di costosi arazzi in verde difficili da mantenere, divertenti ma irreali. Le piante e gli alberi, invece, non richiedono particolari attrezzature, hanno soltanto bisogno di terra tranquilla e pulita. Si crede che il giardino debba costituire la base per qualcos’altro, ma non è così: un bel giardino è, e non necessita di nulla». 59


Foto Paola Ghirotti


TUTELA DEL PAESAGGIO | Franco Zagari

Copyright Juan Pablo Temporelli

L’architetto Franco Zagari

Tra consapevolezza storica e visione sul futuro È critico Franco Zagari verso il nostro verde pubblico, plasmato su uno standard materiale e astratto privo di qualsiasi disegno. «Non c’è poi da stupirsi» osserva l’architetto «che i parchi diventino preda di attività speculative e commerciali» di Michela Evangelisti

«In ogni epoca il giardino privato, “luogo del sogno e del potere” come diceva Pierre Grimal, è stato allo stesso tempo spazio intimo e segreto e laboratorio sociale e politico». Ai giardini, pubblici e privati, due mondi fra loro comunicanti ma profondamente diversi, Franco Zagari ha dedicato Giardini. Manuale di progettazione. E se il verde privato è stato non solo anticipatore di tecniche di coltivazione, ma anche di forme eminentemente pubbliche - il pensiero corre ai giardini di Versailles -, in Europa ha sperimentato spazi e comportamenti che in seguito sono diventati le grandi idee delle città capitali: square, crescent, boulevard, ring. «Oggi il parco pubblico ritorna ad avere un programma sofisticato e una notevole C&P

rilevanza fra gli spazi rappresentativi dei valori della nuova società – spiega Zagari –. Come nel giardino privato, vi si trovano grande ricchezza botanica e attività che sembrano la clonazione all’aria aperta dei fasti della nuova museografia». Quali sono le nuove tendenze del giardino pubblico in Italia? «L’Italia è in controtendenza; la ricchezza di programma che troviamo in situazioni fra loro anche molto diverse, penso ai parchi pubblici di Parigi e di San Paolo del Brasile, non è neppure concepibile da noi, dove il verde pubblico è uno “standard” materiale e astratto, il cui modello è vagamente para rurale o para ambientale, privo di 61


Foto François Henry

Foto Paola Ghirotti

Il parco pubblico sta riacquistando notevole rilevanza fra gli spazi rappresentativi dei nuovi valori sociali

In apertura, Z5, il Giardino degli occhi, Roma, quartiere Talenti; sopra Hashi, passerella sulla cascata del lago dell’Eur, Roma; a destra, Giardino de l’Ancien Hôtel Dieu, Saint-Denis (Parigi); nella pagina seguente, Piazza Victor Hugo, Saint-Denis (Parigi)

qualsiasi disegno. Non c’è poi da stupirsi che da noi i parchi siano in asfissia economica e diventino preda di attività ricettive speculative, volgari e commerciali». Altro suo tema privilegiato è lo spazio pubblico urbano. Come sarà in questo senso la città del futuro? «La città del presente è molto diversa da quella di soli vent’anni fa. In molti pensiamo che sia finito il ciclo della città europea che inizia con il secondo millennio e ci troviamo di fronte trasformazioni del territorio potenti e rapide come tsunami. La città del futuro è la città che decanta il più imponente fenomeno di urbanesimo della storia umana, fenomeni le cui cause spesso sono così remote da essere a mala pena intuibili. Lo spazio pubblico è il grande cantiere del tentativo di una ricostituzione di continuità in un habitat né urbano né rurale, tendenzialmente afono e amorfo, luogo nel quale si evocano quei principi di orientamento e di centralità in cui cerchiamo nuovi riferimenti nella 62

nostra vita quotidiana». Tra i suoi progetti Cythera e Hashi all’Eur di Roma, le tre piazze della basilica di Saint-Denis a Parigi: qual è stato il suo approccio? «Partite difficili, all’Eur e a Saint-Denis. Si è trattato di intervenire in ambienti di grande qualità ma in pericolo di collasso: a Roma un parco esemplare ma dimensionato su un impianto per le Olimpiadi, quindi un budget molto alto che si è poi trasformato in un onere di manutenzione difficile da sopportare; a Parigi un quartiere storico con un suo fascino di banlieue con tendenze di abbandono. In entrambi i casi un’azione pubblica chiara, dettata da idee che interpretavano bene le attese del pubblico, ha aiutato a provocare una reazione positiva forte». A Roma ha ideato anche Z5. «È un giardino condominiale la cui forte personalità è negli occhi magnetici della Hepburn, introdotti per muovere la staticità di uno spazio a geometria euclidea. C&P


Foto François Henry

TUTELA DEL PAESAGGIO | Franco Zagari

Con nostra sorpresa non solo il promotore, ma anche gli abitanti, hanno sposato di buon grado la causa». Quale contributo architetti e paesaggisti possono portare per fermare il fenomeno della distruzione di quel connubio di paesaggi urbani, agricoli e naturali che caratterizza il nostro Paese? «Possono ripensare l’agricoltura, lavorare sulla mobilità a tutti i livelli, difendere gli spazi non costruiti, sedimentare, sperimentare, agire con progetti di difesa, manutenzione e valorizzazione in parallelo, riportare il paesaggio a un confronto diretto fra consapevolezza della storia e capacità di una visione di futuro». Ci sono a questo proposito idee interessanti da prendere in prestito dall’estero? «Per fare solo un esempio “As found”, titolo di una conferenza straordinaria tenuta a Copenhagen, è un insegnamento che ho trovato molto significativo: cambiare mentalità rispetto al disastro urbanistico, accettarlo per curarlo, con la stessa comprensione e la C&P

pietà che si ha per un corpo malato». Il tema della produzione di energia da fonti rinnovabili è di grande attualità, ma spesso alcune soluzioni sono in contrasto con i principi di tutela e di salvaguardia del paesaggio. Come raggiungere un equilibrio? «Le fonti rinnovabili sono ampiamente invasive. Programmare eolico e fotovoltaico con una forma ordinata nel dedalo del catasto agricolo fa spesso danni. Il numero degli impianti richiesto per un’effettiva politica energetica alternativa è poi esorbitante. Il tema è aperto, forse in attesa di un salto di qualità della tecnologia. In parallelo il cantiere dell’ambiente è difficilmente ricondotto ad essere anche un cantiere di paesaggio, ha degli immensi sprechi che andrebbero corretti. Si pensi solo a tutti i progetti di messa in sicurezza dei sistemi idrologici. Perché non pensare a dei parchi fortemente partecipati, riportare la gente con delle motivazioni nelle parti abbandonate del territorio, sempre più pericolose e sempre più brutte? La bellezza, diceva Dostoevsky, salverà il mondo». 63


Paolo Villa, presidente di Aiapp, l’associazione italiana di architettura del paesaggio

«La varietà dei paesaggi è la nostra ricchezza» Professionalità e competenze tecniche non mancano. Ma la committenza non è ancora preparata e investe poco. Paolo Villa, presidente dell’Associazione nazionale di architettura del paesaggio, fa il punto sullo stato dell’arte in Italia di Michela Evangelisti

L’Aiapp compie 60 anni e oggi rappresenta la terza generazione dei paesaggisti italiani. La prima, quella dei pionieri del Dopoguerra, ha tracciato le linee guida ma in sostanza, sostiene il presidente Paolo Villa, «ha predicato nel deserto». Solo con gli anni 80 si è cominciato a credere nel futuro della professione e a organizzarlo in modo compiuto. L’architettura del paesaggio è così uscita allo scoperto e ha spalancato tutti i canali che ancora oggi costituiscono le sue fonti di formazione, informazione e comunicazione. «Sono ormai alcuni anni che il paesaggismo è maturato completamente – prosegue Villa – e l’architetto del paesaggio non è più costretto a rivolgersi all’estero perché anche in Italia trova solide basi di riferimento». È appena uscito in libreria il volume Architettura del paesaggio in Italia, con i contributi di oltre 300 soci dell’associazione. Quale livello qualitativo ha raggiunto oggi il settore in Italia e quali sono i suoi tratti peculiari? 64

«Una delle ragioni per cui abbiamo scritto questo libro è stata quella di consentire al vasto pubblico di mettere a confronto una lunga serie di ottimi lavori eseguiti in Italia, valutati principalmente su tre fattori: progettazione, stato di manutenzione dell’opera e qualità delle immagini. Naturalmente sapevamo ci fossero molti lavori buoni, ma siamo rimasti sorpresi noi stessi dall’altissima adesione, per quantità e qualità, alla nostra richiesta di materiale. Il tratto peculiare delle nuove opere di paesaggio è l’estrema varietà delle realizzazioni. La suddivisione del volume in sei aree tematiche ha aiutato a ordinare il materiale, ma ha anche posto ulteriormente in evidenza la difficile attribuzione ai capitoli di alcune opere che avrebbero meritato titoli a parte. Questa ricchezza di applicazioni testimonia la ricerca dei professionisti e la crescente richiesta del mercato». Quali sono in Italia le nuove tendenze della progettazione del giardino pubblico nel paesaggio urbano? C&P


Foto Stefano Santambrogio

Foto Gianfranco Franchi

Foto Archivio CFU

TUTELA DEL PAESAGGIO | Paolo Villa

Sopra, in senso orario: progetto e foto di Stefano Santambrogio, lungolago Malgrate (Lecco); progetto e foto di Gianfranco Franchi, terrazza Petroni, lungofiume Serchio, Lucca; Boscoincittà, AA.VV, Milano, foto archivio Cfu

«Abbiamo finalmente opere complete sotto tutti i punti di vista e per il nostro Paese non è cosa scontata. Da noi molte realizzazioni sono ancora progettate da persone che hanno solo alcune delle competenze richieste per questo tipo di lavoro e producono opere che mostrano una specifica professionalità: il giardino dell’agronomo, il parco dell’architetto, il cortile dell’artista, e così via. La tendenza evidenziata anche dai progetti pubblicati nel nostro volume è la sapiente mescolanza di saperi, che è propria di una materia che attinge in svariati campi tecnici, culturali e sociali». Quanto si investe in Italia sul verde? «Non grosse cifre. I committenti, pubblici e privati, sono poco avvezzi a cifre con sei o sette zeri. Questo giustifica l’assenza di grandi opere monumentali. In passato spesso si è confusa la mancanza di committenza con la mancanza di professionalità. In questo scenario, è ovvio che la ricerca progettuale preferisca applicarsi su campi più colti, con maggiori attenzioni alle mille C&P

componenti, alle preesistenze, ai valori della tradizione. L’Italia mantiene per fortuna una grande differenziazione di paesaggi. Questa è la nostra ricchezza, che difendiamo con progettazioni attente e consapevoli». Come è possibile tessere, nella città moderna, un dialogo efficace tra paesaggio e tecnologie? «Bisogna purtroppo constatare come il paesaggio subisca quotidianamente ogni serie di interventi senza poter esercitare un rapporto paritario con gli elementi che gli vengono imposti. Ciò accade a causa di due gravi lacune che non tengono conto dei fattori estetici, sociali ed ecologici: la mancanza di una visione complessiva e gli interessi economici. Nel tempo, un posto bello ripaga sempre, più dell’energia distruttiva, più della speculazione cieca, più del piccolo risparmio immediato. In un bel paesaggio, che sia urbano, rurale o naturale, la gente vive bene e volentieri. Un benessere condiviso da tutta la popolazione a sua volta genera equilibrio e giustizia». 65


Il museo diffuso italiano, un patrimonio da valorizzare «La bellezza storica e artistica è pervasiva, entra in ogni piega del territorio». Come ricorda Antonio Paolucci, il paesaggio rappresenta per l’Italia un fattore identitario fondamentale. Per questo va difeso, ma con lungimiranza di Francesca Druidi 66

C&P


Foto © Musei Vaticani

TUTELA DEL PAESAGGIO | Antonio Paolucci

Antonio Paolucci, storico dell’arte e direttore dei Musei Vaticani

Il paesaggio per molto tempo è stato considerato un moltiplicatore del valore del patrimonio storicoartistico e architettonico italiano. «Negli stereotipi turistici che fanno risalire la loro matrice al tempo dei “grand tour” nel Settecento e nell’Ottocento – spiega Antonio Paolucci, storico dell’arte e attuale direttore dei Musei Vaticani – l’Italia era il “giardino d’Europa”, il Bel Paese, formule che ancora oggi utilizziamo. Per lo straniero che attraversava le Alpi, il nostro Paese rappresentava davvero la “camera con vista” aperta sul miracolo di arte, vita e natura, armoniosamente coniugate. Questo mito, che dura ancora in ambito turistico, è però saltato nei fatti». Paolucci ha, infatti, espresso più volte la sua preoccupazione circa lo stato in cui versa il paesaggio italiano. Quali sono oggi gli aspetti più critici? «Quelli che fanno riferimento all’assalto edilizio e al consumo forsennato del territorio, elementi che io e Salvatore Settis lamentiamo tutti i giorni. Faccio questo paragone terrificante: se facessimo uguale a 1 quanto è stato costruito nella penisola italiana tra il 500 a.c. sino alla metà del XX secolo, dai Templi di Agrigento all’Eur di Roma, quello che è stato costruito dal 1950 a oggi risulta nove volte quell’unità». Rileva qualche eccezione in questo panorama? «Il lato positivo in qualche zona d’Italia è rappresentato dalla sensibilità di alcune comunità C&P

locali e di alcuni paesi della Toscana e dell’Umbria. Per fortuna, una certa consapevolezza c’è, ma l’Italia è lunga e disomogenea. Ciò che risulta ancora accettabile nel governo del territorio in queste aree, lo è molto meno altrove». L’Italia nel 2011 ha festeggiato l’anniversario dei centocinquant’anni della sua Unità. Com’è cambiato da allora il rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive? «L’uomo italiano dalla metà del secolo scorso si è staccato dall’ambiente. Fino al 1950, l’Italia si presentava ancora come l’avevano conosciuta Stendhal e Chateaubriand poi, dopo la guerra, si è verificata la grande trasformazione: spostamenti dal Sud al Nord, dalla montagna alla pianura, dall’interno alla costa, hanno accompagnato la grande mutazione sociale ed economica del nostro Paese. C’è stato un oggettivo distacco tra l’ambiente tradizionale, rimasto immutato per secoli, e il popolo che l’abitava». Da qui ha iniziato a rompersi il dialogo armonico e rispettoso tra uomo e ambiente? «Sì, con il boom economico, la più grande rivoluzione che il nostro Paese abbia mai conosciuto nella sua storia due volte millenaria. Un evento grandioso dal punto di vista storico, liberatorio per molti aspetti, devastante per altri». Con la diffusione del concetto di sostenibilità, 67


Sotto, la Basilica dei Frari a Venezia; a destrea, la Chiesa di Santa Felicita a Firenze

Per vedere il Pontormo più bello, non si deve andare agli Uffizi, ma nella chiesa di Santa Felicita. Il Tiziano più bello si trova ai Frari, non all’Accademia di Venezia

rileva i segni di un’inversione di tendenza? «Da ciò che vedo durante i miei viaggi per l’Italia, sta crescendo una classe di giovani sindaci e assessori con una sensibilità ben diversa da quella che animava i loro predecessori 30-40 anni fa. Ciò è consolante, poi emergono le contraddizioni: bene la sostenibilità, bene le energie rinnovabili, non va più bene però quando si rovinano le venerabili montagne italiane con le pale eoliche. Sono interventi animati dalle migliori intenzioni, ma non tengono conto dell’identità del territorio». In Italia si può parlare di “museo diffuso”, che non conosce confini tra i musei, le chiese, i palazzi rispetto alle piazze e al paesaggio in generale. Come preservarlo in maniera più efficace? «Il carattere distintivo dell’Italia è proprio questo. Per vedere il Pontormo più bello del mondo, non si deve andare agli Uffizi, dove ci si aspetterebbe di trovarlo, ma nella chiesa di Santa Felicita a Firenze, a 300 metri dallo stesso museo. Il Tiziano più bello si trova nella Basilica dei Frari, non all’Accademia di Venezia. Per capire Crivelli e Lorenzo Lotto bisogna girare per le parrocchie della bergamasca e delle Marche. La bellezza storica e artistica è 68

pervasiva, entra in ogni piega del territorio, occupa ogni strada della città. Il museo da noi fuoriesce dai suoi confini, è dappertutto. Questa caratteristica ci rende unici e invidiati nel mondo. Questo richiede ai politici, agli urbanisti e agli architetti, sensibilità speciali, rare da trovare». Che tipo di valorizzazione dovrebbe essere attuata? «L’aspetto più importante è l’incivilimento. Il successo del made in Italy dipende dalla nostra artisticità, moltiplicatore formidabile dell’economia nostrana. L’Italia come paese del buon vivere, della bellezza diffusa e degli stili di vita gratificanti: questo è il nostro carattere specifico, e nessuno può competere con noi sotto questo profilo. Da un altro punto di vista, sarebbe però sbagliato tenere un approccio fondamentalista: la protezione, l’imbalsamazione, non è mai produttiva. Il paesaggio è qualcosa di vivo che deve essere abitato, che muta perché cambiano la vita, i costumi, la civiltà dell’uomo. La chiave è non cadere nel fondamentalismo imbalsamatorio preservando, al tempo stesso, le specificità dell’ambiente. Non è facile, ma è la porta stretta dalla quale dobbiamo inevitabilmente passare». C&P



Nuove dinamiche tra uomo e natura L’urgenza della bellezza come risposta al brutto che avanza e l’esigenza di non prevaricare più la natura sono, per il filosofo e docente Remo Bodei, le chiavi di lettura per interpretare al meglio il paesaggio contemporaneo e le sue evoluzioni di Francesca Druidi

È stata la natura la protagonista dell’undicesima edizione del Festivalfilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, la rassegna che dal 16 al 18 settembre ha dato l’opportunità a maestri del pensiero italiani e stranieri di confrontarsi sulle varie declinazioni contemporanee della natura, riflettendo sulla questione del rapporto tra natura e cultura e sul futuro del paesaggio. Tra gli autori delle lezioni magistrali, Remo Bodei, professore di Filosofia presso la University of California, nonché presidente del comitato scientifico del consorzio per il festival. Dal suo punto di vista, su quale aspetto del rapporto uomo-natura è più importante concentrarsi oggi? «Il rapporto che si deve istituire tra uomo e natura deve essere diverso da quello del passato declinato come uno sfruttamento che, da un lato, ha portato all’esaurimento di determinate risorse e, dall’altro, a un peggioramento sia del clima che del nostro modo di vivere. Senza sognare un ritorno all’Arcadia, bisognerebbe trovare nuove forme di approccio, di rapporto con le tecnologie, mantenendo il potere generativo della physis. Penso al “Blur Building”, chiamato anche la “Nuvola”, realizzato nel 2002 dagli architetti Diller e Scofidio sul lago di Neuchatel per la Swiss-Expo: l’installazione era provvista di ugelli che immettevano nell’aria acqua nebulizzata, nascondendo lo scheletro strutturale in una nuvola in continuo e dinamico mutamento, che cambiava al variare delle situazioni climatiche esterne (vento, umidità, temperatura). Un efficace esempio di integrazione tra aspetto naturale e artificiale. Oggi, con le biotecnologiche, si può intervenire sulla vita e grazie alle scoperte sul Dna si possono guarire alcune malattie genetiche. La forza della natura va dunque sempre 70

rispettata, intervenendo con tecnologie che non siano invasive e riuscendo a instaurare un tipo di atteggiamento non predatorio». Lei ha scritto Paesaggi sublimi. Gli uomini davanti alla natura selvaggia. Il rapporto tra l’uomo e la natura è stato completamente travolto dalla modernità. Con quale sentimento l’uomo si rapporta oggi nei confronti della natura? «Ciò che mi sembra nuovo negli ultimi tempi è la tendenza che vede riconoscere alla natura un ruolo C&P


Foto Baracchi - Campanini

TUTELA DEL PAESAGGIO | Remo Bodei

Remo Bodei. In apertura, in senso orario, panoramica di Napoli e del Vesuvio, il Blur Building progettato dagli architetti Diller e Scofidio, veduta di Toledo, Spagna

sentimento luttuoso si diffonde in Occidente alimentando l’idea che la natura sia una “mater dolorosa”, una madre a cui gli stessi figli hanno inferto violenza, attraverso gli effetti del riscaldamento globale, le piogge acide e tutte le possibili manifestazioni di inquinamento».

politico. Io mi sono occupato dell’uomo di fronte alla natura selvaggia, dove il sentimento del sublime si esprimeva di fronte ai deserti, all’alta montagna, agli oceani e ai vulcani, forze che sembravano dover umiliare l’uomo con la loro grandezza. Di fronte a queste potenze naturali, l’uomo sperimentava, da un lato, la paura e lo shock, dall’altro, l’orgoglio, trovando una propria salvezza. Oggi la differenza tra natura umanizzata e non umanizzata va affievolendosi. Inoltre, il sublime è già completamente esplorato, resta solo l’immensità dello spazio. In questo scenario, un C&P

In questi anni anche in Italia l’uomo ha spesso svilito, deturpato e mortificato il paesaggio. Se quest’ultimo racconta anche qualcosa di noi che lo guardiamo, dobbiamo pensare che l’animo dell’uomo contemporaneo non sia felice? «Non è felice perché, almeno in alcune parti del mondo, il paesaggio costituisce il frutto artificiale dell’intervento dell’uomo sulla natura. In Italia, il paesaggio contemporaneo è in molte zone connotato da una certa tristezza, dovuto all’eccesso di costruzioni sostanzialmente brutte e al fatto che la logica dell’interesse privato, l’indifferenza e la criminalità abbiano infine prevalso. Goethe definiva Napoli come la città perfetta nel mondo perché i quattro elementi - terra, acqua, aria e fuoco - vi si trovavano in armonica composizione. Oggi le pendici del Vesuvio pullulano di 700mila abitanti in costante pericolo. E, in generale, le periferie sono brutte, i piani regolatori non hanno funzionato. In Spagna, il nucleo storico di Toledo è stato mantenuto intatto e i quartieri periferici sono stati creati a distanza sulla base di una pianificazione. Il paesaggio contemporaneo dipende, quindi, anche da politiche appropriate. Infine, abbiamo l’idea che la bellezza sia un lusso, ma invece è una necessità: ci concilia e ci rende più facile il rapporto con il mondo. Il brutto è una ferita che disturba, favorendo la disarmonia dell’anima». 71




TUTELA DEL PAESAGGIO | Giuseppe Leone

Il fotografo Giuseppe Leone

La mia isola per immagini A Giuseppe Leone non interessano le cartoline. Nei suoi scatti troviamo la Sicilia più vera. Tra idilli bucolici, architetture rurali e ciminiere invadenti di Michela Evangelisti

Tutto è iniziato dal paesaggio. È stato il primo soggetto verso il quale ha rivolto il suo obiettivo, guidato dall’amore per la propria terra e anche dall’indignazione nel vederla progressivamente deturpata da una presenza umana sempre più forte, sempre più arrogante. Dall’interesse per il paesaggio ha preso le mosse l’attività di fotografo di Giuseppe Leone, per poi estendersi ad abbracciare l’umanità in tutte le sue manifestazioni, dai matrimoni al mondo infantile, dall’eros alle feste popolari, senza trascurare i ritratti degli autori che hanno arricchito la cultura della sua isola. «È un narratore della Sicilia, dei suoi monumenti, dei costumi e della vita tutta, per immagini fotografiche – scrive di lui Silvano 74

Nigro –. Come da viaggiatore incantato, forse l’ultimo in giro per l’isola. Un narratore che si è accompagnato a Sciascia, a Bufalino e a Consolo e ha rivelato alla letteratura la Sicilia più vera, quella degli uomini come quella della pietra vissuta e del paesaggio». Il suo viaggio è iniziato proprio dal paesaggio. «Sì, dai paesaggi del sud est della Sicilia, dell’antica contea di Modica, nel Ragusano, codificati e modificati a partire dal Cinquecento dall’enfiteusi, caratterizzati dalla contrapposizione tra architettura rurale e paesaggio fisico. Poi è proseguito seguendo diverse piste: quella del paesaggio idilliaco, nudo e intatto, quella del paesaggio appena frammezzato da case C&P


Campagna modicana, 1970


Gela, 1995


TUTELA DEL PAESAGGIO | Giuseppe Leone

Gela, anni 70

Alcuni intereventi sul paesaggio sono necessari alla sopravvivenza dell’uomo. Ma in Sicilia l’uomo è arrivato a danneggiarlo più di guerre e terremoti

rurali e giardini rustici, perfettamente integrati, e poi ancora quella del paesaggio deturpato, snaturato da una presenza umana arrogante». Un problema, quest’ultimo, che affligge profondamente la sua isola. «Alcuni intereventi sul paesaggio sono necessari alla sopravvivenza dell’uomo, è il caso ad esempio delle serre agricole, e hanno il loro fascino. Come diceva Gesualdo Bufalino, era bello il paesaggio così com’era, è bello ancora oggi. È vero, però, che in Sicilia l’uomo è arrivato ad aggredire il paesaggio danneggiandolo più di guerre e terremoti; si pensi soltanto ad alcuni tratti della nostra costa, ai poli del petrolchimico di Gela e Augusta. In alcuni scatti ho cercato di mettere in evidenza il contrasto, immortalando ad esempio un contadino sopra un carretto su uno sfondo ferocemente industrializzato». C&P

Quali sono le principali sfide da affrontare per un fotografo che si rivolge al paesaggio e qual è la cifra distintiva del suo approccio? «Le basi indispensabili sono una profonda padronanza della tecnica fotografica unita a una conoscenza approfondita del territorio. Di solito amo procedere con scatti veloci, senza fronzoli, dove l’elemento umano viene colto per esaltare l’essenza stessa della natura». Quali differenze ha trovato quando ha fotografato paesaggi al di fuori della sua Sicilia? «Ho scattato foto di paesaggio in Puglia, in Umbria, in Egitto, in Nord Africa, ma la Sicilia mi è più congeniale; la conosco bene, so quali sono le peculiarità che la rendono un piccolo continente. Altrove rischio di realizzare uno scatto da cartolina e non è questo che mi interessa». 77



ARCHITETTURE PER LO SPORT | Richard Burdett

Investire nel futuro L’architetto e urbanista inglese Richard Burdett illustra i principi alla base di un intervento come quello condotto per le Olimpiadi londinesi del 2012: «Il disegno resta fondamentale ma serve anche un approccio manageriale chiaro» di Riccardo Casini

«Non pensare a quel che succederà in quelle poche settimane, ma nei vent’anni successivi». È questa secondo Richard Burdett, professore di Urbanistica alla London School of Economics di Londra e supervisore dei progetti per i giochi olimpici del 2012, la lezione da tenere a mente quando si pianifica un intervento come quello condotto, per l’appunto, nel quartiere londinese di Stratford in vista dell’appuntamento del prossimo anno. «Nell’urbanistica – spiega Burdett – non ci sono misteri. L’opportunità di investire in eventi come le Olimpiadi può essere colta solamente se si ragiona in ottica futura. Abbastanza scontato, d’altra parte, visto che un processo di ristrutturazione urbana necessita sempre di diversi decenni per essere portato a compimento: per restare a Londra, si pensi alla rigenerazione dell’area dei docks che, avviata 30 anni fa, è ancora oggi a metà dell’iter».

L’architetto e urbanista Richard Burdett

A proposito di opportunità: Barcellona costituisce un esempio positivo di trasformazioni urbane indotte da un grande evento sportivo. Quali possibilità offrono invece le Olimpiadi per una città come Londra? Quali sono state le linee guida seguite per il suo masterplan? 79


«Modelli come quello di Barcellona restano rilevanti ancora oggi, e anche il masterplan di Londra ne ha indubbiamente seguito e sfruttato una serie di idee e principi. A livello strettamente urbanistico e di progettazione, però, gli elementi da tenere in considerazione sono sempre principalmente due: da una parte, appunto, l’eredità di questi luoghi, la cosiddetta legacy e, dall’altra, la continuità fisica e l’integrazione tra quel che viene realizzato per l’evento sportivo e il resto della città. Occorre in questo senso evitare di considerare il nuovo intervento come una cittadella difesa da mura, cosa che tra l’altro oggi può succedere facilmente vista l’attenzione riservata all’elemento sicurezza». Quali sono i rischi? «Il rischio è che si crei una struttura morfologicamente chiusa, una “gated community” in cui la chiusura sia non solo fisica ma anche a livello di attività: si pensi in questo senso ai quartieri dormitorio o a quelli esclusivamente commerciali. Oggi invece il modello diffuso in Europa, ma anche negli Stati Uniti, è quello di una multifunzionalità che arriva a interessare persino la sezione dei singoli edifici, con negozi al piano terra e appartamenti ai piani superiori». 80

Quale dev’essere allora la relazione tra contesto urbano e nuove strutture? «Credo che occorra tenere sempre a mente la distinzione che ha operato il sociologo Richard Sennett tra boundary e border, con quest’ultimo termine che indica un confine che può essere superato. Un esempio classico è quello del ghetto seicentesco di Venezia: ti rendi conto di esservi entrato solamente perché vedi le sinagoghe». Prima parlava di idee e principi sfruttati da altre esperienze. Barcellona a parte, vi sono alcune best practice in particolare che Londra ha seguito? «Premesso che è impossibile dare un giudizio oggettivo su ogni progetto, dal momento che ogni città ha un proprio dna spaziale e sociale, vi sono innanzitutto modelli da non seguire. Penso ad Atene, dove i Giochi del 2004 non hanno lasciato un esempio di successo in tema di integrazione urbana. Certo, si è colta l’occasione per investire seriamente in un sistema di trasporto efficiente, ma per il resto si è trattato di un grande spreco di risorse, con strutture di pregio letteralmente abbandonate dopo pochi anni. Anche se gli esempi più negativi sono stati forse quelli di Los Angeles e Atlanta: in particolare nel primo caso, dove ai C&P


ARCHITETTURE PER LO SPORT | Richard Burdett

A lato e in apertura, il cantiere olimpico nel quartiere londinese di Stratford. Sotto, uno scorcio dell’Anello olimpico di Barcellona, a Montjuic, con la torre delle telecomunicazioni di Santiago Calatrava

Giochi seguirono violenti scontri sociali tra comunità nera e forze dell’ordine. E non dev’essere certamente questa la legacy a cui facevo riferimento prima».

edifici e strutture, assicurandosi che la popolazione dei quartieri vicini, ad esempio scuole e giovani, possano usufruire dei relativi servizi sportivi».

Vi saranno anche esempi positivi. «Il villaggio olimpico creato in occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960 è uno di questi. Anche Tokyo ha fatto interventi intelligenti. Poi ovviamente c’è Barcellona, che dal punto di vista urbano ha creato modelli che oggi tutti provano a seguire. Una città enorme come Pechino, invece, necessitava di un’altra tipologia di intervento, e giustamente in quel caso sono state create grandi strutture e spazi per eventi. Non è questo, ad esempio, il caso di Londra, che certe strutture le ha già».

Roma è tra le candidate alle Olimpiadi del 2020. In caso venga scelta, quali saranno le principali difficoltà a intervenire in un contesto urbano di questo tipo? «Personalmente tenderei a parlare meno delle difficoltà concentrandomi invece sull’opportunità fantastica di risolvere una serie di problematiche che affligge la città, caratterizzata da una struttura urbana complessa. Penso ad esempio alle periferie, luoghi in cui si concentrano le difficoltà sociali: in questo senso i giochi olimpici consentirebbero di investirvi risorse ed energie. Non bisogna infatti considerare solamente la zona centrale e il suo splendore, ma occorre ragionare sull’espansione futura di una città che da 40 anni a questa parte ha visto susseguirsi nelle sue periferie interventi di scarsa qualità. Un altro elemento che terrei in considerazione poi è il fiume, un asset e una risorsa poco sfruttata: io stesso, nei vent’anni che ho trascorso a Roma, non ne ho mai goduto. E si tratterebbe di un’opportunità anche per i residenti, non solo per i turisti. Ecco, periferie e Tevere sarebbero già due buone basi da cui partire per un ipotetico masterplan».

Come è possibile però evitare che interi quartieri o infrastrutture vengano abbandonati o scarsamente utilizzati dopo le Olimpiadi? «Qui occorre superare l’elemento architettonico e urbanistico, anche se il disegno resta fondamentale, e concentrarsi invece su un approccio manageriale chiaro. Un esempio? Assegnare già prima dell’evento gli alloggi del villaggio olimpico ai futuri abitanti, come è stato fatto in parte a Londra, e decidere chi gestirà C&P

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L’architetto Gino Zavanella

Non chiamatelo stadio inglese L’architetto Gino Zavanella ci accompagna nel nuovo impianto di Torino, da poco inaugurato: «Abbiamo voluto creare un importante polo urbanistico sfruttabile dalla città 7 giorni su 7. E ora, Palermo e Roma» di Riccardo Casini

I più si sono soffermati sulla mancanza di barriere tra spalti e campo di gioco, un elemento effettivamente innovativo per il calcio italiano. Ma ridurre a questo la portata del cambiamento introdotto dal nuovo stadio di Torino e, nello specifico, della Juventus, sarebbe profondamente errato. L’impianto, inaugurato lo scorso 8 settembre e progettato dagli architetti Gino Zavanella dello studio Gau e Hernando Suarez dello studio Shesa, insieme all’ingegnere Massimo Majowecki, è infatti il primo in Italia di proprietà di un club: una svolta che ha comportato anche la realizzazione di una serie di spazi e servizi aggiuntivi all’area sportiva vera e propria, tra i quali vari negozi, ristoranti e un museo. Basti pensare che sui 355mila metri quadrati di superficie totale, 150mila sono dedicati ai servizi e 34mila alle aree commerciali, a cui si aggiungono altri 30mila metri quadrati di aree verdi e piazze. La struttura esterna, invece, composta da 7mila pannelli in Alucobond colorati in varie sfumature di grigio e bianco, oscillanti e riflettenti, è caratterizzata da due pennoni in acciaio alti 86 metri che sorreggono la copertura in pvc degli spalti e richiamano la vecchia struttura del “Delle Alpi”, sopra il quale il nuovo stadio sorge. «Mi occupo di impiantistica sportiva da oltre 20 anni – spiega l’architetto Gino Zavanella – e prima di questo 82

progetto ho visitato numerosi stadi in tutto il mondo. Per questo mi vengono i brividi se mi dicono che ci siamo ispirati al modello inglese: i loro impianti, tra l’altro, sono rivolti esclusivamente alle tifoserie, mentre questo parla alla città, prevedendo la possibilità di essere utilizzato 7 giorni su 7». È questo l’elemento maggiormente innovativo? «L’idea era quella di creare un importante polo urbanistico nel quale la giornata della partita fosse densa di attività, così come il resto della settimana. Ora la società dovrà studiare la gestione di questi spazi, sorti tra l’altro ristrutturando il vecchio impianto, del quale dopo la demolizione è stata mantenuta la parte inferiore». C&P


ARCHITETTURE PER LO SPORT | Gino Zavanella

La pelle che avvolge lo stadio, vibrante e cangiante in base all’illuminazione naturale, vuole essere segno di unione, pace e serenità Uno stadio che risorge dalle proprie ceneri può rappresentare una speranza anche per il calcio italiano. «Credo che negli ultimi anni questo sport non abbia dato un’immagine propriamente edificante di sé, anche se spesso a causa di pochi scalmanati. Il nostro tentativo è stato quello di realizzare un luogo accogliente, di incontro e di divertimento, insomma uno stadio anti-violenza. C&P

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In apertura, il campo da gioco del nuovo stadio di Torino e un particolare dell’esterno. Sopra, una visuale dall’alto. Nell’ultima pagina, un ingresso dello stadio

In questo senso la pelle che lo avvolge, vibrante e cangiante in base all’illuminazione naturale, vuole essere segno di unione, pace e serenità. Ma lo stadio vuole anche tendere la mano alla città e integrarvisi». È anche questa allora la funzione dell’architettura? «L’architettura è sicuramente un linguaggio. Ma non deve parlare solo a pochi intellettualoidi. Uno stadio in particolare, deve entrare nella memoria collettiva nel modo più semplice possibile. Per questo abbiamo pensato a elementi che dessero immediatamente l’idea che si tratti di uno stadio». 84

Ma l’Italia è pronta per un cambiamento di tale portata? «Questo progetto rappresenta un punto di partenza importante per un paese dove il panorama generale degli stadi è decisamente obsoleto. Torino, insomma, deve fare da apripista. A breve ci sarà una sicura accelerazione sull’impianto di Palermo, voluto fortemente dal presidente Zamparini. E anche a Roma la situazione potrebbe sbloccarsi con l’avvento della nuova società. Nel frattempo stiamo lavorando a uno stadio a Mossul, in Iraq, voluto dallo stesso governo che sta puntando su queste strutture per superare i problemi e le divisioni tribali che attualmente affliggono quel paese: anche in questo caso lo stadio potrà rappresentare un luogo e un momento di incontro pacifico». C&P


ARCHITETTURE PER LO SPORT | Gino Zavanella

L’architettura è un linguaggio, ma non deve parlare a pochi intellettualoidi. Uno stadio, in particolare, deve entrare nella memoria collettiva nel modo più semplice possibile

Prima parlava di un punto di partenza. Vi sono elementi che ritiene migliorabili? «Quella di Torino è stata un’esperienza fantastica, svolta con un’equipe di altissima qualità. Ma ogni progetto è la base per quello successivo, e in questo senso vi sono alcuni aspetti che andranno rivisti, piccoli aggiustamenti che si renderanno necessari nei prossimi lavori: penso in particolare a passi avanti in termini di accoglienza e confort». Quali sfide comporta, in particolare, il progetto di Palermo? «Il contesto cambia radicalmente. Lo stadio di Palermo, in particolare, dovrebbe essere realizzato nel quartiere Zen, noto per alcune problematiche C&P

sociali: in quel caso il progetto prevede una struttura trasparente, che rispecchi appunto la città, e aperta anche fisicamente, con l’utilizzo di piccoli accorgimenti tecnologici. Rispetto allo stadio di Torino sono diversi i raccordi tra le tribune. Inoltre, gli angoli sono arrotondati e ospitano saloni che si affacciano sul campo: abbiamo voluto esaltare questi punti visivamente importanti, dai quali si gode una bella prospettiva del terreno di gioco. Ma abbiamo pensato attentamente anche a un sistema di controllo del ricircolo dell’aria, dal momento che a Palermo la temperatura è differente rispetto a Torino. D’altra parte la tecnologia fa continui passi avanti e noi dobbiamo cercare di applicarla». 85


Il nuovo prato della Vecchia Signora La squadra torinese è una delle poche, dalla stagione 2011-2012, a disputare le partite in casa in uno stadio di proprietà. Una società italiana ha fornito il prato erboso precoltivato sul quale giocherà la Juventus. La parola a Arnold Weis di Valerio Germanico

Lo scorso 8 settembre è stato inaugurato il nuovo stadio della Juventus, uno dei pochissimi, in Italia, di proprietà della società calcistica. Una delle ultime operazioni importanti è stata la messa in posa del manto erboso sul quale verranno disputate le partite dei bianconeri. La società che ha fornito il prato è una consociata di Manna Italia che distribuisce in esclusiva per l’Italia prodotti per l’ortoflorovivaismo provenienti dal Nord Europa. La parola a Arnold Weis, titolare di Manna Italia, che 86

spiega come funziona la produzione dei prati erbosi precoltivati – destinati anche agli impianti sportivi – e qual è il mondo che ruota attorno a questo tipo di attività imprenditoriale. «I grandi stadi italiani hanno bisogno di frequenti sostituzioni del manto erboso e, soprattutto, che questa operazione sia eseguita nel più breve tempo possibile e con la migliore resa. Poiché la semina del campo non garantirebbe in tempi brevi un manto uniforme, la soluzione che si adotta è quella C&P


IMPIANTI SPORTIVI | Arnold Weis

Sotto e a fianco, lo stadio della Juventus di Torino; nella pagina a fianco, in basso, Arnold Weis, titolare di Manna Italia Srl, Andriano (BZ) www.manna.it www.arenaprati.it

buona riuscita dello stesso». Quali sono le aree operative della vostra azienda? «La nostra attività è divisa fra la distribuzione di prodotti per l’orto per ortoflorovivaismo, come concimi, semi da prato, substrati, terricci e torbe; di macchinari, sempre destinati a questo settore; la produzione e distribuzione di prato precoltivano in zolle è destinata anche ai giardini e alle proprietà private. Le nostre zolle sono coltivate da una nostra consociata, l’Arena Prati di Verona».

della rizollatura con prato a rotolo. Si tratta di grandi distese di prato coltivato altrove che poi viene “raccolto” con speciali macchine, ridotto in rotoli e pronto per essere steso sul campo». In che modo si è svolta l’operazione di “rizollatura” per il nuovo stadio torinese? «Sono stati usati dei maxirotoli di prato di 2,20 m di larghezza per 15 di lunghezza – ognuno dei rotoli pesava circa una tonnellata –. Sono stati stesi durante tre notti, il risultato è stato un campo dal verde particolarmente brillante. Il lavoro si è svolto di notte per evitare che il caldo estivo pregiudicasse la C&P

Da dove provengono gli altri prodotti che distribuite? «Molti dei nostri prodotti li importiamo dalla Germania. Altri, come le torbe, li riceviamo dai maggiori produttori dei Paesi Baltici e dell’estremo Nord Europa. Per questi marchi siamo, in Italia, i distributori esclusivi. Per quanto riguarda i macchinari, invece, distribuiamo quelli prodotti dalla tedesca Mayer. Si tratta di applicazioni e macchine per l’automazione aziendale del settore ortoflorovivaismo, come le invasatrici, quelle per la preparazione dei substrati e le macchine speciali per la movimentazione del vivaio». A quali settori si rivolge il vostro servizio, al di là della vendita di prato precoltivato per le superfici sportive? «Il nostro interlocutore principale è il professionista, il giardiniere, che è poi solitamente la persona che fa materialmente il lavoro. Ovviamente, per la stesura dei campi sportivi si utilizza una tecnica particolare e personale specializzato. Quindi i nostri partner principali sono singoli operatori del settore, vivaisti o anche imprese che operano, oltre che in Italia, pure all’estero». 87


IMPIANTI SPORTIVI | Luigi Canonica

Fulvio Muscillo, fondatore della Fm Impianti di Cusano Milanino (MI). Accanto, l’Arena di Milano, a cui l’azienda ha lavorato fmimpiantisrl@alice.it

Una struttura neoclassica I recenti interventi nell’Arena Civica “Gianni Brera” di Milano per l’ammodernamento degli impianti elettrici. Fulvio Muscillo ripercorre le tappe fondamentali della costruzione della struttura di Luigi Canonica, progettata agli inizi dell’Ottocento e ispirata all’anfiteatro romano d’epoca imperiale di Manlio Teodoro

L’Arena Civica di Milano, il cui nome completo è oggi Arena Civica “Gianni Brera” – in seguito all’intitolazione, nel 2002, al celebre giornalista sportivo – fu progettata dall’architetto neoclassico Luigi Canonica, che si ispirò, disegnandola, al circo di Massenzio. Inaugurata nell’agosto del 1807 come impianto sportivo polifunzionale, tuttora è uno dei più importanti monumenti del capoluogo lombardo, tanto da avere ospitato anche eventi differenti da quelli esclusivamente sportivi. La struttura, ai margini del Parco Sempione, richiamandosi alla tradizione romana imperiale, ha la forma antica dell’antiteatro. «La struttura si rifà alla forma classica del tempio greco – osserva Fulvio Muscillo –. I due pilastri quadrangolari ai margini della facciata, nella scelta di Canonica ospitano però otto colonne, anziché le due tradizionali. Questa scelta ha aumentato l’effetto di ampiezza della realizzazione complessiva». Tale idea dell’architetto rispondeva probabilmente alla necessità di accogliere all’interno dell’arena un elevato numero di persone – fino a 30 mila spettatori –, che una struttura maggiormente sviluppata in lunghezza non avrebbe 88

potuto contenere. «Nei lavori confluirono materiali eterogenei, come parti lapidee delle demolite fortificazioni spagnole del castello Sforzesco e resti del castello di Trezzo sull’Adda. Di recente abbiamo eseguito importanti lavori presso l’Arena, in particolare sugli impianti elettrici. Oltre a questo intervento, Fm Impianti ha eseguito la manutenzione e la realizzazione di impianti di cabine di trasformazione da media a bassa tensione a Palazzo Marino e alla Ragioneria del Comune di Milano». La società, fondata da Fulvio Muscillo, specializzata nella messa in opera di impianti elettrici civili e industriali, opera prevalentemente sul territorio lombardo. «Lavoriamo soprattutto per gli enti pubblici partecipando agli appalti. Questo, nella fase attuale, è un mercato più solido rispetto a quello privato, che si trova in una situazione di profonda crisi. La nostra è una scelta meditata, ma anche obbligata, poiché da alcuni anni il settore privato richiede pochissimi interventi. L’aggiudicazione di un appalto di una certa importanza, invece, garantisce una continuità produttiva che può arrivare anche a durare anni». C&P



Il cardo e il decumano al centro del mondo Una struttura portante di antica memoria e un’idea di fondo: quella di mettere al centro dell’attenzione non il design e gli edifici ma il contenuto tematico dell’evento. Le riflessioni di Jacques Herzog sul masterplan per l’Expo 2015 di Michela Evangelisti

Progettato come espressione del tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la vita” il sito espositivo per l’Expo 2015, un’isola circondata da un canale d’acqua che sorgerà su 110 ettari di terreno a pochi chilometri dal centro di Milano, è stato disegnato da grandi progettisti e giovani neolaureati, con il supporto di professionisti di fama internazionale, come l’architetto svizzero Jacques Herzog, cofondatore insieme a Pierre de Meuron dello studio Herzog & de Meuron. Il sistema del cardo e decumano è la scelta dei due architetti per la struttura portante del masterplan. «Questo reticolo ortogonale ci difende da trappole eccentriche, apre molte possibilità di integrazione tra padiglioni e giardini e lascia partecipare tutte le nazioni in maniera ugualmente importante lungo l’asse principale, coincidente appunto con il decumano» spiega Herzog. Su questo ampio viale, ribattezzato World Avenue, «un luogo per eventi, dove la gente si potrà incontrare, che rappresenterà simbolicamente un tavolo planetario al quale si siederanno tutte le 90

nazioni», i Paesi saranno chiamati a esprimere la propria interpretazione del tema scelto per l’Expo. «La nostra ambizione è proprio quella di mettere in primo piano il contenuto “cibo/pianeta terra”, e non il design e gli edifici. Questa è la vera sfida e non siamo certi di riuscire ad avere successo – precisa l’architetto svizzero –. Dall’inizio del diciannovesimo secolo a oggi, le esposizioni mondiali sono state spettacoli di vanità dell’orgoglio nazionale. Vedremo se le nazioni partecipanti saranno d’accordo nel rinunciare a queste rappresentazioni di sé puramente commerciali ed egocentriche, come si è potuto vedere anche a Shanghai». L’idea di fondo di Herzog & de Meuron è quella di offrire degli elementi standard alle varie nazioni in modo che i padiglioni si differenzino più attraverso il loro programma che per il loro design. «Non siamo ancora in grado di dire come questi componenti funzioneranno, quanto sono sostenibili, e come eventualmente potranno essere riutilizzati dopo l’Expo – prosegue –. Ci siamo impegnati a continuare a C&P


SPAZI ESPOSITIVI | Jacques Herzog

Foto di Todd Eberle

Nella pagina a fianco, Canal view, Expo Milan 2015; in alto, Boulevard view, Expo Milan 2015. (Courtesy of Herzog & de Meuron) A fianco, Jacques Herzog e Pierre de Meuron

C&P

incoraggiare tale processo fin quando sentiremo che questo approccio radicale è sostenuto anche dall’organizzazione dell’Expo e dalla politica italiana, locale e nazionale». Lungo il Cardo si svilupperà invece l’area assegnata all’Italia, che vedrà esposta la straordinaria ricchezza del made in Italy in tema di alimentazione. Il punto di unione dei due assi, una grande piazza di oltre 4.000 mq, rappresenterà il luogo in cui il mondo e l’Italia simbolicamente si incontreranno. Ma il sito non sarà una realtà isolata: la Via d’Acqua, che collegherà il Parco agricolo Sud con il Parco delle Groane, darà continuità ai parchi della cintura ovest milanese, riqualificherà i Navigli e la darsena e rilancerà il sistema delle cascine, mentre la Via di Terra porterà l’Esposizione all’interno della città di Milano, accompagnando gli ospiti alla scoperta del tessuto urbano. 91




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L’architetto Tommaso Valle, fondatore dello Studio Valle progettazioni

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Nuove forme e funzioni ibride per uno spazio espositivo moderno Secondo l’architetto Tommaso Valle, autore del progetto della Nuova Fiera di Roma, «un’architettura di grande scala non può non riflettere sul ruolo attuale dell’immagine. Ma l’astrattismo della forma non dovrebbe essere oggetto di pura propaganda mediatica» di Riccardo Casini

Sorta cinque anni fa in un’area limitrofa all’aeroporto “Leonardo da Vinci” da un progetto dell’architetto Tommaso Valle, fondatore dello Studio Valle progettazioni, la Fiera di Roma presenta elementi ancora oggi di indubbio interesse. Da una parte «l’assetto planimetrico e le soluzioni architettoniche – spiega Valle – sono improntate all’immediata riconoscibilità dei singoli elementi, indispensabile al facile orientamento del pubblico». Poi «il camminamento in quota, spina portante del sistema» porta la circolazione pedonale a essere «completamente svincolata, in occasione degli eventi fieristici, dai traffici veicolari di servizio, distribuiti a livello del terreno». E la stessa passerella pedonale «è coperta da una complessa e innovativa tensostruttura, elemento caratterizzante l’immagine architettonica». Infine, «la scelta cromatica degli elementi strutturali e di rivestimento costituenti i padiglioni, la passerella e il centro direzionale è stata condizionata tanto dall’intenzione di minimizzare l’impatto delle volumetrie quanto dalla volontà di esaltare le soluzioni strutturali attraverso il contrasto cromatico tra ombre portate e superfici riceventi». 94

Le strutture espositive e fieristiche sono però a volte considerate come semplici “contenitori”. Qual è il principale compito dell’architettura nella loro progettazione? «Queste strutture appartengono a tipologie architettoniche ormai consolidate, del tutto riconducibili alla storia contemporanea. È quasi spontaneo il raffronto con l’architettura delle Expo, concepite a partire dal XIX secolo come slogan temporanei della grandiosità e potenzialità delle ultime conquiste tecnologiche, tradotte in soluzioni estetiche d’avanguardia. Già in questi casi il ruolo del contenitore, ben lontano dall’essere “semplice”, aveva oscurato il proprio “contenuto”. Fiere e spazi espositivi sono tipologie che surrogano il concetto di atemporalità con la continuità dell’opera, conservando tuttavia il ruolo propagandistico e, oggi, mediatico, dell’immagine architettonica. In questo senso, ben si comprende come il ruolo dell’architettura deve necessariamente rimodulare l’astrattismo e avanguardismo dell’immagine agli aspetti tecnologici e funzionali, tutte componenti in costante e rapida evoluzione». C&P


Foto di Andrea Jemolo

SPAZI ESPOSITIVI | Tommaso Valle

Sopra, alcune immagini della Fiera di Roma e delle sue passerelle pedonali

Qual è invece il ruolo della fiera oggi? Da quale idea è partito per la realizzazione della Fiera di Roma? «Gli spazi fieristici ed espositivi sono tipologie architettoniche non riconducibili a una scala locale, ma a un ambito territoriale. E un’architettura di “grande scala” non può esimersi dal riflettere sull’importanza C&P

che la società contemporanea attribuisce al ruolo dell’immagine. Ecco, immagine e fattore di scala attribuiscono a questa categoria funzionale il ruolo di nodo di convergenza del territorio, da concepire necessariamente in termini di versatilità. Il progetto fiera, infatti, deve prestarsi alla riconfigurazione di un’offerta di spazi e funzioni in rapporto alle differenti esigenze e, al tempo stesso, integrarsi ad attività extrafieristiche che ne accrescano i margini di fruizione. 95


Foto di Andrea Jemolo

Nello specifico, il progetto della Fiera di Roma nasce proprio da un’esigenza di mediazione tra rappresentatività dell’immagine, flessibilità, adattabilità e integrazione funzionale degli spazi, oltre che manutenibilità delle componenti tecnologiche». Le esigenze della committenza hanno costituito un ostacolo o piuttosto una sfida? «Le specifiche richieste della committenza erano orientate a favorire la massima flessibilità d’uso degli spazi espositivi, l’efficienza gestionale dell’attività fieristica e la semplificazione in termini di manutenzione. Le limitazioni hanno interessato le risorse a disposizione e la ristrettezza dei termini di realizzazione, comportando un ricorso esteso 96

alla prefabbricazione degli elementi strutturali e architettonici. Ritengo però che le esigenze della committenza in questo contesto abbiano costituito un fattore di sfida per noi progettisti, vincolati alla formulazione di soluzioni che rispondessero simultaneamente a economicità e rapidità realizzativa». Nel 2007 avete celebrato i 50 anni dello studio. In che modo si è evoluta in questi anni la concezione del rapporto tra architettura e ambienti espositivi? «Molto è cambiato in termini di materiali, tecnologie e tipologie. E il rapporto tra architettura e spazi espositivi non ne è rimasto immune. Le potenzialità implicite nei nuovi materiali e tecnologie hanno C&P


