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CARRIERE&PROFESSIONI

SOMMARIO

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EDITORIALE Marco Zanzi

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L’INTERVENTO Bruno Gabbiani Amedeo Schiattarella

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IN COPERTINA Mario Bellini

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CITTÀ SOSTENIBILI Richard Rogers

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CANTINE D’AUTORE Le cattedrali del vino Carlo Palazzolo Arnaldo Pomodoro Piero Sartogo Boris Podrecca Mario Botta Walter Angonese Jaume Bach

066 IL DESIGN E L’ARTE Gaetano Pesce

028 TRADIZIONE E MODERNITÀ Wang Shu

070

PROCESSI CREATIVI Tobia Scarpa

030

L’IDENTITÀ DELL’ARCHITETTURA Vittorio Gregotti

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L’ESSENZA DEL LEGNO Matteo Thun

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RIFLESSIONI Daniela Volpi

074

FORMA E FUNZIONE Marco Ferreri

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FOTOGRAFIA Maurizio Galimberti Andrea Garuti

076

DALL’IDEA AL PROGETTO Massimo Iosa Ghini

080 ESTETICA E FUNZIONALITÀ Giulio Cappellini 084 CREATIVITÀ ITALIANA Carlo Molteni 086 SALONE DEL MOBILE Carlo Guglielmi Roberto Snaidero Calligaris 094 LA VETRINA DEI GIOVANI Massimiliano Adami 096 NUOVI LINGUAGGI Alessandra Baldereschi 098 SEDUTE D’INGEGNO Marco Pappa

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LA CASA DEL DESIGN Silvana Annicchiarico

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VISUAL AND SET DESIGN Max Falsetta Spina

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DESIGN Diego Maria Piovesan

C&P


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COSTRUZIONI Fabio Ciaroni Andrea e Mauro De Rinaldis

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STRUTTURE INDUSTRIALI Alfonso Mercurio

SPAZI DI LAVORO Massimo Gianquitto

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PROGETTAZIONE Virginio Guido Bombarda

SCENOGRAFIA Roberto Ciambrone

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COMPLESSI TURISTICI Jacopo e Tomaso Carraro

ARREDAMENTO D’ESTERNI Giordano Ernesto Sala

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L’ARCHITETTURA RURALE Kubico

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RIQUALIFICAZIONE Giovanni Cardone Savino D’Ambra

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RISTRUTTURAZIONI Roberto ed Edoardo Macchiarulo Nunzio Giardiello

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OPERE PUBBLICHE Antonio Pinzone

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INTERVENTI SPECIALI Salvatore Rapisarda

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RINNOVABILI Salvatore Lo Greco

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IMPIANTI Arabella Valdieri

INTERNI Alessandro Geneloni Paolo Orlandini Laura Tosi Stefania Alesi

RESTAURO Gisella Capponi Caterina Giovannini Fabio Roversi Monaco Mario Margheritis Gabriele Verdesca Giacomo Ferro e Catia Gualdi MATERIALI Il vetro in architettura Mario Cucinella Giovanna Ranocchiai Alessandro Bandini Roberto Sgambaro Luciano Lancerotto Angelo Furnò Alessandro Brilli Giulio Gianola Michela Dall’Ozzo

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ARCHITETTURA E SOSTENIBILITÀ Virginio Trivella

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RICERCA ARCHITETTONICA Giorgina Castiglioni Alfredo Foresta

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IL LOFT A MILANO Isolaprogetti

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EDILIZIA La proposta dell’Ance Paolo Buzzetti Veronica De Angelis Carlo Dossi Coriges Alessandro Cuculi Agostino Pala Maurizio Nociforo Ferdinando Vignola Mirko Padalino

C&P

CARRIERE&PROFESSIONI

SOMMARIO

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EDITORIALE

Riqualificazione urbana in lotta col tempo di Marco Zanzi

Non c’è più tempo, ministro Passera. Questo è il grido di allarme dal settore dell’edilizia che per molti anni è stato trainante per l’economia italiana. Oggi i costruttori sono allo stremo delle forze. I numeri parlano chiaro e sono quelli forniti da Paolo Buzzetti presidente dell’Ance (Associazione nazionale costruttori edili). Negli ultimi cinque anni gli investimenti sull’edilizia abitativa sono calati del 40,4 per cento, quelli per i lavori pubblici hanno perso il 37,2 per cento e l’edilizia non residenziale ha registrato un meno 23,3 per cento. Tutto questo si traduce in 380 mila posti di lavoro in meno considerati anche quelli persi nei settori collegati. La situazione è stata aggravata da situazioni che vengono costantemente denunciate dall’organizzazione dei costruttori sulle quali si chiede al Governo di intervenire. Si pensi ai ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni strette nella morsa del patto di stabilità. A cui si aggiungono le difficoltà a ottenere “liquidità” dalle banche. Poi la tassazione eccessiva. Sempre in agguato ci sono anche i pericoli rappresentati dalla lentezza e dalla macchinosità della burocrazia. Occorre tenere presente che il fattore tempo per molte aziende diventa fondamentale per la loro sopravvivenza e per quella di centinaia di posti di lavoro. E come se tutto questo non bastasse è arrivata l’IMU ad assestare il colpo di grazia. Come se ne esce? Quali azioni intraprendere per dare risposte efficaci a un settore strategico per l’economia del Paese? Qualcosa finora è stato fatto, C&P

per esempio i sei miliardi trovati per le “piccole opere”, un segnale di buona volontà da parte dell’esecutivo. Ma al governo i costruttori chiedono adesso tempi rapidi per l’adozione del “Piano città”, l’annunciata legge nazionale quadro per la riqualificazione incentivata delle aree urbane. E altrettanta rapidità pretendono giustamente dalle Regioni per le leggi attuative. È ancora fresco il ricordo dei contrasti tra la normativa nazionale e quelle regionali che ostacolarono fino a impedire, di fatto, il decollo del “Piano casa” del governo Berlusconi. Dalla riqualificazione urbana ci si aspetta il colpo d’ala che torni a mettere in quota il settore. Il Cresme (Centro di ricerche economiche, sociali e di mercato per l’edilizia)ha stimato che il valore della produzione nelle costruzione nel 2011 è ammontato a 213 miliardi di euro e di questi ben 133 sono stati destinati a investimenti di riqualificazione del patrimonio esistente, il che corrisponde al 63 per cento dell’intero mercato. Cifre interessanti che danno una visione meno fosca degli scenari che possono aprirsi con i giusti incentivi e sostegni. Molto deve essere fatto, per i tanti problemi di un settore con livelli di sofferenza alti e cronicizzati negli anni. Ma quello della riqualificazione urbana è un treno che non bisogna perdere per rivitalizzare il settore edile, ma diventa anche un’ occasione straordinaria per promuovere concretamente la qualità del vivere nelle città, l’ambiente e i valori culturali del territorio che la buona architettura può interpretare e valorizzare. 11



L’INTERVENTO

Architettura e pseudo liberalizzazioni di Bruno Gabbiani Presidente di Ala - Assoarchitetti

È nella fase conclusiva l’iter blindato di conversione dei decreti con i quali si spera che il Governo Monti riesca a evitare il dissesto generale e avvii l’Italia verso un nuovo ciclo di sviluppo. Tra questi quello sulle “liberalizzazioni”, che si occupa anche di professioni. Vi era la speranza che il nuovo timoniere potesse approfittare del momento drammatico, della larga maggioranza parlamentare, dell’opinione pubblica favorevole per operare quei tagli al Moloch burocratico che i partiti non consentirono a Berlusconi. Tagli senza i quali sacrifici e aumento della pressione fiscale, non produrranno effetti decisivi sull’enorme spesa pubblica, né sugli insostenibili effetti della complicazione amministrativa. Invece, finita nel grottesco la soppressione delle Province, non si parla quasi più dei tagli dei costi della politica e delude anche il decreto “Semplificazioni”. Intanto il tavolo con le parti sociali s’è ristretto ai soli sindacati della triplice e alla Confindustria, e per le professioni il governo dialoga ormai con se stesso, o meglio con i consigli nazionali degli Ordini, che tentano di assumere contemporaneamente il ruolo pubblicistico e quello corporativo, con il rappresentare gli interessi opposti dei cittadini (fede pubblica), dei dipendenti pubblici e privati e dei liberi professionisti, avviandosi così all’ennesimo insuccesso e a perdere altra autorevolezza e credibilità. Ma i liberi professionisti, e in particolare gli architetti che progettano e tentano di difendere il proprio prodotto intellettuale e tecnico in Italia, e magari di esportarlo all’estero, non hanno interessi in comune con la maggioranza degli altri iscritti agli albi, che sono dipendenti pubblici e privati, non flessibili per antonomasia, che devono difendere a ogni costo i propri C&P

impieghi. Ed è evidente che l’interesse del Paese è di investire nella produzione di beni e servizi di alta qualificazione - tra questi l’architettura - e contemporaneamente di ridurre la burocrazia, i dipendenti e gli uffici pubblici, ma che nessuno si fa carico di obiettivi senza riscontro elettorale. In sostituzione, governo e parti sociali sbandierano l’intenzione di liberalizzare professioni che sono già le più aperte al mondo. Nessun altro Paese ha tanti architetti per abitante: in Italia sono 160mila quelli iscritti agli albi, contro i 32mila della Francia, dove ingegneri e geometri svolgono peraltro soltanto il proprio ruolo, diversamente che da noi. Amministrazioni pubbliche e grandi committenti privati aggiungono al danno la beffa, bandendo gare al massimo ribasso, senza curarsi della qualità e privilegiando per gli incarichi spesso gli stranieri, che sono più forti, agguerriti e si pongono apparentemente al di fuori delle beghe localistiche. Così gli studi di architettura italiani riducono fatturati, dipendenti e collaboratori, cala la loro capacità competitiva, e con ciò peggiora la nostra bilancia dei pagamenti e molte famiglie si vengono a trovare in difficoltà. Il Paese pagherà duramente l’eventuale rifiuto del governo di accettare la variegata realtà economica, culturale e sociale degli studi italiani e di riconoscere la necessità di integrarli con il più vasto mondo della produzione, anziché di confonderli con la burocrazia improduttiva. Ma è in questo riconoscimento che sta la vera liberalizzazione che gli architetti chiedono a un governo svincolato dai poteri forti e consapevole delle potenzialità inespresse delle quali il Paese ancora dispone. 13



L’INTERVENTO

Penalizzare le professioni non risolve i problemi del Paese di Amedeo Schiattarella presidente dell’Ordine degli architetti di Roma

In un momento economico così difficile siamo tutti responsabilmente pronti a dare il nostro contributo per uscire dalla crisi, sia in termini di sacrifici sia, soprattutto, dando la nostra piena disponibilità ad attuare una vera riforma delle professioni. Per ridare slancio al Paese in termini culturali ed economici è necessario un ripensamento dei modelli sociali e un riequilibrio tra le forze produttive. Bisogna non solo ricercare una strategia complessiva per l’Italia, ma anche definire progetti mirati a rilanciare tutti i settori di attività. In questo quadro, discutere dell’esistenza o meno degli ordini professionali è l’ultimo dei problemi, mentre è necessario comprendere come utilizzare al meglio il nostro patrimonio di saperi e metterlo a servizio di un sistema Paese che vuole competere nel mercato globale. Considerato l’attuale quadro delle riforme annunciate o emanate, invece, le scelte fatte appaiono prive di qualsiasi efficacia reale. Si pensa veramente che l’aver abrogato le tariffe possa produrre benefici in termini di competitività o sarà solo un modo per peggiorare la qualità dei prodotti professionali? Come mai la stessa Europa ha ribadito nel 2009 i minimi tariffari in Germania e ha consentito a Belgio e Austria di definire tabelle relative alle parcelle degli architetti mentre noi, sempre in nome dell’Europa, siamo obbligati a cancellarle anche come puro riferimento? Si pensa di facilitare l’accesso dei giovani architetti nel mercato del lavoro solo con l’obbligo di assumere le partite Iva, ma non sarebbe meglio abolire il capestro dei curricula e dei fatturati per partecipare alle gare di progettazione pubblica? Se si vuole, poi, una competitività affidata alla qualità dei progetti che prescinda dal nome e dalla storia personale del C&P

progettista (e quindi accessibile ai giovani) perché non ricorrere obbligatoriamente ai concorsi di progettazione? Se vogliamo che le trasformazioni del territorio italiano siano governate con l’attenzione che la nostra storia e il nostro futuro ci impongono è necessario ridare, come avviene in tutta Europa, dignità, centralità e autonomia al progetto liberandolo dalle interferenze degli interessi elettorali delle pubbliche amministrazioni e da quelli economici delle imprese. Se intendiamo risanare i nostri territori devastati dalla speculazione possiamo permetterci il lusso di avvalerci degli architetti nelle pieghe di un mercato marginale, quale quello degli accatastamenti, delle certificazioni o dei mille adempimenti burocratici che il nostro Paese sembra inventarsi per parcheggiare i giovani laureati? Oggi in Italia abbiamo un vero e proprio esercito di architetti, 150mila, con la più alta densità territoriale al mondo. Esistono veramente gli ostacoli all’accesso alla professione o piuttosto da decenni questo Paese non programma il proprio futuro e non fa politiche di orientamento tra i giovani? Questo patrimonio potenziale di intelligenze e di cultura lo vogliamo utilizzare veramente dando anche un senso alla enorme quantità di investimenti pubblici impiegati per la loro formazione (oltre 500 milioni di euro solo nel 2009). La tutela della professione non si fa con piccoli aggiustamenti regolamentari riguardanti il sistema ordinistico, quanto piuttosto liberando le capacità di quanti si sono formati per un mestiere nobile. Per offrire loro la possibilità di dare il loro contributo al risanamento del nostro Paese non basta copiare quanto fanno per l’architettura gli altri paesi europei. 15


MarioBelliniArchitects

Un velo luminoso ondeggia sul Louvre Nessun riferimento a tappeti volanti, veli islamici o musciarabia ha ispirato Mario Bellini. ÂŤSolo un profondo rispetto per la collezione islamica, unito a una personale conoscenza del contesto geografico e culturaleÂť di Elisa Fiocchi


Una sezione del Dipartimento delle Arti islamiche Louvre


La firma italiana dell’architetto Mario Bellini nella settecentesca Cour Visconti, uno dei cortili interni del Louvre dove sorgerà il secondo edificio contemporaneo del complesso museale, sigilla un traguardo storico per il nostro Paese, se si considera che prima di lui fu soltanto Gian Lorenzo Bernini, nel 1665, a essere chiamato da Luigi XIV per realizzare la facciata del complesso, a cui tuttavia dovette rinunciare. La vittoria del concorso nel 2005, ottenuta con Rudy Ricciotti, regala una seconda chance all’Italia con il progetto e lo sviluppo del nuovo Dipartimento delle arti islamiche che ha richiesto a Bellini più di cinque anni di lavoro, spinto da «un’appassionata e instancabile ricerca di soluzioni strutturali, di verifiche di coerenza topologica, di ricerca di materiali, in vista della perfetta realizzabilità costruttiva e del rispetto dei parametri energetici e luminosi necessari». Entro il mese di settembre, la nuova sezione sarà completata ed esposta al pubblico ed andrà a coronare un 2012 che si è aperto, per l’architetto milanese, con l’inaugurazione del Museo della Storia di Bologna, un ambizioso progetto di restauro di Palazzo Pepoli che dal mese di gennaio ha accolto sessantamila visitatori. «Il destino dei palazzi, talvolta, è come quello degli uomini», racconta Bellini. «Rischiano di essere dimenticati e di precipitare in un degrado irreversibile, come poteva accadere per l’edificio bolognese che oggi torna invece a mostrarsi e mostrare la grande storia della città in modo del tutto nuovo e sorprendente». Nel linguaggio contemporaneo, l’atto di ristrutturare il tessuto urbano è un tema assai complesso e Bellini lo affronta come una delle principali sfide che attendono i moderni architetti. «Significa considerare come un’opera d’arte non solo i singoli edifici, ma anche insiemi significativi, 18

e mettere in atto interventi per conservarne il carattere estetico come quando si restaura un affresco o un mosaico». Tornando al Dipartimento delle arti islamiche del Louvre, che significato racchiude il «velo» ondulato, in vetro e maglie metalliche che lo ricopre? «Non ci ha ispirato nessun riferimento folcloristico, ma solo una meditata e felice scelta strategica. Generare nuovo spazio coprendo la corte Visconti, all’altezza della sua gronda superiore, con una bella vetrata sarebbe stato più facile, ma avrebbe esposto l’arte dell’Islam a un’imbarazzante e indesiderabile promiscuità con i caratteri settecenteschi della reggia dei re di Francia. E anche costruirvi nel mezzo un nuovo piccolo edificio pluripiano avrebbe significato disperdere l’intera collezione su più livelli compromettendone la necessaria continuità di lettura. La soluzione è stata invece un “foulard” di 45 metri per 30, in una corte di 55 metri per 40, che ondeggia come sospeso nel vento sin quasi a toccare in un punto il pavimento e senza ingombrare totalmente la corte, né contaminare le sue facciate». Quale impatto visivo ne deriva e come l’uso della luce filtrata rispecchia la tradizione islamica? «Sotto il “velo”, all’interno di un perimetro vetrato letteralmente invisibile, è racchiuso tutto lo spazio museale che si estende anche a un vasto piano sottostante con cui, attraverso squarci generosi, rimane in continuità di vista e di luce. Una continuità che coinvolge solo in modo filtrato e discreto la presenza della corte e la percezione del cielo sovrastante: sole, ombre, nubi, pioggia, tramonto, C&P


IN COPERTINA | Mario Bellini

MarioBelliniArchitects

MarioBelliniArchitects

A sinistra, Mario Bellini, architetto e designer. Sotto, render della Fiera Milano Congressi. In basso, la sede centrale di Deutsche Bank Frankfurt


Francesco Radino

Francesco Radino


IN COPERTINA | Mario Bellini

A sinistra, in alto la torre nella corte del Museo della Storia di Bologna, in basso, ancora il Museo della Storia di Bologna, la città delle acque

notte. La collezione di arte dell’Islam, composta da 18mila pezzi, di cui dai 3 ai 4mila esposti a rotazione, anche se integrata nel percorso di visita dell’intero Louvre, vive di vita propria con una luce, un respiro e una spazialità evocativi di un contesto culturale sostanzialmente estraneo a quello dei saloni palaziali dell’antica reggia che ospitano i grandi capolavori dell’arte occidentale». Tornando in Italia, nel 2004 inizia il processo di trasformazione di Palazzo Pepoli a Bologna: quali sono state le priorità d’intervento? «Si è reso necessario un importante consolidamento strutturale che interessa gli archi gotici del piano terra, la totalità dei soffitti a volta portante, la messa in sicurezza della grande sala delle feste al piano nobile in precario equilibrio statico - e le coperture esterne. A seguire comincia il recupero di tutte le sale del palazzo, liberandole dalle superfetazioni incongrue, integrando e restaurando i decori plastici e pittorici che si erano, anche se talvolta in piccola parte, fortunatamente tutti conservati. Da ultimo un deciso intervento architettonico: “una torre-ombrello” di vetro e acciaio recupera e reinventa la corte che così riacquista dignità e funzione». Come si presenta al visitatore questa torre? «Come una lanterna magica inondata dall’alto di bianca luce naturale che via via scende e smaterializza in pura trasparenza. Quasi un’epifania che fa riflettere sull’imprevedibile scorrere del tempo, ma anche una scelta strategica che rende possibile e fluido l’intero percorso di visita, di cui proprio la torre e la corte diventano l’epicentro». Come avviene all’interno del museo la separazione tra contenitore e contenuto? «Protagonisti dell’allestimento sono alcuni grandi contenitori che hanno il sapore di metafisiche strutture fuori scala di memoria dechirichiana, collocati nelle sale, secondo ritmi propri e geometrie altre rispetto a quelle delle sale stesse e della loro sequenza. All’interno di questi grandi volumi virtuali, le opere esposte sono inquadrate da leggere gabbie tridimensionali che individuano per ciascuna di esse C&P

uno spazio proprio, permettendone inoltre l’ottimale illuminazione, con tecnologia led miniaturizzata. Grandi pannelli retro-illuminati con immagini e testi, impaginati dalla grafica inconfondibile di Italo Lupi e posti anch’essi all’interno delle vetrine, trasformano la comunicazione grafica in uno spettacolo per gli occhi e la mente». Attraverso quali scelte un intervento di ristrutturazione risulta una forma di architettura più sostenibile? «Ogni edificio, soprattutto un importante edificio, pubblico o privato che sia, al momento della sua ideazione e costruzione ha richiesto un considerevole impegno creativo, tecnico e finanziario: l’impiego di caratteri architettonici significativi, di materiali e sistemi costruttivi consoni al suo status oltre che alla sua destinazione d’uso. Senza dimenticare la maestria dell’architetto nel mettersi in rapporto attivo con il paesaggio naturale e urbano, con il suo contesto insomma, generando un equilibrio di complessità e di valore la cui traccia preziosa andrebbe conservata. Se ne potrà quindi accettare l’abbattimento e la ricostruzione, solo quando e se il bilancio finale sarà veramente più conveniente, e non soltanto in termini economici s’intende. Considerando anche lo smaltimento e il corretto riciclaggio di tutti i materiali, l’energia richiesta per la produzione dei nuovi, la perdita di una significativa testimonianza storica e l’eventuale danno al tessuto urbano circostante». La riqualificazione degli edifici, anziché la loro costruzione, rappresenta oggi la vera sfida degli architetti moderni? «Certamente sì. E ciò richiede una notevole capacità di reinterpretare la storia alla luce del nostro presente e con una chiara visione del futuro. Io mi ci sono sempre appassionato anche perché non ho mai amato avere “carta bianca” e tanto meno partire da una specie di tabula rasa. Considero le preesistenze, le trasformazioni, le integrazioni e persino la scarsità di mezzi come difficoltà tra le più stimolanti, come sfide spesso essenziali per raggiungere risultati più ricchi di complessità e opportunità anche per i cittadini». 21




Silverstein Properties


CITTÀ SOSTENIBILI | Richard Rogers

Gli occhi del mondo guardano alla rinascita di New York Richard Rogers torna nella città che nella sua visione urbana ha più parametri ideali e firma la Torre 3 del World Trade Center: «Il progetto più grande a cui ho mai lavorato». Nel frattempo studia le città asiatiche, perché crescano verdi e vivibili di Elisa Fiocchi

Ciascuna città del terzo millennio deve essere concepita come un luogo dove ricchi e poveri possono convivere fianco a fianco senza ghetti, con un flusso costante di merci e di idee attorno a spazi flessibili. La visione urbana di Richard Rogers - che gli è valsa il Leone d’oro alla carriera alla X Mostra internazionale di architettura - e quella ricerca appassionata di un vivere piacevole e sostenibile continuano ad animare i suoi approcci progettuali all’insegna di una città moderna dove l’efficienza energetica e la rete pubblica di trasporti sia in grado di sostituire l’utilizzo delle autovetture. «Dovremmo costruire un ipotetico muro intorno alla città esistente – spiega Rogers – o, meglio ancora, una cintura verde, e usarla per favorire lo sviluppo del trasporto pubblico». L’architetto inglese, che nel 1977 raggiunse la fama internazionale con il progetto del Centre Pompidou di Parigi assieme a Renzo Piano e che nel 2014 completerà la Torre 3 del nuovo World Trade Center, spiega perchè oggi la regola più importante nello sviluppo urbano sostenibile è quella di operare solo su terreni e fabbricati sotto utilizzati e non di aumentare le costruzioni su luoghi vergini. «Ciò consente alle strutture esistenti, come trasporti, scuole, ospedali, edifici, così come strade e trasporti pubblici, di essere utilizzati, limitando l’uso delle automobili e scoraggiando l’espansione C&P

In apertura il render della Torre Tre del nuovo World Trade Center. A destra, l'architetto Richard Rogers

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suburbana incontrollata». Come interagisce con il tessuto urbano e sociale delle città in cui opera? «Viaggio molto per indagare il potenziale di lavoro e incontro regolarmente i sindaci di molte grandi città per confrontarmi su come si possa collaborare insieme per migliorare le aree urbane. La pratica dell’architettura risponde sempre al suo ambiente e oggi siamo molto impegnati in Italia, nel Regno Unito, in Nigeria, Australia, Usa ed estremo Oriente. Di recente, ho visitato la città di Curitiba, nel Brasile meridionale, dove c’è una rete di infrastrutture e di trasporti che ha ispirato molte altre città, dalla vicina Bogotà a New York. Jaime Lerner è stato il sindaco di Curitiba per qualche tempo e ha assicurato che l’espansione urbana è stata ridotta al minimo. Sono riusciti a diminuire la congestione e a focalizzare la loro attenzione verso il trasporto pubblico». Il nuovo ufficio di Shanghai riflette la sua presenza in Cina e in altri mercati dell’Asia come Taiwan, Malaysia e Singapore: quali opportunità e 26

risorse offre quella parte del mondo? «Il nostro ruolo è sempre più quello di sviluppare approcci progettuali che umanizzino tali piani infrastrutturali. Questa è la missione fondamentale dell’architetto nei mercati emergenti: capire come poter aiutare le città in via di sviluppo mantenendone il loro carattere distintivo, con luoghi in cui sia piacevole vivere e lavorare. Al Lok Wo Sha, un’area residenziale nei pressi di Hong Kong, stiamo offrendo una consulenza su un masterplan che eliminerà la dipendenza da auto. Gli abitanti di questo sistema saranno in grado di camminare all’interno di uno splendido scenario con vista sulla Baia Starfish e di accedere a tutti i comfort necessari». Entro il 2013 sarà ultimato anche il progetto italiano del centro storico di Scandicci nei pressi di Firenze. Perché ha accettato questa sfida? «Fino a poco tempo fa Scandicci era una città piuttosto frammentata, senza un carattere identificabile e un centro cittadino definito: era considerata un dormitorio. Abbiamo così creato un insieme di edifici attorno a una piazza pubblica che C&P


Katsuhisa Kida

La facciata del Centro Pompidou di Parigi

diventerà il “cuore” della città, fornendo lo spazio necessario per una serie di attività pubbliche. Nel 2003 siamo stati invitati dal sindaco a progettare un masterplan per lo sviluppo futuro di Scandicci che abbiamo terminato nel 2005, ora dobbiamo proseguire su questa strada. Un fattore chiave rappresenta la nuova linea 1 della tramvia che stabilisce una connessione diretta con Firenze per cui ora è possibile viaggiare tra i centri abitati in 15 minuti». Uno dei progetti più ambiziosi che la riguarda è la Torre 3 del World Trade Center. Che valori incarna questo progetto per la sua carriera e per il mondo intero? «È forse uno dei progetti di più alto profilo su cui io e il mio studio abbiamo mai lavorato. Non solo è un pezzo molto grande di Lower Manhattan, ma tutti gli occhi del mondo seguono con attenzione il progetto per vedere che cosa risorgerà dalle ceneri di Ground Zero. Si tratta di un luogo molto complesso, perché molti edifici sono in fase di edificazione nello stesso momento e non dobbiamo nemmeno interrompere la vita quotidiana del C&P

quartiere finanziario. Dopo anni di preparazione, oggi è piacevole vedere che gli edifici raggiungono già un’altezza superiore ai cartelloni che circondano il luogo». Cosa l’affascina del tessuto urbano di New York? «È una città che amo e dove mi reco regolarmente per vedere la mia famiglia. È anche un posto che racchiude molti degli ideali che considero di maggior importanza all’interno di una città: Manhattan, ad esempio, ha un tessuto urbano molto denso e questa intensificazione è economicamente efficiente perché ottimizza l’uso delle infrastrutture esistenti e l’energia incorporata all’interno delle scuole, degli ospedali, delle strade e delle case. Ha un consumo energetico cinque volte più basso di altre città caotiche come Detroit, Phoenix e Los Angeles. Oltre il 50% degli abitanti passeggia, usa la bicicletta e prende i mezzi pubblici, mentre solo il 10% dei residenti di Los Angeles fa lo stesso. Accadono cose interessanti quando vi è un mix di persone e di attività in spazi flessibili, e in nessun altro luogo questo è più evidente come a New York». 27


Cina, futuro dell’architettura Il Pritzker Prize batte bandiera cinese. Margherita Guccione, direttore del Maxxi Architettura, commenta la vittoria dell’architetto Wang Shu, che mette in risalto una realtà in cui la «dimensione culturale si confronta direttamente con i temi dello sviluppo» di Francesca Druidi

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caratterizza è l’attenzione alla tradizione nella sua accezione culturale, di radicamento in una cultura antica, non solo per i materiali e le tecniche rivisitate, ma per l’approccio progettuale. Una dimensione in linea con “Re-cycle”, la mostra in corso fino al 20 maggio negli spazi del Maxxi Architettura». Due opere, in particolare, incarnano - secondo Margherita Guccione - l’approccio critico e di ricerca di Wang Shu; due opere che, come la giuria evidenzia, “danno nuova vita ai materiali”. La prima è lo Xiangshan Campus della China Academy of Art (la cui seconda fase di lavorazione è terminata nel 2007) a Huangshou, il cui tetto è stato costruito riutilizzando due milioni di piastrelle provenienti dalla demolizione di vecchie abitazioni. La seconda è il Museo di arte contemporanea di Ningbo (2001-2005), per la cui costruzione si sono recuperate più di venti diverse tipologie di mattoni e tegole, provenienti dalle vicine demolizioni. «In entrambi i casi, il recupero e il riciclo dei materiali diventano una vera e propria strategia C&P

S.Cecchetti

Photo Lv Hengzhong

Quest’anno, per la prima volta, la cerimonia di premiazione del Pritzker Architecture Prize si terrà in Cina. A essere insignito, il prossimo 25 maggio, del riconoscimento più prestigioso per quanto attiene l’architettura, sarà Wang Shu. Nato, cresciuto e maturato professionalmente in Cina, Shu ha fondato a Hangzhou nel 1997, insieme alla moglie Lu Wenyu, lo studio Amateur Architecture. Questa vittoria testimonia la crescente attenzione nei confronti del ruolo assunto dall’architettura cinese. «Entro il 2020 la Cina sarà responsabile di un quinto degli edifici a livello mondiale. E proprio per questo, si affermerà sempre di più come punto d’incontro tra cultura architettonica e industria edilizia» afferma Margherita Guccione, direttrice del Maxxi Architettura, dove è stata allestita nell’estate 2011 la mostra “Verso Est. Chinese architectural landscape”, curata da Fang Zhenning, tesa a presentare «uno status quaestionis» delle ricerche degli architetti cinesi cresciuti a confronto con lo scenario internazionale. «Una generazione di architetti nati in questo paese che può vantare un considerevole numero di interessanti e importanti edifici, progettati affrontando anche questioni di sostenibilità e urgenze ambientali. E, in quest’ottica, si inseriscono perfettamente l’attenzione, la ricerca e la progettualità di Wang Shu». Un’architettura, come emerge dalle motivazioni della giuria del Pritzker, ancorata al contesto in cui si inserisce, ma dalla valenza universale. «La giuria ha riconosciuto e sottolineato la filosofia e lo spirito che distinguono Wang Shu. A mio parere, ciò che più lo


Photo Zhu Chenzhou

Photo Lv Hengzhong

TRADIZIONE E MODERNITÀ | Wang Shu

A destra, Wang Shu. Sotto, Margherita Guccione, direttrice del Maxxi Architettura

espressiva, conseguendo risultati sorprendentemente innovativi e contemporanei». Altro progetto emblematico è il Museo della storia di Ningbo (20032008), dove risulta evidente il dialogo tra passato e presente, la rilettura, operata dall’architetto nei suoi lavori, «del continuo rapporto con l’antico e l’attenzione alla natura nella sua accezione più ampia, che comprende anche la natura artificiale», nei grandi paesaggi urbani di una nazione che sta conoscendo processi di urbanizzazione e di crescita rapidissimi. Per la direttrice del Maxxi Architettura, il valore aggiunto di Wang Shu risiede nella capacità di riflettere in senso critico sulle potenzialità dell’architettura e sulla forza della tradizione. «Fa riferimento alla sua cultura, ne ripropone tecniche antiche e consuetudini di conservazione, ma guardando avanti con uno sguardo attento e consapevole verso un futuro, quello ottimistico dell’universo cinese, in cui, come ha detto la giuria del Pritzker Prize, possono convivere forza, pragmatismo ed emozione allo stesso tempo». 29


L’IDENTITÀ DELL’ARCHITETTURA | Vittorio Gregotti

Ipotesi di futuro per l’architettura «Un ritorno all’idea di relazione critica con la realtà e non solo di rispecchiamento dello stato delle cose, quindi di ricerca di un’ipotesi di verità». È l’auspicio elaborato da Vittorio Gregotti per le sorti dell’architettura, tra incognite, possibili traiettorie di sviluppo e prospettive di Francesca Druidi

Lei invita ad abbracciare un internazionalismo critico capace di allontanare le chimere della “società dello spettacolo” e resistere al modello capitalistico. Come l’architettura può tornare a modificare il mondo risolvendo le contraddizioni tra estetica e funzione? «Non si tratta di contraddizioni tra estetica e funzione, ma di uso critico e intenzionalizzato per il progetto dei materiali offerti dalla storia e dalla realtà. L’architettura non modifica il mondo, ma può profondamente modificare con esempi concreti la sua cultura e offrire, con essa, possibilità altre di conoscenza e di alternative». Su quali nomi dell’architettura possiamo contare per raggiungere questo obiettivo? «Vi sono nomi come Siza, Ando, Moneo, Zumthor e un 30

certo numero di altri architetti, anche italiani, che non appartengono alle archistar di successo mediatico su cui si potrebbe e dovrebbe contare». Se la crisi che ha colpito trasversalmente tutto il mondo, incrinato le certezze esistenti e smorzato lo slancio allo sperpero e alla spettacolarizzazione, cosa possiamo attenderci dall’architettura nei prossimi anni? «La speranza, anche per l’architettura, è quella di un ritorno alla passione per una ragione, non solo praticistica, all’idea di relazione critica con la realtà e non solo di rispecchiamento dello stato delle cose, quindi di ricerca di un’ipotesi di verità. Perché, come scriveva Sant’Agostino, “Il bello è la luce del vero”». La periferia resta un tema caldo per l’urbanistica e l’architettura. Quale sarà il volto della periferia nel futuro? «Le periferie hanno due diverse nature: la prima è quella consolidata del capitalismo industriale, la seconda è quella della dispersione senza regole degli ultimi trent’anni. Per la prima, è necessario superare la monofunzionalità residenziale e la monoclasse sociale degli abitanti con l’introduzione di una maggiore mescolanza sociale e di funzioni molteplici, anche rare (università, centri di ricerca), in grado di rendere necessaria la parte all’insieme urbano. Per la seconda, è necessario aprirsi a una nuova idea di ordine guidato da ipotesi di pianificazione comprensoriale nell’interesse collettivo». C&P

Leonardo Cèndamo

Vittorio Gregotti non cessa di interrogarsi sui processi che, in epoca di globalizzazione, sottendono alla costituzione del progetto architettonico. L’architetto e saggista ha avviato, ormai da diversi anni, un percorso di riflessione e di analisi sull’identità e sul ruolo giocato dell’architettura in una fase storica, sociale e culturale, nella quale proprio questa disciplina sembra - più di altre - subire le influenze dello strapotere della finanza e del fascino nei confronti dell’eccesso fine a se stesso e del consumo. Gregotti affronta questo aspetto anche nel suo recente volume “Incertezze e Simulazioni. Architettura tra moderno e contemporaneo”, dove si fa largo una speranza per un significativo cambiamento di rotta.