SPAZI ESPOSITIVI | Tommaso Valle

Foto di Andrea Jemolo

Nella pagina precedente, l’interno di un padiglione della Fiera di Roma. Sopra, una vista aerea del complesso fieristico e, a lato, il centro direzionale

attribuito alla struttura un ruolo di primario strumento di creazione di spazio e forma, quindi non più semplice appendice dell’architettura, ma essa stessa creatrice dello spazio architettonico. Un aspetto altrettanto fondamentale riguarda, per lo specifico tema, la trasformazione del concetto stesso di tipologia. È oggi sempre più inusuale pensare a una tipologia di scala territoriale in termini monofunzionali. La sostenibilità delle operazioni economiche di scala vasta necessita dell’ibridazione funzionale, ovvero dell’utilizzo di tipologie miste che sappiano differenziare l’offerta e soddisfare in maniera diversificata la domanda del territorio. Quindi, configurare e riconfigurare domanda e offerta è diventata necessità e C&P

Fiere e spazi espositivi sono tipologie che surrogano il concetto di a-temporalità con la continuità dell’opera

prerogativa di queste tipologie edilizie». Lei si è definito un architetto “anti star system”. Che cosa la spinge a voler restare fuori da quell’ambito? «Ritengo che il ruolo dell’architettura non si esaurisca nell’estremizzazione dell’audacia dell’immagine architettonica. L’astrattismo della forma dovrebbe essere costantemente rapportato alla concretizzazione di obiettivi e contenuti, e non essere oggetto di pura propaganda mediatica. Nel mio caso poi, per sostenere ricerca e sperimentazione, è stato necessario scontrarsi con la committenza, con l’opinione pubblica, con le imprese. Per questo considero più calzante la definizione di architetto combattente». 97




Tecnologia e progettazione Con un sistema composto da macchine a controllo numerico e software 3D, unito a capacità artigianali, nascono allestimenti e pezzi unici di complessa realizzazione. L’esperienza di Pasquale Perilla di Emanuela Caruso

Eventi con scenografie formate da mock-up, ovvero realizzazioni di prodotti piccoli in scala grande, che trasformano un normale Blackberry in un telefono di 2 metri d’altezza o che permettono di creare cupole alte 10 metri e lunghe 26. Negozi originali, innovativi e particolari nelle zone più belle di New York. Esposizioni dal carattere ricercato e raffinato a Dubai. Questo è il modo concreto con cui la società Artelegno esprime la propria creatività e competenza. «La nostra azienda – spiega Pasquale Perilla, titolare dell’impresa insieme al figlio Daniele – nasce trent’anni fa nel settore dell’arredamento. Ben presto, però, i nostri interessi si sono allargati, così come l’attività, e oggi ci occupiamo di scenografie e stand, di negozi e showroom, e di elementi di arredo». Pasquale Perilla, titolare della Artelegno di Cernusco (Mi), insieme al figlio Daniele. Nelle altre immagini foto e render di alcuni progetti realizzati da Artelegno www.artelegno.it

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Da chi è formato il vostro target di riferimento e che servizio gli proponete? «I nostri principali clienti sono gli studi di C&P


ALLESTIMENTI | Pasquale Perilla

Artelegno si occupa tanto della realizzazione di allestimenti quanto della progettazione di oggetti di arredo da proporre al mercato internazionale

architettura e tutte le aziende che hanno bisogno di esporre i propri prodotti o di trovare materiale espositivo di qualità. A ognuna di queste imprese forniamo un servizio completo, poiché Artelegno dispone al proprio interno di tutti i reparti produttivi. Possiamo seguire le fasi di lavoro di carpenteria, falegnameria, verniciatura, grafica, impiantistica ed elettronica. Inoltre provvediamo alla lavorazione di materiali innovativi e al noleggio di elementi per gli allestimenti. Essendo anche dotati di mezzi nostri, ci occupiamo in prima persona del trasporto dei materali, che sia in Italia o all’estero». Il reparto di progettazione è sicuramente uno dei più importanti per la vostra attività. Di cosa si occupa nello specifico? «La maggior parte delle volte i clienti che si rivolgono ad Artelegno hanno progetti già studiati e quindi noi realizziamo quello che ci viene chiesto. Ma quando invece alcuni utenti chiedono all’azienda di occuparsi in modo diretto dell’ideazione del progetto, ecco che il reparto di progettazione entra in opera. Il vero punto di forza, però, di questo reparto sta nel fatto che, insieme al centro design C&P

coordinato da Davide Marchi, sviluppa tutta la parte creativa, disegna oggetti di arredo e design, che poi la società prototipa pronti per essere immessi sul mercato. In definitiva, il reparto di progettazione è quello che meglio identifica i due ambiti operativi di Artelegno: l’ambito di realizzazione di allestimenti espositivi e quello di prototipazione di elementi da arredo da commercializzare». Come mai avete scelto di adottare anche un sistema di progettazione in 3D? «I problemi più frequenti che incontrano gli architetti dopo aver ideato un progetto sono quelli relativi ai prototipi: loro infatti non sono in grado di realizzarli. Avendo sviluppato questo sistema composto da macchine automatiche a controllo numerico con software che lavorano in tre dimensioni, non solo abbiamo la capacità di creare per gli architetti prototipi di singoli pezzi così come di interi allestimenti, ma riusciamo a migliorare il processo di comunicazione e comprensione tra il nostro staff e il cliente. Infatti vedendo esattamente ciò che sta per essere prodotto, si possono modificare le parti più deboli del progetto, apportare migliorie e soddisfare in pieno le richieste». 101


Allestimenti certificati Showroom, negozi , GD e GDO, allestimenti di scenografie per eventi, mostre e fiere. Giovanni Vita presenta le anime produttive dell’attività svolta in tutto il mondo dall’azienda cosmopolita Tecnolegno Allestimenti di Emanuela Caruso

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Il mercato è una realtà in cui poco è prevedibile e programmabile e allo stesso modo lo sono le dinamiche di collaborazione, relazione e interessamento che si instaurano tra le varie aziende. Ci sono imprese che, all’inizio della propria avventura, si posizionano in un determinato settore produttivo, e poi, notate per la qualità dei prodotti e dei servizi offerti, vengono coinvolte in ambiti diversi dal loro core business, affrontando le nuove sfide con successo. Questa è la situazione che ha visto la Tecnolegno Allestimenti sita a Cormano, in provincia di Milano, trasformarsi da fornitore a partner per aziende dei più svariati settori merceologici con la necessità di prodotti di qualità per la presenza dei propri marchi in manifestazioni fieristiche, sedi di rappresentanza, showroom , negozi e scenografie per eventi in genere. «Quando la nostra impresa è stata fondata – racconta Giovanni Vita, amministratore della Tecnolegno Allestimenti – l’attività principale era la realizzazione di arredamenti per la grande distribuzione. Ma a un certo punto – continua Vita - hanno iniziato a contattarci alcuni architetti, che avendo visto e apprezzato la qualità delle nostre C&P


ALLESTIMENTI | Giovanni Vita

L’intero processo produttivo dell’azienda si organizza per aree tematiche specifiche: arredi per GDO e negozi, showroom, allestimenti per musei , scenografie per eventi e allestimenti fieristici

Nelle immagini alcune realizzazioni effettuate dalla Tecnolegno Allestimenti di Cormano (Mi) www.tecnolegno.it

realizzazioni ci hanno commissionato la creazione di allestimenti per showroom e boutiques. A breve ci siamo ritrovati anche ad allestire scenografie per mostre museali o itineranti, per eventi di presentazione prodotti e servizi di aziende dei più disparati settori merceologici e infine ad allestire aree per manifestazioni fieristiche in Italia e all’estero». La Tecnolegno Allestimenti è quindi cresciuta grazie alla qualità e al successo riscosso dai suoi lavori. «La nostra attività si è collocata da subito in una fascia di mercato medio-alta, e grazie ad un’offerta completa e a un servizio puntuale siamo riusciti a portare la nostra professionalità anche all’estero per illustri marchi del panorama industriale italiano». L’Azienda, che al suo interno si struttura in ufficio tecnico, stabilimenti produttivi e depositi, si caratterizza per la grande capacità di ingegnerizzare i progetti che gli oramai numerosi studi di architettura sottopongono loro spontaneamente o realizzano su incarico della stessa Teconlegno allestimenti per conto del cliente/espositore finale. Un rapporto biunivoco, insomma tra gli studi di architettura e l’Azienda di Cormano. C&P

«La Tecnolegno Allestimenti – continua Giovanni Vita - si propone come partner del proprio interlocutore, per ottimizzare la realizzazione dei vari elementi di design siano essi allestimenti fieristici o arredamenti. Il nostro personale specializzato collabora in sinergia con i progettisti per la scelta dei materiali e delle soluzioni costruttive che meglio soddisfino l’auspicato risultato finale». L’intero processo produttivo dell’Azienda si organizza per aree tematiche specifiche: arredi per GDO e negozi, showroom, allestimenti per musei, scenografie per eventi e allestimenti fieristici ed è sottoposto a controlli di sistema rigidi e puntuali tanto da aver permesso alla società di ottenere facilmente sia la certificazione Iso 9001 sia la più rara e ambita certificazione Soa. «Uno dei punti di forza della Tecnolegno Allestimenti – dice Giovanni Vita con una punta di orgoglio - risiede sicuramente nella capacità di offrire al cliente/partner un servizio a 360°, “chiavi in mano”, tanto a livello di realizzazione quanto a livello di logistica. Un’organizzazione efficiente e capillare ci permette, inoltre, di gestire contemporaneamente numerosi cantieri in Italia ed estero». 103


Uno dei punti di forza della Tecnolegno Allestimenti risiede sicuramente nella capacità di offrire al cliente/partner un servizio a 360°, “chiavi in mano”, tanto a livello di realizzazione quanto a livello di logistica

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Le fasi di lavoro previste per un allestimento sono molte e vanno tutte studiate e pensate ponendo grande attenzione a ogni minimo dettaglio. «Quando in Azienda arriva un nuovo progetto, la prima cosa che ci preoccupiamo di fare è organizzare una tavola rotonda con il nostro personale tecnico.- descrive Giovanni VitaÈ durante questa fase che viene assegnato alla commessa il Responsabile della Commessa più idoneo a svolgere il lavoro. Abbiamo, infatti, tecnici specializzati per ogni settore merceologico – Vita specifica - che andiamo ad affrontare: la persona che si occupa delle fiere non può essere di certo la stessa che va a ingegnerizzare arredamenti per i negozi. La fase successiva è quella che prevede lo studio delle tempistiche e la ricerca dei materiali in linea con il progetto da realizzare. I nostri tecnici collaborano in totale sinergia con i progettisti esterni, gli architetti fino ad arrivare alla definizione realizzativa dell’idea che soddisfi appieno il committente. Si procede, infine, con la realizzazione vera e propria, che passa dalla campionatura del prodotto alla creazione di prototipi, fino ad arrivare a eventuali pre-montaggi e modifiche in corso d’opera grazie alla grande elasticità e flessibilità della nostra struttura. Ultimo passaggio del processo è certificare tutto ciò che si è prodotto e garantire una piena assistenza anche post installazione». C&P



ALLESTIMENTI | Ivana Bonaita

Allestimenti architettonici Creatività che si fonde con la praticità. Sperimentazione architettonica unita a capacità imprenditoriale. Con Ivana Bonaita parliamo del mondo degli allestimenti fieristici di Marco Tedeschi

Due esempi di allestimenti fieristici realizzati dalla Nuova Rossini Allestimenti di Segrate (MI) info@nuovarossini.it

Quando si osserva un allestimento fieristico spesso non ci si rende conto del lavoro che fa da cornice al risultato finale. Eppure, dietro, c’è una collaborazione continua tra mondo imprenditoriale e progetto architettonico che devono cooperare per far sì che tutto funzioni alla perfezione. Senza lasciare da parte la creatività. In questo campo la Nuova Rossini Allestimenti di Segrate vanta un’ottima esperienza nella realizzazione e progettazione di allestimenti fieristici, mostre e congressi. Sia su territorio italiano che estero. Un settore, quello della Nuova Rossini Allestimenti, che guarda alla praticità ma che non mette in secondo piano la creatività. «La praticità e la realizzazione vengono valutate in particolare dai nostri tecnici interni», racconta Ivana Bonaita, titolare della Nuova Rossini Allestimenti. «Per quanto riguarda invece la creatività, è tutta in mano agli architetti con cui collaboriamo. Non sempre poi è così semplice far combaciare e legare le due cose, in quanto chi crea vuole vedere realizzata la sua idea. Chi però deve far stare in piedi una struttura alta 6 metri deve valutarne la fattibilità. Per questo dobbiamo sempre riuscire a far stare insieme la qualità della 106

realizzazione con il costo finale. In base alle esigenze dei nostri committenti vengono fatte differenti proposte. Quella scelta, vedrà poi la sua realizzazione nel risultato finale in fiera». Per l’esecuzione degli allestimenti si parte sempre da una collaborazione. «Il committente espone ai nostri architetti l’immagine che vorrebbe vedere realizzata nell’allestimento. Questa vedrà poi la luce partendo proprio dalla presentazione e, soprattutto, dal prodotto che in quella fiera si vuole esporre e quindi valorizzare». In un settore competitivo come quello degli allestimenti fieristici, la qualità, l’assistenza, la cura nella realizzazione dei particolari e il rispetto delle norme diventano di fondamentale importanza per diventare un punto di riferimento. «Le ditte allestitrici sono tante. Per questo la qualità con cui vengono costruiti gli allestimenti, l’assistenza in fiera e la realizzazione dello stand curando tutti i particolari contano. Il metodo di lavoro da cui si creano gli allestimenti è anch’esso basilare. Le costruzioni vengono realizzate seguendo gli standard di sicurezza e tutti gli stand sono garantiti con prodotti ignifughi». C&P





Kim Herforth Nielsen, responsabile del progetto del nuovo Museo di Liverpool. Sotto e nelle pagine successive, alcuni ambienti del museo

Liverpool e il nuovo museo, uno spazio moderno e vivace Tra il Mersey waterfront e l’area storica delle “Tre Grazie”, Kim Herforth Nielsen non ha voluto sfidare le “altezze” monumentali del lungofiume ma inserire un moderno interlocutore di architettura olistica. Aprendo i battenti del nuovo Museo di Liverpool di Adriana Zuccaro

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PROGETTARE L’ARTE | Kim Herforth Nielsen

Le facciate si alimentano di un elemento di variazione: il gioco di luce e ombra che cambia e influenza i rilievi lapidei

C&P

Formule geometriche che spezzano gli argini con lo spazio circostante. Un’altalena orizzontale di materia e luce definisce i contorni di un’enorme cellula di pietra di Jura: è l’involucro luminoso che lo scorso luglio ha ospitato l’opening del nuovo Museo di Liverpool, il più grande costruito nel Regno Unito negli ultimi cento anni. In quello scorcio del Mersey waterfront, patrimonio mondiale dell’Unesco che ospita anche il nuovo complesso museale, fotografare la magnificenza dei complessi monumentali raccolti sotto il nome di “Tre Grazie” significa dipanare un paesaggio ai limiti della contemporaneità, dove il dialogo tra i palazzi sigilla la storia e la spinge verso il futuro. «Il progetto del nuovo Museo di Liverpool rappresenta il risultato di un processo molto rigoroso, dove le priorità andavano disaminate attraverso il confronto con i cittadini, la conoscenza storica della città e la scoperta delle potenzialità del luogo di edificazione». Un risultato visuale e culturale consegnato alla storia dallo studio di architettura olandese 3XN, guidato dall’architetto e responsabile del progetto, Kim Herforth Nielsen, per il quale l’opera è «molto più di un edificio, molto più di un museo». Di fatto, nella sua posizione e fisicità il museo non solo racconta la storia e l’importanza di Liverpool 111


La scala rappresenta un generatore di interazione sociale. Quando poi è “scolpita” nella struttura architettonica offre all’utente una visione bellissima che lo invita a usarla

come uno dei più grandi porti al mondo, ma sembra volere esprimere ancora una volta quell’influenza culturale che la città già ha sperimentato in passato. «Questo museo collega la città a vari livelli e si manifesta fisicamente, socialmente e architettonicamente come il nesso di un’espressione tangibile e simbolica. Sono, infatti, molto soddisfatto di poter constatare come questo ideale si sia concretizzato con il completamento dell’opera».

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Il “nexus” pensato e realizzato da Nielsen, secondo cui la struttura museale fungerà da elemento unificante per la città, i suoi abitanti e visitatori, si evince già dal panorama in cui si colloca, ovvero l’area portuale della Marina mercantile di Liverpool, tra la zona portuale di carico e scarico Albert Dock e il molo Pier Head, e in prossimità dello straordinario exploit di monumenti custoditi nella zona delle “Tre Grazie”. Secondo il percorso progettuale condotto dai

C&P


PROGETTARE L’ARTE | Kim Herforth Nielsen

Alcuni modelli plastici realizzati e utilizzati durante lo studio progettuale del nuovo Museo di Liverpool, inaugurato lo scorso luglio

professionisti di 3XN, «la struttura architettonica risultante è bassa e dinamica, posta in perpetuo e rispettoso dialogo con gli altri edifici storici del waterfront – afferma l’architetto Nielsen –. Questa interazione facilita uno spazio cittadino moderno e vivace. Il design ricorda le navi mercantili che un tempo dominavano il porto, mentre il disegno in rilievo della facciata propone una nuova interpretazione del dettaglio storico e architettonico delle “Tre Grazie”. Le enormi finestre a timpano aperto verso la città e il porto, disegnano simbolicamente la storia nel museo mentre, al tempo stesso, consentono ai curiosi di osservare di là dalle cornici». Il sottile dinamismo insito nella struttura sembra contrapporsi alla visione olistica che Nielsen ricerca nel suo fare architettura, ma così non è. Infatti, «le facciate legano l’edificio in un’unica entità scultorea. Grazie all’ausilio di modelli plastici siamo giunti alla definizione di facciate che si alimentano di un elemento di variazione, il gioco luce-ombra C&P

che cambia e influenza i rilievi lapidei». Luci e ombre tornano d’altronde a richiamare la forma d’arte in cui Nielsen trova ispirazione: «Gli origami rappresentano uno degli ideali su cui pongo l’accento quando lavoro con i giovani architetti di 3XN, non solo per un concetto estetico da applicare ai modelli ma anche come intrinseco sviluppo progettuale mirato al minore utilizzo, e quindi spreco, dei materiali. Così sono le facciate del Museo di Liverpool, realizzate nella massima economia d’uso della pietra che le costituisce». L’interno, invece, è dominato da una sinuosa scala centrale, dal forte accento scultoreo. «Le scale per me rappresentano un generatore di interazione sociale. Le persone parlano tra loro quando camminano insieme giù o su per una scala. Se la scala è poi “scolpita” nella struttura architettonica offre all’utente una visione bellissima che lo invita a usarla. La scala ottimizza gli spazi, crea un’area centrale animata e lega insieme diversi ambienti e pavimenti in modo organico». 113




Pier Luigi Cervellati, professore di Recupero e riqualificazione urbana e territoriale presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Venezia

La città non esiste, non ci interessa, non ci appartiene È la fine della città storica, causata, secondo l’architetto Pier Luigi Cervellati, dalla crisi del mestiere e del sapere degli urbanisti. «Incapaci di progettare la città moderna facciamo di tutto per cancellare quella del passato per evitare un confronto umiliante» di Renata Gualtieri

La città post industriale, La città bella e L’arte di curare la città. Sono alcune delle pubblicazioni di Pier Luigi Cervellati, professore di Recupero e riqualificazione urbana e territoriale presso la facoltà di Architettura dell’Università di Venezia, attraverso cui l’urbanista ha espresso il suo pensiero sulla riqualificazione del centro urbano e della sua periferia. «Il centro storico oggi non esiste più: ci sono banche al posto dei caffè, uffici al posto degli alloggi. Il risultato è la non città, con le villettopoli e i non luoghi quali il supermercato e gli svincoli autostradali, mentre la città vecchia e nuova diventa un simulacro di se stessa. Lo spazio non è un bene riproducibile e la città deve ricostruirsi su se stessa». Non occorre, dunque, ricostruire o riprogettare, ma “curare” la città, imparando l’arte del restauro e della manutenzione urbana e paesaggistica. “Non luogo”, “non città”, “non campagna”. Il 116

centro storico oggi non esiste più. Cosa è successo? «La fine della città storica è causata da due fattori concomitanti: la crisi del mestiere e del sapere di noi urbanisti. Siamo incapaci di progettare la città moderna, contemporanea, e facciamo di tutto per cancellare quella del passato per evitare un confronto che sarebbe umiliante. Abbiamo scambiato il termine “luogo” per “spazio”. L’identità, la singolarità e la specificità di un luogo storico o di un paesaggio sono state cancellate per costruire lo spazio delle periferie. Le periferie sono sempre più incombenti, sottraggono gli abitanti alla città storica e la trasformano in shopping center. A questa crisi culturale si somma la perdita del senso della comunità, dell’appartenenza a un luogo. La voglia di isolarsi nelle tremende villettopoli che, invadendo la campagna, hanno distrutto l’identità della città e hanno formato un aggregato C&P


RIQUALIFICARE L’ESISTENTE | Pier Luigi Cervellati

Un edifico storico demolito a Bologna l’agosto scorso

In altri paesi europei l’uso corretto delle risorse, il senso del limite e il rigetto dell’imperativo economico “costruisci e distruggi”, sono antidoto allo spreco edilizio

cementizio ormai senza soluzione di continuità, ha influito sul modo stesso di vivere». Si deve riprogettare una città seguendo nuove tendenze urbanistiche o bisogna scoprirne l’anima? «Bisognerebbe salvaguardare ciò che resta della sua identità. In Italia le città storiche sono, o dovrebbero essere, patrimonio di tutti, un “bene comune”. Come dovrebbe esserlo la campagna. Si è scambiata, invece, la modernità per cementificazione diffusa e si è venduta l’anima l’identità - per diventare tutti proprietari di almeno un alloggio. La città così non ci interessa più, non ci appartiene. Le strade che prima erano un prolungamento della casa, specie al Sud, oggi sono C&P

privatizzate dalla motorizzazione crescente, asfissiante e congestionante. Le piazze, i giardini e gli altri luoghi d’incontro sono del tutto insufficienti per creare quel vivere civile, appunto “urbano”, proprio di una comunità. Le nostre case sono sempre più confortevoli mentre le città sono maltenute, degradate e a volte anche pericolose». Lo spazio si dilata e la periferia cresce a dismisura: inclusione ed esclusione sociale coesistono. L’identità territoriale ha un limite? «Tutto ha un limite, tranne l’infinito, Dio e l’universo. Il limite per me è una risorsa. Ed è dimostrabile. Lo spreco edilizio, che non ha limiti, è causa non piccola della crisi attuale. Le amministrazioni territoriali che hanno promosso - e 117


Una vignetta che indica l’incapacità degli urbanisti a risolvere il problema del traffico

La città così non ci interessa più: non ci appartiene. Le strade che prima erano un prolungamento della casa, specie al Sud, oggi sono privatizzate dalla motorizzazione crescente, asfissiante e congestionante

che continuano a promuovere - l’espansione edilizia, da loro ritenuta fonte di ricchezza sociale ed economica, non riescono più a fare manutenzione. L’espansione dell’urbanizzato, con nuove strade e nuovi servizi, allarga l’indebitamento pubblico. Non si riesce più a mantenere l’erogazione dei servizi. Aule scolastiche collabenti, marciapiedi dissestati, rifiuti deturpanti e illuminazione pubblica mancante producono degrado e malessere urbano. Il disavanzo economico erode il bene comune e promuove l’isolamento sociale». È possibile un riordino urbano che metta al centro i cittadini e rilanci la competitività territoriale? «Sì, è possibile. Bisogna pianificare la rigenerazione urbana. Come fanno altri paesi europei dove la pianificazione, l’uso corretto delle risorse, il senso del limite e il rigetto degli imperativi economici “usa e getta”, “produci e consuma”, “costruisci e distruggi”, sono antidoto 118

allo spreco edilizio. In Emilia Romagna negli ultimi tre anni sono rimasti invenduti cinquantamila alloggi! Rigenerare la città significa bloccare qualsiasi nuova espansione, qualsiasi ulteriore sottrazione di campagna, altra deturpazione del paesaggio e riavviare un processo di pianificazione in cui al risparmio energetico si associ il risparmio del territorio, nella prospettiva inevitabile di maggiore sobrietà e austerità. Lo diceva ieri Berlinguer, lo dice oggi Papa Benedetto XVI. Pianificare significa partecipare. E la partecipazione in Italia oggi da fastidio a destra così come a sinistra, si pensi alla Tav in Val di Susa». Cosa si definisce “bel paesaggio”? «La Corte costituzionale ha definito pochi anni fa il paesaggio come forma del territorio e aspetto visivo dell’ambiente. Non esiste il bel paesaggio senza un bel territorio e un ambiente vivibile. Un territorio è bello quando non è devastato dal cemento, così l’ambiente è vivibile quando siamo orgogliosi di farne parte». C&P



Gli architetti Giovanni Multari e Vincenzo Corvino. Sotto, particolari di piazza dei Bruzi, a Cosenza, con al centro l’elmo di Mimmo Paladino

Ritocchi innovativi su pagine già scritte Dal restyling del Pirellone agli innumerevoli interventi di riqualificazione urbana: Vincenzo Corvino e Giovanni Multari raccontano il difficile compito di rinnovare le città affollate da segni monumentali, con la consapevolezza che «progettare è un po’ come dover sempre restaurare» di Paola Maruzzi

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RIQUALIFICARE L’ESISTENTE | Vincenzo Corvino, Giovanni Multari

Lavorare a un capolavoro dell'architettura moderna italiana è stata un'esperienza unica, un viaggio di conoscenza

Giovanni Multari e Vincenzo Corvino hanno la stessa inclinazione a considerare la progettazione come una sorta di scavo archeologico, un viaggio di conoscenza. Ma a unire in un sodalizio professionale che dura da anni la coppia di architetti nota per aver progettato il restauro del Pirellone dopo l’incidente aereo del 2002, c’è prima di tutto il «debito» per Napoli. «Vivere i suoi cambiamenti ci consente di capire cos’è l’architettura in relazione allo spazio pubblico» spiega Corvino. E Multari aggiunge: «è una città millenaria, caotica, stratificata, ma al tempo stesso si è sempre data un’opportunità di crescita e di innovazione. Napoli ci ha insegnato a intervenire con originalità sul passato, ad avere uno sguardo aperto e consapevole sui luoghi». Una lezione quanto mai preziosa, da cui è risultato un nuovo punto di convergenza tra restauro monumentale e riqualificazione urbana.

già scritto con cui bisogna dialogare».

Cos’è che unisce queste due pratiche? VINCENZO CORVINO: «La convergenza sta nella definizione stessa di progetto architettonico che, paradossalmente, è in qualche modo sempre un’operazione di restauro. Nessun paesaggio può paragonarsi a un foglio bianco: c’è qualcosa che è

Nel 2001, con il quartiere militare Borbonico a Casagiove, vi siete aggiudicati il premio Centocittà, diventando un riferimento anche nel recupero urbanistico. Quando si interviene in contesti “storici” qual è il margine di libertà che vi viene lasciato? V.C. «C’è sempre un margine importante di

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Cosa ha significato prendere parte al rinnovo di un’architettura-simbolo come il grattacielo Pirelli? GIOVANNI MULTARI: «Lavorare a un capolavoro dell’architettura moderna italiana è stata un’esperienza unica, un viaggio di conoscenza, un percorso archeologico alla scoperta della grandezza anche dei particolari disegnati da Gio Ponti. Il suo restauro è stato il progetto più significativo realizzato fino a oggi, che tra l’altro ci ha regalato una grande notorietà. Prima che il presidente Formigoni ci chiedesse di mettere mano all’intero edificio, eravamo impegnati, a seguito di un concorso, nel restauro dell’auditorium del palazzo. Dopo l’incidente fu nominato un comitato tecnicoscientifico di rilievo che diventò il nostro riferimento di committenza».

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Nella pagina precedente, il grattacielo Pirelli, a Milano, dopo il restauro completato nel 2005; in questa pagina, particolari del recupero del quartiere militare Borbonico di Casagiove (Caserta); nella pagina seguente l’auditorium Giorgio Gaber, all’interno del Pirellone

C'è sempre un margine importante di contributo all'innovazione anche in un complesso storico come quello del quartiere militare Borbonico

contributo all’innovazione anche in un complesso storico come quello del quartiere militare Borbonico. In questo caso è stato determinante pensare che quel quartiere, nato come ospedale e poi divenuto zona militare interclusa alla città, tornasse a essere permeabile. Così, attraverso l’apertura di alcuni varchi, la città storica è stata collegata a quella nuova. La connessione pedonale è stata la mossa più significativa per far sì che il monumento tornasse a essere parte integrante della città». Per creare nuovi ponti di comunicazione bastano piccoli escamotage? V.C. «Un gesto creativo non sempre deve corrispondere a un’azione grandiosa, bastano anche accorgimenti minimi. È il monumento a parlare ai progettisti, suggerendo interventi coerenti con la propria storia, come per esempio il volume vetrato della risalita a scala ascensori, moderna 122

reinterpretazione di un volume preesistente». Nel 2009, con i progetti Musp e Case, firmate parte della storia aquilana del post terremoto. La ricostruzione è un tema architettonico tipico dell’Italia: qual è il ruolo dell’architetto? G. M. «Gli eventi catastrofici diventano opportunità per ripensare le città perché dopo lo sgomento iniziale c’è sempre bisogno di una nuova cultura architettonica, di dar vita a un habitat migliore. L’esperienza dell’Aquila ci ha arricchito molto perché abbiamo toccato con mano cosa significa progettare per rendere un servizio alla collettività. Tutto si è svolto in tempi rapidissimi. In attesa che le amministrazioni locali definissero una strategia per il recupero del centro storico, la Protezione Civile mise in campo una serie di azioni per evitare che fossero realizzate residenze-container per i terremotati: di qui la scommessa, riuscita, del progetto Case. Stessa soddisfazione per gli edifici C&P


RIQUALIFICARE L’ESISTENTE | Vincenzo Corvino, Giovanni Multari

scolastici. La dice lunga l’abbraccio della direttrice pochi giorni dopo l’inaugurazione: ci ringraziò dicendo che, nonostante fosse prefabbricata, non aveva mai avuto una scuola così bella». La scelta di collocare il nuovo nucleo abitativo dell’Aquila in una zona periferica non è stata pienamente condivisa. Ora di cosa c’è bisogno? G. M. «Se il recupero del centro storico durerà a lungo, ci sarà il rischio di emarginare gli abitanti in un luogo che città non è. Bisogna, quindi, pensare alle nuove case come a interventi contemporanei che abbiano la consapevolezza del valore temporale, storico e sociale». Avete la tendenza a condividere progetti con artisti del calibro di Mimmo Paladino, Sergio Fermariello, Nino Longobardi, Pierre Yves Le Duc. Perché sconfinare in altri ambiti? V. C. «Non abbiamo mai immaginato l’arte come C&P

ornamento, ma come elemento integrante del progetto di architettura. Per piazza dei Bruzi, a Cosenza, l’elmo di Paladino è pensato all’unisono con la fontana in marmo nero sul quale si erge. Ogni volta siamo noi a contattare l’artista che fa al caso del progetto. A Napoli stiamo lavorando al restauro della Torre delle Nazioni, progettata nel 1938 dall’architetto Venturino Venturi: il vecchio basamento andato perduto verrà reinterpretato da Sergio Fermariello, diventando parte costruttiva dell’edificio». Arte e nuove progettualità, un connubio che ha preso forma a Gibellina, la cittadina siciliana che, dopo essere distrutta dal terremoto, fu trasformata in museo a cielo. È un modello ancora possibile? «L’ideatore di quel progetto, l’allora sindaco Ludovico Corrao, scomparso quest’estate, rimane un esempio lungimirante. E ci ricorda che l’architettura non esisterebbe senza committenza». 123




Qui a fianco, Jean Nouvel. Nelle altre immagini, progetto di recupero area la Fabbrichina, Colle Val d’Elsa

Il passato incontra il futuro con la matita di Jean Nouvel Il completamento del tessuto urbano e l’intervento che ha per protagonista l’ex Vulcania sono esempi di integrazione fra il recupero del vecchio e una forma moderna che mostra l’influenza dell’architetto francese. Il caso di Colle Val d’Elsa di Renata Gualtieri

Jean Nouvel lavora dal 2007 alla pianificazione del restyling urbano dell’ex area industriale detta Fabbrichina, all’interno del programma “Fabbrica Colle” coordinato dall’architetto Iginio Rossi. Presso la Fabbrichina, alla fine degli anni 60, nasceva la produzione del cristallo con il 24% di piombo che ha reso famosa la città in tutto il mondo. Un ambizioso intervento di riqualificazione urbana e di rivitalizzazione delle attività sono in atto a Colle di Val d’Elsa, in provincia di Siena, le cui linee guida sono state messe a punto dall’architetto francese. Nouvel ha coinvolto nell’ideazione della nuova piazza Arnolfo di Cambio alcuni artisti importanti come Daniel Buren, Lewis Baltz, Bertrand Lavier e Alessandra Tesi, assegnando a ciascuno di loro un tema architettonico da sviluppare: la pavimentazione, i portici, l’illuminazione, gli elementi di arredo urbano, le facciate degli edifici. Daniel Buren ha lavorato sulla pavimentazione della piazza, creando particolari disegni con liste di marmo bianco e nero alternate tra loro. Bertrand Lavier ha curato l’arredo urbano e i portici, proponendo delle tende di protezione solare con apertura a semicerchio, che potrebbero divenire una sorta di “campionario” del colore arancione. Lewis Baltz ha lavorato sulla parte 126

ovest della piazza, concentrando l’opera sulla riscoperta della Gora, il sistema di canali urbano: l’intero canale che fiancheggia la piazza è completamente aperto alla vista, anche se coperto con un grigliato metallico e protetto con lastre trasparenti in policarbonato o vetro. Alessandra Tesi, infine, ha curato l’aspetto legato alla pittura delle volte dei portici e alla nuova illuminazione, C&P


RIQUALIFICARE L’ESISTENTE | Il nuovo volto di Colle Val d’Elsa

Ho voluto rispettare la presenza di volumi a sé stanti, artigianali o industriali, che si confrontano con la scala del quartiere e con il paesaggio circostante

realizzando alcune persiane in cristallo inserite in punti strategici della piazza. Del modo di lavorare di Nouvel si dice che «non è semplicemente un’architettura di risposta, né un’architettura puramente ideologica che voglia applicare uno schema teorico preesistente a qualunque situazione. L’artista francese vede piuttosto ogni progetto come una possibilità per analizzare e raffinare le proprie idee e i propri principi, per mettere alla prova le sue teorie a fronte della sfida del costruire. È da questo processo di traduzione dell’ideale in spazio reale, di passaggio dal concetto alla struttura vera e propria, che gli edifici di Nouvel acquistano la loro complessità ed energia». Il progetto di Nouvel è stato pensato per rivitalizzare la parte bassa di Colle di Val d’Elsa, attraverso un percorso di collegamento con piazza Arnolfo e, da qui, con il centro commerciale naturale Colgirandola. La gestione finanziaria dell’intervento, che dovrebbe concludersi entro il 2015, sarà curata dalla società pubblico-privata New Colle, partecipata dal Comune di Colle Val d’Elsa e dalla Banca Monte dei Paschi che, per la realizzazione della mediateca ha ottenuto 20 milioni di euro di fondi europei nel merito del piano integrato urbano di sviluppo sostenibile AltaValdelsa. La C&P

realizzazione della mediateca rappresenterà il completamento degli interventi di recupero dell’intera area che prevedono la ristrutturazione degli ex immobili artigianali, consentendo di riconvertire gli spazi per servizi, come nel caso dell’immobile della Fabbrichina, o per negozi, residenze e servizi come per l’ex area Vulcania. Come ha dichiarato lo stesso Nouvel, è fondamentale ridare nuova vita alla Fabbrichina attraverso uno studio della sua storia e del suo tessuto esistente, «punteggiato da complessi di archeologia industriale, prodotto e simbolo di una città da sempre economicamente florida e attiva. Recuperati o reinterpretati, come la mediateca, con il linguaggio contemporaneo della nuova architettura, questi grandi edifici sono pronti per una nuova vita». La progettazione del completamento del tessuto urbano come l’intervento che ha per protagonista l’ex Vulcania è un esempio di integrazione fra il recupero del vecchio e una forma moderna che mostra l’influenza dell’architetto francese, che afferma, «ho voluto rispettare la presenza di volumi a sé stanti, artigianali o industriali, che si confrontano con la scala del quartiere e con il paesaggio circostante: le colline, i terreni agricoli, il parco fluviale dell’Elsa». 127


Si apre una finestra di luce su piazza Arnolfo di Cambio «La piazza, il centro, un punto che si attraversa per andare altrove ma anche un luogo dove si va per restare, per pensare, per vivere». L’intervento dell’artista Alessandra Tesi non aggiunge nulla a uno spazio ingrandito dalla luce di Renata Gualtieri


RIQUALIFICARE L’ESISTENTE | Alessandra Tesi

In apertura, Volta interferente. Qui a fianco, l’artista Alessandra Tesi

Alessandra Tesi dal 2002 lavora a un intervento permanente per il progetto di riqualificazione di Piazza Arnolfo di Cambio a Colle Val d’Elsa, coordinato dall’Ateliers Jean Nouvel, insieme a Daniel Buren, Bertrand Lavier e Lewis Baltz. Con l’inserimento di più persiane di cristallo in punti strategici della piazza, al posto di quelle di legno, la luce viene catturata e restituita con giochi suggestivi. È così che l’artista valorizza la principale tradizione artigianale della città. Dall’uso poetico della fotografia al progetto di piazza Arnolfo a Colle Val D’Elsa. Una struttura d’epoca ritrova un’anima moderna, scintillante di cristalli. Perché ha scelto questo materiale e quali effetti ha ottenuto? «La mia intenzione era di non aggiungere, perché la piazza restasse un luogo grande, ingrandito dalla luce. La stessa identica persiana in legno è diventata trasparente, nella massa e nel peso del blocco di cristallo, come se fosse scolpita direttamente nella luminosità del paesaggio: 300 kg di luce. È la trasparenza delle colline e degli orizzonti del paesaggio toscano che si attarda e si proietta nella persiana, creando dei vuoti, sottraendo all’architettura. Alcune persiane di cristallo dovrebbero inserirsi su diverse facciate, “quasi come diaframmi di sfondamento immateriale”, così da creare incidenti di luce, momenti di totale trasparenza fino all’abbaglio, secondo la circolazione della luce nello spazio. Invece di proteggere e impedire parzialmente la visione, la persiana diventa uno schermo-membrana. Una finestra». C&P

Come dice Jean Nouvel, il progetto diventa una pista di volo per gli artisti, che hanno rotte diverse, così da non sovrapporsi

A cosa si è ispirata e come ha trasformato la tecnica in arte per la pittura delle volte dei portici? «È la stessa luce del luogo che resta impigliata nelle volte del porticato, creando improbabili riflessi, come quelli delle ali di farfalla o dell’interno delle conchiglie. Con una grandissima variazione di scala, ho pensato a un’analogia tra la struttura del porticato e quella dell’ala di farfalla. Vista al microscopio la sezione dell’ala sembra una cattedrale in miniatura, nella ripetizione degli archi per intrappolare la luce. Nel mio progetto il porticato diventa una struttura iridescente, una velatura di colori interferenti, che cambiano secondo l’incidenza della luce e il punto di vista dell’osservatore. Di giorno il lavoro è trasparente come una bolla di sapone. Penso alle sfumature pastello acido della pittura senese. La pittura è strutturale, non decora lo spazio, ma crea uno sfondamento. La notte, poi, è essa stessa a diventare l’illuminazione». Modernità e originalità per riqualificare, quindi, lo spazio reale e valorizzare un patrimonio storico, artistico economico e sociale? «È un’idea che viene dal Rinascimento quella di 129


Gli artigiani del cristallo di Colle Val d’Elsa e sotto, la persiana di cristallo

Per portare il cristallo a diventare una scultura così grande da sostituire un elemento “funzionale” dell’architettura, abbiamo lavorato con gli artigiani del cristallo di Colle

unire le diverse discipline per lavorare a un progetto: proiettare un’idea nello spazio e scriverci all’interno il sentimento di un luogo. Il desiderio dell’architetto di progettare insieme agli artisti fa parte delle grandi sfide in ogni tempo. La piazza, il centro, un luogo che si attraversa per andare altrove ma anche un luogo dove si va per restare, per pensare, per vivere. Così l’architetto ha chiamato gli artisti perché con un intervento di agopuntura, si creasse una nuova tensione, per punti e stimoli, in un attraversamento dello spazio. E la piazza pian piano ha cominciato ad apparire come un percorso che si scopre camminando e che si scoprirà nel tempo». La riqualificazione del centro cittadino con il coinvolgimento di più soggetti ha posto dei condizionamenti alla sua arte o è stato uno stimolo in più per vincere la sfida e trovare 130

C&P


RIQUALIFICARE L’ESISTENTE | Alessandra Tesi

soluzioni inedite nelle forme e nei colori? «Nel mio caso c’è anche la dimensione della sperimentazione. Per portare il cristallo a diventare una scultura così grande da sostituire un elemento “funzionale” dell’architettura abbiamo lavorato con gli artigiani del cristallo di Colle, che è la città del cristallo. E per i colori interferenti, a scala architettonica con uso strutturale e non decorativo, l’esperta tecnica della casa di produzione di New York è venuta a realizzare il prototipo della volta a Colle con me. Per ora ci sono il prototipo della persiana e quello della volta dipinta. Siamo in fase sperimentale sull’illuminazione legata alla pittura, l’intero progetto è in corso. C’è, infatti, la dimensione del tempo, grandissima, per poter poi realizzare il lavoro nello spazio pubblico e inserirlo nel contesto urbanistico e nel suo utilizzo, come dicevo prima, sotto e dentro la pelle dell’architettura». C&P

Come definirebbe un progetto così articolato, con un prestigioso gruppo di lavoro, coordinato dall’Atelier di Jean Nouvel? «Si crea una nuova tensione nel luogo che diventa il suo destino, cosa la piazza aspira a diventare e a fare succedere, attraverso i lavori di Daniel Buren, Bertrand Lavier, Lewis Baltz e il mio. Lo spazio è responsabile di quello che accade. La piazza diventa una scatola che si apre su diverse visioni e che ha l’andamento della passeggiata, attraverso lavori che prendono forma camminando intorno alle cose e che forse portano il grande e semplice lusso di perdere il tempo dentro lo spazio. Come dice Jean Nouvel, il progetto diventa una possibile pista di volo per gli artisti, aerei che volano a quote diverse e hanno rotte diverse, così da non sovrapporsi. Come diceva quel giorno l’architetto, quando invitò a costruire insieme una visione del progetto, gli artisti hanno un cielo in comune: la piazza di Colle Val d’Elsa». 131




Un nuovo volto per Palermo Una città dalle mille sfaccettature, caratterizzata da una storia piena di fascino ma anche da tante contraddizioni interne che ne condizionano lo sviluppo. La valorizzazione del patrimonio storico e architettonico di Palermo, affiancata a un’intensa attività progettuale volta al recupero di zone periferiche e degradate, come filo conduttore del lavoro di Mario Vigneri di Diego Bandini

Una storia millenaria, caratterizzata dal ruolo di crocevia tra Occidente e Oriente, approdo di razze, lingue e culture differenti, fa della città di Palermo un luogo unico, all’interno del quale confluiscono forme e stili particolari, che hanno spesso dato vita a originalissime creazioni artistiche, architettoniche e decorative. Il suo centro storico è uno dei più estesi d’Europa, sviluppatosi fin dall’epoca della colonizzazione fenicia, a cui hanno fatto seguito la dominazione greca, romana, bizantina, araba, normanna, sveva, angioina, aragonese e spagnola, fino agli interventi urbanistici ottocenteschi e della prima metà del 900. Un tessuto urbano, dunque, estremamente vario e complesso, che ha tuttavia mantenuto, nelle sue direttrici principali, una sostanziale omogeneità e chiarezza di lettura. «Il recupero e il restauro dei palazzi del centro storico è per me una vera e propria passione», spiega l’architetto Mario Vigneri,

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titolare dell’omonimo studio a Palermo. «Da una decina d’anni sono infatti impegnato in un’intensa attività volta al recupero di una serie di edifici all’interno dell’ex quartiere ebraico, con l’obiettivo di realizzare una sorta di quartiere pilota, che possa essere preso a modello anche per interventi futuri». Un progetto significativo, a questo proposito, è quello per la realizzazione del Museo del Giornale di Sicilia. In cosa consiste nello specifico? «Il Giornale di Sicilia, che quest’anno compie 150 anni, rappresenta uno dei simboli della storia della città di Palermo. A questo proposito abbiamo presentato una proposta di progetto per il restauro di alcuni edifici, che deve però ancora ottenere l’autorizzazione da parte dell’amministrazione comunale. Queste costruzioni sono situate proprio nel centro storico di Palermo, in una delle aree più colpite dai bombardamenti alleati durante la II Guerra Mondiale. L’idea C&P


RIQUALIFICAZIONE | Mario Vigneri

Nel tondo, l’architetto Mario Vigneri. In alto il bosco fotovoltaico presso il centro “Conca d’Oro”. A destra, in alto, plastico dell’ex quartiere ebraico di Palermo, sotto, il progetto per la riqualificazione dell’area San Filippo Neri

progettuale si inserisce all’interno di un contesto più ampio, che comprende anche la ristrutturazione di alcuni corpi adiacenti al Museo. Vogliamo infatti intervenire sulle strutture preesistenti, attraverso, ad esempio, il rafforzamento dei contrafforti che sostengono i muri e il recupero dei ruderi ancora presenti, utilizzando tecniche costruttive e materiali moderni, per cercare di trasmettere il valore simbolico di questi luoghi, testimoni di una storia fatta anche di eventi tragici come terremoti e guerre». Oltre a questa affascinante attività, lei ha intrapreso diversi progetti per la riqualificazione di una vasta area della città. Quali sono stati gli interventi più significativi? «Abbiamo da poco terminato la fase progettuale per la riqualificazione urbana dell’area San Filippo Neri, dove si trova anche il quartiere Zen, uno dei luoghi più critici della nostra città, in cui vivono quasi venticinquemila persone. Ora, prima di dare il via libera ai lavori, bisognerà attendere la conclusione di tutte le procedure amministrative e burocratiche C&P

Per la riqualificazione dello Zen abbiamo proposto un intervento di ampio respiro, che prevede la realizzazione del nuovo stadio e di un nuovo centro residenziale e commerciale

che, come al solito, saranno piuttosto lunghe. Quello da noi proposto è un intervento di ampio respiro, che prevede la realizzazione del nuovo stadio, progettato insieme all’architetto Zavanella, e di un nuovo centro residenziale e commerciale. Il tutto sarà accompagnato anche dall’ammodernamento della viabilità e dei collegamenti stradali, per cercare di fare uscire questa zona da una sorta di “ghettizzazione” che non ha certo favorito il suo sviluppo». Un altro progetto di grande rilevanza è quello del centro commerciale Conca d’Oro. Quali sono le 135


In queste pagine, alcuni particolari progettuali del centro commerciale “Conca d’Oro” e del Museo del Giornale di Sicilia

peculiarità di questo intervento? «Il centro commerciale, attualmente in fase di ultimazione, è stato progettato sulla base delle più moderne tecniche di risparmio ed efficienza energetica. Sarà il centro commerciale più grande della città, con 120 negozi, una food square con sette ristoranti, un giardino storico, un parcheggio per tremila posti auto, tre gallerie di collegamento e cinque piazze al coperto, con pannelli fotovoltaici sui tetti e un bosco fotovoltaico all’interno del centro, stesso che permetteranno di soddisfare circa il 50 per cento del fabbisogno energetico dell’intera struttura. Alberi e zone verdi ridurranno ulteriormente il suo impatto ambientale, per cercare 136

di rendere questo intervento il meno invasivo possibile». Oggi il centro commerciale è vissuto sempre di più anche come luogo d’incontro e di aggregazione. In che modo quest’opera soddisfa le aspettative dei suoi frequentatori? «Sono convinto del fatto che le gallerie e le parti comuni, che caratterizzano un centro commerciale, debbano essere intese non come spazi chiusi ma come “viali”che possano dare ai visitatori la sensazione di passeggiare all’aperto. La luce, in questo senso, è un elemento fondamentale, anche se non sempre le esigenze architettoniche C&P


RIQUALIFICAZIONE | Mario Vigneri

Sono impegnato in un’intensa attività volta al recupero di una serie di palazzi all’interno dell’ex quartiere ebraico, con l’obiettivo di realizzare una sorta di quartiere pilota

coincidono con le esigenze commerciali del committente. Per questo possiamo dire che il risultato finale è stato una sorta di “compromesso”, capace però di garantire il massimo della funzionalità. Le piazze e gli spazi aperti presenti permetteranno infatti di vivere il centro commerciale in maniera totale, tanto che sono già in programma numerose manifestazioni ed eventi culturali, come concerti, mostre e rappresentazioni teatrali». Come detto, il centro commerciale si inserisce in un progetto di più ampio respiro per la riqualificazione del quartiere Zen. Quali sono le C&P

altre opere realizzate? «Contestualmente al centro commerciale, grazie agli investimenti privati realizzati da Maurizio Zamparini, un imprenditore del nord che sta facendo grandi cose per la nostra città, abbiamo già portato a termine, sempre nella zona dello Zen, un centro per anziani con 120 posti letti, una struttura per persone ipovedenti e un impianto sportivo dotato di palestra, campi da calcetto e piscina olimpionica. Siamo convinti che queste opere possano rappresentare una grande opportunità di sviluppo per un quartiere storicamente problematico come quello dello Zen, in grado di fornire un impulso decisivo per la crescita di tutta la città». 137


Progetti mirati di riqualificazione L’ingegneria edile e l’urbanistica rappresentano un fattore importante dello sviluppo socio-economico del territorio. Michele Sgobba spiega come si integrano le competenze di Nicolò Mulas Marcello

La denominazione “finanza e progetto” da cui prende il nome finepro, nasce dalla consapevolezza che la complessità dei processi di trasformazione territoriale e urbana richiede una molteplicità di competenze professionali, che devono integrarsi per offrire agli operatori pubblici e privati soluzioni complete. La multidisciplinarietà delle competenze e la capacità di promuovere e stimolare partnership pubblico/privato ai diversi livelli amministrativi, unite a una capillare attività svolta sul territorio, offrono quelle garanzie di flessibilità e completezza operativa che oggi richiede il mercato. «La nostra società – spiega il legale rappresentante Michele Sgobba, architetto – si propone di svolgere un’azione di assistenza agli operatori pubblici e privati per l’attivazione di processi di trasformazione e sviluppo socio-economico del territorio». Quali sono in concreto le vostre attività? «Sono molteplici e comprendono lo studio, la ricerca e la consulenza in settori importanti della realtà sociale ed economica quali l’ambiente, l’economia, lo sviluppo locale, le trasformazioni urbane. I committenti sono soggetti pubblici come Ministeri, Amministrazioni regionali, provinciali, comunali, le associazioni imprenditoriali e professionali e soggetti privati come imprese, banche. Il rapporto con tali committenti è continuativo e di tipo fiduciario in virtù dei risultati raggiunti e della qualità dei servizi professionali che riusciamo a fornire». C&P


RIQUALIFICAZIONE | Michele Sgobba

In apertura il masterplan della Rigenerazione di Bisceglie. Sotto l’architetto Michele Sgobba. In questa pagina, a destra, lo staff di finepro Srl. Sotto il lungomare di Mola di Bari

Quali sono i Comuni e gli ambiti territoriali che meglio testimoniano i risultati raggiunti? «La città di Bisceglie è teatro e consolidato laboratorio della nostra attività professionale. Siamo impegnati da anni nei processi di riqualificazione che qui vanno sotto il nome di Recupero Urbano del “Quartiere San Pietro”, Contratto di Quartiere II, Società di Trasformazione Urbana, Riqualificazione Urbana per Alloggi a Canone Sostenibile “Lungo la ferrovia” e il recente “Programma Integrato di Rigenerazione Urbana”. Per ognuno di questi innovativi processi di recupero e riqualificazione della città possono essere enunciate le numerose realizzazioni a servizio dei cittadini fra cui spiccano un nuovo centro sportivo con piscine coperte, un centro polifunzionale con asilo nido e alloggi per utenze deboli, con il recupero di spazi degradati. Anche il concluso waterfront urbano di Mola di Bari, il cui progetto è stato redatto in

C&P

collaborazione con il prestigioso studio M.B.M. di Oriol Bohigas, testimonia l’efficacia dell’attività svolta, in tal caso in seguito al Programma Urban». Quali sono i progetti per il futuro? «Per la Rigenerazione Urbana di Bisceglie l’Amministrazione Comunale ha individuato cinque aree del tessuto cittadino su cui concentrare i futuri sforzi di cambiamento dello spazio urbano in termini di qualità e ha inteso cominciare dall’ambito nevralgico del nucleo antico. Il traffico che oggi percorre il lungomare intorno al porto sarà deviato verso l’entroterra. Saranno restaurate le fortificazioni tardo medievali che si affacciano sul fronte mare e sostituiti i volumi di edilizia popolare divenuti vetusti e inadeguati, in un processo socialmente sostenibile sinergico ad un parallelo programma di housing sociale».

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Nuove funzioni dialogano con l’antico Restituire al patrimonio architettonico il suo splendore, per una nuova fruizione dei beni storici nel pieno rispetto dei caratteri e dell’identità dei siti. È l’obiettivo dell’architetto Stefano Serpenti a Bari di Viola Leone

Valorizzare il territorio e salvaguardare l’ambiente, riqualificare il tessuto urbano e recuperarne i beni culturali. Viaggia su queste direttrici l’attività progettuale condotta dall’architetto Stefano Serpenti nel suo studio di Bari, con il supporto di una piccola equipe di collaboratori. In un edificio di fine ottocento, completamente adeguato e rinnovato, l’architettura contemporanea, con i suoi strumenti d’avanguardia, viene messa al servizio di un patrimonio storico da rendere passibile di nuove fruizioni. «Manteniamo sempre alta l’attenzione all’identità dei luoghi d’intervento, alla sostenibilità delle trasformazioni e al rapporto con il contesto» precisa l’architetto Serpenti. Da questo impegno scaturiscono architetture sensibili alle diverse realtà insediative e alle opportunità di modificazione che l’opera può innescare. Quanto è importante nel vostro 142

lavoro la fase conoscitiva dei luoghi sui quali andrete a operare? «È fondamentale. Misurare, documentare e ricercare gli elementi del contesto fisico e le loro possibilità di essere modificati o conservati, di accogliere nuovi elementi e funzioni, consente di dare senso alla trasformazione dei siti. Il progetto di architettura nasce da un confronto continuo e da una verifica progressiva con le specificità dei luoghi; le diverse componenti ambientali, storiche, climatiche vanno indagate e utilizzate quali elementi fondamentali della progettazione, con i quali l’opera realizzata deve entrare in stretta relazione. Occorre saper cogliere le occasioni che ti offrono i luoghi d’intervento e lavorare verso un nuovo rapporto contestuale in cui l’architettura può svolgere un ruolo importante». Quali sono, tra gli interventi portati a compimento dal suo studio, quelli di C&P


RESTAURO CONSERVATIVO | Stefano Serpenti

Nella pagina precedente, l’architetto Stefano Serpenti. Nelle altre immagini, alcune opere progettate e dirette dallo Studio Serpenti www.studioserpenti.it

maggior rilievo? «Lo studio ha portato a termine la realizzazione di interventi per il recupero e la valorizzazione di beni monumentali e aree archeologiche, in luoghi e spazi di intensa stratificazione storica, nelle città pugliesi di Lucera e Barletta. L’intenzione che ci ha guidati è stata quella di affidare un nuovo ruolo a tali insediamenti in ambito urbano, con un lavoro coerente e attento alle preesistenze antiche. Abbiamo restituito alla città di Lucera la grande arena dell’anfiteatro Augusteo e gli spazi della torre della Regina nella fortezza svevoangioina e abbiamo ridato vita, nella città di Barletta, ai sotterranei del castello normanno-svevo e all’Antiquarium nel parco archeologico di Canne della Battaglia». Con quale approccio progettuale sono stati condotti questi interventi? «Con il necessario rispetto e con la consapevolezza di introdurre nuove architetture per consentire lo svolgimento di funzioni museali ed espositive che, probabilmente, non possono che proporsi come temporanee, dotate di una propria identità che parla del contemporaneo e assiste a un passato con i resti delle sue eloquenti fabbriche e rovine. Si è lavorato con l’impiego di strutture leggere e reversibili, per ridare vita agli antichi spazi dell’anfiteatro romano e della torre angioina, ai suggestivi ambienti sotterranei fortificati e al percorso di accesso ai piedi della collina dell’antica cittadella medievale di Canne della Battaglia, consentendo una migliore fruizione e l’insediamento di nuove funzioni. Questi gioielli del passato hanno ritrovato un nuovo rapporto con la città e i luoghi d’appartenenza». C&P


Rivivono i luoghi della Grande Guerra Restituire alla collettività edifici che rappresentano un patrimonio della storia italiana. I progetti di Andrea Simionato per il recupero delle fortezze teatro della Prima Guerra Mondiale nell’Altopiano dei Sette Comuni di Guido Puopolo

La Grande Guerra è un evento che ha segnato in maniera indelebile la storia d’Italia, come testimoniato anche dal gran numero di strutture ed edifici, tra cui forti, sentieri, gallerie e trincee, entrati a far parte del patrimonio artistico del nostro Paese. «Con la legge 78 del 2001 lo Stato ha riconosciuto la valenza storica e culturale delle vestigia della Prima Guerra Mondiale, promuovendo e finanziando interventi volti al recupero e alla valorizzazione di questi beni», spiega l’architetto Andrea Simionato, titolare dell’omonimo studio, specializzato, tra le altre cose, proprio nel restauro conservativo di complessi architettonici risalenti a questo particolare periodo storico. Lo studio, infatti, ha seguito numerosi progetti per la riqualificazione di diverse costruzioni situate sulle Prealpi vicentine, scenario di 144

importanti eventi bellici negli anni tra il 1915 e il 1918. «Tutti gli interventi realizzati si sono rivelati molto stimolanti, sia da un punto di vista progettuale che esecutivo. Abbiamo infatti operato all’interno di cantieri atipici, difficili da raggiungere, senza energia elettrica né acqua. Ci siamo trovati nelle stesse condizioni in cui, un secolo fa, erano stati costretti a lavorare gli uomini del Genio Militare, e per questo devo dire grazie a tutte quelle persone che hanno condiviso con me queste fantastiche esperienze, sempre con grande professionalità e sacrificio», sottolinea Simionato. Obiettivo principale degli interventi dello studio è la messa in sicurezza e il recupero di questi luoghi, nel pieno rispetto delle strutture preesistenti, per renderli fruibili anche da un punto di vista turistico, C&P


RESTAURO CONSERVATIVO | Andrea Simionato

In apertura, interno forte Interrotto. Qui, particolari di altri forti recuperati dallo Studio Simionato di Padova studiosimionato@libero.it

Ci siamo trovati nelle stesse condizioni in cui, un secolo fa, erano stati costretti a lavorare gli uomini del Genio Militare

come spiega Simionato: «Uno dei progetti più significativi che abbiamo portato a termine, oltre al recupero della caserma di Forte Interrotto, è stato il restauro del Forte Campolongo, sull’altopiano di Asiago. Qui non ci siamo limitati al semplice restauro conservativo, implementando invece un vero e proprio restauro critico, per accentuare la visibilità di questa fortezza piena di fascino e di storia. Abbiamo provveduto a ricostruire solai e volte in calcestruzzo, oltre al tetto, con le grondaie per la raccolta dell’acqua piovana e le fosse per le cupole dei cannoni. È stato un intervento particolarmente complesso – prosegue l’architetto – ma allo stesso tempo molto gratificante. Oggi il Forte è tornato al suo antico splendore, e grazie alle modifiche apportate è diventato un luogo perfetto per ospitare C&P

mostre ed eventi culturali». Al di là degli interventi di recupero del patrimonio storico nazionale, lo Studio svolge un’intensa attività anche nel campo della riqualificazione dei centri urbani, con una grande attenzione al tema della sostenibilità ambientale e del risparmio energetico: «Sul territorio padovano, ad esempio, abbiamo contribuito alla realizzazione di un progetto, premiato anche da Legambiente, che ha portato all’installazione di pannelli fotovoltaici in ben 58 edifici pubblici. Un’iniziativa a costo zero per il Comune di Padova, visto che gli incentivi, nel tempo, ripagheranno completamente l’investimento. La tutela del territorio è infatti da sempre una nostra prerogativa, poiché crediamo che solo un uso razionale delle risorse potrà garantire un futuro di benessere alla nostra società». 145


RESTAURO | Giovanni Amandorla

Giardino di pietra Ridare vita a opere ed edifici storici è una delle priorità della cultura architettonica. Giovanni Amandorla racconta il sorprendente restauro della Chiesa di Santa Chiara a Noto di Adriana Zuccaro

Nella valle del barocco siciliano, per dare “ossigeno” alla città che Cesare Brandi definì “giardino di pietra”, ovvero Noto, è stato messo in atto un intervento di restauro e di consolidamento della Chiesa di Santa Chiara in un’ottica di recupero e conservazione dei beni appartenenti al patrimonio culturale della Val di Noto, per mano dell’architetto Giovanni Amandorla. «Durante l’esecuzione dei lavori è stato sorprendente scoprire un pregevole e raffinato apparato decorativo originario, posto ai lati del colonnato del primo e

Sezione Abbazia San Martino delle Scale, (PA) restaurata dallo Studio dell’architetto Giovanni Amandorla (in foto). In alto, dettagli di un progetto residenziale e restaurativo studioamandorla@libero.it

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secondo ordine dell’aula ellittica della chiesa, attraverso il quale è stata riconfigurata l’originaria percezione spaziale degli ambienti chiesastici così come pensati, progettati e realizzati da Rosario Gagliardi». Impegnato in progettazione architettonica ad ampio raggio e in collaborazioni con società di engineering ma anche esperto nel restauro di opere ed edifici storici come l’Abbazia di San Martino delle Scale di Monreale, l’architetto Amandorla spiega che «la redazione di un progetto restaurativo presenta una grande varietà di sfaccettature d’interesse multidisciplinare. La prima riguarda la conoscenza del manufatto, i rilievi, l’epoca socio-culturale che ha attraversato, i metodi di calcolo utilizzati e le metodologie delle maestranze che vi hanno lavorato; una seconda fase si sviluppa invece attraverso indagini e operazioni diagnostiche mirate a una conoscenza completa di tutti i materiali utilizzati nella fabbrica al fine di comprendere al meglio gli interventi compatibili da eseguirsi; giunge infine il progetto esecutivo che stabilisce i criteri di intervento, le tecniche da utilizzarsi, l’inserimento degli impianti, la protezione dal rischio sismico e l’organizzazione del cantiere». C&P



Design, tecnologie e sostenibilitĂ Pannelli prefabbricati autopulenti, vetri in grado di contenere le emissioni di CO2, terrazze fotovoltaiche. Sono solo alcune delle tecnologie innovative impiegate per la realizzazione del Vodafone Village di Milano dalla Ediltecno Restauri di Giancarlo Bassanini di Eugenia Campo di Costa

Foto: Costanza Rampello


ARCHITETTURA SOSTENIBILE | Giancarlo Bassanini

Giancarlo Bassanini, amministratore unico della Ediltecno Restauri Srl di Milano www.ediltecnorestauri.it

Garantire l’ingegnerizzazione del processo e l’innovazione tecnologica. Al fine di assicurare ai committenti lavori di qualità, il rispetto dei tempi di consegna, la certezza di raggiungere gli obiettivi imprenditoriali condivisi. Su queste basi si struttura l’attività di Ediltecno Restauri Srl che, in tempi in cui le piccole e medie realtà, devono necessariamente rafforzarsi, ha deciso di potenziare la sua struttura tecnica. «La nostra filosofia – racconta il geometra Giancarlo Bassanini, amministratore unico dell’azienda milanese – è instaurare con i clienti una partnership improntata sulla condivisione degli obiettivi e dei risultati. Allo stesso modo, quelle con i sub fornitori e le aziende produttrici sono cooperazioni snelle che assicurano affidabilità e serenità nei rapporti». Nata nel 1978, la Ediltecno Restauri inizialmente concentra la propria attività nelle opere di manutenzione e riqualificazione, ciò che all’epoca era richiesto dal mercato, per poi aprirsi anche al settore delle costruzioni.

evoluzioni dell’azienda? «Inizialmente l’attività di Ediltecno Restauri era particolarmente legata alle richieste di privati e condomini. Poi, grazie alle prestazioni qualificate, la rosa dei clienti è andata espandendosi sempre più con richieste ad ampio raggio, come quelle dell’Istituto Romano di Beni Stabili, di Seat Pagine Gialle, della Meie Assicuratrice che avevano esigenze di riqualificazione del loro patrimonio immobiliare. Abbiamo cominciato a lavorare nel campo edilizio negli anni 80, sia in proprio che in conto terzi, realizzando alcuni condomini nel lodigiano e due palazzi a Milano. Dopo la registrazione all’Albo Nazionale dei Costruttori, abbiamo potuto cominciare a lavorare nell’ambito degli appalti pubblici. Un ulteriore allargamento delle prestazioni si è verificato all’inizio degli anni ’90 quando l’azienda si è orientata verso i principali gestori di telefonia fissa e mobile, acquisendo esperienza nella trasformazione delle vecchie centrali telefoniche di tipo meccanico e nelle nuove centrali funzionanti a fibra ottica».

Quali sono state in questi anni le principali C&P

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Foto: Costanza Rampello

Il progetto ha previsto l’uso di tecnologie innovative e l’utilizzo di pannelli prefabbricati autopulenti in grado di abbattere gli inquinanti organici e inorganici presenti nell’aria e di mantenere pulita la facciata

Uno dei vostri ultimi lavori riguarda proprio un gestore di telefonia. Quali le caratteristiche principali del Vodafone Village da voi realizzato a Milano? «Entro la fine dell’anno consegneremo questo progetto, nel quartiere Lorenteggio a Milano, per il quale abbiamo curato tutta la parte edile. Il complesso di 67mila metri quadri, che sarà la sede europea della Vodafone, comprende tre torri da 16, 14 e 12 piani, alte rispettivamente 60, 55 e 42 metri, più un anfiteatro e una scuola materna. Il progetto, curato dagli architetti Rolando Gantes e Roberto Morisi dello studio PRP, ha previsto l’uso di tecnologie innovative e l’utilizzo di pannelli prefabbricati autopulenti in grado di abbattere gli inquinanti organici e inorganici presenti nell’aria e di mantenere pulita la facciata, grazie all’utilizzo di calcestruzzo con il TX Active®, che si autopulisce mediante i raggi solari. L’attenzione al risparmio energetico si esprime anche attraverso l’impianto di cogenerazione e la terrazza fotovoltaica. Inoltre, le vetrate che compongono il complesso permettono di 150

contenere le emissioni di CO2. Anche gli allestimenti interni, progettati dallo studio Dante O. Benini & partners architects, sono molto attenti alla sostenibilità e seguono i dettami della leed. La struttura tecnica interna, la collaborazione con i progettisti e con la committenza, nell’ingegnerizzazione del progetto e delle conseguenti attività di cantiere, hanno consentito il rispetto dei tempi. Il progetto infatti è stato avviato nel 2008 ed erano previsti quattro anni per la consegna». Il 2011 è un anno importante per Ediltecno Restauri. Oltre al completamento del Vodafone Village, avete realizzato anche il Museo Banca Intesa di Piazza della Scala. «Il Museo Banca Intesa di Piazza della Scala è l’altro importante lavoro del 2011, una sfida moderna tutta basata sulla qualità da garantire in tempi strettissimi. Il progetto dell’architetto Michele De Lucchi è stato realizzato con estrema cura nei dettagli, seppur con C&P


ARCHITETTURA SOSTENIBILE | Giancarlo Bassanini

Foto: Costanza Rampello

Nelle immagini, dettagli del complesso Vodafone Village, sede europea di Vodafone nel quartiere Lorenteggio a Milano

Foto: Costanza Rampello

tempi ridotti, grazie all’ingegnerizzazione e all’utilizzo della tecnologia. In questo caso abbiamo curato anche il progetto esecutivo architettonico in collaborazione con Project Care». Questi lavori sono stati importanti anche per la crescita dell’azienda e dello staff tecnico, da sempre una delle forze di Ediltecno Restauri. «Da sempre investiamo sulle risorse umane con uno staff di collaboratori capaci di interfacciarsi con gli strumenti tecnologici più sofisticati in modo da garantire alla nostra clientela la migliore prestazione professionale. Ediltecno Restauri vuole proseguire lo stretto rapporto con le committenti garantendo sempre il rispetto e la tutela del progetto, ricercando una stretta collaborazione con gli architetti e i progettisti. Nell’ambito di questa attenzione al mondo dell’architettura di qualità Ediltecno Restauri sarà sponsor del premio per l’architettura “A.prize 2012 Exposynergy premia l’architettura”, la cui giuria è presieduta da Benedetta Tagliabue».

C&P

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Materiali naturali e sostenibilità Verso un’architettura che rispetta il luogo in cui sorge e, nondimeno, l’ambiente. Sfruttando materiali rinnovabili e ottimizzando i consumi energetici. La filosofia degli architetti Marta Apolinari e Marco Schiavo di Carlo Gherardini

Dare vita a un’architettura edificata nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente. È questo l’obiettivo principale degli architetti Marta Apolinari e Marco Schiavo. Convinti della necessità che l’architettura di domani debba porsi come obiettivo la riduzione del consumo di territorio e di risorse naturali, orientano la loro attività verso interventi di recupero del patrimonio esistente con l’utilizzo di tecnologie e materiali a basso impatto ambientale. «Per troppi anni la speculazione edilizia ha trasformato il volto delle nostre periferie, con costruzioni il più delle volte di scarso valore estetico e qualitativo – afferma l’architetto Apolinari –. Oggi siamo giunti al punto di svolta: i cittadini, consapevoli e sempre più informati, chiedono qualità». «Cerchiamo di stimolare i nostri committenti a utilizzare materiali di origine naturale – continua l’architetto Schiavo –, a sfruttare fonti di energia alternativa, a isolare correttamente e adeguatamente 152

C&P


ARCHITETTURA SOSTENIBILE | Marta Apolinari e Marco Schiavo

In apertura, gli architetti Marta Apolinari e Marco Schiavo dello studio Area 41 architetti associati di Selvazzano Dentro (PD). Nelle altre immagini, dettagli del centro benessere Arnica di Rubano (PD) www.area-41.it

le costruzioni soprattutto per garantire il massimo comfort all’interno dei locali». Così il legno, l’acciaio, la pietra e il vetro si mescolano in un continuo rimando di citazioni tradizionali e contemporanee, nella convinzione che ogni nuova architettura, attraverso linguaggi sobri e geometrie semplici, debba fondersi con le sinuosità e le linee morbide della natura. Questa filosofia è esemplificata da uno degli ultimi lavori dello studio: l’abitazione e centro benessere Arnica a Rubano, in provincia di Padova. «La sostenibilità ambientale e l’elevato comfort abitativo hanno guidato le scelte progettuali sin dalle prime bozze di questo progetto» afferma Apolinari. Il committente/proprietario desiderava realizzare un edificio che potesse ospitare la sua abitazione e la nuova sede della sua attività di naturopata, una struttura che garantisse il massimo benessere ai suoi fruitori. «Si è scelta la struttura a tronchi di legno ma la sfida che abbiamo lanciato è stata dare a questo tipo di edificio, che nell’immaginario comune ricorda la baita di montagna, una nuova rappresentazione più C&P

rispondente ai caratteri dell’architettura contemporanea» continua Schiavo. Il legno proviene da foreste a coltivazione programmata e ha seguito un processo produttivo che riduce al minimo la produzione di rifiuti. La tipologia costruttiva in legno a tronchi è eccellente dal punto di vista statico e possiede ottime prestazioni termo-igrometriche. «Negli ambienti si genera un elevato comfort abitativo grazie a un ottimo controllo naturale dell’umidità dei locali. Il trattamento di finitura delle superfici ad olio e il sistema di isolamento termico realizzati con materiali di origine naturale salvaguardano il benessere psico-fisico degli individui e presentano elevati standard di compatibilità ambientale». «A questo – conclude Apolinari – si è aggiunto un sistema impiantistico di ultima generazione basato su riscaldamento e raffrescamento a pavimento, alimentati da una pompa di calore, un impianto di ventilazione confortevole e pannelli solari per l’acqua calda sanitaria. Tutto ciò ha consentito di poter certificare l'edificio in classe energetica A». 153


L’architettura che progetta il futuro Un’architettura a basso impatto ambientale, attenta alle necessità del territorio e dei cittadini, pone al centro l’edificio nell’intero corso del suo ciclo di vita: progettazione, costruzione e manutenzione. L’esempio del progetto ‘La Tuxa’, illustrato dall’architetto Margherita Bianco di Erika Facciolla

Oggi più che mai la progettazione architettonica degli edifici rappresenta una fase fondamentale dello sviluppo di un’edilizia riqualificante e sostenibile per le nostre città. Spinti dalle direttive dell’Unione Europea e da un ritrovato rispetto per l’ambiente, i professionisti del settore hanno l’importante compito di riportare ‘ordine’ e armonia in contesti urbani non valorizzati da precedenti interventi architettonici, con uno sguardo sempre più attento all’ecologia. È proprio questo l’obiettivo del progetto residenziale ‘La Tuxa’ che lo studio diretto da Margherita Bianco sta portando a termine in via Toce, nella zona nord di Milano, a due passi dal cuore del quartiere Isola, in un contesto nel quale coesistono fabbricati di epoche diverse, con 154

caratteristiche architettoniche variegate. Consapevole della crescente necessità di una progettazione integrata, lo studio si avvale di un team in grado di riunire tutte le competenze necessarie in termini sia di tecnologie sia di sostenibilità ambientale e comfort abitativo. Margherita Bianco sottolinea che «l’area urbana in cui si colloca questo nuovo edificio plurifamiliare – per un totale di 11 appartamenti, distribuiti su 6 piani - è caratterizzata da una forte discontinuità morfologica, dovuta a precedenti interventi che non mostrano un particolare “dialogo urbano”, dando origine così a un insieme di edilizia anonima e poco caratterizzante». La sfida è stata proprio la ricerca di un dialogo con il quartiere «considerando però – C&P


ARCHITETTURA SOSTENIBILE | Margherita Bianco

Nelle foto, il cantiere del progetto “La Tuxa” a Milano seguito dall’architetto Margherita Bianco ma.bianco@fastwebnet.it

puntualizza l’architetto – che la vivibilità, perseguita dal progetto, non poteva comunque prescindere dalle “abitudini percettive” di chi frequenta e abita la zona». A queste necessità si è cercato di rispondere con una tipologia d’intervento che risolvesse le varie esigenze urbanistiche ed edilizie, nel rispetto dei caratteri morfologici e architettonici. «Il rapporto con la città e il contesto urbano – spiega Margherita Bianco - viene ricercato attraverso la rivisitazione di alcuni stilemi tradizionali - come l’utilizzo della pietra naturale per il basamento - e la scelta di rispettare gli allineamenti con gli edifici adiacenti». Grazie a un attento studio dell’involucro esterno e a un’accurata progettazione impiantistica, l’edificio è stato concepito per rispondere alle specifiche richieste di alta efficienza energetica, sostenibilità ambientale e comfort abitativo, avanzate dalla società committente (Tao-88 srl). Il sistema strutturale, la scelta consapevole dei materiali di tamponamento e dei serramenti esterni riducono le dispersioni termiche e i fenomeni di risonanza acustica. «L’obiettivo principale del progetto – continua l’architetto – è il conseguimento delle certificazioni CasaClima, Leed e Classe A, unitamente a un alto livello di classificazione acustica». Il sistema di valutazione delle prestazioni energetiche e ambientali dell’edificio, pertanto, prevede l’analisi C&P

attenta di tutto il processo costruttivo che deve avvenire, in fase progettuale ed esecutiva, nel rispetto di specifici requisiti e norme che regolano la scelta, la fornitura e la posa dei prodotti; considerando risparmio energetico e idrico, riduzione delle emissioni di CO2 e miglioramento della qualità ecologica degli interni. «Tra i più importanti fattori di comfort abitativo conclude Margherita Bianco - sono da segnalare: il sistema di riscaldamento con pannelli radianti a pavimento, le piastre di cottura a induzione, un sistema di ventilazione meccanica controllata, un impianto solare termico e un sistema di recupero dell’acqua piovana. Tutto questo, per garantire la massima vivibilità, ottimizzando i consumi». 155


ARCHITETTURA SOSTENIBILE | Daniela Dilillo e Grazia Trombetta

Soluzioni architettoniche e ambientali Lo spazio come progetto in continua evoluzione rimanda a un’accezione di architettura sensibile alle tematiche ambientali. A parlarne sono Daniela Dilillo e Grazia Trombetta di Simona Langone

L’architettura moderna si allinea a un nuovo modo di concepire l’edificio, da una parte come struttura sostenibile, dall’altra funzionale. «L’edificio viene realizzato nel rispetto dell’ambiente e la moderna mentalità progettuale mira a una riduzione dei consumi attraverso un nuovo modo di costruire in armonia con il contesto ambientale, afferma l’architetto Daniela Dilillo, protagonista insieme a Grazia Trombetta delle idee concepite nello studio Architettura 2D». Lo staff prevede la collaborazione del geometra Filippo Dilillo e Luca Lamacchia. L’aspetto progettuale degli impianti che utilizzano energie rinnovabili è curato dall’ingegnere Bartolo Silvestri. «L’immobile a cui stiamo lavorando, un edificio residenziale sostenibile che sorgerà a Modugno, in provincia di Bari, si svilupperà su tre livelli fuori terra adibiti a residenza e prevede due piani interrati destinati a parcheggio e deposito. Gli involucri e gli infissi previsti hanno bassa trasmittanza termica. Gli impianti di tipo radiante permettono un elevato livello di efficienza considerando l’utilizzo di tecnologia a pompa di calore. Inoltre è prevista l’integrazione con l’impianto solare termico e fotovoltaico». L’impianto fotovoltaico sarà realizzato sul terrazzo, su una struttura in legno, perfettamente integrata con l’architettura dell’edificio e con l’ambiente circostante, in modo da ridurre la radiazione solare diretta alle abitazioni durante la stagione estiva, con conseguente vantaggio sui consumi per il raffrescamento. «L’impianto fotovoltaico coprirà il fabbisogno energetico dell’edificio sia per quanto riguarda il condizionamento, sia per quanto concerne i normali utilizzi elettrici condominiali e di ogni singola abitazione, aggiunge l’ingegner Silvestri. È previsto, infatti, un sistema di schermature solari delle facciate che permetterà di controllare la luminosità e la radiazione solare diretta nel periodo estivo». 156

Gli architetti Daniela Dilillo e Grazia Trombetta. Qui sopra, il render dell’edificio residenziale sostenibile, commissionato da Michele Silvestri e Maria Lucariello, che lo studio sta realizzando a Modugno 0802460111@libero.it

Infine è stato previsto un sistema di raccolta delle acque piovane riutilizzabili. La Regione Puglia con la Legge Regionale del 10 giugno 2008 n.13 - Norme per l’abitare sostenibile, ha stabilito dei premi per quelle abitazioni che raggiungono elevati target di sostenibilità ambientale. Questi incentivi purtroppo incontrano gli ostacoli di una burocrazia ancora troppo macchinosa. C&P



ARCHITETTURA CONTEMPORANEA | Saverio Renda

L’architettura è relazione Un giovane architetto, figlio d’arte, si confronta con le problematiche sempre attuali dell’architettura contemporanea. Saverio Renda rimette al centro l’idea che l’architettura è innanzitutto una ricerca del “costruire per l’uomo” di Salvatore Cavera

Intriso di una civiltà architettonica tra le più ricche al mondo, il territorio siciliano e la sua capitale sono ancora inesorabilmente sontuosi e degradati. Come svolgere il proprio compito di architetto poco più che ventenne, che raccoglie l’eredità di un padre – Gaetano Renda – che ha restaurato molti dei più importanti monumenti dell’isola? «Essere un architetto – spiega Saverio Renda – e trovarsi a guidare uno studio che ha venticinque anni di attività alle spalle e un nome impegnativo, Laboratorio per l’Architettura Storica, può sembrare una fortuna. In realtà sono costretto a confrontarmi con temi inediti e sicuramente critici: un consumo del territorio non più sostenibile, una finanza pubblica sempre più limitata, uno iato sempre più profondo tra le archistar e l’architettura quotidiana, le tecnologie costruttive in continua evoluzione, ma scarsissima sperimentazione. Questi sono solo alcuni degli orizzonti rispetto ai quali vorrei che la mia professione sapesse andare oltre». La straordinarietà dell’architettura italiana, nei secoli, Gaetano Renda, fondatore del Laboratorio per l’Architettura Storica, Palermo, nel convento di Sant’Anna in Sciacca (AG). Nell’altra immagine, Convento dei cappuccini, Salaparuta (TP). Nell’altra foto, Saverio Renda www.architetturastorica.it

è stata sempre caratterizzata dalla commovente armonia tra il costruito e il paesaggio naturale o urbano che sia. Oggi che finalmente anche le grandi opere sono costrette a rispettare il territorio in cui si inseriscono, l’architettura dovrebbe diventare opinion leader nel proporre il recupero dell’antico, per restituire a nuova e futura vita quanto è ormai solo iconografia del presente. «Il mio desiderio non può eludere una ricerca del “costruire per l’uomo”.Tutti gli architetti, credo, conoscano quel brivido del gesto artistico, del segno che dà senso, del fare affinché non ci dimentichino. Ma non credo che questo sia un atteggiamento corretto: l’architettura è innanzitutto relazione. Relazione con la committenza, relazione con il territorio, relazione tra le sue funzioni, relazione delle forme, relazione con la materia e, ovviamente, relazione con i budget. L’architetto è un artista quando ciò che realizza è sentito da chi lo vive come assolutamente necessario. L’architettura non ammette sprechi – in tutti i sensi – e la bellezza è una necessità umana. Se i miei desideri saranno il mio tormento, c’è un lusso che posso e devo permettermi: l’impegno concreto per l’ecologia, la democrazia e la bellezza. Gli architetti non sono forse chiamati a governare l’arte per la società?».



I profili della vecchia Milano Coniugare lo stile tipico del contesto in cui si interviene con il comfort delle più moderne tecnologie. Così si evolve l’architettura di Luigi Galardo, rimanendo sempre ancorata alle sue origini di Eugenia Campo di Costa

Un’architettura profondamente legata al territorio. Capace di intervenire sulla fisionomia della città rispettandone i tratti originari. Questa, in sintesi, la filosofia operativa di Luigi Galardo, immobiliarista e costruttore, titolare della Colombo Re di Milano. Che proprio sulla città meneghina concentra la maggior parte dei suoi lavori, acquistando terreni, pianificando le costruzioni, realizzandole e 160

vendendole. «Amo seguire i miei progetti dall’inizio alla fine – afferma Galardo – affiancando il cliente passo passo e andando incontro alle sue richieste, instaurando con esso un rapporto di sentita fiducia e collaborazione». L’edilizia residenziale ricopre la percentuale maggiore dell’attività di Galardo, anche se diversi sono i lavori in ambito industriale, per la maggior parte sempre, rigorosamente, a Milano. Un C&P


ARCHITETTURA E TERRITORIO | Luigi Galardo

Nel tondo, Luigi Galardo. A sinistra e nella pagina successiva, l’opera di edilizia residenziale da lui realizzata nel quartiere Navigli a Milano. Sotto, recupero di un’antica corte a Lainate galardo.luigi@libero.it

legame con la città che trapela in molte delle costruzioni di Galardo, come in una delle sue più recenti opere di edilizia residenziale, nel quartiere Navigli. L’opera di edilizia residenziale ai Navigli richiama le costruzioni della “vecchia Milano”, come mai questa scelta? «La scelta stilistica inganna l’osservatore, che spesso scambia quest’opera per una ristrutturazione. Invece è un complesso edilizio realizzato ex novo che volutamente richiama i profili della vecchia Milano. Proprio per il particolare contesto in cui sorge, ho ritenuto opportuno evitare linee troppo moderne, prediligendo una C&P

costruzione in armonia con il preesistente. A questo scopo, è fondamentale studiare non solo le architetture circostanti, ma anche altri dettagli del quartiere e tutto ciò che la zona offre. Credo che l’attenzione e il rispetto per il contesto, in un qualsiasi progetto architettonico, siano aspetti imprescindibili e fondamentali». Come si coniuga uno stile antico con le esigenze di modernità delle costruzioni di oggi? «Sto studiando diversi altri progetti che realizzerò riproponendo architetture tradizionali. I progetti prevedono naturalmente tutti i comfort e le moderne tecnologie, presenti anche nella residenza dei Navigli. L’abilità sta proprio nel riuscire 161


ARCHITETTURA E TERRITORIO | Luigi Galardo

La scelta stilistica inganna l’osservatore, che spesso scambia quest’opera per una ristrutturazione. Invece è un complesso edilizio realizzato ex novo che volutamente richiama i profili della vecchia Milano

a mantenere un equilibrio, a coniugare perfettamente lo stile antico e il comfort moderno». Un concetto che torna anche nelle ristrutturazioni? «Certamente. Per esempio a Lainate abbiamo ristrutturato di recente un’antica corte di fine 600 che comprende cinque appartamenti. Abbiamo fatto un intervento di risanamento e ristrutturazione, che ha coinvolto anche l’interno dei singoli appartamenti, decisamente rimodernizzati». Quale spazio trova il concetto di sostenibilità nel suo lavoro? «L’attenzione all’impatto ambientale e al risparmio energetico è ormai una costante in edilizia. Io insisto più sul risparmio energetico che sulla produzione di energia, sperimentando nuove tecnologie atte a minimizzare consumi e dispersioni. La produzione di energia oggi ha ancora costi troppo elevati e, se anche si monta un pannello fotovoltaico su un’abitazione, la quale però ha uno scarso isolamento, è vero che si produce energia, ma se ne 162

consuma anche altrettanta. Credo quindi che sia fondamentale, nella progettazione, studiare le diverse tecniche atte a isolare bene la casa, in modo da risparmiare quanta più energia possibile». Lei lavora prevalentemente su Milano. Qual è la situazione, in questo momento, in città? «Con l’attuale congiuntura economico finanziaria si può vendere solo in città. Qui, se il rapporto qualità/prezzo è giusto, ci sono ancora acquirenti. D’altra parte, devo tristemente constatare che oggi Milano, dal punto di vista dell’edilizia in senso stretto, è una città ferma. E le prospettive non sono buone. Il piano di governo del territorio approvato anni fa non è ancora partito e Milano è bloccata. Tra qualche anno ospiteremo l’Expo ma i cantieri per questo evento non sono ancora stati avviati, proprio perché il piano di governo del territorio è fermo e, con tutta probabilità rimarrà tale fino al prossimo anno. È evidente come questa situazione desti preoccupazione, non solo nel milanese: bloccare i cantieri significa bloccare gran parte del lavoro, e questo è un problema nazionale non solo locale». C&P



Il parcheggio in un borgo antico Una lunga fase di progettazione per agire in un contesto difficile e dagli spazi esigui anche per la logistica. Andrea Madini Moretti spiega com’è stata possibile la realizzazione del parcheggio di Varenna, sul lago di Como di Luca Cavera

Introdurre un parcheggio in un borgo antico, sulla riva del lago di Como. Un intervento necessario per il rilancio turistico del paese, ma con l’alto rischio di tradire l’identità del luogo. Una stretta collaborazione fra il progettista, l’ingegner Andrea Madini Moretti, l’Amministrazione Comunale e la Soprintendenza ai BB.AA. di Milano, ha permesso di integrare perfettamente la funzionalità e la forma, adeguandola al sapore di un paese lacustre ancorato a un’architettura antica e monumentale. La difficoltà della realizzazione è stata nella gestione stessa del cantiere, perché l’esiguità degli spazi e la complessita’ dell’intervento hanno richiesto lo studio di una logistica dedicata a questo specifico caso. Qual è stata la maggiore particolarità del 164

progetto e della sua realizzazione? «È stato un progetto particolare soprattutto per il contesto. Varenna è un borgo antico sulla riva del lago di Como che ha alle sue spalle un fronte montagnoso. È un paese che si è sviluppato dalle rive del lago sulle pendici della montagna e non ha viabilità interna, è attraversato da una sola strada, la vecchia statale. Poi ci sono solo viottoli pedonali, simili ai caruggi, che si sviluppano in verticale e sono molto stretti e ripidi. Prima della costruzione del parcheggio, chi voleva visitare Varenna era costretto a lasciare l’auto fuori dal paese e spesso, per questo motivo, rinunciava alla visita». Quali sono state le peculiarità di intervento per questo progetto? «Le particolarità fondamentali di questo cantiere C&P


ARCHITETTURA E TERRITORIO | Andrea Madini Moretti In queste pagine, panoramiche e dettagli del parcheggio realizzato a Varenna, sul lago di Como, dall’ingegner Andrea Madini Moretti (sotto) dello studio Engi.Co engi.co@engi.co.it

sono state proprio le modalità di inserimento nel contesto, tenendo conto che nelle immediate adiacenze ci sono due edifici monumentali molto importanti: Villa Monastero e Villa Cipressi, due bellissime ville con giardino sul lago, che sono fra gli elementi caratterizzanti di Varenna. Quindi si è trattato di ambientare una struttura che per la sua natura infrastrutturale è di tipo “industriale”, nelle immediate vicinanze di un complesso monumentale e di un borgo antico». C’erano delle richieste specifiche da parte degli enti locali? «Insieme alla soprintendenza abbiamo lavorato per più di un anno per trovare la giusta formula. Per esempio, sul luogo del cantiere c’era un muro andatorio che sosteneva una scuola dismessa che è stata demolita e c’era anche un ammasso roccioso. La soprintendenza ha voluto, a ragione, un rivestimento della facciata in pietra che richiamasse quello originario. Inoltre, un’autorimessa ha bisogno C&P

di aperture di ventilazione e la cosa più difficile è stata trovare il modo di realizzare queste “finestre”. Ma abbiamo trovato l’espediente di realizzare queste aperture usando gli archi, che sono un elemento tipico del lago, perché tutte le gallerie ferroviarie risalenti al secolo scorso sono ad arco». Di cosa si occupa prevalentemente il vostro studio? «Engi.Co è una società di ingegneria che si occupa di opere civili e infrastrutturali, edilizia pubblica e privata. I nostri committenti sono prevalentemente società immobiliari e aziende che sono gli stessi utilizzatori finali del bene. Gestiamo l’intervento tecnico chiavi in mano in tutti i suoi aspetti. Ci occupiamo anche di ingegneria sismica, per la quale ci avvaliamo del coordinamento del mio socio prof. ing. Paolo Riva, Ordinario di Tecnica delle Costruzioni presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bergamo, uno dei maggiori esperti di ingegneria sismica in Italia». 165


La qualificazione degli spazi restituisce vita alle città Valorizzare contesti urbani privi di qualità, attraverso interventi mirati in grado di “risvegliare” le coscienze e il senso di appartenenza a una comunità. È questo, secondo Giovanni Lovece, il compito della progettazione urbanistica di Matteo Rossi

Una concezione dell’architettura che si inserisce nel solco della tradizione classica e di quella locale, in cui il gesto progettuale viene interpretato come una risposta a esigenze semplici e allo stesso tempo fondamentali, come la bellezza e l’utilità. «L’architettura pugliese si caratterizza per una forte predilezione per l’uso della pietra da taglio, che ha influenzato notevolmente anche la nostra attività», sottolinea Giovanni Lovece, titolare insieme alla socia Anna Stella Tinelli dello Studio Lovece Tinelli Architetti, fondato nel 1982 con sede a Putignano, in provincia di Bari. «Quasi tutti i nostri progetti hanno nella pietra il loro elemento fondante, che concorre 166

C&P


ARCHITETTURA E TERRITORIO | Giovanni Lovece

Nella pagina accanto, l’architetto Giovanni Lovece e l’architetto Anna Stella Tinelli, titolari dello Studio Lovece Tinelli. Nelle altre immagini, i progetti realizzati dallo studio g.lovece@awn.it www.lovecetinelliarchitetti.it

alla definizione stessa dell’oggetto architettonico. Il rivestimento in pietra calcarea – prosegue Lovece contribuisce infatti in maniera sostanziale alla definizione dello stesso involucro edilizio, in quanto la dimensione complessiva dell’edificio è strettamente collegata alla dimensione delle pietre utilizzate». Quella dello studio è un’attività completa, che, come ricorda Lovece, spazia dal recupero e restauro degli edifici storici alla progettazione urbanistica, con un particolare interesse per la realizzazione di progetti di edilizia di tipo residenziale mirati alla valorizzazione degli spazi cittadini: «Nel corso dei secoli l’architettura è stata spesso utilizzata dai potenti di turno, soprattutto sul nostro territorio, come un mezzo per dimostrare il loro potere, attraverso la realizzazione di opere di assoluto livello che sono giunte fino a noi. Oggi, purtroppo, il degrado economico e sociale, che ha colpito in particolare il sud, ha prodotto come diretta conseguenza il fiorire di un’edilizia di bassa qualità, che finisce per incidere negativamente anche sulla vita delle persone. Con il nostro lavoro cerchiamo di contribuire al miglioramento di questa situazione, intervenendo soprattutto su contesti asettici e privi di qualità». C&P

Proprio per questo, secondo Lovece, l’attività dello studio non si traduce in un’opera di riqualificazione, quanto piuttosto di una vera e propria qualificazione degli spazi, altrimenti abbandonati a loro stessi. «L’obiettivo dei nostri progetti è quello di innescare un processo di trasformazione dei luoghi su cui andiamo ad agire, per cercare di suscitare, in chi li abita, un nuovo e più profondo senso di appartenenza comune, che nelle città contemporanee si sta pian piano smarrendo». Sono tanti gli interventi portati a termine dallo studio in questi anni, sempre caratterizzati dalla ricerca di nuove soluzioni architettoniche che, come detto, possano produrre benefici tangibili per l’ambiente circostante e per la popolazione. «Attualmente stiamo seguendo diversi interventi rappresentativi di questa nostra filosofia, che si inseriscono sempre all’interno di situazioni in cui il degrado la fa da padrone. Nel nostro piccolo, per quanto possibile – conclude Lovece - vogliamo contribuire a creare quel minimo di tensione necessaria a smuovere un po’ l’interesse della gente nei confronti dell’architettura, in modo che chiunque possa apprezzare, e riconoscere come patrimonio della collettività, le bellezze architettoniche che pure sono presenti nelle nostre realtà urbane». 167


Come i cartografi del seicento «Quando siamo chiamati a intervenire in un luogo cerchiamo di distillarne gli elementi più caratterizzanti, proprio come facevano i cartografi». La filosofia degli architetti Massimo Bressanelli, Mauro Piantelli, Cristian Sangaletti e Carlo Vailati, dello studio DE8 architetti di Nicoletta Bucciarelli

Lavorare in maniera contemporanea su scale d’approfondimento differenti. Questa è la filosofia dello Studio DE8 architetti di Bergamo. «Ci consideriamo non-specializzati, nel senso che sviluppiamo progetti eterogenei e a scale molto differenti, destrutturando gli ambiti di conoscenza specialistica. Questo probabilmente è il nostro punto di forza». Racconta l’architetto Mauro Piantelli. «Anni fa fummo premiati per il nuovo concept di una catena internazionale di Hotel pur essendo la prima volta che ci occupavamo di interior design. Quasi certamente il successo dipese dal fatto che utilizzammo un approccio urbanistico anche nella definizione degli spazi interni». PROGETTI SOSTENIBILI Idee chiare nello Studio DE8 architetti, anche in tema di 168

C&P


ARCHITETTURA E PAESAGGIO | Mauro Piantelli

Lo staff dello Sudio DE8 architetti di Bergamo. In apertura il progetto del 31° piano del grattacielo Pirelli. Sotto, l’Ecoforum in Val Seriana www.deottostudio.com

sensibilità ambientale. «Noi abbiamo iniziato a occuparcene quando ancora non era così “fashion” essere sostenibili. In qualche modo oggi la sostenibilità ambientale tende ad essere un elemento stilistico. Noi invece aborriamo questa idea. Contrastiamo il fatto che la sostenibilità ambientale si porti dietro uno stile precostituito. Bisogna infatti tenere sempre in primo piano le qualità oggettive che un edificio dovrà avere ed il tipo di reazione che svilupperà nel proprio contesto. Combattiamo la concezione che si debba capire aprioristicamente che un edificio è sostenibile». IL GRATTACIELO PIRELLI Uno dei progetti più rappresentativi dello studio è stato quello legato all’ultimo piano del grattacielo Pirelli ( in collaborazione con lo studio 2 Architetti). «Per noi è stato un intervento molto delicato. Entravamo in punta di piedi nella storia dell’architettura e, ancora una volta, abbiamo cercato di evidenziare il carattere del luogo. L’architettura e l’ingegneria in quel contesto avevano funzionato in sinergia perfetta e noi abbiamo cercato di essere coerenti con quello che avevamo compreso del progetto originario. Siamo molto orgogliosi del risultato finale. Al 31°piano c’è una qualità di luce eccezionale, quasi sacra».

C&P

L’ECOFORUM In questo caso «il punto di forza è aver realizzato un’architettura contemporanea in un luogo come l’alta Valle Seriana. Un contesto montano in cui, pur utilizzando una scala inconsueta per il luogo, abbiamo realizzato un progetto che mette in scena il paesaggio, riscattando il luogo su cui sorge. L’Ecoforum sorge infatti in un contesto artigianale dove il resto delle strutture è costituito da anonimi spazi produttivi prefabbricati». LA “RICERCA DEL PAESAGGIO” «Immaginiamo l’architetto come una sorta di cartografo. Il cartografo del 600 non riporta fedelmente sulla carta tutti gli aspetti fisici del terreno. Media con la propria sensibilità, utilizza i disegni in pianta mescolandoli con le viste prospettiche, senza rigore scientifico. Quello che ci consegna è una sua lettura del paesaggio, personale, critica. Oggi, pur avendo strumenti più precisi, non sempre riusciamo ad avere l’esatto carattere di un luogo. Quando siamo chiamati a intervenire su un posto cerchiamo di distillare gli elementi più caratterizzanti, proprio come facevano i cartografi. Raccontare una storia con quegli elementi, dove l’architetto è chiamato ad essere filtro critico rispetto al paesaggio». 169




L’urbanistica nell’era dell’energia a kilometri zero I cambiamenti nel modo di produrre energia influenzeranno anche la sua distribuzione. Un ridisegno complessivo della rete elettrica contribuirà a cambiare l’aspetto delle città. La parola a Massimo Botti di Luca Cavera

Nell’imminente riorganizzazione energetica, in previsione della prossima integrazione dei nuovi generatori elettrici e termici nel futuro panorama urbano, l’architettura dovrà lavorare a stretto contatto con le aziende del settore energetico, per ridisegnare gli insediamenti umani secondo una nuova concezione della produzione di energia: il km zero. È questa l’idea portata avanti da Massimo Botti, direttore generale di Finenergy, una società appartenente al gruppo multinazionale B.B.S. Energy Group che investe nello studio e nell’analisi del mercato, delle infrastrutture e degli operatori energetici presenti sul territorio nazionale. Lo sviluppo di nuove reti energetiche, in particolare elettriche, quale gioco rivestirà nell’evoluzione del panorama urbano italiano? «Lo sviluppo delle energie rinnovabili ha dato un impulso importante per la rimappatura della rete 172

elettrica nazionale. Oggi la produzione di energia elettrica è generata da grandi centrali comunemente lontane dall’utenza finale. Questo ha imposto la realizzazione di una rete distributiva molto lunga e articolata, con rischi di potenziali sovraccarichi. Nel futuro, grazie alle energie rinnovabili localmente diffuse, l’energia prodotta in una zona verrà consumata direttamente dalle utenze limitrofe, sarà insomma un’energia a km zero». Su cosa occorre fare leva affinché il mondo dell’urbanistica e dell’architettura pongano al centro dei loro progetti il tema dell’energia e delle reti elettriche? «L’architettura non può non interessarsi al mondo dell’energia. Oggi, un committente che appalta la realizzazione di un edificio o di un’area urbana, basa la sua scelta su elementi architettonici che tengono conto di un’ottima efficienza energetica. Basta C&P


NUOVE RETI ENERGETICHE | Massimo Botti

Massimo Botti, Dg della società Finenergy www.finenergy.eu

Nel futuro, grazie alle energie rinnovabili localmente diffuse, l’energia prodotta in una zona verrà consumata direttamente dalle utenze limitrofe

soltanto ricordare che attualmente per le aziende la seconda voce di bilancio è diventata l’energia. Il tratto dell’architetto è necessario all’armonizzazione del paesaggio urbano. Per questo in futuro l’integrazione di queste competenze professionali con quelle delle imprese che hanno il know how energetico sarà vincente». In cosa consiste il progetto E+1? «E+1 è un modello di efficienza energetica per gli edifici che utilizzano le fonti rinnovabili. Queste vanno a integrarsi in un progetto architettonico che tiene conto di tutti gli aspetti, positivi e negativi, del sito di realizzazione, ottimizzando la necessità energetica dell’edificio stesso. L’obiettivo è quello di raggiungere l’abbattimento totale dei costi energetici, generando inoltre, dove possibile, un utile annuale. Siamo arrivati al traguardo di questo progetto grazie a due anni di collaborazioni con i C&P

ricercatori di varie università e con i laboratori di diverse case costruttrici di materie prime». Attualmente su quali altri progetti state lavorando? «Il nostro gruppo ha in fase di collaudo un prodotto denominato Visolis Roof che aumenterà la produzione di energia dei generatori fotovoltaici. È un sistema basato su tre elementi fondamentali: il controllo e il collaudo permanente e ridondante, una nuova tecnologia fotovoltaica – che inizia a produrre già in presenza della semplice luce diffusa aumentando, notevolmente l’efficienza – e la riduzione attraverso sistemi automatici del fermo generatore, garantendo il tempo di connessione al 98%». Quali riscontri state ottenendo dal mercato nazionale? 173


NUOVE RETI ENERGETICHE | Massimo Botti

L’architettura non può non interessarsi al mondo dell’energia. L’integrazione con il know how delle imprese del settore energetico sarà vincente

«Come in tutti i nuovi mercati, gli attori che si affacciano per la prima volta sono molteplici e di varia natura. Dopo tre anni di sviluppo senza regole, oggi il mercato sta maturando e prende sempre più la forma del mercato dei beni durevoli, basando la richiesta sulla garanzia e la qualità dell’offerta proposta. Oggi la maggior parte dei clienti è molto più attenta e capace di capire cosa compra, grazie anche all’ausilio degli istituti bancari che entrano nel merito delle scelte tecniche per garantirsi l’effettiva redditività del generatore». Con quali altri partner e altri operatori energetici collaborate? «I nostri partner principali, con i quali collaboriamo anche per il settore ricerca e sviluppo, sono Qcell per i pannelli fotovoltaici, Gefran per gli inverter, K2 per i sistemi d’ancoraggio e Seneca per i componenti di lettura correnti e tensioni. Tutte queste realtà sono parte attiva allo sviluppo del prodotto Finenergy e ci permettono di essere costantemente innovativi e affidabili, offrendo ai nostri clienti opportunità di investimento nel mondo delle energie rinnovabili in linea con le garanzie reali e consolidate dal gruppo». 174

Quali sono gli obiettivi e le prospettive per il prossimo biennio della vostra società? «L’obiettivo primario è quello di consolidare la posizione del gruppo Finenergy all’interno del mercato dell’energia rinnovabile. Per raggiungerlo la nostra offerta è articolata fra affidabilità, efficienza e garanzia nel tempo. Ogni nostra realizzazione viene definita sulle reali esigenze del cliente, con prodotti su misura. Il nostro gruppo ha in programma un aumento progressivo dei fatturati con una media del 30% annuo per il prossimo triennio». C&P



Verso un uso più razionale dell’energia La priorità dal punto di vista ambientale ma anche economico consiste oggi nel ridurre i consumi e ottimizzare l’utilizzo dell’energia disponibile. Per questo è necessario proporre soluzioni atte allo scopo, come spiega Norbert Klammsteiner di Francesco Bevilacqua

Chi ha detto che il risparmio energetico è una pratica attuabile solo su piccola scala? La specialità dello studio Energytech Ingegneri di Bolzano è proprio la progettazione e il controllo dell’esecuzione di impianti e strutture a elevata efficienza energetica, secondo le logiche dell’uso efficiente dell’energia e dell’uso di fonti energetiche rinnovabili per strutture di grande dimensione, in Alto Adige e su tutto il territorio del Nord Italia. «In particolare – spiega l’ingegner Norbert Klammsteiner – sviluppiamo sistemi energetici per strutture turistiche e strutture e insediamenti produttivi e amministrativi. Negli ultimi anni lo studio sta eseguendo progettazioni e direzione dei lavori di impianti di produzione di energia quali impianti cogenerativi, a combustibili tradizionali, a olio vegetale o a gas di pirolisi. Si sviluppano anche progetti sugli impianti idroelettrici ed eolici, per i quali si offre anche un servizio di assistenza alla gestione e di svolgimento delle pratiche amministrative». 176

Quali sono le caratteristiche del Lefay Resort, da voi recentemente realizzato? «È una struttura affacciata sul Lago di Garda che, in linea con una filosofia di sostenibilità, può contare su un impianto di riscaldamento che funziona a energia rinnovabile. Le tecnologie utilizzate sono biomasse, cogenerazione, trigenerazione e fotovoltaico. Il Resort è stato costruito, su progetto dello specialista in strutture alberghiere di lusso Hugo Demetz, in modo C&P


SISTEMI ENERGETICI | Norbert Klammsteiner

Norbert Klammsteiner della Energytech Ingegneri di Bolzano www.energytech.it

da massimizzare l’uso razionale dell’energia a partire dal concetto architettonico di integrazione dei singoli volumi nei pendii della collina e dall’esposizione a sud che favorisce l’uso passivo dell’energia solare. L’edificio inoltre è stato rivestito da un involucro isolato termicamente che evita le dispersioni energetiche. Obbedisce alla stessa finalità anche la centrale termica a biomassa di 720 KW installata in un locale adiacente per agevolare la manutenzione e trasporto di combustibile senza disturbare la struttura principale. Il ciclo di produzione energetica avviene nel pieno rispetto dell’ambiente, a partire dalla materia prima, il cippato di legno, lo scarto delle segherie».