Una nuova dimensione progettuale Valorizzare il ricambio generazionale, consegnando alle città uno sviluppo innovativo e sostenibile. Daniela Volpi, presidente dell’Ordine degli architetti di Milano, fa il punto sulle sfide che attendono la categoria e il capoluogo meneghino di Andrea Moscariello

L’architettura italiana deve trovare un nuovo slancio. E a sottolineare questa esigenza è anche Daniela Volpi. Il punto da cui partire, secondo l’architetto, è il livello di preparazione dei professionisti. «Diceva Adolf Loos, “l’architetto è un muratore che ha studiato il latino”. Ma quando si inizia questa straordinaria e difficile professione spesso ci si accorge di sapere poco di mattoni e di latino – spiega Daniela Volpi –. Il livello di istruzione delle forze lavoro in Italia è significativamente più modesto di quello degli altri paesi dell’Unione europea». Il nostro Paese, infatti, occupa il tredicesimo posto in questa classifica, seguita solo da Spagna e Portogallo. «Oggi essere architetto significa saperne di mattoni e di latino, saper offrire servizi di qualità ed essere coscienti della natura pubblica del proprio ruolo». Perché tiene a sottolineare proprio questo aspetto? «Perché concorrere alla realizzazione di un progetto deve essere azione responsabile. L’architettura, oltre a rappresentare un bene sociale e un concreto interesse per la collettività, è più di ogni altra disciplina l’espressione culturale essenziale dell’identità storica di un paese. E si fonda su un insieme di valori etici ed estetici che ne formano la qualità, contribuendo in modo rilevante a determinare le condizioni di vita dell’uomo». I giovani architetti fanno fatica a emergere. Come se lo spiega? «La crisi economica colpisce tutti i settori e c’è meno lavoro. Soprattutto, è sempre più difficile “chiudere il cerchio”. Passare, per intenderci, dalla formazione alla 32

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RIFLESSIONI | Daniela Volpi

Daniela Volpi, presidente dell’Ordine degli architetti di Milano

professione. L’Italia è il paese che conta la più alta concentrazione mondiale di architetti, uno ogni 470 abitanti, contro una media di uno ogni 3.547. Le prospettive future non sembrano migliorare. Gli studenti di oggi saranno i professionisti di domani. Occorre comunicare modelli organizzativi che possano rispondere a interventi complessi con competenze articolate, in modo che lo scenario professionale possa muoversi tra competizione e innovazione, in una sfida che deve giocarsi su professionalità, competenza, etica e qualità dei servizi e delle prestazioni offerte». Milano si prepara all’Expo. Il capoluogo sta tornando a essere un laboratorio di idee? «Giudico positivamente questa Milano che trova l’energia per rispondere alle nuove sfide della globalizzazione, che si adegua ai tempi in cui vive, che si apre al futuro. Esiste una nuova dimensione geografica della città contemporanea non più coincidente con quella amministrativa, esiste la possibilità di fare ricorso alle fonti rinnovabili, possibilità che deve passare dalla dimensione edilizia a quella della città e del territorio. Esiste la possibilità, per Milano, di passare da una dimensione nazionale a una europea. Nell’aprile del 2008 fu definita una città in trasformazione che nel 2015 si sarebbe presentata al mondo come una delle metropoli più innovative sul piano urbanistico e dell’organizzazione degli spazi urbani». In questa trasformazione su cosa si dovrà concentrare la sua categoria? «Sulle nuove opere da costruire. Queste ci pongono C&P

dinanzi al problema della qualità dell’ambiente metropolitano, della sua morfologia e del suo paesaggio a manifestazione conclusa. Di qui l’esigenza di una pianificazione unitaria e coerente dell’intero processo, nel quale i professionisti devono avere un ruolo fondamentale come portatori di conoscenza,metodologia e procedure». Dai progetti legati all’Expo verrà valorizzata una nuova generazione di architetti oppure a uscirne vincitrici saranno solo le “archistar”? «Una nuova generazione di architetti conseguente ai progetti per l’Expo? Al momento ci sembra impossibile che si verifichi un evento “epocale” di questo genere. Le scelte della società Expo sulla partecipazione aperta alla progettazione delle opere ha imboccato una strada che, di fatto, esclude tutti i giovani progettisti. E anche i meno giovani. Si sta procedendo solo attraverso bandi di appalto integrato che permetteranno la partecipazione di pochi progettisti, scelti dalle imprese, che difficilmente riusciranno a esprimere la loro creatività dovendo lavorare su progetti preliminari già definiti». Cosa si trova in cima all’agenda dell’Ordine di Milano? «Vorremmo “riprogettare” il ruolo dell’Ordine nel panorama collettivo a seguito della tanto attesa riforma delle professioni, aprendolo ai cittadini, oltre che ai suoi iscritti. Vorremmo occuparci, se la riforma ce lo consentirà, di formazione permanente oltre che di rappresentare e difendere questa nostra straordinaria professione». 33



FOTOGRAFIA | Maurizio Galimberti

In apertura, studio sulla Tour Eiffel. Sotto, Il fotografo Maurizio Galimberti. Courtesy: Archivionordest, Monomilano, GiArt Bologna

Cento istantanee per un ritratto Maurizio Galimberti scompone un’immagine per poi ricomporla facendone trasparire l’armonia d’insieme. Il suo soggetto può essere un volto o un viaggio in Italia, lo strumento rimane lo stesso, la Polaroid di Teresa Bellemo

Proprio mentre la fotografia sta approdando a una digitalizzazione totale, alla perfezione del segno che passa anche da Photoshop, alcuni fotografi preferiscono tracciare percorsi diversi. Maurizio Galimberti ha fatto della sua affezione per la Polaroid il suo marchio di fabbrica, diventando anche testimonial dell’azienda che dal 2008 ha cessato la produzione delle pellicole istantanee lasciando il testimone a Impossible Project. Un lavoro, quello di Galimberti, che passa dalla sperimentazione di questo mezzo, dal moltiplicarsi di innumerevoli punti di vista per uno stesso soggetto fino ad straniarlo. Quasi come fossero pixel impazziti, le istantanee, unite assieme, danno la visione d’insieme aggiungendo movimento e un punto C&P

di vista inedito. «Il mio è un viaggio nella realtà, nel suo mondo interiore. Cerco di farlo uscire». Oltre ai ritratti eccellenti, da Lucio Dalla a Lady Gaga, da George Clooney a Johnny Depp – divenuto copertina del Times nel settembre 2003 – il percorso artistico di Galimberti arriva all’architettura, o meglio nasce da essa. Il suo occhio di geometra rende il suo lavoro rigoroso, ossessivo, seziona il reale in parti come faceva con i ponteggi dell’azienda di famiglia. Le sue collezioni di ritratti virano spesso verso qualcosa di simile al movimento, allo spezzettare ciò che è unito. Perché? «Mi piace ricostruire la realtà. Mi piace partire da essa 35


e fare una sorta di viaggio al suo interno con il mio segno, che è un po’ tra il futurismo di Boccioni e il movimento di Duchamp: salire e scendere, da sinistra a destra, creare dei punti fissi, quali sono gli occhi e la bocca e su questi costruire poi l’immagine. È una sorta di bisogno di ricostruire un volto attraverso un viaggio interiore che fai al suo interno. Al di là dell’estetica, guardando i ritratti soprattutto dal vero, viene fuori l’interiorità della persona. In una parola, cerco di far uscire il silenzio interiore». Trova che la fotografia stia giungendo a ciò che la pittura ha conosciuto con l’impressionismo e poi con le avanguardie? «È verissimo. Io sono partito dalla fotografia ma ora il mio lavoro è più quello dell’artista che del fotografo. Il fotografo è diventato un media per esprimere il proprio punto di vista. Molti fotografi italiani, come Ghirri, Fontana, Basilico, lo stesso Giacomelli, hanno sempre inteso la fotografia al di là delle sole immagini di reportage, del ritratto fine a sé stesso, del fotogiornalismo; c’è una fotografia affascinante, che si mixa con la storia dell’arte. Basta pensare a quanto 36

Mondrian troviamo dentro a un paesaggio urbano di Fontana. Si usa lo stesso mezzo, ma definirli solo fotografi è un po’ riduttivo». In che modo l’aver lavorato come geometra nell’azienda di famiglia influenza il suo lavoro di fotografo? «Il mio essere geometra è evidente nel rigore, nell’ossessività delle mie immagini, nella precisione. Contavo i cavalletti da ponteggio nell’impresa edile, quindi dividevo lo spazio con gli occhi per poi piazzare questi materiali ferrosi che fendevano l’aria, scrivevano paesaggi. Oggi faccio la stessa cosa nella fotografia. Io sono nato nell’architettura ma intendiamoci, di un livello abbastanza basso, in Brianza non ci sono di certo costruzioni significative, si costruiva per fare business. Nel design sono stato fortunato perché da ragazzo ho frequentato Cesare Cassina, fondatore della Cassina. Lui mi ha trasmesso tutto l’amore per il design, per la bellezza del segno, la capacità dell’imprenditore di trasformare la bellezza in un business utile. Mio padre mi ha trasmesso il rigore del cantiere». C&P


FOTOGRAFIA | Maurizio Galimberti

A sinistra, studio del Duomo di Milano. A destra, un readymade sull’istallazione di Christo a Central Park e sotto degli scatti per Viaggio in Italia. Courtesy: Archivionordest, Monomilano, GiArt Bologna

È stato un lavoro di readymade, un tributo a Christo e ai suoi lavori che hanno sublimato il mio passato

Cosa l’ha colpita di Christo, tanto da reinterpretare le sue opere d’arte in una serie di istantanee? «È stata un’operazione di readymade: ho preso Christo, le cartoline che immortalavano le sue opere e in un certo senso le ho rimangiate e sputate con la mia fotografia. Ciò che mi affascina di Christo è un qualcosa di inconscio, che arriva ai tempi di cantieri, dove si rivestivano le case di teli bianchi e di ponteggi. Quando avevo 15 anni ricordo che mio padre a Meda aveva rivestito delle vecchie cascine per ristrutturarle. Erano diventate una sorta di navicella spaziale bianca. Quando poi ho scoperto la Land art, Richard Long, Christo, in qualche modo avevo bisogno di interagire con loro, perché erano dentro il dna di famiglia. Quando ho visto le cartoline si è accesa questa necessità. È un tributo al mio passato e un tributo a Christo che, con i suoi lavori, lo ha sublimato». Come si pone nei confronti della riscoperta popolarità di Polaroid, Lomografie, Instagram diventate anche app di successo per iPhone? «Questo fenomeno ha due aspetti. Il primo è quello un po’ pericoloso per un cultore della fotografia. Ora tutti C&P

scattano foto con l’iPhone, si vedono tutte queste immagini verdastre, scontornate, per cui anche l’immagine più banale acquisisce un certo fascino. Così chiunque può pensare di essere un artista, senza rendersi conto che è il mezzo che ha mediato per loro in maniera forte. Però, visto che la maggior parte delle persone non pensa di fare il fotografo o l’artista va bene così, l’importante è che si parli di fotografia». Su cosa si concentreranno i suoi lavori futuri? «Un progetto corposo in dirittura d’arrivo, in collaborazione con GiArt di Bologna è “Viaggio in Italia 2011-2012”. È un bellissimo omaggio, un punto di vista di un italiano sull’Italia, dove dentro c’è tutta la mia poetica: l’immagine singola, quella a mosaico, le nuove pellicole prodotte da Impossible Project, l’azienda che ha sostituito Polaroid nella produzione della pellicola. Oggetto del volume è anche il punto di vista che si è evoluto nel tempo: ci sono delle immagini singole degli anni ’90, per arrivare fino a delle immagini singole di pochi giorni fa. Manca la Sicilia e qualcosa sulla pianura padana, ma si può pressappoco definire concluso». 37


Sopra, Andrea Garuti. A destra, Havana, tratta da Views

La città in movimento Andrea Garuti con la sua fotografia prende il reale e lo deforma fino a renderlo opera d’arte, tela di pittore. Scatta ed elabora immagini su pellicola e su lastra fotografica per una postproduzione “con le mani” di Teresa Bellemo

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La diversa interpretazione del reale, i diversi punti di vista trasformano ciò che vede il nostro occhio in qualcosa che non sarà mai uguale per tutti. Anche una città, i suoi palazzi e le sue architetture potrebbero inizialmente apparire dati oggettivi di una composizione. Negli scatti di Andrea Garuti è evidente che non è così. Designer e fotografo, passa dalla fotografia commerciale a quella di ricerca, di architettura, con la quale sperimenta molto. Per Garuti la città è in movimento, dinamica e diventa teatro di ciò che ogni giorno la modifica, dalla luce a chi ci vive. E allo stesso tempo diviene altro ancora all’occhio di chi guarda la sua fotografia. «Cerco panorami abbastanza banali, un po’ pop. Io amo la pop art, penso che sia ancora quella che guida la nostra visione della società C&P

del mondo artistico. Le nuove visioni vanno alla ricerca di un sensazionalismo che lascia il tempo che trova». Come si intreccia la fotografia commerciale con la ricerca personale? «Nel lavoro commerciale metto a servizio il lato tecnico. Cerco comunque di dare la mia visione o interpretazione della luce quando si può, però il commerciale è un lavoro che non dà molta libertà di azione. Negli anni in cui ho lavorato con la stylist di Io Donna, abbiamo approfondito alcuni riferimenti alla pittura come nei lavori dedicati a Hopper, Rothko, al blu di Matisse. Su questi progetti c’è molto del mio mondo perché mi interesso molto alla pittura, ma, come dicevo, la fotografia commerciale resta abbastanza standard». 39


Cerco panorami abbastanza banali, pop, come l’auto di Cuba: da qualcosa di scontato ognuno estrae un significato e un valore diverso

Molti scatti del progetto Views sembrano quasi una rappresentazione futurista, ciò che si muove è proprio ciò che dovrebbe star fermo. Perché? «In effetti è giusto notare la vicinanza al futurismo. In Views ho approfondito uno dei punti fermi dei miei lavori sull’architettura. Per alcuni la città è immobile, sigillata, glaciale. Secondo me invece assomiglia di più a un teatro, è in continua evoluzione, sia attraverso la luce del giorno e il tempo sia attraverso le persone che ci vivono. Non è un’entità ferma, ma è in continuo movimento. Dunque anche la fotografia deve dare questa idea». Qual è stato il metodo di lavoro per Views? «È stata una serie di viaggi in città che mi interessavano; sono partito abbastanza sgombro da impostazioni o 40

letture che ho fatto solo successivamente. Di solito faccio alcuni sopralluoghi, giri in taxi molto lunghi e poi inizio a scattare nei posti che ho segnato sulla cartina. In quel lavoro in particolare, ma in generale nel mio lavoro con l’architettura, non cerco mai inquadrature molto particolari, per un motivo di forma. Credo che le fotografie dovrebbero essere delle immagini-cartolina a cui uno poi riesce ad aggiungere atmosfera, movimento o una sensazione. La grande inquadratura superscenografica è già abbastanza appagante in sé stessa per cui mi toglie la curiosità di andare ad abbellire o a trasformare una situazione. Per questo cerco panorami abbastanza banali, un po’ pop. Da qualcosa di scontato ognuno estrae un significato e un valore diverso». C&P


FOTOGRAFIA | Andrea Garuti

Nella pagina precedente in alto a sinistra, uno scatto di Hong Kong tratto da Cardinal points. Sotto, uno catto tratto da Views. In questa pagina, Landscapes, una delle prime ricerche architettoniche di Garuti

In Landscapes l’architettura amplifica la sua monumentalità, acquisendo una luce e una solitudine particolare. Qual è il messaggio? «La solitudine penso sia un carattere abbastanza ricorrente nella fotografia, non è una disciplina che fa perno sulla socialità. Le foto di Views, così mosse, piene di gente, di confusione sono il rovescio della medaglia di queste invece totalmente vuote. Sono due cose che si toccano: nelle foto ferme cerco di mettere in evidenza angoli che appartengono alla visione di tutti i giorni». Quanto analogico e quanto digitale c’è nei suoi lavori? «Views e Cardinal Points sono tutta pellicola, Photoshop non c’è. O meglio, c’è in una seconda fase per le stampe grandi, per il montato. Però la parte C&P

principale del lavoro è fatto a stampa, a collage manuale, “con le mani”. Io continuo a lavorare a pellicola, ma oggettivamente il digitale ormai ha una perfezione e una vera economicità che a volte rende il lavoro più facile». Quali saranno i prossimi progetti? «In questi giorni sta uscendo il volume “Cardinal points”. Qui la città è diversa rispetto a Views: c’è comunque movimento, ma si avvicina di più alle fotografie dei panorami come tipologia di sensazione. È una fotografia più intima, con meno design. Ora sto lavorando a un nuovo progetto in cui c’è una vicinanza maggiore tra fotografia e pittura. Al centro c’è sempre il paesaggio, la città, tema che continua ad affascinarmi ancora molto». 41




Quando l’architettura incontra il vino Cantine e spazi consacrati alla degustazione e alla cultura del vino sono al centro di molteplici progetti realizzati dai nomi più altisonanti dell’architettura internazionale. Opere dotate di una precisa espressività linguistica, che instaurano un dialogo con il territorio di Francesca Druidi

Negli ultimi trent’anni, la promozione del vino si è sempre più legata alla valorizzazione degli spazi di produzione e conservazione del vino stesso. Gli imprenditori del settore alimentano questa tendenza, in continua espansione, che vede l’immagine della casa vinicola rinnovarsi attraverso l’architettura, in particolare tramite costruzioni quali cantine o sale degustazioni, progettate dal gotha dell’architettura contemporanea. Quello delle cantine d’autore è un fenomeno sotto osservazione ormai da diverso tempo, oggetto di mostre, saggi, riflessioni e dibattiti. Molto diverse sono le caratteristiche linguistiche e tipologiche di queste “cattedrali del vino”, che evidentemente rispecchiano la cifra stilistica e la visione dei loro progettisti. Si possono, a ogni modo, 44

individuare alcuni orientamenti comuni. Vi sono architetti che nel realizzare le cantine prediligono soluzioni mimetiche a basso impatto ambientale, ricorrendo all’impiego di materiali in grado di sostanziare il rapporto della struttura con il paesaggio circostante e il terroir, ossia quell’insieme di caratteristiche - clima, morfologia del terreno, cultura enologica - che il vino poi riflette. Un esempio emblematico di questo atteggiamento è rappresentato dalla Dominus Winery in Napa Valley degli architetti Herzog e de Meuron, ma va segnalata anche la cantina Novi Bric in Slovenia di Boris Podrecca. Altri hanno lavorato a partire da elementi preesistenti di una certa rilevanza, ottenendo risultati straordinari come nel caso delle Bodegas Chivite ad C&P


CANTINE D’AUTORE | Le cattedrali del vino

Da sinistra, le Bodegas Chivite progettate da Rafael Moneo ad Arinzano, l’Hotel Marqués de Riscal progettatoda Frank O. Gehry a Elciego e le Bodegas Ysios di Santiago Calatrava a Laguardia

Arinzano (Spagna), progettate da Rafael Moneo, e delle tenute Manincor e Hofstätter in Alto Adige, sulle quali è intervenuto Walter Angonese. Esemplari anche le soluzioni ipogee e le scelte nella distribuzione degli spazi adottate da Renzo Piano per la cantina Rocca di Frassinello, nella Maremma, e da Mario Botta per la cantina Petra, situata sempre nella Maremma toscana. Un approccio completamente differente al tema delle architetture del vino è quello incarnato dalle Bodegas Ysios di Calatrava, costruite a Laguardia (Spagna): emerge, nel complesso, un orientamento alla spettacolarità, che mira a rendere le cantine delle vere e proprie località di richiamo turistico. Il Centro del vino Loisium di Steven Holl in Austria, l’Hotel Marqués de Riscal di Frank O. Gehry a Elciego (Spagna) e la sala C&P

degustazione López de Heredia Viña Tondonia di Zaha Hadid costituiscono differenti declinazioni di una medesima tendenza: esaltare non più solo i luoghi di produzione, ma anche di degustazione e di cultura del vino, combinando gli effetti del turismo enologico con i flussi di visitatori attirati dalle opere delle archistar. Del resto, è sempre più numeroso il novero degli architetti di fama internazionale che si cimenta nella progettazione di cantine; Álvaro Siza Vieira, Andreas Burghardt, Werner Tscholl, Richard Rogers, Norman Foster e Jean Nouvel sono soltanto alcuni nomi. Questo ambito dell’architettura è in costante evoluzione e scrive rapidamente pagine nuove, mostrando esiti innovativi anche e soprattutto sul fronte della gestione del paesaggio. 45


I luoghi del vino Molte sono le architetture del vino. Solo alcune però realizzano un intervento specifico sul territorio, in sintonia con la cultura enologica. Lo spiega Carlo Palazzolo di Francesca Druidi

Per molto tempo l’architettura è stata una componente marginale della produzione e della cultura enologica, mentre oggi il binomio vino-cantina assume una nuova centralità. A esplorare alcune caratteristiche di questo fenomeno è l’architetto Carlo Palazzolo, autore di diversi saggi critici sull’argomento.

monsieur Moueix, uno dei più famosi produttori del Bordeaux. A precettare le grandi firme dell’architettura sono spesso produttori di considerevoli dimensioni: i progetti di maggiore richiamo si trovano infatti in Spagna, California, Sud America, in Toscana e in Italia meridionale».

Quando ha iniziato ad affermarsi questa rinnovata attenzione nei confronti delle “architetture del vino”? «Le aziende del Bordeaux, realtà prevalentemente commerciali rispetto a quelle dello Champagne e della Borgogna, hanno sempre avuto bisogno di investire sulla promozione e sulla riconoscibilità del proprio marchio. Non a caso, già agli inizi dell’Ottocento le etichette dei vini di Bordeaux riproducono i luoghi da cui quei vini provengono, gli châteaux. È da questa realtà che prende avvio l’esposizione “Châteaux Bordeaux”, che il Centre Georges Pompidou ha dedicato alle architetture del vino nel 1988. Quell’evento già coglieva il fermento in atto, sebbene avesse dimensioni marginali rispetto allo scenario odierno. Da allora, tutti i grandi nomi dell’architettura sono stati coinvolti in progetti per il vino. Tra i primi, Herzog & De Meuron che, nel 1998, realizzano la cantina Dominus in California, non a caso per

Può indicarmi i progetti, a suo avviso, più significativi? «Un progetto degli anni Ottanta, ma tuttora fondamentale, è quello realizzato da Jaime Bach e Gabriel Mora per le Bodegas Raventos i Blanch, un’azienda del Penedès produttrice di Cava, lo champagne catalano. Questa azienda nasce come “costola” della storica azienda Codorníu, le cui monumentali cantine furono progettate da Josep Maria Puig i Cadafalch, un architetto “modernista” contemporaneo di Gaudí. Per rendere manifesta la tradizione di una dinastia di produttori profondamente radicata nel territorio, i due architetti catalani costruiscono la nuova cantina attorno alla quercia plurisecolare, simbolo dell’azienda, che compare anche sulle etichette. Dalla scelta dei materiali alla conformazione degli spazi, l’obiettivo è quello di rafforzare l’identificazione con il luogo, in termini fisici ma soprattutto culturali: non a caso la sequenza produttiva,

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CANTINE D’AUTORE | Carlo Palazzolo

Il mio operato è contraddistinto dall’attenzione al mondo sotterraneo e al modo di farvi arrivare la luce

Foto Marco Provinciali

Foto Marco Provinciali

In apertura, l’architetto Carlo Palazzolo. Sotto, due particolari del progetto dell’architetto Carlo Palazzolo per l’azienda agricola Serafini & Vidotto a Nervesa della Battaglia (TV)

modellata rispetto al suolo, è organizzata attorno a una corte aperta che guarda le rocce del Monserrat».

legati alla cultura del vino che non sono meramente produttivi, come musei, hotel, spa e parchi a tema».

Altre cantine da segnalare? «Rafael Moneo è l’autore delle Bodegas Julián Chivite a Estella, in Navarra. Il progetto non si limita a valorizzare alcune preesistenze particolarmente significative, ma isola e mette in cornice un pezzo di territorio. Ma il progetto più interessante legato alla cultura del vino è probabilmente il Loisium, un complesso che comprende museo del vino, hotel e spa che Steven Holl realizza a Langenlois, in Austria. Qui è esaltata la struttura delle antiche cantine sotterranee: un tema che emerge raramente nei recenti progetti per spazi del vino. È, invece, importante che un progetto restituisca dal punto di vista architettonico quell’aspetto eccezionale che lega la produzione vinicola al mondo sotterraneo».

Per quanto riguarda l’Italia? «I progetti più interessanti nel nostro Paese sono quelli pensati per aziende vinicole di piccole o medie dimensioni. Penso a Walter Angonese e ai suoi lavori per la cantina Hofstätter e la tenuta Manincor in Alto Adige, progetti complessi che si misurano in modo dialettico con le preesistenze. Nel caso di Hofstätter, in particolare, la nuova cantina dialoga con il centro storico di Termeno di cui è parte e costruisce relazioni precise con i terreni da cui provengono i principali cru aziendali. In generale, sono invece critico nei confronti di quegli interventi che coinvolgono artisti o "archistar" per trasformazioni parziali, se non addirittura minime. Trasformazioni che spesso si rivelano di pura immagine, nel senso meno interessante del termine, e che poco incidono sulla natura e sull’organizzazione degli spazi del vino. Tema che, insieme alla relazione profonda con un territorio, dovrebbe invece essere al centro del fare architettonico. Queste considerazioni critiche servono da base per il mio operato, contraddistinto dall’attenzione al mondo sotterraneo e al modo di farvi arrivare la luce».

Guardando al futuro, dove si sta andando in termini di scelte progettuali? «Le architetture del vino non risentono tanto delle mode quanto piuttosto dell’impronta del loro autore. È difficile, quindi, che ci siano novità vere e proprie. Negli ultimi anni, va però rilevato l’interesse per quegli spazi C&P

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Un carapace per il Sagrantino Una struttura con un forte impatto visivo, consapevole delle esigenze funzionali legate alla produzione del vino. Arnaldo Pomodoro racconta la cantina-scultura progettata per la famiglia Lunelli di Francesca Druidi

Trasformare un'opera d'arte in una cantina, rispettosa del paesaggio umbro nel quale va a inserirsi. Un progetto tra architettura e scultura. Arnaldo Pomodoro, a 85 anni, raccoglie queste sfide e le sintetizza nel “Carapace”, la cantina commissionatagli dalla famiglia Lunelli per la Tenuta Castelbuono a Bevagna, in provincia di Perugia. Progettata appositamente per il Sagrantino e il Rosso di Montefalco, la cantina - dopo la presentazione alla Triennale nello scorso febbraio - verrà ufficialmente inaugurata il prossimo 16 giugno. Il maestro Pomodoro svela alcuni retroscena della sua creazione.

progetto del 1973 per il nuovo cimitero di Urbino, poi non realizzato, ma anche all'opera “Moto terreno solare” per il Simposio Minoa a Marsala in Sicilia, che si sviluppa per una lunghezza di 90 metri in un giardino progettato dal paesaggista Ermanno Casasco. Ho sempre amato ambientare le opere all'aperto, tra la gente, le case, le vie di tutti i giorni, in un confronto diretto con lo spazio. Ecco, il progetto per la famiglia Lunelli, questa grande scultura-architettura, è per me un'esperienza nuova, soprattutto per la dimensione e per le problematiche relative agli aspetti funzionali dell'opera».

Con quale spirito si è avvicinato a questo progetto, nel quale si è cimentato come architetto? «Vorrei innanzitutto precisare che “Carapace” non è il primo progetto di una grande scultura. Basti pensare al

Si è ispirato al carapace della tartaruga, simbolo di longevità, per la copertura della cantina. In che misura questa intuizione è debitrice della fascinazione verso il territorio umbro?