Il Lefay Resort è stato costruito in modo da massimizzare l’uso razionale dell’energia

Come funziona? «Il calore che dalla centrale arriva all’hotel tramite le tubazioni interrate e isolate di teleriscaldamento, consente di riscaldare capillarmente tutto l’edificio, coprendo così il 70% di fabbisogno energetico della struttura per riscaldamento con un risparmio annuo di circa 150 mila litri di gasolio e una riduzione di emissioni di CO2 di circa 600 tonnellate. Ma non è tutto: la presenza nell’impianto di due microturbine di cogenerazione permette la produzione contemporanea di energia elettrica e termica, con il risultato di disporre in inverno di calore per il riscaldamento ambientale e per l’acqua calda sanitaria mentre d’estate, tramite la raccolta di calore prodotto dalle microturbine in una macchina frigorifera ad assorbimento, si possono raffrescare tutti gli ambienti del complesso. Inoltre, sono stati installati dei pannelli fotovoltaici inseriti nella cupola di vetro che sovrasta la sala del ristorante principale». Un altro interessante progetto realizzato è la nuova sede della Provincia di Treviso. «Il lavoro è stato svolto in un ampio areale di parco e ha previsto il risanamento energetico di edifici esistenti e sotto tutela paesaggistica, adattati in modo da migliorare i valori fissati dalla legislazione in materia di contenimento energetico. Inoltre, tutto l’areale viene servito da un nuovo impianto di teleriscaldamento e teleraffrescamento. La centrale energetica si basa sull’uso della biomassa per il riscaldamento ambientale e permette un notevole risparmio economico e il ricorso a una fonte rinnovabile e locale».

C&P

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I “sarti” dell’energia Costruire edifici energeticamente autonomi su misura del committente. Nicola Passuello descrive un intervento in cui questo ambizioso obiettivo è stato raggiunto di Emanuela Caruso

È possibile raggiungere l’obiettivo di un’abitazione autosufficiente dal punto di vista energetico? Sì, valutando attentamente le esigenze del committente, pensando e ripensando soluzioni adatte al caso specifico, ricorrendo a tecnologie sostenibili e a basso impatto ambientale e affidandosi a persone capaci ed esperte. Ad assicurarlo è Nicola Passuello, della veneta RiEnergie, società impegnata nella consulenza e progettazione d’impianti che utilizzano fonti rinnovabili e leader nelle riqualificazioni energetiche chiavi in mano. La forza di questa azienda viene dal suo approccio e dal team aziendale. «Avere una squadra interdisciplinare con competenze specifiche – prosegue Passuello, responsabile dell’efficacia dell’azienda – ci permette di affrontare tutte le richieste con la sicurezza di poter sempre trovare la soluzione migliore e completa. Uno degli ultimi interventi è stato quello su 178

una costruzione in legno». Cosa avete dovuto affrontare e quali obiettivi vi siete posti? «Si trattava di una casa con garage e locali tecnici interrati e due piani fuori terra. I pacchetti d’isolamento delle pareti, del tetto e dei serramenti erano buoni e i valori energetici di progetto già bassi rispetto alla media, ma il committente voleva un edificio energeticamente autonomo oltre che confortevole. Tale desiderio ci ha spinto a riprogettare alcuni elementi della casa». Dopo la progettazione, quali sono stati gli interventi effettuati? «Abbiamo realizzato un “tetto energetico” composto da un impianto solare termico che oltre a produrre l’80% del fabbisogno di acqua calda sanitaria, integra il C&P


RIQUALIFICAZIONI ENERGETICHE | Nicola Passuello

In apertura, Nicola Passuello, di RiEnergie S.r.l. www.rienergie.it

riscaldamento degli ambienti e da un impianto fotovoltaico capace di coprire il totale fabbisogno elettrico. È stato installato un volano termico, cioè un grosso serbatoio di acqua, dove sarà convogliata tutta l’energia termica raccolta, una caldaia a pellets di legno con serbatoio stagionale interrato, che consente il massimo rispetto per l’ambiente e un risparmio economico del 40% rispetto all’uso del metano, un sistema di recupero delle acque piovane, un impianto domotico, nonché tutti gli impianti tecnologici tradizionali quali l'aspirazione centralizzata, la distribuzione idrica, i bagni, l'irrigazione. Tutto con qualità, senza sforare dai budget pattuiti e nel rispetto del cronoprogramma». Quali sono i vostri obiettivi e come gestite i lavori che vi vengono affidati? «La prima cosa da fare è rendere consapevole il C&P

committente delle sue reali necessità e di come sia possibile soddisfarle, ci adoperiamo per convincerlo che è rischioso affrontare le operazioni senza la dovuta progettazione e preparazione organizzativa. Raccogliamo quindi le idee di tutti gli attori coinvolti per identificare un progetto di massima e definire il budget economico. Successivamente progettiamo l’intervento nella sua interezza, analizzando tutti i dettagli nella loro specificità. E infine realizziamo le opere con personale specializzato, per garantire il più alto livello di qualità di esecuzione. Il risultato è un edificio energeticamente efficiente, economico nella gestione, “cucito” su misura del committente». 179


RINNOVABILI | Angelino Trivellato

Il futuro dell’energia Il fotovoltaico esce da mesi di incertezza che hanno paralizzato il mercato delle rinnovabili. «Gli incentivi ci saranno sino al 2016 e i business plan sono buoni grazie alla drastica riduzione dei costi delle materie prime». Il punto di Angelino Trivellato di Francesco Bevilacqua

La Check Srl ha sede a Padova www.checksrl.net

«Quello che è accaduto quest’anno è stato sconcertante: cambiamenti repentini delle regole e tempi lunghi nella definizione delle nuove misure hanno determinato poca sicurezza nel diritto e hanno cambiato l’atteggiamento degli investitori. Il mercato è stato paralizzato per cinque mesi e solo ora si sta lentamente riprendendo, nonostante le difficoltà del sistema bancario». È questa l’analisi fredda ma realistica di Angelino Trivellato, amministratore delegato della Check Srl, azienda padovana che realizza impianti fotovoltaici. «Gli incentivi ci sono ancora sino al 2016 e i business plan sono buoni grazie alla drastica riduzione dei costi delle materie prime. L’investimento è ancora interessante e gli investitori sono ritornati in forze. L’abbandono del nucleare ci offre sicurezza per il futuro», prosegue Trivellato prospettando uno scenario incoraggiante. Il fotovoltaico è anche conveniente, perché un impianto produce per quarant’anni attingendo dal sole, che non costa nulla e non si presta a speculazioni. Con le energie rinnovabili è possibile 180

mantenere la ricchezza sul territorio per incrementare lavoro e investimenti. «In una conferenza – prosegue Trivellato – ho sentito dire che il fotovoltaico è obsoleto: niente di più falso. Da quando si è capito che poteva interessare un mercato più vasto e che i fatturati sarebbero aumentati in maniera esponenziale, si è investito molto e questa tecnologia ha avuto una rapidissima evoluzione in termini di resa e di riduzione dei costi di produzione». Il punto di grid parity è stato raggiunto e per il 2016, quando cesserà il Conto Energia, la sola produzione di energia elettrica sarà sufficiente a ripagare l’impianto e distribuire utili. «È stato un errore – conclude Trivellato – non stabilire modalità più efficienti di distribuzione degli incentivi. Non viene detto però che la produttività fotovoltaica si esprime nelle ore diurne, quando il costo di acquisto dell’energia è più alto. Inoltre, le tasse su incentivi e vendita fanno sì che il costo a carico dello Stato non sia così oneroso come si crede». C&P



Grid parity, il futuro vuole il solare Secondo le previsioni del Ministero dell’Ambiente, entro i prossimi 15 o 20 anni ogni famiglia potrebbe essere in grado di produrre energia solare sul tetto della propria abitazione. Ne parliamo con Amedea Canovi di Emanuela Caruso

L’energia inviata sulla Terra dal sole è l’alternativa ai combustibili fossili. È sicura, pulita ed ecocompatibile al 100%. Arriva sul nostro pianeta in una quantità 10mila volte superiore a quella che tutto il mondo utilizza ogni giorno, è gratuita e, al contrario di petrolio e metano, illimitata. Lo Stato incentiva il suo utilizzo e le aziende del settore energetico studiano il metodo migliore per usarla in modo intelligente. I risultati di ricerche e studi vari hanno portato tutti

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alla stessa considerazione: per ottenere dai raggi del sole corrente utilizzabile nella rete tradizionale è necessario installare un impianto fotovoltaico. E proprio del fotovoltaico la società Elettrica Andreoli, nata a Savignano, in provincia di Modena, ha fatto il fulcro della propria attività. «Un impianto di questo tipo – spiega Amedea Canovi, amministratrice dell’azienda –, se ben progettato, può essere vantaggioso sia in termini ecologici, perché protegge e non inquina l’ambiente, sia in termini economici, in

C&P


RINNOVABILI | Amedea Canovi

In queste pagine, alcuni sistemi di produzione di energia da fonti rinnovabili disponibili anche presso Elettrica Andreoli Srl di Savignano sul Panaro (MO) www.elettricandreoli.il

La Grid Parity si raggiunge quando il costo dell’energia prodotta con sistemi fotovoltaici coincide con quello prodotto da fonti convenzionali

quanto l’utilizzo di energia “pulita” riceve incentivi e ricompense dallo Stato». A questo punto è però doveroso aggiungere che gli impianti fotovoltaici non sono gli unici a sfruttare l’energia del sole e che anche gli altri sistemi rappresentano un’ottima alternativa a metano e petrolio. «Quando si parla di impianti solari, ci si riferisce in realtà sia a quei sistemi che trasformano l’irraggiamento in corrente elettrica, e cioè il fotovoltaico, sia a quelli che trasformano l’irraggiamento in calore, cioè gli impianti solari termici. Ulteriore precisazione riguarda, poi, il modo di sfruttare il sole. Nei casi citati prima, lo sfruttamento è attivo e diretto, ma può anche succedere che sia passivo, cioè che l’energia del sole sia sfruttata indirettamente. Questo metodo prevede che le abitazioni vengano strutturate in modo tale che il sole possa contribuire al riscaldamento dell’ambiente, ad esempio orientando le finestre verso sud. Anche alcune fonti di energia rinnovabile, come le centrali elettriche a biomassa, gli impianti eolici e le pompe di calore aria-aria, usano il sole in modo passivo». A oggi, la Elettrica Andreoli è in grado di fornire C&P

qualsiasi tipo di impianto e di soluzione innovativa, altamente motivata anche dal recente aumento del numero di persone interessate a installare impianti a risparmio energetico. «Le persone che scelgono di integrare la propria abitazione o azienda con impianti solari sono sempre di più, e in particolar modo quelle che richiedono sistemi solari da installare sul tetto. Questo è un dato davvero molto positivo, perché non significa solo che finalmente si sta sviluppando una forte sensibilità verso il rispetto per l’ambiente, ma anche perché contribuisce a rendere concorrenziale l’energia solare, ciò vuol dire che l’aumento delle unità di impianti richiesti, realizzati e installati comporterà una diminuzione dei prezzi. È stato infatti calcolato che negli ultimi due anni il costo dei componenti dei vari sistemi sia diminuito del 50 per cento, soprattutto grazie alla diffusione del fotovoltaico. Ora, l’obiettivo futuro di tutti gli operatori del nostro settore è quello di raggiungere la cosiddetta Grid Parity, ovvero di far coincidere il costo per kWh prodotto con sistemi fotovoltaici con quello per kWh prodotto da fonti convenzionali, e questo per tutti gli utenti e tutte le fasce orarie». 183




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SCATTI D’AUTORE | Marco Zanta

In apertura, Tripoli 2010; a destra, il fotografo Marco Zanta

Dal rigore delle forme alla quiete apparente Le cose, la città, la casa: attorno a questi nuclei narrativi, inaspettatamente messi assieme grazie al contenitore del web, si snoda l’ultima ricerca di Marco Zanta, il fotografo dallo sguardo gelido ma che, come ama ripetere citando i maestri Walker Evans e Luigi Ghirri, accarezza con gli occhi il mondo e i suoi paesaggi costruiti di Paola Maruzzi

Marco Zanta ha iniziato a occuparsi di fotografia negli Ottanta, quando in Italia si era da poco chiusa la stagione concettuale per ritornare a una nuova idea di formalismo. Da allora ha viaggiato in Europa, negli Stati Uniti, in Estremo Oriente e nel Nord Africa, studiando le forme, l’architettura, il paesaggio urbano e industriale. Ma seppure il suo sguardo sia sempre stato aderente alla realtà, il racconto fotografico che ne è derivato si colloca agli antipodi del reportage: non c’è nessuna intenzione di “impressionare” lo spettatore, la visione di Zanta è distaccata, fredda. «Le mie sono carezze che faccio al mondo – spiega – un tentativo di mettere ordine nel caos, rendendo intellegibile e familiare ciò che raccolgo». È una lezione che Zanta ha imparato lavorando per i grandi architetti, portando avanti un discorso parallelo. «Tutto è rappresentazione, non c’è contraddizione tra i due linguaggi. Ecco perché non ho mai separato la mia personale ricerca artistica da quella di committenza». Fotografia e architettura, due visioni a confronto. In C&P

cosa consiste il rapporto? «È fatto d’amore e d’odio, come tutte le relazioni profonde. Fotografare le architetture per me non è solo un lavoro, trovo appassionante tutto ciò che è legato a questa disciplina, ma devo ammettere che non sempre gli architetti comprendono il nostro linguaggio, un paradosso se si pensa che la fotografia sia uno dei modi più idonei per raccontarli. In fondo capisco anche gli architetti, nelle loro opere c’è tutta la loro espressività, quello che hanno prodotto visceralmente: non è semplice affidarle al punto di vista di un altro. Ecco perché è importante che si crei la giusta sinergia». Con chi l’ha trovata? «Senza dubbio con John Pawson. È stato un onore raccontare la sua architettura, l’ho sempre stimato per quel suo modo di progettare ragionando sulle modificazioni della luce, un po’ come fa la fotografia». Subisce il fascino dal linguaggio architettonico, ma questo ha esercitato anche una vera e propria 187


Sopra, Pompei 2011; nella pagina seguente, Senigallia 2011 e Treviso 2011

influenza sulla sua ricerca artistica? «Sì. Ho iniziato a interessarmi di fotografia rivolgendomi all’architettura. La committenza mi ha aiutato a crescere anche culturalmente; all’inizio ne ero forse inconsapevole, poi ho amato la rappresentazione del territorio e ho capito che mi interessava il costruito. Non ho mai separato la fotografia di ricerca da quella di committenza, ho sempre fatto in modo che formassero un prodotto unico». La sua è un’esperienza comune ad altri artisti, si pensi al sodalizio tra Aldo Rossi e Luigi Ghirri, un fotografo i cui rimandi sono ben presenti nelle sue opere. È così? «Ghirri è stata una figura importante, non solo culturale, a lui sono stato legato come amico negli ultimi suoi anni di vita. I suoi scritti mi hanno fatto capire quanto complessa fosse la fotografia e quante 188

Adopero consapevolmente la fotografia per creare ordine nel mondo. È come impadronirsi di qualcosa, provare affetto relazioni avesse con gli altri linguaggi. Magari tecnicamente era inferiore ad altri, ma è stato un intellettuale straordinario». Tra i suoi ultimi lavori c’è la trilogia “le Cose, la Città, la Casa”. Come è nato il progetto? «Si tratta di lavori distinti a cui ho lavorato simultaneamente. L’idea di affiancali è nata dal web, mettendoli sul mio sito internet. Non so, infatti, se diventerà un libro. Nella loro diversità c’è un filo comune ed è quello che porterà avanti il mio discorso sulla fotografia». L’Aquila del post terremoto, Tripoli poco prima della rivoluzione: nelle città cerca soprattutto il C&P


SCATTI D’AUTORE | Marco Zanta

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SCATTI D’AUTORE | Marco Zanta

Nella pagina precedente, dall’alto, Napoli 2011, Shanghai 2011; sopra, Qingdao 2011

cambiamento, come se nelle situazioni di precarietà trovasse più cose da dire. «Nel caso di Tripoli c’è un cambiamento oggettivo e uno invisibile, accaduto mentre stavo lavorando. Ero lì per documentare due edifici, una scuola e un museo. Una volta arrivato ho scoperto che per noi italiani Tripoli era inesistente dal punto di vista iconografico. Ho trovato una città priva di identità, un tessuto urbano variegato e per certi versi familiare: a tratti Tripoli somiglia all’Italia, ci sono analogie con Bologna, con Genova. Da qualche anno Gheddafi aveva dato l’avvio all’evoluzione urbanistica, aprendo il mercato a società straniere. Ho raccontato il cambiamento che avrebbe portato Tripoli a darsi un’improntata da nuovo millennio». Nonostante il caos urbano, nelle sue foto c’è un silenzio metafisico. «È la mia cifra stilistica per la quale vengo giudicato “freddo”. Adopero consapevolmente la fotografia per C&P

Ho iniziato a interessarmi di fotografia rivolgendomi all’architettura. La committenza mi ha aiutato a crescere anche culturalmente

creare ordine nel mondo. È come impadronirsi di qualcosa, provare affetto». Però la sua ricerca sta cambiando. Che direzione ha preso? «Mi sto lasciando coinvolgere dalla figura umana, finora quasi assente. Sono stata educato a una fotografia fredda, che non svelasse il punto di vista del fotografo. Ora, però, le persone contribuiscono a dare altre informazioni». Il prossimo viaggio? «In autunno farò una discesa nel Sud Italia, di cui abbiamo un’immagine stereotipata. Poi mi piacerebbe esplorare Buenos Aires, si sa molto dal punto di vista della notizia, ma poco sull’iconografia». 191


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Il fotografo Filippo Romano

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Off town, dietro le quinte della città fragile New York, Shanghai, Milano, Nairobi e quella «grande similitudine che mette assieme tutte le città del mondo». Nasce così Off town, dieci anni di scatti di Filippo Romano, una ricerca in divenire che non vuole dissociare l’urbanistica, l’esperienza umana e il «mistero» che le tiene legate di Paola Maruzzi

Off come spento, come gigantesco backstage dell’urbanità, scoperta della verità che gli sta dietro. Questo è il principio che ha guidato Filippo Romano nel suo ultimo lavoro fotografico, una raccolta frutto di dieci anni di viaggi per le metropoli del mondo, da cui è venuto fuori un racconto trasversale. «Non voglio dire che le città sono necessariamente simili, ma c’è una sorta di spirito, una maniera di essere vissute che le accomuna». Diverse sono le tematiche che spaccano, tra cui la solitudine dell’uomo, «ma non solo – aggiunge Romano – parlo anche del mistero, perché le città sono dei luoghi misteriosi e d’incanto». Dopo aver esplorato la Cina, l’ultima tappa è stata Nairobi. «Lo slideshow continua, voglio aggiungere altro materiale»: l’impressione è che non esista una vera conclusione, il racconto di “Off town” rimane aperto. È stato definito il fotografo delle città. Cosa cerca? «Lo spaesamento, la deriva, lo stupore, perché 192

credo siano momenti di grande verità. Prima, però, mi preoccupo di studiare la visione preimpostata della città, per poi trasgredirne la mappatura e arrivare a un estremo, a un limite narrativo. In questo modo viene fuori qualcosa di inaspettato e forte. La Cina, per esempio, è già di per sé un’identità, un marchio direi. Il mio racconto vuole andare a ritroso di questo luogo comune». Quindi parte dal centro e va verso le periferie? «Sì, ma non è il degrado in quanto tale che mi interessa. Credo che l’identità delle città si trovi negli interstizi, dove si accumula la memoria urbana non organizzata. In qualche modo voglio mettermi davanti a una visione unica. E questo spesso succede quando l’attenzione nevrotica non è concentrata verso il centro, inteso come vetrina dell’identità. Ecco perché, per esempio, di Milano ho fotografato le circonvallazioni, le parti esterne». Le architetture, siano esse fatiscenti o nuove di C&P


SCATTI D’AUTORE | Filippo Romano

Sopra e nelle pagine seguenti, alcune opere tratte dalla raccolta Off town

zecca, hanno un peso determinante nell’inquadratura. Che ruolo svolgono nella sua ricerca? «Le architetture “nobili”, rilevanti, mi aiutano a capire la storia della città e dei suoi accadimenti, mi danno delle direzioni. Più in generale il costruito è il segno sulla pelle della città; invece il referente del modo di fruire gli spazi e i luoghi è l’uomo. Mi interessa moltissimo anche la condizione umana». Ha lavorato molto in Cina, ma se ai tempi di Moravia e Pasolini l’Oriente era una terra esotica, oggi è terribilmente concreta e lei sta contribuendo ad aggiornarne la rappresentazione. In che modo? «È un problema che mi sono posto. Penso al documentario di Antonioni, “Chung Kuo”, che racconta una Cina che non esiste più, per la mia C&P

Le nuove città cinesi mi sono sembrate delle grandi downtown americane anonime, sia per l’aspetto che per gli attori coinvolti

generazione è un altro pianeta. Per quanto mi riguarda l’esperienza delle città cinesi arriva dopo aver vissuto cinque anni in America: le nuove città cinesi mi sono sembrate delle grandi downtown americane anonime, sia per l’aspetto che per gli attori. Tolte le archistar che hanno firmato edifici importanti, tutto il resto è prodotto da studi di architettura americani, all’interno dei quali ci sono centinaia di architetti che lavorano come formiche e costruiscono torri ovunque. Per me la Cina è la disillusione dell’Oriente e della sua cultura, che in realtà è frammentata, masticata, e in parte distrutta dalla rivoluzione culturale del comunismo». 193


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SCATTI D’AUTORE | Filippo Romano

L’identità delle città si trova negli interstizi, dove si accumula la memoria urbana non organizzata: qui si apre una visione unica Nelle sue foto, infatti, si ritrova l’ossessione del nuovo. «La cultura cinese si sta ibridando, l’individuo è perso in una sorta di coscienza collettiva. Mentre viaggiavo per la Cina pensavo all’Italia degli anni Sessanta, che non ho conosciuto direttamente. Rivedo Pasolini che lamenta la distruzione del paesaggio rurale, la corsa verso il progresso senza arricchimento qualitativo. Rivedo il documentario “Le mura di Sana’a”, una città che ho incluso nella mia raccolta». Dove inizia la sua cifra stilistica? «Da New York, la città di formazione che ha C&P

cambiato il mio modo di vedere. All’inizio non riuscivo a fotografarla, mi sembrava come raccontare Venezia. Poi ho capito cos’era per me quella città. In pratica ora cerco di trovare una connessione con una sorta di memoria collettiva, per poi manipolarla, raccontarla alla mia maniera. Diciamo che bisogna avere in testa una sorta di biblioteca, ma poi bisogna farla a pezzi e ricomporla secondo la propria istintualità, altrimenti si corre il rischio di essere didascalici». Come immagina la conclusione di questo progetto? «Dopo Nairobi, vorrei tornare in Cina e al Cairo, dove sono stato per i fatti di piazza Tahrir. Il progetto si concluderà quando andrò in una grande metropoli indiana, o forse no. Magari giungerò a termine solo quando avrò toccato anche il sud America, quando tutti i continenti saranno parte di una grande off town». 195







VISUAL DESIGN | Paolo Tassinari

A sinistra, un allestimento del Napoli Teatro Festival. A fianco, Paolo Tassinari, graphic designer dello Studio Tassinari/Vetta

Controforme in movimento Lo spazio racchiuso all’interno delle lettere diventa protagonista del Napoli Teatro Festival. Il progetto di identità visiva curato dallo studio Tassinari/Vetta si è aggiudicato il Compasso d’oro 2011: «Partendo dal nome del festival è stato sviluppato un logotipo» racconta Paolo Tassinari di Elisa Fiocchi

L’identità visiva del Napoli Teatro Festival Italia si fonda sul logotipo, un sistema di scrittura che collega le varie edizioni della manifestazione internazionale che ogni anno, a giugno, produce e commissiona spettacoli teatrali, mostre e performance artistiche da tutto il mondo. Il progetto di comunicazione, curato dallo studio Tassinari/Vetta, si sviluppa nel triennio 2008-2010 dapprima a presentare il festival nella sua identità istituzionale (2008), ponendo poi l’accento sulla voce visualizzata nelle tradizionali maschere teatrali (2009), e infine a occupare spazio/tempo nella rappresentazione tridimensionale (2010). Tutto ruota attorno all’elemento vocale, la voce scritta o recitata, cardine della rappresentazione teatrale, e dagli alfabeti fonetici sviluppati nel XX secolo, basandosi sul disegno del logotipo “Napoli Teatro Festival Italia” in cui le vocali sono rappresentate dalle loro controforme, ovvero dallo spazio racchiuso all’interno delle lettere. Declinato di volta in volta su manifesti, segnaletica, allestimenti e merchandising, il progetto è stato insignito del C&P

premio Icograda Excellence Award al Taiwan international poster and Ci design award nel 2009, fino alla consegna del Compasso d’oro dell’Adi nel 2011. Paolo Tassinari, vincitore del premio con Leonardo Sonnoli, racconta il movimento delle controforme cristallizzate nei manifesti, dolcemente fluttuanti negli spazi allestiti, o proiettate sui bastioni di Castel dell’Ovo. In che modo la forza della parola e il movimento delle forme è valorizzato nell’ambito teatrale? «Il progetto di identità visiva prende avvio dalla parola, scritta o recitata, come elemento essenziale del teatro: partendo dal nome del festival è stato così sviluppato un logotipo che alla parola e al suono della voce recitante si richiama con un intervento sul disegno delle lettere - le vocali che vengono sostituite dalle relative controforme - ricollegandosi alle sperimentazioni del tardo Ottocento e del Novecento, dalle vocali colorate di Arthur Rimbaud (Voyelles,1883) agli 201


Sopra, Paolo Tassinari e Leonardo Sonnoli alla premiazione del Compasso d’oro 2011. A destra, dall’alto, un esempio di logotipo e un manifesto del Napoli Teatro Festival

alfabeti fonetici quali lo Shavian, promosso da George Bernard Shaw». Manifesti, allestimenti, proiezioni: come si snoda il progetto all’interno del Napoli Teatro Festival? «Oltre che negli abituali materiali di supporto, l’idea base presentata dapprima nei manifesti istituzionali, viene sviluppata nelle diverse situazioni offerte dai ricchi spazi urbani o architettonici, spesso non convenzionali, a partire dal trattamento tipografico della facciata dell’Albergo dei Poveri (2008) e degli spazi industriali dell’ex stabilimento Peroni (2010), per giungere fino alle proiezioni animate dei titoli degli spettacoli sui bastioni del Castel dell’Ovo o alle controforme che si librano sotto le volte del Palazzo delle Arti adibito a infopoint (2010)». 202

Come l’identità visiva connessa alle istituzioni pubbliche e alle aziende private sta allargando gli orizzonti del design? «L’identità visiva è sempre stata uno dei grandi campi di intervento dei designer a partire dai più noti esempi di inizio Novecento - Dutch PTT o London Underground - in una lunga teoria che vede accanto alle grandi istituzioni e aziende anglosassoni anche brillanti casi italiani». Di quali nuove idee e progetti si sta occupando lo studio Tassinari/Vetta? «Lo studio ha sempre privilegiato il territorio del visual design, dedicando da quasi trent’anni particolare attenzione al settore pubblico e culturale, con progetti per istituzioni, musei, grandi mostre. Oggi continuiamo a sviluppare progetti in questo campo in Italia e all’estero: è in fase di completamento l’allestimento grafico degli spazi di ingresso e accoglienza della Reggia di Versailles, mentre è ancora in fase di progetto il sistema di identità e segnaletica del nuovo Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria». C&P



Cubi magici di volti e caratteri L’elemento chiave di Multiverso è il font: «Ogni parola e lettera si compone in forme sempre nuove a seconda del testo, andando così a definire, insieme a un contenuto, delle architetture visive mutevoli» spiega Andrea Medri di Elisa Fiocchi Premiato con il Compasso d’oro 2011 per l’originalità di tutta la campagna visiva e l’interessante giustapposizione di immagini e segni tipografici, il progetto Multiverso si avvale di identità e comunicazione, parlando una lingua contaminata con volti, astratti e fluidi, e fisionomie allegoriche dei suoi mondi paralleli. Realizzato dallo studio Zup Associati, in occasione della Icograda Design Week di Torino nel 2008, il progetto trae ispirazione proprio dal tema del multiverso di Mario Piazza, il cui principio sottende l’idea di una realtà molteplice, in cui condividono culture e modalità di relazione diverse e spesso imprevedibili: un mondo non regolato da leggi univoche, ma fatto di 204

potenzialità divergenti. Andrea Medri, art director dello studio Zup Associati, racconta il linguaggio dell’immagine Multiverso che «parla come Salvatore, ex-eretico dolciniano nel romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa, un monaco che si esprime in una lingua mista e contaminata». Come è strutturato il progetto? «L’identità visiva dell’Icograda Design Week di Torino è una miscela di segni, immagini, forme collegate e scollegate in una architettura sempre diversa. Le idee dominanti sono tre: il mondo/universo, reso come forma mutevole e contenitrice; il linguaggio, che nel campo del design è espressione trasversale rispetto alla lingua ma non è immutabile come segno e trova forma una font morbida e modulare il cui infinito comporsi in disegni sempre nuovi altro non è che una ideale rappresentazione dei toni e delle cadenze del parlare; infine, gli speaker, vero centro attenzionale degli Icograda Design Week. Una serie di personecollage diventano un cubo magico di volti e caratteri che danno anima e voce alle giornate dell’evento». Come la comunicazione visiva esprime il concetto di multiverso? E attraverso quali forme e linguaggi? «Il visual si basa sull’interpretazione del concetto di Multiverso, tema della Icograda design Week di C&P


VISUAL DESIGN | Andrea Medri

In apertura, due manifesti istituzionali del progetto Multiverso. In questa pagina, un altro manifesto (a sinistra) e a fianco Andrea Medri, art director dello studio Zup Associati

Quello di cui si può parlare oggi sono forme, linguaggi, idee. Concetti trasversali che sfuggono la classica concezione di visual, interior, digital design

Torino. La parola multiverso indica la visione di una realtà molteplice, in cui convivono culture e modalità di relazione diverse e spesso imprevedibili: un mondo regolato non da leggi univoche, ma fatto di potenzialità imprevedibili e divergenti. Generalmente i progetti multiverso prevedono la realizzazione di una struttura e non di un progetto finito; la struttura è predisposta per contenere dei dati, che si ordinano seguendo leggi prestabilite. Quindi il progetto si espande e prende forma a seconda di quali e quanti dati vengono immessi. Nel nostro caso, l’elemento chiave è la font che abbiamo progettato per l’evento: ogni parola, ogni lettera, si compone in forme sempre nuove a seconda del testo che deve essere scritto, andando così a definire, insieme ad un contenuto, anche delle architetture visive mutevoli. A questo concept abbiamo voluto aggiungere alcuni elementi di rottura dello schema, qualcosa che potesse introdurre una variabile non numerica alla resa estetica del progetto. I volti rappresentati nei tre manifesti istituzionali sono infatti parti di foto degli

speaker della conferenza, ricomposte in persone immaginarie. Il lato umano dei sistemi multiverso». La XXII edizione del Compasso d’oro ha dimostrato come il design si stia avvicinando sempre di più alla sfera della comunicazione visiva. Quali sono le ragioni alla base di questa nuova evoluzione? «La parola design definisce un mondo molto ampio, nel quale non ha più senso cercare di distingure settori e categorie. Quello di cui si può parlare oggi sono forme, linguaggi, idee. Concetti trasversali, che sfuggono la classica concezione di visual/interior/digital design. Sempre più spesso, chi si occupa di design porta avanti un lavoro di coordinazione e di regia. Ogni progetto, infatti, coinvolge svariate discipline la cui efficacia dipende dall’equilibrio tra le parti: se design definisce la capacità di plasmare una realtà nel migliore dei modi possibili per ottenere un determinato risultato, perchè non pensare al design di un progetto politico e sociale?».


Progettazione integrata, tra interattività e riflessione Per la mostra “Rossa”, lo studio ennezerotre ha utilizzato i new media «come veri e propri materiali da costruzione» spiega l’architetto Franco Rolle. Il Compasso d’oro? «Significa che dopo tutti questi anni la nostra figura professionale è “al pari” delle altre discipline del design» di Elisa Fiocchi Quando la storia s’avvale delle nuove tecnologie multimediali e interattive per essere raccontata, si crea un progetto, raccontano i professionisti di N!03 studio ennezerotre, dove la parte architettonica s’integra con la narrazione video-multimediale cosicché l’una non può prescindere dall’altra e «la forza d’entrambe sta proprio nella loro esistenza congiunta e simbiotica» precisa Franco Rolle. Questa

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fusione ha dato vita alla mostra “Rossa, Immagine e comunicazione del lavoro: 1848/2006”, dedicata all’evoluzione iconografica del lavoro e della Cgil, organizzata attraverso un percorso cronologico che accorpa immagine e comunicazione: «La metafora visiva che accompagna il pubblico lungo tutta la visita – continua l’architetto – è l’idea di movimento, inteso come forma di aggregazione e di lotta per

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Foto di Federico Ambrosi

VISUAL DESIGN | studio ennezerotre


Foto di Federico Ambrosi

l’affermazione o la difesa dei propri diritti e dei propri ideali, idea di movimento che si declina nella rappresentazione delle masse che avanzano». Come si sviluppa la narrazione? «Segue avvenimenti e date fondamentali e, dal punto di vista installativo, è tutto giocato sull’alternarsi di grandi videoproiezioni di forte impatto visivo e installazioni interattive che invitano il pubblico ad approfondire i diversi argomenti. La narrazione multimediale offre allo spettatore l’esperienza di un viaggio attraverso lo spazio e il tempo, in una storia fatta di lotte e di scontri ma anche di idee, di coesione sociale, di partecipazione. Il pubblico è messo nella condizione di essere coinvolto e di sentire in maniera quasi intima, fortemente umana e poco storicistica, il messaggio che gli si vuole offrire. 208

Foto di Federico Ambrosi

Foto di Federico Ambrosi

In prima pagina, lo staff di N!03 studio ennezerotre. A sinistra e sopra, alcune immagini della mostra multimediale “Rossa, Immagine e comunicazione del lavoro: 1848/2006”

Le pareti dei quattro grandi cubi sono diverse: nel primo sono di tulle e lo sguardo dei visitatori le può attraversare, nel secondo e nel terzo alcune sono di tulle e altre piene, nell’ultimo cubo sono tutte piene. Questo passaggio è la metafora di una costruzione, l’acquisizione di diritti e il consolidarsi del movimento dei lavoratori e dei sindacati». Quale funzione ha l’interattività nell’esprimere un messaggio? «È una parola che si lega ai nostri lavori ma che nel nostro settore è spesso abusata e utilizzata a sproposito come il termine emozionale o immersivo. Ci piace molto e condividiamo una definizione di interattività data nel 1995 da Renato Parascandolo, che la definisce così: “l’interattività che ha più valore è quella che si intrattiene con se stessi, ovvero la riflessione, un’opera, di qualunque genere, è veramente interattiva quando induce alla riflessione, a ripensare i propri convincimenti, i propri luoghi comuni, in sostanza a mettersi in discussione, a dialogare con se stessi”». C&P



Visioni grafiche sul futuro Sono gli enfants terribile della computer grafica italiana. E oggi, i progettisti dello studio Vivo guardano al futuro, forti delle potenzialità 3D. Dalla mente allo schermo, un processo creativo che li ha resi partecipi di alcuni dei più significativi progetti italiani degli ultimi anni di Erika Facciolla

Dare forma a un progetto in maniera emozionale. Utilizzare la tecnologia più avanzata per creare nuovi spazi virtuali dalle sfumature avveniristiche. Ripercorrere, linea dopo linea, lo schizzo di un progetto tracciato su un foglio di carta per dar vita a qualcosa di unico e irripetibile. È la creatività che incontra l’innovazione, la fantasia che si palesa improvvisamente in immagine, l’intuizione che prende vita attraverso la ricerca stilistica: tutto questo è lo studio Vivo, un laboratorio di progettazione e design al servizio di chi crea spazi, oggetti, idee e dove reale e virtuale si incontrano in un connubio inscindibile. Alla base c’è l’immagine 3D: «La fotografia virtuale 210

è un formidabile strumento di comunicazione, non solo a vantaggio del processo creativo, ma soprattutto ai fini della comunicazione di brand e di prodotto» sostiene Daniele Suppo, uno dei fondatori di Vivo. «Grazie all’utilizzo di software innovativi e all’esperienza maturata – aggiunge l’altra fondatrice, Franca Pigozzi - Vivo rappresenta l'avanguardia, in Italia, nel campo della computer grafica 3D, che significa immagini e video virtuali, stereoscopia, real time, e tanto altro. Lo studio Vivo nasce quindici anni fa dal fortunato incontro tra due studenti di architettura - Daniele Suppo, esperto nella computer grafica, e Franca Pigozzi, organizzatrice C&P


VISIONI IPERREALISTICHE | Franca Pigozzi e Daniele Suppo

Nelle immagini alcuni progetti dello studio Vivo di Milano, da sinistra, lo stadio della Juventus (Torino), Myc62, Ideal Standard www.vivostudio.it

di eventi e stylist. Due anni dopo riuniscono attorno a loro un team di modellatori, tecnici del 3D, artisti, architetti, stylists, fotografi, progettisti, arredatori di interni, registi, ricercatori tecnologici. «Oggi, Vivo – racconta Franca Pigozzi - è uno dei player di riferimento nel settore della computer grafica 3D. L’idea di base è offrire ai clienti un servizio completo, dalla progettazione alle visualizzazione - spaziando dall’altissima risoluzione Hd nei video, alla risoluzione iperrealistica per la stampa tipografica, dall’ottimizzazione del real time per il web a campagne di comunicazione». È così che il futuro, attraverso il lavoro dello studio Vivo, diventa visibilmente ‘immediato’. Un esempio? Il nuovo stadio della Juve per il quale Vivo ha realizzato video e immagini virtuali. «Dal primo video di presentazione del progetto nel novembre del 2008 – spiega Daniele Suppo - abbiamo reso possibile la visualizzazione grafica in 3D di un progetto in divenire. È stato emozionante entrare in uno spazio in cui abbiamo virtualmente vissuto per diversi anni». C&P

Nel settore della nautica di lusso abbiamo creato immagini iperralistiche degli ambienti interni ed esterni

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VISIONI IPERREALISTICHE | Franca Pigozzi e Daniele Suppo

Visionnaire

La fotografia virtuale offre la possibilità di definire velocemente l’idea e renderla fruibile in modo digitale. La visione iperrealistica del progetto minimizza anche il rischio di insoddisfazione. È l’esempio dei servizi che Vivo fornisce agli studi di architettura e ingegneria, come il video di presentazione sui nuovi stabilimenti di Maranello e la realizzazione del nuovo ristorante Ferrari: «Attraverso le nostre mani - dice Franca Pigozzi - l’architetto Visconti ha materializzato le sue idee in tempo reale. Tramite la creazione di un modello tridimensionale virtuale in tempi brevissimi ha potuto modificare e rivisualizzare ogni singolo aspetto del progetto». La computer grafica 3D è innovativa anche perché abbatte i costi rispetto alle modalità pubblicitarie tradizionali e permette di arrivare alla vendita anche prima della fine dei lavori. «È stato così - sostiene Daniele Suppo - con alcuni nostri clienti nel settore della nautica di lusso dove abbiamo creato immagini iperralistiche degli ambienti interni ed esterni per permettere la promozione sulle riviste specializzate del settore prima ancora che lo yacht uscisse dal cantiere». Flessibilità compositiva e ottimizzazione dei costi di 212

produzione: sono questi i punti di forza del servizio offerto dallo studio Vivo. «L’essere competitivi nei costi e nei tempi ha permesso di avere clienti come Ideal Standard – conferma Franca Pigozzi - per cui realizziamo più di seicento immagini l’anno per cataloghi e brochure». I nostri clienti – aggiunge spaziano dal settore della nautica alla filiera del mobile, dagli studi di architetti e ingegneri a industrie metal meccaniche (come Geico), da aziende di organizzazione eventi a multinazionali». E non è tutto. In occasione delle Olimpiadi invernali a Torino Vivo ha contribuito allo sviluppo degli spazi della Coca Cola nello Sponsor Village, curando le grafiche e la realizzazione dei render di studio per la creazione degli allestimenti interni. «Un altro caso tipo – aggiunge Suppo - è Visionnaire, azienda leader nella produzione di arredi di lusso. Quando Visionnaire ci ha contattato non aveva mai utilizzato le immagini in computer grafica 3D. Viste le nostre prime bozze, il cliente si è sentito sicuro di non utilizzare il solito shotting fotografico. Abbiamo raggiunto con massima soddisfazione il traguardo: essere presenti al Salon du Meuble del 2009 con le brochure della nuova linea wellness pronte». C&P




RETAIL CONCEPT | Ivan e Dimitri Cipriani e Adam Gaon

I soci dello Studio Cipriani, Ivan e Dimitri Cipriani e Adam Gaon www.studiocipriani.com

Il brand, tra spazio e design Luci e ombre, scale e proporzioni, strutture e spazi. Sono questi gli elementi che, unitamente all’utilizzo di materiali raffinati come legno, pietre e metalli, caratterizzano lo sviluppo degli spazi contemporanei per il retail. Le ultime tendenze del visual branding secondo Ivan e Dimitri Cipriani e Adam Gaon di Diego Bandini

L’esplorazione rigorosa degli spazi e dei materiali sono gli elementi alla base della realizzazione di retail concept originali, per soluzioni di spiccata personalità, capaci di creare un’immagine forte, con l’obiettivo di mettere in evidenza il particolare carattere di uno spazio commerciale. Collaborazioni con alcuni tra i più importanti fashion brand internazionali, tra cui anche Calvin Klein, Guess?, North Sails, Pirelli Pzero, Skechers, Vans, nel settore del retail fanno dello studio Cipriani di Firenze un’affermata realtà nel campo dell’architettura d’interni, con una pluriennale esperienza in retail design e visual branding: «Siamo inoltre specializzati nella progettazione di strutture alberghiere, di interni commerciali e di residenze private», sottolinea Ivan Cipriani, socio dello studio insieme al figlio Dimitri e a Adam Gaon, newyorkese di nascita ma fiorentino d’adozione. Lo studio vanta una vasta esperienza al fianco di marchi di fama mondiale. Quali sono, a questo proposito, le ultime novità nel campo del retail e del concept retail? C&P

DIMITRI CIPRIANI «Le campagne pubblicitarie e le linee presentate ogni stagione sono gli strumenti con cui ogni marchio comunica al mercato la propria immagine e il proprio lifestyle. Il nostro obiettivo, perseguito attraverso un’analisi approfondita del brand, del suo posizionamento all’interno del mercato e tramite l’utilizzo di un processo progettuale che si avvale di tecnologie innovative, è quello di creare concept d’arredo unici. Questi concetti si propongono di superare le più pragmatiche tipologie d’arredo, per esplorare l’anima del brand e identificare gli strumenti atti a tradurre il lifestyle del marchio in un’entità tridimensionale. Un’entità accattivante e, al contempo, in grado di trasmettere un messaggio complementare all’immagine del brand, uno sfondo integrato alle funzioni di ogni punto vendita». In che modo si è evoluta, nel corso degli anni, la vostra attività? ADAM GAON «L’analisi di ogni nuovo progetto ci conduce a una sfida avvincente, cui applicare le nostre competenze. L’intensa attività di ricerca e 215


La ricerca di nuovi materiali e l’uso di tecniche tradizionali coniugate con l’impiego di tecnologie all’avanguardia, sono alla base del nostro lavoro

studio nel campo dei nuovi materiali e l’uso di tecniche tradizionali coniugate con l’impiego di tecnologie all’avanguardia sono l'energia che alimenta il nostro lavoro. A ogni partner, a prescindere dalle dimensioni della sua azienda, dedichiamo la massima attenzione, cercando la soluzione che meglio possa assisterlo nella propria crescita e nell’acquisizione di una posizione di rilievo all’interno del mercato del fashion retail». Il vostro studio è specializzato anche nella progettazione di spazi e ambienti per il settore alberghiero e della ristorazione. Quali sono gli elementi capaci di rendere unici e accoglienti questi luoghi? IVAN CIPRIANI «I luoghi di accoglienza e ristorazione sono, per il progettista, un'opportunità di creare 216

teatri urbani, spazi pubblici dove i figuranti interagiscono in luoghi transitori quali frammenti di città. Sono il palco dove la rappresentazione dello spazio o di una storia permette all'individuo di influire con il contesto fisico in un dato momento, al di fuori della sua realtà quotidiana, in modo da sentirsi a casa pur essendone lontano. Il nostro impegno è quello di creare spazi pubblici che, attraverso criteri progettuali appropriati, intimi e visivamente distinguibili, richiamino l'accoglienza di casa propria. Sono spazi di transito che necessitano della personalità di un luogo riconoscibile e allo stesso tempo invitante, confortevole e socializzante». Quali sono, invece, le linee guida da seguire per la progettazione di showroom e di spazi di tipo residenziale? C&P


RETAIL CONCEPT | Ivan e Dimitri Cipriani e Adam Gaon

Alcuni esempi di progetti realizzati dallo Studio Cipriani

A.G. «Lo showroom è il biglietto da visita di un’azienda, un catalogo tridimensionale che comunica e trasmette la sua identità. Stagione dopo stagione il prodotto cambia e si rinnova mentre l'involucro, lo spazio fisico che lo delinea, resta e con esso il messaggio intrinseco che si vuole trasmettere. La progettazione residenziale di interni inizia invece con la comprensione del contesto, che comprende l'ambiente fisico del soggetto ma anche le dinamiche del vivere quotidiano all'interno di uno spazio delimitato. È il luogo dove lo svolgimento delle funzioni abitudinarie sono trasformate dalla necessità e tradotte in arte. Attraverso la composizione semplice e pulita creiamo ambienti sofisticati che, rafforzati dal sapiente utilizzo di colori e materiali, si elevano a spazi contemporanei ed eleganti, per offrire un ambiente confortevole che C&P

le persone possano riconoscere come casa». Su quali mercati, anche da un punto di vista geografico, siete maggiormente presenti? D.C. «Grazie anche alla combinazione tra la cultura italiana e quella americana che ci caratterizza, abbiamo acquisito le capacità e conoscenze per lavorare e dialogare con committenti su scala internazionale. Questo ha permesso allo studio di occuparsi della progettazione, del coordinamento e della realizzazione di centinaia di progetti in tutto il mondo. Pur svolgendo l’attività prevalentemente sul continente europeo, l’esperienza maturata in Russia, Medio Oriente e Cina fa dello studio una della realtà all’avanguardia nella realizzazione di progetti anche in quei Paesi definiti “emergenti”, molto sensibili al fascino dell’architettura e del design». 217


I talenti fanno squadra nel segno del design Si chiama networking for design la sfida dell’agenzia creativa MadeinDreams. A raccontarla sono Federico Giuliano e Eric Bevilacqua, i due giovani imprenditori che hanno saputo conquistare il mercato grazie a una nuova visione d’insieme di creatività e produzione di Andrea Moscariello

Creare un hub creativo e commercialmente strategico allo scopo di connettere imprese, grandi marchi, università e giovani talenti del design. L’idea di MadeinDreams nasce dalla convinzione che il tessuto produttivo italiano possa riguadagnare competitività mettendosi in rete. Lo chiamano “networking for design” e a promuoverlo sono i due titolari di questa giovane realtà milanese, nata nel 2004. Eric Bevilacqua e Federico Giuliano, rispettivamente responsabili dell’area creativa e di business, operano con l’intenzione di ridare ossigeno a quella tensione creativa, tipica della nostra cultura d’impresa, che rischia di essere accantonata a causa della recessione e delle difficoltà congiunturali. Un percorso, quello intrapreso da MadeinDreams, che si distacca dal modello classico degli studi di design.

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Il cambiamento, concettuale e procedurale, parte dal nome. Dall’acronimo MID (myitaliandesign) a MadeinDreams. «Il nome nasce dal desiderio di offrire l’opportunità di concretizzare le idee, rendendo reali anche i sogni. Ci siamo resi conto che il nostro settore sta subendo un cambiamento profondo, radicale – spiega Federico –. Vendere e proporre design nella maniera classica rischia di risultare obsoleto. Questa non vuole essere una critica ai nostri competitor, solo non vogliamo arroccarci dietro la nostra firma, limitandoci a proporre i nostri concept all’esterno. La corrente dell’ispirazione deve tornare a confluire all’interno degli studi creativi. Il nostro non deve essere semplicemente un lavoro propositivo. Occorre operare di concerto con le aziende per creare le strategie e i prodotti di cui necessitano, rendendoli del tutto

C&P


NETWORKING FOR DESIGN | Federico Giuliano e Eric Bevilacqua

In apertura, Eric Bevilacqua e Federico Giuliano dello studio MadeinDreams di Milano. Sopra, il progetto Eco; a sinistra, alcuni modelli di calzature Ftg. Sotto, un momento di lavoro all’interno dello studio di Milano www.madeindreams.it

assimilabili dal mercato. In secondo luogo, dobbiamo studiare i livelli comunicativi più idonei nel veicolare le diverse creazioni». Non si tratta, dunque, di commissionare semplicemente un “bell’oggetto”. MadeinDreams crea strategie, studia e ricerca nuovi materiali, soluzioni tecnologiche insieme alle aziende che scelgono di rivolgersi allo staff di Bevilacqua e Giuliano. Un modus operandi che nasce anche dall’esperienza sviluppatasi intorno a due settori in particolare, automotive ed elettronica di consumo. Ambiti in cui il fattore estetico non è certamente sufficiente: occorrono tecnologia, brand strategy e analisi dei costi. Le “ossa”, MadeinDreams se le è fatte da un lato con Telecom Italia, di cui oggi è una sorta di braccio “stilistico”, dall’altro con marchi automobilistici come Ferrari, Lancia, Alfa Romeo e Maserati. C&P

Con l’azienda di telecomunicazioni, MadeinDreams ha creato “Milky”, il router di Alice che ha già superato la soglia dei 5 milioni di pezzi, “Eco”, il primo cordless realizzato con materiale bioclastico, che Federico ed Eric hanno presentato a Berlino, nel corso di una delle più importanti convention sulle materie bioplastiche. Non ultimo il “Cubovision”, la piattaforma multimediale di TelecomItalia. Ma bandiera del concetto di networking for design è indubbiamente “Summa”, l’auto creata in collaborazione con Quattroruote. «Concepire un’auto senza un brand specifico è stata una sfida tanto interessante quanto difficile – racconta Eric –. In pratica abbiamo permesso a tutta una serie di aziende di lavorare in libertà, al fianco dei nostri designer e ricercatori, senza presupposti di lucro. Il risultato è 219


Il nome nasce dall’idea di offrire l’opportunità di concretizzare le idee, rendendo reali anche i sogni

Dall’alto, i progetti Buhel e il router Milky per Alice (Telecom Italia)

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tecnologicamente ed esteticamente accattivante. Summa è per noi il simbolo di quello che le eccellenze italiane, se efficacemente interconnesse tra loro, possono realizzare». Non ultimo, il progetto con Buhel, un sistema audio che non utilizza le vibrazioni dell’aria, ma la cosiddetta bone conduction. In pratica, consente di propagare il suono attraverso vibrazione ossea. Anche in questo caso il lavoro sul design proposto da MadeinDreams funge da collante tra due realtà apparentemente distanti tra loro: la tecnologia giapponese e la produttrice di accessori per moto italiana Buhel. Ma dov’è il guadagno di Madeindreams? «Abbiamo offerto un servizio, riuscendo a mettere in contatto due aziende all’avanguardia. Inoltre ci siamo occupati del design del prodotto – spiega Federico –. Avere al nostro interno una case history di questo tipo è per noi motivo di orgoglio». Di recente, poi, lo staff si è concentrato anche sul calzaturiero, creando le safety shoes per il marchio Ftg. «Ci piace esplorare nuovi settori. Aprendoci a diversi comparti produttivi non rischiamo di chiudere il cerchio, limitandoci a pochi “recinti”. In questo modo la creatività è più stimolata a crescere». Il prossimo step? C&P


NETWORKING FOR DESIGN | Federico Giuliano e Eric Bevilacqua

Il progetto automobilistico Summa

Puntare sempre di più sulla formazione dei giovani designer. All’interno dello studio, uno staff la cui età media si aggira sui trent’anni, si punta a colmare un gap tra mondo universitario e realtà industriale. «I ragazzi arrivano da noi con l’estro e la voglia di fare, ma spesso non si rendono conto di tutti gli aspetti che oggi, un bravo designer, deve tenere in considerazione, a partire da quelli commerciali» sostiene Eric. «Collaboriamo per questo con molte università e scuole di design non solo di Milano e Torino». È proprio da queste realtà che giungono i nuovi designer, giovani talenti che vengono cercati e all’interno di MadeinDreams formati, con l’obbiettivo di creare una forte professionalità. «Quello a cui stiamo assistendo è un fenomeno in mutazione – dichiara Emanuele Laviosa, giovane talento dello studio, strategic designer del Politecnico di Milano con doppia laurea alla Tonji University di Shanghai –. Il mercato è saturo, l’offerta è superiore alla domanda. È chiaro dunque che il mondo del design debba adeguarsi, proponendo un modus operandi che tenga conto degli obiettivi delle aziende clienti, oltre che della ricettività dei consumatori. L’oggetto in sé non è più sufficiente. Chi acquista cerca un significato, un’utilità, un costo C&P

sostenibile. Non bastano più le firme, i brand». «Gli imprenditori non hanno più tempo per formare i giovani – interviene nuovamente Federico –. È proprio su questo che stiamo lavorando. Attualmente, nei centri stile delle grandi case automobilistiche con cui collaboriamo abbiamo inserito 16 dei nostri ragazzi. I giovani che vengono da noi non devono “fossilizzarsi” in MadeinDreams, devono crescere, imparare, confrontarsi con il mondo per poi prendere la loro strada». Tra i progetti da sviluppare a breve ci sarà la creazione di produzioni con il marchio dello studio, seguendo la filosofia operativa già utilizzata con successo per Summa e Buhel. Infine, per il nuovo anno non mancherà un’attenzione nei confronti dell’internazionalizzazione. Il mercato su cui puntare è principalmente quello asiatico. Una base c’è già in Giappone. «Collaborando con la giapponese Planex ci siamo aperti al mercato orientale – ricorda Eric –. Il binomio tecnologia giapponese e design italiano è pazzesco. E considerando che uno dei nostri cavalli di battaglia è proprio il design per l’elettronica di consumo, questa ci è sembrata l’occasione giusta per lanciarci a livello globale». 221



STILE ITALIANO | Roberto Giolito

L’ingegner Roberto Giolito, style director di Fiat

Una limousine in una 500 «Le automobili hanno un’anima e questo catalizza l’attenzione dei consumatori». Roberto Giolito, style director di Fiat, spiega perché la casa automobilistica torinese rappresenta il made in Italy nel mondo di Renata Gualtieri

È la terza volta che Fiat vince il Compasso d’oro, giunto quest’anno alla dodicesima edizione. Nel 1959 se lo aggiudicò la 500 uscita due anni prima, nel 2004 fu la Fiat Panda, oggi è di nuovo il turno della nuova 500. A premiare l’utilitaria della casa torinese è stata una giuria internazionale, composta da esperti del settore, che ha consegnato il trofeo a Roberto Giolito, direttore design di Fiat. Così la 500 continua ad alimentare il suo mito, confermandosi espressione del made in Italy in tutto il mondo. La vettura di oggi è estremamente completa ed è stata capace di “emanciparsi” della sua antesignana, sfoggiando nuovi concetti di design. Quello che è piaciuto ai giurati non è la mera estetica ma l’usabilità del prodotto. «Perché – afferma Roberto Giolito – si dice che un prodotto funziona quando, usandolo, ci sentiamo ogni giorno più soddisfatti». 223


Come è nata la vettura e chi sono i suoi designer? «L’idea nasce mettendo in discussione le nostre conoscenze e ragionando su come generare una vettura giusta e adatta ai nostri tempi. Nasce con un approccio fresco, anche perché assieme a me hanno lavorato tanti designer giovani provenienti da diversi paesi del mondo. Nel ripensare la 500 ho messo alla prova molti talenti differenti tra di loro, soprattutto nel limitare i classici tratti distintivi della vettura, perché era nostra intenzione comunicare qualcosa che fosse subito riconosciuto come 500, partendo da elementi molto più 224

sintetici, come il parabrezza molto proteso in avanti per incarnare l’efficienza dell’abitacolo, portato al massimo della sua possibilità con la riduzione degli sbalzi, cioè di tutto quello che è ridondante rispetto all’abitacolo e che sta al di fuori degli assi delle ruote. Così abbiamo ottenuto una vettura compatta fuori ma molto grande dentro. Non c’è discriminazione tra clientela maschile e femminile, nè di etnia, la nuova 500 appaga tutti. C’è stato come un effetto culturale, così come l’iPod è riuscito a mettere in tasca la musica di quasi tutti, la 500 rappresenta una vettura ben finita, piacevole da usare e per le tasche di tutti». C&P


STILE ITALIANO | Roberto Giolito

Sopra, bozzetti della Fiat 500 (2007). Nella pagina precedente, a sinistra, Fiat 500C (7/2010), a destra, Fiat 500 by Diesel (9/2008)

Abbiamo proposto soluzioni leader per la tecnologia. L'aver conquistato le “5 stelle Euro Ncap”, prima dei nostri concorrenti dimostra il successo

Come si coniugano nel prodotto l’originalità del design, la tecnologia proposta e il comfort? «Il design è capacità di fare un buon prodotto dunque non implica solo il contributo del centro stile ma di tutto il Gruppo. Abbiamo proposto soluzioni da leader per la tecnologia. L’aver conquistato le “5 stelle Euro Ncap”, prima dei nostri concorrenti dimostra il nostro successo. Abbiamo riproposto una limousine in una vettura di segmento A, e la sensazione di essere a proprio agio è immediata, senza «sacrificare” le sedute anteriori e posteriori».

del prodotto e come il prodotto ha anticipato le tendenze future nel settore dell’automobile? «La 500 è un cosiddetto “body” per il marchio Fiat e ha di innovativo il fatto di aver messo in discussione le proporzioni stesse della vettura. Sono state molto efficaci le operazioni di co-branding, come nel caso della 500 Gucci o la 500 Abarth, dove un marchio prestigioso dell’automobilismo si impossessa della 500 e la fa diventare un’autovettura che compete con i grandi marchi sportivi italiani, tra cui Ferrari e Maserati. La 500 ha emissioni ultrabasse perché ha introdotto con il sistema Twin air, prestazioni che eravamo abituati a ottenere da motori molto più grandi».

In che cosa si può riconoscere l’innovazione stilistica C&P

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© Photo Carlo Borlenghi

Lo stile italiano, padrone del mare Una carriera strabiliante, quella di Tommaso Spadolini, che si sofferma a ricordare trent’anni di grandi progettazioni, tra yacht, armatori e tradizioni di famiglia di Andrea Moscariello

La passione per il disegno nautico gli era nata ancor prima della laurea in architettura. E oggi, festeggiando i suoi trent’anni di carriera, Tommaso Spadolini si riconferma un punto di riferimento per gli armatori di tutto il mondo. «Questo lavoro ha sempre fatto parte della mia vita, provengo da una famiglia di architetti – ricorda Tommaso Spadolini -. Mio nonno, già nel 1936 disegnava edifici pubblici e mio padre, a detta di molti, fu l’artefice della rivoluzione dell’Italian design negli yacht». E, in effetti, suo padre, il celebre architetto Pierluigi Spadolini, lavorò ai primi Akhir, presso i cantieri di Pisa, all’inizio degli anni Settanta. Decennio in cui anche Tommaso inizia a disegnare barche. Una lunga gavetta al fianco del padre, fino al 1980, anno in cui ha aperto il suo studio. Anche lei rimase da subito affascinato dal mondo del mare? «Credo faccia parte del mio Dna. Ho vissuto nel mondo del design nautico fin da piccolo. Ho vissuto il mare in mare, anche navigando e ragatando a 226

livello agonistico». La sua prima imbarcazione fu un Barberis ’43. Da allora sono passati trent’anni, e oltre 100 yacht, in cui il settore si è evoluto significativamente. «Credo che la vera svolta sia avvenuta con l’arrivo degli anni Novanta, nel mio caso grazie alla collaborazione con il cantiere Canados, dove ho disegnato le linee esterne e gli interni di tutti i modelli da 18 a 25 metri. Negli anni successivi ho lavorato con clienti e cantieri in Italia, Turchia, Spagna, Regno Unito, Taiwan e Francia. Nel 1992 sono stato selezionato per disegnare il M/Y Fortuna, lo yacht del Re di Spagna. E Fortuna naviga ancora ad oltre 65 nodi». Suo manifesto è anche il Baglietto di 43 metri Nina j, con cui ha vinto il premio Cannes World YachtsTrophies nel 2006. Cosa le è rimasto di quell’opera? «Con questa barca sono riuscito a coniugare il mio stile con le aspettative dell’armatore e i “limiti tecnici” della costruzione. Ancora oggi i dettami di C&P


DESIGN NAUTICO | Tommaso Spadolini

In apertura, una veduta dello yacht Numptia. A destra, lo studio dell’armatore realizzato sul Columbus Yacht Prima. Sotto, Tommaso Spadolini con il nipote, Bernardo Papetti www.spadolini.it

quell’esperienza si riflettono sul mio lavoro. Come ad esempio per un nuovo 70 metri che ho disegnato per un armatore molto particolare». Particolare? «Nella tarda primavera del 2007 fui contattato da un project manager che mi chiese un preliminare di uno yacht di circa 60 metri. Lo stesso mi consegnò anche una lista di assoluti must che questo yacht doveva avere. Immediatamente mi resi conto che le richieste dell’armatore erano tarate per un’imbarcazione molto più grande. Al secondo incontro portai dei preliminari per uno yacht di 65 metri che conteneva tutti gli elementi richiesti. Di lì a pochi giorni incontrai per la prima volta l’armatore, il quale mi mise sotto esame, chiedendomi il perché di tutta una serie di scelte progettuali che avevo fatto. Iniziammo fin da quel primo incontro a stabilire un rapporto molto franco e dinamico. Nei mesi successivi passai diverse giornate tra Firenze e Viareggio ad ascoltare l’armatore».

In pratica lo affiancava in tutto il lavoro? «L’armatore aveva idee molto chiare su come la barca doveva aggiustarsi ai diversi stili di vita di tutta la sua famiglia, composta da più generazioni. Fin dalle prime parole mi accorsi che questo signore sapeva benissimo dove andare a parare. Sopratutto voleva una percorrenza interna separata tra owner, guess e crew. Mi chiedeva di poter contare su un servizio veloce e “hassle free” su tutti i ponti. Voleva grandi spazi comuni con volumi importanti, percorsi da e per le varie zone confortevoli e facili da seguire. Cabine ospiti illuminate anche con luce naturale. La sua C&P

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© Photo Carlo Borlenghi

© Photo Massimo Listri

A sinistra, il Numptia in navigazione e un particolare della sua scala esterna. Sotto, il salotto principale dello yacht Follow Me. Nella pagina a fianco, in alto da sinistra, il salotto superiore del Follow Me e il salotto principale del Columbus Yacht Prima. Sotto, la cabina armatoriale del Columbus Yacht Prima e il corridoio esterno dell’ala di comando del Numptia

suite, poi, doveva avere delle zone in cui potersi isolare per curare i suoi affari e allo stesso tempo passare momenti rilassanti. I ponti dovevano poter essere vissuti in modo formale ma anche informale. Fin dall’inizio chiese un ponte concepito per un “touch and go” che però doveva essere parte dello yacht e non una mera zona tecnica». Un progetto ambizioso. «Decisamente. Abbinare al suo sogno anche il suo stile di vita ha fatto sì che tutte le proposte da questo momento in poi siano state concepite per lui e con il suo contributo. Interpretare i tanti “desiderata” sapendo che comunque c’è un budget di costruzione da rispettare è la sfida che ho intrapreso». Cosa l’ha divertita di questo progetto? 228

«Ho avuto la possibilità di “giocare” con concetti che da tempo volevo incorporare in uno yacht. Numptia, così è stato chiamato, è un continuo di linee curve longitudinali, verticali e trasversali. Questo determina una dolcezza del profilo che fa apparire questa realizzazione di 70 metri come uno yacht e non come una piccola nave. Riportare il contatto con il mare è stato possibile attraverso il gentile scendere dei ponti giù fino all’acqua in una cascata di curve». Dunque alla fine è riuscito ad accontentare l’armatore, pur lasciando spazio al suo estro creativo? «Il committente non solo mi ha incoraggiato, ma attraverso i tanti tentativi ha dato un forte contributo nel portare le fasi progettuali alla fase esecutiva con un segno di continuità. In corso d’opera mi sono reso C&P


© Photo Massimo Listri

DESIGN NAUTICO | Tommaso Spadolini

conto che per armonizzare le curve, lo spazio interno e lo slancio da yacht sarebbe stato necessario portare il progetto fino a 70 metri. Da qui, il cad, i disegni 3D e soprattutto la realizzazione di modelli di studio ci hanno aiutato a concepire diverse ipotesi, per esempio per il disegno della poppa, dell’alberotto e anche per bitte e passa cavi. Tutti dettagli che fanno di Numptia un vero custom yacht. A tal proposito fui io stesso a presentare all’armatore l’architetto Salvagni, che ha fatto un lavoro di grande spessore ed eleganza nel design e nello styling di tutti gli interni». Numptia ha un arredo esterno tutt’altro che semplice. A chi si è rivolto per le sue componenti? «Non trovando mobili e arredamenti adeguati abbiamo fornito al cantiere disegni esecutivi per la C&P

realizzazione di tutti i divani, le sedute, i tavoli, i mobili per pantry e cucine/bar oltre che per i diversi prendi sole». Tornando alla sua carriera, cosa si aspetta per il futuro? «Abbiamo moltissimo lavoro da portare a termine, con oltre 250 metri di imbarcazioni da realizzare. Ora, poi, sono affiancato anche da mio nipote, Bernardo Papetti, che intende portare avanti la tradizione di famiglia arricchendola con il suo approccio moderno sul design. Nei prossimi anni ci impegneremo sempre di più nello sviluppo di progetti che contengono materiali più innovativi, sicuri e a ridotto impatto ambientale. L’obiettivo, comunque, resta sempre lo stesso. Aiutare l’uomo a vivere un sogno, quello del mare». 229




On the road, con stile Sunset è una casa mobile che coniuga funzionalità ed esigenze di sostenibilità ambientale proprie dell’architettura contemporanea. Il progetto è di Hangar design group, uno studio nel quale, secondo il presidente Alberto Bovo, il design viene pensato a 360 gradi di Riccardo Casini

Un’abitazione su ruote, ma espressione del migliore made in Italy. Una sfida non facile quella di Hangar design group, che però alla fine è valsa allo studio di Treviso (oggi presente nel mondo con sedi a Barcellona, New York, Shangai e Hong Kong) l’ambito Compasso d’oro 2011 nella categoria “Design per l’ambiente”. Merito indubbiamente delle caratteristiche del progetto: la casa mobile Sunset infatti è una vera e propria abitazione che vanta certificazione Casaclima classe A, massima efficienza energetica, minimo impatto ambientale, riciclo dei componenti, qualità certificata dei processi produttivi e sicurezza testata del prodotto. E soprattutto una particolare velocità realizzativa e di montaggio, per arrivare in loco già completamente allestita; una volta 232

posizionata, infatti, necessita soltanto dell’allacciamento alla rete elettrica, fognaria e idrica. Ed è da subito abitabile. «Si tratta di un prodotto – spiega l’architetto Alberto Bovo, presidente e partner di Hangar design group – che viene realizzato in un luogo, quindi trasportato e montato in un altro. Infine, al termine del ciclo di vita, può essere completamente distrutto e riciclato. Oltre a ciò, presenta caratteristiche tecnologiche elevate, grazie anche alla collaborazione con Movit (marchio dell’azienda altoatesina Pircher Oberland, ndr), e un indubbio appeal visivo». Un altro punto a suo favore è quello dell’autonomia energetica. In che modo è possibile sposare oggi C&P


ABITAZIONI ITINERANTI | Alberto Bovo

Sopra, Sunset, il progetto di casa mobile che ha vinto quest’anno il Compasso d’oro. A lato, Alberto Bovo (a destra) e Sandro Manente, partner dello studio Hangar design group

funzionalità e sostenibilità ambientale? «In realtà il progetto non è nato con questa spiccata idea di ecosostenibilità, ma era stato pensato per sostituire la mediocrità delle unità abitative che caratterizza le aree turistiche italiane ed europee. Solo in un secondo momento siamo giunti all’ipermodularità, e quindi alle componenti produttive che vanno a sostegno dell’ecosostenibilità. Oggi il mondo del design segue una logica completamente diversa da qualche anno fa: se i prodotti sono fatti da forma e funzione e il design si è sempre occupato in particolare del primo aspetto, oggi la componente funzionale è divenuta quella da cui partire. E anche il progetto Sunset deve rispondere a questa esigenza». C&P

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Il Compasso d’oro è arrivato nel trentennale della fondazione dello studio. Quali sono oggi per voi le sfide principali? Quali i requisiti imprescindibili per affermarsi sul mercato? «Di certo, se prima si cercavano designer bravi e “di firma” per dare spessore al prodotto, oggi come detto si cerca di coniugare l’aspetto formale con quello funzionale. E tutto viene pensato per il mercato. Ma non solo: il nostro studio ha cercato di adattarvisi anche tramite un’articolazione dell’offerta». Hangar si occupa in effetti di architettura e design ma anche di comunicazione, grafica, editoria, press, web e multimedia. «Le aziende oggi ci chiedono di partire dal marketing più 234

che dal design puro, in quello che è un processo inverso rispetto a qualche tempo fa. Prima della progettazione è necessario infatti capire a chi è destinato il prodotto: si tratta del cosiddetto design strategico. E anche la progettazione è cambiata: oggi viene data molta più importanza all’aspetto visivo, anche nel modo di presentare i progetti stessi, e per questo il design va pensato a 360 gradi. La diversificazione delle attività del nostro studio è avvenuta in tempi non sospetti, all’inizio apparivamo un po’ ridicoli ad alcuni nostri colleghi che si occupavano di architettura ed edilizia. Sembravamo quelli che vogliono fare tutto senza saper far niente». E invece? «Invece oggi i clienti vengono da noi per lo stesso C&P


ABITAZIONI ITINERANTI | Alberto Bovo

Oggi viene data molta più importanza all’aspetto visivo, anche nel modo di presentare i progetti stessi. Per questo motivo il design va pensato a 360 gradi

A lato, due particolari dell’esterno della casa mobile Sunset. Nella pagina precedente, due vedute degli interni: in alto il living, sotto la zona notte

motivo per cui allora andavano altrove: prima si cercava la specializzazione, oggi le figure trasversali. Nel frattempo il nostro studio si sta orientando intorno a tre grandi segmenti: digital, reputation e design, quest’ultimo inteso appunto in senso più ampio, dalla progettazione alla comunicazione». Ma quali progetti avete in campo? «Stiamo progettando il nuovo Mondadori multicenter a Milano, un punto commerciale per prodotti multimediali per il quale ci è stato affidato un vero restyling del format: oggi infatti occorre pensare a come il luogo deve approcciarsi a un nuovo consumer. A livello di design di prodotto, invece, in Italia stiamo lavorando molto nel settore del beverage, mentre C&P

all’estero stiamo sviluppando un nuovo modo di concepire la cucina». A proposito di estero, Hangar oggi ha vari uffici nel mondo. Ma quali sono i mercati su cui puntare? «Personalmente siamo innamorati degli Stati Uniti, ma occorre ammettere che le maggiori prospettive vengono dall’Asia: anche se si tratta di luoghi spesso difficili, oggi il futuro passa da lì e a grande velocità, anche da parte dei consumatori. E se da una parte si tratta di paesi che hanno già imparato molto sul fronte manifatturiero, c’è da dire che, per quanto riguarda la comunicazione e il brand, i prossimi anni saranno importanti. Oggi siamo presenti ancora timidamente nel settore, ma ci prepariamo a entrarvi in maniera più decisa». 235




Brian Sironi, industrial designer

Un’elica a led: il futuro dell’illuminazione Disegnata da Brian Sironi nel 2009, la lampada Elica è disponibile in due dimensioni. Il movimento genera la luce, ruotando il braccio la lampada non si solleva dal piano ma s’Illumina e si spegne, non ci sono interruttori che alterano l’armonia della sua forma. Un’elica di pura luce che, come un divertente gioco, fa spiccare il volo all’immaginazione e alla fantasia. Brian Sironi spiega come è nata di Nicolò Mulas Marcello

L’obiettivo dichiarato era creare una lampada senza tempo, capace di trasformarsi in un’icona. Con questo intento Brian Sironi ha creato Elica, lampada da tavolo a luce diretta orientabile, con struttura in alluminio verniciato nel colore bianco, e sorgente luminosa a led di colore bianco. Semplice, minimale, e sorprendente, Elica ha vinto il compasso d’oro 2011. «Non volevo progettare una lampada molto “tecnica” o un prodotto di styling – spiega Sironi –, desideravo invece che potesse durare nel tempo». Da dove è nata l’ispirazione per progettare la lampada? «L’ispirazione è nata dall’intento di progettare una 238

lampada da tavolo in cui il led fosse l’unica fonte luminosa con la quale realizzare l’oggetto. Il mio interesse era concentrato principalmente nella forma e nella proporzione del led, unica nel suo genere: lunga, stretta e piatta, quindi non assimilabile ad altre fonti luminose puntiformi o con spessori importanti. Lo spessore del braccio di Elica è stato dimensionato in funzione dei led e il braccio è stato il punto di partenza del progetto: 8mm è lo spessore minimo che garantisce l’alloggiamento dei led e la resistenza alla flessione. Dato lo spessore del braccio, bisognava definirne la forma, conferendogli una rotondità finale che è figlia della rotazione. Come raccordare quindi un cerchio a un altro cerchio più grande in modo da rendere la base C&P


Foto di Matteo Felici

LIGHTING DESIGN | Brian Sironi

stabile? Con un segmento dritto. Si ottiene quindi un cono. L’altezza della lampada e la lunghezza del braccio sono dimensionati secondo i principi della sezione aurea e non è presente nessun dettaglio tecnico a vista: il braccio stesso della lampada costituisce l’interruttore, ruotandola, la lampada si accende e si spegne, generando un effetto sorpresa. Inoltre, il meccanismo di accensione/spegnimento è accompagnato da un effetto sonoro, un click che costituisce un ulteriore feedback per l’utente e contemporaneamente un richiamo al suono dei classici interruttori». L’idea della rotazione del braccio come accensione è una scelta innovativa. Dobbiamo dire C&P

In questa pagina, la lampada Elica, produttore Martinelli

addio ai tradizionali interruttori? «Penso che in questo momento non si possa dire addio ai tradizionali interruttori, ma sicuramente siamo nel pieno di una fase di transizione: l’interruttore sta finalmente diventando un argomento di progettazione, non è più relegato a una scelta tecnica da compiere a posteriori, apponendolo magari sul filo come si fa tradizionalmente. L’interruttore viene pensato insieme alla lampada ed è sempre più integrato grazie alla tecnologia. Mi riferisco, ad esempio, all’avvento dei sistemi touch, che inglobano 239


l’interruttore nella forma stessa dell’oggetto. Quel che invece è accaduto con Elica è un passo ulteriore: non solo l’interruttore è parte della lampada, ma è legato al movimento, creando un’interazione fisica fra il prodotto e l’utente. L’interazione che si crea è naturale e direttamente dettata dalla forma dell’oggetto, si cerca cioè di favorire un “mapping naturale”, per prendere in prestito un’espressione dalla disciplina dell’ergonomia». Come sta cambiando la concezione del design nel campo dell’illuminazione? «La tecnologia ha cambiato completamente il metodo di progettazione di un apparato illuminotecnico. Il design di una lampada non è più un progetto attorno alla tradizionale lampadina, ma occorre ripensare completamente l’oggetto perché la fonte luminosa ha cambiato forma, proporzioni e dimensioni. Protagonista assoluta di questo cambiamento è la tecnologia led che, oltre ad aver 240

cambiato l’aspetto degli oggetti, possiede indubbi vantaggi di risparmio energetico. Il cambiamento tecnologico nel campo dell’illuminazione sta quindi investendo l’oggetto sia dal punto di vista morfologico che della sostenibilità». Cosa la affascina del mondo della luce? «In questo settore è possibile attuare innovazioni più radicali rispetto ad altri campi del design, grazie al contributo delle nuove tecnologie e della ricerca che si pone costantemente l’obiettivo di migliorare le prestazioni delle fonti luminose. Inoltre, la luce è una condizione imprescindibile della nostra vita quotidiana, è un aspetto del quale non possiamo fare a meno perché fonte del nostro benessere, possiede la capacità di creare atmosfera e di qualificare gli ambienti per usi e funzioni differenti. Il potenziale della luce dal punto di vista progettuale è enorme, ecco perché sono affascinato dalla possibilità di utilizzarlo nella vita quotidiana delle persone». C&P



La coppia di designer Ludovica e Roberto Palomba. Nella pagina a fianco, il progetto vincitore del premio Compasso d’oro, Lab 03 by Kos

L’evidenza dell’arredo a 360 gradi «Un prodotto che sarà scelto da un’infinità di persone a noi sconosciute, risulterà sorprendentemente familiare al primo sguardo, come un vero colpo di fulmine, come l’amore della nostra vita». Così Ludovica e Roberto Palomba, firme del design italiano che quest’anno con Lab03 si sono aggiudicati il premio Compasso d’oro, riassumono «l’evidenza» creativa di dar vita a nuovi oggetti di Paola Maruzzi

«I nostri lavori nel design e nell’architettura si basano sull’analisi del cambiamento dei comportamenti». Questa è per la coppia di designer milanesi, Ludovica e Roberto Palomba, dello studio Palomba Serafini Associati, l’incipit della loro cifra stilista. Una delle loro ultime creazioni, il lavabo Lab03, si è aggiudicato il Compasso d’oro, entrando a far parte della collezione storica custodita dalla Fondazione Adi, un’iniziativa che, in concomitanza dei 150 anni dell’Unità d’Italia, consacra l’importanza del design nel più vasto ambito del patrimonio creativo nazionale. Disegnato per Kos, Lab03 è un progetto innovativo nel settore arredo bagno. Per la prima volta, infatti, un lavabo free standing è stato pensato per integrare a sé il porta asciugamani. Progettato con un particolare sistema di curve e raccordi, pieni e vuoti, ha un appeal monolitico. Sinuoso e materico Lab03 è un vero e proprio progetto di architectural-design. Ma per i due 242

artisti è solo il preludio di un ripensamento globale dell’arredo casa. Il vostro lavoro è il prodotto di una strategia di coppia. Come riuscite a “funzionare”? LUDOVICA PALOMBA: «Lavorare in coppia è innanzitutto meglio che lavorare da soli. Essere un uomo e una donna dà una visione più aperta ai nostri progetti. E poi è così triste ridere da soli!». Quali passi dovrebbero compiere i grandi marchi dell’arredo italiano per rafforzare il ruolo creativo del designer? ROBERTO PALOMBA: «Le aziende dovrebbero scegliere i designer per le loro capacità e il loro valore. E anche essere più curiose verso i giovani, i nuovi talenti. Secondo noi ci vuole grande complicità tra i designer e le imprese». Per Kos avete reinventato il concetto di bagno. Come C&P


LAVABO D’AUTORE | Ludovica e Roberto Palomba

immagina il futuro di questo spazio? R. P. «Lorenzo De’ Medici diceva: “Del doman non v’è certezza” per cui, all’insegna del “chi vuol esser lieto, sia”, godiamoci quello che offre il presente. Nel frattempo, dovendo ipotizzare scenari futuri, cosa che facciamo per mestiere, ci piacerebbe che il bagno, ora che è diventato bello, cominci anche a essere buono. Questo significa, ad esempio, utilizzare l’acqua, fonte di vita, in modo consapevole». Quale pezzo della storia del design italiano ha cambiato il modo di approcciarsi alla materia? R. P: «Ogni periodo della storia ha le sue icone: il sacco di Zanotta ha cambiato l’idea di sedersi; la lampada Arco, disegnata da Castiglioni per Flos, ha reinventato l’illuminazione. Non ultimi, i nostri bagni sono stati fondamentali per l’evoluzione del design in senso contemporaneo. Sono davvero tantissimi i pezzi della storia del design che C&P

Ogni periodo ha le sue icone: il sacco di Zanotta ha cambiato l’idea di sedersi; la lampada Arco ha reinventato l’illuminazione, i nostri bagni sono stati fondamentali per l’evoluzione del design possiamo racchiudere in una sorta di museo alla voce “cambiamento”». A cosa state lavorando? L. P.: «Alla casa a 360 gradi, ma preferiamo non dare nessuna anticipazione». C’è un progetto nel cassetto che aspetta di essere realizzato? L. P.: «Il food. Ci piace l’idea di poter progettare unendo più sensi: la vista, l’olfatto, il tatto e ovviamente il gusto». 243


Il design che modella il vetro Grazie al binomio perfetto tra qualità della lavorazione del vetro e alta industrializzazione, il brand “Cogliati… Cogliati” ha riscosso grande successo, portando il made in Italy in India, Medio Oriente e America. Ne parla Maurizio Nava di Emanuela Caruso 244

C&P


FORME D’INTERNI | Maurizio Nava

L’ingegner Maurizio Nava, direttore generale della Vetraria Cogliati di Lissone (Mi). In apertura, il Lavabo Night realizzato da Cogliati www.cogliati-cogliati.it

Trasparente, lucente e raffinato, il vetro è da sempre uno dei materiali più utilizzati nel settore dell’edilizia e dell’arredamento. Da anni, ormai, l’obiettivo delle migliori vetrerie italiane è quello di andare oltre i classici utilizzi del vetro, per trovare nuovi sbocchi, nuove forme e interessanti nicchie di lavoro, come ad esempio l’interior design. Chi da più di quarant’anni riesce a fare tutto questo e a continuare a migliorare e innovare il proprio prodotto e la propria realtà aziendale è la Vetraria Cogliati, situata a Lissone, in provincia di Milano. «Da quando nel 1966 la nostra società è stata fondata da Giuseppe Cogliati, – afferma l’ingegner Maurizio Nava, direttore generale dell’impresa –, siamo stati in grado di farci conoscere e a imporci sul mercato grazie alle nostre lavorazioni speciali ed esclusive». Su quali aspetti la Vetraria Cogliati ha dovuto investire maggiormente per riuscire a proporre nuovi utilizzi del vetro? «In particolare, negli ultimi anni, abbiamo investito per lo sviluppo del settore edile nell’innovazione tecnologica e impiantistica, in modo da poter realizzare vetri di grosse dimensioni, 5 metri per 3 metri, e poter lavorare i vetri di nuova generazione con rivestimenti speciali, ovvero rivestimenti in grado di consentire elevati risparmi energetici, sono infatti stati studiati ed elaborati per favorire il riscaldamento in inverno e il condizionamento in estate. Sempre questi nuovi vetri sono stati anche migliorati a livello estetico e vengono utilizzati dall’edilizia moderna. La Vetraria Cogliati si è inoltre distinta anche per la realizzazione di vetrate fotovoltaiche di cui la più prestigiosa è il palazzo della nuova sede della regione Lombardia». Qual è il principale punto di forza della vostra C&P

azienda? «Sicuramente la competenza tecnica di tutto il personale, su cui ogni nostro cliente, dagli studi di progettazione a quelli di architettura, possono contare. La grande specializzazione del nostro team, unita a quella dei committenti, ci permette di realizzare prodotti sia semplici che complessi, creazioni sia piccole, come docce, parapetti, scale o pensiline, che grandi, quali facciate, coperture, pareti o divisorie per interni». Nel 2006 avete lanciato il brand “Cogliati… Cogliati”, che vi ha permesso di far conoscere la vostra società a livello internazionale. Quali prodotti rientrano in questa collezione e in quali mercati esteri la commercializzate? «Questo brand davvero innovativo è stato pensato e formato da prodotti di lusso per l’arredobagno, e grazie al binomio perfetto tra qualità della lavorazione del vetro e alta industrializzazione ha riscosso subito grande successo, portando il made in Italy in India, Medio Oriente e America. La collezione prevede lavabi, specchi e accessori dal design all’avanguardia e capace di mettere in risalto i movimenti e i riflessi dell’acqua, e mobili rivestiti in vetro smaltato temperato, che fornisce al prodotto un’eleganza unica. Proprio per merito della raffinatezza e della personalità di questa linea di prodotti, stiamo realizzando in Azerbaigian i bagni di un prestigioso albergo e centro direzionale, le Baku Flame Towers». 245


Foto di Leo Torri


FORME D’INTERNI | Odoardo Fioravanti

Il designer Odoardo Fioravanti

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La precisione assoluta al servizio dell’idea Con Frida, Odoardo Fioravanti ha voluto sfidare i limiti della resistenza del legno, dando vita a un instant classic dalla raffinata tecnologia. Perché per un designer «è importante saper ricercare un segno che risulti nuovo ma anche familiare» di Michela Evangelisti

La sua sedia, disegnata per Pedrali, si è aggiudicata il XXII Compasso d’oro Adi nella categoria Design per l’abitare, “per la semplice bellezza scultorea”. Per arrivare fino a Frida Odoardo Fioravanti ha condotto, a braccetto con l’azienda produttrice, un percorso di ricerca con un preciso obiettivo: dare vita a un oggetto che rappresentasse un punto di arrivo assoluto per la lavorazione del legno. Il guscio che forma la seduta è realizzato in legno curvato tridimensionale sottilissimo. «Questa tecnica – spiega il designer – consente di creare gusci concavi in due direzioni, che donano comfort alle sedute e un nuovo appeal contemporaneo al legno». La sfida nella progettazione è stata, quindi, quella di spingere al massimo i limiti della resistenza del legno, per ottenere un oggetto dall’estetica dinamica, che comunichi comodità all’utilizzatore ancor prima di sedersi. C&P

La seduta rappresenta un archetipo radicato. Cosa lega Frida alla tradizione e cosa la rende unica? «Se penso al legame di Frida con la tradizione, mi focalizzo sullo sforzo di ricercare una forma nuova ma che, al contempo, potesse apparire come un instant classic. Per un designer è importantissimo saper ricercare un segno che risulti nuovo nel panorama del design, ma anche familiare e non drasticamente spiazzante per lo sguardo delle persone. L’unicità di questa sedia deriva sicuramente dalla tecnologia impiegata e dal fatto che, per la prima volta, si è riusciti a sovrapporre un guscio di legno curvato tridimensionalmente a una struttura anch’essa in legno massello. Fino ad oggi nessuno era riuscito in un’operazione del genere, perché prevede precisione assoluta sia nella fase di progettazione che nella fase di realizzazione di tutte le parti». 247



FORME D’INTERNI | Odoardo Fioravanti

In apertura e in questa pagina, la sedia Frida, che si è aggiudicata il XXII Compasso d’oro Adi nella categoria Design per l’abitare

Quanto conta il materiale in un progetto? «Il materiale ha il ruolo cruciale di incarnare le idee nella tridimensionalità di una forma e di una struttura, donando spesso agli oggetti un carattere simile a quello delle persone. Ci sono materiali (e quindi oggetti) caldi, freddi, affettivi, anaffettivi, onesti, semplici, estroversi, introversi. Il materiale in definitiva crea l’interfaccia sensibile, che ha l’importante compito di essere percepita dai nostri sensi. Per questo parlando della scelta del materiale si parla spesso di design primario, come di un design che viene prima di tutti gli altri. Spesso trovare un materiale interessante, magari prendendolo da ambiti produttivi diversi, può essere decisivo come punto d’inizio di una catena di idee che porta poi al progetto finale». Ha definito il designer come una figura “rinascimentale”. Come sta cambiando il suo ruolo? «Il panorama delle industrie manifatturiere sta C&P

Frida è caratterizzata da una grande leggerezza e da una fortissima resistenza. Il comfort è dovuto all’elasticità delle componenti, che avvolgono in un caldo abbraccio chi si siede

cambiando: non possiedono al loro interno tutti gli strumenti per sviluppare e commercializzare prodotti “di design” e quindi i designer si trovano sempre più spesso a mettere riparo a queste carenze offrendo una consulenza più ampia. Una specie di cura “totale”, tagliata sul singolo progetto: dall’ideazione, all’ingegnerizzazione, alla ricerca dei fornitori, fino alla comunicazione del prodotto. Succede così che il portfolio di mansioni del designer si riempia e che le capacità delle aziende, per converso, diventino sempre meno ampie. Questo mi fa pensare a un ritorno del designer a un profilo simile a quello di un artista rinascimentale, capace di tutto quello che sta tra il pensiero più rarefatto e l’agire più denso». 249


Il designer Simon Pengelly E di Foto

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Un tavolo leggero e attento ai dettagli Nuur, frutto di tre anni di ricerca, incarna un’estetica pura, capace di adattarsi a un’ampia gamma di funzioni e personalizzazioni. Il suo ideatore, Simon Pengelly, invita a guardare sotto l’apparente semplicità delle forme e ad apprezzare negli oggetti di design una certa misura di “quiete”: «La qualità fondamentale dei prodotti migliori» di Michela Evangelisti

La cifra distintiva del suo studio di design, fondato a Londra nel 1993, è data da un approccio pragmatico e da un’affinità per soluzioni che esplorano funzione, materiali e processi di produzione. Quest’anno con il suo sistema di tavoli, Nuur, Simon Pengelly ha vinto il Compasso d’oro Adi nella sezione Design per l’abitare, “per l’estrema leggerezza e l’attenzione al dettaglio”. «Nuur è stato il culmine di tre anni di ricerca condotti per Arper – spiega il designer – in seguito a una conversazione avvenuta nel 2006 riguardo la necessità di realizzare un tavolo che potesse essere proposto in una molteplicità di taglie, materiali e rifiniture, abbracciando le esigenze funzionali sia domestiche che di altri contesti d’interno». Nuur è l’archetipo del tavolo. Il principio di fondo è semplice quanto funzionale: quattro gambe d’angolo, quattro elementi 250

di collegamento e un piano. Un’estetica pura che si apre a una varietà di utilizzi e di personalizzazioni. Quale genere di sfida ha rappresentato per lei Nuur? «L’apparente semplicità della forma è stata la cosa più difficile da ottenere dal punto di vista della fabbricazione. Connettere le gambe e gli elementi di collegamento per allinearli ripetutamente ha messo a dura prova la pazienza degli ingegneri della Arper, ma il risultato è valso tutti gli sforzi. Ora stiamo sviluppando altre versioni, per accedere ad altri mercati: il futuro di Nuur è nelle nostre mani». Il suo lavoro consiste nel cercare l’equilibrio tra estetica, funzionalità ed economia. Qual è la sua formula? C&P


FORME D’INTERNI | Simon Pengelly

In alto il tavolo Nuur, che si è aggiudicato il XXII Compasso d’oro Adi nella categoria Design per l’abitare

«Discutiamo tanto dell’importanza dei prodotti e del modo in cui essi parlano all’utilizzatore finale. Con questo mi riferisco a un numero di elementi complessi che vanno a costituire un pezzo di successo, come la funzione, il prezzo, la qualità, il comfort, ma più ancora una risposta emozionale al prodotto, possiamo dire alla sua “anima”. Un oggetto che possieda la giusta combinazione di questi elementi si ottiene aggiungendo solo quello di cui c’è bisogno e riducendo i fattori superflui, senza spogliarlo della sua personalità, per fondare la sua essenza sia a livello funzionale che estetico». Ha espresso la volontà di influenzare il mercato con un design “quieto”. Cosa intende? «L’importanza di ogni progetto è diversa, ma ci sono alcuni obiettivi che tentiamo sempre di centrare e senza dubbio il più importante è la “quiete”. Questa qualità, combinata in un giusto equilibrio con quelle che ho menzionato sopra, fa sì che un prodotto possa essere utilizzato in tutti i tipi di ambienti, con tutte le C&P

Nuur è nato dalla necessità di realizzare un tavolo che potesse essere proposto in una molteplicità di taglie, materiali e rifiniture, abbracciando le esigenze funzionali più ampie combinazioni di stili estetici e non risultare presuntuoso. Questo permetterà vendite maggiori e quindi il prodotto acquisterà spessore e visibilità». Lavorare a progetti commissionati ha mai limitato la sua creatività? «Un ordine chiaro e dettagliato è il segnale che il cliente ha svolto il suo compito e sa quello che vuole; questo è importante se vogliamo lavorare con i nostri clienti per stabilire i veri buchi nei loro assortimenti. In caso contrario si rischia di procedere per tentativi. Un ordine chiaro non è mai una restrizione; certo significa che dobbiamo tenere un approccio più rigoroso nella ricerca e che la risoluzione dei problemi può essere più stimolante e snervante, ma tutto ciò che vale la pena fare lo è!». 251


Il designer francese Jean-Marie Massaud

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L’archetipo del comfort È stato premiato alla XXII edizione del Compasso d’oro grazie alla “visione di un imbottito inserito in una struttura minimale”. Il designer francese Jean-Marie Massaud racconta com’è nato e quali sensazioni ha voluto trasmettere con il sistema di divani e poltrone Yale di Francesca Druidi

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C&P


COMFORT ESSENZIALE | Jean-Marie Massaud

La collezione è composta da cuscinature generose di piume morbide e avvolgenti, posizionate in seduta e lungo gli schienali all’interno di una raffinata struttura in estruso di alluminio

Il sistema Yale di divani, poltrone e tavoli

Comfort e leggerezza. Sono le caratteristiche con le quali il designer e architetto francese Jean-Marie Massaud descrive la sua creazione, il sistema di divani e poltrone Yale, sviluppato dal centro progetti Mdf Italia e premiato in occasione della dodicesima edizione del premio Compasso d’oro Adi. «Yale s’inscrive nella ricerca di ciò che fa l’essenzialità del comfort, l’immagine stessa del comfort e una certa idea di base dell’eleganza. La collezione è composta da cuscinature generose, posizionate in seduta e lungo gli schienali all’interno di una raffinata struttura in estruso di alluminio». Anche le gambe degli elementi sono pressofuse in alluminio. «Il sistema permette molto semplicemente di posizionare, all’altezza della nostra morfologia, questi guanciali di piume morbidi e avvolgenti». Sono molteplici le fonti d’ispirazione per il designer d’Oltralpe, che per il suo lavoro prende sempre e comunque le mosse dalla ricerca della leggerezza e della competenza. «Le barche a vela dell’America’s Cup mi sembrano una bella sintesi di queste poste in gioco. A ciò si aggiunge l’intenzione di voler far uscire il divano dall’ambito casalingo o di design per farne un’icona contemporanea e progressista. Il nome Yale, dall’università sul bordo dell’oceano, mi è venuto C&P

naturalmente». Jean-Marie Massaud si è auto definito un designer “essenzialista”, non nel senso dell’inseguimento del minimal a tutti i costi né, del resto, sul fronte dello stile, ma piuttosto per il «tentativo di operare una sintesi creativa che abbracci sfide più ampie, andando al di là dell’impiego e del potenziale primario di un oggetto. In alcuni contesti, l’umorismo o l’emozione possono essere altrettanto importanti della performance o del comfort». Massaud invita a considerare, per quanto riguarda gli aspetti prioritari in architettura e nel design, l’importanza del panorama e del servizio proposto «nell’ottica di raggiungere una sensatezza, una pertinenza, rispetto alle scommesse dell’epoca. Ciò chiama in causa tanto le innovazioni e la comprensione di queste stesse sfide quanto i mezzi tecnologici ed economici». E sulla possibilità che il design possa contribuire a migliorare l’esistenza quotidiana, Massaud ha le idee chiare: non esistono regole pre-codificate o dottrine da seguire, ma solo «una grande apertura all’evoluzione dei nostri stili di vita e dei nostri comportamenti. L’eclettismo di pensiero consente di alimentare una riflessione comune. Credo nell’apertura, mentre provo orrore nei confronti dei diktat». 253




Il progetto come sintesi tra uomo e ambiente La creazione di nuovi spazi di aggregazione, in cui l’uomo e l’ambiente possano coesistere in armonia, rappresenta l’ultima frontiera dell’architettura italiana. Antonio Iascone riflette sull’evoluzione del rapporto tra progetto e contesto di Guido Puopolo

Quello dell’architetto è un mestiere dall’alta valenza sociale, in quanto in grado di incidere direttamente sulla qualità della vita delle persone. Pensare e progettare gli ambienti ponendo al centro le esigenze di chi li abita, diventa quindi un requisito indispensabile, soprattutto in un momento come quello attuale in cui è forte il desiderio di riappropriazione degli spazi da parte della comunità. «La nostra 256

creatività, libera da autoreferenzialità, deve ispirare la fiducia del committente ed essere affidabile. Ogni scelta, congruente rispetto all'obiettivo che ci siamo dati, deve infatti essere credibile, e in grado di contribuire al miglioramento dei luoghi in cui viviamo. In questo senso si può dire che chi opera nel mondo dell’architettura ha una grande responsabilità etica nei confronti della C&P


PROGETTAZIONE | Antonio Iascone

società», spiega l’ingegner Antonio Iascone, titolare dell’omonimo studio, con una sede a Bologna e una a Milano. Come si inserisce, in questo contesto, la crescente attenzione rivolta all’implementazione di progetti “ecosostenibili”? «La sostenibilità è sicuramente uno degli elementi più influenti nell’architettura contemporanea, che non deve però essere collegata unicamente al discorso energetico. Parlare di sostenibilità oggi significa infatti affrontare un concetto molto più complesso, che richiede un approccio progettuale di ampio respiro, fatto di una continua interazione tra gli edifici, l’ambiente circostante e le persone che usufruiscono di tutto ciò. In particolare, per quel che ci riguarda siamo molto attenti all’impatto che le nostre opere hanno sulla natura. Quella che noi proponiamo è un’architettura non invasiva, capace di interagire con l’ambiente in maniera discreta e rispettosa, per cogliere l’essenza dei luoghi su cui si va a intervenire, senza però snaturare territori delicati e di straordinaria bellezza». Quali sono, quindi, i fattori alla base di un progetto di successo? C&P

Nel tondo, l’ingegnere Antonio Iascone, titolare dello studio Antonio Iascone Ingegneri Architetti a Bologna www.antonioiascone.it

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Il BuildingGarden rappresenta una sintesi e una contaminazione tra lo spazio abitativo indoor e lo spazio esterno

«Un buon progetto nasce da un attento dialogo tra committenza, progettisti, consulenti e imprese, con lo scopo di mettere a fuoco i sogni e i bisogni del committente. La loro trasformazione in progetto avviene attraverso un continuo scambio di informazioni, esperienze e priorità, propedeutiche al compimento dell’opera. Proprio l’analisi delle esigenze della committenza, la storia dei luoghi, così come il particolare momento economico e sociale, rappresentano il contesto all’interno del quale si deve muovere un architetto, per offrire soluzioni uniche e mai standardizzate». Il suo studio ha cercato di rispondere a queste nuove esigenze, attraverso un progetto denominato BuildingGarden. Può spiegare di cosa si tratta nello specifico? «Questo concept, da noi elaborato, deriva dalla convinzione che la contaminazione, in tutte le sue 258

varie forme, sia alla base della vita dell’uomo. Il BuildingGarden, in questo senso, rappresenta una sintesi e una contaminazione tra lo spazio abitativo indoor e lo spazio esterno, che negli anni è stato soggetto a diverse evoluzioni. Abbiamo infatti pensato a un complesso residenziale in cui tutte le unità abitative siano dotate di un giardino privato, un roof garden utilizzabile come spazio verde, grazie al quale le persone possano avere la possibilità di riappropriarsi del loro tempo libero. La flessibilità del sistema aggregativo, unita alla differenziabilità delle tipologie di involucro esterno, rende il progetto configurabile a contesti differenti, sia urbani che extraurbani, sia di densità che di espansione. I sistemi costruttivi ottimizzati, la tipologia modulare e le soluzioni tecniche e impiantistiche previste, consentono inoltre una rapida realizzazione dell'opera e una semplificazione delle eventuali manutenzioni future. C&P


PROGETTAZIONE | Antonio Iascone

Possiamo dire che lo spazio verde non viene più inteso come un ambiente extra, ma risulta incorporato all’interno dell’unità abitativa». La tecnologia è divenuta ormai un supporto indispensabile alla vostra attività. Qual è oggi, il rapporto tra le innovazioni tecnologiche e la progettazione? «Riteniamo la tecnologia un utile e imprescindibile strumento, capace di fornire soluzioni e opportunità a supporto della creatività. Abbiamo superato la fase “high-tech”, in cui la tecnologia tendeva a oscurare le altre componenti indispensabili alla realizzazione di un’opera architettonica, raggiungendo il giusto equilibrio tra tutti questi elementi. Per quel che ci riguarda cerchiamo di mantenere sempre un approccio curioso e maturo nei confronti della tecnologia. Uniamo infatti la curiosità per tutto ciò che è nuovo al recupero di tecnologie, pratiche e materiali, anche della tradizione, senza pregiudizi, scegliendo di volta in volta ciò che è più adatto al raggiungimento dei nostri obiettivi». Recentemente avete presentato un progetto per C&P

la riqualificazione di una vasta area nei pressi della zona fieristica bolognese. Quali sono le finalità di quest’opera? «Il progetto è teso al recupero e riutilizzo di un insieme di fabbricati di tipo industriale in disuso, siti in un’area densamente abitata di Bologna, mediante la realizzazione di un vero e proprio quartiere con edifici residenziali, commerciali e terziari, spazi aperti e di relazione, giardini pubblici e privati. È l’evoluzione dell’idea della cittàgiardino, in cui le diverse realtà urbane si connettono e si contaminano tra di loro, per dare al quartiere una nuova qualità architettonica. Nelle città italiane sono tanti gli spazi di questo tipo, che potrebbero essere valorizzati e recuperati alla collettività. La crisi, in questo senso, ha rappresentato una grande opportunità per ripensare l’approccio alle nostre città. Mentre in passato si è costruito di tutto, oggi si cerca di puntare sulla qualità, perché si è capito che progettare un quartiere accogliente e funzionale può generare conseguenze significative anche da un punto di vista economico, con ricadute positive per tutta la comunità». 259


Progetto architettonico di mitigazione e valorizzazione paesaggistico-ambientale della terza linea del Termovalorizzatore “San Lazzaro� di Padova (2010). Vista dal canale Piovego

Soluzioni innovative si integrano nel paesaggio Tra progettazione architettonica e pianificazione territoriale, lo studio Tomasello Architetti associati punta a dotare il territorio, quello veneto in particolare, di servizi e strutture ad alto grado di sperimentazione e sostenibilitĂ , come spiegano i soci Fernando Tomasello e Monica Pastore di Leonardo Rossi 260

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PROGETTAZIONE | Fernando Tomasello e Monica Pastore

Fernando Tomasello e Monica Pastore, soci dello studio Tomasello Architetti associati www.studiotomasello.com

Una ricerca di nuove soluzioni spaziali per la vita contemporanea, da calibrare di volta in volta sulle specifiche esigenze funzionali in accordo a obiettivi comuni di sostenibilità e integrazione al contesto: questa la missione che muove Fernando Tomasello e Monica Pastore, soci dello studio Tomasello Architetti associati. Uno studio nato nel 2005 da una collaborazione in realtà ben più longeva. «La mia attività – spiega Tomasello – interessa da sempre progetti architettonici, restauri, piani C&P

urbanistici e di pianificazione territoriale, con particolare attenzione alla salvaguardia del patrimonio culturale del territorio». Lo studio associato attualmente conta otto collaboratori professionisti che grazie alle loro specifiche competenze consentono una gestione ottimale dei diversi settori tecnici di volta in volta affrontati per offrire un servizio completo e integrato anche nella gestione di incarichi complessi. «La nostra – dice Pastore – è una visione e una 261


coscienza paesaggistica della pianificazione dove la simbiosi tra il piano e il progetto diviene imprescindibile nel rispetto dell’ecologia umana, quale adattamento naturale che determina l’evoluzione e la cura del paesaggio e dei valori identitari che connotano il contesto. D’altra parte la sostenibilità in architettura è ormai condizione essenziale per comprendere il progetto contemporaneo: da esigenza tecnica, legata alle problematiche fisico-tecniche e prestazionali dei componenti edilizi, l’obiettivo di raggiungere un’adeguata “efficienza energetica” apre le porte ai valori fondamentali dei progetti architettonici di volta in volta affrontati, nella ricerca di materiali e forme, da proporre in continua evoluzione». 262

È così che nascono progetti che puntano a dotare il territorio di servizi e strutture sociali ad alto grado di sperimentazione e sostenibilità, tra i quali la Rsa “Mons. Crico” di Vedelago, realizzata nel 2004 e attualmente in fase di completamento con il secondo stralcio esecutivo già approvato, o l’opera architettonica di mitigazione e valorizzazione paesaggistico - ambientale della terza linea del termovalorizzatore “San Lazzaro” del Comune di Padova, realizzata nel 2009. «La ricerca del nostro studio – prosegue Tomasello – è impegnata da sempre nel perseguire soluzioni a elevata capacità tecnologica e funzionale trovando un giusto equilibrio tra costi e benefici, nel rispetto di un’integrazione con il territorio e il paesaggio che C&P


PROGETTAZIONE | Fernando Tomasello e Monica Pastore

Sotto, Studio di fattibilità - Progetto per la costruzione di un complesso direzionale, alberghiero e commerciale nel Comune di Orgiano (VI) (2011) - Vista render. A lato, R.S.A. “Mons. Luigi Crico” di Vedelago (TV). Viste del primo stralcio realizzato nel 2004

La nostra ricerca è impegnata nel perseguire soluzioni a elevata capacità tecnologica e funzionale, trovando un giusto equilibrio costi-benefici

non deve mai venire meno. E proprio nel costante connubio tra la tutela, il paesaggio e la sostenibilità, la progettazione della nuova architettura a servizio di un territorio deve essere vista come occasione per offrire nuovi modi di vivere parti di città o di territorio da riqualificare e riconvertire». Si collocano in questo solco il Masterplan del tratto finale del fiume Brenta e del sistema delle darsene lungo l’asta del fiume, località Chioggia (2010) e il Masterplan per la ricomposizione ambientale delle cave “Ca Matta” e “Bonelle”di Vedelago (2010). Tra gli studi di fattibilità conclusi nell’anno in corso vi è invece il progetto per la costruzione di un edificio polifunzionale nel comune di Orgiano, che si C&P

propone in prima istanza di garantire un adeguato inserimento paesaggistico dell’intero complesso, data l’ubicazione ai piedi dei colli Berici. «Il progetto – conclude Pastore – studia la nuova sagoma dei volumi realizzabili in altezza riprendendo il profilo dell’andamento collinare per la piastra costruita su due livelli, mentre il volume della torre, adibito a hotel, viene alleggerito e scomposto in due volumi di diverse altezze. Uno studio cromatico attento a riprendere le gradazioni tonali della componente ambientale dei colli permetterà di soddisfare soluzioni mimetiche interessanti per i rivestimenti esterni, riducendo l’eventuale impatto prodotto dalle masse del nuovo centro polifunzionale». 263


L’architettura italiana all’estero Nonostante la burocrazia opprimente, portare nel mondo il buon nome dell’architettura italiana si può. Lorenzo Monardo racconta la sua esperienza internazionale di Emanuela Caruso

Un albergo di lusso a Ras Al Khaimah, Emirati Arabi Uniti.