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CANTINE D’AUTORE | Arnaldo Pomodoro

Dario Tettamanzi

A sinistra, Arnaldo Pomodoro; sotto, il “Carapace” di Arnaldo Pomodoro per la Cantina della Tenuta Castelbuono a Bevagna (2005-2012). Nella pagina seguente, una fase di costruzione della Cantina e il maestro ritratto da Carlo Orsi nel 2009

«Il progetto nasce dalla visita e dallo studio dei luoghi: la tenuta è immersa in un ambiente naturale straordinariamente suggestivo che ricorda i paesaggi raffigurati nei quadri degli artisti del Rinascimento, paesaggi che identificano anche i luoghi del Montefeltro dove io sono nato. Il mio intervento non doveva disturbare la dolcezza delle colline dove si estendono i vigneti, anzi doveva integrarsi perfettamente con l'ambiente. La cantina si potrà vedere anche da lontano, in quanto ho progettato un elemento sculturale a forma di dardo che si conficca nel terreno, con valore di riferimento per chi si avvicina alla costruzione, e che al tempo stesso rappresenta l'attività dell'uomo e il legame con la terra». Quali sono state le principali sfide nell'ideare e poi C&P

nel realizzare una scultura abitabile, come lei stesso l'ha definita? «Per dare forma a questa idea, abbiamo lavorato come una grande “bottega”, dove ciascuno ha portato il meglio della propria professionalità e sensibilità: l'architetto Giorgio Pedrotti per le strutture, Ermanno Casasco per l'intervento paesaggistico, Barbara Balestreri per le luci, oltre al mio assistente Dialmo Ferrari e i collaboratori dello studio che, da sempre, mi seguono in tutto il mio lavoro. Le difficoltà maggiori che abbiamo dovuto affrontare sono stati gli interventi sculturali sul “carapace” che hanno richiesto un'invenzione tecnico-creativa da parte mia: da un lato, la modellazione degli elementi all'interno della cupola che dovevano corrispondere all'armonica composizione del progetto; dall'altro, la realizzazione della copertura 49


Studio Arnaldo Pomodoro Carlo Orsi

Gli elementi all'interno della cupola dovevano corrispondere all'armonica composizione del progetto

esterna in rame con i segni e le crepe materiche». Quali scelte progettuali sono state prese per coniugare l'inventiva artistica e la funzionalità di un luogo che deve tenere conto delle modalità di produzione del vino? Ha dovuto approfondire conoscenze di tipo enologico prima di affrontare il progetto? «Certamente, essendo una cantina dove si produce del vino, un vino antico come il Sagrantino, tutti gli aspetti di carattere funzionale, soprattutto sul piano della cultura enologica, sono stati tenuti in grande considerazione, in modo particolare per la barricaia. Con me, per queste competenze, ha lavorato tutta la famiglia Lunelli: il patron Gino e Marcello Lunelli, l'enologo dell'azienda». 50

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CANTINE D’AUTORE | Piero Sartogo

Tra modernità e valore paesaggistico Il rispetto del paesaggio è la chiave di lettura che Piero Sartogo e Nathalie Grenon hanno adoperato già dagli anni 90 nel loro modo di disegnare cantine, facendo incontrare modernità e ambiente di Nicolò Mulas Marcello

«Come ha fatto Le Corbusier anche noi – spiegano Piero Sartogo e Nathalie Grenon – abbiamo due luoghi: uno segreto e inaccessibile per la “recherche patient” e l’altro per lo sviluppo progettuale, che rimane comunque top secret. Il nostro approccio al tema è che, come per i monumenti, l’opera si svela in tutta la sua magnificenza solo quanto viene tolto il velo che la ricopre». Voi avete ideato diverse cantine. Come sono nati i progetti per queste particolari funzioni? «La prima cantina da noi realizzata per Badia a Coltibuono, nel Chianti, nasce da un’intuizione del committente Piero Stucchi Prinetti. Dopo aver ottenuto una sovvenzione dalla Comunità europea C&P

Piero Sartogo e Nathalie Grenon. In alto, la nuova cantina L’Ammiraglia, costruita per i Marchesi de’ Frescobaldi

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con un progetto preliminare estremamente invasivo, nel momento di passare dalla pratica di finanziamento all’avvio del cantiere, spaventato dall’idea di compiere uno scempio, decise di rivolgersi a noi chiedendoci di interpretare in modo nuovo e architettonicamente qualitativo le sue esigenze funzionali. La fama del progetto da noi realizzato, ampliamente pubblicato e inserito anche nei siti del Fai è stata all’origine delle nuove committenze che si sono susseguite negli anni, da Castel Giocondo alla nuova cantina Ammiraglia per i Marchesi de’ Frescobaldi, nel cuore della Maremma toscana, e ultima la cantina progettata per Château Giraud nel Sauternes». Quali particolarità presentano le cantine che avete realizzato? «Le cantine da noi realizzate sono espressione di un approccio progettuale fondato sul profondo dialogo 52

tra nuova architettura e genius loci. Nel caso di Badia a Coltibuono, l’intero sistema compositivo si basa sull’idea di configurare un edificio percorribile, che faccia da contrafforte a un vuoto ricavato scavando in una piccola collina, in modo tale da accompagnare il processo di vinificazione “per caduta”, su un dislivello di circa 20 metri. Per la cantina L’Ammiraglia dei Marchesi de’ Frescobaldi abbiamo agito come se un lembo di terra fosse stato sollevato per aprire una sottile e longilinea fessura nel declivio naturale del terreno: una finestra che inquadra il paesaggio. Questo “segno” ha un profilo curvilineo, segue le curve di livello e quindi continua l’andamento naturale del terreno. Il progetto di Chateau Giraud si colloca sulle alture del borgo di Sauternes, ove è prodotto il pregiatissimo vino dall’omonimo nome, considerato un vero e proprio “nettare degli dei”. Châteaux Guiraud con Châteaux d’Yquem costituiscono la C&P


CANTINE D’AUTORE | Piero Sartogo

Il territorio agricolo è qualcosa di molto particolare e di molto fragile, facilmente deturpabile da interventi non opportunamente calibrati

Nella pagina a fianco, la cantina realizzata per Badia a Coltibuono, nel Chianti. Qui accanto, un modello dello Chateau Giraud nel Sauternes (Bordeaux)

crème de la crème di questa assai speciale viticoltura: essi sono ambedue abbracciati da un paesaggio di ondulati filari di viti, caratterizzati da un microclima molto mite dovuto alla vicinanza del mare. L’assetto architettonico della nuova cantina, digradando sulle vigne dal piano dello Châteaux, imponente edificio di importanza storica, si configura come un terrapieno che esalta i valori architettonici dell’ensemble, nel quale convivono antico e moderno, artificiale e naturale». Qual è il rapporto che deve avere l’architettura con la natura e il paesaggio? «Noi siamo stati fra i primi in Italia a progettare negli anni ’90 cantine d’autore, cimentandoci con l’incontro tra la modernità e il “luogo”, sempre di altissimo valore paesaggistico. E proprio l’incontro con i valori paesaggistici e ambientali dei vigneti è stato uno dei principali motivi di interesse, che ha suscitato in noi il C&P

desiderio di sperimentare modalità progettuali precedentemente esercitate soprattutto in contesti urbani. Il territorio agricolo è qualcosa di molto particolare e di molto fragile, facilmente deturpabile, con interventi non opportunamente calibrati in termini di impatto percettivo e non armonicamente in dialogo con le sue morfologie. L’Italia presenta un elevato grado di differenziazione nel paesaggio “costruito con la mano dell’uomo” e questa nostra caratteristica va preservata. Mi riferisco al sistema dei borghi e delle piccole città dislocate tra Toscana, Umbria e Marche. Nel caso della cantina L’Ammiraglia noi abbiamo poggiato il nuovo manufatto in modo che, in contrappunto con il contesto preesistente, disegnasse con la sua presenza una nuova evidente realtà. Anche questo è un modo, a mio avviso, per interpretare i principi dell’eco-sostenibilità, che non si limitano all’ovvio obiettivo dell’abbattimento dei consumi energetici». 53


Epica e lirica Un’architettura fra i confini, con specifici odori, orizzonti, materialità. È per questo che Boris Podrecca parla di archi-cultura di Renata Gualtieri

La cantina Novi Bric sorge sul territorio di confine tra Slovenia, Croazia e Italia. Dagli spazi aperti che circondano l’edificio si possono scorgere in lontananza i campanili di Grado, il porto di Trieste, Piancavallo, la costa slovena e dalmata. Nel progetto, che è diventato il fulcro per la rivitalizzazione di un intero territorio, si inseriscono dunque tre culture diverse fra loro. «Tre ministri degli esteri, a quell’epoca – racconta l’architetto Boris Podrecca – si trovarono al confine tra Slovenia, Croazia e Italia, durante una festa. Lì, ipotizzarono un luogo che oltrepassasse i confini. Così il tragitto che congiunge la parte di degustazione e produzione con quella in cui 54

A sinistra, l’architetto Boris Podrecca

C&P


Foto Miran Kambi

Foto Jaka Jera

CANTINE D’AUTORE | Boris Podrecca

La dura materialità dell’involucro, la pietra carsica, rappresenta la polarità epica del lavoro, e il vino, quella lirica, femminile

In questa pagina due immagini della Cantina Novi Bric

vengono ospitati gli amici e la villa patronale viene a costituire il confine. Uno shake hand fra i tre paesi confinanti, questo è il motivo per cui ho tagliato il paesaggio come due mani che si intersecano».

Ha parlato del suo committente come di un mecenate. Che rapporti ha avuto con lui? «Avevo costruito già diverse cose per il mio cliente, il problema era esattamente l’opposto di quello che avviene di solito, cioè io fungevo da pompiere e lui da piromane, la questione era appunto frenarlo nella sua attitudine balcanico-barocca».

Ha definito il progetto un’importante opera di archi-cultura e una sorta di autoritratto. Perché? «Per quel che riguarda il ritratto, anche io sono un classico prodotto mitteleuropeo. Ho vissuto fino ai miei 18 anni in questi luoghi e, da Vienna, il baricentro delle mie attività, migro, lavoro in questa terra fra i confini, attraverso specifici odori, orizzonti, materialità, perciò più archi-cultura che architettura». C&P

Come possono convivere dunque architettura ed enologia in un progetto? «La dura materialità dell’involucro, la pietra carsica, rappresenta la polarità epica del lavoro, e il vino, quella lirica, femminile. Un buon lavoro costituisce la balance fra questi due temi portanti». 55


Da natura a cultura «L’architettura della cantina deve essere segno dell’attenzione posta nella ricerca di un equilibrio fra l’uomo e il territorio». L’esperienza di Mario Botta di Renata Gualtieri

Sotto, vista frontale della cantina Petra che mostra il cilindro centrale tagliato da un piano diagonale posto parallelo alla collina e le ali laterali porticate dove sono collocate le botti


CANTINE D’AUTORE | Mario Botta

Ha avuto modo di progettare tre cantine, Petra in Italia, Château Faugères in Francia e Moncucchetto in Svizzera. Guardando alle esigenze architettoniche di questi luoghi e alla ricerca di una soluzione costruttiva che le esprimesse al meglio, l’architetto Mario Botta sottolinea come oggi si chieda di progettare cantine con le stesse attese che un tempo erano riservate ad altri temi nobili quali i musei, le biblioteche, i teatri, dove l’aspetto d’immagine è ritenuto importante quanto l’aspetto funzionale e tecnologico. «La realizzazione di una cantina – spiega Botta – richiede di divenire “segno” capace di valorizzare il nuovo prodotto nato dalla felice alleanza tra uomo e natura». La cantina Petra si inserisce nelle pendici della montagna e, al centro del lungo fronte allungato che segue l’andamento del terreno, si innalza dalla quota di ingresso un volume cilindrico rivestito di pietra. Il cilindro accoglie le attività primarie della cantina: al centro i serbatoi per la vinificazione, mentre ai livelli superiori si articolano le aree per l’uva vendemmiata, la zona pigiatura e le attività legate alla produzione e

ai controlli. Al pianoterra, nella profondità oltre il nucleo centrale, si trova lo spazio riservato alle botti in rovere per l’invecchiamento del vino. Come dunque l’architettura si pone al servizio dell’enologia? «Un aspetto che connota significativamente il nostro tempo è la maggiore attenzione nei confronti delle architetture e delle costruzioni adibite alla lavorazione del vino. Le strutture obsolete, cantine o capannoni, stanno lasciando spazio a una nuova stagione di “contenitori”. La cantina, intesa come spazio per la lavorazione e l’invecchiamento del vino, risale a tradizioni antichissime, pertanto è qualcosa di radicato nella nostra cultura. Il prodotto “vino” è una sintesi fra la terra (e le sue risorse) e il lavoro dell’uomo. L’architettura della cantina deve testimoniare questo aspetto ed essere segno dell’attenzione posta nella ricerca di un equilibrio fra l’uomo ed il territorio che diventa parte della nostra storia e della nostra identità».


A destra, sala di vinificazione; tunnel scavato nella montagna seguendo l’asse dell’edificio e terminante di fronte a un muro di roccia

Ha dichiarato che «quando Vittorio Moretti mi chiese di disegnare questa cantina per i nuovi vigneti di Suvereto, mi è parso di capire che al di là degli aspetti funzionali cercasse soprattutto un’immagine capace di comunicare la passione e l’impegno». Come c’è riuscito? «Ho ritenuto che la forte immagine plastica potesse risultare di grande fascino e riuscisse a trasmettere la ricerca dell’equilibrio tra la qualità pragmatica di un edificio creato a misura del ciclo produttivo e l’aspetto estetico di un luogo che nasce come espressione del territorio da cui trae identità. Il cilindro sezionato si presenta come anello di pietra sopra il territorio coltivato, un volto totemico nuovo e nel contempo arcaico; una forma compiuta, un’immagine che crea un contrappunto geometrico che si confronta con l’andamento organico della superficie ondulata dei vigneti che lo circondano». Il complesso architettonico come si inserisce nel paesaggio e come è riuscito a rappresentare la vocazione territoriale, l’attenzione alla qualità della vita e la cultura dell’ospitalità? «L’intento progettuale è quello di entrare in armonia con il genius loci. L’opera di architettura è un’opera di trasformazione di una condizione di natura in una condizione di cultura. Si tratta di cambiare un equilibrio esistente per crearne uno nuovo o comunque diverso, sempre nel rispetto del territorio nel quale si inserisce il manufatto. L’intera organizzazione interna di Petra è creata e realizzata al servizio delle uve e nel massimo 58

Foto Enrico Cano

Foto Pino Musi

CANTINE D’AUTORE | Mario Botta

rispetto del ciclo naturale di vinificazione. Il tutto senza rinunciare però al fascino e al valore di un’opera di architettura, nel tentativo di donare una migliore qualità della vita. La cultura del vino come cultura dell’ospitalità si evidenzia anche nella precisa scelta di ricavare una lunga galleria che penetra la montagna fino ad arrestarsi di fronte ad una parete di roccia nel cuore della collina. Questo spazio diventa un luogo dove le persone possono incontrarsi e degustare le ricchezze prodotte dal territorio. Metaforicamente costituisce anche un percorso che porta idealmente verso il ventre della montagna, un cordone ombelicale che ci lega alla madre-terra». Come lei stesso ha dichiarato, il progetto vuole essere una reinterpretazione delle antiche dimore toscane di campagna. Quali gli elementi che più le richiamano? «Nelle antiche dimore di campagna toscane il disegno delle coltivazioni, in questo caso i vigneti, era parte integrante del disegno architettonico. Il cilindro in pietra del corpo centrale e le due ali laterali connotano un “grande fiore” che si estende lungo tutta la collina. L’orografia collinare e ondulata del suolo si offre allo sguardo con tracciati regolari che disegnano scenari destinati a modificarsi lentamente da fine inverno fino ai raccolti autunnali. Il disegno razionale creato dalla trama geometrica della vigna fa da cornice al manufatto ed evidenzia la misura, la bellezza e la profondità del paesaggio pazientemente costruito anche attraverso il lavoro dell’architetto». C&P



Segno autentico Non serviva teatralità per quel vino già buono. Per Walter Angonese «l’autentico è far crescere l’insieme e non il singolo» di Renata Gualtieri

Si voleva edificare nella continuità a Manincor e ci si è riusciti. «L’aver fatto ricorso all’architettura contemporanea – spiega l’architetto Walter Angonese – non voleva indicare un approccio astratto fine a se stesso, ma l’intento era quello di calare la progettazione nel contesto della sua contemporaneità». È un’architettura vissuta e sofferta: tre anni di lavoro e riflessione su e con il vino. Quali sono le esigenze architettoniche di una cantina e come si è impegnato nella ricerca di una soluzione che le esprimesse al meglio? «Deve rappresentare quello che è, cioè una cantina di vini. Spesso questo viene dimenticato, c’è un idea formale, che viene anteposta a un schema funzionale, e alcune volte si veste e basta. Pertanto una partenza programmatica non è sbagliata. Non va dimenticato il fatto che su approcci pragmatici e programmatici si è da sempre costruito, sono stati considerati come il punto di partenza. Poi subentrano aspetti come la topografia o una riflessione più culturale, appunto tramite un approccio tipologico. Fare una cantina di vini è simile 60

al lavoro dell’enologo: ci vuole passione, maestranza, riflessione culturale e una buona dose di autocritica per misurarsi continuamente con altre realtà già sperimentate e anche con la storia». Come l’architettura assolve le richieste dell’enologia? «Prendendo sul serio quello che le viene affidato, studiando e riflettendo sul progetto. Solo chi affronta seriamente le cose riesce a conquistare la fiducia, che è ciò di cui un progetto ha bisogno; quella reciproca fiducia che è la base per un piano di lavoro autentico, fatto per un luogo o una persona». Ha affermato «sono serviti tre anni per far maturare le idee di progetto, proprio come un buon vino». Quale rapporto si è instaurato tra committente e progettista? «Un ottimo rapporto. Siamo rimasti amici, ci stimiamo reciprocamente e abbiamo imparato tanto l’uno dall’altro, al punto che io sono diventato un appassionato e intenditore di vino, mentre il conte Michael Goëss-Enzenberg potrebbe tranquillamente C&P


CANTINE D’AUTORE | Walter Angonese

A sinistra, Tenuta Manincor, Archiv Bildraum 2004. Nel tondo, Walter Angonese

costruirsi da solo la sua prossima casa». La cantina in che modo si relaziona con il territorio circostante e la sua storia? «Entrambe le cose erano e sono la chiave di lettura del progetto. La topografia, molto adatta per un approccio ipogeo, ci ha condotto a lavorare in profondità, cosa che per una cantina di vini non è male. Lavorare in modo ipogeo ha dato una misura e una scala al progetto in dialogo con la tenuta esistente del Seicento, in quanto la nuova cubatura superava sei volte quella esistente e ci poteva essere anche il rischio di sovracaricarla. Possiamo comunque dire che siamo arrivati a una soluzione in bilico tra il nuovo e il vecchio». Quali materiali sono stati impiegati nella realizzazione e perché? «Essendo una costruzione ipogea, con un intero vigneto sopra, la logica costruttiva era data dall’utilizzo del calcestruzzo. Abbiamo cercato di dargli dei valori semantici, togliendolo dalla sua dimensione di beton brut, lo abbiamo messo in C&P

relazione con l’acciaio arrugginito corten, trattato con olio di lino e con qualche elemento di legno, per far diventare il tutto, non solo una cosa funzionale, ma studiata sapientemente sulla base di riflessioni culturali e che dialogasse con la struttura del ‘600». Rispetto all’architettura contemporanea delle cantine, dove spesso a essere in primo piano è la teatralità, la sua architettura è stata definita come meno “scenografia” e più “segno autentico”. Cosa ne pensa? «Era chiara sin dall’inizio l’intenzione che il vino e il suo spazio avessero un rapporto equilibrato. Non era necessaria una scenografia particolare o degli effetti speciali per fare crescere il vino. Quel vino di Manincor è già molto buono. Questo è per me l’autentico, fare crescere l’insieme e non il singolo. Un atteggiamento che abbiamo sempre applicato alla progettazione di cantine, partendo nel 1997 con la Torre del vino della tenuta Hofstätter fino ad arrivare al nostro ultimo progetto, le barricaie e il negozio della cantina San Michele Appiano, molto apprezzata per il suo St. Valentin». 61


Photo Lluís Casals

Jaume Bach, architetto spagnolo fondatore dello studio Bach Arquitectes

Cantine che comunicano Le aspirazioni degli uomini devono interpretare il paesaggio per offrire una mediazione culturale di successo, come per Raventos i Blanc di Elisa Fiocchi

La cantina vinicola Raventos i Blanc, a Sant Sadurnì d’Anoia, è diventata un riferimento internazionale grazie ai suoi novanta acri di vigneti tramandati dall’omonima famiglia spagnola sin dal 1497. Il simbolo di questa secolare tradizione è espresso dalla quercia di cinquecento anni situata all’entrata della cantina e che testimonia la storia della casata Raventos e la vitalità di queste terre. L’elemento paesaggistico è diventato non solo il marchio dell’azienda, ma anche il punto focale del progetto affidato nel 1986 agli architetti Jaume Bach e Gabriel Mora, che pensarono a una grande struttura dove la progettazione funzionale potesse mescolarsi armoniosamente all’ecosistema di El Serral. Dallo studio Bach Arquitectes di 62

Barcellona, Jaume Bach racconta il fascino di una cantina concepita per essere la combinazione perfetta di forma e funzione. Quale valore aggiunto è in grado di offrire l’architettura in questo tipo di progettazioni? «Nel progettare un luogo dove si produce vino bisogna porsi delle domande, bisogna chiedersi ad esempio come mantenere costante la temperatura, la pulizia e l’igiene delle strutture e le condizioni di lavoro favorevoli, ma anche come creare un luogo accogliente e interpretare la storia e la memoria umana che ha reso possibile la combinazione del lavoro agricolo di generazioni con il coinvolgimento dell’industria e della tecnologia. Bisogna creare la C&P


Photo Lluís Casals

CANTINE D’AUTORE | Jaume Bach

La concettualizzazione del progetto consiste nella celebrazione dello spazio liturgico intorno alla vecchia quercia possibilità di unire le persone: questa è una parte di ciò che l’architettura può darci». Prima di iniziare la progettazione di una cantina quali elementi sono prioritari? «Come oggetto del lavoro considero la location, il programma, la storia, l’ambiente, il paesaggio, la cultura e il tempo, le conoscenze, le pratiche che si possono trarre dal bene della nostra esperienza. Immaginiamo come vorremmo avvicinarci a un certo luogo, il modo in cui ci sentiamo in sua presenza». Come si riconosce una cantina contemporanea? «Penso che uno degli aspetti più qualificanti di oggi sia la comunicazione. Le cantine, così come molti altri C&P

luoghi, sono visitate da sempre, non è una novità, penso ad esempio al quartiere Grinzing di Vienna e ad altri luoghi. Oggi questi elementi sono un requisito già incorporato nel progetto: i magazzini sono progettati per essere visitati e contemplati come una parte fondamentale dell’azione comunicativa». Tornando a Raventos i Blanc, come è riuscito a combinare armoniosamente il design funzionale della cantina con l’ambiente e l’ecosistema? «La concettualizzazione del progetto consiste nella celebrazione dello spazio liturgico intorno alla vecchia quercia. Una geometria circolare e una rettangolare creano risonanze universali, legate 63


CANTINE D’AUTORE | Jaume Bach

alla terra e al materiale di lavoro, si legano e penetrano il punto centrale di ingresso per impostare e modellare la reception, da dove inizia la visita della cantina. Nella cantina sotto il cortile rettangolare avviene la degustazione di vini e champagne e, infine, feste di ogni genere nello spazio circolare sotto la protezione della quercia. Possiamo competere con le cantine moderniste di Puig i Cadafalch, monumento nazionale, che si innalzano di fronte alla quercia centenaria». In quali dettagli forma e funzione combaciano? «Forma e funzione sono chiaramente espresse da una concettualizzazione che arricchisce ed espande i riferimenti dei contenuti. Abbiamo sempre trattato i 64

Photo Lluís Casals

Photo Lluís Casals

I magazzini sono progettati per essere visitati e contemplati come una parte fondamentale dell’azione comunicativa

materiali e le tecniche costruttive in un modo che potrebbe essere definito slow, fatto di tecniche artigianali». Entrando nella cantina, quali elementi architettonici catturano l’attenzione del visitatore? «Abbiamo concepito la quercia circondata da pilastri di mattoni in una disposizione di chiusura-apertura che indica l’appartenenza, ma con una prospettiva di condivisione e di partenze. La geometria curva allevia la sensazione di vuoto mentre l’uso del mattone solido come materiale dominante unifica le differenti tipologie di gioco dando l’impressione di una materialità terrestre. Fornisce anche un buon invecchiamento e lascia sul passaggio nobili tracce del tempo nel corso delle generazioni». C&P



Gateano Pesce, architetto, scultore e designer. A fianco, il divano “Sunset of New York”

Creare in un tempo liquido Viviamo in un epoca in cui i valori si alzano e si abbassano come le onde del mare, spiega Gaetano Pesce. «I materiali che esprimono questa mobilità sono quelli di sintesi, oggi più che mai contemporanei» di Elisa Fiocchi

All’interno della galleria Nilufar, a Palazzo Durini, trova posto un’installazione di pezzi storici dell’architetto e designer Gaetano Pesce, da maquette di interior design e architetture a sculture e opere tridimensionali in resina plastica che compongono un itinerario di rarità a partire dagli anni Ottanta. «Proprio in quegli anni ho cominciato a sostenere che il design è una forma d’arte, un’espressione artistica forte, al pari delle altre come musica, poesia e arti pratiche». Nella zona di via Tortona a Milano è possibile ammirare le sedie dedicate all'universo femminile, come il Feminino, concepito dalla ricerca costante di nuovi materiali, che si compone di quattro pezzi stampati a mano e assemblati utilizzando una tecnica unica, prodotta in edizione limitata. Pesce ritorna poi a stupire anche con tre nuove collezioni per Meritalia, che compie 25 anni, come il sofà Michetta, che tratta gli oggetti che vogliono affrancarsi dalle forme alla moda o dalle imposizioni 66

schematiche e rigide, e il divano Insieme, che plaude alle vicinanze affettive, alle scoperte tra esseri e a tutto quello che si oppone alla grettezza e alla facilità delle separazioni: «È più facile unire o separare? È più facile la modestia o l'intemperanza? È meglio vivere o sopravvivere?». Da New York, dove vive dal 1983, l’architetto veneziano torna a incantare l’Italia e quella Milano che lui stesso definisce la capitale della creatività e del design. C&P


IL DESIGN E L’ARTE | Gaetano Pesce

Com’è cambiato il potenziale comunicativo di un oggetto di design negli ultimi quarant’anni? «Il design ha fatto passi giganteschi e sempre di più l’industria italiana ha capito l’enorme potenziale che possiede l’oggetto industriale come espressione d’arte e ha aperto gli occhi su un mercato del design relativamente nuovo, quello dell’arte. Il Salone rimane il trampolino più importante che esista per questo genere di espressioni e quello del 2012 sarà un C&P

avanzamento in questo senso. Di quelli che si chiamano pezzi unici e che io invece chiamo pezzi diversi». Come la scelta dei materiali testimonia la scoperta della nostra epoca e con quali vale la pena di esprimersi per offrire una verità storica? «Quelli che vengono definiti di sintesi, come noi chiamiamo le plastiche, restano i più vicini alla natura 67


Il Sofà “Michetta”, una delle tre nuove collezioni realizzate per Meritalia.

della nostra epoca liquida, dove i valori si alzano e si abbassano come le onde del mare. I materiali che rappresentano questa mobilità sono quelli di sintesi che ho avuto la fortuna di studiare da giovane e che mi hanno dato ciò che i materiali tradizionali non erano in grado di offrirmi. Nel mio laboratorio di New York abbiamo creato un tavolo con una dimensione completamente nuova, realizzandolo in sole tre ore, utilizzando delle schiume rigide ma leggere. Questo dimostra come i materiali contemporanei siano più facili da usare e che se avessi scelto il marmo o il vetro, ci avrei impiegato dei mesi». Proprio ricordando il laboratorio, in cosa consiste la sua giornata da creatore? 68

«Ho sempre avuto due posti per lavorare. Uno è l’ufficio, che io chiamo il luogo pulito, perchè è dove si fa il lavoro dell’architetto, senza polveri che disturbano o macchine che fanno il lavoro. Poi esiste un altro luogo, il laboratorio, che è quello dove io metto le mani in pasta. Il nostro mestiere collega le mani al cervello in maniera estremamente diretta, le une non possono fare a meno dell’altro, e viceversa». Con il divano Sunset of New York alludeva al declino che, un giorno o l'altro, questa capitale avrebbe conosciuto. Come giudica oggi l’attuale offerta creativa e quali città avanzano tra le grandi del design? «Trent’anni fa New York mostrava alcuni segni di C&P


IL DESIGN E L’ARTE | Gaetano Pesce

Milano resterà per molti anni la capitale del design, come tutta l’Italia, perchè la nostra tradizione, che comincia dal Rinascimento e arriva fino ad oggi, è qualcosa di unico che nessun altro paese del mondo possiede

A sinistra, l’opera “Feminino. Sopra, lo schizzo originale del divano “Insieme”, Meritalia.

fragilità. In realtà, i cambiamenti epocali delle capitali prevedono tempi lunghissimi e oggi resta ancora la capitale del mondo, ma quella del design è Milano e lo sarà per molti anni, come tutta l’Italia in generale, perchè la nostra tradizione - che comincia dal Rinascimento fino ad oggi - è qualcosa di unico. Shanghai, come i tanti saloni e le esposizioni nella settimana dell’arte di Londra e di Los Angeles, può essere solo lontanamente confrontata all’energia che c’è a Milano durante i giorni del Salone del mobile. Siamo il centro della cultura del design, senza che nessun Paese ci minacci». Ma in Italia c’è spazio per comprendere l’innovazione apportata dal design? C&P

«Nel mio lavoro sono sempre stato capito, è un mestiere diretto, e i bambini gioiscono in maniera particolare a contatto con le mie opere perchè i materiali si possono toccare e sono quasi dei giochi. Da quando ho iniziato a fare questa professione, tuttavia, le cose sono cambiate, ma lentamente. Mentre alcuni paesi dedicano molte energie all’innovazione, in Italia avverto una fase di breve stanchezza. Ci caratterizziamo per un aspetto pubblico scandito da un sistema politico che non aiuta la creatività, perchè espressione di un mondo vecchio, lento e bizantino rispetto all’attuale, in cui servono decisioni e prese di coscienza veloci, e un aspetto privato che si mostra invece avanzato e vitale, che si muove alla svelta e che ci espande in tutto il mondo». 69


ph Luciano Svegliado

Dar voce all’anima segreta delle cose «Parlare attraverso le cose è per l’uomo l’unico modo di vedere la sacralità della vita e di comunicarla». Tobia Scarpa racconta la sua “chiamata” nel campo del design, davanti alla quale si è fatto trovare pronto, «come si diventa pronti nelle vecchie scuole dei grandi artisti» di Renata Gualtieri

Con il suo lavoro ha seguito i cambiamenti della cultura italiana e la sua attività è stata legata ad aziende che hanno fatto la storia del design italiano, «promuovendo comportamenti collettivi come con la poltrona Carlotta o la poltrona Soriana». Dunque si progettano sia le cose che i comportamenti. L’architetto e designer Tobia Scarpa spiega come ciò avviene e sottolinea che se è noto e riconosciuto che l’architettura e, di conseguenza, il design e l’urbanistica sono strumenti educativi bisogna capire in quale misura essi siano orientati correttamente perché «non sempre basta parlare di design innovativo, per essere e restare tranquilli». Quando è venuta alla luce la sua passione per il 70

design? «Quando sono nato, mio padre aveva segnato (disegnato?) il mio percorso esistenziale, mi ha dato il nome, mi ha portato sempre con sé fin da piccolo e così senza che io lo capissi sono diventato la sua continuità e conseguenza. Oggi che ho accumulato esperienze posso dire che la cosa non mi dispiace. Ho imparato con grande dolore che noi non possiamo né dobbiamo frequentare la rivolta per cause personali contro il destino, in particolare modo quella biologica. Ero pronto, come si diventa pronti nelle vecchie scuole dei grandi artisti. Ora se guardo dietro di me a ciò che ho realizzato penso che mio padre non dovrebbe essere scontento. Il mio inizio professionale muove i primi passi nell’ambito del design perché più C&P


PROCESSI CREATIVI | Tobia Scarpa

ph Luciano Svegliado

In apertura, a sinistra, l’architetto e designer Tobia Scarpa e, a destra, la Lampada Biagio. Sopra la poltrona Soriana e la Lampada Papillona

immediato e anche per non diventare concorrente in casa, in quanto l’architettura era l’apice delle aspirazioni comuni». Come è riuscito a far parlare “l’anima segreta delle cose”? «Questa è una domanda indiscreta in quanto la risposta richiederebbe libri interi di spiegazioni e di analisi. Per semplificare posso dire che parlare attraverso le cose sia per l’uomo l’unico modo di vedere la sacralità della vita. E di comunicarla». La sua produzione spazia dal passato al presente ma, guardando al futuro, in quale direzione si muoverà il design? «Il prodotto, o meglio il prodotto commerciale, in circolazione tende, desidera, nobilitarsi per valere. È solo la capacità di distinguere che può correttamente stabilire la giusta scala dei valori. Oggi il passaggio che ci si presenta davanti deve tener conto sostanzialmente di due fattori: il grande numero e l’esaurimento dei campi formali di ricerca. Per il secondo fattore bisogna trovare nuovi e credibili valori da offrire all’uomo. Il nostro tempo era affascinato dalla modernità e dall’uso C&P

proprio della tecnologia. Stiamo assistendo allo sgretolamento di questi valori, e non solo di questi. L’impegno religioso del passato metteva dei limiti e delle barriere invalicabili. La superficiale cultura del nostro tempo ha sradicato questi limiti e noi oggi assistiamo allibiti alle ineluttabili conseguenze. Dove andremo? Molte società con grandissimi patrimoni culturali stanno entrando nei nostri spazi quotidiani e dovranno fare i conti con ciò che abbiamo realizzato finora. Staremo a vedere». Su quale filosofia si basa e da che idea nasce il progetto Do.it che prevede, entro il 2014, l’apertura di otto centri interamente dedicati al design made in Italy? «Do.it è il progetto nato per esplorare nuovi spazi commerciali e nuove modalità di offrire i propri servizi. Il mercato italiano è rimasto affascinato dalle idee che sostengono attività come Ikea o i discount della moda, e non credo che il gioco economico messo in atto sia la ragione centrale. C’è una frenesia di acquisto che contagia tutti, bisognerà vedersela con la recessione in atto, e capire se produrrà un’accelerazione o una frenata degli acquisti». 71