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Dieci settori operativi che vanno dalla progettazione architettonica all’economia della costruzione, un personale formato da tecnici esperti e altamente qualificati, un sofisticato centro telematico, grafico e scientifico, e programmi informatici rivoluzionari e d’avanguardia. Sono questi gli elementi che caratterizzano la Tecnurbarch Computer Consulting Spa, fondata a Roma dall’amministratore unico, rappresentante legale, nonché direttore tecnico Lorenzo Monardo. «La mia società di ingegneria – spiega l’architetto Monardo – si occupa di servizi di progettazione e consulenza nei campi dell’urbanistica, dell’architettura, sia residenziale che industriale, e delle infrastrutture, dalle strade alle autostrade, fino ad arrivare ai ponti. Poniamo particolare attenzione anche alle pratiche di valutazione tecnica ed economica e degli arbitrati». L’esperienza maturata in più di quarant’anni di attività unita alla qualità dei progetti e dei metodi operativi, certificata Uni En Iso 9001, ha permesso C&P


PROGETTAZIONE | Lorenzo Monardo

Sotto, l’architetto Lorenzo Monardo, titolare della Tecnurbarch di Roma. Nella foto accanto, un edificio a torre elicoidale con apartment house in Oman. www.tecnurbarch.it

Negli ultimi anni ho lavorato e realizzato progetti soprattutto all’estero, dove nonostante la crisi economica molti paesi sono disposti a investire ingenti somme di denaro in nuove costruzioni

alla Tecnurbarch di lavorare con continuità sul territorio nazionale. «Tra le opere realizzate in Italia, quelle che ricordiamo con maggior piacere sono il Santuario di Nostra Signora di Fatima a San Vittorino, la nuova Sede Nazionale di Telecom Italia a Roma e l’Istituto di Ricerca Farmacologico Cesare Serono ad Ardea. Negli ultimi anni però, la mia società ha lavorato e realizzato progetti soprattutto all’estero, dove nonostante la crisi economica molti paesi sono disposti a investire ingenti somme di denaro in nuove costruzioni, specialmente nelle zone degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita». La fama della Tecnurbarch si è, così, diffusa a macchia d’olio e molti paesi, come Francia, Libia, Sudan, Siria, Russia, Venezuela e Stati Uniti d’America, si sono rivolti all’architetto Monardo per opere importanti e molto strutturate. «Le realizzazioni più C&P

interessati che abbiamo seguito a livello internazionale sono state quelle ad Abu Dhabi, dove ci siamo occupati della realizzazione di un complesso alberghiero di lusso, e a Mosca, dove siamo intervenuti con la progettazione del nuovo Campus dell’Università Sokol e del Campus dell’Istituto dell’Aviazione; inoltre ci sono anche i vari palazzi residenziali a torre a Caracas, in Iraq, in Tunisia e in Libia. Attualmente stiamo portando avanti un progetto per il ricco Sultanato dell’Oman, che ci sta commissionando un edificio a torre elicoidale con apartment house». Ciò che rende il mercato estero davvero diverso da quello italiano è senza dubbio l’acquisizione delle commesse, gravata da un lungo iter burocratico e difficoltoso in lingua inglese da portare a termine. «Per lavorare negli Emirati Arabi Uniti ho dovuto presentare il mio curriculum e 265


PROGETTAZIONE | Lorenzo Monardo Il Centro Direzionale Telecom Italia al Parco de’ Medici, Roma

L’analisi della sostenibilità ambientale rappresenta uno dei passaggi chiave per poter definire una progettazione architettonica ottimale e idonea

compilare documenti su documenti. Passata questa prima fase, mi hanno dovuto iscrivere al Governatorato di Dubai e finalmente ho ottenuto il permesso di poter firmare i progetti e iniziare quindi l’opera. Ora, in Oman, stiamo seguendo la stessa procedura, anche se in questo caso, in aggiunta, c’è stata una delibera del Consilio di Amministrazione per consentirmi di delegare uno degli ingegneri del mio team e dargli la possibilità di rappresentarmi durante le varie trattative. In poche parole, prima di proseguire con la documentazione e l’iscrizione al Governatorato, ho dovuto presentare una delibera con delega». Proprio la lunghezza delle procedure rappresenta dunque uno degli ostacoli per l’attività in questi paesi: «Avevo trattato un ampliamento di un albergo esistente negli Emirati Arabi – spiega in proposito L’architetto Monardo –, ma il progetto, risalente al 2004, è ancora fermo. Sembra che in quelle zone il tempo non conti». 266

Negli anni, il raggio d’azione della Tecnurbarch si è esteso e ha inglobato anche l’architettura e l’ingegneria relative al campo ambientale. «Alcuni validi elementi del mio staff si occupano in maniera specifica di questo particolare ambito, sempre più attuale grazie alle nuove normative sull’ecosostenibilità e il risparmio energetico, aspetti fondamentali nel nostro settore. Infatti, l’analisi della sostenibilità ambientale rappresenta uno dei passaggi chiave per poter definire una progettazione architettonica ottimale e idonea. Per questo motivo studiamo costantemente nuovi sistemi e tecniche in grado di accentuare il risparmio energetico, relativo sia alle materie prime che alle risorse in generale. Tra le opere più importanti di cui ci siamo occupati possiamo annoverare le valutazioni ambientali del progetto Defence a Parigi, dell’Elettrodotto Enel a Tarquinia, e degli impianti di compostaggio di Braccagni e Zavorrano, a Grosseto». C&P



La casa? Un microcosmo con al centro la persona «Al di là del tema della conservazione della natura, la componente green rappresenta quell’ingrediente di dolcezza e di umanità ideale per connotare le ore di tempo libero così come quelle professionali». Sergio Danese espone la sua idea di casa come microcosmo di Leonardo Testi

La persona come fulcro del progetto. Una vera e propria filosofia ispiratrice per l’architetto Sergio Danese, fondatore dello studio 21architettura, che applica questa modalità d’azione tanto al settore residenziale quanto all’ambito commerciale e produttivo, ad esempio quello della moda, per il quale Danese ha lavorato occupandosi di firme prestigiose in Italia e all’estero. «Il nodo fondamentale – spiega l’architetto – è quello di cucire il progetto addosso alla committenza, alla stregua di un abito su misura. È importante coinvolgere il più possibile ogni singolo cliente nella creazione di un universo specifico, che tenga conto dei suoi desideri». Come si declina concretamente questo modus 268

operandi? «21architettura è solita gestire tutte le fasi: dalla progettazione ai permessi alla direzione dei lavori, per garantire il risultato finale sul versante degli aspetti architettonici, ma anche economici e temporali. L’aspetto prioritario resta però la conoscenza approfondita della committenza, affinché possa sentirsi parte dell’ambiente che si andrà a realizzare». Questo come avviene? «Grazie ad incontri e interviste ai committenti nei loro spazi abituali, vengono sviscerate le loro preferenze circa stili di vita e di lavoro. Con le informazioni raccolte si procede a formulare diverse proposte che, sotto forma di immagini tridimensionali, C&P


PROGETTAZIONE | Sergio Danese

In apertura, progetto di villa a Belgirate (VB). A destra, esterno di villa a Cannes e, sotto, sale bagno di una residenza torinese realizzata dall’architetto Sergio Danese, nella foto sotto www.21architettura.com

Per un appartamento di Milano è stata realizzata, sul terrazzo, una serra d’inverno vetrata che funge anche da soggiorno: lo spazio aperto, attraverso la presenza delle piante, ha creato un vero e proprio microcosmo

vengono presentate al cliente». Lei è uno dei pochi architetti italiani abilitati alla professione nello Stato di New York. Ha riscontrato differenze significative nella restituzione dei gusti della committenza? «Oggi la committenza, in generale, esprime una precisa caratteristica: il voler improntare un rapporto di fiducia con l’architetto che incarica. Questo è fondamentale in tutto il mondo. Poi, certo, subentra il discorso culturale, dove a incidere sono differenti usanze di vita e visioni di famiglia e di lavoro anche molto diverse dalle nostre. Il che si riflette nella progettazione. Un esempio: la cucina aperta in America esiste da almeno trent’anni, in Italia solo da pochi anni». Nell’ultimo decennio, com’è cambiata la progettualità degli spazi abitativi? «Non esiste una regola, ogni committente ha una sua storia e vuole scrivere la propria storia futura. Occorre capire quali obiettivi si possono C&P

raggiungere, centrando le esigenze dei clienti. L’importante è sviluppare un progetto in grado di consentire loro un’elevata qualità di vita e lavoro». Che ruolo riveste lo spazio verde oggi? «Al di là del tema della conservazione della natura, la componente green rappresenta senz’altro quell’ingrediente di dolcezza e di umanità ideale per connotare le ore di tempo libero così come quelle professionali. Non tutti i committenti sono proiettati su soluzioni “verdi”, ma io le abbraccio sempre volentieri quando è possibile». Un esempio di progetto dove il verde ha avuto un ruolo predominante? «Per un appartamento di Milano è stata realizzata, sul terrazzo, una serra d’inverno vetrata che funge anche da soggiorno: lo spazio aperto, attraverso la presenza delle piante, ha creato un vero e proprio microcosmo. A Cannes, è stata progettata una villa dotata di piscina e di un’area contraddistinta da un diverso di mix di verde ed essenze floreali». 269


L’architettura si arricchisce con lo scambio culturale Creatività, serietà, passione e coerenza. Valori che garantiscono una continuità professionale e una proficua ricerca volta all’approfondimento del progetto, per proporre soluzioni innovative. La parola a Lorena Alessio di Marco Tedeschi

Lorena Alessio architetto, Rosali Alessio Art Director, Marco Brizio architetto

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In apertura, immagine del progetto showroom ed uffici privati in Settimo T.se (TO). In questa pagina, concept della facciata per il nuovo edificio terminal building di Taichung, Taiwan, e immagine del progetto edificio privato residenziale-commerciale in Settimo T.se (TO) www.alessiostudio.com

Un continuo arricchimento in materia architettonica spesso è dato dagli scambi e apporti che le altre culture possono offrire. È questo il pensiero di Lorena Alessio, architetto presso alessiostudio nata a Torino nel 1999 che oltre all’altro socio fondatore, Rosali Alessio, art director, può contare sulla collaborazione dell’architetto Marco Brizio. «Dopo la laurea presso il Politecnico di Torino», racconta Lorena Alessio, «mi sono specializzata con un Master di Progettazione Architettonica al Pratt Institute di New York e con un Ph.D. presso la Nihon University di Tokio. La mia esperienza è stata consolidata proprio attraverso gli studi effettuati in Giappone, Stati Uniti, Inghilterra e Italia. È questo che mi ha permesso di avere una visione internazionale, e allo stesso tempo attenta alle esigenze del committente, alle condizioni locali e climatiche». Un lavoro che parte sempre dal progetto. «Una ricerca sensibile di materiali, un approfondimento della cultura C&P

in cui si colloca il progetto, studi attenti di proporzioni e relazioni spaziali, interesse a creare nuovi e inusuali rapporti con il contesto e il paesaggio. Questi sono gli ingredienti su cui si poggiano i nostri progetti». L’attività professionale si arricchisce di esperienze di docenza in varie università, tra le quali il Politecnico di Torino, la Inje University a Pusan-Corea del Sud, la Hosei University a Tokio-Giappone e la Chaoyang University a Taichung-Taiwan. «Il mio pensiero architettonico è volto a un continuo dialogo tra mondo naturale e costruito. Considero infatti lo spazio architettonico un elemento fondamentale per sviluppare esperienze fisiche, mentali e spirituali». Tra le esperienze, conclude l’architetto Alessio «c’è la progettazione e il recupero di spazi residenziali, espositivi e ad uso terziario. Restauri conservativi. Oltre al design management per il gruppo di concorso Citylife a Milano e Montecarlo Sealand per Bovis Lend Lease». 271


PROGETTAZIONE | Sergio Carta e Osvaldo Tretti

La ricerca progettuale per l’industria La progettazione di industrie e fabbricati per uso commerciale. Gli edifici destinati a creare valore vanno disegnati in un’ottica di inserimento contestuale e ambientale. Ne parlano Sergio Carta e Osvaldo Tretti di Luca Cavera

Strutture un tempo considerate meri volumi edificati, come gli edifici destinati alla produzione industriale e alle attività commerciali, stanno assumendo progressivamente maggiore importanza nella teoria e nella prassi architettonica. «Anche questi fabbricati – afferma l’architetto Sergio Carta –, al pari degli edifici tradizionalmente catalogati fra quelli “nobili”, hanno la necessità di essere pensati come elementi di architettura». Sergio Carta e l’architetto Osvaldo Tretti, entrambi dello studio Gruppo Progettazione Habitat, stanno sviluppando da alcuni anni una ricerca progettuale nel campo degli edifici nei quali si creano le cose o si scambiano beni e servizi. «Anche per questo tipo di costruzioni – dice Osvaldo Tretti –, la ricerca progettuale si sta avviando verso una crescita di attenzione, in particolare in relazione agli elementi

Gli architetti Carta e Tretti dello studio Gruppo Progettazione Habitat di Vicenza (VI). In alto, sede del Gruppo Industriale Zincol Italia Spa e, sotto, fabbricato a uso commerciale habitat@witcom.com

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ambientali e paesaggistici nei quali i corpi volumetrici andranno a inserirsi». Il recente progetto dello studio Gph per gli uffici del gruppo industriale Zincol Italia rappresenta una ricerca, oltre che formale, sulla scelta dei materiali. Come spiega Sergio Carta: «Zincol è una società specializzata nella zincatura dei manufatti in acciaio. Da questa loro realtà concreta è venuta l’idea di utilizzare, in una forma minimalista, materiali come il vetro e l’acciaio. Questi infatti permettono di dare sostanza a forme che diventano linguaggio dell’architettura». Un altro progetto, realizzato per un fabbricato a uso commerciale, è stato inoltre occasione di una proficua collaborazione. «Abbiamo redatto questo progetto – racconta Sergio Carta – insieme allo studio milanese Cibic & Partners. Questo ci ha portato, nell’esprimere il linguaggio di forme e colori che individuano un manufatto a destinazione commerciale, a confrontarci con un grande designer. Entrambi gli interventi sono stati studiati, progettati e realizzati considerando il risparmio energetico come valore aggiunto dell’edificio sia dal punto di vista del contenimento dei consumi che dal punto di vista del rispetto ambientale». C&P



Armonia urbana È un’arte che rappresenta «l’armonia in uno spazio, l’equilibrio degli elementi costruttivi e la loro funzione». È uno spazio concreto e sintetico che crea emozioni nel viverla. Claudio Lisotto descrive il suo concetto di architettura di Elisa Fiocchi

Da quella piccola stanza concessagli al piano primo dove abitava la nonna, l’architetto Claudio Lisotto inizia la sua attività professionale nel 1979, nel quartiere di Rorai Grande in provincia di Pordenone. «Solo dopo, ottenuti degli incarichi di progettazione - racconta l’architetto nato in Argentina nel 1951 - ho sentito la necessità di spazi più adatti e mi sono trasferito nel centro città». Precisamente in Piazza San Marco, dove si trova tuttora la sede del suo studio che opera nel campo della progettazione edile su committenza pubblica (scuole, ristrutturazione e l’ampliamenti di edifici storici, piani attuativi, edificio ad uso ludico e sportivo) e soprattutto privata, con la progettazione di ville, case unifamiliari, abitazioni in bioarchitettura e residenze fino a 25 unità abitative. Che cosa l’appassiona nella progettazione di edifici residenziali? «Ho sempre cercato con determinazione qualcosa di emozionante, di migliore e di più bello da realizzare. Un’architettura minimale, sia nelle volumetrie sia nella scelta dei materiali, in grado di integrarsi nel contesto naturale del territorio urbano e che dia un’emozione di vita».

In apertura, Claudio Lisotto, architetto clisotto@libero.it

In quali contesti preferisce intervenire? 274

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PROGETTAZIONE | Claudio Lisotto

L’architetto deve creare, avere la gioia nel progettare, proporre un’idea ed essere autonomo nell’esprimerla in tutta la sua professionalità

«In quelli già esistenti, dove le volumetrie dello stato di fatto hanno determinato e modellato dei luoghi caratteristici che rappresentano una memoria della collettività, come una cittadina friulana di piccole dimensioni, ai confini con il Veneto. La bellezza di un territorio pianeggiante vive nelle perfette geometrie delle sue antiche strade, dei fiumi che tagliano in lungo la Pianura Padana e negli incroci più importanti, nella formazione di borghi e di cittadine dove s’intasano le merci e le persone. La progettazione dello studio è sempre stata caratterizzata dall’idea di operare in un contesto essenzialmente determinato da cose semplici». Chi l’ha ispirata in questo cammino di armonia urbana? «Penso a Le Corbusier, che diceva: “Meravigliosa cosa l’architettura prodotto di popoli felici e fattore di felicità dei popoli. Le città felici hanno architettura…”. È un’arte che rappresenta l’armonia in uno spazio, l’equilibrio degli elementi costruttivi e la sua funzione, determina la forma dell’ambiente architettonico, esprimendo sensazioni di piacere». C&P

Come giudica le scelte architettoniche delle periferie urbane, spesso degradate e poco vivibili? «Nella periferia delle città di piccole dimensioni vi è un disagio nel dialogare con i committenti, gli impresari e gli immobiliaristi. Si fa fatica nell’affermare e proporre un’architettura semplice e lineare, che utilizza un linguaggio frutto della tecnologia. Il tutto ricercando nuovi elementi materici per l’edilizia. Spesso, siamo propensi a dubitare che nel nostro territorio la potenzialità latente dell’architettura sia stata accantonata e dimenticata da parte delle committenze pubbliche e private, magari per problemi burocratici o amministrativi. Ma sono motivazioni futili». In che modo l’architettura influisce nel vivere sociale e quotidiano dell’uomo? «È una pratica artistica e come tale è l’arte di dare rifugio alle attività dell’uomo, uno spazio concreto e sintetico che crea emozioni nel viverla. L’architetto deve creare, avere la gioia nel progettare, proporre un’idea ed essere autonomo nell’esprimerla in tutta la sua professionalità. E lo strumento per 275


PROGETTAZIONE | Claudio Lisotto

Penso a Le Corbusier, che diceva: “Meravigliosa cosa l’architettura prodotto di popoli felici e fattore di felicità dei popoli. Le città felici hanno architettura”

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comunicarla e dimostrarla è proprio la progettazione architettonica». Come ritiene possibile mantenere intatta la missione dell’architettura, scongiurando logiche esclusivamente economiche? «Le libere professioni non devono essere gestite dal ministero dell’Economia, sottraendole a quello di Giustizia. Altrimenti il ruolo sociale e di salvaguardia del territorio nell’interesse del cittadino, avrà soltanto un ruolo meramente economico, con delle logiche mirate a prestazioni professionali svolte al massimo ribasso. L’obiettivo principale della nostra professione deve essere la qualità nelle prestazioni e non il raggiungimento di uno sconto per ottenere l’incarico. L’architetto non è "archeologia" ma ha un bagaglio enorme di conoscenze ed esperienze che possono garantire la qualità dell'architettura, quale appunto, "bene pubblico soggetto alla tutela dello Stato"». C&P



PROGETTAZIONE | Francesco Bilanzuolo

Spazi a misura d’uomo Grande duttilità professionale e nuova organizzazione degli spazi interni nella progettazione, sono questi i parametri attuali che regolano il settore dell’architettura. Ne parliamo con Francesco Bilanzuolo di Emanuela Caruso

«Progettare in architettura vuol dire creare un ponte tra quanti vivono, condividono o anche solo transitano in quegli spazi». Così Francesco Bilanzuolo definisce l’attività svolta all’interno dello studio a cui dà il nome e di cui è titolare. «Siamo impegnati da più di trent’anni nella progettazione in edilizia, in architettura d’interni e nel design. Poniamo grande attenzione ai ritmi di luce, colori, volumi e ai delicati equilibri di prossemica e relazioni, tutti aspetti che se studiati nel modo migliore rendono gli ambienti in cui viviamo o lavoriamo, più a misura d’uomo». I servizi offerti dalla Studio Bilanzuolo prevedono proposte integrate con consulenze specifiche e mirate, che riflettono in modo chiaro «l’organizzazione sinergica dello studio, che trova la sua forza in uno staff professionale specializzato e in una struttura dalle potenzialità multidisciplinari. È in questo modo che offriamo ai committenti un’ottima qualità costruttiva». 278

Francesco Bilanzuolo, titolare dell’omonimo studio di Giovinazzo (Ba). Nelle altre immagini progetti realizzati dallo Studio Bilanzuolo www.studiobilanzuolo.com - info@studiobilanzuolo.com www.dearkgroup.com - info@dearkgroup.com

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Vivere la qualità Ricerca di materiali e sistemi costruttivi per il risparmio energetico, attenzione al rapporto con lo spazio esterno, al contesto, al design. Mauro Peloso spiega la sua idea di architettura sostenibile, attenta alla qualità della vita di Silvia Mocchegiani

In questa pagina, l’edificio commerciale-residenziale “Bertoldo” a Massanzago (PD) e l’architetto Mauro Peloso www.mauropeloso.it

Dialogo con l’ambiente, integrazione degli impianti tecnologici, collaborazione attiva di tutti quelli che partecipano al progetto. La costruzione di un qualsiasi edificio porta con sé un’infinita serie di agenti che per funzionare devono essere inseriti all’interno di un ingranaggio perfetto. L’architetto Mauro Peloso parla del suo obiettivo di costruire edifici che si inseriscano all'interno del paesaggio in stretta relazione con il contesto e che rispondano perfettamente al programma funzionale dato. In particolare spiega come ha lavorato a due progetti in via di conclusione, apparentemente molto diversi, ma che hanno in comune molto più di quanto sembri. Quali sono questi progetti? «I progetti a cui si fa riferimento sono entrambi in Veneto, il primo è un edificio residenzialecommerciale dal forte impatto visivo che irrompe nel

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PROGETTAZIONE | Mauro Peloso

Due viste del complesso residenziale “Le Rogge” di Portovecchio (VE)

paesaggio rurale, mentre il secondo è un complesso residenziale, un’aggregazione di ville unifamiliari che al contrario cerca quanto più possibile di integrarsi al verde che le circonda». In particolare che approccio ha avuto con il primo? «Questo edificio che vede convivere in sé sia una parte commerciale a piano terra e al primo piano, che una parte residenziale con due appartamenti e una terrazza con giardino pensile e mini piscina, è stato progettato cercando una costruzione di grande valenza e forte impatto architettonico, per questo presenta un rivestimento in zinco titanio e pannelli in fibra di legno. Si apre quindi su due fronti, da una parte si affaccia su una strada molto trafficata, con un grande porticato all’interno del quale verranno inserite delle tende che serviranno sia per proteggere dal sole sia da maxi schermo, infatti saranno costantemente illuminate e visibili dalla strada. L’altra parte invece è più urbana, si affaccia un’arteria secondaria. Abbiamo cercato di far convivere più funzioni nello stesso edificio senza che queste interferissero tra loro». Il secondo progetto è invece un complesso residenziale, come ha lavorato in questo caso? «Il complesso residenziale “Le Rogge” di Portovecchio è un intervento progettato secondo i C&P

criteri della bioarchitettura; uno degli aspetti principali su cui abbiamo lavorato è l’orientamento, sfruttando al massimo gli apporti solari di luce e calore gratuiti. Tutte le unità abitative hanno i principali affacci a Sud ed Est e godono della vista del limitrofo parco naturale di Villa Bombarda. Di contro, a Nord e ad Ovest sono caratterizzate da un “guscio” chiuso che permette al contempo di avere un'ottima protezione nei confronti degli agenti atmosferici e un involucro termico performante. Questa soluzione garantisce inoltre il massimo della privacy e permette di vivere l'esterno dell'abitazione come prolungamento dell'interno, godendosi il verde privato senza disturbare od avere alcun contatto diretto con i vicini». Questi progetti, per quanto diversi, presentano delle caratteristiche comuni? «Certamente, c’è un filo conduttore, prima di tutto il rapporto che si instaura con il committente, che è colui che ha in sé il seme del progetto, ovvero la soluzione latente alle sue richieste che viene esplicitata con l'aiuto dell'architetto che lo guida nelle scelte. Il risultato è un'architettura che si basa su di un approccio filosofico, più che su uno stile predeterminato, dove alla fine del processo progettuale colori, luci, percezioni e sensazioni saranno in equilibrio tra loro per vivere la qualità». 281


Evoluzioni costruttive e tecnologiche L’abitare contemporaneo si compone di soluzioni tecnologicamente avanzate ed ecosostenibili che influenzano tutto il percorso costruttivo, dalla cantierizzazione al prodotto finito. L’esperienza di Andrea Brugnara e Patrizio Sidoti di Giulio Conti

Nell’ultimo decennio si è assistito a una modifica sostanziale nel modo di progettare e costruire la casa. «La progettazione è diventata l’asse trainante di un’economia di scala del cantiere e l’architettura s’inviluppa sempre di più in una spirale costruttiva e tecnologica, proponendo soluzioni che esibiscono materiali e sistemi cosiddetti innovativi, che da meri strumenti a disposizione del progettista diventano

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essi stessi protagonisti incontrastati». Lo sanno bene Andrea Brugnara e Patrizio Sidoti architetti che, unite le reciproche esperienze e sinergie di lavoro nelle società B&B Studio e Studio Associato, hanno condotto opere di urbanistica, progettazione architettonica, tutela e recupero del patrimonio storico e architettonico, con specifiche competenze per la realizzazione di ampi complessi edilizi residenziali.«Il predominio della tecnica, come risorsa per aumentare le prestazioni della casa-tecnologica, indirizza la progettazione, che deve però esprimere soluzioni formali non indifferenti all’ambiente e al contesto di riferimento – afferma l’architetto Brugnara – . Il progetto deve prevedere decisioni che hanno ricadute sulla significatività estetica e di inserimento dei materiali, sulle loro caratteristiche fisiche, meccaniche e tecnologiche, sulla loro compatibilità costruttiva in cantiere, sulle loro qualità d’uso nel tempo e sull’ecosostenibilità che li distingue in fase di approvvigionamento, trasformazione, dismissione». Una buona progettazione dei dettagli ai fini tecnologici ed estetici, e la standardizzazione di molti elementi costruttivi su larga scala, permettono infatti C&P


PROGETTAZIONE | Andrea Brugnara e Patrizio Sidoti

In apertura, render relativo al Piano Integrato di Intervento Redecesio Est, Segrate (MI) e in basso, gli architetti Andrea Brugnara (a sinistra) e Patrizio Sidoti dello Studio Associato di Milano. In questa pagina, da sinistra, il cantiere di Redecesio Est e prefabbricato in legno ECLS, Buccinasco (MI). info@arch-brugnara-sidoti.it

La progettazione è diventata l’asse trainante di un’economia di scala del cantiere e l’architettura si sviluppa sempre di più in una spirale costruttiva e tecnologica

di raggiungere l’obiettivo di una miglior qualità del prodotto finale con un notevole contenimento dei costi di cantiere. «Affidandosi alle nuove tecnologie ormai non più sperimentali – commenta l’architetto Sidoti – si può costruire con rapidità e razionalità, ottimizzare al meglio i tempi di costruzione e puntare decisamente al comfort e al risparmio energetico ormai divenuto distintivo dell’abitare contemporaneo». «Basti pensare all’industrializzazione delle strutture portanti ormai associate all’impiego misto di calcestruzzo e legno – interviene Brugnara –, che permette di ottenere elementi costruttivi monolitici considerati l’evoluzione dei prefabbricati, ma con elevate prestazioni in fatto di resistenza alle sollecitazioni, di riduzione del peso proprio, che risulta circa dimezzato rispetto a un solaio in laterocemento, e di massima minimizzazione dei tempi realizzativi del manufatto architettonico». Ed è proprio a questo ambito progettuale che recentemente la B&B si sta orientando con sempre C&P

maggiore interesse, sperimentando la nuova tecnologia prefabbricata con la realizzazione di un complesso destinato a residenze – otto alloggi in due mesi – in classe A, a prezzi contenuti e senza imprevisti costruttivi». Ma quali sono gli altri elementi costruttivi capaci di migliorare ulteriormente l’abitare contemporaneo? Secondo l’esperienza dei professionisti della B&B Studio, «nella progettazione di edifici residenziali, svolge un ruolo essenziale l’attenzione rivolta all’acustica passiva, mirata a un benessere abitativo sempre più necessario e ricercato – spiega Brugnara – . I materiali naturali associati a tecnologie e accorgimenti costruttivi di ultima generazione permettono di ottenere ottimi risultati nell’eliminazione delle molteplici fonti di rumore e la loro trasmissione all’interno degli edifici». In definitiva quando gli edifici sono correttamente pensati e progettati, richiedono poche quantità di energia per garantire la massima efficienza e un migliore benessere. 283


Ambienti e sensazioni Per la riuscita di un progetto alberghiero occorre che le forme spaziali – agli ospiti non conosciute – suscitino un senso di remota familiarità. Il processo progettuale secondo Vittorio Pedrotti di Adriana Zuccaro

Ambienti raffinati e confortevoli. Apparentemente semplici ma studiati in ogni dettaglio strutturale ed estetico. Spazi progettati e realizzati per concertare momenti di convivialità e altri, per esaltare la giusta privacy ricercata in una camera di hotel. Più che in altri ambiti della progettazione architettonica, «l’ideazione di una nuova struttura alberghiera presuppone che architettura, impiantistica e interior design scaturiscano da una sinergia progettuale già implicita nella fase iniziale del progetto». È consapevole di questo l’architetto Vittorio Pedrotti che, da sempre impegnato in incarichi di progettazione alberghiera, ha potuto indagarne i paradigmi e gli slanci innovativi, oltre che in Italia anche in Francia e in Inghilterra, per poi svilupparli nello studio professionale di Milano. Attualmente associato, per lavori internazionali, allo studio EPR di Londra, allo studio Bonnington EPR International di Londra e al St. Albans per altri progetti. A quali aspetti teorici fa ricorso durante la fase progettuale di un hotel? «Il mio approccio alla progettazione si va sempre di più consolidando in una direzione rivolta alle combinazioni 284

che si riscontrano nella natura e in particolare a quelle che richiamano un senso di protezione e benessere psicologico. L’ambiente progettato deve far nascere anche sensazioni di tranquillità e protezione». Attraverso quali accorgimenti è possibile conferire “naturalità” agli ambienti? «Utilizzando ad esempio forme che non possano generare tensioni emotive. Le forme curve e raccordate, unitamente ad una studiata illuminazione e ad uno studio attento dei materiali e del colore, sono gli strumenti che prediligo per far sentire all’ospite lo “spirito dell’accoglienza” che deve caratterizzare il mondo alberghiero e che attenui il più possibile la sensazione di disagio che si percepisce entrando in un ambiente non conosciuto». Come si può rendere “familiare” un ambiente che, letteralmente, non lo è? «Soddisfare le aspettative di qualità della committenza significa sviluppare soluzioni progettuali che tengano in considerazione il contesto specifico del luogo con le proprie tradizioni e l’ambiente che lo circonda. Per questo sarebbe sempre auspicabile, per la riuscita del C&P


PROGETTAZIONE ALBERGHIERA | Vittorio Pedrotti

In apertura, pianta piano terra del Ramada Ticinum Hotel a Oleggio (NO). A sinistra, Ristorante Les Bouganvillées del Grand Hotel Miramare a Santa Margherita Ligure (GE); sotto, piscina e suite del Ramada Ticinum Hotel www.vittoriopedrotti.it

progetto alberghiero, seguire la fase progettuale nel suo complesso: studio di fattibilità, progetto ai fini autorizzativi, progetto esecutivo, analisi dei costi e direzione lavori». Quali vantaggi apporta l’esperienza di albergatore al ruolo di progettista? «L’esperienza vissuta sul campo mi mette a riparo da possibili errori progettuali che possono derivare da un’attenzione eccessiva all’estetica senza tener conto di molti fattori pratici che potrebbero incidere sulla gestione e manutenzione della struttura ricettiva. Ritengo infatti che la facile “ispezionabilità” dell’impiantistica debba essere una delle componenti fondamentali per una corretta progettazione alberghiera. Questo permette di eseguire, in tempi ridotti, gli interventi di manutenzione o il semplice controllo periodico, visto che la gestione alberghiera non può permettersi fermi di attività».

La facile “ispezionabilità” delle parti tecniche è una delle componenti fondamentali per una corretta progettazione alberghiera C&P

Cosa comporta oggi un investimento in ambito alberghiero? «Chi desidera investire in una nuova struttura ricettiva o affrontare la ristrutturazione di una esistente, dovrebbe affidarsi a un team specializzato nella progettazione alberghiera che possa offrire competenze professionali relative al mondo dell’architettura, dell’interior design, della progettazione impiantistica e strutturale e che ottimizzi il progetto in funzione delle esigenze della committenza e dalle tendenze del mercato turistico alberghiero». 285


La progettazione integrata tra dialogo e collaborazione Stefano Capretti, Angelo Bizzarri e Simone Senesi di ArchIngegno hanno superato la figura del progettista genio solitario, preferendo ai canoni stilistici le esigenze costruttive di ogni lavoro e la collaborazione fra professionisti dalle competenze e i percorsi differenti di Manlio Teodoro

Un tema particolarmente attuale è quello della qualità della progettazione. Questa si costruisce attraverso il dialogo tra il progettista, che è l’ideatore, e il committente, che sarà il fruitore dell’opera compiuta. Oggi il progettista non è più quella figura, tipicamente novecentesca, del genio solitario che progetta spazi definiti da canoni stilistici – di volta in volta, razionalisti, neoclassici, avanguardisti, minimalisti o magari decostruttivisti. All’uno si è sostituito il gruppo di progettazione. È possibile che al suo interno ci sia un personaggio di spicco, come un coordinatore della progettazione, ma le altre e molteplici competenze continuano a dialogare e interagire fra loro e sempre col committente. Ai canoni stilistici si sono quindi sostituite le esigenze di vivibilità, economicità nella gestione, inserimento nel tessuto urbano e nell’ambiente circostante. Questa nuova modalità di progettare e fare architettura è rappresentata dallo studio ArchIngegno, che raggruppa tre professionisti. «A partire dal nome – spiega l’architetto Angelo Bizzarri – ArchIngegno vuole esprimere questa idea: ognuno ha le proprie competenze e la propria formazione, mettendo in comune il lavoro si cresce e si allargano gli orizzonti. Questa è anche la sfida che proponiamo ai giovani architetti o ingegneri che vengono a lavorare con noi». Le dinamiche sottese al mondo dell’ingegneria e 286

dell’architettura descrivono ambiti fortemente interagenti e competitivi, da sviluppare sulla base di un percorso progettuale integrato. L’ingegner Stefano Capretti aggiunge: «Il concetto di progettazione integrata ci ha sempre affascinato. Fin dai tempi dell’università, quando il più grande maestro degli ingegneri fiorentini, Andrea Chiarugi, ci diceva in modo molto appassionato che “L’ingegnere è un progettista, non un calcolatore”. E ci indicava fulgidi esempi di progettisti del Novecento – Nervi, Morandi, Michelucci, il più recente Calatrava – per i quali la forma è struttura e la struttura è forma». Un esempio di questo modo di fare architettura è dato da uno dei recenti lavori dello studio. «Nella progettazione degli impianti di un nuovo centro parrocchiale a San Lorenzo a Campi (FI) – spiega l’ingegner Simone Senesi –, l’integrazione progettuale ha dato l’avvio a uno stretto dialogo con il progettista architettonico, e con la stessa committenza, sulla scelta dei materiali per l’involucro edilizio, volta a combinare le soluzioni formali con le prestazioni energetiche e C&P


PROGETTAZIONE | Stefano Capretti, Angelo Bizzarri e Simone Senesi

Studio ArchIngegno

capretti@archingegno.net

acustiche». Il risultato è stato quello di una realizzazione particolarmente innovativa. «Abbiamo previsto – dice Capretti – un impianto termico a pannelli radianti, alimentato da sonde geotermiche con utilizzo di pompe di calore, abbinate a un impianto fotovoltaico sul tetto per la produzione dell’energia elettrica. In sostanza, l’energia viene dalla terra e dal sole. Siamo riusciti a trasmettere un messaggio di sostenibilità e di armonia con la natura». Altri due progetti rilevanti dello studio, in completa progettazione integrata, sono stati l’ampliamento della sede della Misericordia di Antella, un paese alle porte di Firenze, realizzato fra il 1998 e il 2002. «L’intervento – spiega Bizzarri –, in due fasi, ha dotato l’associazione di un poliambulatorio accreditato con la Regione Toscana con oltre 40 specializzazioni mediche, incluso un centro di riabilitazione; di un C&P

Nella progettazione del nuovo centro parrocchiale a San Lorenzo a Campi l’integrazione progettuale ha dato l’avvio a uno stretto dialogo con il progettista architettonico

parcheggio di superficie per i visitatori e un parcheggio interrato sottostante per le ambulanze e tutti i mezzi di servizio e soccorso». Fra il 2008 e il 2009, lo studio ArchIngegno ha eseguito il progetto del nuovo centro parrocchiale adiacente alla chiesa di S. Maria a Coverciano, a Firenze. «L’intervento, da noi integralmente progettato e seguito, a partire dai rapporti con la Soprintendenza fino all’agibilità, prevede un salone polivalente, aule e salette per le attività parrocchiali e una piazza sopraelevata che costituisce uno speciale punto di incontro». 287


PROGETTAZIONE | Marco Martire

L’architetto Marco Martire con Dario, Fabio e Gianluca lab.arch.mm@libero.it

Verso un nuovo concetto di ambiente Trarre ispirazione dal mare e dalle barche per la realizzazione del progetto architettonico. Le forme eoliane e mediterranee come linee guida verso una nuova idea di architettura che ricomponga il rapporto originario fra l’uomo e la natura circostante. La parola all’architetto Marco Martire di Valerio Germanico

Il concetto di “ambiente” può essere colto in un’occhiata osservando com’è espresso, fra la roccia e il mare, nella villa Malaparte di Adalberto Libera, a Capri. Lì si vede bene qual è il rapporto che connette l’interno all’esterno circostante e alla natura. L’architetto Marco Martire individua una perfetta esposizione dello stesso concetto nelle architetture eoliane e mediterranee, per lui fonti di ispirazione e maestre dello spazio. «Anche nello studio di un progetto, cerco di portare il mio vissuto del mare, delle palme, della vita in barca. Le mie architetture nascono dalle forme e dai colori del mare. Credo sia uno dei modi per occuparsi del territorio in maniera gentile, con uno sguardo aperto al mondo naturale e delle risorse e degli uomini che lo hanno fatto grande». Quella di Marco Martire è certamente un’architettura che si nutre di emozioni positive e cerca di riproporle in

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tre dimensioni. «Gli oggetti devono dare delle sensazioni, come una barca, anche un edificio. Cerco di infondere queste sensazioni nei miei progetti, come per esempio l’emozione che provo osservando i modelli delle barche realizzate da G. Gagianesi, a Lipari,e l’idea dello spazio nel film Il Postino con Massimo Troisi che si ferma nel terrazzino di Pablo Neruda ad osservarlo mentre balla in un piccolo ambiente dove si scrive, si recita, si ascolta la musica: c’è passione… Credo ancora nel lavoro artigiano, che rappresenta secondo me ciò che fa grande l’idea e il pensiero dell’uomo. Non amo la città verticale. Se fossi il maestro Purini ridimensionerei l’antenna del grattacielo che avrà il triste primato di superare in altezza la cupola del Michelangelo della basilica di San Pietro». L’architetto palermitano è convinto che il compito futuro sia ottimizzare il rapporto tra l’edificio e il contesto con la bioarchitettura, col risparmio energetico e delle risorse che abbiamo avuto in dono. «Insieme al dono di poterne disporre e arricchircene, abbiamo ricevuto anche la responsabilità di preservarle per le generazioni a venire. Per questo auspico l’eliminazione della plastica “usa e getta” dalle attività quotidiane e un ridimensionamento del packaging. Questi apparentemente semplificano la nostra vita, rendendola più comoda, ma con esse stiamo uccidendo il mare e l’ambiente giorno per giorno». C&P



PROCESSI PROGETTUALI | Luigi Cafiero

Spazio, materia e segno architettonico Una disamina dei processi progettuali. Una lettura critica del “fare architettura” secondo cui «la dialettica tra spazio, materia e segno architettonico si sublima nell’intuizione dell’idea progettuale finita». L’analisi di Luigi Cafiero di Giulio Conti

«Un approccio progettuale rigoroso scava a fondo nella complessità del “fare architettura”, sintetizzando in un linguaggio essenziale lo studio dei materiali e delle forme». L’incipit di Luigi Cafiero, fondatore dello studio professionale LCA Architetti & Partners, guarda ai capisaldi su cui si basa la progettazione architettonica offrendo una lettura che ne indaga i processi di sviluppo teorico e realizzativo. «Dal desiderio di comprendere i meccanismi intellettuali e culturali attraverso i quali si attribuisce valore a un’opera architettonica e se ne rintraccia un significato simbolico, deriva un metodo di lettura critica che si basa sulla scomposizione del processo progettuale. Dall’oggetto architettonico nella sua interezza e integrità, alla scoperta delle sue parti elementari, indivisibili e necessarie; dai singoli frammenti alle geometrie – intese sia come insieme di relazioni fisiche sia come sistema di tensioni e rapporti ideali tra le parti – che ricompongono e richiamano all’intero, un’attenta analisi può accogliere la complessità dei tracciati di lettura e dei momenti compositivi, in una dialettica tra spazio, materia e segno architettonico in cui ogni singolo frammento si sublima nell’intuizione dell’idea progettuale finita». Eppure, per ragioni intuibili ma non scontate, dalle teorie alla pratica il passo se pur non breve è consequenziale perché «la ricerca delle matrici più profonde del “fare architettura” introduce un’ulteriore variabile nei percorsi progettuali: il rapporto con il territorio e con il paesaggio – afferma Cafiero, unico architetto in Campania ad essere selezionato per la pubblicazione “Progetti di giovani architetti italiani”, Linea GIArch –. Di fatto, la partecipazione a seminari, workshop e concorsi e 290

L’architetto Luigi Cafiero insieme a una professionista dello studio LCA, LuigiCafiero Architetti&Partners con sede a Caserta cafiero@lcapartners.com www.lcapartners.com

gli spunti progettuali derivanti dagli incarichi commissionati hanno consolidato la necessità di rendere percepibili le ragioni delle identità locali, stimolando attraverso il progetto, un percorso di riscoperta, valorizzazione e reinterpretazione volto a superare eventuali conflitti e criticità esistenti». C&P



Valorizzare l’housing sociale Forme inedite, mai ripetute e sempre coerenti con un linguaggio attento alle evoluzioni e alle possibilità offerte dai nuovi materiali. Idee e progetti per l’housing sociale nell’esperienza di Letizia Lionello di Guido Puopolo

Dimostrare che è possibile realizzare opere architettoniche di livello anche con mezzi limitati. È questa la mission che anima l’attività dell’architetto Letizia Lionello, cresciuta alla scuola “nobile” del Professor Carlo Scarpa, uno dei personaggi più influenti dell’architettura italiana del Novecento, e specializzatasi in interventi nel campo dell’edilizia popolare: «A volte un materiale povero, usato in modo inedito, magari associato a un piccolo elemento di pregio e a un attento uso del colore, può rendere “ricco” un edificio, senza che siano necessari particolari valori di investimento». Qual è stato il percorso che l’ha portata a impegnarsi nella progettazione di costruzioni per l’edilizia convenzionata? «Molto è dipeso dal caso. Il primo concorso appalto che ho vinto aveva come tema la costruzione di un edificio di edilizia residenziale pubblica per lo IACP di Venezia. Da quel momento si sono succeduti diversi interventi rilevanti, anche affiancati da un’intensa attività orientata al recupero del patrimonio storico. Ogni progetto presenta ricchezze e possibilità espressive. Quello che fa la differenza è la sensibilità dell’architetto e il modo con cui si guardano le cose, l'uomo e l'ambiente 292

che ci circonda». Molti dei suoi ultimi progetti riguardano nuovi modelli di residenze per gli anziani, in alternativa alle classiche Rsa. Di cosa si tratta nello specifico? «Attualmente sto lavorando alla ristrutturazione di una piccola struttura residenziale protetta di proprietà della Fondazione Menotti Bassani, situata a Laveno Mombello, in una posizione incantevole con vista sul lago Maggiore, il monte Rosa e l'arco alpino. Stiamo attraversando una fase di profonda trasformazione della nostra società, caratterizzata da un aumento dell’aspettativa di vita. Per offrire luoghi confortevoli, in cui le persone di una certa età possano vivere in piena libertà, ho messo a punto un modello di organizzazione funzionale e formale di C&P


HOUSING SOCIALE | Letizia Lionello

Nel tondo, l’architetto Letizia Lionello. Nelle due foto centrali: Milano, quartiere Stadera, residenze popolari. Sopra: Laveno Mombello, Villa Elisa, residenza protetta letizialionello_architetto@virgilio.it

Dobbiamo rispolverare e attualizzare sistemi costruttivi del passato, a basso consumo energetico, ma ricchi di inventiva residenza ecocompatibile, che unisca la vivacità della città con servizi dedicati, con un’attenzione specifica ai bisogni del singolo individuo che può trovarsi soltanto in una struttura protetta». Oggi si parla tanto di edilizia sostenibile, oltre che dell’uso di materiali a basso consumo energetico. Queste novità sono utili alla progettazione? «Tutte le novità possono essere stimoli interessanti per inventare nuovi organismi spaziali e nuovi linguaggi. Dal secolo scorso, a seguito C&P

dell’invenzione di tecnologie impiantistiche sempre più ricche e sofisticate, l'edilizia ha finito col perdere molte abilità e risorse intellettuali che sono state per lungo tempo parte del suo bagaglio culturale. La consapevolezza dei danni prodotti da un uso sconsiderato delle tecnologie può essere l'occasione per rispolverare e attualizzare sistemi costruttivi del passato, a basso consumo energetico, ma ricchi di inventiva. È il caso, per esempio, dei cosiddetti “muri intelligenti”, pratica con la quale fino al XIX secolo è stato possibile climatizzare anche grandi ambienti senza ricorrere a ingenti quantità di energia». 293




AMBIENTI FRUIBILI | Madi

Silvia Abbate e Nicola Marcolin, due dei soci della Madi Srl di Grisignano di Zocco (VI)

I vantaggi dello “spazio aggiunto” Il soppalco è una soluzione ottimale per aumentare la superficie fruibile. Ma non sempre è possibile costruirlo. I soci della Madi, esperti in questo tipo di struttura, ne descrivono le caratteristiche e le modalità di realizzazione di Carlo Gherardini

Ampliare lo spazio. Ricavando nuove superfici calpestabili, ambienti fruibili e vivibili. È questa la finalità del soppalco, una struttura pensile che si regge su un’impalcatura, il cui peso, mediante pilastri di sostegno, grava sul pavimento. In spazi ridotti, ma non solo, il soppalco è un escamotage perfetto, utilizzabile sia nelle industrie che nelle abitazioni private. Proprio su questo tipo di struttura si concentra il 90% del core business della Madi Srl, azienda di Grisignano di Zocco, in provincia di Vicenza. Come spiega Nicola Marcolin, che con la sua azienda costruisce un’ampia varietà di soppalchi, da quello a fini industriali, che sorge nel magazzino di un’impresa, a quello vivibile nell’attico di un palazzo antico, tali strutture possono essere prodotte per qualsiasi destinazione d’uso, ma la loro realizzazione non prescinde da alcune condizioni fondamentali. «Innanzi tutto, l’altezza del locale deve permetterne la suddivisione in piani con una luce libera minima consigliata di almeno 2.4 mt, inoltre, il piano di appoggio deve essere portante e adatto a supportare il peso scaricato dalle singole 296

colonne del soppalco stesso. Infine, è necessario il parere positivo della concessione edilizia». Ma come si compone, nello specifico, il soppalco? «Qualsiasi nostra struttura - interviene Silvia Abbate - è costituita da colonne, travi portanti e piano di calpestio, ai quali vengono aggiunti, secondo necessità e destinazione, protezioni perimetrali anticaduta, scale di accesso, cancelli di carico, pareti mobili». Se strutturalmente i soppalchi sono tutti pressoché uguali, la sostanziale differenza tra quelli a uso industriale e quelli a uso abitabile/pubblico sta nella tipologia di protezioni e scale, che devono seguire le direttive dettate dalla normativa vigente. Alla necessità dei clienti di ampliare i propri spazi, la Madi risponde proponendo un preventivo studiato in base alle caratteristiche dei locali e dell’eventuale uso. «Se la nostra offerta viene accettata dal cliente - spiega Marcolin -, si passa alla verifica della corrispondenza tra i dati preventivati e quelli reali, che vengono poi tradotti in un progetto esecutivo da inoltrare all’officina e da mettere in lavorazione. A C&P


Alcuni lavori realizzati dalla Madi www.madisrl.com

tale fase segue quindi la verniciatura delle componenti realizzate, presso fornitori altrettanto qualificati. Si procede infine alla consegna del prodotto finito presso il cliente per l’installazione. Il tutto viene corredato con le relative certificazioni e relazioni». La continua analisi delle necessità della clientela ha contribuito a caratterizzare il prodotto Madi che si distingue per l’ottima qualità, il design ricercato, la C&P

grande versatilità. La Madi, inoltre, ha definito la propria organizzazione, nel corso del 2010, secondo le normative Uni En Iso 9001:2008 e Uni En Iso 38342:2006, si avvale dell’opera di saldatori patentati secondo Uni En 287-1 e inoltre, quest’anno, ha ottenuto dal Consiglio Superiore del Lavori Pubblici l’Attestato di Denuncia dell’Attività di Centro di Trasformazione, in conformità al Dm 14/01/2008. «La versatilità della nostra officina – conclude Silvia Abbate - coniugata con un valido supporto tecnico interno, nonché con le certificazioni acquisite, ci permette di andare oltre la realizzazione dei soppalchi e proporci in qualsiasi ambito legato alla carpenteria sia pesante che leggera». 297


Una casa funzionale ed emozionale È l’attento studio di spazi, materiali e colori a permettere di creare un’abitazione a misura di chi l’ha commissionata. L’esperienza di Francesco Capoferri di Emanuela Caruso

Realizzare mobili e arredi per vederli inseriti all’interno del contesto per cui sono stati creati, ovvero l’abitazione del committente. Tutti questi aspetti hanno convinto Francesco Capoferri a staccarsi dall’ambito dell’industrial design e a fondare la Loft Interni studio & shop, il cui obiettivo è fornire ai privati un’esperienza trentennale e creare soluzioni d’arredamento in linea con le esigenze e richieste dei clienti. «L’azienda, situata in provincia di Bergamo, – spiega Capoferri – si occupa dello studio, della progettazione e successiva realizzazione degli spazi abitativi, dalle case agli uffici, fino a comprendere i luoghi pubblici. Chi si rivolge alla Loft Interni richiede un’abitazione dal “taglio sartoriale”, cioè una casa costruita e arredata in maniera funzionale, ma anche capace di rispecchiare la personalità e il modo di vivere di chi l’ha commissionata, che vede nell’abitazione non un semplice tetto, ma un luogo dove “piace vivere”». L’utenza della Loft Interni desidera arredi costruiti con

materiali innovativi, resistenti e competitivi a livello di costo. «Oggi, i materiali più richiesti sono i laccati lucidi e i laminati di nuova generazione che imitano la consistenza, i colori e la bellezza del legno, e che stanno riscuotendo un continuo successo a fronte soprattutto della nuova spiccata attenzione all’ecologia e al rispetto per l’ambiente. Inoltre i laminati, usati in particolar modo nelle cucine, sono resistenti, pratici da pulire e di facile manutenzione, senza dimenticare che costano meno del legno». La fase di progettazione, che va dallo studio degli interni alla valutazione degli spazi e dei materiali, fino all’arredamento, prevede un colloquio iniziale dove si presentano ai clienti due possibilità. «Sempre tenendo a mente le direttive e i desideri dei committenti, possiamo proporgli prodotti già pronti e venduti da aziende commerciali oppure personalizzare l’arredo, creando soluzioni uniche con l’aiuto di collaboratori esterni quali ebanisti, falegnami e verniciatori».