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C&P

ph Sartori


L’ESSENZA DEL LEGNO | Matteo Thun

ph Francesca Lotti

In apertura, Rapsel Ofuro Bath. Qui a fianco, l’architetto e designer Matteo Thun

Legno, una scelta contemporanea «Il design è fatto di sensorialità. Per me il materiale sensoriale per eccellenza è il legno». L’architetto Matteo Thun descrive il suo impegno in un percorso lavorativo che segue i principi di un buon design, sempre rispettosi nei confronti della natura e dell’ambiente di Renata Gualtieri

Ha spesso sottolineato che bisogna puntare sull’individualità più che sull’individuo. E questo concetto è ben espresso dalla formula “Eco non Ego”. «Personalmente preferisco l’eco nel vero senso della parola – dichiara l’architetto e designer Matteo Thun – anziché l’ego del linguaggio architettonico, che oggi si appoggia spesso ad archetipi. I miei progetti sono il risultato del lavoro di progettisti, architetti d’interni, stilisti, grafici e designer che lavorano in squadra secondo questo principio». È il legno il materiale più utilizzato nel suo lavoro perché, assieme alla pietra, è un elemento che concilia naturalezza, funzionalità ed estetica e che oggi è diventato sempre più essenziale nell’ architettura e nel design. Ha definito le sue creazioni come “zero design”. Cosa racchiude questo concetto? «Significa azzerare i formalismi e anche i tempi di scadenza, troppo ravvicinati, della società del consumo». Quali sono i materiali indispensabili nel design C&P

contemporaneo e quali sono i principi di un buon design? In che modo esso può influire sul benessere e la qualità della vita? «Il design contemporaneo è fatto soprattutto di sensorialità. Per me, il materiale sensoriale per eccellenza è il legno: caldo, naturale, mutisensoriale. Per questo si adatta perfettamente a una frase di Goethe, che trovo meravigliosa: “Tocchi con gli occhi e vedi con le dita”. Questo dà qualità alla vita». Ha dichiarato «quello che mi esalta è sempre il prossimo progetto». A cosa sta lavorando e qual è invece l’oggetto di design che desiderebbe realizzare? «Ogni progetto futuro è l’inizio di un nuovo percorso ed è sostenuto da una curiosità intellettuale che dà sempre linfa vitale al lavoro. Attualmente sto progettando dei water resort su due isole del Mediterraneo: luoghi dell’ospitalità che tengono conto dell’ambiente naturale - l’acqua - che li circonda. Un progetto estremamente affascinante. Un mio desiderio per il design? Progettare un orologio che possa rallentare il tempo». 73


Capire e formare la materia È il processo che esprime l’essenza stessa del design, secondo Marco Ferreri, che unisce intelligenza ironia e funzionalità alle sue opere, in un perfetto mix di concreto e concettuale. Come per la libreria In-Canto di Elisa Fiocchi

Marco Ferreri, architetto e designer

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L’abilità di Marco Ferreri nel mettere a contatto passato e presente come pochi altri designer si è espressa al meglio in occasione della mostra monografica della Triennale Design Museum, dove la selezione delle sue opere, dagli esordi a oggi, spaziava dal design all’architettura, dalla grafica agli allestimenti, fino alle installazioni. Al designer ligure viene affidato proprio quel ruolo di cerniera, a metà tra i grandi maestri di un tempo e le nuove generazioni appassionate di tecnologia, che lo ha reso un creativo, un talento fuori dal coro. Tra le novità del 2012 esposte al Salone del Mobile, Ferreri propone una libreria da giorno trasformabile, chiamata In-Canto e realizzata per Adele-C, costituita da due ali che contengono quattro vetrine in dialogo con l’architettura che la contiene e che le permettono di diventare parete mobile, espositore, angoliera e libreria. La struttura è in multistrato impiallacciato betulla naturale con finitura esterna tinta all’acqua blu cobalto ed elemento centrale in lamiera verniciata a polveri blu cobalto. «Non si sa mai cosa mettere negli angoli, In-Canto funziona da 70 a 180 C&P


FORMA E FUNZIONE | Marco Ferreri

Nel progettare cerco di aiutare materia e processo a diventare forma, e penso che conoscere, capire e applicare le specificità della materia sia una capacità fondamentale del design

In questa pagina In-Canto, la libreria trasformabile realizzata per Adele-C

gradi, senza bruciare» spiega Ferreri, riferendosi alla capacità di adattamento ai cambiamenti e agli spostamenti che avvengono all’interno di qualsiasi casa. «Può indifferentemente stare in un angolo, contro una parete o nello spazio in piena libertà». Tra le altre novità, anche la rinnovata collaborazione con l’azienda friuliana Billiani per cui rilancia la sedia Nordica. Quali creazioni portano la sua firma? «Oltre a Less, Foglia e Sisina, presentiamo una riedizione di un vecchio progetto, Nordica, molto ispirato ma per nulla copiato dal design scandinavo. La descriverei come un abbraccio: quattro montanti in torsione reggono il sedile e uniscono le due slitte al bracciolo-schienale. La struttura è in massello di faggio tornito, schienale in multistrato curvato, sedile in legno o imbottito». Un altro progetto innovativo è il prototipo della casa in un pezzo unico, che parte da un file 3D, attraverso la tecnica del D-shape. Di che cosa si C&P

tratta e quali elementi innovativi sono contenuti nel progetto? «È una casa realizzata in un unico pezzo, struttura e arredi, da una macchina, sola, partendo da un disegno 3D. Innovativa è la tecnologia usata, frutto della mente di Enrico Dini, innovativo è il pensiero di costruire un elemento abitabile realizzato senza il muratore, a mio parere straordinario il risultato, grado zero di rappresentazione estetica di futuro». Come si sta evolvendo il rapporto tra design e tecnologia e come il contributo tecnologico può diventare un elemento identitario di un progetto di design? «Nel progettare cerco di aiutare materia e processo a diventare forma, e penso che conoscere, capire e applicare le specificità della materia sia una capacità fondamentale del design, forse il design stesso. E nell’oggi già domani con gli oggetti che spariscono e le prestazioni solo spalmate, si apre lo spazio per una nuova sensibilità, vera materia nuova per un design ancora migliore». 75


Massimo Iosa Ghini, architetto e designer. Nell’altra pagina, la lampada da tavolo in faggio Leva

Materiali antichi e tecnologie della luce L’incarico di progettare i negozi Wind ha dato l’occasione allo studio di Massimo Iosa Ghini di focalizzarsi sull’elemento luce: «Lavoro a un nuovo sistema di faretti led a basso consumo, cercando di dare una forma proprio al led, che sembrerebbe immateriale ma non lo è» di Elisa Fiocchi

L’installazione “Quattro punti per una torre”, progettata da Massimo Iosa Ghini per Fmg, sarà presente fino al 28 aprile presso l’Università degli studi di Milano in occasione dell’evento Interni Legacy. «Il sogno poetico dell’uomo, la curva naturale che materializza il limite tra interno ed esterno; il complesso metabolismo interno, la luce e l’energia in simbiosi con la solida materia». Con queste parole, l’architetto bolognese descrive il legame tra eredità e modernità, tradizione e innovazione, racchiuso nella torre a stelo realizzata in struttura e rivestita da grandi lastre ceramiche (300x150). Il taglio curvo, altamente tecnologico delle lastre, permette la visione, nel cuore dell’installazione, di un trattamento superficiale caratterizzato da una particolare decorazione, eseguita tramite l’uso di tecnologia a led che crea una maglia luminosa a geometria variabile. Massimo 76

Iosa Ghini introduce anche due nuovi oggetti di design, la lampada Leva e Pixel Pro, e svela la sua specialità: «Trovare approcci logici differenti nella creazione di un qualcosa». Quali sono i punti fermi nel suo processo di ideazione e progettazione? E come la sua passione per il disegno, il futurismo, la fantascienza e il fumetto hanno influenzato le sue opere? «Per dare senso alle cose a volte bisogna liberarsi dei luoghi comuni, uscire dal tracciato. Il mio lavoro negli anni è stato questo, con l’ambizione, credo riuscita, di fare il nuovo senza perdere contatto dalla realtà, dalle esigenze concrete». Perché utilizza molto più oggi che in passato lo strumento del disegno? «Allo strumento disegno penso spesso essendo C&P


DALL’IDEA AL PROGETTO | Massimo Iosa Ghini

L’elemento protagonista della lampada Leva è un materiale sostenibile come il legno, scelto nell’essenza faggio, colore naturale

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Un render dell’installazione “Quattro punti per una torre”

La nuova tecnologia led rappresenta un passo in avanti verso la definizione del futuro nello scenario illuminotecnico

considerato un grande disegnatore; presuntuosamente dico che i miei disegni sono nei principali musei nel mondo insieme al design. Il disegno manuale rimane l’unico modo di afferrare l’ectoplasma di un’idea, il computer è indispensabile per svilupparlo ma l’idea, il concept, vanno catturati al volo e solo il rapporto diretto e sincrono cervellouomo può farlo». Che cosa significa oggi essere un progettista autore? «Un autore paga e si premia con la propria coerenza. I non autori sono sul mercato. Tra i giovani mi piacciono Bergna e Nichetto per la loro differenza dal mio lavoro». In che direzione sta andando il design italiano, cosa le piace e cosa no del suo processo evolutivo? «Rimane una bellissima amalgama, certo la 78

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DALL’IDEA AL PROGETTO | Massimo Iosa Ghini

ph Giuseppe Saluzzi

ph Giuseppe Saluzzi

Il faro Pixel Pro per iGuzzini illuminazione

leadership è insidiata. Ma la nostra cultura ha sempre avuto la capacità di assorbire istanze esterne e rielaborandole, farsene forza. Il sistema s’internazionalizzerà ulteriormente prendendo assetti sempre più imprenditoriali e al tempo stesso s’intensificherà la capacità di progetto più che di produzione per sofisticare e alzare il livello del prodotto a prescindere da dove esso sarà realizzato».

un recupero dell’artigianalità. «È realizzata con materiali antichi insieme a tecnologie della luce avanzatissime attraverso la ricerca e l’approfondimento del disegno non solo dei singoli componenti, ma anche dei meccanismi che echeggiano marchingegni leonardeschi alla ricerca della magia dell’equilibrio dinamico che questo oggetto esprime».

Quali canoni ed elementi hanno invece ispirato le sue recenti progettazioni di design? «Lavoro con la luce per un nuovo sistema di faretti led a basso consumo, cercando di dare una forma al led, che sembrerebbe immateriale ma non lo è. Uso nuovi materiali nei sistemi di illuminazione, come il legno antico ma nuovissimo e realmente ecosostenibile lavorato tramite tecnologie avanzate. Continuo a seguire l’ormai classico claim: sostenibile ma bello». Proprio la lampada da tavolo in faggio Leva esprime

In che modo Pixel Pro punta all’innovazione? «Abbiamo voluto dare forma al dinamismo e la nuova tecnologia led rappresenta un passo in avanti verso la definizione del futuro nello scenario illuminotecnico. La dispersione del calore è controllata attraverso il design del dissipatore: l’elemento funzionale diviene oggetto di progettazione estetica. L’oggetto si adatta a tutti quei contesti in cui è richiesto un sistema d’illuminazione flessibile e articolato, mirato alla valorizzazione degli spazi e dei prodotti».

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ESTETICA E FUNZIONALITÀ | Giulio Cappellini

Giulio Cappellini, architetto e designer. In apertura Wooden Chair realizzata da Marc Newson

Un biglietto da visita di tradizione e qualità Lo stile italiano continua ad affascinare i mercati esteri soprattutto in un settore dove estetica e funzionalità sono qualità essenziali come nel design. Ed è per questo che il design sta andando oltre la crisi, puntando sulle proprie caratteristiche e sulla curiosità dei paesi emergenti. Giulio Cappellini tratteggia l’attuale scenario di Nicolò Mulas Marcello

Il design è parte integrante del patrimonio artistico e culturale e delle idee che l’Italia porta in dote. «Il made in Italy – spiega l’architetto Giulio Cappellini, uno dei protagonisti più attivi sulla scena del design italiano – continua ad avere grande fascino nei paesi esteri, soprattutto in quelli emergenti che iniziano ora a confrontarsi con il design». Qual è lo stato di salute di questo settore? «Il design fa sicuramente parte della cultura italiana, portavoce di tutti i fermenti artistici e culturali. Quello italiano si è affermato nel mondo negli anni 50 grazie al lavoro di un piccolo nucleo di allora giovani designer e di imprenditori italiani C&P

che hanno creduto nella cultura del progetto come forma di business. Oggi l’Italia riafferma il suo primato industriale in questo settore ma lo spettro delle collaborazioni si è ampliato. Designer di tutto il mondo trovano nel nostro paese terreno fertile per coltivare le proprie idee e farle diventare prodotto. Il palcoscenico in cui confrontarsi è il mondo per cui è fondamentale cercare di creare prodotti che possano essere accettati dovunque, rispondendo con bellezza e funzionalità alle reali esigenze del consumatore finale». L’innovazione è uno dei fattori fondamentali su cui puntare nel design. Qual è l’approccio di Cappellini a questo aspetto? 81


La cassettiera Progetti Compiuti disegnata da Shiro Kuromata

Un vero oggetto di design deve essere senza tempo, superando le mode momentanee, e diventando parte integrante dell'abitare quotidiano

«Cappellini vuole essere un’azienda contemporanea e non si può essere tali senza una continua ricerca e innovazione. Ricerca non solo di forme nuove ma di nuovi materiali, nuove texture, nuovi sistemi produttivi che rendano realizzabili anche I progetti più arditi. Non innovazione fine a se stessa, quindi, ma ricerca di risposte concrete senza perdere libertà e creatività. Cappellini crede nel continuo confronto con designer diversi per storia, cultura, tradizione». Quali sono le caratteristiche fondamentali che secondo lei deve avere un oggetto di design? «Un oggetto di design deve essere funzionale ma soprattutto bello, regalando gioia e facendo sognare chi lo acquista. Inoltre, un vero oggetto di design deve essere senza tempo, superando le mode momentanee, dando sicurezza e diventando parte integrante dell’abitare quotidiano». Il made in Italy oggi funziona di più dentro o fuori i confini nazionali? «Il made in Italy continua ad avere grande fascino nei paesi esteri, soprattutto in quelli emergenti che iniziano ora a confrontarsi con il design. Dobbiamo però stare attenti a non trasformare il design in lifestyle, continuando a lavorare su progetti veri e contemporanei più che sulle sensazioni e atmosfere. Un vero oggetto di design sta bene ovunque e si presta a essere interpretato in modi differenti nelle diverse parti del mondo, adattandosi a culture diverse». 82

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CREATIVITÀ ITALIANA | Carlo Molteni

Nella Pagina a fianco, in alto le mensole di Ron Gilad. Sotto, i moduli compositivi del progetto Hi-Line 6 di Ferruccio Laviani. Qui a fianco, Carlo Molteni

Good design, ricerca e qualità L’innovazione come base del prodotto, ma sempre nascosta e mai protagonista. Questa è la scelta che caratterizza le proposte di design firmate Molteni&C. Una tradizione di prodotti che, come spiega Carlo Molteni, punta soprattutto a rispondere alle esigenze del pubblico di Nicolò Mulas Marcello

Ricerca e qualità si possono riassumere, secondo Carlo Molteni, in un’unica parola, ovvero good design. Ma qual è la linea di demarcazione tra arte e design? La qualità artistica è importante ma per essere innovativo, un prodotto di design deve soprattutto rispondere alle esigenze dell’utenza e puntare sulla fruibilità. L’estetica di un bene è comunque l’elemento che più di altri si abbina al gusto tipicamente italiano e certamente all’italian style. Un aspetto che attira sempre di più il pubblico dell’estremo oriente, dove la crisi è stata avvertita meno. «Per noi l’Oriente non è il nuovo mondo – spiega Carlo Molteni – siamo in Giappone da trent’anni, e voglio ricordare il flagship store di Singapore, che sta lavorando molto bene, e l’apertura a Hong Kong di una galleria Molteni&C». Qual è lo scenario che coinvolge il settore del design nel nostro Paese e all’estero? «Il settore in Italia risente della crisi, all’estero ci C&P

sono paesi dove la crisi non esiste, specialmente nel Far East, questo ci permette di sopportare la contrazione del mercato interno. La parola design oggi non è più sinonimo di qualità artistica, spesso è usata in modo improprio, credo che si debba iniziare a parlare di good design, per indicare ricerca e qualità». L’innovazione è uno dei fattori fondamentali su cui puntare nel design. Qual è l’approccio di Molteni a questo aspetto? «L’innovazione è alla base dei nostri prodotti, sempre nascosta, mai protagonista, come dimostra la Collezione Gio Ponti che presentiamo al Salone del Mobile firmata Ponti Archives». Per quali peculiarità deve attrarre un oggetto di design? «Deve essere innovativo e rispondere alle esigenze del pubblico, non deve essere un esercizio estetico». 85


Padiglioni aperti alla creatività Il quartiere fieristico di Rho ospita le migliori proposte nell’ambito dell’arredamento, dalla cucina alla zona living, dal bagno all’illuminazione. Con un occhio di riguardo che l’organizzazione presieduta da Carlo Guglielmi riserva da tempo alle promesse del design italiano e internazionale di Giacomo Govoni

Carlo Guglielmi, presidente di Cosmit

Ha valicato il traguardo del mezzo secolo il Salone del Mobile, evento che trasforma Milano per una settimana nella capitale mondiale dell’arredo. Alla testa della grande macchina organizzativa dell’evento c’è Cosmit che, ampliando negli anni la gamma delle esposizioni, ha il merito di aver dato alla rassegna un profilo sempre più internazionale. A conferma di ciò, la presenza come ospite d’onore di Milano al prossimo Beijing Design Week, dal prossimo 28 settembre al 6 ottobre. «Un riconoscimento che premia la città – spiega il presidente Carlo Guglielmi – e di riflesso il lavoro che da 50 anni la nostra associazione svolge al suo interno. Un’attività, credo di poter dire senza presunzione, da protagonisti assoluti nell’ambito del design». Da due edizioni si parla di Saloni e questa edizione la manifestazione ha aperto le porte al pubblico anche il sabato. Insomma, evento collaudato, ma sempre nel segno delle novità. «I Saloni stanno a indicare una pluralità di eventi, che

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SALONE DEL MOBILE | Carlo Guglielmi

abbraccia il salone del mobile, del bagno, dei complementi d’arredo, della tecnologia per la cucina, dei giovani. In più, si lega a doppio filo alla città di Milano, che fa da suggestiva cornice a una serie di eventi collaterali. Quanto all’apertura del sabato, si tratta di una scelta dettata dalla volontà di interpretare quanto sta accadendo sul mercato e di andare incontro all’unanime richiesta dei nostri espositori. E noi li abbiamo accontentati». Quale volume di affluenza stimate di raggiungere in questa edizione? «Il padiglione fieristico è al completo, un risultato che va al di là di ogni aspettativa. Abbiamo 210mila metri quadrati coperti da espositori, con un surplus di richieste inevase per 19mila metri quadrati perché non c’è più spazio. Siamo in attesa di conoscere i numeri dei visitatori ma, in base ai dati diffusi dalla compagnia di bandiera brasiliana Tam, sappiamo che arriveranno 10mila brasiliani, dato che ci conforta molto». In che misura tra i padiglioni si potrà cogliere la “mano italiana” nelle produzioni di design? «A mio giudizio il made in Italy esiste ancora come prima, ovvero non è mai esistito. Parlerei piuttosto di un’industria del mobile e della luce di pregevole qualità che riesce a esprimersi attraverso le associazioni di categoria come Federlegno. A riprova di ciò, basti pensare che quest’anno ci sono più di 20mila nuovi prodotti: una dimostrazione di vitalità e coraggio. All’interno di questo enorme movimento, c’è che produce oggetti originali, investe e fa ricerca, C&P

chi si accontenta di produzione più comuni e chi scopiazza». In quest’ottica, l’apertura al web rappresenta una risorsa o un’insidia? «Il web in sé è un’opportunità di visibilità che può essere sfruttata in modo positivo o negativo. Non si può tuttavia negare che il problema della contraffazione esista perché l’e-commerce è un universo senza regole, né nazionali né europee, dove le grandi compagnie, siti e portali non vogliono nessun controllo. Una situazione che, declinata sul nostro settore, produce effetti nefasti sul piano economico e fiscale. Nel caso dell’illuminazione, il rischio di chi acquista merce senza conoscere la provenienza, è di comprare prodotti privi delle più elementari norme di sicurezza. In quello dei mobili, invece, il rischio è che vengano utilizzati materiali non ignifughi, impregnati di sostanze nocive, senza contare la dubbia qualità e l’assenza di garanzie». Oltre alla visibilità, che contributo offre la kermesse in termini di inserimento dei giovani designer nel mercato? «I casi di successo di progettisti, architetti, designer partiti dal Salone Satellite e diventati importanti, e a volte persino delle star, sono innumerevoli. Credo però che il vero sapore dell’iniziativa risieda nel suo valore educativo, ma non nei confronti dei giovani. Una rassegna con 750 progettisti provenienti da tutto il mondo offre la possibilità a noi di essere educati dai giovani a comprendere il loro linguaggio, le loro modalità espressive e, dunque, un futuro che sarà il loro e solo in parte il nostro». 87


Roberto Snaidero, presidente di Federlegno Arredo

Un futuro dagli orizzonti sempre più “mobili” Con un mercato interno ancora instabile, per gli operatori del legno-arredo guadagnare quote commerciali all’estero è una necessità vitale. E la federazione guidata da Roberto Snaidero darà l’esempio di Giacomo Govoni

Far sentire la voce della buona imprenditoria e di «una filiera produttiva che in questi ultimi quattro anni ha resistito cercandosi quotidianamente i propri clienti nel mondo». È questo il compito che si ispira Federlegno Arredo, guidata da Roberto Snaidero. L’associazione, dalla cui intuizione nacque più di mezzo secolo fa il Salone del mobile, non ha mai fatto mancare sostegno e protezione ai propri associati. E anche in questa edizione ha proposto loro una grande occasione di business: incontrare i partner di alcuni tra i principali studi di architettura e interior design di fama mondiale. In quale stato di salute il comparto del legno-arredo è arrivato al Salone del mobile? «Analizzando i dati del 2011 si possono delineare in maniera evidente due binari uguali e contrari: da un lato un mercato interno che sta vivendo una situazione preoccupante, per non dire grave, mentre il mercato estero ci dà delle soddisfazioni. In un contesto di diminuzione generalizzata dei consumi, il dato specifico del settore dell’arredamento si attesta su un -14 per cento per il 2011, bilanciato in parte dal +5% 88

guadagnato sul versante del commercio internazionale». Recentemente ha sottoscritto le parole del neopresidente Giorgio Squinzi in merito alla necessità di una maggior rappresentatività del made in Italy in Confindustria: quale stagione si profila per Federlegno, alla luce del fresco cambio della guardia? «La presenza di Confindustria può fornire un impulso determinante alle nostre imprese sul fronte internazionale. Speriamo, in questo senso, nell’apporto e conoscenza delle criticità che le persone designate da Confindustria nell’ambito della nuova Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane sapranno garantire alle medie e piccole imprese. Spiazzati dalla chiusura dell’Ice, abbiamo dovuto rimboccarci le maniche e la federazione si è mossa autonomamente sui mercati internazionali. Lo scorso novembre a Chicago, ad esempio, abbiamo promosso incontri diretti tra circa venti nostre imprese e affermati progettisti di arredamenti d’interni e studi di architettura americani». Uno scambio di conoscenze che prosegue anche ai Saloni 2012». C&P


SALONE DEL MOBILE | Roberto Snaidero

Fuori dai nostri confini, a quali vetrine commerciali devono guardare le vostre imprese in attesa di una ripresa dei consumi interni? «I mercati tradizionali verso gli Stati Uniti stanno crescendo e anche sul versante europeo - penso a Francia, Germania e Inghilterra - le relazioni sono fruttuose. Ma non tralasciamo assolutamente di proiettarci nei mercati emergenti quali Cina, India e anche il Brasile, con cui stiamo proprio in queste settimane intavolando negoziati per sondare la possibilità di ridurre i dazi doganali d’importazione al momento molto elevati». Fa riflettere che un settore dall’indiscussa eccellenza qualitativa abbia proprio nella domanda interna il suo tallone d’Achille. Cosa manca, allora, perché il valore dei nostri prodotti venga riconosciuto anche in Italia? «In più occasioni ho proposto al governo di adottare sistemi diffusi in paesi come Francia, Spagna Portogallo, dove l’aliquota sull’arredamento viene calcolata come per le prime case a Iva molto ridotta. Mi rendo conto che in una congiuntura come questa la C&P

Mi aspetto che in questa edizione le imprese colgano l’occasione per presentare soluzioni all’avanguardia che consentano al nostro settore di mantenere la leadership che già ci viene riconosciuta sia a livello di design che di qualità richiesta fatica a essere accolta ma, per tenere a galla il comparto, al momento non vedo altre soluzioni. Se, come si vocifera, l’aumento dell’Iva dal 21% al 23% dovesse tradursi in realtà per noi sarebbe un colpo devastante». Qual è il ruolo delle nuove tecnologie nel settore, in vista delle sfide di mercato che incombono all’orizzonte? «Da sempre nell’arredamento sono diversi i materiali innovativi che vengono impiegati a fianco del legno. Io mi aspetto che in questa edizione del Salone del Mobile le imprese colgano l’occasione per presentare soluzioni all’avanguardia che consentano al nostro settore di mantenere quella leadership che già ci viene riconosciuta sia a livello di design che di qualità». 89



SALONE DEL MOBILE | Calligaris

La casa del design Una casa cento per cento Calligaris. Il design di uno tra i brand italiani più affermati nel mondo si diffonde in ogni spazio della vita domestica, senza mai tradire i dettami della raffinatezza e della semplicità di Andrea Moscariello

Tra i simboli più riconosciuti nel mondo del design italiano, Calligaris si presenta al Salone del Mobile di Milano con importanti novità stilistiche. Fascino, versatilità e funzionalità: questi gli elementi fondamentali dei prodotti che il gruppo capitanato da Alessandro Calligaris ha scelto di portare all’evento fieristico. Fedele alle sue origini, il marchio mostra al pubblico tre nuove sedute, nate dalla collaborazione con lo studio Archirivolto. La prima, Skin, è straordinariamente delicata, semplice ed essenziale, con la sua monoscocca, bianca o colorata, realizzata in polipropilene ad alta tecnologia. Bloom, invece, è stata definita “vivace, avvolgente e generosa”, disponibile nella versione con scocca in policarbonato trasparente o coprente e base in metallo o legno. Infine, Manta, una poltroncina dalle linee semplici ed estremamente raffinata. Il rivestimento in cuoio ne fa una seduta comoda e preziosa, adatta ad arredare sia la casa sia gli spazi comuni. Non solo, al salone vengono presentati anche gli ultimi modelli della linea tavoli e la rinnovata linea di imbottiti. Tra i tanti modelli, spicca Electa, una sofisticata e allegra poltroncina girevole dalle linee morbide e arrotondate, caratterizzata da un’ampia seduta che garantisce il massimo comfort, proposta in versione tessile o con rivestimento in pelle. Le innovazioni stilistiche e materiche rientrano

Alessandro Calligaris. Sotto, il modello Electa. In apertura, Orbital designed by Pininfarina e sedie Anaïs www.calligaris.it

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Bloom è stata definita “vivace, avvolgente e generosa”, disponibile nella versione con scocca in policarbonato trasparente o coprente e base in metallo o legno

nell’ambizioso progetto “Casa Calligaris” un concetto che, come spiega il presidente Alessandro Calligaris, «esprime al meglio la qualità, la funzionalità e l’ampiezza della gamma dei prodotti offerti». Ed ecco che i punti vendita più rappresentativi del brand stanno assumendo una nuova identità, diventando spazi arredati e illuminati come una vera e propria abitazione. A partire dal Flag Ship Store di Milano, un’area di 700 metri quadrati inaugurata nel 2008 interamente dedicata all’esposizione di mobili per l’arredamento. Un grande spazio suddiviso su tre piani che infonde nei visitatori la sensazione di essere all’interno di una vera e propria abitazione. Spostandosi da una stanza all’altra ci si immerge in un’esperienza di arredo totalizzante. Un’opportunità 92

unica per visualizzare l’intera offerta Calligaris, che contiene il frutto di importanti collaborazioni. Una su tutte, il tavolo allungabile Orbital, realizzato con Pininfarina. Un connubio perfetto tra design e tecnologia. Da un lato, l’ingegnoso meccanismo di apertura, che si regge su due eleganti bracci metallici, dall’altro una colonna in poliuretano rigido laccato, nero o bianco, che conferisce stabilità alla struttura. A bilanciare il tutto, un ampio respiro centrale capace di donare grande leggerezza e carattere. Tutte le parti in metallo a vista sono verniciate nella nuova finitura Matt Silver, dall’effetto argentato opaco che ne impreziosisce l’insieme. Orbital è la conferma di quanto un singolo elemento possa costituire una determinante presenza scenica all’interno C&P


SALONE DEL MOBILE | Calligaris

Sopra, l’area ingegno del Flag Ship Store Calligaris (Milano). Sotto, da sinistra, modello Bloom in legno. Nella pagina a fianco, il modello Bloom in metallo e il tavolo Heron

dell’ambiente domestico, imponendosi come vero protagonista della stanza. L’azienda si sta avvicinando a un traguardo importante, i primi 90 anni di attività. Dalla prima sedia Marocca, realizzata nel 1923, a oggi, la strada percorsa dal gruppo è stata lunga. Calligaris è attualmente una realtà costituita da quattro diverse società: il quartier generale con sede a Manzano (UD), la Calligaris d.o.o., in Croazia, che rappresenta la parte produttiva del legno, la Calligaris USA e Calligaris Japan, che sovrintendono rispettivamente il mercato nord americano e giapponese. Il gruppo conta 600 dipendenti e distribuisce i suoi prodotti in oltre 90 paesi nel mondo, raggiungendo un volume di produzione pari a 160 mila unità al mese con oltre C&P

7mila varianti di prodotto. «Le nostre attenzioni si focalizzano nell’evoluzione della gamma e della strategia di consolidamento e crescita dei mercati – sottolinea il presidente Calligaris –, ma anche su una maggiore attenzione verso il cliente finale, attraverso lo sviluppo di relazioni particolari con i rivenditori che diventano dei veri e propri partner». Per il futuro, un importante investimento rivolto all’internazionalizzazione, puntando in particolare al mercato europeo, un orientamento strategico al retail, attraverso il sostegno dei mercati maturi e l’apertura di nuovi punti vendita, e, infine, la strategia di marca, per costruire un’immagine riconoscibile a livello globale con un approccio sempre più focalizzato al consumatore. 93


Massimiliano Adami, designer e membro della giuria del Salone Satellite 2012

Dove s’incontrano nuovi talenti e aziende in cerca di autori Al debutto nel 2005 come designer di belle speranze, Massimiliano Adami dopo sette anni si ritrova nei panni di selezionatore. E svela come la giuria è arrivata a comporre il “cast” dei 750 creativi che animeranno questa edizione del Salone Satellite di Giacomo Govoni

Per molti designer che oggi appartengono al cosiddetto “star system”, è stato il trampolino di lancio che li ha catapultati dal rango di promesse a quello di affermati professionisti. Il Salone Satellite, che dal 1998 garantisce ai padiglioni 22 e 24 della rassegna milanese la palma dei più visitati, è un crocevia di straordinario valore per gli imprenditoritalent scout e i creativi under 35 più promettenti dello scenario mondiale. «Ormai il Satellite non è più un fenomeno – spiega Massimiliano Adami, selezionatore per l’edizione 2012 – ma una sicurezza per l’investimento che un giovane partecipante deve comunque affrontare e sostenere. Starà poi a lui giocarsi bene le sue carte». Una trafila che Adami conosce, «perché, a mia volta, ho passato la selezione della giuria per la partecipazione al Satellite nel 2005. E adesso ho l’onore di farne parte». Il Satellite compie 15 anni. Vista la massiccia partecipazione di designer, si direbbe che di satellite è rimasto solo il nome. «Il Salone Satellite è da sempre dedicato a designer giovani, ai quali viene data la possibilità di affiancare 94

una grande manifestazione fieristica di assoluto valore nel campo dell’arredamento e rendersi visibili a un vasto pubblico di addetti ai lavori e generale. Starà poi al giovane talento giocare le sue carte e cogliere la fortuna che in qualche modo gira e curiosa tra le corsie caotiche del Satellite. La continua richiesta di partecipazione porta a un numero sempre maggiore di stand espositivi, i designer si moltiplicano a vista d’occhio e le scuole di design ne producono moltissimi. Per farsi notare quindi, qualsiasi mezzo e qualsiasi cosa vanno bene». Secondo quali criteri siete giunti alla scelta dei giovani creativi di quest’anno? «La giuria era composta da una decina di giurati, ognuno con una forte professionalità, ma differente: architetti, critici di design e produttori. Il criterio di valutazione è stato quindi differenziato: una media dei voti determinava poi l’accettazione del candidato. Personalmente, ho valutato con favore le proposte con contenuti di ricerca e sperimentazione evidenti e innovativi, mentre sono stato più severo verso proposte esclusivamente estetiche e stilistiche. Devo C&P


LA VETRINA DEI GIOVANI | Massimiliano Adami

ammettere che talvolta mi sono trovato in difficoltà nel comprendere appieno le proposte dei progetti, per scarsa comunicazione e chiarezza delle immagini sottoposte». Nella vasta gamma di creazioni provenienti dai quattro angoli del mondo, scorge ancora tratti di made in Italy? «Con immenso dispiacere devo ammettere che tra i partecipanti italiani alla selezione per questa edizione del Satellite era evidente una forte timidezza nelle proposte, nascosta dietro un’imitazione stilistica di cliché già consolidati e digeriti, “ispirati” a oggetti icona del design anche contemporaneo. Ho la sensazione che il recente passato ci abbia offuscato un po’ la vista, spingendoci a cercare modelli di riferimento in filosofie e metodi progettuali di altri paesi, quando invece il made in Italy dovrebbe riappropriarsi del suo linguaggio distintivo, fatto di idee innovative e sapienza del fare, soprattutto artigianale». L’accurata scelta dei materiali, magari con un occhio C&P

Idea innovativa e sapienza artigianale: il made in Italy dovrebbe riappropriarsi di questo linguaggio per poter essere nuovamente riconosciuto attento all’ambiente: che sensibilità coglie in questo senso tra i nuovi designer? «L’attenzione verso i materiali ecocompatibili e rinnovabili è una fonte d’ispirazione per nuove tipologie di prodotti che i designer delle ultime generazioni propongono. La cosa più interessante, tuttavia, è la loro spiccata consapevolezza nell’uso del materiale, attraverso una progettazione attenta a non produrre scarti, a ridurre la lavorazione per utilizzare meno energia, o progettare lo “scarto” affinché abbia a sua volta una funzione e una sua vita di oggetto. Non da ultimo, l’utilizzo delle nuove fonti di energia. Questa sensibilità, abbinata a soluzioni estetiche chiare, semplici, in cui il tema ambiente stimola il pensiero senza bisogno di spiegazioni aggiuntive, creerà un oggetto che farà più della raccolta differenziata di un’intera città». 95


La freschezza delle idee espresse in libertà Dotata di un fervido talento narrativo con una predilezione per i richiami naturalistici, Alessandra Baldereschi è una delle interpreti più apprezzate della nuova generazione del design d’arredo. Il suo credo? «La ricerca della bellezza nel quotidiano aiuta a vivere meglio» di Giacomo Govoni

La giovane designer milanese Alessandra Baldereschi

Nella scorsa edizione del Salone Satellite aveva incantato gli appassionati di arredo creativo con un set per esterni, composto da sedia, poltrona e tavolino, interamente realizzato in ferro. Nell’edizione di quest’anno invece, Alessandra Baldereschi opta per una soluzione adattabile sia all’indoor che all’outdoor, inserita nella collezione Wundercabinet. «Una serie di contenitori, armadio e cassettiera – rivela la progettista milanese – ricoperti da un innovativo rivestimento in legno e impreziositi da pomelli in pietra». Con un curriculum che, a dispetto della giovane età, conta già svariate partecipazioni alle vetrine internazionali del design, da Seoul ad Amsterdam, passando per l’International Contemporary Furniture Fair di New York, Alessandra Baldereschi espone l’ultimo frutto della collaborazione con il marchio Skitsch, azienda di design contemporaneo, lanciata quattro anni fa, proprio in occasione del Salone del Mobile di Milano. Oltre ai suoi prototipi, cosa ha progettato per i settori cucina e bagno, al centro della scena in questa edizione? «Per la cucina presento, con l’azienda Seletti, una nuova collezione: Florigrafia. È il primo risultato di un più ampio progetto di ricerca che prende le mosse dai cataloghi storici dell’azienda: abbiamo selezionato alcuni degli oggetti tipicamente “made in China”, fortemente riconoscibili e rivisitati con un nuovo linguaggio, mantenendo la funzione originaria e la particolare espressione di artigianalità». Quali spunti ha tratto dall’esperienza giapponese e che traccia hanno lasciato nel suo modo di intendere il mestiere di designer? «In Giappone ho imparato che la forza si può esprimere con un gesto lieve e che la ricerca della bellezza nel quotidiano aiuta a vivere meglio». Come nasce e come si svilupperà prossimamente la collaborazione con Skitsch?