L’architetto Francesco Capoferri presso uno degli interior della sede di Loft Interni di Almenno San Bartolomeo (BG) francesco.capoferri@loftinterni.eu

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C&P



AUTOMAZIONE DOMESTICA | Michele Maranghino

La casa come nuova frontiera della tecnologia Un’abitazione vissuta a 360 gradi, luogo in cui comfort e sicurezza si integrano per offrire il massimo benessere. Michele Maranghino spiega come i progressi tecnologici abbiano contribuito a migliorare e semplificare la nostra vita di Diego Bandini

La tecnologia è ormai presente in ogni angolo delle nostre case. Telecomandi, computer ed elettrodomestici intelligenti sono solo alcuni degli strumenti entrati a far parte della nostra quotidianità. «Con il progresso dell’elettronica si sono rese disponibili molte opportunità», sottolinea Michele Maranghino, titolare della Digital Store srl, azienda di Bari specializzata nella progettazione e realizzazione di tecnologie integrate per la casa, come impianti e sale per l’Home Cinema e la videoproiezione, sistemi di sicurezza e di controllo delle luci. «Gli apparati domestici possono essere adoperati in un modo prima impensabile, per ottenere maggior tranquillità, migliore qualità della vita, più efficienza e tempo libero, oltre che considerevoli risparmi sui consumi energetici». Cosa si intende quando si parla di automazione domestica? «Automazione domestica significa integrazione di prodotti e servizi per la gestione e il controllo della casa. Qualsiasi persona avrà infatti la possibilità di controllare, anche a distanza, l’accensione e lo spegnimento delle luci, la chiusura delle imposte o l’attivazione di un sistema di allarme. Chi fruisce dei nostri servizi vuole poter ascoltare la musica in ogni stanza, così come regolare a proprio piacere la temperatura degli ambienti domestici, in maniera semplice e immediata. Lavoriamo da sempre per offrire le migliori soluzioni possibili, collaborando attivamente anche con progettisti e architetti, per coniugare al meglio funzionalità e design». È necessario essere esperti di informatica per poter usufruire dei benefici derivanti da questi strumenti? «Assolutamente no. Chiunque può utilizzare un 300

Michele Maranghino, titolare della Digital Store Srl www.digitalstore.eu

sistema di automazione domestica. È sufficiente un semplice telecomando per gestire l’intero processo direttamente da casa, o un telefono quando si è fuori. Sarà infatti lo stesso sistema a guidare l’utente nelle azioni da compiere, sempre con il massimo della velocità e della semplicità». Quali sono le peculiarità alla base del vostro lavoro? «Tutto nasce dalla passione. Passione per l’elettronica, per il design, per le cose semplici ma allo stesso tempo capaci di stupire. Aiutiamo le persone a riappropriarsi del loro tempo e dei loro spazi, da condividere con familiari e amici immersi in un’atmosfera quasi magica, fatta di luci soffuse e diffusori che, come d’incanto, si abbassano dal soffitto per offrire uno spettacolo indimenticabile. Sensazioni uniche che, soprattutto in un momento come quello attuale, non hanno prezzo». C&P





Gaetano Manfredi, docente in Tecnica delle costruzioni presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II del quale è anche prorettore

Innovazione e integrazione, fondamenta della sostenibilità Nuovi materiali, nuove tecniche realizzative e un rinnovato approccio che tenga conto delle sfide del presente. Gaetano Manfredi illustra i più promettenti orizzonti di sviluppo sul fronte delle soluzioni ecocompatibili in edilizia di Francesca Druidi

«Troppo di frequente gli interventi edilizi vengono etichettati come sostenibili per il solo utilizzo di materiali definiti eco-compatibili, spesso oltremodo costosi o poco efficienti». A rilevarlo è Gaetano Manfredi, prorettore dell’Università Federico II di Napoli, presso la quale è docente di Tecnica delle costruzioni. La sostenibilità in edilizia identifica una frontiera che progressivamente sta acquisendo sempre maggiore rilevanza, ma che va raggiunta attraverso un opportuno mix di fattori. Quali interventi dovrebbero essere applicati, operando nella direzione della sostenibilità? «La strategia vincente è quella di imporre ai progettisti una valutazione corretta della sostenibilità degli interventi edilizi, attraverso l’utilizzo di procedure di valutazione che guardino a tutti gli aspetti, dal risparmio energetico alla sicurezza, dalla durabilità alla vivibilità. Spesso, ad esempio, viene trascurata la sostenibilità sociale degli interventi, ovvero la sicurezza e la qualità della vita degli 304

occupanti. A volte è ignorata la necessità di considerare la sostenibilità nell’intero ciclo di vita degli interventi, guardando alla manutenzione e alla gestione e non solo alla realizzazione. Infine, si dimentica che la sostenibilità di un intervento deve essere esaminata in maniera relativa, con riferimento ad altre opzioni possibili e non in maniera assoluta. Solo diffondendo la cultura della “vera” sostenibilità sarà possibile promuovere con efficacia uno sviluppo dell’ambiente costruito, che guardi ai reali interessi dei cittadini». Le attività di ricerca oggi condotte stanno portando all’impiego sempre più frequente di eco-cementi e geopolimeri. Cosa garantiscono questi materiali in termini di sostenibilità? «Il termine eco-cementi è utilizzato per indicare diverse tipologie di leganti cementizi, caratterizzati in prevalenza da più basse emissioni di Co2 in fase di produzione e, quindi, da un minore impatto ambientale. I geopolimeri sono polimeri inorganici, C&P


MATERIALI | Gaetano Manfredi

Il riciclaggio e il riuso in edilizia sono operazioni estremamente delicate, dati gli standard di sicurezza che vengono richiesti ai componenti e ai manufatti per l’edilizia

una via di mezzo tra i cementi e le plastiche. Anche in questo caso, le emissioni di Co2 sono relativamente basse; dal punto di vista fisico i geopolimeri presentano caratteristiche molto simili a quelle dei cementi e, in particolare, sono in grado di esibire elevate resistenze meccaniche. Questi materiali sono presentati come sostenibili proprio in virtù delle inferiori emissioni di Co2 garantite in fase di produzione e questo è sicuramente un aspetto positivo che va nella direzione di un maggiore rispetto dell’ambiente. Ma la sostenibilità dei materiali edilizi non può essere garantita solo da questo fattore». Quale elemento è importante tenere in considerazione? «Ogni intervento edilizio necessita di una valutazione della sostenibilità molto specifica, che tenga conto di numerosissimi criteri e parametri. Ad esempio, gli eco-cementi e i geopolimeri potrebbero, in talune applicazioni, non garantire sufficienti resistenze C&P

meccaniche che potrebbero, invece, essere fornite dai cementi tradizionali. Sarebbe così ridotta la sicurezza strutturale delle opere e, di conseguenza, la sostenibilità sociale degli interventi. Inoltre, i costi di questi materiali sono spesso ancora elevati e non competitivi rispetto a quelli dei cementi tradizionali. I geopolimeri, in particolare, sono materiali ancora “giovani”, che necessitano di essere ulteriormente ottimizzati per poter essere diffusamente impiegati in edilizia. Si tratta però di materiali promettenti, dotati di caratteristiche molto interessanti, al cui sviluppo stiamo lavorando molto all’Università di Napoli Federico II, anche per applicazioni di rinforzo sismico di strutture esistenti, in alternativa ai polimeri organici in applicazioni di fibro-rinforzati». Quanto è già stato fatto e cosa ancora si può fare sul versante del riciclaggio e del riuso in edilizia nel nostro Paese? «Sono operazioni estremamente delicate, dati gli standard di sicurezza che vengono richiesti ai 305


Sotto, test a rottura di trave rinforzata con geopolimeri, effettuato nel laboratorio d’ingegneria dell’ateneo

componenti e ai manufatti per l’edilizia con l’obiettivo di garantire il benessere dei cittadini. D’altra parte, però, lo smaltimento dei rifiuti da demolizione è un problema che va affrontato, considerando i grossi volumi in gioco. In Italia si è compiuto un passo importantissimo con l’introduzione, nelle nuove norme tecniche, della possibilità di confezionare calcestruzzi, adoperando in parte inerti provenienti da rifiuti da demolizione. Si tratta di processi tecnologici che richiedono un controllo di qualità severo, ma che vanno sicuramente nella direzione della sostenibilità ambientale. Il riciclo di altri materiali, tra cui acciaio, plastiche, alluminio, o addirittura il riuso di componenti edilizi, sono pratiche che vanno ulteriormente incentivate per ridurre i volumi di rifiuti, spingendo gli operatori, anche con strumenti normativi, a prediligere tecniche di demolizione selettiva o di progettazione multiuso, più complesse e per questo purtroppo poco utilizzate in Italia, meno che negli altri paesi europei». Che tipo di approccio è oggi necessario per implementare la sostenibilità del costruito urbano? «Due ingredienti sono fondamentali: l’innovazione tecnologica e l’integrazione delle competenze. Le trasformazioni dell’ambiente costruito sono, infatti, 306

processi estremamente complessi che debbono guardare anche alla compatibilità economica. Progettare un intervento edilizio significa trovare una soluzione ottimale, in grado di mediare tra diversi obiettivi ed esigenze spesso in conflitto tra loro, che possono potenzialmente essere “insostenibili”. La sostenibilità va, quindi, perseguita con l’innovazione tecnologica, la ricerca continua di nuove soluzioni, nuovi materiali e nuove tecniche realizzative, per dare risposte ai conflitti imposti dalle trasformazioni urbane». Ma un’innovazione tecnologica spinta deve andare di pari passo con l’integrazione delle competenze. «Sì, per sintetizzare e integrare nella progettazione dell’intervento edilizio le migliori soluzioni tecnologiche. Si tratta, quindi, di un processo doppio, estremamente complicato e affascinante, quello della ricerca tecnologica, spinta in diverse direzioni, e dell’integrazione di competenze diverse in un unico team di progettazione multidisciplinare. Un processo in cui si può avere successo solo rompendo gli schemi esistenti e proponendo nuove soluzioni. Amo perciò pensare che oggi lo sviluppo sostenibile in edilizia possa essere perseguito soprattutto con il coraggio del “nuovo” e il genio della creatività». C&P



Giancarlo Chiesa, professore di Fisica tecnica ambientale al Politecnico di Milano

Un approccio sistemico per garantire il risparmio d’energia L’aspetto urbanistico, architettonico, energetico, sociale ed economico. In un progetto convergono tutte queste componenti, ottimizzate in un processo sinergico che va esteso al ciclo di vita del manufatto. Lo spiega Giancarlo Chiesa di Francesca Druidi

Incrementare l’efficienza energetica individua oggi una modalità d’intervento che richiede accortezza ma che apporta numerosi benefici. «Progettare il risparmio energetico per l’architettura è un tema di grande attualità che è stato oggetto di colti dibattiti e di alcune applicazioni significative, ma anche di numerose mistificazioni», evidenzia Giancarlo Chiesa, docente di Fisica tecnica ambientale al Politecnico di Milano. «Nel comparto delle costruzioni, il risparmio energetico e l’uso corretto dell’energia, con particolare riferimento alle fonti rinnovabili, non devono essere intesi solo come mezzo per perseguire la “sostenibilità”, ma costituiscono elementi essenziali nel processo edilizio per le ricadute economiche e ambientali che ne derivano». L’introduzione della certificazione energetica per l’acquisto degli immobili ha gettato le basi per un più efficace radicamento del green building in Italia? «Le normative esistenti a livello nazionale e regionale hanno posto importanti vincoli che devono essere rispettati, ma che spesso vengono mal interpretati o 308

ritenuti troppo rigidi, in quanto sembrano condizionare la libertà espressiva del progettista. L’introduzione della certificazione energetica per l’acquisto degli immobili ha certamente sensibilizzato su questi aspetti chi deve scegliere l’immobile da acquistare e il venditore ne ha fatto un veicolo commerciale rilevante». Quali materiali e soluzioni tecnologiche per l’edilizia in chiave di efficienza energetica vengono principalmente utilizzati oggi in Italia? «L’efficienza energetica di un edificio si misura dall’entità dei consumi che si ottengono, quindi dalle scelte tipologiche e tecnologiche dell’involucro e dall’uso di sistemi impiantistici che massimizzino il rendimento dei combustibili fossili e introducano l’uso di fonti rinnovabili per la produzione di energia termica ed elettrica. Una elevata qualità energetica può essere raggiunta se i diversi aspetti tecnici, e le loro possibili sinergie, vengono esaminati e valutati nella fase preliminare del progetto, con un approccio metodologico che tenga conto di tutte le possibili C&P


MATERIALI | Giancarlo Chiesa

alternative in un mix di elementi che tendono alla definizione della soluzione ottimale». Nello specifico, come si articola questo approccio? «L’approccio deve prevedere, in primo luogo, l’analisi delle condizioni climatiche e delle risorse disponibili per poi definire tipologie architettoniche e tecnologie impiantistiche adeguate ad assicurare il benessere interno, in relazione alla destinazione d’uso degli spazi confinati, e la riduzione al minimo dell’impatto sull’ambiente esterno, utilizzando sistemi appropriati per soddisfare il fabbisogno energetico dell’edificio. Con questa metodologia progettuale non si riscontra un sostanziale aumento del costo di investimento. Aumento che, nel caso dovesse comunque verificarsi, sarebbe ampiamente compensato dalla riduzione dei costi di gestione dell’edificio durante la sua vita utile». La progettazione edilizia come processo di integrazione tra architettura, tecnologie edilizie e impianti, non è una voce di costo aggiuntiva, dunque, ma introduce un valore aggiunto. C&P

«Sì, la morfologia dell’edificio, la sua articolazione e la destinazione d’uso, determinano la complessità e la tipologia degli impianti. Le conseguenze delle scelte architettoniche su quelle impiantistiche devono essere valutate e ottimizzate dal punto di vista delle prestazioni, dei costi e delle modalità di inserimento, considerando non solo la prima installazione, ma anche le esigenze che insorgono durante l’intera vita dell’edificio». Per quanto riguarda i sistemi per la produzione di energia termica ed elettrica? «Esistono molte opzioni. Cogenerazione e teleriscaldamento, generazione distribuita dell’energia in piccola scala, frigoriferi ad assorbimento, pompe di calore convenzionali e geotermiche, solare termico e fotovoltaico, generatori eolici di modesta potenza (poche decine di kW) possono assicurare, con una progettazione architettonica adeguata, un grande contributo alla riduzione dei consumi: l’edificio e la città possono diventare non solo consumatori, ma anche produttori 309


L’edificio può diventare produttore di energia a parziale, e in alcuni casi totale, copertura dei suoi fabbisogni termici ed elettrici

di energia a parziale, e in alcuni casi totale, copertura dei fabbisogni termici ed elettrici di un edificio o di un quartiere, così come avviene in alcune realizzazioni europee». Come si profila il futuro della sostenibilità energetica nella progettazione edile? «Il futuro della sostenibilità, non solo energetica, è legato alla rivalutazione del ruolo del progetto, che non è solo quello di assemblare e far convergere in un unico obiettivo dati e competenze diverse, ma soprattutto di evidenziare le correlazioni concettuali e funzionali che caratterizzano la realtà che viene studiata. In sintesi, affrontare correttamente i problemi ambientali e progettare il risparmio energetico per l’architettura significa impostare il progetto con un approccio sistemico, basato sull’esame critico delle relazioni che intercorrono tra il territorio in cui si opera (paesaggio, e, quindi, cultura, clima, risorse, vocazione socio-economica), le esigenze dell’utente (il benessere in relazione alle attività), l’involucro, che racchiude lo spazio interno, e infine l’impianto. Pertanto il processo di progettazione, una volta definite le condizioni al contorno – vincoli esterni e livello di benessere interno – non deve essere lineare ma circolare e iterativo, in cui le prestazioni dell’involucro e degli impianti siano intesi come un sistema unico». 310

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Giuseppe Dibari, Leed accredited professional, ingegnere e dottore di ricerca, head del dipartimento di sostenibilità di Hilson Moran Italia Spa

Leed Italia, ancora passi avanti I prossimi anni saranno determinanti per il processo di trasformazione del mercato edile italiano verso una cultura dell’edilizia sostenibile. L’attuale scenario delle certificazioni di sostenibilità è chiarito da Giuseppe Dibari di Francesca Druidi

Si trova a Milano il primo edificio che concorre per la certificazione Leed 2009 Italia nuove costruzioni e ristrutturazioni (Leed Italia Nc). Un passo in avanti verso l’applicazione degli standard Leed ai progetti italiani, come ha sottolineato Giuseppe Dibari, head del dipartimento di sostenibilità di Hilson Moran Italia, società di ingegneria impiantistica e consulenza specializzata. Come i parametri Leed consentono a un immobile di essere certificato come green building? «Leed è un protocollo di valutazione della sostenibilità edilizia fondamentalmente basato sul consenso degli operatori e guidato dal mercato, che valuta le prestazioni di un progetto durante l’intero processo di vita e pertanto durante le fasi di progettazione, costruzione ed esercizio. Inoltre, Leed analizza un progetto attraverso 5 categorie di crediti: sostenibilità del sito; gestione delle acque; energia e atmosfera; materiali e risorse; qualità ambientale interna. Il peso di ciascuna categoria è valutato in ragione degli effetti che ogni credito ha sull’ambiente e sulla salute umana rispetto a un insieme di categorie di impatto, ad 312

esempio emissioni di gas serra, l’uso di combustibili fossili. Di conseguenza, la valutazione e il punteggio associato individuano il risultato di una valutazione scientifica complessa e integrata, indicativo non solo della prestazione “direttamente” attesa di un credito specifico, ma rappresentativo di una prestazione completa di sostenibilità». Esistono altre certificazioni oltre ai Leed, ma cosa rende questo sistema maggiormente efficace? «Sicuramente il protocollo che ha ottenuto, a oggi, la maggiore diffusione al di fuori dei propri confini nazionali è la certificazione Leed, con una notevole diffusione in Europa, Asia e Medio Oriente. Probabilmente, la ragione del maggior riconoscimento di Leed, da parte degli operatori, può ricercarsi nella necessità di avere uno strumento unico e riconosciuto a livello internazionale per poter valutare e misurare la sostenibilità di un progetto. La misurabilità e replicabilità di Leed ne fanno uno degli strumenti principali per la valutazione su parametri omogenei di un portfolio immobiliare. L’origine statunitense rende, inoltre, Leed lo strumento C&P


MATERIALI | Giuseppe Dibari

preferito di operatori immobiliari americani, unitamente anche agli standard di riferimento utilizzati quali le norme Ashrae, largamente riconosciute in tutto il mondo». Se e quanto l’Italia è ancora arretrata sul fronte del green building? «Abbiamo iniziato in Italia la nostra attività di consulenza per la certificazione Leed con il progetto di Porta Nuova a Milano e, di recente, abbiamo registrato con il Gbc Italia il primo progetto che conseguirà la certificazione Leed Italia. Oggi, in Italia, ci sono più di 50 progetti che aspirano a essere certificati Leed, con un interesse sempre maggiore verso processi di certificazione di interi quartieri. Seppur con qualche anno di ritardo rispetto ad altri contesti nazionali, credo sia evidente nel nostro paese il crescente interesse rispetto ai temi della sostenibilità e della sua integrazione nei progetti edilizi. Probabilmente, in questa prima fase, l’interesse é stato generato da evidenti esigenze di allineamento e competitività dei principali progetti. I prossimi anni, che vedranno gli edifici certificati C&P

realmente in esercizio, saranno secondo me fondamentali per poter valutare l’impatto e apprezzare la differenza tra un edificio che abbia realmente integrato la sostenibilità nel suo processo progettuale e costruttivo e uno che, invece, non abbia considerato tali criteri progettuali». Quali sono le più promettenti frontiere della sostenibilità applicata al real estate? «La sostenibilità non si misura solo con la riduzione dei costi energetici di un edificio ma include, tra gli altri aspetti, anche la valutazione delle caratteristiche del sito, la gestione delle acque, la qualità ambientale interna. In particolare, quest’ultima sarà fondamentale nel caso di edifici per uffici, in cui la qualità dello spazio interno costituirà uno degli elementi essenziali per trattenere in azienda i talenti e le risorse più valide, offrendo loro le condizioni di lavoro migliori. Le certificazioni di sostenibilità non devono intendersi come statiche nella loro applicazione, quanto piuttosto elementi di progressiva trasformazione dei prodotti del mercato immobiliare». 313


Come mediare tra imprese edili e Pa L’importanza di una consulenza mirata per gli operatori privati, finalizzata all’ottenimento presso le pubbliche amministrazioni dei loro “diritti edificatori” nel sempre più complesso quadro normativo del settore edile. Il punto di Matteo Fugazza di Carlo Gherardini

Le nuove norme introdotte dall’Unione Europea, in vigore dal 2013, si inseriscono nel più esteso ambito del miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici per tendere a un impatto zero nella pratica delle trasformazioni del territorio. In particolare sarà introdotta l’obbligatorietà di indicare il livello di pericolosità e nocività dei materiali utilizzati nelle costruzioni e degli approvvigionamenti di cantiere, allo scopo di sensibilizzare gli utenti finali nella scelta e nell’utilizzo di materiali con prestazioni più elevate nel rispetto dell’ambiente. Tali norme rientrano nella direttiva che mira alla realizzazione di edifici a impatto zero entro il 2020. «Sostanzialmente – afferma l’architetto Matteo Fugazza titolare dello studio associato Fugazza di Milano con il fratello Paolo e il padre Angelo – queste nuove normative si tradurranno, nel nostro paese, in un’aumentata sensibilità degli enti pubblici per gli interventi a basso impatto ambientale, quindi nuovi regolamenti e discipline più rigorose per la certificazione della classe energetica degli edifici. C’è da auspicarsi che la disciplina regolamentare voglia 314

Da sinistra, l’architetto Matteo Fugazza, l’architetto Paolo Fugazza, l’ingegnere e architetto Angelo Fugazza www.studioassociatofugazza.it

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EDILIZIA | Matteo Fugazza

Da sinistra, complesso residenziale e centro commerciale “Sua Foce Letimbro” a Savona (progettazione e direzione dei lavori in carico allo studio) e il centro commerciale Orio Center a Orio al Serio (BG), per il quale lo studio ha effettuato consulenza urbanistica alla pianificazione attuativa e programma integrato in variante

intraprendere un percorso virtuoso verso la sensibilizzazione degli operatori (imprese e privati) e degli utenti attraverso l’utilizzo di incentivi che incidano, non solo sulla componente economica e fiscale, ma anche sui vari indici urbanistici, premiando le operazioni virtuose».

Non è facile trovare la strada corretta per il raggiungimento degli obiettivi imprenditoriali, soprattutto quando le norme si accavallano in maniera complessa e stratificata nel tempo

Quale impatto ha avuto l’introduzione della certificazione energetica degli edifici sugli operatori del settore? «Ha sviluppato un’alta sensibilità del mercato nei confronti delle realizzazioni con migliori prestazioni, siamo ancora tuttavia molto lontani dagli obiettivi di efficienza energetica che si prefigge la Ue a causa di diversi fattori: il mercato edilizio si trova ad attraversare una forte crisi della domanda, legata a una difficoltà nel reperimento della disponibilità economica per gli investimenti il raggiungimento di elevati livelli di efficienza comporta un aggravio di spesa in fase di realizzazione che difficilmente l’utente finale è disposto a riconoscere all’imprenditore; non sono presenti, nella normativa edilizia e urbanistica appositi strumenti di incentivazione alla realizzazione di interventi ad alte prestazioni; la maggior parte degli interventi edilizi riguardano il panorama edilizio esistente con le susseguenti difficoltà di intervento e gli scarsi risultati conseguibili».

Al di là del discorso di risparmio energetico, in cosa consistono le maggiori complessità dell’attuale scenario normativo in edilizia? «Lo scenario che si presenta di fronte agli operatori del campo dell’edilizia nel nostro paese è estremamente complesso. L’articolato normativo si svolge attraverso svariati livelli, passando da quello nazionale a quello regionale a quello provinciale e comunale, nonché ai diversi enti che operano sul nostro territorio quali ad esempio i parchi, le asl, i vigili del fuoco, le autorità di bacino, le comunità montane, gli enti di tutela paesaggistica, monumentale, archeologica. Ognuno di questi attori produce non soltanto il complesso delle norme del proprio settore di appartenenza ma, a corollario, vengono emanati i relativi regolamenti di attuazione. A completare, specificare e spesso complicare la verifica e l’applicazione delle suddette norme, si somma l’inevitabile giurisprudenza, dettata dalle sentenze dei vari TAR a cui si rivolgono imprenditori e operatori per risolvere e per interpretare

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EDILIZIA | Matteo Fugazza

Incarico di consulenza urbanistica normativa per la cordata AIGlincoln- Italia della procedura negoziata privata per la cessione di parte dell’area del quartiere storico di Fiera Milano

l’applicazione delle norme, spesso incomplete e contraddittorie, cui devono soggiacere. Gli stessi amministratori pubblici spesso non riescono a dirimere l’ingarbugliata matassa delle leggi in modo da gestire il loro territorio, e riducono l’applicazione delle stesse a quelle che meglio riescono a gestire limitando l’operatività degli imprenditori». Come un’impresa edile può gestire queste evoluzioni? «In questo scenario così complesso la figura del professionista si trova a svolgere il ruolo di mediatore fondamentale tra i due lati del tavolo sul quale vengono gestite le modificazioni del nostro territorio. Da un lato abbiamo gli imprenditori, dall’altro le amministrazioni pubbliche e i diversi enti che rappresentano i livelli di governo del nostro territorio. Se gli imprenditori privati tendono a massimizzare i benefici dell’utilizzo delle leggi che regolano l’urbanistica e l’edilizia, le istituzioni hanno la responsabilità di applicarle nell’ottica di tutelare il territorio. Non è certo facile trovare la strada corretta per il raggiungimento dei propri obiettivi imprenditoriali, soprattutto quando le norme si accavallano in maniera così complessa e stratificata nel tempo. A questo si deve sommare il fatto che mentre l’imprenditore misura il proprio tempo in funzione dei propri investimenti e del mercato, l’ente pubblico lo misura in funzione della propria capacità di intervenire sulle operazioni che si svolgono sul territorio». Questo cosa comporta? «Spesso l’amministrazione pubblica può con estrema rapidità bloccare le prospettive di crescita di un’operazione o con estrema lentezza darne il via, così come un investimento immobiliare può essere premiato 316

da una strategia corretta seppur nel lungo periodo o affossarsi a causa di una scelta di percorso non ottimale. Inoltre, le azioni intraprese ingiustamente da una pubblica amministrazione nei confronti di un operatore privato sono difficilmente perseguibili a causa dell’estrema lungaggine dei tempi di rivalsa che non coincidono quasi mai con i costi derivanti dal prolungarsi dei tempi di investimento. Il professionista assume un ruolo fondamentale: deve essere in grado di capire le prospettive di queste due figure e trovare la strada migliore e la strategia più efficace per massimizzare gli obiettivi dei propri clienti, trovando il punto d’incontro con le aspettative delle pubbliche amministrazioni nella massima correttezza e trasparenza». Quali previsioni si sente di fare per il futuro del settore? «Le imposizioni normative hanno sicuramente giocato un ruolo determinante nell’indirizzare la scelta degli imprenditori e del mercato verso edifici a basso impatto e ad alto rendimento, ma la strada da fare per sensibilizzare imprenditori e mercato e migliorare il patrimonio edilizio esistente, costruendo, è ancora molto lunga. C’è da auspicarsi che le nuove norme dell’Ue e gli obiettivi di sviluppo di edifici a bassissimo impatto siano accolti dal legislatore in modo da non introdurre inutili parametri “minimi” ma bensì premiare il raggiungimento di parametri “massimi”. Per raggiungere gli obiettivi prefissati, le attuali condizioni economiche generali impongono scelte che non necessitano più di agevolazioni di natura fiscale ma riconoscimenti di natura edilizia e urbanistica». Quali per esempio? «Premiare le eccellenze con aumenti di capacità edificatoria, ad esempio, comporterebbe sicuramente maggiori e più interessanti prospettive per gli imprenditori che si troverebbero non più ad avere farraginosi e incerti sistemi di risparmio o recupero economico e fiscale, ma aumentate disponibilità di superficie da mettere sul mercato. Accanto alla premialità delle eccellenze prestazionali degli edifici, le pubbliche amministrazioni dovrebbero assumere azioni efficienti e tempestive, riconoscendo i diritti edificatori ai privati cittadini senza introdurre atteggiamenti ostativi, o peggio pretestuosi». C&P



La situazione del settore edile Gli imprenditori che investono nel settore edile si trovano spesso a dover fronteggiare difficoltà burocratiche e legate alla manodopera. Abbiamo fatto il punto sulla situazione attuale del settore nel torinese con Giorgio Gasparetto di Manuel Zanarini

Da sempre il settore edile è una delle chiavi del rilancio economico dell'Italia, vista la propensione degli italiani a investire nel “mattone” e le cifre solitamente importanti che il “pubblico” investe nel comparto. Negli ultimi tempi, però, diversi problemi stanno colpendo questo mercato, rendendo sempre più difficile la vita a chi decide di investire denaro e risorse umane. Lo Stato pretende spesso regolarità e serietà, ma tante volte non si comporta di conseguenza; incassare i pagamenti è sempre più difficile; infine, trovare manodopera qualificata è sempre più un'impresa. Abbiamo chiesto un'opinione sulla situazione del settore a Giorgio Gasparetto, titolare insieme al socio Franco Leccese della CO.GA.L di Torino, azienda che si occupa di costruzioni e ristrutturazioni, in attività dal 2005. Quali sono i progetti attualmente in fase di realizzazione nella zona del torinese? «Attualmente abbiamo un progetto in proprio, col quale, su un terreno comprato privatamente, stiamo realizzando una palazzina residenziale di 2 negozi e undici alloggi, nel centro di Ciriè (To). Inoltre, stiamo realizzando in Torino una ristrutturazione di un centro 318

di insegnamento tecnico per ragazzi, che diventerà la nuova sede della Cassa Edile e dell'Inail Piemontese. Lavoriamo anche per conto terzi, settore nel quale stiamo costruendo a Castelrosso Fraz. di Chivasso(To) una palazzina residenziale di 6 alloggi e 15 villette a schiera e a Vinovo(To) una palazzina ad uso uffici e spogliatoi per Aimeri Ambienti srl». C&P


Nella prima pagina, i due soci della CO.GA.L: Giorgio Gasparetto e Franco Leccese. Nelle altre immagini, opere di costruzione e di ristrutturazione dell'azienda www.cogal-edile.com

Dagli anni '80 a oggi sono stati fatti passi da gigante, almeno nel torinese, che è sicuramente una zona all'avanguardia dal punto di vista della sicurezza

Quali cambiamenti si registrano nella concezione delle case? «Le abitazioni si sono adeguate alle esigenze della vita odierna. Negli anni '60, le case erano strutturate con corridoi centrali e le stanze sui due lati; invece, oggi è normale strutturarle pensando a zone giorno e notte più identificate. Siamo anche passati dall'uso della moquette e della tappezzeria a quello del legno e della ceramica, con le decorazioni alle pareti». C&P

Come vede la situazione attuale del settore edile? «Si manifesta il malessere diffuso che riguarda il Paese intero. Noi imprenditori ci mettiamo tutto il sacrificio e l'amore possibile, ma ci si trova a confrontarsi con un mondo che ha i caratteri opposti ai nostri». Quali sono i rapporti tra pubblico e privato? «È molto difficile che avvenga un incontro tra privato e pubblico. Noi privati cerchiamo di adeguarci alle nume319


EDILIZIA | Giorgio Gasparetto

Abbiamo investito cifre importanti nella sicurezza. Facciamo inoltre parte della categoria di imprese certificate per poter partecipare agli appalti pubblici

rose normative, sia in ambito antiinfortunistico che fiscale, ma dall'altra parte ci si scontra con molti preconcetti. Non nego che nel settore ci siano infiltrazioni delinquenziali, come quelle mafiose o camorristiche, ma, proprio per questo, bisognerebbe creare un canale preferenziale per le aziende oneste». Com'è la situazione riguardo i pagamenti dei lavori pubblici? «Per incassare i soldi che lo Stato ci doveva per i lavori eseguiti in una scuola abbiamo dovuto aspettare un anno e mezzo, senza alcuna giustificazione». A fronte di questi problemi legati ai pagamenti, quanto conta investire nel vostro settore? «Abbiamo investito cifre importanti nel settore della sicurezza, ottenendo la certificazione Iso 9001:2008 e facciamo parte della categoria di imprese certificate per poter partecipare agli appalti pubblici; inoltre, abbiamo speso per migliorare le nostre attrezzature, compresi gli uffici, e il personale». Qual è la situazione del mercato del lavoro nel vostro 320

settore? «Una larga fetta della manodopera è oggi composta da extracomunitari, e per questo devo certamente ringraziarli, ma questo comporta anche dei problemi, partendo da quelli culturali, come la lingua e la religione. Senza considerare che spesso si tratta di personale non qualificato, cosa che comporta una formazione in cantiere parecchio impegnativa. Alla fine, molti di loro tornano nel loro Paese per mettere in pratica quanto imparato qua, così è quasi impossibile che un lavoratore “nato” in azienda termini qua la sua vita lavorativa. Si tratta di un problema del Paese, perché si punta tutto sulla formazione universitaria, senza pensare che servono anche gli operai e i lavoratori edili». Come vede la situazione della sicurezza sul lavoro? «Dagli anni '80 a oggi sono stati fatti passi da giganti, almeno nel torinese, che è sicuramente una zona all'avanguardia sotto questo aspetto. Anche se ancora non in tutti i cantieri si vedono gli operai indossare l'elmetto, si notano grandi miglioramenti a riguardo della sicurezza sul lavoro e della gestione del personale». C&P



Un nuovo approccio per risanare il settore edile Bioedilizia, grandi opere, strutture private e un minimo comune denominatore: innovare e proporre nuovi approcci e soluzioni. È questa la filosofia a cui si ispirano Claudio Muraro e Rosario Costante di Amedeo Longhi

Il mondo dell’edilizia, che oggi sta affrontando un momento di grande difficoltà, è pronto al cambiamento? Sicuramente lo sono alcune aziende, che in maniera consapevole e lungimirante guardano al di là delle attuali criticità, proponendosi anzi di superarle attraverso nuovi modelli. È questo il principio a cui si ispirano Claudio Muraro e Rosario Costante, soci della Muraro Costante Group Srl, frutto dell’unione fra due imprese dotate di grande esperienza e ben radicate sul territorio. «La nostra è una politica d’impresa», spiega Muraro. «Fondendo queste due 322

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EDILIZIA | Claudio Muraro e Rosario Costante

Crediamo nella bioedilizia e la riteniamo la chiave di volta per innovare il settore edile e superare la crisi

Nella pagina precedente, i due soci della Muraro Costante Group Srl, Rosario Costante, a destra, e Claudio Muraro. Nelle altre immagini, realizzazioni curate dall’impresa di Andezeno (TO) www.murarocostruzioni.it

realtà cerchiamo di contrastare la crisi che purtroppo ci sta perseguitando puntando su programmi innovativi e tecnologicamente avanzati». I tre grandi campi su cui si muove la società sono la bioedilizia, le opere a committenza privata di target medio-alto e le grandi opere. «In questo ultimo settore – precisa Costante – abbiamo recentemente svolto importanti lavori sul territorio, come la realizzazione di varie infrastrutture per i Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006 o la collaborazione con RFI nel quadruplicamento della sede ferroviaria del capoluogo piemontese». Ma l’azienda torinese è sbarcata anche all’estero: «stiamo acquisendo importanti commesse da parte di governi stranieri per la realizzazione di infrastrutture e grandi opere» prosegue Costante. Ma il campo in cui forse si estrinseca maggiormente la spinta innovativa di Muraro Costante Group è quello relativo a bioedilizia e bioarchitettura. «Stiamo portando avanti già da due anni un C&P

interessante programma di case passive in classe A e A+ con un sistema edificativo completamente a secco, privo di qualsiasi sostanza che possa danneggiare chi ci abita». L’ostacolo più arduo da superare in questo caso è la disinformazione: «Se la tematica fosse più diffusa – spiega a proposito Muraro – ci sarebbe più richiesta, invece questa è abbastanza limitata e puntuale. Questo perché si tratta di un prodotto di alta tecnologia che la gente non conosce e di cui non si fida. Chi si avvicina a questo tipo di abitazioni ha già quanto meno un’infarinatura». Muraro Costante Group fa la sua parte anche su questo fronte, avendo allestito un info point a disposizione di enti pubblici, scuole e aziende per illustrare tutti i vantaggi della bioedilizia e della casa passiva. «Crediamo in questo progetto – concludono i due soci –, lo riteniamo la chiave di volta per innovare il settore edile e superare la crisi in cui versa». 323


EDILIZIA | Fausto Azzolin

Operatori della F.lli Azzolin, società operante nel campo dell’edilizia stradale con sede a Fara Vicentino (VI) f.azzolin@tiscali.it

Conoscenza tecnica ed esecuzioni just in time L’edilizia stradale richiede qualità, sicurezza, competenza e capacità economica. Sono questi gli elementi che le aziende del settore devono essere in grado di garantire ai propri committenti. Ne parla Fausto Azzolin di Emanuela Caruso

Il settore dell’edilizia è forse uno dei più articolati del mercato italiano, in quanto è composto da vari rami e specializzazioni, tutti soggetti a dinamiche e ordinamenti diversi. Allo stesso modo, anche le aziende impegnate in ogni singolo ambito di questo settore presentano caratteristiche ben differenti e devono muoversi a seconda del ramo in cui si sono inserite. C’è chi deve sottostare a normative molto rigide e compilare documenti su documenti per poter cominciare a operare, chi, per acquisire maggiori commesse, deve lavorare sia con gli enti pubblici che con i privati, e chi invece è libero di scegliere i propri clienti. Questo è il caso specifico dell’azienda Azzolin F.lli di Fara Vicentino, che ormai da più di cinquant’anni si occupa di edilizia stradale, dalle costruzioni stradali alle manutenzioni, dai movimenti terra agli impianti fognari, fino ad arrivare alle opere di urbanizzazione e demolizione. «Sin dall’inizio dell’attività – spiega Fausto Azzolin, titolare della società – abbiamo deciso di operare solo per i privati, perché al contrario di quello che succede durante i lavori per gli enti pubblici, dove bisogna fare esattamente ciò che è stato deciso ed è difficile 324

proporre cambiamenti nel progetto, si possono consigliare soluzioni diverse e migliori e trasmettere l’esperienza e la competenza acquisite in tanti anni di operatività». Oggi la Azzolin F.lli, grazie alla grande conoscenza tecnica, alla manodopera specializzata e a un parco macchine ben fornito, è in grado di affrontare qualsiasi tipo di incarico, garantendo cura dei particolari e rapida esecuzione. «Migliorare in modo costante l’organizzazione, apportare continue innovazioni tecnologiche e porre molta attenzione alle richieste dei committenti ci ha permesso di arrivare a ottenere un livello qualitativo molto alto e di conseguenza un portafoglio clienti fortemente fidelizzati. Ma in particolar modo ci ha consentito di raggiungere buoni risultati anche con lavori complessi come la manutenzione delle strade finalizzata a un minor deterioramento e a una maggiore sicurezza, aspetti che si possono assicurare solo attraverso un’ottima progettazione, un utilizzo appropriato delle risorse disponibili, competenze elevate e una gestione dell’operazione valida dal punto di vista economico». C&P



L’efficienza energetica aumenta il valore degli immobili L’impiego di tecnologie innovative per ottenere edifici di elevata efficienza energetica sta cambiando il modo di progettare e costruire. Con una maggiore attenzione alla qualità della vita e al risparmio energetico, che inizia ad avere il suo peso nella valorizzazione immobiliare. La parola a Cristina Dallacasa di Salvatore Cavera

La qualità costruttiva di un edificio di nuova generazione è di gran lunga superiore a quella media del patrimonio edilizio esistente. Vivere in edificio in classe A o “edificio di eccellenza” significa vivere in un ambiente dal grande comfort e, al contempo, che permette di ottimizzare i consumi. E risparmio energetico vuol dire un miglior rapporto con l’ecosistema, ma anche valorizzazione immobiliare, grazie ai ridotti costi energetici. «Alla domanda quantitativa del passato si è quindi sostituita oggi una domanda qualitativa». Così Cristina Dallacasa descrive le attuali richieste del mercato immobiliare. Com’è cambiato il modo di progettare e costruire? «Il cambiamento ha comportato una seria revisione di tutti i processi, sia di progettazione, sia di realizzazione dell’edificio. È stata ripensata la forma architettonica dell’edificio, che deve essere compatta per evitare dispersioni termiche. Bisogna prevedere spazi adeguati e ben esposti su cui collocare pannelli 326

fotovoltaici e termici, spazi esterni per le macchine di microcogenerazione e l’eventuale pompa di calore». Quale livello di efficienza energetica è possibile ottenere in un’abitazione e attraverso quali accorgimenti costruttivi? «Per aumentare l’isolamento termico, bisogna curare alcuni particolari costruttivi tali da non creare discontinuità nell’isolamento. Per esempio, vengono isolate termicamente persino le terrazze e i cornicioni. L’impiantistica termoidraulica con uso di energie rinnovabili permettono di sfruttare il 100% dell’energia sia termica sia elettrica prodotta, mentre con le normali caldaie attualmente si disperde il 60% dell’energia prodotta. Su questa linea, abbiamo costruito “Torre di Enrico”, un edificio a torre nella periferia di Bologna, comoda alla principale viabilità e tecnologicamente avanzata con isolamenti e impianti termoidraulici che collocano tutti gli appartamenti in classe energetica A con costi medi di riscaldamento C&P


EDILIZIA | Cristina Dallacasa

Cristina Dallacasa, amministratore unico della società per azioni Costruzioni E. Dallacasa di Bologna www.costruzionidallacasa.it

Il Woonerf rappresenta un luogo innovativo in cui le automobili transitano a velocità estremamente ridotta tutelando la libertà di passeggio e movimento della comunità

richieste sono di appartamenti con due camere da letto, con uno o due bagni. Le altre richieste sono divise tra appartamenti con tre o con una camera da letto. Noi realizziamo prevalentemente a Bologna e nei comuni della prima cintura della provincia. In questa realtà, la tendenza delle coppie di età compresa tra i 30 e i 50 anni è quella di spostarsi dal centro storico nei nuovi comparti urbanistici periferici o, ancora di più, verso quelli dei comuni della prima cintura. Alla base di questa scelta c’è prevalentemente l’esigenza di migliorare il proprio stile di vita».

per un alloggio di circa 80 mq pari a soli 400 euro annui». Quale tipologia di strutture abitative riesce a conquistare maggiormente il mercato? «Per quanto riguarda i tagli, cresce la richiesta di zone giorno ampie con cucina abitabile. La metà delle C&P

A quali sistemi urbanistici fanno riferimento le progettazioni di questi comparti urbanistici? «È in corso di realizzazione un comparto residenziale progettato secondo il sistema urbanistico olandese Woonerf. Il Woonerf rappresenta un luogo in cui lo spazio delle strade residenziali è condiviso da pedoni, ciclisti e auto che procedono a bassa velocità. I veicoli sono rallentati a una velocità di 15 km/h da alberi, piantumazioni varie, aree di parcheggio e altri “ostacoli” posti nella strada. In questo modo la priorità è data a pedoni e ciclisti. Questa condizione rende tali strade adatte a un uso strettamente locale e residenziale, comprendendo piccoli slarghi per l’incontro e per la sosta, piazze e aree attrezzate per il gioco». 327


Il filo diamantato per il taglio del calcestruzzo Demolire un edificio alto 55 metri tagliandolo a pezzi. Tiziano Tondin spiega come da una famosa invenzione per il taglio del marmo di Carrara è nata l’applicazione per tagliare il calcestruzzo armato, rocce durissime e intere costruzioni di Luca Cavera

In apertura, lavori in una galleria; sopra, demolizione di un edificio con tagli più esplosivo tagliato in un’unica fase

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L’impiego di macchine a filo diamantato per il taglio di materiali durissimi è stato introdotto da Luigi Madrigali, che per primo le applicò, nelle cave di marmo di Carrara, per tagliare le bancate. L’intuizione del geniale inventore aprì la strada a numerose soluzioni di impiego, fra queste il taglio del calcestruzzo armato, tecnica nella quale l’impresa di Tiziano Tondin si è specializzata. «Durante una delle prime prove, probabilmente la prima prova a livello mondiale, organizzata da Luigi Madrigali, ci fu permesso di assistere e di collaborare parzialmente all’esecuzione del test. In seguito a quell’esperienza, iniziammo a utilizzare e sviluppare l’applicazione del filo diamantato e degli altri utensili cercando di spostarne i limiti d’utilizzo oltre quelli del settore lapideo». L’impresa Tondin aveva avviato la propria attività utilizzando macchine a catene che sfruttavano taglianti in metallo duro. «Utilizzavamo questa tecnica nell’edilizia, per eseguire i tagli che impediscono la risalita dell’umidità capillare. Gli utensili in metallo duro, però, non eseguono tagli di inerti, come pietrame e C&P


EDILIZIA | Tiziano Tondin

In questa pagina, da sinistra, esempio di pozzetti sifonati creati con taglio a catena; riabilitazione della diga del Poglia, prove di taglio su blocco d’acciaio speciale. Sotto, progetto per ingrandimento e/o rettifica della sezione di una galleria tramite taglio curvo con disco diamantato, Tondin Srl, Gazzo (Pd) info@tondin.com

sassi. Nella ricerca di una soluzione a questo tipo di problematiche, l’innovazione delle macchine a filo diamantato ha dato un importante impulso per l’introduzione e lo sviluppo di nuove soluzioni, che sono andate di pari passo con la crescita della nostra realtà imprenditoriale». Negli anni la ricerca ha portato l’azienda a specializzarsi nelle perforazioni di strutture in cemento armato. «Abbiamo sviluppato una grande esperienza nel consolidamento delle strutture, eseguito attraverso delle perforazioni – che in gergo sono dette cuciture armate – lungo l’asse delle pareti per lunghezze molto elevate. Queste permettono di consolidare le strutture sia quando ci sono dei cedimenti in atto, sia in vista di potenziali scosse di terremoto. Siamo in grado di eseguire perforazioni anche non rettilinee con curve e controcurve seguendo profili planimetrici e altimetrici, per profondità di 1000-1500 ml». Alcuni dei risultati più importanti raggiunti sono stati il taglio, in una sola fase e seguendo un unico piano di C&P

taglio, dei silos in calcestruzzo armato con altezza di 55 m e larghezza di 17 m del porto Parodi a Genova. Tiziano Tondin aggiunge altri esempi: «Uno dei nostri migliori lavori è stata la tratta dell’alta velocità che collega Bologna a Firenze, per il quale abbiamo costruito delle macchine apposite per ogni tipologia di lavoro, che permettessero una maggiore velocità di esecuzione e quindi tempi e costi inferiori per il committente. Inoltre, siamo riusciti a tagliare e impermeabilizzare la parete di una chiesa che aveva uno spessore di 3,10 m ed era stata costruita con sassi e rocce. A effettuare tagli con catene diamantate di marmi, graniti e rocce con durezza superiore a 5 nella scala Mohs con profondità di 2 m in pareti, bancate e platee accessibili da un solo lato. Le nostre tecnologie attuali ci consentono di eseguire progetti che si trovano al limite della fattibilità̀. Il nostro obiettivo è quello di riuscire ad abbassare i costi e rendere sostenibili, come fossero interventi ordinari, anche quelli più estremi». 329


FINITURE | Pietro Carrieri

A sinistra, una fase della laccatura effetto legno per sublimazione. A destra, Pietro Carrieri della Metal Finiture Srl, Massafra (TA) metalfiniture@libero.it

La laccatura delle finiture in alluminio Favorire le relazioni e la collaborazione fra ricerca e imprese per migliorare la tecnologia della verniciatura industriale. Pietro Carrieri ne spiega le problematiche di Valerio Germanico

Nella fase preparatoria del trattamento superficiale dell’alluminio, gli operatori sono costretti a utilizzare ancora prodotti tossici. La graduale introduzione e sperimentazione dei nuovi prodotti, meno pericolosi per la salute dei lavoratori, il più delle volte si risolve però in un calo della produttività o degli utili. Tale danno pesa interamente sulle aziende virtuose che provano a migliorare la qualità dei propri processi. «Sono le case produttrici – afferma il dottor Pietro Carrieri – che prime ci sottopongono dei nuovi prodotti lasciando cadere su di noi i rischi della sperimentazione». Pietro Carrieri è il presidente del consiglio di amministrazione della Metal Finiture, società specializzata nella verniciatura industriale di alluminio estruso per serramento. «Quello che manca, per risolvere questa situazione del mercato e dell’industria, è un legame forte fra mondo della ricerca – anche universitaria – e coloro che impiegano il prodotto. Fino a che non si avvierà questo processo virtuoso, dubito che avremo un miglioramento delle condizioni di lavoro e, inoltre, si allontana la 330

possibilità che il nostro settore contribuisca alla diminuzione dell’inquinamento ambientale. Lasciare la soluzione di questi problemi alla buona volontà dei singoli – che spesso si trovano a dover intervenire con risorse molto limitate – rende questi obiettivi ancora più distanti». Metal Finiture ha come mercato di riferimento, prevalentemente, i commercianti di alluminio e i grandi serramentisti che distribuiscono i loro prodotti nel Meridione d’Italia. «Siamo un’azienda relativamente giovane, sorta dalle ceneri della Mec Motor Industria. Questa disponeva di un impianto verticale di laccatura estrusi, il primo nel suo genere, e di un piccolo impianto orizzontale per la laccatura di piccoli lotti e dei lamierati. Noi abbiamo sfruttato queste risorse, investendo ulteriormente nella realizzazione di nuovi impianti per la laccatura di finiture diverse, utilizzando sia la tecnologia polvere su polvere sia la sublimazione». Gli investimenti hanno portato la società a disporre in totale di cinque impianti, che permettono la realizzazione di laccature standard (con colori pastello) ed effetto legno. C&P



L’ingegnere Edoardo Macchiarulo responsabile della 2m ingegneria e il geometra Roberto Macchiarulo responsabile dell’impresa Macchiarulo Srl. Nella pagina seguente, alcuni lavori realizzati dall’impresa Macchiarulo www.macchiarulosrl.com

Ottimizzare i consumi anche nei vecchi stabili Roberto ed Edoardo Macchiarulo spiegano l’importanza di intervenire sui vecchi immobili per migliorarne l’efficienza energetica di Manlio Teodoro

«Ogni fase di ristrutturazione edilizia implica un aggiustamento o la trasformazione di un dato oggetto architettonico o spazio abitativo. L’iter con cui approcciamo un nuovo progetto parte sempre dalle richieste del committente. Cerchiamo di arricchire queste attese con suggerimenti e spunti e per questo offriamo anche un servizio di consulenza per la scelta delle migliori soluzioni. Segue l’applicazione e sperimentazione dei nuovi materiali e delle nuove tecnologie che il mercato mette a disposizione. Successivamente inizia la fase di ingegnerizzazione del progetto di ristrutturazione interno o esterno, attraverso la cura dei particolari, lo studio delle migliori soluzioni tecniche e nella scelta dei materiali più adatti sia in termini di costruzione sia di finiture». Con queste parole Roberto Macchiarulo, responsabile dell’azienda omonima, spiega il modo in cui viene affrontata ogni richiesta di ammodernamento di un immobile. Con l’evolversi delle commesse l’impresa si è dotata di una struttura che è in grado non solo di prendersi carico delle attività edili e di quelle impiantistiche, ma di proporre soluzioni tecniche all’avanguardia e di seguire i clienti fin dalle fasi iniziali del progetto: nasce così la collaborazione con lo studio 2m ingegneria diretto dal fratello Edoardo che si 332

occupa di progettazione, direzione lavori, sicurezza e prevenzione incendi. Come spiega Edoardo: «Abbiamo avviato questa collaborazione per lo sviluppo progettuale delle idee dei clienti e per l’ingegnerizzazione dei progetti. Lo studio redige un progetto architettonico e/o strutturale per ogni intervento. A questa fase di preparazione segue la messa in opera del cantiere, con lo studio del sistema logistico migliore per ottimizzare i tempi di realizzazione. Per migliorarli e per far fronte a eventuali imprevisti, durante i lavori c’è una stretta collaborazione fra i progettisti e la direzione. Per il coordinamento delle varie attività, riteniamo indispensabile un’adeguata pianificazione iniziale prima dell’inizio dei lavori, questa ci consente di individuare quelle che sono le attività critiche. Queste attività fungono da paletti e una presenza in cantiere costante, che controlli l’avanzamento dei lavori, permette di gestire eventuali ritardi». L’impresa Macchiarulo gestisce la ristrutturazione sia di grosse opere, come interi stabili o condomini, sia di singole unità, come appartamenti o attività commerciali. Le competenze sviluppate dalla società le permettono il coordinamento delle varie discipline coinvolte di volta in volta nei lavori. È vero ormai che la cultura dell’ecosostenibilità e del C&P