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NUOVI LINGUAGGI | Alessandra Baldereschi

Florigrafia è il primo risultato di un ampio progetto di ricerca in cui alcuni oggetti tipicamente “made in China”, sono stati rivisitati con un nuovo linguaggio, mantenendo la funzione originaria

«La mia collaborazione con Skitsch inizia nel 2008 con la nascita dell’azienda. Ho trovato subito disponibilità nei confronti delle idee e dei progetti proposti e questo mi ha permesso di esprimermi con libertà. Negli anni sono state presentate collezioni diverse: mobili, complementi, lampade, accessori, tessile. La collaborazione continua anche oggi e in questa edizione del Salone del Mobile viene presentata la collezione Wundercabinet: una serie di contenitori, armadio e cassettiera rivestiti da un innovativo rivestimento in legno e impreziositi da pomelli in pietra». Crede che esista un dosaggio ottimale tra estro e funzionalità? «Alcuni dei progetti che ho realizzato negli ultimi anni nascono da una personale ricerca sulla funzione degli oggetti. È il caso della lampada Dono, dove bicchieri in cristallo molato diventano i paralumi della lampada. I bicchieri mantengono la propria funzione d’origine, inoltre, servono ad amplificare la rifrazione della luce. Un altro esempio è il tavolino Mediterraneo, dove piatti in ceramica di varie forme si compongono su una struttura metallica e divengono il piano di un tavolino per servire l’aperitivo». La professione di designer impone un approccio di mercato sempre più globalizzato: nel palcoscenico internazionale, quale le sembra al momento lo spettatore più pronto ad accogliere le novità offerte dal mondo del design? «Nella complessità della globalizzazione uno dei rischi è quello di un’eccessiva semplificazione nel tentativo di uniformare il gusto, trascurando le diversità. Parte del mio lavoro esplora le varietà culturali e le tradizioni locali rintracciabili ovunque nel mondo, per trasformarle in prodotti adatti a un mercato globale. Il tentativo è quello di mantenere la memoria di un luogo o di una precisa abilità».

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Accomodarsi nel salotto delle idee La loro missione è la continua ricerca del benessere, del comfort, di appagamento di spirito e corpo. Marco e Alessio Pappa sono il braccio e la mente di una giovane realtà del design italiano di Giacomo Govoni

Con il potere magnetico del talento creativo proveranno a “mettere a sedere” quanti più visitatori possibile. È la speranza comune di Marco e Alessio Pappa, ideatori del marchio Cromatina Design, per la quarta volta fra i protagonisti del Salone Satellite, nell’ambito della kermesse milanese consacrata al design. Tra i 15 giovani autori che hanno firmato l’allestimento di questa edizione, ispirato al tema “Design<->Technology”, i due fratelli esporranno le opere che chiudono “Sedute in movimento”, il loro progetto più importante. «Dire sedie o sedute, permettetemi di dirlo, è un po’ riduttivo – spiega Marco – noi preferiamo definirle opere d’ingegno, pensate per stupire e suscitare emozioni anche solo osservandole». Come sedurrete i visitatori che visiteranno il vostro spazio? «Ogni seduta della collezione, dall’Ominpak all’Atomo, dalla Natural Equilibrium alla Morpho, è frutto di un flusso spontaneo di idee ispirate da tutto 98

ciò che circonda e fa parte dell’uomo nella sua più completa essenza materiale e immateriale. Le forme delle nostre realizzazioni, a forte carattere simbolico, evocheranno le memorie più arcaiche e profonde dei nostri visitatori, quelle memorie innate che ci accomunano e ci rendono simili. Quest’anno a completare la collezione ci sarà la Black Diamond, una chaise longue realizzata interamente in cristallo fumè che ricalca le linee pure e regolari del diamante. Nella sua naturale perfezione rappresenta l’espressione massima dell’eleganza e del prestigio, un vero e proprio gioiello carico di energia attrattiva, una forma che evoca sensazioni di oggettiva bellezza e rarità». Che genere di sensibilità aspirano a colpire le vostre creazioni? «Il progetto “Cromatina sedute in movimento”, presentato e completato nelle tre precedenti edizioni del Salone Satellite, racchiude una collezione di sedute che interagiscono con l’utente. Provarle è C&P


SEDUTE D’INGEGNO | Marco Pappa

Marco e Alessio Pappa, designer di Cromatina Design

Le nostre realizzazioni sono rivolte per lo più al contract, ma sono già in cantiere progetti che rispondono alle esigenze del pubblico per funzionalità

come ascoltare una storia attraverso le proprie sensazioni, ci si trova subito catapultati in un’altra dimensione. Sedie in grado di trasportare, rilassare, cullare, proteggere, divertire. L’aspettativa più grande per noi è stupire, suscitare nel cliente una sensazione positiva, un’esclamazione, un sorriso, un impulso spontaneo a provare le nostre creazioni, un’emozione unica che merita di essere ricordata». Quali designer o esperienze hanno segnato in maniera più significativa la vostra formazione? «Cromatina si ispira al più grande dei maestri: la vita, intesa nelle sue svariate forme, nei suoni e nei colori, nelle sue molteplici verità e misteri. Le esperienze personali forgiano il carattere che si trasmette poi in ciò che si realizza. Penso che l’esperienza con il pubblico ci abbia dato fin da subito una forte carica ad andare avanti. L’approvazione, il consenso e l’ammirazione sono tutte componenti che ci spingono a fare sempre meglio. Si innesca anche un senso di responsabilità, quello di non deludere le aspettative. La nostra C&P

formazione non arriva da un percorso classico, siamo autodidatti, ci siamo fatti sul campo documentandoci, provando e riprovando senza abbatterci davanti alle difficoltà. Non esiste, secondo noi, scuola migliore al mondo che possa insegnare all'uomo la fantasia». Qual è il fondale che meglio si abbina alle vostre realizzazioni e a cui penserete in vista dei futuri concept? «Le nostre realizzazioni sono rivolte per lo più al contract, ma sono già in cantiere progetti che coprono altri livelli di mercato e rispondono alle esigenze del pubblico per funzionalità. Stiamo cercando di cogliere le esigenze del pubblico e come possono essere soddisfatte. Questa ricerca favorisce molto spesso l’ispirazione per il lampo di genio. Non poniamo limiti alla creatività, ogni progetto è, e sarà sempre, il benvenuto. Non escludiamo le collaborazioni e le sinergie con altri studi, è già in cantiere un progetto denominato “Cromatina la fabbrica delle idee”, che favorirà proprio il lavoro collettivo e la cooperazione». 99


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foto Marco Curatolo

LA CASA DEL DESIGN | Silvana Annicchiarico

Silvana Annicchiarico, direttrice del Triennale Design Museum di Milano

Il paesaggio della grafica italiana Silvana Annicchiarico descrive “Italy: the Graphic Landscape”, la quinta edizione dell’allestimento del Triennale Design Museum. Un percorso visivo, storico e culturale del graphic design italiano di Adriana Zuccaro

Comincia con la gigantografia di un libro completamente bianco. Per poi evolversi in percorsi visivi che descrivono la storia, la cultura e le espressioni più significative del graphic design italiano. «La grafica è spesso stata considerata una pratica ancillare rispetto al design in senso stretto, ma è una visione distorta e fuorviante, e questo allestimento del Triennale Design Museum proverà a dimostrarlo». Silvana Annicchiarico, direttore del museo, parlando della mostra appena inaugurata, avverte i visitatori. «Chi pensa che quello della grafica sia un mondo in bianco e nero resterà stupito». Quali momenti chiave del graphic design italiano ripercorre la mostra e verso quali proiezioni spinge il visitatore? «Questa edizione del museo si concentra prevalentemente sul Novecento, con una forte presenza del periodo che va dal secondo dopoguerra agli anni Ottanta, ma con continui rimandi sia al periodo fra le due guerre, sia ai lavori più recenti, non dimenticando le radici che affondano in un tempo più lontano, come per esempio la produzione neoclassica di Bodoni, la stagione dei grandi cartellonisti come Dudovich, C&P

i Futuristi, ma anche la cultura razionalista di Campo Grafico. Come già nelle passate edizioni, anche questa volta il museo proverà a innescare cortocircuiti fra passato, presente e futuro». Attraverso quali scelte l’allestimento parteciperà alla valorizzazione della creatività grafica? «L’allestimento di Fabio Novembre comincia con un libro bianco aperto, in scala gigante, che accoglie i visitatori marcando la potenza e la forza della grafica. Quello che segue è un percorso labirintico che dà a ciascuno la possibilità di rintracciare i propri fili, i propri percorsi. C’è una componente cromatica molto evidente: Fabio Novembre gioca con l’arcobaleno e usa i colori come tratto connotativo e caratterizzante. Chi pensa che quello della grafica sia un mondo in bianco e nero resterà stupito». Quali forme ed espressioni prevalgono nell’esposizione? «La mostra è articolata per tipologie di artefatti: il libro, la stampa periodica, pubblicità e propaganda, il segno, la veste dei prodotti, lo stampato d’uso comune, la misura del tempo, le architetture grafiche. Rispetto alle 101


Qui sopra, render del progetto di allestimento del Triennale Design Museum curato da Fabio Novembre. Nelle altre immagini alcuni alletimenti delle passate edizioni.

precedenti edizioni, non ci siamo solo spostati dal design tridimensionale a quello bidimensionale; cerchiamo anche e soprattutto di mettere a fuoco il complesso e stratificato paesaggio visivo dei segni. La grafica è spesso stata considerata una pratica ancillare rispetto al design in senso stretto, ma è una visione distorta e fuorviante, e questa nuova edizione proverà a dimostrarlo». Su cosa si fonda la scelta delle tematiche che di anno in anno intitolano i vostri allestimenti? «Partendo dal presupposto che la storia del design non è stata ancora scritta in maniera definitiva e compiuta, il museo si è posto l’obiettivo di rispondere a una domanda semplice ma fondativa: “Che cos’è il design italiano?”. Ogni edizione del museo si configura come nuova, possibile risposta a questa domanda, nella convinzione che la storia del design necessiti di più sguardi e sia costituita da percorsi diversi anche se intrecciati fra loro. Siamo partiti cinque anni fa indagando i modi ricorsivi e ossessivi del design italiano con “Le sette ossessioni del design italiano”, per esplorare subito dopo le diverse modalità del produrre in Italia, attraverso “Serie fuori serie”. Con “Quali cose siamo” abbiamo poi cercato di ampliare i confini della disciplina esplorando i territori 102

della cultura materiale, quindi abbiamo provato a raccontare le gesta dei capitani coraggiosi, cioè gli imprenditori, protagonisti del nostro design attraverso “Le fabbriche dei sogni”». Come si evolverà il programma 2012 del museo? «Per quel che riguarda gli altri progetti programmati per quest’anno, il museo intende proseguire e intensificare il processo di internazionalizzazione, facendo scoprire o riscoprire ovunque la grandezza e l’unicità del design italiano. Stiamo poi rafforzando quel processo di costruzione di nuovi spazi pubblici che negli ultimi due anni ha trovato nelle attività ludiche ed educative realizzate dalla sezione Kids del museo un inatteso successo e un crescente interesse. Intendiamo anche intensificare il dibattito su questioni urgenti legate alla cultura del progetto. Durante il Salone vedremo un importante omaggio a un gruppo storico, visionario ma razionale come De Pas, D’Urbino e Lomazzi e una piccola esposizione interstiziale sul lavoro di Lorenzo Damiani in rapporto al Palazzo dell’Arte della Triennale di Milano. Infine, abbiamo anche in cantiere alcune mostre che mi auguro possano essere sorprendenti, spiazzanti e non scontate». C&P



VISUAL AND SET DESIGN | Max Falsetta Spina

Max Falsetta Spina e, nelle altre immagini, il concept per le vetrine di Ralph Lauren www.overtherainbow.it

Spazi che si rapportano con i sensi Max Falsetta Spina, fondatore dello studio Overtherainbow, ha firmato le vetrine di alcune tra le più importanti case di moda al mondo. Un estro che ha convinto stilisti, scenografi, editori e persino il Pontefice di Andrea Moscariello

Dare corpo alle nuove idee attraverso tecniche, e mestieri, differenti. È difficile definire il lavoro di Max Falsetta Spina. Classe 1980, una propensione innata per le belle arti, ma anche un’abile maestria imprenditoriale, è ritenuto da molti uno dei più giovani prodigi nell’ambito del visual and set design. Dai concept store per l’alta moda alle scenografie teatrali, dall’arredamento d’interni alle copertine di libri fino alle campagne pubblicitarie. Un fulcro di creatività che ha collaborato con alcuni tra i principali player della moda internazionale. Questo Cavaliere del Lavoro under 40, nomina ricevuta nel 2011 a seguito della realizzazione dell’Evangeliario per la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II, si sta ponendo sempre di più sotto i riflettori. Dopo Les Copains, Alberta Ferretti, Pomellato, Marville, De Kuba, Nike, Swatch e Bikkembergs, solo per citarne alcuni, il designer mostra al mondo i suoi prototipi per le vetrine del marchio Ralph Lauren, realizzati insieme allo staff della sua società di Lissone (MB), la Overtherainbow, specializzata nella realizzazione di scenografie, special event, interior design e allestimenti vetrinistici. «Sono due anni che collaboriamo con Ralph Lauren – spiega Max Falsetta Spina –. Un periodo nel 104

quale abbiamo svolto un’intensa analisi delle direttive della casa di moda, al fine di realizzare vetrine su misura in collaborazione con i loro creative coordinator per i punti vendita di Milano, in Via Montenapoleone, ma anche a Gstaad e St. Moritz». Dunque un lavoro costante e collaborativo? «Certamente. Con Overtherainbow abbiamo offerto, nove volte all’anno, una consulenza tecnica e costruttiva per i punti vendita di Milano, in Via Montenapoleone, ma anche a Gstaad e St. Moritz». Quale approccio predilige nel concepire questi spazi? «Inizialmente, come avviene per tutti i progetti, si parte da un’analisi preliminare della richiesta. Si prendono in esame le tempistiche, la logistica, gli aspetti creativi e tecnici. Si tratta di un processo che avviene all’interno della nostra sede. In un secondo momento si fissa un incontro, in cui vengono discussi tutti i fattori coinvolti. Lo scopo è quello di dare un buon fine al progetto, offrendo una consulenza specifica sull’argomento, concordando il lavoro in base alle necessità e alle tempistiche richieste». C&P


Ospitalità e pulizia nell’insieme, eleganza e raffinatezza al contempo, efficacia di comunicazione nello stile. Per ogni luogo occorre creare un giusto rapporto tra i sensi

Lei è sempre coinvolto, in ogni fase. «Sono fatto così, voglio gestire il tutto in prima persona per essere sicuro che non ci siano inconvenienti nella fase finale». Dopo questa prima fase di studio come procede? «Possiamo lavorare in due maniere. La prima, realizzando un progetto in forma di bozza, fornitaci dal cliente, offrendo solo la realizzazione e la consulenza. La seconda, gestendo in general contractor, dall’idea creativa, tecnica e realizzativa, l’intero progetto, proponendo un mio gusto estetico personale. Il tutto coordinandone ogni minima fase». Osservando il suo lavoro con Ralph Lauren, emerge chiaramente l’allure e l’impronta della casa di moda. Quali nuove esigenze vanno assecondate, oggi, nel concepire un retail store? «Ospitalità e pulizia nell’insieme, eleganza e raffinatezza al contempo, efficacia di comunicazione nello stile. Sono sempre più convinto che per ogni luogo occorre creare un giusto rapporto tra i sensi. Ogni persona, osservando ciò che creiamo, deve C&P


elaborare in sé un ricordo e un’associazione ben precisa relative al brand. Occorre, per intenderci, un giusto rapporto tra la comunicazione visiva e la valorizzazione del concept brand. Nel caso delle vetrine per Ralph Lauren, i tratti utilizzati derivano dal voler ricreare perfettamente, in ogni dettaglio, la raffinatezza, le ambientazioni scenografiche e il design di ogni collezione esposta». Il suo studio è sempre stato attento alle applicazioni tecnologiche. In particolare quanto utilizzo viene fatto delle tecniche 3D? «Il nostro modus operandi consiste nell’utilizzare tutte le forme di visualizzazione, dal bozzetto fatto a mano, o scansionato e colorato con fotoritocco, fino al progetto tecnico in 2 e 3D. Per ogni progetto adottiamo diverse soluzioni per ottimizzare il tempo di realizzazione. Oggi non bisogna mai dare per scontato che la manualità nella realizzazione dei progetti venga ripagata in quanto segno di competenza e professionalità. Bisogna essere in grado di utilizzare ogni forma di tecnologia. Non sono un ripiego, ma un’evoluzione». C&P


VISUAL AND SET DESIGN | Max Falsetta Spina

L’Evangeliario realizzato dalla Overtherainbow in occasione delle celebrazioni per la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II (Roma, 2011)

Come descriverebbe la sua realtà creativa? «Overtherainbow ha la mission di far sognare il pubblico attraverso le creazioni, coinvolgerlo con la qualità delle realizzazioni e sorprenderlo con l’innovazione delle soluzioni. Il nostro know how ci permette di sviluppare un’offerta completa e integrata, che si adatta alle diverse esigenze e potenzialità del cliente con tecniche innovative e originali. Soprattutto, posso contare su un creative team che si contraddistingue per originalità, freschezza e immediatezza delle risposte alle diverse necessità di comunicazione, grazie alla professionalità di scenografi, creativi e tecnici specializzati che da anni si occupano della progettazione e realizzazione di scenografie, allestimenti vetrinistici, design d’interni, oltre che dello studio di nuovi concept store su scala nazionale e globale. Il nostro studio valuta le tendenze internazionali del mercato per poter offrire soluzioni all’avanguardia per tecnologia e originalità di immagine». Cambiamo scenario. Come si è giunti alla C&P

realizzazione dell’Evangeliario? Cosa rappresenta, per voi, questo progetto? «Siamo stati contattati per una gara di appalto che coinvolgeva altre due aziende. L’averla vinta rappresenta, per me, una gratificazione per la serietà e professionalità dimostrate. Una soddisfazione che mi ripaga dopo oltre un decennio di continui studi e sperimentazioni. Così, in tempo record ho ingegnerizzato e realizzato questa installazione di cinque metri per quattro in soli dieci giorni, posta nel Braccio di Carlo Magno in Vaticano come ingresso della mostra dedicata a Giovanni Paolo II, voluta dall’attuale Pontefice, per un evento mondiale come è stata la beatificazione di Carol Wojtyla». Su cosa si sta concentrando, ora, con il suo team? «Abbiamo da poco consegnato, per la Sony Europe, una spettacolare installazione al Photoshow di Roma. L’opera è stata inserita in un evento in cui sono stati ricreati alberi e farfalle colorate, tutti concepiti, in ogni dettaglio, da Overtherainbow. Nei prossimi mesi, poi, continueremo a lavorare con i nostri principali committenti». 107


Nuovi concept creativi «Accostare materiali differenti tra loro, per ottenere effetti sempre nuovi. Rimanere legati alla tradizione, sperimentando materiali tecnologici e innovativi, per rivoluzionare la classica concezione degli oggetti». Diego Maria Piovesan spiega la sua visione del design di Guido Puopolo Prendere spunto dalla realtà che ci circonda per cercare di creare oggetti e servizi atti a soddisfare al meglio i nostri bisogni, o semplicemente migliorare ciò che già ci circonda. È questa l’idea alla base del lavoro di Diego Maria Piovesan, designer milanese e titolare dello studio Dmp Design. «Il designer è colui che, interpetando le esigenze dei propri interlocutori, è in grado di trasformare e rendere unici anche quegli oggetti che fanno ormai parte della nostra quotidianità», afferma Piovesan. Una filosofia che ha trovato perfetta applicazione in un progetto recentemente realizzato dallo studio per conto del marchio Laura Meroni, che ha affidato proprio a Dmp Design la creazione di una nuova collezione di porte e boiserie.

Quali sono gli elementi principali alla base di questa collezione? «Le porte della collezione Bamboo sono state pensate per diventare un elemento decorativo della casa, e non soltanto tecnico e funzionale. Sono caratterizzate da una sequenza di canali lignei di grandezze diverse, all’interno dei quali sono inserite barre laccate di molteplici colori, simili alle canne di bamboo, che si prestano a numerose combinazioni cromatiche. La particolarità più significativa è però data dal fatto che, grazie a un ingegnoso meccanismo appositamente studiato, la posizione di queste particolari barre può essere modificata, di volta in volta, dal cliente stesso, che può così personalizzare con la massima semplicità la propria porta, rendendola davvero un “pezzo unico”».


DESIGN | Diego Maria Piovesan

In apertura una porta della collezione Bamboo disegnata per Laura Meroni dallo studio Dmp Design di Lentate sul Seveso (MB) e, nel tondo, Diego Maria Piovesan. Qui sopra una foto scattata durante i rilievi presso il Museo di Arte Islamica di Doha e lo staff di Dmp Design. A fianco il bracciale realizzato per Partitalia, dotato di chip di riconoscimento e pensato per il controllo degli accessi in zone ricreative come villaggi turistici, piscine e palestre - www.dmpdesign.eu

Nelle sue creazioni, quali sono i materiali che predilige? «Mi piace accostare materiali anche molto differenti tra loro, per ottenere effetti sempre nuovi. Nonostante sia molto legato alla tradizione, da un po’ di tempo mi sto dedicando alla sperimentazione di materiali tecnologici e innovativi, capaci di interagire con l’ambiente circostante e le persone, rivoluzionando così la classica concezione degli oggetti». Non solo design, però. Il suo studio negli ultimi anni ha sviluppato competenze trasversali. «All’interno dello studio lavorano giovani professionisti con skills e attitudini differenti, che spaziano dal disegno 3D alla renderizzazione, dalla ideazione e ingegnerizzazione di elementi di arredo alla progettazione grafica per la creazione di cataloghi e presentazioni. Devo dire che questa impostazione sta riscuotendo un consenso sempre maggiore tra i nostri committenti, che in questo modo possono contare su un unico referente capace C&P

di fornire loro un pacchetto “chiavi in mano”, soddisfando anche le più specifiche esigenze. Tra gli interventi più importanti ultimati di recente possiamo citare l’ingegnerizzazione degli arredi interni del Museo di Arte Islamica di Doha, in Qatar, la realizzazione dei disegni esecutivi degli arredi dello Stradivarius Hotel ad Amsterdam e dell’Hotel Barvica a Mosca, senza dimenticare le proficue collaborazioni instaurate con realtà del calibro di B&B, Poliform, Cassina e ColomboStile». Su quali progetti, infine, vi concentrerete nei prossimi mesi? «Attualmente stiamo seguendo, a Londra, i lavori di ingegnerizzazione degli arredi e delle finiture interne di più strutture di grande valore, come l’Hotel ME. Questo progetto, curato dallo Studio Foster & Partner, è stato commissionati da B&B Contract in funzione delle Olimpiadi del prossimo agosto. Una vetrina eccezionale, attraverso la quale continueremo a promuovere l’“italian style” in giro per il mondo». 109




© foto Ezio Manciucca

Alessandro Geneloni della boutique-studio Taf House Design di Milano www.tafhousedesign.com

Tra funzione e contenuto Alessandro Geneloni ha pensato il suo spazio più come un laboratorio di idee e una boutique che come uno show room. Il suo modus operandi come partner nella scelta dei materiali, ha come fine la realizzazione di interni ed esterni che “vestano” lo spazio come un abito su misura di Luca Cavera

«Ogni elemento, inserito in un ambiente, ha una sua qualità estetica e una sua funzione. Tuttavia la scelta dei materiali ha come fine ultimo non già quello di creare spazi che abbiano soltanto una funzione, bensì anche un contenuto: affinché lo spazio sia l’espressione della personalità e dello stile di vita di chi lo abita. E in quanto tale, dietro ogni progetto, deve necessariamente esserci una componente di creazione su misura». È questa l’idea di arredo che Alessandro Geneloni, come uno “stilista della casa”, applica nell’allestimento di un design curato dalla sua boutique-studio Taf House Design Philosophy di Milano. «L’allestimento di un interno viene arricchito da combinazioni di materiali e tessuti diversi. Questi, non solo consentono di creare varietà, ma gratificano 112

anche e soprattutto le emozioni della persona». Quanto è importante la scelta del materiale nella creazione di uno spazio personalizzato? «I materiali e i tessuti per i pavimenti e i rivestimenti sono elementi fondamentali per la creazione di atmosfere eleganti. La parola “eleganza”, se risaliamo alla sua etimologia latina, significa proprio “scegliere, selezionare”. Ogni progetto deve avere un suo studio di concept design di materiali tailor made, che lo rende unico ed esclusivo». Quali sono gli elementi che vi differenziano dagli altri punti vendita? «Il nostro più che uno show room è un laboratorio di C&P


© foto Marco Geneloni

© foto Marco Geneloni

© foto Marco Geneloni

INTERNI | Alessandro Geneloni

La scelta di materiali e tessuti è fondamentale per la creazione di atmosfere eleganti

idee, per questo abbiamo creato un ambiente diverso; è una boutique con spazio living con un’atmosfera decisamente unconventional. Questa ha un suo concept design composto con campionari di collezioni da noi scelte personalmente seguendo il nostro estro di interior decorator. Abbiamo creato, anche, una nostra collezione di parquet prefinito con texture disponibili solo presso il nostro spazio. Formati, colori, texture sono esclusivamente di lavorazione italiana con elevata qualità tecnica e sofisticato design. I vari materiali permettono di realizzare ogni tipo di design contemporaneo: minimalista, shabby chic, materico, mediterraneo, romantico e classico rivisitato, per case da abitare in ogni parte del mondo. Su richiesta del committente, C&P

poi, sviluppiamo e realizziamo pavimenti in legno e mosaici con finiture, tinte e disegni personalizzati, completando il design con la proposta di tessuti di arredo per creare armonia progettuale con tappezzerie e altri complementi». Alla realizzazione di quali progetti collabora la vostra boutique-studio? «I nostri interlocutori principali sono architetti e interior designer. Dagli spazi living privati ai grandi lounge di hotel e resort, dalle zone wellness-spa agli spazi affacciati verso l’esterno su giardini, terrazze e piscine, per finire con executive office e yacht interior. Siamo attivi sia in Italia che all’estero, con particolare riferimento al Medio Oriente». 113


Le tre anime del designer Artista, artigiano e manager. Attraverso la trasformazione di un’idea in un prodotto finito. L’esperienza di Paolo Orlandini nella progettazione di sedute di Luca Cavera

«Alla base del processo deve esserci un’idea forte. Non importa se di carattere formale, tecnico, produttivo, legata a un nuovo materiale o a una nuova lavorazione industriale. Senza una buona idea il progetto non può nascere». L’architetto Paolo Orlandini descrive così l’input del processo creativo. E prosegue descrivendo il modo in cui, nel suo laboratorio, si disegnano le sedute: «Dopo una breve fase di schizzi e disegni, si passa alla modellazione tridimensionale. Questa può avvenire al computer, ma il più delle volte la facciamo con modellini in scala e al vero. I primi modelli sono sommari, realizzati con materiali di riciclo. Poi, quando le idee si fanno più chiare e il progetto si delinea nelle sue diverse parti, si passa ai modelli definitivi e ai prototipi da presentare. Questo iter che ho riassunto in poche righe però può durare anche parecchi mesi ed è proprio questo che rende il parto creativo di un prodotto industriale estremamente gratificante». Voi create progetti che saranno poi realizzati in serie. Qual è il vostro approccio con i produttori? «L’interazione e il dialogo con i produttori per i quali disegniamo sono fondamentali. Un progetto è valido se pensato al momento giusto e per l’azienda giusta. La cosa migliore è ovviamente lavorare su un brief specifico sul quale l’azienda ha già focalizzato gli obiettivi – in questo modo si evita di andare fuori tema e di perdere tempo su strade sbagliate. Se non esiste una richiesta specifica, invece, è importantissimo studiare il catalogo del produttore e dei suoi concorrenti diretti per evitare ripetizioni e prodotti che non avrebbero mercato. In questo si rivela la natura profonda del designer, allo stesso tempo artista, artigiano e manager. Queste tre C&P


INTERNI | Paolo Orlandini

L’architetto Paolo Orlandini e lo staff dello studio Orlandini Design di Sedriano (MI). A lato, sedia Boba e Poltroncina Collier. Sotto, tavoli Table www.orlandinidesign.net

figure diverse concorrono tutte nelle varie fasi che portano dall’idea al prodotto finito». Quali saranno le principali novità che mostrerete al Salone del Mobile? «Presentiamo due nuove sedute, una sedia in legno – Boba, prodotta da Zilio – e una poltroncina imbottita – Collier, prodotta da Casprini. Alla base del progetto di Boba c’è il tentativo di eliminare ogni tipo di discontinuità formale e materica fra struttura portante in massello e scocche in multistrato. Infatti, la superficie del sedile si plasma nello spazio diventando le gambe anteriori e annullando, almeno in parte, l’effetto cartaceo che solitamente hanno sedili di questo tipo». Quali sono le caratteristiche dell’altra seduta che presenterete? «Collier è una poltroncina in poliuretano integrale con telaio metallico, gambe in tubolare d’acciaio o C&P

in pressofusione d’alluminio o in legno. La scocca, dalla forma molto avvolgente, è caratterizzata da una sorta di effetto colletto che corre perimetralmente lungo i braccioli e lo schienale, abbracciando così chi è seduto. Questo, oltre a conferire un carattere particolare al prodotto, rende più morbide e ricche a livello tattile le superfici di contatto con braccia e schiena». Presenterete anche altri elementi di arredo? «Un esempio può essere la linea di tavolini Table, prodotta da Minottiitalia. Sono tavolini bassi con piano in Mdf laccato e gambe a slitta in tondino cromato. Ciò che caratterizza questo progetto non è soltanto l’immagine insolita del basamento formato da più slitte randomizzate, ma il loro dialogo con il piano di appoggio. Queste sono fissate al di sotto del top e lo attraversano da parte a parte, affiorando in superficie e diventandone il tema decorativo». 115


INTERNI | Laura Tosi

L’architetto Laura Tosi, che esercita la professione a Milano www.lauratosi.com - arch.tosi.laura@tiscali.it

La casa come rifugio L’architettura organica vivente applica i postulati dell’antroposofia di Rudolf Steiner alla progettazione degli ambienti. L’obiettivo, come spiega Laura Tosi, è appagare l’anima di chi li abita di Francesco Bevilacqua

La visione olistica, complessiva, integrata, in cui ogni elemento è parte di un tutto ed è da esso imprescindibile, così come il microcosmo si inserisce nel macrocosmo, è alla base della visione steineriana, che il grande filosofo austriaco applicò a molte discipline, dalla medicina alla pedagogia, dall’agricoltura alla sociologia. In architettura, l’approccio che si ispira a questi principi è quello portato avanti dall’architettura organica vivente. «Secondo questa visione – spiega l’architetto milanese Laura Tosi –, l’elemento architettonico ha il compito di dialogare con tutto l’uomo fatto di corpo, anima e spirito. L’obiettivo non è solo dar vita a un interno nel rispetto dell’uomo e della natura, soddisfare i cinque sensi, garantire un benessere igrotermico, acustico e luminoso, ma vuole soprattutto appagare l’anima». Partendo dal concetto antroposofico di “casa come luogo dell’anima”, il lavoro inizia dal colloquio con il cliente, come precisa Tosi: «Coinvolgerlo nella progettazione attraverso un lavoro di dialogo, di scambio, di ascolto alla ricerca di un’immagine che ci 116

guidi è il miglior modus operandi. Perché, come diceva Rudolf Steiner, l’immagine è il linguaggio dell’anima». L’interno domestico deve essere percepito come un rifugio dal mondo esterno, un luogo in cui rilassarsi e rigenerarsi, azioni che ognuno di noi fa in maniera diversa. «Identificare quei modi, dare loro una forma, un colore e una texture è l’obiettivo dei miei interventi. Perché noi siamo, consciamente o inconsciamente, sensibili all’ambiente in cui viviamo, lo influenziamo e ne siamo influenzati». Durante la progettazione, l’applicazione del concetto della “soglia” pone l’attenzione sull’ingresso dell’abitazione: «Quella è la zona di passaggio tra microcosmo, l’abitazione, e macrocosmo, il mondo esterno. Anche un piccolo appartamento o un open space devono avere un ingresso che tagli fuori l’esterno per introdurci nel nostro mondo personale, così come in antroposofia la soglia segna il passaggio fra l’intelletto e lo spirito, la “vita interiore”. Alla moda quindi preferisco sobria eleganza, semplicità e sostenibilità, perché gli interni devono raccontare la verità dell’anima». C&P



INTERNI | Stefania Alesi

Interno di una villa ristrutturata dall’architetto Stefania Alesi di Roma - alesi.s@tiscali.it

Spazi per il vissuto Una ricerca sulla materia e la luce. Uno spazio aperto modulato attraverso partizioni mobili che lo scandiscono. Le ristrutturazioni dell’architetto Stefania Alesi di Luca Cavera

«In ogni progetto cerco di individuare le caratteristiche peculiari e l’essenza di uno spazio per poi arrivare ad una personalizzazione degli ambienti con materiali e arredi pensati per quel luogo e ottenere così un’architettura vissuta, dove lo spazio e l’arredo diventino parte integrante della vita di chi ne usufruisce». Questo l’approccio che l’architetto Stefania Alesi applica nel momento di avviare una ristrutturazione. «È importante non sovvertire tutto, ma dare un’impronta nuova conservando il contesto. Per esempio, nella ristrutturazione di un piano living di una villa indipendente su tre livelli – inserita in un complesso condominiale a Roma –, ho conservato quasi inalterata la distribuzione planimetrica, mentre ho riformato la natura degli spazi. Come presupposto progettuale ho cercato la massima 118

flessibilità degli ambienti attraverso un’analisi funzionale. Le divisioni sono state ottenute con partizioni mobili in legno laccato e in vetro, esaltando trasparenze, determinando luci e ombre che si animano al variare dell’intensità e dell’incidenza della luminosità del giorno». Si ottiene così un effetto decorativo di particolare impatto e la scelta degli spazi non preclude la facile riconoscibilità degli ambienti, distinti da queste quinte scorrevoli in legno e in vetro. «Gli arredi minimali e la scelta cromatica lasciano il ruolo di protagonista alla luce naturale. Tutto l’appartamento è pervaso quindi da trasparenza e luminosità, accompagnate da una ricerca materica che apre e modula gli spazi e le modalità di strutturazione delle relazioni interne, diventando momenti di costruzione di un proprio stile di vita». C&P



Lavoro e contemporaneità Nella creazione e nell’arredo degli spazi di lavoro il committente è il vero protagonista del progetto e collabora attivamente alla sua realizzazione. L’esperienza di Massimo Gianquitto della Level Office Landscape di Erika Facciolla

Al centro, Massimo Gianquitto insieme al team della Level Office Landscape. Nelle altre immagini, uffici realizzati dall’azienda di Rovagnate (LC) - www.levelofficelandscape.com

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Per l’architettura moderna il concetto di “contemporaneità”, costituisce un traguardo, una scelta obbligata che si traduce in un potente linguaggio che scandisce e ridefinisce gli spazi del vivere moderno. È questa la filosofia della Level office Landscape, azienda diretta dagli architetti Massimo Gianquitto e Lanfranco Lezzeni che opera al fianco di importanti partner nazionali e internazionali nel settore arredo per uffici. Come sottolinea Massimo Gianquitto «il cliente non è il semplice utilizzatore degli spazi o dei prodotti, ma è un importante alleato che condivide con l’azienda la creazione del proprio luogo di lavoro». Dunque, il progetto diventa il risultato di una paziente sintesi fra necessità, aspirazioni, budget, requisiti tecnico prestazionali, funzionali e di servizio. Per questo Level office Landscape ama definirsi il “kiton” dell’ufficio, come la famosa casa di moda maschile italiana ha saputo fondere abilità sartoriale e produzione industriale per confezionare C&P


SPAZI DI LAVORO | Massimo Gianquitto

Il progetto diventa il risultato di una paziente sintesi fra necessità, aspirazioni, budget, requisiti tecnico prestazionali, funzionali e di servizio

ogni volta l’abito su misura per il proprio cliente, superando in questo modo la logica dello standard a tutti costi, della serialità omologata per abbracciare quella del progetto ad hoc. E proprio nell’ottica di ridurre al minimo le distanze tra il cliente e produttore, la Level è stata in grado di interpretare correttamente le esigenze non solo in chiave di necessità funzionali, ma soprattutto in termini di valori identificativi della committenza. «Non parlerei più di spazio di lavoro – continua l’architetto Gianquitto - ma di habitat d’ufficio in cui termini convenzionali come closed office, open space, meeting room, faticano a scomparire ma sono pur sempre superati, in quanto convivono in forme più libere e a tratti destrutturate, segno forse della necessità di dare spazio ai valori immateriali del lavoro». In questo modo Level ha finito per avvicinarsi più alle logiche del progettista che a quelle del produttore, privilegiando così la cultura del progetto C&P

rispetto alla logica del prodotto seriale. «La trasformazione fisica della materia prima in un prodotto non basta più. Il prodotto diventa il risultato ultimo del processo progettuale e del rapporto “empatico” che si stabilisce tra gli interessi e le aspettative di chi produce e di chi fruisce». Ecco perché la collaborazione con il progettista è fondamentale, poiché spesso egli è tramite tra l’azienda e il cliente. «Noi non ci sostituiamo ad esso – precisa l’architetto - ma collaboriamo per tutta la fase del lavoro, dal progetto di massima fino a quello esecutivo, e alla definizione di tutti i dettagli e particolari d’arredo, cercando di tradurre concretamente i desideri e le esigenze specifiche. Nella creazione dello spazio – conclude Massimo Gianquitto - si cristallizzano valori comuni e condivisi che ci fanno sentire parte di qualcosa di più grande, di una comunità, e che forse merita maggiore o uguale attenzione a quella che poniamo nella progettazione e realizzazione della casa». 121


SCENOGRAFIA | Roberto Ciambrone

Dentro l’evento Dietro alla realizzazione degli elementi scenografici si cela un lavoro integrato e complesso, che unisce creatività ad abilità progettuale, flessibilità a tecniche produttive all’avanguardia. Lo descrive Roberto Ciambrone di Amedeo Longhi

A sinistra, Roberto Ciambrone, titolare e direttore artistico di Scenografia International, con sede a Roma. Sopra, recupero del Tepidario a Firenze per la Mostra delle Farfalle - www.scenografiainternational.it

Progettazione, realizzazione di un bozzetto, quindi di un plastico, lavorazione delle materie prime, assemblaggio. Ecco come nasce una scenografia, grazie a un lavoro che richiede abilità e competenze paragonabili a quelle di un designer o di un architetto. Roberto Ciambrone è titolare e direttore artistico di Scenografia International, azienda che da più di vent’anni si occupa di allestimento scenografico. «Il nostro lavoro – ci spiega Ciambrone – nasce dal desiderio di concepire e realizzare la scenografia in modo originale e innovativo, cercando di uscire dai canoni tradizionali, preferendo un approccio alla progettazione da inventare giorno per giorno, che scaturisca da una moderna visione della scena e, di conseguenza, del modo in cui allestirla». Una scenografia infatti, non ha il solo compito di descrivere lo spazio e il tempo in cui si consuma l’evento, ma interagisce con l’evento stesso.

«Potremmo quasi dire – prosegue Ciambrone – che lo spettatore viene trasportato dentro l’azione e reso protagonista. Si può raggiungere questo risultato solo attraverso la realizzazione di produzione di alto livello per creatività, tecnologia e professionalità, lasciando ogni elemento in armonioso accordo con l’insieme. In questo modo si crea un autentico strumento di comunicazione a tre dimensioni». La scenografia è una vera e propria opera d’arte e per questo motivo Ciambrone ha deciso di incoraggiare l’espressione artistica dei futuri progettisti di elementi scenografici: «Collaboriamo con scuole e accademie ospitando i loro studenti, a cui offriamo la possibilità di fare una diretta esperienza lavorativa. Così facendo li vogliamo stimolare, verificando, tramite un intervento diretto, le loro capacità di percezione e organizzazione dello spazio scenico e attraverso uno specifico percorso operativo».

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ARREDAMENTO D’ESTERNI | Giordano Ernesto Sala

Realizzazioni dell’architetto Giordano Ernesto Sala di Como - www.archigesala.com

Exterior design L’ultima frontiera dell’arredamento. L’architetto Giordano Ernesto Sala spiega il rapporto che sussiste fra interno ed esterno. Un rapporto paritario per importanza da inserire nel percorso architettonico complessivo di Manlio Teodoro

L’arredamento d’esterni è importante quanto quello degli interni. Se in passato è esistita forse una qualche rivalità fra i due e una preferenza certamente esiste fra gli architetti nel privilegiare l’uno o l’altro, l’idea di sintesi potrebbe essere quella di instaurare una forma di dialogo fra le linee e i contenuti di interno ed esterno. Come spiega l’architetto Giordano Ernesto Sala: «Se ci chiediamo fino a dove si può spingere il progetto di arredamento, la mia risposta è che questo vada considerato parte integrante del percorso architettonico che inizia con le fondazioni e approda, infine, all’arredamento degli spazi esterni e interni». Nella progettazione di un arredo, di solito Sala inizia il proprio lavoro a partire da pezzi su misura. «Chi decide di rivolgersi a uno studio per l’arredamento di un ambiente lo fa con il desiderio che gli elementi vengano collegati in un 124

insieme che contempli uno di fianco all’altro il contemporaneo e l’antiquariato. La preparazione dell’architetto deve quindi essere specifica e abbracciare tanto l’antico e il restauro quanto l’arte contemporanea, per suggerire oggetti e quadri che si inseriscano armonicamente nello spazio esteticoabitativo che si vuole creare – e all’occorrenza progettare arredi su misura». Lo studio Sala di Como ha realizzato progetti di abitazione, edifici industriali, commerciali e di intrattenimento. «Molto spesso, in provincia, l’operatività di uno studio professionale compete con i grandi studi cittadini, perché è necessario affrontare tutti gli aspetti del lavoro di progetto e dei servizi accessori. Infatti, il nostro studio segue tutte le fasi complementari necessarie alla realizzazione delle opere, dai rilievi strumentali fino al disegno del logo aziendale». C&P



Professionisti del restauro Tre percorsi formativi a numero chiuso alla fine dai quali si ottiene la qualifica di restauratore. È questo il “volto nuovo” dell’Istituto superiore per la conservazione e il restauro che porta all’estero l’alta formazione italiana «riconosciuta a livello internazionale» di Tiziana Bongiovanni

Sono stati fermi quattro anni perché il titolo che rilasciava l’istituto non era riconosciuto. Ora dopo due anni dalla ripresa dell’attività le cose sono tornate a funzionare. L’introduzione della laurea specialistica in Conservazione e restauro dei beni culturali ha finalmente riordinato il settore, in cui mancava una formazione univoca. «Ma – dice l’architetto Gisella Capponi, direttrice dell’Istituto superiore per la conservazione e il restauro di Roma – i fondi che riceviamo dal ministero sono esigui rispetto a ciò di cui il patrimonio culturale nazionale necessiterebbe». Quindi lamenta la scarsezza di fondi? «Il problema dei fondi è cronico, abbiamo un budget ridotto rispetto a quello degli anni scorsi. Fortunatamente in questo periodo, grazie al Ministero degli esteri, disponiamo di entrate extra per lavori che stiamo eseguendo in altri Paesi, che ci chiedono un supporto per la conservazione del loro patrimonio culturale, soprattutto quello riguardante la formazione». Dove, precisamente? «A Belgrado, dove stiamo realizzando, con fondi della cooperazione, un centro di restauro. Abbiamo formato 126

e aggiornato personale serbo che potrà operare autonomamente. Poi siamo in Iraq, nella zona di Nassirya e a Erbil. Infine in Kosovo, dove stiamo collaborando a definire la normativa sulla salvaguardia del Paese. Presto i nostri restauratori torneranno a lavorare in Cina, un paese a cui siamo molto legati fin dalla metà del 1995, quando venne realizzato a Xian un istituto simile al nostro». In Italia il suo istituto è il migliore per l’alta formazione per il restauro? «Sicuramente le scuole di alta formazione del Ministero dei beni culturali sono quelle di più grande tradizione. La nostra è la più antica, è stata fondata da Cesare Brandi nel 1939. Le altre sono interne all’Opificio delle pietre dure di Firenze e all’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario». Quanto dura il corso di studi? «È equiparato a un corso universitario, dura cinque anni e rilascia il diploma di laurea specialistica abilitante, con il quale si può esercitare immediatamente. I nostri studenti sono persone giovani ma con esperienza di altri corsi affini, di rado C&P


RESTAURO | Gisella Capponi

Gisella Capponi, direttrice dell’Istituto superiore per la conservazione e il restauro

sono ragazzi appena usciti dalla scuola superiore». Vige il numero chiuso? «Sì, il numero dipende dal percorso formativo scelto. Attualmente i 3 percorsi formativi attivati da due anni in istituto sono frequentati da 32 allievi. L’accesso prevede una serie di prove. La prima, uguale per tutti, consta in un disegno a mano libera che riproduce un dipinto. La modalità deve rispondere a certi requisiti: tratto continuo, resa della profondità esclusivamente con il tratto senza ombre». Ma qual è il percorso più gettonato? «Quello che riguarda i beni artistici: le tele, le tavole; ma piace anche quello che riguarda le superfici decorate dell’architettura, che ha un campo d’impiego più esteso e ha al suo interno gli affreschi, i mosaici, gli stucchi». Che differenza c’è tra la laurea in archeologia e quella in conservazione e restauro dei beni culturali? «Abissale. La formazione in archeologia è di un altro tipo. Gli archeologi ad esempio dirigono gli scavi, senza mettere mano alla conservazione dei reperti, di cui si occupano fin dalla fase di ritrovamento i restauratori». Come è cambiata la situazione prima e dopo l’introduzione del titolo di dottore in restauro? «Prima la preparazione era molto disomogenea: c’erano le accademie, i corsi regionali, quelli universitari. Nessuno però specifico sul tema, il che non garantiva la qualità del restauratore. Ora ci troviamo in una situazione difficile: un mercato inflazionato in cui esistono troppi tecnici che vantano esperienze di lavoro, a fronte di una formazione precaria, e diplomati delle nostre scuole di alta formazione che non trovano lavoro». C&P

La scuola italiana è riconosciuta a livello internazionale come un esempio di eccellenza. I nostri restauratori godono di grande prestigio all’estero

Mi sembra di capire però che il problema primario però siano sempre i fondi carenti. «Infatti, basti pensare a quanto poco, ad esempio, si interviene sui manufatti tessili. Le Chiese ne sono piene». Ma a chi si richiedono gli interventi? «Alle Sovrintendenze. Noi siamo chiamati di meno perché per compiti istituzionali ci occupiamo di restauri particolarmente complessi». Ad esempio? «La “Resurrezione di Lazzaro” del Caravaggio, che abbiamo attualmente in restauro. Una tela imponente (3,80 metri per 2,85) che proviene dal Museo regionale di Messina che aveva subìto, tra l’altro, già un primo intervento nel 1951». Quanto tempo impiegherete per portarlo al suo antico splendore? «Sei mesi, periodo in cui ci impegneremo a restituire all’opera il meglio della sua leggibilità. Ci stanno lavorando tre restauratori e cinque collaboratori». Non allievi, dunque. «Esatto, però la normativa sulla scuola richiede che si lavori anche sugli originali. Ad esempio, sull’icona di Santa Romana. Gli studenti lavorano sempre sotto la guida di restauratori, in un rapporto di 5 a 1 e l’ordinamento dei corsi richiede che l’80% dell’attività venga svolta su beni culturali, cioè opere d’arte». Noi italiani facciamo ancora scuola nel mondo con i nostri restauratori? «Certamente. La scuola italiana è riconosciuta a livello internazionale come un settore di eccellenza. I nostri restauratori godono di grande prestigio all’estero». 127


Un marketplace per valorizzare il patrimonio culturale Un luogo dove costruire legami e alleanze virtuose per promuovere la conservazione dell’immenso patrimonio di beni culturali del nostro Paese. Perché «il bene culturale è volano economico e stimolo per la crescita dell’offerta turistica». Ne parla Caterina Giovannini, presidente di Assorestauro di Tiziana Bongiovanni

Fondata nel 2005, l’Associazione italiana per il restauro architettonico, artistico, urbano è la prima associazione nata per rappresentare il comparto del restauro e della conservazione del patrimonio materiale sia a livello nazionale che internazionale. È il punto di riferimento per chi voglia affacciarsi al mondo della conservazione italiana, come sintesi delle svariate discipline che in esso convergono, delle professionalità specializzate, delle tecnologie e della crescente imprenditorialità. Nell’ottica di creare per i propri associati un importante appuntamento di innovazione, integrazione e internazionalizzazione, per fare rete e sistema e per rafforzare il ruolo di eccellenza delle aziende italiane nell’approccio al mondo della conservazione nel 2010 Assorestauro ha firmato un accordo strategico con DNA.Italia, il primo marketplace dedicato alla valorizzazione del patrimonio culturale. Ne parla Caterina Giovannini, 128

presidente di Assorestauro. Presidente, di cosa si tratta? «Nell’ambito di questa partnership la nostra associazione ha contribuito all’organizzazione dell’edizione 2011 di DNA.Italia, un evento del quale riconosce il valore di piattaforma di scambio continuo e costante, un luogo dove avviare rapporti e pensare progetti in un evento orientato al matchmaking per la costruzione di legami e alleanze virtuose. Nel corso del 2012 Assorestauro dà il proprio sostegno e patrocinio a un tour nazionale di 10 convegni e laboratori B2B sul tema della riqualificazione del patrimonio costruito organizzato da DNA.Italia e Sinergie moderne network, grazie ai quali le aziende potranno presentare le proprie innovazioni e incontrare gli attori del mondo della conservazione del territorio di riferimento di ogni singolo convegno, proprio perché, ne siamo convinti, C&P


RESTAURO | Caterina Giovannini

In apertura, Caterina Giovannini, presidente di Assorestauro. Sopra, lo stand di Assorestauro all’edizione 2011 di DNA.Italia

rinnovarsi per superare la crisi è una sfida che ci deve vedere uniti». Quante aziende sono associate ad Assorestauro? «L’associazione conta al momento un centinaio di soci che rappresentano prevalentemente il mondo dell’industria e della produzione di tecnologie e materiali per il settore della conservazione, che abbraccia i campi del restauro, del riuso, dell’adeguamento di edifici o beni architettonici, artistici e storici. Assorestauro nel tempo si è poi aperta al settore dei servizi, rilievo, analisi conoscitiva, progettazione, divulgazione e promozione e, in ultimo, alle imprese specializzate con categorie OG2 e OS2». Esiste un organismo analogo negli altri paesi europei? «Esiste una rete non strutturata di associazioni a livello europeo che, pur con proprie peculiarità, rappresentano il settore. Un primo tentativo di networking tra queste associazioni e le realtà istituzionali europee è rappresentato dal progetto Evoch (www.jcyl.es/evoch ), cofinanziato dall’Unione europea, di cui Assorestauro è partner italiano, e che vede al momento la partecipazione di Spagna, come capoprogetto, Germania, Norvegia, Belgio e Austria. È un primo progetto di Networking che ha l’obiettivo di raccogliere le esperienze dei diversi paesi per la creazione di un Osservatorio europeo per i beni culturali, che spinga le politiche finanziarie dell’Unione europea verso una maggiore coscienza del bene culturale come volano non esclusivamente culturale e di identità collettiva ma economico e C&P

stimolo per la crescita dell’offerta turistica». In che rapporti vi ponete con l’Istituto superiore per la conservazione e il restauro di Roma? «Assorestauro, come accennato, rappresenta la componente industriale, produttiva del comparto. L’Icr è oggi ancora (insieme a Opificio e Venaria) l’unica scuola abilitata alla formazione di restauratori dei beni culturali, come figura professionale. Assorestauro ha svolto un’attività a supporto della nuova normativa, spingendo per rafforzare la componente imprenditoriale del comparto specialistico (OS2) per traghettare l’identità artigiana del “restauratore di bottega” entro un quadro normato di maggiore efficienza e controllo». Qual è la situazione attuale del mercato del restauro in Italia? «In un periodo di forte crisi generalizzata, proprio comparti come quello dei beni culturali hanno dimostrato di mantenere una maggiore solidità e vivacità. Se da un lato l’amministrazione pubblica sembra progressivamente ridurre o annullare i bandi di finanziamento, l’attenzione va sempre più rivolta al mondo della finanza privata, che sembra dare maggior fiducia al settore. In questo senso si sta muovendo Assorestauro, al fine di dare alla propria base associativa dei riferimenti certi e opportunità. Se da un lato, infatti, i soggetti privati sono stati attenti nell’indirizzare i loro sforzi verso temi nuovi e importanti, multisettoriali, non è stata ancora avviata quella sinergia che porti il finanziatore a richiede e verificare i requisiti degli esecutori al fine di garantire e migliorare l’intero processo». 129


L’armonia tra antico e contemporaneo “Genus Bononiae. Musei nella città” propone un percorso museale in spazi antichi recentemente restaurati, completato con l’inaugurazione di Palazzo Pepoli, sede del Museo della storia di Bologna. Ne parla Fabio Roversi Monaco di Eugenia Campo di Costa

Nella città felsinea è stato creato un percorso culturale, artistico e museale dislocato in otto edifici del centro storico, restaurati e recuperati all’uso pubblico. Nato per iniziativa del presidente della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Fabio Roversi Monaco, il progetto comprende la Biblioteca d’Arte e di Storia di San Giorgio in Poggiale, con un ricco patrimonio librario a partire dal 1500; San Colombano, con la collezione degli strumenti musicali antichi del maestro Luigi Ferdinando Tagliavini; la Chiesa di Santa Cristina, ricca di opere d’arte e sede di concerti; Santa Maria della Vita, ove è collocato il Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell’Arca; Palazzo Fava, affrescato dai Carracci e centro interamente destinato a mostre; Casa Saraceni, sede della Fondazione Carisbo; San Michele in Bosco, belvedere affacciato su Bologna ricco di opere d’arte e, infine, Palazzo Pepoli, un percorso museale e culturale dedicato alla storia, alla cultura e alle trasformazioni di 130

Bologna, dalla Felsina etrusca fino ai giorni nostri. Professor Roversi Monaco, il progetto “Genus Bononiae. Musei nella città” ha fatto riscoprire ai bolognesi, attraverso importanti restauri, alcuni degli edifici più significativi della città. Quale il valore simbolico di questo “museo diffuso”? «L’obiettivo perseguito con Genus Bononiae va oltre l’allestimento di spazi museali in senso stretto, mirando anche a dare una nuova visibilità ad architetture meravigliose, principalmente chiese sconsacrate e palazzi, di cui la città, nei secoli, aveva smarrito la cognizione. Ad esempio, Palazzo Pepoli è sempre stato uno splendido palazzo medievale del centro ma cittadini e turisti non sapevano assolutamente come si caratterizzasse all’interno. È stato quindi reinventato, restaurato e allestito dall’architetto Mario Bellini, con un progetto grafico curato dall’architetto Italo Lupi, e rivelato alla città nella sua magnificenza. Lo stesso C&P


RESTAURO | Fabio Roversi Monaco

Foto Paolo Righi

In apertura, Fabio Roversi Monaco, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna. In questa pagina, la torre in vetro e acciaio realizzata da Mario Bellini all’interno di Palazzo Pepoli

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Foto Paolo Righi

A sinistra, una sala di Palazzo Pepoli. Nella successiva, di San Giorgio in Poggiale, uno degli altri sette poli del progetto “Genus Bononiae. Musei nella città”

concetto ha guidato il restauro di tutte le altre architetture e, insieme a esse, è stato recuperato anche il concetto di “percorso”. Un percorso urbano che racconta la storia della città, si dispiega lungo le strade che diventano i corridoi dei musei tradizionali e lungo i palazzi che diventano le singole sale, inserendosi nella struttura istituzionale e collegandosi ad altri musei, pinacoteche e realtà culturali della città». Il restauro di Palazzo Pepoli e la realizzazione del Museo della storia di Bologna sono stati affidati a Mario Bellini, che ha anche realizzato la “Torre del tempo” in vetro e acciaio. Quali le peculiarità di questa struttura e come influisce sul percorso? «Tutti i restauri sono stati perfetti, quello di Bellini a mio parere è esemplare perché ha saputo far coabitare in assoluta armonia l’estrema modernità della torre in vetro e l’antichità del palazzo, in modo da rispettare l’uno e l’altro profilo. Ha realizzato una torre-ombrello di vetro e acciaio che recupera e reinventa la corte interna del palazzo, che in questo modo riacquista dignità e funzione. La sua è stata un’invenzione geniale, con la quale ha risolto il problema della circolazione all’interno del percorso. La Fondazione, infatti, possedeva solo il piano terra e il piano nobile del palazzo, e la torre in vetro e acciaio, oltre a essere estremamente scenografica, è stata anche una scelta strategica che rende possibile e fluido l’intero percorso di visita, di cui 132

proprio la torre e la corte diventano l’epicentro». Crede che l’opera di Bellini sia stata sufficientemente valorizzata o che non abbia avuto tutto il respiro che merita? «Credo che sia stata senz’altro valorizzata: stiamo portando avanti un progetto di marketing territoriale, una comunicazione molto decisa sia in Italia che all’estero e i riscontri ci sono. Con il Museo della storia di Bologna abbiamo superato le migliori previsioni: in due mesi, dal 27 gennaio, giorno dell’inaugurazione, al 27 marzo abbiamo contato circa 60mila visitatori. Numerosi sono stati, inoltre, i giudizi positivi che abbiamo ricevuto sia dalle diverse personalità che hanno visitato il museo, sia dai cittadini comuni». Il progetto Genus Bononiae rappresenta anche un criterio nuovo di proporre Bologna: un percorso in divenire che si rinnova e si arricchisce continuamente. In che modo secondo lei si potrà tenere sempre alta l’attenzione di bolognesi e turisti su questo percorso museale? «Intanto il museo è differente da qualsiasi altro presente non solo in Italia, ma in tutta Europa. Al di là del concetto di “museo diffuso”, il cui percorso offre una serie di vocazioni diverse, edificio per edificio e, nel contempo, un insieme di una completezza unica, abbiamo deciso con questo progetto di rappresentare anche un modo nuovo di C&P


Foto Paolo Righi

RESTAURO | Fabio Roversi Monaco

esporre e di raccontare la città, dinamico e innovativo, così che nessun visitatore possa dire “l’ho già visto, non ci tornerò più”. Si tratta di un percorso in divenire che non vuole mai essere uguale a se stesso. In quest’ottica intendiamo, in certi casi, ruotare le opere d’arte esposte: alcune parti rimarranno le stesse, altre invece avranno un aggiornamento programmatico in modo da offrire sempre esposizioni nuove e diverse. Credo che in questo modo, e organizzando anche di volta in volta mini mostre diverse in spazi appositi, si continuerà a tenere alta l’attenzione e si otterranno risultati notevoli». Il Museo della storia di Bologna è innovativo anche dal punto di vista tecnologico. In questo senso, qual è il concept del museo e quali particolari tecnologie vengono sfruttate a sostegno dell’esposizione? «Il museo racconta l’intero arco della storia della città e dei suoi abitanti a partire dagli Etruschi fino ai giorni nostri, proponendo una sequenza di nuclei espositivi costruiti intorno a episodi chiave, personaggi simbolici, aneddoti e temi trasversali. La presentazione di tali contenuti avviene mediante una combinazione di oggetti, immagini, elementi multimediali. Una delle caratteristiche peculiari del progetto è, infatti, l’aver realizzato in quasi ogni stanza una situazione di interattività tra il visitatore e la mostra. I rimandi alle altre realtà già esistenti in C&P

città, che vengono affiancate e non sostituite dal Museo della storia di Bologna, sono affidati a postazioni video dove vengono presentati i musei della città che hanno un nesso con un determinato tema. La comunicazione multimediale, inoltre, è ricca e diversificata e prevede diversi dispositivi: dal singolo schermo, o videoproiezione, sino alla realizzazione di ambienti complessi e interattivi per specifici approfondimenti tematici, grazie a ricostruzioni scenografiche, tappeti multimediali e installazioni immersive presenti in alcune sale. Insomma, Palazzo Pepoli, sotto ogni punto di vista, anche quello tecnologico, dà molto di più di un museo tradizionale e questo è proprio il motivo per cui io credo che continuerà ad avere successo». Nel realizzare e perfezionare il progetto, la collaborazione con personaggi illustri è stata decisiva. Quali tra le consulenze artistiche intervenute hanno dato un particolare valore aggiunto? «Per quanto riguarda Palazzo Pepoli, senz’altro gli architetti Bellini e Italo Lupi, ma numerosissime sono state le preziose consulenze, anche con riferimenti a singoli settori disciplinari: dal professor Giuseppe Sassatelli, che si è occupato del periodo etrusco, al professor Brizzi per la storia della via Emilia e della centuriazione romana, fino a molti altri nomi, conosciuti in tutta Italia, che hanno un ruolo di primo piano nelle rispettive discipline». 133


Un dialogo con la storia e la natura Per l’architetto Mario Margheritis il restauro di ville ed edifici storici non può prescindere da un dialogo costante con la storia e l’ambiente circostante. Ne è una tangibile testimonianza Villa Odescalchi–Raimondi, oggi riconsegnata al suo antico splendore di Guido Puopolo

“Che notizie ci sono di Como, mia e tua delizia, e della bellissima villa suburbana? Di quel portico dove è sempre primavera?”. Queste le parole, piene di ammirazione, con cui Plinio il Giovane, in una lettera all’amico Canino Rufo celebrava, per primo nella storia, le bellezze e i pregi della vita sul Lago di Como, tratteggiando quell’atmosfera propria della civiltà della villa del Lario, destinata a conoscere grande fortuna nei secoli presso intere generazioni di residenti e viaggiatori. Questa terra custodisce infatti un patrimonio artistico e architettonico di inestimabile valore, che ancora oggi possiamo ammirare in tutto il suo splendore anche grazie all’instancabile lavoro portato avanti negli anni dall’architetto Mario Margheritis, protagonista di numerosi e significativi 134

interventi di restauro e risanamento conservativoscientifico di alcune tra le più belle dimore d’epoca disseminate lungo i tre rami del Lago. Tra queste possiamo ricordare, ad esempio, Villa Gaeta di Acquaseria, Villa Trotti Bentivoglio di San Giovanni di Bellagio, Villa Maria e la Serra a Griante di Cadenabbia e Villa Cademartori, che l’architetto ha trasformato in residenze d’elite e appartamenti di lusso per la nuova borghesia formatasi a partire dagli anni Settanta. Ultimo ed eccezionale esempio del lavoro promosso dall’architetto è senza dubbio Villa OdescalchiRaimondi, storica dimora cinquecentesca sita nel comune di Fino Mornasco, che nel passato ha ospitato personalità del calibro di Papa Pio Innocenzo XI e Giuseppe Garibaldi. «Villa Raimondi è un miracolo di C&P


RESTAURO | Mario Margheritis

In apertura, uno scorcio di Villa Raimondi e del suo parco. Nel tondo l’architetto Mario Margheritis www.margheritis.com - www.villaraimondi.com

Il recupero conservativo di Villa Raimondi ha avuto come obiettivo la salvaguardia del patrimonio storico-artistico dell’intero complesso architettonico

equilibrio architettonico e di paesaggio naturale, al cui interno storia, arte e ambiente si fondono in un rapporto di armonie perfette», afferma Margheritis.

che ha ispirato il progetto abitativo originario e le successive rivisitazioni che hanno ampliato la struttura quattrocentesca».