RISTRUTTURAZIONE | Roberto ed Edoardo Macchiarulo

La ristrutturazione dell’“involucro” architettonico e un rinnovo degli impianti sono gli unici sistemi per ottenere un risparmio energetico

risparmio energetico si stanno diffondendo. Eppure, ancora, sembra resistere una tendenza a conservare il “vecchio” per paura dell’inefficacia del “nuovo”. E spesso si pone una contrapposizione fra un’estetica architettonica antica e una moderna. «Bisogna valutare caso per caso – spiega Roberto Macchiarulo – la convenienza di un intervento. In linea generale si può però affermare che la maggioranza degli immobili esistenti è stata concepita secondo delle logiche costruttive che non garantiscono il raggiungimento di adeguati standard di comfort. Per questo motivo la ristrutturazione dell’“involucro” architettonico e un rinnovo degli impianti sono gli unici sistemi per ottenere un risparmio energetico e per migliorare l’abitabilità, senza necessariamente stravolgere il sapore antico di una struttura». Vanno nella direzione di cercare di smorzare questa C&P

resistenza gli incentivi per il miglioramento energetico degli edifici, recentemente introdotti dal Governo. «Questi potranno risvegliare il mercato del settore immobiliare – commenta Edoardo Macchiarulo –, ma da soli non saranno certamente sufficienti a risolvere tutte le problematiche. Sicuramente gli incentivi hanno convinto alcuni privati a intraprendere dei processi di rinnovamento del proprio patrimonio immobiliare – soprattutto hanno consentito di aumentare la qualità degli immobili. Ma per quanto riguarda il settore nel suo complesso, il problema è un’offerta di alloggi superiore alla richiesta, frutto dell’eccessiva costruzione degli ultimi anni, a fronte di una riduzione delle possibilità spesa». Conclude Roberto Macchiarulo: «Diverso è l’ambito delle ristrutturazioni, perché, soprattutto nelle grosse città, è molto elevato il numero di immobili che richiedono interventi». 333


La pianificazione territoriale garantisce sostenibilità e sviluppo Una corretta gestione dell’informazione territoriale è un requisito indispensabile per una pianificazione efficiente. Il punto di Donatella Schiuma e Markus Hedorfer, tra innovazione tecnologica, preparazione tecnica e creatività di Diego Bandini

La gestione del territorio va considerata come un insieme sistemico di strumenti e azioni, che disciplina il binomio tra trasformazione e conservazione del territorio stesso. Piani territoriali, urbanistici, ambientali, studi di impatto e di fattibilità concorrono a definire il quadro di riferimento per tutta l’attività costruttiva, come confermano Donatella Schiuma e Markus Hedorfer, dello Studio Associato Hesc di Mestre. «In un’ipotesi di buon governo – spiega Schiuma – la pianificazione territoriale garantisce sostenibilità e compatibilità dell’intervento edilizio con il contesto, ambientale, antropico, monumentale, e così via, 334

senza la necessità di essere accompagnato da un’eccessiva varietà di analisi e valutazioni preliminari». Quali sono le principali tecniche da voi utilizzate? MARKUS HEDORFER «Lo studio fornisce consulenze specialistiche, avvalendosi di strumenti tecnologici avanzati che consentono di gestire problematiche complesse. Tutta la nostra attività di pianificazione viene eseguita con l’ausilio di tecnologie Gis/Sit Sistemi Informativi Territoriali. Attraverso la tecnica della “costruzione analitica dei piani”, il Gis non si limita alle sole operazioni di indagine spaziale ma, a C&P


INFORMAZIONE TERRITORIALE | Donatella Schiuma e Markus Hedorfer

In un’ipotesi di buon governo la pianificazione territoriale garantisce sostenibilità e compatibilità dell’intervento edilizio con il contesto

In apertura, i soci, Donatella Schiuma e Markus Hedorfer. Nelle altre foto, alcuni esempi di pianificazione realizzati dallo Studio www.hesc.it

partire da queste, porta direttamente alla formulazione di ipotesi di trasformazione del territorio. Ciò permette di distinguere in maniera precisa tra azioni di piano nate dalla conoscenza del territorio e quelle determinate sulla base di scelte specifiche, di ordine tecnico o politico». In che modo architettura e pianificazione territoriale interagiscono tra di loro? DONATELLA SCHIUMA «Il conflitto di competenze che spesso caratterizza i rapporti tra architettura e pianificazione crea diseconomie e inefficienze nella gestione del territorio. Il reciproco riconoscimento, valorizzazione, critica e integrazione disciplinare ottimizzano le sinergie, consentendo all’architettura di sviluppare tutta la sua potenzialità creativa nel pieno rispetto della collettività territoriale. Al contempo, la pianificazione viene liberata dalla sindrome di essere mera “architettura su scala urbana”, potendo finalmente mettere in campo la propria scienza senza la costrizione di dover risolvere problemi che non la riguardano, perché di competenza della progettazione architettonica. Spesso la pianificazione è vista come una semplice applicazione di indici previsti per legge, con una C&P

visione completamente dissociata dall’immagine spaziale finale di trasformazione di un territorio. La nostra attività si pone in un’ottica completamente diversa, perché prefigura assetti spaziali, supportati da studi scientifici e multidisciplinari, capaci di mettere il decisore pubblico nelle condizioni di scegliere la migliore soluzione per la sua comunità». Di recente avete intrapreso un progetto in Angola. Di che cosa si tratta nello specifico? M.H. «La capacità di offrire prodotti cartografici associati a servizi di pianificazione, ha consentito negli ultimi anni a Hesc di mettere le proprie competenze al servizio della ricostruzione dell’Angola, un Paese segnato da decenni di guerra. Collaboriamo attivamente con il Municipio di Cubal, nella provincia di Benguela, tra le più importanti del paese. Qui siamo responsabili della redazione della cartografia, del Piano di Sviluppo Urbanistico della sede del Municipio, di alcuni Piani Attuativi legati a nuove aree residenziali e diversi Piani Settoriali, come quello per lo sviluppo dell’aeroporto e della Città Amministrativa. Un’esperienza impegnativa ma molto gratificante, sia da un punto di vista professionale che umano». 335


Sollevamenti in sicurezza Il settore dei grandi sollevamenti e dei trasporti speciali è a forte rischio infortuni. Proprio per questo, come sostiene Alberto Galbiati, la prima voce su cui investire è quella relativa alla sicurezza di Amedeo Longhi 336

C&P


GRANDI SOLLEVAMENTI E TRASPORTI SPECIALI | Alberto Galbiati

Alberto Galbiati, amministratore delegato della Mammoet Italy di Milano. In apertura, un telescopio alla cui realizzazione la Mammoet ha partecipato www.mammoet.com

Sollevamenti pesanti, trasporti speciali, salvage marittimo, prodotti e ingegneria dedicati di elevato livello. Questi ambiti di lavoro sono fondamentali in molti settori, spesso anche spettacolari dal punto di vista ingegneristico. Ma sono anche quelli in cui operatori sono più a rischio, a meno che naturalmente non si investa in logistica e formazione per minimizzare i rischi del mestiere. È questa la politica perseguita dalla Mammoet Italy, divisione nostrana della Mammoet Holding BV, operatore internazionale con sede in Utrecht. Alberto Galbiati è l’amministratore delegato della branch italiana, fondata nel 2001 e situata nel centro di Milano. Quali sono i rischi maggiori per chi svolge questo tipo di attività e come li affrontate? «Il nostro lavoro ci porta a maneggiare elementi di notevoli dimensioni, che per essere movimentati necessitano di manovre spesso pericolose. Dal punto di vista operativo, il principio al quale ci ispiriamo per ridurre il rischio è quello di costruire, assemblare, montare i pezzi più grossi a terra e poi effettuare i sollevamenti con le gru. Nel momento in cui il personale lavora con i piedi per terra, buona parte dei pericoli viene eliminata». Parallelamente lavorate anche alla costruzione di una cultura della sicurezza sul lavoro? C&P

«Certamente la parte didattica e formativa è fondamentale. Per noi tutti gli aspetti sono secondari rispetto alla sicurezza. Cerchiamo di azzerare le situazioni di pericolo e i rischi organizzando corsi di formazione, instillando nel personale la mentalità del lavoro sicuro, del lesson to learn. Tengo a sottolineare anche il fatto che Mammoet Italy è un’azienda italiana che è composta da personale italiano: assumiamo giovani connazionali, li istruiamo secondo i canoni della casa madre e li inseriamo in un network internazionale. L’orgoglio personale della società e di tutti i dipendenti è comunque la cultura della sicurezza sul lavoro e il target di “zero incidenti” quale obiettivo primario in ogni progetto». In quali ambiti operate prevalentemente? «Una delle nostre specialità è la costruzione di stadi. Abbiamo collaborato alla realizzazione della maggior parte degli impianti compiuti recentemente in Europa e prossimamente prenderemo parte ai lavori per le infrastrutture dei campionati mondiali di calcio che si terranno in Brasile nel 2014. Oltre a questo, abbiamo raggiunto una posizione di leadership nel mercato italiano dei sollevamenti pesanti in campo petrolchimico: in qualità di subappaltatore preferito dalle più importanti compagnie di ingegneria italiane, abbiamo compiuto operazioni critiche di sollevamento nella 337


GRANDI SOLLEVAMENTI E TRASPORTI SPECIALI | Alberto Galbiati

Una fase di lavoro del nuovo stadio di Torino

quasi totalità delle raffinerie e degli impianti petrolchimici nazionali, sia in terraferma che nelle isole. Inoltre abbiamo ricoperto diverse volte un ruolo di coordinazione tra gli appaltatori ingegneristici e meccanici italiani e le varie filiali Mammoet nell’assegnazione, nella logistica e nell’esecuzione di grossi progetti esteri. Negli ultimi sei anni poi, Mammoet Italy è diventata operativa nel settore dei trasporti pesanti con carrelli SPMT, raggiungendo grossi risultati nella movimentazione via terra e via mare di reattori, caldaie, sezioni di navi e grossi yacht assemblati. Proprio in quest’ultimo campo siamo divenuti, grazie al nostro team di tecnici esperti, un partner affidabile e di valore per tutti i problemi connessi alle attività marine». Di che dotazione disponete per portare a termine questi lavori? «Il gruppo Mammoet di cui facciamo parte è in grado di movimentare in tutto il mondo gru, tecnologie di sollevamento e mezzi di trasporto per items oversize od overweight. La società possiede 338

L’orgoglio personale della società e di tutti i dipendenti è la cultura della sicurezza sul lavoro e il target di “zero incidenti” quale obiettivo primario in ogni progetto

una flotta di gru superiore alle ottocento unità, con venticinque macchine di portata superiore alle 1500 tonnellate, fino a un massimo di 3600 tonnellate. Dispone inoltre di una flotta di carrelli selfpropelled (SPMT) di 2150 assi, in grado di trasportare piattaforme offshore del peso di 20000 tonnellate. In generale Mammoet fornisce soluzioni per grandi sollevamenti e trasporti, basate sia su specifiche del committente che su propria ingegneria. Inoltre è specializzata in pesatura di grandi pezzi e nell’installazione di items a mezzo di sistemi idraulici di posizionamento/sollevamento, skidding e sliding». C&P



Giorgio Stucchi della Ceresoli & C. Srl di Pero (MI). Nella pagina a fianco, piazzale Cadorna e Palazzo Marino www.impianticeresoli.com

Più regolamentazione nel comparto elettrico «Realizzare impianti elettrici nel costante aggiornamento normativo e tecnico». Questo è il filo conduttore che muove la Ceresoli&C, oggi impegnata in una sfida più grande: far passare il messaggio della qualità, nonostante i big dell’edilizia giochino al ribasso. Ne parla Giorgio Stucchi di Luciana Fante

«Progettiamo e realizziamo impianti elettrici civili e industriali, con particolare esperienza negli autoparcheggi e nel terziario. Milano e provincia sono il nostro campo d’azione». Questa è, in pillole, la Ceresoli&C. secondo le parole di Giorgio Stucchi. Ma si fa presto a uscire dalla case history aziendale e allargare la riflessione ai “disequilibri” concorrenziali che in Italia dividono pubblico e privato. «I big dell’edilizia che acquisiscono gli appalti “chiavi in mano”, detengono troppo potere, dettano le loro regole – spiega Giorgio Stucchi – e chi è più piccolo finisce per rimanere strozzato». Non solo: il gioco a ribasso mette a repentaglio anche la sicurezza, argomento cruciale in un ambito delicato come l’impiantistica. Servono, dunque, nuove ipotesi di soluzioni. «La speranza, vista la sempre maggior 340

importanza che rivestono nelle costruzioni, è che gli impianti acquisiscano presso le committenti la giusta considerazione, quindi, che vengano effettuati appalti separati per edili e impiantisti; e che magari si arrivi anche agli incentivi per la “rottamazione” degli impianti, per incrementarne sicurezza ed efficienza energetica». La società è stata fondata nel 1938, avete accumulato anni di esperienza. Cosa propone per rimettere in sesto le dinamiche del mercato? «Più che mettere in moto il mercato, ci basterebbe anche solo vivere meglio. Mi spiego: un conto è confrontarmi con i miei diretti competitor, ben altra cosa è sottostare alle imprese edili, che richiedono prezzi sempre più al ribasso. Sarebbe quindi C&P


IMPIANTISTICA | Giorgio Stucchi

auspicabile una “ripartizione” più equa, più professionalizzante. E che finalmente venga tenuta in giusta considerazione la qualità e non solo il prezzo finale». Il ribasso ha ripercussioni anche sull’abbassamento delle prestazioni. «Diciamo pure che le gare al massimo ribasso stanno totalmente azzerando i margini delle nostre aziende. Nel nostro comparto il costo della manodopera ha assunto un peso eccessivo sia nella realizzazione di nuovi impianti che nella manutenzione degli stessi. Proprio in quest’ottica risulta difficile comprendere come possano essere praticati i ribassi d’asta che stanno inquinando il mercato, se non producendo persino un’evidente concorrenza sleale. Tra l’altro, C&P

La nuova variante alla Norma Cei 64-8, la “regina” delle norme relativamente alla bassa tensione, ha ampliato la sua visione di protezione e affidabilità degli impianti elettrici 341


IMPIANTISTICA | Giorgio Stucchi

Sede Isoil, Cinisello Balsamo (MI)

questa situazione sta comportando un sempre maggior ricorso agli ammortizzatori sociali». In che misura riscontra un abbassamento di qualità nell’intero comparto? «Posso affermalo perché, negli anni, dovendomi affidare a maestranze esterne faccio molta fatica a trovare artigiani validi. Quando facciamo ristrutturazioni mi capita di smantellare impianti fatti malissimo e pericolosi». Cosa propone la Ceresoli&C.? «Intanto siamo qualificati SOA (per lavori pubblici) nelle categorie impiantistiche. La nostra forza lavoro è composta da capocantieri di grande esperienza e, secondo le necessità, da personale specializzato. Il capocantiere è sempre un dipendente dell’azienda. Questo garantisce che il lavoro venga sempre eseguito secondo i nostri standard». Siete specializzati anche negli impianti di domotica: è solo una moda passeggera o prenderà piede? «In parte è una moda, in parte ha rivoluzionato il modo di vivere. Bisogna quindi distinguere il campo di applicazione, guardare se la domotica può essere 342

Bisognerebbe fare più controlli e ripulire il comparto da operatori non adeguatamente qualificati

davvero utile. Comunque si tratta di un ramo all’avanguardia. I concorrenti, in questo caso, sono di un certo livello, la formazione è importante, non c’è improvvisazione». Gli impianti elettrici sono delicati, bisogna saperli trattare. Cosa fare per rafforzare i controlli? «Sarebbe importantissimo che venisse finalmente istituito un efficace sistema di controlli e verifiche, per via legislativa, per garantire la sicurezza degli impianti e ripulire il comparto da operatori non adeguatamente qualificati e, come conseguenza, calmierare ribassi d’asta eccessivi e prezzi “non giustificabili”. La nuova variante alla Norma Cei 648, la “regina” delle norme relativamente alla bassa tensione, ha ampliato la sua visione di protezione e affidabilità degli impianti elettrici stabilendo nuovi requisiti minimi per la consistenza degli impianti elettrici». C&P



Le applicazioni delle indagini diagnostiche Eseguire verifiche non invasive prima di iniziare un restauro. Individuare eventuali problemi “invisibili” o interventi precedenti con le tecnologie della diagnostica strutturale. L’architetto Cosimo Palmieri ne spiega le applicazioni di Luca Cavera

La diagnostica strutturale è un campo di indagine che permette di stabilire se un edificio, esistente o in costruzione, sia in grado o meno di resistere alle combinazioni di progetto contenute nelle norme. Le indagini diagnostiche, fra le altre applicazioni, rivelano lo stato di qualità della costruzione per quanto riguarda umidità, variazioni termiche, presenza di interventi eseguiti e non visibili all’occhio umano, individuando eventuali stratificazioni delle murature, e consentono di eseguire prove per il collaudo statico delle strutture. L’architetto Cosimo Palmieri si è specializzato in questo tipo di prove. Quando è sorta l’esigenza di approfondire la diagnostica non invasiva? «Dopo qualche anno passato a lavorare nel settore

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del restauro – fra tecnigrafo e cantiere –, mi resi conto che per presentare un progetto qualificato ai Beni Culturali, avevo bisogno di andare oltre il rilievo classico. Visitando fiere specialistiche, come la Fiera del restauro di Ferrara, sono entrato in contatto con le tecniche della diagnostica per gli affreschi e per la diagnostica strutturale. È iniziato così l’interesse e anche un percorso di specializzazione per l’acquisizione delle tecniche e dell’uso delle strumentazioni che mi ha portato a diventare componente del consiglio direttivo del Materials and structures testing and research di Roma». Di cosa si occupa il Laboratorio di prove non distruttive? «Il laboratorio effettua test e prove su strutture in calcestruzzo armato e in muratura. Queste

C&P


DIAGNOSTICA STRUTTURALE | Cosimo Palmieri

Nella pagina precedente, l’architetto Cosimo Palmieri, direttore del Laboratorio di prove non distruttive, Monopoli (BA) diagnosticastrutturale@gmail.com

permettono di conoscere i valori delle resistenze e delle deformazioni delle strutture, la compattezza del calcestruzzo, eventuali cedimenti, la profondità di cavidotti, canalizzazioni, vuoti, linee elettriche, la posizione dei ferri di armatura in strutture esistenti, con l’individuazione della profondità e dello spessore delle armature. È possibile inoltre eseguire la valutazione del rischio di corrosione delle armature nel calcestruzzo». Quali strumentazioni e tecniche utilizzate per le indagini? «Per le prove su calcestruzzo normale impieghiamo lo sclerometro con incudine; per la localizzazione della presenza, della direzione e dello spesso delle armature in calcestruzzo utilizziamo il pacometro digitale, che usiamo anche per la valutazione del rischio di corrosione. Altre verifiche sono eseguite con apparecchiature a ultrasuoni; il controllo di lesioni e dissesti viene fatto con il deformometro digitale. I vuoti vengono individuati con l’endoscopio, mentre la resistenza delle malte è misurata con il penetrometro. Nelle indagini più profonde usiamo il georadar e abbiamo a disposizione le attrezzatture per il collaudo statico». Oltre alla strumentazione, ci sono delle tecniche e C&P

dei procedimenti particolari? «Il rischio di corrosione è verificato con la carbonazione, un metodo chimico che prevede anche l’esecuzione del test colorimetrico della fenolftaleina. Il carotaggio permette di effettuare delle prove di compressione sul calcestruzzo. Si usano i martinetti piatti per conoscere le caratteristiche meccaniche di deformabilità e resistenza dei materiali costituenti la struttura in muratura. Per identificare la corrispondenza del comportamento teorico e quello sperimentale delle deformazioni effettuiamo delle prove di carico. La termografia infrarossa rivela lo stato di qualità di una costruzione esistente, mostrando la presenza di umidità, ponti termici, variazioni di spessore, cavità, vani richiusi». A chi si rivolgono le attività del laboratorio? «Si rivolgono come supporto per tutti i tecnici del settore: architetti, ingegneri, geometri, periti e alle imprese edili. Le attività del nostro laboratorio rappresentano un pacchetto di servizi mirati alla verifica della vulnerabilità degli edifici, alla valutazione dei livelli di conoscenza delle costruzioni esistenti, ai collaudi statici e alla verifica dei materiali in fase di esecuzione per le nuove edificazioni. Tutte le prove sono eseguite in linea a quanto stabilito dalle nuove Norme tecniche per le costruzioni». 345


La tecnologia contro le infiltrazioni Localizzare perdite e infiltrazioni d’acqua in un edificio senza distruggere tutto ciò che sta intorno all’impianto è finalmente possibile. Davide Nogara presenta una grande innovazione, il MicroImpulse Plus di Emanuela Caruso

Le problematiche che possono presentarsi in un edificio, che sia di vecchia o di nuova costruzione, sono davvero tante, e tra le più difficili da individuare e risolvere ci sono senza alcun dubbio le perdite e le infiltrazioni d’acqua. In questi casi, l’iter che si segue per porre rimedio alla situazione prevede molto spesso indagini distruttive, come la demolizione, apparentemente unico rimedio per cercare e localizzare il punto preciso su cui intervenire. Ma cercaperdite.com di Diemme Arte Casa Srl con sede a Mirano, in provincia di Venezia, ha studiato nel corso degli anni strumenti alternativi in grado di evidenziare problemi occulti, come possono essere le infiltrazioni, senza dover 346

ricorrere a demolizioni inutili. «cercaperdite.com – spiega Davide Nogara, amministratore di Diemme Arte Casa Srl – ha messo a punto un modo rivoluzionario di operare nell’edilizia, caratterizzato da ricerche non distruttive e non intrusive per individuare infiltrazioni in guaine impermeabilizzanti interrate o zavorrate, Abbiamo combinato alle tradizionali tecniche edili di manutenzione, delle strumentazioni altamente tecnologiche, sviluppate e messe a punto dal nostro gruppo di tecnici». L’obiettivo è quindi quello di localizzare in modo non invasivo perdite d’acqua su tubazioni interrate in vettore plastico e in particolar modo le infiltrazioni su C&P


INNOVAZIONI | Davide Nogara

In queste pagine, alcuni esempi di applicazione di MicroImpulse Puls, sistema elettronico realizzato e messo a punto da cercaperdite.com di Diemme Arte Casa srl www.cercaperdite.com www.diemmeartecasa.com

guaine impermeabilizzanti non a vista, come terrazze piastrellate, giardini pensili, asfalto o calcestruzzo. «Attualmente lo strumento più innovativo a nostra disposizione è il MicroImpulse Plus, il cui compito è quello di scoprire il punto di rottura di una guaina che è nascosta da terreno, pavimentazioni o calcestruzzo. Questa apparecchiatura evita la demolizione e favorisce l’intervento di riparazione sul punto preciso del guasto, offrendo così un netto risparmio economico per il proprietario dell’edificio, minori tempi di lavoro e meno disagi verso le persone che abitano la struttura». Il MicroImpulse Plus è un sistema elettronico a doppio impulso progressivo, che porta a risultati oggettivi e ripetibili ogni qualvolta se ne presenti la necessità. «Attraverso la generazione di microcorrenti e grazie al rilevatore specifico, questo strumento riconosce solo i vettori elettrici degli impulsi che penetrano nella guaina impermeabilizzante segnalando i punti di infiltrazione acqua. La sensibilità di localizzazione determinata dal doppio impulso è eccezionale e infatti segnala anche fori minimi di 1 millimetro permettendo ricerche anche in contesti difficili e di ampie dimensioni. Con questa tecnologia, la sovrapposizione di vari materiali alla guaina non rappresenta più un problema, perché C&P

MicroImpulse Plus permette di individuare l’esatta posizione della perdita o dell’infiltrazione e di intervenire in modo mirato senza dover demolire in fase di ricerca

qualsiasi strato presente al di sopra dell’impianto viene oltrepassato dagli impulsi elettrici appositamente calibrati. La grande importanza di questa nuova tecnica sta anche nel fatto che, oltre a non dover demolire, non devono essere effettuati fori per inserire sonde, non è necessario staccare piastrelle dai marciapiedi o dalle pavimentazioni delle terrazze, non si manomette la struttura e non si taglia la guaina, motivi per cui è impossibile invalidare eventuali garanzie costruttive e creare ulteriori danni». Inoltre cercaperdite.com opera con una vasta gamma di strumentazioni rivolte alle indagini non invasive nel settore edile e impiantistico, come la termografia, video ispezione, mappatura impianti, prospezioni radar e altre ancora. 347


In linea con le evoluzioni dell’edilizia Il mercato si trasforma e le imprese devono seguirne i cambiamenti. Restando al passo con i tempi e offrendo valore aggiunto. L’esperienza della Carta Geom. Carlo Spa nelle parole di Laila Carta di Lucrezia Gennari

Il settore dell’edilizia, negli ultimi anni, è stato al centro di numerosi cambiamenti, sia dal punto di vista normativo, con la crescente attenzione all’impatto ambientale e alla realizzazione di edifici sempre più sostenibili, sia dal punto di vista delle modalità di lavoro. È in crescita, infatti, il mercato delle manutenzioni e della riqualificazione del patrimonio esistente, una trasformazione che si affianca ad altri veloci cambiamenti, quali la parcellizzazione dei cantieri e delle imprese, la specializzazione delle lavorazioni, con la conseguente maggiore richiesta di prodotti ad alto contenuto tecnologico e ad alto valore aggiunto, che necessitano di personale qualificato in grado di fornire un adeguato supporto tecnico. In linea con queste tendenze, si evolve la Carta Geom. Carlo Spa, azienda di Padova, da oltre cinquant’anni centro di distribuzione di prodotti e servizi per l’edilizia e le finiture d’interno, con particolare specializzazione in quelli a maggiore contenuto tecnico. «Seguendo le ultime tendenze del settore – spiega l’architetto Laila Carta alla guida, al fianco dei fratelli Arianna e Antonio, dell’impresa di famiglia - oltre a puntare come sempre 348

sulla formazione interna del nostro personale, stiamo attivando un interessantissimo calendario di incontri formativi per i nostri clienti, in particolar modo per le imprese e i professionisti, in collaborazione con i nostri partner produttori, proprio con la finalità di diventare centro di formazione e punto d’incontro necessario tra produzione e mercato. Abbiamo a tale scopo destinato uno spazio all’interno della nostra struttura per riunioni formative specifiche, che evidenzino i vantaggi offerti dai nuovi materiali e che mettano il professionista nelle condizioni di fare scelte consapevoli, fornendogli tutta l’informazione e l’assistenza necessarie per ottenere il massimo dai nostri prodotti». Un valore aggiunto che rende la Carta Geom. Carlo Spa al passo con i tempi, in quello che si sta delineando come un periodo di svolta epocale del suo settore di riferimento, nonché un periodo di trasformazione anche per l’azienda stessa che ha da poco vissuto la mutazione dell’assetto societario e l’ingresso della seconda generazione. «Abbiamo avviato con entusiasmo un processo di sostanziale rinnovamento aziendale che interessa ogni livello dell’attività C&P


PRODOTTI E SERVIZI PER L’EDILIZIA | Laila Carta

Stiamo attivando un interessante calendario di incontri formativi per le imprese e i professionisti, con la finalità di diventare centro di formazione e punto d’incontro necessario tra produzione e mercato

In apertura, un momento di lavoro della Carta Geom. Carlo Spa. Sopra lo staff dell’azienda. Sotto, un interno dell’attività www.cartaspa.it

C&P

sottolinea Laila Carta -. Una trasformazione che comincia dalla nuova immagine dell’azienda, che comprende un nuovo logo, un nuovo sito internet, pensato per la fruizione anche dell’utente meno esperto». A questi cambiamenti nel contatto con l’esterno si sono affiancate anche modifiche nella gestione interna: «Abbiamo implementato i sistemi informativi interni, fondamentali per gestire in maniera più veloce ed evoluta i processi aziendali; stiamo riorganizzando la logistica del magazzino, in risposta alla necessità di ottimizzare gli spazi che devono contenere un assortimento di prodotti sempre più ampio e diversificato; abbiamo rinnovato il parco automezzi, prolungato gli orari di apertura, per poter servire puntualmente tutte le tipologie di clientela con maggiore flessibilità. Dal punto di vista commerciale abbiamo ampliato l’offerta per proporci alla nostra clientela come referente completo, in grado di rispondere in maniera globale alle varie esigenze: in quest’ottica abbiamo inserito il servizio di tintometria - con i marchi Kerakoll/ Biocalce e Grigolin/Arte Muri e ci stiamo impegnando nella realizzazione di un nuovissimo e accattivante spazio espositivo interamente dedicato alle finiture d’interni: pavimenti, rivestimenti e serramenti. Il buon riscontro ottenuto per questo ampio progetto di ristrutturazione aziendale, ci ripaga di ogni sforzo». 349


Sensibilità ingegneristica e nuove tecnologie Gestire le fasi di cambiamento è sempre un compito delicato e importante; l'informatizzazione ha obbligato le ultime generazioni a cercare un equilibrio che ne renda produttivo l'impiego senza che diventi eccessivamente pervasivo. L’analisi di Andrea Villa sulle nuove applicazioni informatiche in ambito ingegneristico di Lodovico Bevilacqua

Da alcuni definita addirittura come “terza rivoluzione industriale” – codificazione che trascura la prospettiva storica, ma che rende l'idea della portata epocale del cambiamento – l'informatizzazione ha caratterizzato in maniera completa la vita personale e professionale della maggior parte degli individui. Regina fra le materie scientifiche, anche l'ingegneria non si è potuta sottrarre a questa svolta, lasciando tuttavia aperto il dibattito sugli effetti della pervasività di questo mutamento. A tale proposito si è interrogato anche Andrea Villa, titolare dell'omonimo studio di ingegneria bolognese, aperto nel 1920 dal famoso ingegner Armando. «L'applicazione della tecnologia informatica limitata alla fase meramente algebrica del calcolo ingegneristico avrebbe avuto un effetto senza dubbio positivo, riducendo i margini di errore determinati dalla 350

manualità dei meccanismi di calcolo e contraendo notevolmente i tempi di esecuzione del progetto». A cosa è dovuta questa sua sorta di diffidenza nei confronti dell'applicazione attuale della tecnologia informatica? «La storia dell'ingegneria ha consegnato alla nostra generazione un retaggio di strumenti concettuali di assoluto valore ed efficacia basati sul rigore matematico. L’applicazione dei concetti teorici attraverso la varietà degli esempi è stata codificata con paziente lavoro da alcuni Maestri dell’ingegneria come Arcangeli, Santarella, Belluzzi, e riportata poi nelle tradizionali “tabelle”. Questa preziosa eredità scientifica, comprendendo con essa purtroppo anche la teoria, è stata sostanzialmente dismessa con l'avvento C&P


INGEGNERIA | Andrea Villa L’ingegnere Andrea Villa direttore tecnico di Calcolionline Srl con sede a Bologna e un recente fabbricato costruito dalla Edilsei con la consulenza di Calcolionline: il progetto architettonico è dell’ingegnere C. Bazzani www.calcolionline.it info@calcolionline.it

della tecnologia informatica, come se la sua indiscussa utilità fosse improvvisamente decaduta». È dunque venuto sostanzialmente meno l'aspetto creativo e personale dell'ingegnere? «In un certo senso sì. Raggiunta la fase “matematica” dell'ingegneria strutturale, con il superamento del criterio “intuitivo” di valutazione dell'equilibrio dei corpi rigidi – avvenuto per merito della scuola francese di de Saint Venant, Cauchy e Navier nella seconda metà dell'Ottocento – l'ingegneria aveva conquistato una sorta di armonia fra il suo rigore scientifico e il suo aspetto di scienza applicativa e pertanto “pratica”; tutto questo senza perdere di vista la sensibilità del professionista che rimaneva comunque padrone del processo della progettazione. Ora quest'ultimo, (il professionista) è mortificato dalla apparentemente ineludibile necessità degli strumenti informatici, in netta contrapposizione alla sua sensibilità». Quali sono gli sforzi profusi per restituire all'ingegneria la sua dimensione artistica? «Il mio personale impegno è stato recentemente dedicato ad un progetto che ho realizzato grazie alla creazione di un sito internet – www.calcolionline.it –, uno strumento interattivo che mi permette di rimanere in costante contatto virtuale con i miei colleghi, diffondendo nuovamente quella mentalità e quella strumentazione concettuale che per decenni hanno formato e assistito generazioni di ingegneri. Abbiamo riconsiderato l'applicazione delle sopracitate “tabelle”, C&P

www.calcolionline.it è uno strumento interattivo che permette agli ingegneri di rimanere in costante contatto virtuale con i colleghi

formulandone di nuove con lo scopo di verificare in breve tempo le esigenze del progettista; dalle cosiddette “cerchiature”, con le successive verifiche dei pilastri e delle travi in ferro (verifiche alla pressoflessione e allo svergolamento) abbiamo poi implementato la verifica delle sezioni in cemento armato sollecitate alla pressoflessione – con la ricerca del cosiddetto “dominio” – e le sezioni in cemento armato sollecitate dalla flessione semplice. Diamo inoltre altri servizi come per esempio le quantità di ferro e calcestruzzo senza che il professionista debba pagare tutta la progettazione; aiutiamo il professionista nella ricerca della soluzione migliore e a minor costo e così via». Si tratta quindi di un progetto non autoreferenziale, ma orientato al beneficio dei colleghi? «Naturalmente sì. Questo progetto ha lo scopo di dotare i colleghi di quel supporto che i programmi standard non sono in grado di dare senza dover sviluppare tutto il progetto dall’inizio alla fine e quindi dovere pagare l’ammortamento di costosi pacchetti software applicativi». 351


SICUREZZA ANTISISMICA | Vincenzo Greco

La protezione antisismica in Italia Un Paese ricco di storia e allo stesso tempo situato in un territorio pericolosamente sismico come l’Italia, deve essere capace di salvaguardare le sue strutture dalle catastrofi naturali. L’ingegner Vincenzo Greco illustra la Nuova Normativa Sismica di Silvia Mocchegiani

Con l’introduzione della Nuova Normativa Sismica i comuni stanno cercando di adeguarsi e di adattare le loro strutture alle nuove regole. In Italia la compresenza di stili differenti e di costruzioni edificate in epoche diverse rende questa operazione particolarmente difficile. L’ingegner Vincenzo Greco, forte di una lunga esperienza, spiega come affronta queste problematiche, parlando in particolare del caso della sua città, Palermo. «Palermo ha un centro storico molto ampio che sta vivendo un’importante riqualificazione urbanistica e sociale che non può non tener conto dell’adeguamento necessario negli edifici esistenti». La Nuova Normativa Sismica ha introdotto delle linee guida molto precise per procedere nella valutazione della risposta sismica degli edifici esistenti. La stessa Protezione Civile ha predisposto delle schede definite di sintesi per la valutazione sismica: «Queste schede sono delle radiografie delle strutture in esame e del loro grado di risposta al sisma, in pratica vengono definiti degli indicatori di rischio e viene fatta una sintesi degli interventi eseguibili intesi come previsioni massime di miglioramento strutturale». L’approccio della Nuova Normativa è sicuramente più attento e preciso nella valutazione della capacità sismica di una struttura, ma l’intervento su un edificio già esistente presenta sempre delle problematiche, «gli edifici sorti nel centro storico sono ricchi di metodologie costruttive diverse con accostamenti variegati di materiali (muratura, cemento armato, legno, ferro) e quindi il livello di conoscenza raggiunto traduce con difficoltà le indicazioni per la 352

Vincenzo Greco, titolare dello studio di “Progettazione e calcolo” di Palermo studio@vincenzogreco.191.it

schematizzazione strutturale». Inoltre, l’intervento di adeguamento deve tenere conto delle interazioni con le strutture limitrofe, che spesso si trovano a stretto contatto. In conclusione, se nelle nuove costruzioni è possibile lavorare sin dall’inizio per garantire la capacità sismica, sul costruito, in particolare sugli edifici definiti strategici, il problema è molto più complesso, «questi edifici potranno essere migliorati, con interventi spesso invasivi e comunque onerosi, ma l’adeguamento è nella maggior parte dei casi impossibili». C&P



CONSULENZA TECNICA | Carmelo Castronovo

La consulenza tecnica in edilizia La costruzione di un edificio non passa solamente attraverso lo studio della stabilità, della funzionalità, dell’estetica e dei costi. Dietro il lavoro del progettista c’è chi si occupa di coniugare il tutto con le norme legislative. Ne parla l’ingegner Carmelo Castronovo di Silvia Mocchegiani

Il mondo delle costruzioni si muove all’interno di un panorama legislativo immenso, non violare nessuna Norma è molto difficile, per questo esistono specialisti, esperti del settore, che offrono la loro consulenza. L’ingegner Carmelo Castronovo è uno di loro. Classe 1961, dopo una laurea in ingegneria civile edile conseguita presso l’Università degli Studi di Palermo, la sua città, lavora per molti anni nel settore delle costruzioni civili nell’ambito delle opere pubbliche, acquisendo così conoscenze che gli saranno poi molto utili per la libera professione. Oggi svolge l’attività di consulente tecnico, ovvero di perito del tribunale. In che cosa consiste il suo lavoro? «Le competenze devono ricoprire un’area che va dall’edilizia ai lavori pubblici, dall’urbanistica alla

L’ingegnere Carmelo Castronovo, titolare dell’omonimo studio di Palermo carmelo.castronovo@fastwebnet.it

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stima immobiliare, sino alla materia giudiziaria. Si tratta di offrire consulenza tecnica e allo stesso tempo servizi di ingegneria, mettendo al servizio degli organi inquirenti l’esperienza acquisita». Quali sono stati i lavori più importanti? «Ho collaborato con diversi organi nel corso degli anni: presso il Tribunale di Palermo con la Procura della Repubblica, la Direzione Distrettuale Antimafia, la Prima Sezione Penale, la Sezione Misure di Prevenzione e l’Ufficio del G.I.P., presso il Tribunale di Caltanissetta e Agrigento con la sezione Misure di Prevenzione, presso il Tribunale di Ancona con l’Ufficio G.I.P., a Sciacca, Messina, Barcellona Pozzo di Gotto con la Procura della Repubblica. Inoltre ho contribuito attivamente a delle importanti indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo». Cosa bisogna garantire in questo contesto? «In qualità di libero professionista credo sia molto importante promuovere una cultura di legalità e rispetto del merito individuale e del decoro professionale. Credo sia importante garantire un’alta professionalità, selezionando operatori in grado di svolgere al meglio le loro mansioni al minor costo possibile. Il mio scopo principale è quello di promuovere il merito, la fiducia, la legalità, al fine di collaborare alla realizzazione di un migliore funzionamento delle istituzioni e accrescere così la fiducia in un processo virtuoso capace di portare il Paese verso la crescita e il miglioramento». C&P



A Made Expo l’edilizia guarda al futuro Forte del consenso guadagnato già dalle prime edizioni, Giulio Cesare Alberghini è sicuro che Made Expo 2011 non tradirà le aspettative del comparto. «La manifestazione è vicina agli imprenditori che stanno cercando vie nuove per uscire dalla crisi» di Michela Evangelisti

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APPUNTAMENTI | Giulio Cesare Alberghini

Giulio Cesare Alberghini, amministratore delegato di Made Eventi

«La rappresentazione più completa dell’intera filiera dell’architettura e delle costruzioni declinata in 12 padiglioni e nell’area esterna della fiera di Milano». Così Giulio Cesare Alberghini, amministratore delegato di Made Eventi, introduce Made Expo. I riflettori sull’edizione 2011, ai blocchi di partenza, si sono accesi già a giugno scorso a Milano con un evento spettacolare dal titolo “Segnali di futuro”. Grazie a un’enorme proiezione scenografica, l’intera sala, delle ex biglietterie della stazione centrale di Milano si è trasformata in un cantiere virtuale, producendo l’effetto di un’architettura che cambia e si modella con il mutare delle immagini proiettate. Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, intervenuto per inaugurare ufficialmente l’evento con gli organizzatori di Made Expo, ha rivolto il suo plauso alla «creatività e alla fantasia di questa iniziativa, alle nostre imprese che con coraggio e determinazione hanno ideato questo nuovo modo di comunicare con i cittadini che sta registrando grande successo e nelle scorse edizioni ha radunato una folla di visitatori». Nel 2010 Made Expo ha registrato infatti 242.152 presenze, di cui 23.810 estere, e ha ospitato oltre 1.700 espositori, di cui 254 stranieri. Quali numeri prevedete per l’edizione 2011? «Accoglieremo oltre 1.800 espositori, di cui circa 260 dall’estero, su oltre 95mila metri quadrati espositivi e abbiamo in programma 230 convegni. Si tratta di risultati lusinghieri perché conseguiti nel momento di peggior crisi del settore delle costruzioni; anche per quanto riguarda i visitatori prevediamo di C&P

superare il risultato dell’anno scorso. Da oltre 50 paesi stranieri sono previsti ospiti e delegazioni ufficiali». Immagini di guidare i lettori in una visita virtuale della fiera: cosa troveranno? «Sistemi costruttivi e prefabbricati in calcestruzzo, case e strutture in legno, materiali e manufatti edili, tecnologie edili all’avanguardia, software per la progettazione e il management, strumentazioni di rilevamento e controllo, macchine e utensili per il cantiere, servizi per il noleggio e per la sicurezza, energie rinnovabili e sistemi energy-saving, domotica e molto altro ancora. All’interno di questo percorso verranno proposte mostre tematiche con le più stimolanti innovazioni culturali del momento, tra le quali il “forum della tecnica”, “borghi e centri storici”, “riqualificazione dell’architettura urbanistica”, “social housing”, “AAA il verde in città». Che ruolo ha assunto negli anni questa manifestazione per il settore? «Made Expo è la vera novità delle fiere italiane per rafforzare il made in Italy nel mondo. Milano ha prodotto uno sforzo notevole da dieci anni a questa parte; ha visto la nascita della nuova fiera a Rho e vedrà la realizzazione di un grande evento come l’Expo 2015. Poteva non avere una grande fiera dell’architettura, del design e dell’edilizia? La risposta degli operatori è stata esplicita e la sua visibilità internazionale altrettanto evidente. Oggi il settore sa di avere a disposizione uno strumento di orientamento e cambiamento per anticipare le 357


Con Made Expo il settore ha a disposizione uno strumento di orientamento e cambiamento per anticipare le opportunità che andranno colte

opportunità che andranno colte. Il consenso guadagnato già dalle prime edizioni non tradirà le aspettative di un intero comparto che sta cercando vie nuove per uscire dalla crisi». La fiera ospiterà gli stati generali delle costruzioni, il momento forse più italiano della manifestazione. Che valore si propone di avere questo incontro per il rilancio del settore? «L’intero mondo dell’edilizia e delle costruzioni ha scelto questa manifestazione per convocare gli stati generali delle costruzioni. Il valore di questa scelta è di ribadire che Made Expo è vicino ai problemi che affliggono oggi il settore, sia per le difficoltà dell’amministrazione che delle imprese e dei lavoratori, fornendo un amplificatore e uno strumento di confronto propositivo». Made è partner di Expo 2015, con l’impegno di amplificare i contenuti del progetto nei suoi aspetti più concreti. Come si declinerà nell’edizione 2011 questo impegno? 358

«La collaborazione con Expo 2015 si è sviluppata sin dall’origine in modo molto positivo. Quest’anno Made Eventi ed Expo 2015 organizzano un convegno durante il Made Expo estremamente concreto, dedicato al piano dei bandi e dei lavori dell’Expo 2015, che inizieranno immediatamente dopo il Made Expo di quest’anno. Il titolo è eloquente: “Expo 2015: partono i lavori”». Anche quest’anno ci sarà “Instanthouse”, il concorso dedicato a giovani architetti, ingegneri e industrial designer. Quali idee innovative sono emerse? «“Instanthouse” rappresenta un momento di alta creatività, giovane e internazionale, rispetto ai temi dell’architettura che verrà e ha visto proposte progettuali di assoluto interesse e novità, sia per quanto riguarda le nuove tipologie degli spazi di aggregazione pubblica che le soluzioni abitative private. Tutte, comunque, orientate alla sostenibilità ambientale e alla riqualificazione urbanistica per un uso consapevole del territorio e della città». C&P



Innovazione per un’edilizia di qualità Con Giovanni Plizzari, membro del comitato scientifico, entriamo nel vivo del Made Expo. Tra convegni e presentazioni dei prodotti più evoluti della filiera, si accendono i riflettori su housing sociale e riqualificazione urbana di Michela Evangelisti

Giovanni Plizzari, ordinario di Tecniche delle costruzioni all’Università di Brescia e membro del comitato scientifico del Made Expo

Il forum della tecnica delle costruzioni sarà, secondo Giovanni Plizzari, uno dei cuori pulsanti del prossimo Made Expo, il «luogo in cui verrà promossa l’innovazione per un’edilizia di qualità». Sarà scandito da numerosi convegni culturali che, con la partecipazione di aziende sponsor, entreranno nel vivo dei problemi attuali del mondo delle costruzioni. «Sarà organizzato anche uno spazio per la “mostra prodotti” – aggiunge Plizzari –, dove diverse aziende selezionate dal comitato scientifico del forum presenteranno ai visitatori prodotti e sistemi caratterizzati da un elevato contenuto tecnologico, che potranno essere toccati con mano dal pubblico». Una presenza molto attesa in fiera è anche quella delle università italiane, che esporranno le principali attività di ricerca. I visitatori potranno incontrare direttamente i docenti e confrontarsi con loro sulle novità disponibili a breve per tutti gli operatori del settore. Al Made Expo sarà dedicata grande attenzione anche ai temi della sicurezza e della sostenibilità: quali sono le nuove frontiere in questi campi? «La sostenibilità edilizia verrà affrontata in un contesto nel quale il risparmio energetico e il riutilizzo dei materiali rivestono un ruolo fondamentale. Convegni specifici tratteranno il tema della certificazione della sostenibilità di un edificio, del costruire in modo sostenibile con l’impiego di tecnologie moderne e di materiali di riciclo, della durabilità e sostenibilità energetica-ambientale delle 360

costruzioni in cemento armato. Si affronteranno anche l’attualità e i possibili sviluppi del “zero-energy building”, mettendo a confronto la situazione italiana con quella europea». L’iniziativa “borghi e centri storici” affronterà il recupero strutturale di edifici esistenti. Quali sono le più moderne soluzioni per la riqualificazione? «La necessità di riqualificare le costruzioni esistenti C&P


APPUNTAMENTI | Giovanni Plizzari

energetici. In diverse università italiane si stanno dedicando molte energie al recupero delle costruzioni esistenti e, dal tradizionale tema delle costruzioni storiche, l’interesse si sta ora spostando sugli edifici moderni. La domanda è: demolire, abbandonare o riqualificare?». Come risponde l’edilizia contemporanea? «La prima soluzione comporta problemi per la sicurezza degli edifici limitrofi. La seconda presuppone l’abbandono dei sottoservizi esistenti e l’occupazione di nuove aree. La terza consente di limitare i disagi ai residenti e risparmiare le aree verdi esistenti. La riqualificazione coinvolge diversi aspetti prestazionali degli edifici, includendo sicuramente la resistenza sismica, il risparmio energetico, gli impianti tecnologici e, perché no, l’estetica».

riveste oggi una grande importanza. In aggiunta alle costruzioni storico-monumentali, moltissime costruzioni residenziali, ospedaliere e scolastiche sono state realizzate nel Dopoguerra e hanno compiuto abbondantemente i 50 anni, cioè quell’età che la normativa attuale considera come “vita di esercizio”. Ciò significa che queste costruzioni non sono più in linea con le moderne esigenze di resistere alle azioni sismiche o di contenere i consumi C&P

Un tema di particolare attualità, al quale Made Expo dedicherà spazio, è quello dell’housing sociale: quali sono le soluzioni più avanzate? «In questo settore la prefabbricazione potrà giocare un ruolo fondamentale sia per gli utilizzatori delle residenze, per i risparmi sui costi, sia per le industrie della prefabbricazione, che potrebbero trovare nuovi sbocchi lavorativi in un contesto in cui gli edifici industriali non sono più richiesti come succedeva alcuni anni fa. Il convegno “Housing sociale: soluzioni tecniche e sostenibili per l’edilizia residenziale di qualità a basso costo” tratterà ampiamente questi temi». 361


L’architettura investe sui giovani Al Saie, una delle manifestazioni più importanti del settore a livello internazionale, si discute su progetti e soluzioni innovative per il mondo delle costruzioni, grazie anche all’apporto fornito da nuove generazioni di talenti di Guido Puopolo

Si svolgerà dal 5 all’8 ottobre, all’interno degli spazi espositivi di BolognaFiere, l’edizione 2011 di Saie, il salone internazionale delle costruzioni che dal 1965 rappresenta un punto d’incontro all’interno del quale operatori del settore, appassionati e semplici curiosi hanno la possibilità di incontrarsi e confrontarsi, per discutere su nuove soluzioni, materiali, progetti e tecnologie per le costruzioni. Saranno tanti gli argomenti che, all’interno di

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apposite Piazze e Aree Dimostrative Specializzate, animeranno il dibattito durante i quattro giorni della manifestazione, grazie a un articolato programma di iniziative dedicate alle tematiche di maggiore importanza e attualità: dalla situazione congiunturale del settore delle costruzioni legata alla finanza pubblica e al partenariato pubblico/privato allo snellimento burocratico, dalla disciplina urbanistica edilizia ai contenuti della legge di

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EVENTI INTERNAZIONALI | Il Salone internazionale delle costruzioni

In queste pagine, alcuni dei progetti vincitori della terza edizione del concorso SaieSelection www.saie.bolognafiere.it

La sensibilità ambientale, nelle nuove generazioni di progettisti, è ormai un valore assodato che fa parte della prassi progettuale

stabilità. Un ricco calendario di convegni e seminari completa l'offerta, che sempre di più si caratterizza anche come momento formativo professionalizzante, oltre che occasione di approfondimento di tematiche legate al mondo delle costruzioni, all'interno del più ampio dibattito internazionale. Anche quest’anno, al fine di creare un legame diretto tra lo spazio espositivo e l’informazione specializzata, sarà riproposto il format sperimentato con successo nell’edizione precedente, con tre tematiche principali attraverso le quali si snoda il percorso espositivo: sostenibilità, produzione e servizi. Tre aspetti complementari e integrati tra loro, che delineano le specializzazioni di questa manifestazione, i cui contenuti si preannunciano, dunque, di grande interesse. Il comparto delle costruzioni sta infatti cercando di reagire al periodo di crisi che lo ha colpito, anche attraverso un significativo impulso in termini di innovazione, soprattutto per quanto riguarda gli ambiti tecnologici, il potenziamento dell’integrazione tra prodotti e sistemi, e il più veloce adeguamento delle tecnologie ai sistemi di grande attualità, come la C&P

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Il mondo delle costruzioni è avviato verso la messa a punto di sistemi che riducano i consumi energetici, sia in fase di produzione che nel ciclo di vita dell’edificio

protezione antisismica e la sostenibilità. Proprio le questioni legate alla sostenibilità ambientale e all’efficienza energetica sono argomenti molto sentiti dagli addetti ai lavori, e posti tra le priorità sia della Comunità Internazionale che della Comunità Europea. La riduzione dell’impatto ambientale e il miglioramento dell’efficienza energetica rappresentano gli elementi chiave per la riqualificazione dell’ambiente urbano, oltre che per il rilancio dell’edilizia in chiave “green economy”. Il mondo delle costruzioni è infatti avviato verso la messa a punto di sistemi e materiali che riducano drasticamente i consumi energetici, sia in fase di produzione che nel ciclo di vita utile dell’edificio, e che rispondano, appunto, ai requisiti di sostenibilità ed eco compatibilità. È partendo da queste considerazioni che BolognaFiere, grazie anche alla collaborazione di importanti istituzioni culturali e scientifiche quali il laboratorio ArTec dell'Università Iuav di Venezia, il Cresme e le maggiori Associazioni di categoria, e con il supporto della Regione EmiliaRomagna, ha organizzato a riguardo percorsi espositivi e momenti di dibattito con personalità, sia nazionali che internazionali, del mondo politico, imprenditoriale e dell’architettura. Il futuro dell’edilizia passa però inevitabilmente anche dalla crescita e dall’apporto che le nuove 364

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EVENTI INTERNAZIONALI | Il Salone internazionale delle costruzioni

generazioni saranno in grado di offrire, sia in termini progettuali che realizzativi. Per questo Saie dedica ampio spazio al mondo giovanile, cercando di promuovere e valorizzare il talento con un apposito concorso, incentrato sul tema “Innovare, Integrare, Costruire - Soluzioni innovative sostenibili”. Giunto alla sua terza edizione, infatti, SaieSelection ha raccolto quest’anno oltre 160 progetti provenienti da venti Paesi differenti, confermandosi una vera e propria vetrina internazionale per i “giovani talenti” che abbiano voluto confrontarsi sul tema dell’innovazione e della sostenibilità in architettura, motivo conduttore dell’edizione 2011 di Saie. La giuria internazionale, di altissimo profilo, ha selezionato 24 progetti, tre per ognuna delle due categorie (progettisti under 40 e studenti) e delle quattro sezioni (metallo & vetro, laterizio, legno e calcestruzzo). Significativo, a questo proposito, il parere del presidente della giuria, l’architetto Mario Cucinella, che sottolinea: «Siamo molto soddisfatti della partecipazione che quest’anno il concorso C&P

SaieSelection ha registrato a livello internazionale. Credo che uno dei fattori chiave sia indubbiamente stato quello di poter contare su una giuria davvero di peso, tra cui spiccano nomi importantissimi sulla scena mondiale dell’architettura contemporanea come l’architetto francese Françoise Hélène Jourda e l’italiano Matteo Thun. Certamente anche il tema scelto ha riscontrato l’interesse dei giovani architetti e degli studenti. L’integrazione fra tecniche costruttive e portati ambientali è un tema fortemente sentito in tutto il mondo e, nei progetti presentati, si è concretizzato in declinazioni e spunti progettuali davvero interessanti. La sensibilità ambientale, nelle nuove generazioni di progettisti, è ormai un valore assodato che fa parte della prassi progettuale e si fonde con naturalezza con il portato estetico e concettuale delle architetture. Vagliando i progetti presentati abbiamo notato che questa dinamica è comune a tutte le aree geografiche e si è ormai consolidata a livello trasversale dall’Africa all’Europa, fino alle Americhe». 365





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