Quali sono state, quindi, le linee guida seguite nel restauro di Villa Raimondi? «Il progetto di recupero conservativo di Villa Raimondi si è posto come obiettivo la salvaguardia del patrimonio storico-artistico dell’intero complesso architettonico, composto da un’ala quattrocentesca e da un corpo costruito nel Settecento, immerso in un parco di circa 50.000 mq, classificato dall’Unesco patrimonio dell’umanità per sua la ricchezza di essenze arboree. In particolare si è voluto sottrarre all’azione distruttiva del tempo la concezione culturale

Nello specifico, quali sono state le tecniche utilizzate per garantire la salvaguardia dei principali aspetti architettonici, culturali e storici che caratterizzano la Villa? «Abbiamo fatto ricorso agli stessi materiali e alle stesse tecniche dell’epoca di costruzione. L’attenzione maniacale messa nella cura di ogni dettaglio ha restituito alla Villa la sua bellezza originaria. Passando dall’impianto cinquecentesco della torre al corpo affrescato del Settecento, il recupero di Villa Raimondi ha censito i caratteri specifici dei diversi periodi storici:

C&P

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In queste pagine, la Cappella Gentilizia posta all’interno del parco, un salone interno, la piscina e il laghetto di Villa Raimondi

elementi rinascimentali convivono insieme ad architetture in stile neoclassico e a decorazioni pittoriche della scuola Lombarda. Gli affreschi interni e le decorazioni, ammalorate dall’umidità e dallo scorrere del tempo, sono invece stati portati a nuova luce grazie all’uso di tecnologie d’avanguardia, con la collaborazione di affermati laboratori per l’analisi dei materiali. L’accuratezza delle procedure di restauro ha permesso così di preservare ed esaltare le peculiarità dei vari ambienti, consentendo di far rivivere a chi abiterà la Villa il fascino del passato, senza per questo rinunciare ai più moderni comfort». Oggi Villa Raimondi ospita al suo interno un complesso residenziale costituito da varie unità abitative di grande prestigio. «Esattamente. Ogni scorcio di Villa Raimondi, partendo dal corpo centrale fino ad arrivare alla guesthouse, al 136

C&P


RESTAURO | Mario Margheritis

L’accuratezza delle procedure di restauro ha permesso di preservare ed esaltare le peculiarità dei vari ambienti della Villa

castelletto e alla ghiacciaia, esprime un carattere unico. Si passa dalle stanze sontuosamente affrescate del soggiorno di Papa Odescalchi all’affettuosa intimità degli appartamenti con camini in pietra; dai soffitti con i vecchi travi agli scorci romantici che si sviluppano nell’area più antica. La varietà degli ambienti consente a ognuno di scegliere una soluzione abitativa in sintonia con la propria personalità e il proprio carattere. Grande attenzione è stata posta anche alla valorizzazione del parco, dove oltre alla famosa Cappella Gentilizia, teatro del matrimonio fra Giuseppe Garibaldi e la giovane contessina Giuseppina Raimondi, trovano spazio un laghetto privato, una piscina, campi da tennis, un’area attrezzata per il gioco del golf, un centro benessere e un percorso vita». Lei ha realizzato opere di grande rilievo, non soltanto in Italia ma anche all’estero. Sulla base della C&P

sua esperienza, da cosa non si può prescindere quando si interviene per recuperare edifici di un così alto valore artistico? «Ho sempre cercato di porre al centro dei miei progetti il tema del rapporto tra architettura e natura, che lungi dall’essere soltanto una moda, merita attenzione e riflessioni puntuali. Chi interviene su un edificio deve inevitabilmente porsi di fronte ai cambiamenti spaziotemporali che si innescano. Indipendentemente dal fatto che si tratti di opere conservative, piuttosto che di idee sperimentali, i più significativi interventi architettonici devono essere eseguiti in dialogo con la storia. Progettare sull’esistente e ristrutturare, forse, altro non è che decifrare e far emergere gli intenti nascosti del progetto originale: questo deve essere il compito dell’architetto, che così facendo potrà contribuire ad aggiungere un nuovo capitolo a un libro infinitamente incompleto». 137


RESTAURO | Gabriele Verdesca

La GV Costruzioni ha sede a Salice Salentino (LE) www.verdescacostruzioni.it

L’architettura tradizionale salentina L’opera di recupero delle masserie, costruzioni rurali tipiche del Sud Italia, richiede particolari abilità e si fonda sull’utilizzo dei materiali edili dell’epoca. La descrive Gabriele Verdesca di Amedeo Longhi

Percorrendo le strade del Salento, non è raro imbattersi in vecchie masserie abbandonate, risalenti anche al sedicesimo secolo. Purtroppo, molte di queste versano in uno stato di grave degrado, anche dal punto di vista strutturale. «Per questo il primo intervento da fare è rivolto alle fondamenta ed è caratterizzato dall’utilizzo di soluzioni quali micropali, travi in cemento armato o iniezioni di resina per fare il consolidamento delle opere fondali», spiega Gabriele Verdesca, titolare della Gv Costruzioni, che proprio di questa attività di restauro fa la sua mission principale. Conclusa l’opera di consolidamento, si passa agli altri elementi architettonici: «I muri sono generalmente realizzati in pietra a secco, che va sempre rinforzata tramite iniezioni o perforazioni. È fondamentale anche intervenire sulle volte, che nella maggior parte delle masserie sono costruite in muratura in tufo, a vista o imbiancate a calce». Questi elementi vanno restaurati con cura: «Realizziamo una cassa armata con dei monconi in ferro zincato creando una cappa per “aggrappare” la volta in modo che essa non spinga lateralmente, rischiando di cadere». 138

Spesso però, il semplice restauro dell’esistente non è un’opzione praticabile: «In quel caso, rimuoviamo alcune parti tramite un lavoro di “cuci e scuci” e realizziamo nuove porzioni di costruzione in maniera armonica, recuperando materiali della medesima epoca, magari sul luogo stesso». È un lavoro quasi chirurgico, che utilizza materiali invecchiati con le stesse caratteristiche, in modo che il risultato finale dia l’impressione che la masseria non sia mai stata oggetto di interventi restaurativi. «Molto importante è la fase di reperimento dei materiali, in loco o altrove, sempre comunque nel nostro territorio: non è possibile inserire in una masseria antica una pietra leccese nuova di cava, perché la differenza di consistenza e colore si noterebbe subito. Questo naturalmente nel caso in cui si tratti di ampliamenti o parziali ricostruzioni di masserie esistenti; nel caso in cui dovessimo realizzare una masseria o una cantina ex novo, possiamo attingere direttamente dalle cave di pietra leccese locali, utilizzando metodi architettonici tradizionali salentini, con volte a botte, a lunetta, balaustre, cornici». C&P



Il restauro tra antiche e moderne rivisitazioni «Un mobile, una cornice o persino una grezza tavola da cantiere possono essere restaurati, riadattati e inseriti in un contesto d’arredo». Giacomo Ferro e Catia Gualdi spiegano il valore del legno e del restauro di Gianni Bredice

quali i proprietari sono tuttavia affettivamente Le mani dedite all’arte del restauro ridonano legati». Nella bottega di Giacomo e Catia, dunque, valore funzionale ed estetico agli oggetti usurati dal tempo o consegnati alla dimenticanza. «viene dato spazio anche a quei “sentimentali” che «Abitualmente si è portati a chiedere il restauro proprio non se la sentono di buttar via “la vecchia di soli mobili che abbiano un certo cassapanca della nonna”, a coloro che valore commerciale, derivante dalle si affezionano alle cose e, di fronte più svariate valutazioni: ad all’ingiuria del tempo, decidono di esempio, l’antichità del pezzo, il dare nuova vita ai vecchi oggetti di contesto storico di appartenenza, la famiglia anche se gli stessi non hanno pregevolezza dell’essenza legnosa alcun valore commerciale; e noi, che lo costituisce o la notorietà del restauratori lignei, amiamo soddisfare suo autore». È l’incipit di Giacomo questo legittimo desiderio», afferma Ferro e Catia Gualdi della bottega Giacomo Ferro. «La passione e la “Antichità e Restauro” di Milano, creatività che da sempre animano e dimora di un’arte artigiana fondata su alimentano la nostra dedizione al una filosofia di lavoro che non restauro, spesso ci permettono predilige il solo valore materiale un’originale “rivisitazione”, in chiave dell’oggetto, ma «dà uguale antica o moderna, di mobili e oggetti importanza e attenzione anche a quei lignei che all’apparenza non sembrano Antica ghiacciaia restaurata pezzi di poco valore, antichi o meno, ai più in grado di svolgere la loro originaria e trasformata in comodino 140

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RESTAURO | Giacomo Ferro e Catia Gualdi

Da sinistra, un tavolo ripreso prima e dopo il restauro, e tavolino a muro restaurato da Giacomo e Catia della bottega “Antichità e Restauro” di Milano

La rivisitazione può dar vita a un restyling che, senza stravolgere il pezzo, ne accentua la particolarità e il gusto, oppure a una creazione nuova e originale

funzione – spiega Catia Gualdi –; tale rivisitazione può dar vita, a seconda dei casi, a un restyling che, senza stravolgere il pezzo stesso, ne accentua la particolarità e il gusto, oppure a una creazione del tutto nuova e originale che, al di là di una sua eventuale utilità, fa sì che quel pezzo diventi unico e irripetibile». Presso la bottega vengono eseguiti anche lavori impegnativi su mobili di pregio e adeguati trattamenti che ne garantiscano la conservazione nel tempo. “Antichità e Restauro” è un laboratorio sempre aperto al pubblico, così che ogni committente, in qualsiasi momento, possa seguire i vari passaggi di lavorazione del mobile o altro oggetto lì consegnato. Per meglio spiegare l’eccezionale potere del restauro, Giacomo e Catia raccontano di un tavolino che giaceva abbandonato nella cantina di una cliente che, a causa del pessimo stato di conservazione, era ben pronta a disfarsene. «Sotto nostro consiglio, e con non poca incredulità, ce lo ha affidato per restaurarlo. C&P

Chiunque a vederlo così mal ridotto avrebbe assecondato la proprietaria a utilizzarlo tutto al più come legna da ardere. Con l’arte del restauro ligneo crediamo invece che tutto il legno della nostra fertile terra meriti di essere riportato a nuova vita e che ogni prodotto da esso ricavato, che sia un mobile, una cornice o persino una grezza tavola da cantiere, possa essere restaurato, riadattato e inserito in un contesto d’arredo che un buon architetto saprà sicuramente trovare». Alla fine, come sempre accade nel lavoro di restauratore, quando all’ingegno e all’esperienza si aggiunge il fondamentale ingrediente della passione, il risultato di fine restauro è sorprendente. Ciononostante, il tavolo restaurato da Giacomo e Catia «ad alcuni può apparire come un bel tavolino rimesso a nuovo, ad altri invece, come un pezzo unico che sottratto al buio e alla polvere di un’angusta cantina, vive oggi una nuova vita la cui anima porta con sé un piccolo barlume di quella donatagli dal suo restauratore». 141




I riflessi della contemporaneità Alleggerisce il peso visivo delle strutture esaltando la grandezza architettonica delle opere che riveste. Da Niemeyer a Calatrava, da Cucinella a Wolf D. Prix e Helmut Swiczinsky, l’architettura racconta il vetro e viceversa di Adriana Zuccaro

Era il 1914 quando le pagine del saggio “Architettura di vetro” annunciavano l’inizio di una nuova era per le costruzioni. «Se vogliamo elevare il livello della nostra civiltà saremo costretti, volenti o nolenti, a sovvertire la nostra architettura. Questo ci riuscirà eliminando la chiusura degli spazi in cui viviamo con l’introduzione dell’architettura di vetro», scriveva l’autore Paul Scheerbart introducendo una nuova visione fatta di schermi tra un fuori e un dentro, ombre e nascondigli, che insieme celebravano il passaggio alla nuova “civiltà del vetro”. Dagli oggetti in vitrum d’epoca romana ai mosaici dell’arte bizantina, passando dalle vetrerie di Murano, fino alle lavoratissime vetrate delle cattedrali gotiche, dai preziosismi dell’arte barocca a quelli del periodo neoclassico e poi liberty, il vetro approda agli albori della moderna architettura urbana “vestendo” la verticalità dei primi grattacieli 144

nordamericani di fine Ottocento. Vent’anni dopo la demolizione del primo grattacielo della storia eretto nel 1885, l’Home Insurance Building di Chicago, era il 1951 e veniva inaugurato l’edificio costruito con il maggior numero di lastre di vetro utilizzata in architettura fino ad allora: il Palazzo di Vetro di New York eretto su disegno di Oscar Niemeyer, sede del segretariato delle Nazioni unite. Da quel momento in poi, la progettazione architettonica non poteva più eludere l’importanza e l’efficacia della trasparenza. Perché in lungo e in largo, dal basso all’alto, il vetro alleggerisce il peso strutturale delle opere architettoniche per donare allo sguardo spettacolari riflessi della modernità. E lo sanno bene, ancor meglio dei predecessori, i contemporanei protagonisti dell’architettura mondiale. Partendo dalle ultime opere di questo 2012, un breve excursus a ritroso rende impensabile C&P


MATERIALI | Il vetro in architettura

In apertura, a sinistra, il 2-22 Quartier de Spectacles a Montreal, a destra, il campus Tsingha di Pechino progettato da Mario Cucinella. Qui sopra, il Ponte della Pace di Santiago Calatrava a Calgary

non citare nomi come quello di Santiago Calatrava, che proprio lo scorso 24 marzo ha inaugurato il nuovo Ponte della Pace a Calgary, in Canada. Un’unica navata “avvolta” in eliche circolari di acciaio rosso è stata ricoperta da un tetto in vetro che alleggerisce l’intera struttura, esalta il design delle travature tubolari e garantisce il passaggio di pedoni e ciclisti da una sponda all’altra del fiume Bow. Saltando dall’Alberta al Quebec, da pochi mesi Montreal “brilla” della nuova ammiraglia del Quartier des Spectacles, la 2-22, una costruzione avveniristica, disegnata da Aedifica e Gilles Huot Architectes, per l’inusuale ingresso a incasso angolare, per i continui giochi di luci, colori e riflessi che la doppia parete di vetro propone al “quartiere degli spettacoli” e per quell’inedito ed esplicito rimando vetro-legno di cui praticamente si compongono le intere facciate. Indagando anche le diverse possibilità di abbinare il C&P

vetro ad altri materiali, l’edificio che Mario Cucinella ha disegnato all’interno del campus dell’Università di Tsinghua a Pechino, il nuovo centro italo-cinese per la ricerca sull’efficienza e la compatibilità ambientale applicata in edilizia, sembra essere esemplificativa dell’efficacia vetro-acciaio soprattutto negli esterni est e ovest dell’edificio, rivestiti con una doppia pelle composta da una semplice struttura a facciata continua con un gioco di moduli opachi/trasparenti e una facciata serigrafata esterna. Sottoforma di profilati cavi, anche in Italia si ripresenta l’acciaio “a braccetto” con vetro temprato, semitemprato e laminato, in una delle sfide meglio riuscite dell’architettura contemporanea. Gli artefici del grattacielo Bmw-Welt di Milano sono Wolf D. Prix e Helmut Swiczinsky della Coop Himmelb(l)au di Vienna e il complesso edilizio non poteva che espandere gli effetti futuristici delle strutture principali, con una superficie vetrata di 73.000 metri quadrati. 145


Un dna orientato all’efficienza energetica Ridurre il consumo energetico puntando sui materiali, oltre che sulle tecnologie impiantistiche. La sfida del vetro raccontata dall’architetto Mario Cucinella di Nicoletta Bucciarelli

Verrà creato ad Accra, capitale dello Stato africano del Ghana, l’edificio ecocompatibile progettato dall’architetto Mario Cucinella, noto per i suoi progetti a basso consumo. Un edificio di 21mila metri quadrati che diventerà un centro multifunzionale realizzato a One Airport Square, piazza situata nella zona degli affari della capitale ghanese. Sia negli esterni che negli interni, il progetto costituirà un punto d’incontro tra prospettiva occidentale e africana. «In questo caso – spiega Cucinella – abbiamo trovato una combinazione tra l’uso del vetro e le temperature tropicali. Realizzeremo un’intera facciata con il vetro semplice ombreggiato; è un modo 146

contemporaneo di utilizzare una materia che ha avuto un importante sviluppo in un certo periodo, ma che molto spesso ha pagato lo scotto di non essere utilizzato in maniera consona». A tal proposito, qual è il modo migliore per far sì che il vetro comporti un uso più razionale delle fonti energetiche? «A livello di consumi il tema vero non riguarda tanto gli edifici di nuova costruzione ma quelli da riqualificare e recuperare; il cambio di tutti i serramenti e l’uso di vetri con prestazioni migliori può dare un contributo fondamentale. Da un altro punto di vista continuare a fare edifici C&P


MATERIALI | Mario Cucinella

Nel tondo, l’architetto Mario Cucinella. In questa pagina, l’edificio realizzato ad Accra, Ghana. Nella pagina successiva, l’edificio di via Tortona a Milano

Nel caso di Accra abbiamo trovato una combinazione tra l’uso del vetro e le temperature tropicali

completamente di vetro potrebbe comportare problemi sempre maggiori. Nel campo del vetro sono stati fatti molti passi in avanti ma quello che possiamo osservare è soprattutto un’evoluzione che si sta dirigendo sempre di più verso i tripli vetri. L’utilizzo del vetro per edifici sta d’altronde cambiando molto; una volta si utilizzavano soprattutto vetri marroni, neri e riflettenti mentre adesso si va sempre di più verso vetri neutri. Se si riescono a modificare alcune caratteristiche il vetro potrebbe diventare un materiale con un dna orientato all’efficienza energetica; questo sarebbe un grandissimo passo avanti, viste le qualità e le proprietà che questo materiale possiede. Confido C&P

molto, inoltre, nella ricerca. Alcune aziende, ad esempio, stanno lavorando sui vetri fotocromatici». E per quanto riguarda le ristrutturazioni? «Vedo un grandissimo interesse nell’utilizzo del vetro per ottenere performance maggiori in termini di riscaldamento e ventilazione attraverso delle piccole serre. Il vetro ha moltissimi vantaggi, ad esempio è leggero e prefabbricato. E questo nelle ristrutturazioni potrebbe apportare considerevoli benefici». Oltre all’edificio in Ghana in quali altri progetti ha fatto un uso razionale del vetro? 147


Nella facciata esposta a sud dell’edificio di via Tortona, il vetro doveva funzionare come una persiana. Per questo abbiamo lavorato per schermare l’irradiamento solare

«Sicuramente nel progetto di Milano di via Tortona, dove abbiamo ristrutturato un vecchio edificio per le poste rifacendo tutte le facciate. Nella facciata esposta a sud in particolare, dove il vetro doveva funzionare come una persiana, abbiamo lavorato per schermare l’irradiamento solare. La cosa più interessante del vetro è che svolge una funzione di irradiamento senza utilizzare energia. Questo rappresenta un po’ il futuro della materia, che tenderà a funzionare sempre di più senza energia pur mantenendo le prestazioni. Giocare sulla materia e non sulle tecnologie impiantistiche mi sembra un’evoluzione molto interessante». Parlando di evoluzioni, come si sta evolvendo la 148

sostenibilità in architettura? «L’evoluzione possiamo dire che sta interessando soprattutto le coscienze delle persone. Negli ultimi due o tre anni c’è stata un’attenzione molto forte sui temi ecologici, probabilmente anche a causa dei disastri ambientali che si sono verificati e alle ripercussioni che hanno avuto sulla gente. È aumentata molto la disponibilità a capire che il problema climatico riguarda molti aspetti della nostra vita. Di conseguenza, è cresciuta anche l’attenzione del mercato, che ovviamente si muove molto in funzione della domanda. Se mettiamo insieme aspetti di sicurezza e di mercato questo si riflette nel modo di lavorare, nella progettazione, negli approfondimenti, nella qualità di lavorazione e nella tecnologia». C&P



Giovanna Ranocchiai, docente dell’Università di Firenze. A destra, il Museo delle scienze e dell’industria di Parigi

Da elemento seriale a struttura Utilizzato come elemento architettonico da molti secoli, è solo a partire dagli anni Settanta che il vetro è diventato parte integrante della struttura stessa dell’edificio. Il punto di Giovanna Ranocchiai sul rapporto tra vetro e architettura di Francesco Bevilacqua

Il vetro è un materiale antico, le cui tecniche di produzione, sin dalla sua scoperta, si sono evolute assieme ai suoi usi. C’è da chiedersi, in effetti, se siano state queste ad adattarsi alle prime o viceversa, in architettura come in altri ambiti. Nel primo secolo a.C. le lastre di vetro alle finestre erano già diffuse tra le classi agiate delle città romane. Dalla fine dell’Ottocento ai primi del Novecento, il più rapido sviluppo tecnologico ha permesso la produzione e la lavorazione di lastre di grandi dimensioni: «Dapprima – spiega la professoressa Giovanna Ranocchiai, dell’Università di Firenze – è stato prodotto il vetro retinato, poi quello stratificato, successivamente è stato messo a punto il trattamento di tempra e, infine, il procedimento float. Il vetro così trattato si è dapprima diffuso nel settore automobilistico per poi legarsi, in architettura, all’immagine del grattacielo americano, dove l’elemento finestrato può essere definito di produzione seriale. In ambito ingegneristico non ci si può esimere dall’interpretare in chiave strutturale il parallelismo tra industria e 150

architettura. La particolare inaffidabilità del materiale e la sua fragilità - intesa come la capacità di giungere a rottura senza preavvisi, che siano eccessi di deformazione, fessure o danni - lo rendono adatto a un uso seriale, in cui le prestazioni possono essere accertate su prototipi, giustificando i costi di prova con una grande produzione, anche in assenza di un modello meccanico e di metodi di calcolo specifici. Ciononostante, nella prima metà del Novecento, in Europa alcuni movimenti di avanguardia pongono le basi culturali per un’architettura del vetro diversa che si svilupperà successivamente a partire dagli anni Settanta». Ci sono opere che, a suo giudizio, hanno segnato la storia, dal punto di vista tecnico, dell’utilizzo del vetro in architettura? «Sono tre le opere che ritengo fondamentali nell’evoluzione dell’architettura europea del vetro. La prima è la Maison de la radio, costruita a Parigi fra il 1960 e il 1963 da Henri Bernard; è il primo edificio in C&P


MATERIALI | Giovanna Ranocchiai

cui viene realizzata una vetrata sospesa. Le lastre di vetro sono controventate con altre lastre verticali incollate perpendicolarmente al piano vetrato e sono tenute con vincoli ad attrito. La seconda è il Willis, Faber & Dumas headquarters, realizzato a Ipswich, in Inghilterra, fra il 1971 e il 1975 da Norman Foster, in cui addirittura sei lastre sono appese in successione. Ma la più significativa è la terza: le serre del Museo delle scienze e dell’industria realizzate a Parigi fra il 1983 e il 1986 da Peter Rice, Martin Francis e Ian Ritchie, in cui si inaugura l’uso dei sistemi di controventi in travi di fili e della rotule di Rfr per il fissaggio per punti, ma soprattutto un atteggiamento progettuale di tipo “fail safe”, che fa riferimento per la prima volta alle tecniche di sicurezza della progettazione aeronautica. Si parte dall’idea che l’evento della rottura di una lastra non può essere evitato con certezza, anche in assenza di eventi eccezionali come uragani o terremoti. La rottura dell’elemento strutturale non deve quindi essere pericolosa per l’utente e per l’integrità generale della struttura». C&P

A quali altri materiali, oltre all’acciaio, è possibile unire il vetro nelle sue applicazioni? «Sicuramente il legno, che ancor prima dell’acciaio è stato associato al vetro in architettura. Pensando a qualcosa di inedito, si può citare i materiali plastici. In realtà siliconi e polimeri sono particolarmente idonei al contatto col vetro, tant’è che i giunti tra metallo e vetro sono sempre protetti da guarnizioni di questo tipo e le sigillature sono realizzate in siliconi dalle prestazioni meccaniche sempre migliori. Proprio per questo credo che i materiali plastici, anche rinforzati da fibre o sotto forma di materiali compositi a matrice polimerica, entreranno nel novero dei materiali da costruzione. L’industria chimica è in grado di produrre materiali plastici dalle proprietà sempre migliori, l’unica condizione è che si mettano a punto delle modalità di prova per la definizione delle proprietà meccaniche adatte all’individuazione di parametri necessari alla progettazione strutturale». 151


Il vetro in prospettiva Le sue proprietà fisiche e meccaniche, unitamente all’attività di ricerca, stanno aprendo le porte a soluzioni sempre nuove, grazie alle quali il vetro caratterizzerà l’aspetto strutturale degli edifici e non più solo quello estetico. Ne parla Alessandro Bandini di Francesco Bevilacqua

I progressi tecnologici raggiunti nel settore del vetro piano (float) dalle industrie produttrici e l’attività di ricerca e sperimentazione hanno reso questo materiale non solo un complemento delle strutture e dell’arredo, ma un protagonista attivo del sistema strutturale. Infatti, mentre in passato l’architettura si serviva del vetro solo per proteggere e chiudere l’involucro edilizio, già da un decennio si riesce a sfruttare al meglio le sue caratteristiche fisico-meccaniche, garantendo un ottimo apporto luminoso verso l’interno ma al contempo un ruolo funzionale nell’isolamento termico e acustico. «La trasparenza del vetro determina specifiche scelte architettoniche e opportuni trattamenti che permettono al vetro di funzionare come filtro per le radiazioni, consentendo di creare un’interfaccia dinamica, permeabile e selettiva, per la realizzazione del cosiddetto “climate sensitive building”, tramite il quale si realizza la simbiosi interno-esterno, ottimizzando le condizioni climatiche interne al minor costo energetico», osserva Alessandro Bandini, presidente di Ativ, l’associazione che riunisce i tecnici italiani del vetro. «La durezza, la resistenza alla compressione, alla trazione e alla flessione, soprattutto dei vetri sottoposti a trattamenti di tempera termica o chimica, conferiscono invece al vetro proprietà strutturali». In che modo il comparto vetrario si è evoluto e aggiornato per soddisfare le esigenze dell’architettura? 152

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MATERIALI | Alessandro Bandini

L’ingegner Alessandro Bandini, presidente dell’Associazione Tecnici Italiani del Vetro

«Il settore del vetro piano, che comprende sia le aziende produttrici del vetro float che quello delle seconde lavorazioni, è in continua evoluzione. Nei processi di prima produzione, tutte le fasi della filiera sono importanti: qualità e costanza delle materie prime, riutilizzo del rottame di vetro, tecnologia sempre più avanzata dei forni fusori con l’importanza della zona di fusione e refining nel rispetto dell’inquinamento ambientale e del lavoro, tecniche di produzione del float, controlli dei difetti, trattamenti superficiali, protezione e stoccaggio delle lastre rappresentano i punti focali per gli aggiornamenti tecnologici di tutto il comparto. Il settore delle seconde lavorazioni del vetro piano è stato molto attivo nel raggiungimento degli obiettivi che hanno permesso al vetro di passare da semplice componente architettonico a elemento strutturale, incrementando le caratteristiche fisicomeccaniche. È in questo comparto che avviene la personalizzazione del progetto architettonico del vetro. Ritengo che nelle opere più importanti, la possibilità di lavorare la lastra con piccoli impianti abbia aiutato non poco la personalizzazione e la minutizzazione del prodotto finale, dalle dimensioni della lastra finita fino alle lavorazioni accessorie». In prospettiva, quali nuove vie potranno essere aperte in architettura grazie all’utilizzo del vetro? «Solo diffondendo le conoscenze attraverso corsi, convegni – come ad esempio quelli che stiamo organizzando a Parma, il cui programma è C&P

Diffondendo le conoscenze si potrà estendere l’uso di questo materiale anche a opere ordinarie, con grande beneficio in termini economici e sociali

consultabile sul nostro sito www.ativ-online.it –, riferimenti normativi, articoli scientifici e divulgativi, si potrà estendere l’uso di questo materiale anche a opere ordinarie, con grande beneficio in termini economici e sociali: la possibilità pressoché totale di riciclo, la capacità di funzionare come isolamento acustico o come filtro selettivo delle radiazioni luminose anche in abbinamento con cellule fotovoltaiche o pannelli solari non possono solo essere un beneficio per pochi utilizzatori. Nuove frontiere potranno essere aperte se saranno disponibili materiali vetroceramici di nuova generazione, trasparenti e non, attualmente prodotti solo su piccola scala. Essi presentano maggior resistenza e tenacità, soprattutto ad alte temperature. Questi materiali potranno sostituire in parte il vetro, essere usati come vetri di protezione balistica per strutture pubbliche e private, per piani cottura e per rivestimenti di grandi opere, essendo non porosi come i materiali lapidei e ceramici o vetroceramici sinterizzati, lavabili e resistenti al fuoco. Con questi materiali si potranno realizzare opere eleganti, robuste, durevoli, biocompatibili e soprattutto riciclabili. Altre prospettive potranno essere tracciate combinando il materiale con led, sensori, attuatori e cristalli liquidi, in modo tale da rendere la vetrata interattiva con l’utente e auto adattabile alle mutabili condizioni esterne grazie all’uso dell’elettronica e ai materiali stessi. L’architettura potrà utilizzare il vetro in tutte le sue forme, non solo come componente strutturale, ma anche come elemento d’arredo e funzionale per gli interni». 153


Eco-innovazioni nell’interior design Una continua ricerca di materiali innovativi, ecologici, a basso impatto ambientale. Per “vestire” la casa, ma non solo. Roberto Sgambaro illustra le tendenze dell’interior design di Carlo Gherardini

Dalle pavimentazioni ai rivestimenti, dall’arredo bagno al riscaldamento, fino all’interior design. La ricerca non si ferma per la Line Design, realtà sulla sponda Novarese del Lago Maggiore affermata nel settore immobiliare e dell’interior design che si occupa di ristrutturazioni e allestimenti di arredo, fornendo un prodotto chiavi in mano, dalla progettazione, alla fornitura e messa in opera degli spazi interni. «Il nostro show room - afferma Roberto Sgambaro, amministratore della società -, che conta oltre 1000 mq espositivi, offre una vastissima gamma di prodotti: ceramiche, parquet, marmi, pietre, pvc, arredo bagno, arredo cucine, bioedilizie e da qualche anno comprende anche pannelli artistici, veri e propri pezzi unici, già impiegati nella scenografia di diversi eventi e sfilate di moda». La vostra offerta è talmente diversificata da poter soddisfare le esigenze non solo della tradizionale architettura di interni e dell’interior design, ma anche, ad esempio, dell’arredo di imbarcazioni. Come Line 154

Design è in grado di rispondere anche a queste specifiche esigenze? «L’attività di Line Design nel settore nautico riguarda soprattutto la sfera progettuale delle imbarcazioni. Nello specifico, abbiamo lavorato alla creazione di un concept yacht completamente ecologico». L’attenzione all’impatto ambientale, infatti, è sempre più sentita in edilizia e architettura. Quali materiali soddisfano questo tipo di esigenza? «Innanzi tutto Line Design effettua una severa selezione sulle aziende fornitrici scegliendo quelle che, produttivamente, si sono più adeguate alle norme ecologiche e che usano solo materiali non nocivi per l’ambiente. Il nostro catalogo si è inoltre ampliato negli anni, includendo, nella parte relativa al legno, prodotti con finiture esclusivamente all’acqua e prodotti per esterni derivati dagli scarti della lavorazione del legno. Inoltre, l’area dedicata alle pitture alla calce e alle resine comprende solo prodotti al 100 per cento ecologici, mentre quella C&P


MATERIALI E DESIGN | Roberto Sgambaro

In apertura, Roberto Sgambaro, amministratore della Line Design di Castelletto Ticino (NO) - www.linedesignsrl.com - linedesign@legalmail.it

Line Design effettua una severa selezione sulle aziende fornitrici scegliendo quelle che, produttivamente, si sono più adeguate alle norme ecologiche

opera. Oggi stiamo seguendo la realizzazione di alcuni bagni in diverse abitazioni: in quest’ambito siamo in grado di fornire un bagno completamente finito seguendo la progettazione, la posa dei pavimenti, dei rivestimenti e l’arredo. Stiamo inoltre seguendo la ristrutturazione di diverse unità abitative, la progettazione e la realizzazione di alcuni appartamenti e periodicamente ci occupiamo anche dell’allestimento di negozi di moda e sfilate con i pannelli artistici, visibili oltre che nel nostro show room, anche nell’esposizione d’arte a noi correlata a Sesto Calende».

dedicata al riscaldamento alternativo conta stufe a legna e a pellet, termo stufe e termo camini nonché caldaie a multifunzione, che funzionano con uno o più combustibili alternativi combinati».

Quali sono gli obiettivi e le prospettive future di Line Design? «Continueremo a essere un punto di riferimento per i prodotti di eccellenza nel settore edilizioimmobiliare, attraverso una continua ricerca dei materiali e un servizio sempre più dettagliato, che affianchi passo passo il cliente nella realizzazione della sua casa, o il professionista nella scelta dei materiali più innovativi».

Su quali realizzazioni siete impegnati oggi? «Oltre allo show room, disponiamo di diversi tecnici e architetti di interni che offrono consulenza ai nostri clienti sia nella scelta dei prodotti che nella messa in C&P

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Mosaici di pietra L’arte di lavorare la pietra permette di realizzare pavimentazioni e muri che rappresentano progetti creativi e funzionali. Ne parliamo con Luciano Lancerotto di Marco Tedeschi

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La pietra è un elemento naturale, di facile inserimento in ogni ambiente e inattaccabile da qualsiasi agente esterno. I lavori di pavimentazione e i rivestimenti in pietra mettono insieme la praticità racchiusa nel progetto e una creatività che emerge dai disegni della composizione. «Praticità e creatività sono due componenti che viaggiano di pari passo. Una pavimentazione in pietra offre infatti un minor dispendio di energie per essere mantenuta in buono stato e una facciata vestita in pietra non necessita di nessun tipo di manutenzione o ripristino; creatività perché, con l’avvento di pietre provenienti dal mercato estero, unite a quelle del mercato nazionale, possiamo eseguire pavimentazioni e rivestimenti senza limiti di fantasia». Luciano Lancerotto presenta in questo modo l’azienda che dagli anni settanta si occupa di commercializzazione e posa in opera di pietre. Uno degli ultimi lavori riguarda la pavimentazione della piazza di Boffalora Sopra Ticino. «Nel caso del lavoro della piazza di Boffalora Sopra Ticino, il nostro C&P


MATERIALI | Luciano Lancerotto

L’ambiente dove verrà realizzata l’opera è un fattore di primaria importanza per la scelta del materiale e anche per il tipo di realizzazione

Nelle immagini lavorazioni realizzate dalla Lancerotto Luciano di Turbigo (MI) - www.lancerottoluciano.it

intervento è stato radicale; siamo partiti dalla semplice delimitazione dell’area di cantiere in base alle normative vigenti per poi passare allo sbancamento dell’intera zona e alla realizzazione di tutte le reti di scolo, degli impianti elettrici e dei pozzi perdenti. Infine abbiamo realizzato il sottofondo in calcestruzzo e dopo queste fasi di lavoro di preparazione siamo partiti con le pavimentazioni in pietra realizzate con l’abbinamento di cubetti di Luserna, ciottoli di fiume 6/8 e lastre di granito rosa di Baveno 30x60». Le varie fasi di lavoro per realizzare una pavimentazione e un rivestimento di pareti e facciate sono molteplici. «Le fasi lavorative – prosegue Luciano Lancerotto - variano da cantiere a cantiere in base alle richieste e in base alla tipologia di lavoro. Normalmente però la scelta della pietra è il primo passo; a questa segue poi la fase del sopralluogo per la verifica dei piani e delle zone da pavimentare o da rivestire». Molto spesso le pavimentazioni che si creano corrispondono a dei veri e propri mosaici in cui emergono disegni, striature di diverso colore e pietre C&P

differenti. Per queste pavimentazioni particolari e artistiche l’azienda di Turbigo segue dei criteri che si basano sulla zona in cui verrà realizzato il lavoro. «Se non ci sono progetti particolari proposti da tecnici esterni, siamo noi in base alle richieste del committente e alla nostra esperienza a progettare e poi realizzare il lavoro». Il luogo è basilare per la scelta del materiale. «L’ambiente dove verrà realizzata l’opera è un fattore di primaria importanza per la scelta del materiale e anche per il tipo di realizzazione, visto che in molti casi ci viene indicata la scelta di materiali lapidei cosiddetti del luogo». Il lavoro di pavimentazione nasce anche e soprattutto dalla collaborazione con architetti e ingegneri. «Questa cooperazione – conclude Lancerotto– viene portata avanti nel modo più trasparente possibile per quel che riguarda lo scambio di idee sui materiali nuovi e vecchi. Cerchiamo sempre di affiancare professionisti ed esperti che si confronteranno sulle scelte e sulle varie fasi progettuali». 157


Terra e fuoco dell’Etna Dal calore della terra siciliana hanno origine manufatti in cotto estruso e fatto a mano, in cui tradizione artigianale e nuove tecnologie si fondono in un mix perfetto. Le tecniche più antiche e le novità illustrate da Angelo Furnò di Matteo Rossi

Terra e fuoco dell’Etna. Sono questi gli elementi naturali che conferiscono ai mattoni, alle piastrelle e ai complementi in cotto prodotti alle pendici del vulcano siciliano quelle caratteristiche uniche che li rendono così apprezzati e ricercati sul mercato. La conferma arriva da Angelo Furnò, socio amministratore della Cotto Furnò, azienda catanese nata nel 1920 e specializzata nella realizzazione di mattonelle e piastrelle per pavimenti di diverse forme e dimensioni, rivestimenti per pareti, gradini e tanti altri pezzi speciali, ottenuti esclusivamente attraverso l’utilizzo di materie prime locali. «Le particolari qualità tecniche ed estetiche dei nostri manufatti sono il frutto di un impasto fatto di argille locali e sabbia vulcanica, che cotto ad altissime temperature garantisce massima durezza ed estrema resistenza all’usura e agli sbalzi di temperatura, oltre 158

che un elevato comfort termico e abitativo». Il core business della Cotto Furnò è oggi costituito dal cotto estruso, a cui si affianca però anche il cotto fatto a mano, lavorato ancora secondo un sistema artigianale tramandatosi nei secoli, come spiega lo stesso Furnò: «L’impasto è modellato in apposite formelle e abilmente battuto con le mani, per dare consistenza e omogeneità alle piastrelle. Le stesse vengono prima sottoposte ad essiccazione e, dopo 3-4 giorni, posizionate su carrelliforno per la relativa cottura. Questo processo dà al nostro cotto fatto a mano un tratto di esclusività, che ben si adatta a un’architettura ricercata e prestigiosa. Utilizzato principalmente per il recupero e il restauro di ambienti antichi, o all’interno di contesti nuovi che richiamano suggestive atmosfere di altri tempi, negli ultimi anni l’uso del cotto fatto a mano si sta sempre più C&P


MATERIALI | Angelo Furnò

In queste immagini alcuni esempi di pavimenti in cotto realizzati dalla Cotto Furnò di Adrano (CT) www.cottosiciliano.it

affermando anche in accostamento a un arredamento moderno e contemporaneo». Da sempre attenta alle nuove tendenze del mercato, l’azienda a partire dagli anni Duemila ha deciso di investire in un impianto altamente industrializzato, con l’obiettivo di fornire un prodotto davvero all’avanguardia. Stiamo parlando della linea Cotto Kwikdry, un prodotto la cui messa in opera e manutenzione risulta decisamente agevole, pur conservando al contempo la naturale bellezza del cotto. «Il Cotto Kwikdry è un trattamento idrorepellente di profondità ecocompatibile ottenuto con tecniche e macchinari innovativi, attraverso un ciclo di lavorazione per immersione, che permette di impregnare le piastrelle in modo invisibile, così da non alterare le naturali sfumature C&P

cromatiche e la capacità di traspirazione tipica del cotto», spiega Furnò. «Per il rispetto dell’ambiente esso è inoltre inodore, incolore e atossico, VOC free, poiché completamente a base d’acqua». Ma soprattutto il trattamento Cotto Kwikdry assicura una protezione profonda e permanente contro le efflorescenze, riduce l’assorbimento delle superfici contrastando le eventuali risalite di umidità e protegge le mattonelle nella fase di posa e di stuccatura, evitando che si sporchino. Grazie a questo trattamento – conclude Furnò – le mattonelle in Cotto Kwikdry si pongono come la soluzione ideale per la posa sia per interni che per esterni, anche in zone particolarmente fredde o piovose, rispondendo contemporaneamente alle istanze “green” provenienti dal mondo della bioedilizia». 159


Con le mani nel legno Nonostante le lavorazioni industriali stiano sempre più soppiantando quelle artigianali, l’arte del legno lavorato a mano riesce ancora a regalare emozioni e originalità. Ne parla il falegname Alessandro Brilli di Emanuela Caruso

Tra un quadro originale di Van Gogh e una sua ristampa, quale regala sensazioni intense a chi li guarda? La stessa domanda può essere posta relativamente al legno, che se lavorato in modo artigianale è in grado di assorbire la creatività, il calore e la passione del falegname per trasmetterli a coloro che potranno godere dell’opera finita. Questo è il motivo che ha spinto l’artigiano Alessandro Brilli a specializzarsi nell’arte del legno lavorato a mano. «Nell’epoca della riproducibilità tecnica come quella che stiamo vivendo – spiega il falegname Alessandro Brilli – si predilige realizzare a bassi costi grandi quantità di prodotti, ecco perché vengono progettati macchinari moderni capaci di fabbricare migliaia di pezzi uguali e su 160

misura seguendo le specifiche tecniche impostate. Io, invece, ho scelto di utilizzare i metodi di una volta, quelli tradizionali, che mi consentono di creare pezzi unici e pieni di personalità e di ripristinare opere solo in apparenza rovinate. Alle comuni spine industriali impiegate per unire i regoli di una finestra, preferisco per esempio la tecnica della tenonatura in quinta, che prevede due asole, dette femmine, nel montante e due denti, detti maschi, nel traverso». Grazie all’esperienza maturata in tanti anni di attività, oggi Alessandro Brilli è in grado di occuparsi di qualsiasi tipo di lavorazione e produzione, dalla realizzazione di infissi e soffitti alla progettazione di elementi d’arredo su misura, C&P


MATERIALI | Alessandro Brilli

In apertura, Alessandro Brilli al lavoro nella sua falegnameria sita a Pelago (FI). In questa pagina, una recente realizzazione in legno - ilfalegname2006@libero.it

È fondamentale saper scegliere le giuste tonalità di macchiature e ottimi prodotti per la verniciatura, solo così si mantiene inalterata la naturalità del legno

dalla verniciatura con prodotti ecologici al ripristino di vecchie opere in legno. «Potendo eseguire interventi di ogni genere, riesco a soddisfare tutte le esigenze e le richieste della committenza e a rendere speciale e personalizzato ogni spazio o ambiente». Certo la lavorazione artigianale del legno massello non è così facile a farsi come a dirsi e necessita di esperienza, attenzione e cura dei particolari. «Per prima cosa bisogna saper scegliere il legno, riconoscendone a priori la qualità, così da dimezzare i rischi di torsione o imbarcature. In secondo luogo, bisogna capire quali parti scartare, per esempio il centro del tronco o alcuni nodi, in modo da non compromettere la struttura del pezzo finito. È indispensabile, poi, avvalersi di attrezzi C&P

sempre ben affilati ed efficienti; e, infine, è fondamentale saper scegliere le giuste tonalità di macchiature e ottimi prodotti per la verniciatura, solo così infatti si mantiene inalterata la naturalità del legno». Alessandro Brilli, che opera a Pelago, in provincia di Firenze, arricchisce la sua arte del legno utilizzando i legnami che da sempre valorizzano l’antica tradizione mobiliera della Toscana. «Per le mie opere impiego soprattutto il castagno, capace di esaltare venature e rusticità, e spesso macchiato con tonalità a noce biondo; il cipresso, usato in particolare per i vecchi armadi per la sua capacità di allontanare le tarme della lana; e il noce nazionale, caratterizzato dalle sue fiamme quasi nere». 161


MATERIALI | Giulio Gianola

Sotto, il cavalier Giulio Gianola, della Serramenti Gianola, con sede a Caprino Bergamasco (BG) www.serramentigianola.com

Un metallo per l’edilizia moderna L’alluminio è sempre più utilizzato da architetti e progettisti per realizzare elementi strutturali e di interior design all’avanguardia. Come spiega Giulio Gianola, tutto ciò è reso possibile dall’esperienza degli artigiani che lo lavorano di Amedeo Longhi

La buona riuscita di un progetto architettonico dipende anche dai particolari: serramenti, porte, infissi, verande, ma anche piccoli e grandi elementi di arredo interno, con funzioni specifiche o puramente estetiche, concorrono a definire i dettagli che spesso risultano fondamentali. Per questo motivo, oltre alla creatività e alla preparazione dell’architetto, riveste un ruolo fondamentale anche il lavoro che gli artigiani dell’alluminio, materiale principe di questi complementi, svolgono spesso nell’ombra. Il cavalier Giulio Gianola è uno di questi. «Iniziai a lavorare l’alluminio nel 1956; in quegli anni molti ex operai delle famose industrie aeronautiche Caproni, che avevano già manualità nella lavorazione del materiale, si riversarono nel settore dell’alluminio applicato all’architettura, in particolare all’arredo bar». Sin dai primi anni, gli architetti intuirono le potenzialità di questo versatile metallo: «Come disse anche il famoso designer Gio Ponti – ricorda il cavalier Gianola –, “l’alluminio è un metallo nobile per l’edilizia moderna”, è sempre presente, designer, architetti, ingegneri lo studiano e lo migliorano continuamente, 162

loro sono la mente mentre l’artigiano è il braccio». Non sempre però, come sottolinea lo stesso Gianola, questa collaborazione è facile da portare avanti: «Chi progetta spesso dà per scontata la possibilità di utilizzare prodotti di qualità e studiati su misura per esigenze specifiche, dimenticando le difficoltà del metal-costruttore che li realizza». L’attività di Gianola prosegue da oltre cinquant’anni e ha segnato tappe importanti, nel percorso di collaborazione fra architetto e serramentista e nell’innovazione del settore: «Negli anni Sessanta ho realizzato facciate continue a bovindo in via Cairoli a Lecco e serramenti a monoblocco coordinati adatti alla prefabbricazione. Negli anni Novanta ho fatto il free shop della stazione centrale di Milano in vetro e acciaio inox. Per quanto riguarda l’interior design, vanno citate le particolari antine in alluminio progettate per una cucina commissionata da Giorgio Armani: un’innovazione dal punto di vista stilistico che ha introdotto questo materiale nel contesto di mobili “pratici”». Le novità più recenti? «Raffinati serramenti in alluminio e legno, serramenti con profilo a scomparsa, facciate appese puntuali, scale in acciaio e vetro», conclude Gianola. C&P



MATERIALI | Michela Dall’Ozzo

Michela Dall’Ozzo, titolare e responsabile acquisti e marketing della Dall’Ozzo Srl - Bulgorello di Cadorago (CO) - www.dallozzo.it Sotto, letto “Contemporary” della Divisione Bside di Samoa Srl - www.samoadivani.com

Da falegnameria a sistema industriale Michela Dall’Ozzo illustra la sua visione del “mondo impresa” e le prerogative che hanno permesso all’azienda di famiglia di trasformare una falegnameria in un vero e proprio sistema industriale di Armidina Talisi

Diecimila divani la settimana. È il carico produttivo che l’azienda Dall’Ozzo, punto di riferimento per molti produttori di imbottiti, è riuscita a raggiungere dopo decenni d’esperienza imprenditoriale. Con Michela Dall’Ozzo, socia e responsabile marketing, la seconda generazione rincara la dose di impegno e ottimismo per rendere migliore ogni prospettiva di sviluppo di un autentico “mondo impresa”, del resto già confermata con il Premio Smau 2010. Quali novità ha apportato il passaggio generazionale? «Con la grande passione trasmessaci da nostro padre Egidio, io e mio fratello Stefano, socio e responsabile tecnico, abbiamo rilevato l’attività artigianale nel 2000, già fruibile di grandi capacità produttive. Ma è con la successiva introduzione di linee d’automazione di alto livello che siamo giunti a trasformare una falegnameria in vero e proprio sistema industriale, grazie anche ad Adenis Menegaldo, socio e responsabile produzione. Con l’avvicendamento societario si sono allargati gli spazi operativi che oggi occupano circa 12.000 mq». 164

Attraverso quali strategie è possibile non soccombere alla crisi? «Faticando sempre di più e attuando una gestione attenta alle risorse e agli obiettivi. In tempi di cassa integrazione, abbiamo voluto stringere i denti e mettere ancor più impegno per mantenere operativi e saldi i posti di lavoro. La Dall’Ozzo è un’azienda sana, fondata su principi di serietà ed efficienza». Primi produttori italiani di semilavorati in kit per l’industria dell’imbottito moderno. Come siete riusciti a raggiungere tale traguardo? «Credo che non basti il tempo per spiegare il successo della nostra azienda e dei nostri clienti. Posso dire che abbiamo un ufficio tecnico con Sistema 3D Parametrico che viene usato nell’industria aerospaziale; produciamo 10.000 divani la settimana; utilizziamo tecnologie che aggiorniamo continuamente soprattutto grazie alla genialità di Stefano ed Adenis che studiano quotidianamente nuovi processi e ottimizzano ogni fase di lavoro; abbiamo ottimi collaboratori – dall’amministrazione, alla produzione, alla logistica; investiamo in ricerca e sviluppo; monitoriamo i mercati, anche esteri, ed investiamo in nuovi progetti». C&P



Il progetto TerraCielo Eccellenza tecnologica, minimo impatto ambientale, piacevolezza, durabilità e socialità. Sono questi gli elementi che, come racconta Virginio Trivella, fanno del complesso residenziale TerraCielo Rodano un luogo ideale per vivere in armonia di Guido Puopolo

Un esempio di architettura ecosostenibile unico in Lombardia, frutto di un nuovo modo di progettare e costruire, il cui carattere fondamentale è l’attenzione prestata a tutti gli aspetti riguardanti la massimizzazione del comfort, la minimizzazione dei consumi energetici, la salvaguardia dell’ambiente e la qualità della vita, anche quella di relazione con i propri vicini. Stiamo parlando del complesso residenziale TerraCielo Rodano, composto da 57 unità abitative costruite in classe energetica A+ e inserite nel meraviglioso contesto naturale del Parco Agricolo Sud Milano e della Riserva Naturale Sorgenti della Muzzetta. Tra i protagonisti principali di questa sfida tanto impegnativa quanto affascinante c’è la Trivella Spa, storica azienda di Cinisello Balsamo (MI) specializzata nelle costruzioni low energy, nella riqualificazione energetica degli edifici, nel restauro monumentale e nel conservativo recupero del costruito. «Quando mi si è presentata l’opportunità di occuparmi del progetto – spiega l’amministratore, Virginio Trivella - ho pensato che era venuto il momento di realizzare qualcosa di 166

C&P


ARCHITETTURA E SOSTENIBILITÀ | Virginio Trivella

Nella pagina a fianco Virginio Trivella, amministratore della Trivella Spa di Cinisello Balsamo (MI). Nelle altre immagini, interni ed esterni del progetto residenziale TerraCielo Rodano www.trivella.it - www.terracielo.biz

diverso dal solito, che si discostasse decisamente dalla qualità delle costruzioni a cui è abituato il nostro mercato, in cui applicare le tante soluzioni evolute che l’innovazione tecnologica oggi mette a disposizione». La realizzazione di un intervento con le caratteristiche proprie di TerraCielo Rodano è quindi il risultato di un approccio progettuale nuovo, che ha posto al centro dell’attenzione creativa il sistema edificio-impiantiambiente nel suo insieme. «Esattamente. Il percorso di sviluppo dell’idea originaria ha preso avvio con la composizione di un team di progettazione multidisciplinare, capace di integrare le diverse competenze e i diversi approcci metodologici della ricerca scientifica, della professione e della pratica di cantiere. Successivamente sono state individuate le caratteristiche che, irrinunciabilmente, avrebbero qualificato il progetto: le nostre case sarebbero state belle e confortevoli, e avrebbero prodotto autonomamente e in modo pressoché gratuito gran parte dell’energia necessaria per il C&P

riscaldamento, il raffrescamento e l’illuminazione grazie alle migliori tecnologie esistenti, allo scopo di valorizzare il più possibile l'investimento degli acquirenti. Abbiamo infine puntato sul cohousing, inserendo 400 mq di spazi comuni coperti e oltre 2.000 mq di spazi verdi comuni. La qualità della vita a TerraCielo si misurerà anche sulla piacevolezza delle relazioni tra cohouser, che avranno l’opportunità di valorizzare questi spazi comuni, tra i quali, lavanderia, hobby room, sala della musica insonorizzata, stanza per gli ospiti, palestra e zona wellness, sala polifunzionale con cucina e area giochi per i bambini». Da un punto di vista architettonico, invece, quali sono le linee guida che avete seguito nella progettazione e costruzione degli edifici? «Abbiamo cercato di coniugare elementi tipici dell’architettura tradizionale con elementi moderni e fortemente caratterizzanti. In tal modo, ai tratti peculiari che richiamano le antiche cascine lombarde si affiancano, in piena armonia, spunti originali di 167


grande innovazione, come le coperture piane per i pannelli fotovoltaici, la lunga teoria di finestre delle facciate verso l’esterno dell’area, il giardino-corte centrale che ospita gli spazi comuni per il cohousing, le planimetrie interne. Particolare attenzione è stata inoltre posta nella progettazione degli spazi interni alle varie unità immobiliari».

Ai tratti peculiari dell’architettura tradizionale locale, che richiamano alla mente le antiche cascine lombarde, si affiancano spunti originali di grande innovazione 168

Gli aspetti di sostenibilità energetica e ambientale hanno costituito uno dei fulcri intorno ai quali si è articolato il progetto TerraCielo. Quali accorgimenti avete adottato per raggiungere questi obiettivi? «A questo proposito, un esempio paradigmatico dello spirito con cui sono state affrontate le tematiche progettuali è rappresentato dal problema della falda acquifera affiorante. Quella che per la generalità dei costruttori è considerata una notevole seccatura, causa di costi e generatrice di grattacapi, da noi è stata tramutata in un’opportunità energetica». In che modo? «Non volendo rinunciare a un piano interrato che consentisse di eliminare la presenza esterna di C&P


ARCHITETTURA E SOSTENIBILITÀ | Virginio Trivella

autoveicoli e di massimizzare la superficie dei giardini e delle aree comuni, abbiamo affrontato con determinazione il problema delle fondazioni e dell’impermeabilizzazione. In quest’ottica è stato realizzato uno scambiatore geotermico incorporato nella struttura capace, durante l’inverno, di prelevare dal terreno l’energia termica necessaria al riscaldamento delle abitazioni e, durante l’estate, di smaltire in esso il calore in eccesso prelevato dall’impianto di raffrescamento. Allo stesso modo sono stati affrontati altri importanti temi, riguardanti la scelta degli isolamenti, dei serramenti, la rete idrica duale per il recupero dell’acqua piovana, la domotica per la gestione intelligente delle funzioni dell’impianto elettrico e di climatizzazione, gli impianti fotovoltaici, l’illuminazione low Energy e la destinazione da dare agli spazi comuni condominiali, oggetto di progettazione partecipata con i futuri abitanti, i quali hanno scelto le funzioni di questi spazi da dedicare al cohousing». Con quali realtà avete collaborato nella realizzazione delle varie fasi del progetto? C&P

«Ci siamo affidati a imprese specializzate di provata esperienza, respingendo il criterio della mera ricerca del minimo costo. Importanti risorse sono state inoltre destinate al controllo tecnico in corso d’opera. Alla direzione tecnica interna, è stata infatti affiancata la funzione di controllo commissionata a una struttura certificatrice indipendente». Progetti come quello portato avanti dalla Trivella, però, al momento in Italia rappresentano ancora l’eccezione. Crede sia possibile invertire questa tendenza, anche alla luce della crisi che continua ad attanagliare il settore edile? «Con TerraCielo abbiamo dimostrato come sia possibile coniugare la qualità dell’abitare con il risparmio energetico, la compatibilità ambientale e notevoli economie di gestione. Devo dire che già oggi il mercato premia questa tipologia di immobili, specie quelli in Classe A+, rivalutandoli in misura ben maggiore rispetto alle abitazioni tradizionali. Mi auguro che la nostra iniziativa possa costituire uno dei punti di riferimento per le future realizzazioni». 169


“Dall’industria all’artigianato e ritorno” Ogni arte si contamina di altre forme creative, e si trasforma. Così l’opera di Giorgina Castiglioni risemantizza le forme seguendo un percorso che va dall’industria all’artigianato, dal riciclo alla moda di Giulio Conti

L’architetto Giorgina Castiglioni di Milano. Nelle altre immagini, alcuni dei suoi progetti e accessori www.giorginacastiglioni.it

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Le contaminazioni che ogni forma d’arte propone e assorbe dal concetto architettonico possono essere individuate in molte espressioni della creatività di Giorgina Castiglioni. Professionista impegnata in progettazione, disegno industriale, recupero di aree urbane dismesse, allestimenti espositivi, arredamenti e gioielli accessori, le opere dell’architetto Castiglioni raccontano innanzitutto un legame imprescindibile con l’arte del disegno e con la materia. È in tal senso esemplificativo il progetto del “Ponte magico”, un ponte ad arco segnalato all’interno del concorso internazionale “Il linguaggio dell’architettura”. «La struttura è stata pensata in cemento armato prefabbricato mentre il rivestimento, che deve essere studiato in funzione del contesto nel quale si inserisce, è stato proposto in mosaico con linee di riferimento e gradazioni cromatiche capaci di integrarsi all’apparato strutturale in un “sintattico” tutt’uno». Per l’architetto Castiglioni, infatti «il rivestimento non deve essere concepito come mero accessorio perché assume un fondamentale ruolo di decorazione funzionale che facilita la percezione e la lettura dell’opera nel contesto territoriale». Partendo C&P


RICERCA ARCHITETTONICA | Giorgina Castiglioni

dagli studi dei moti dell’acqua per approdare alla progettazione del “Ponte magico”, la ricerca architettonica di Giorgina Castiglioni ha trasferito la naturalità delle forme annesse al progetto anche in altri ambiti pratici e concettuali. L’architetto ha attualizzato l’input creativo che riceve dal mondo industriale per innalzare la riproducibilità degli oggetti prodotti in serie e trasformarla in ispirazione creativa per la messa in opera di pezzi unici. Negli ultimi anni, «ho concentrato le mia attività verso una progettazione bioecologica finalizzata alla valorizzazione dello scarto di produzioni industriali o di lavorazioni di riciclo della carta, della plastica e del vetro per ottenere una risemantizzazione dell’immagine anche attraverso il mezzo fotografico». Uno dei principi su cui l’architetto Castiglioni fonda la sua filosofia operativa si intuisce già dal C&P

titolo del recente progetto “dall’industria all’artigianato e ritorno” in cui, tra le tante realizzazioni annesse, ha presentato anche «dei gioielli in alluminio derivati dal processo di decostruzione di frigoriferi o da semilavorati industriali sottratti all’abituale lavorazione perché ritenuti materiali di scarto. Perché ritengo che prelevare un oggetto dal contesto industriale, rifinirlo con arte e infondere in esso l’essenza dell’artigianalità, significa innalzarlo a nuova funzione, significato e valore». Il risultato della risemantizzazione dell’immagine si evince invece nell’ultima serie di accessori ideati da Giorgina Castiglioni. In primis, «le sciarpe, i cui temi grafici derivano dalle foto scattate a processi di riciclo della carta, rappresentano la costante analisi del riciclo di cui è invaso il mio attuale percorso creativo e che reputo fondamentale sotto molti aspetti pratici e culturali. L’atto del riciclo arriva a toccare anche ambiti come, nel caso delle sciarpe, la moda». 171


Sostenibilità dal passato Dal Salento soluzioni flessibili e innovative, grazie a una filiera produttiva a km zero, per confrontarsi con le dinamiche del mercato e rispondere così ai bisogni delle nuove generazioni. È una nuova idea del costruire quella che guida il lavoro di Alfredo Foresta di Guido Puopolo

© foto archivio roberto galasso

sottolinea l’architetto Alfredo Foresta. Quali sono le prerogative che rendono questo “esperimento” un unicum nel panorama edilizio pugliese? «La “Casa a ballatoio” è il frutto di un incessante lavoro di ricerca architettonica, che ci ha permesso di superare il livello 3 di sostenibilità regolamentato dal Protocollo ITACA Puglia. La struttura si compone di sistemi passivi e attivi, che hanno come obiettivo il risparmio e la produzione di energia. Pareti isolanti e layout sono stati pensati per massimizzare lo sfruttamento delle risorse; a sud un fitto sistema a brise solei e grandi vetrate a due

© foto archivio gruppoforesta

È il primo edificio completamente ecosostenibile realizzato nel Salento, che proprio per questa sua particolarità ha potuto usufruire del 10 per cento della cubatura in più rispetto a quella massima consentita, in accordo con quanto previsto dalla legge 13/08 della Regione Puglia. Stiamo parlando della “Casa a ballatoio”, progettata e costruita a Lecce dallo Studio di architettura gruppoforesta e da un insieme di aziende salentine parte integrante del gruppo stesso: «Applicando la ricerca scientifica a un processo economico, siamo riusciti a coniugare qualità architettonica e prestazioni energetiche, mediante soluzioni innovative e l’utilizzo delle fonti rinnovabili»,

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C&P


RICERCA ARCHITETTONICA | Alfredo Foresta

© foto archivio roberto galasso

© foto archivio gruppoforesta

© foto archivio roberto galasso

piani permettono di ottimizzare l’effetto dell’irraggiamento solare, mentre a nord è stato realizzato un fronte compatto per ridurre la dispersione termica. Tutto questo è stato possibile anche grazie all’apporto di una filiera produttiva a km zero, composta da aziende fortemente radicate sul territorio e legate a noi da un rapporto fiduciario, consolidatosi nel tempo, che va oltre le finalità commerciali: un patrimonio di valori e di esperienze da difendere e salvaguardare». Qual è stato, nel dettaglio, il supporto fornito allo studio dalle aziende di questa filiera? «Diverse sono state le imprese che ci hanno affiancato nel progetto: Cafraro Manufatti in Cemento, Decos Calcestruzzi, Marenaci Serramenti, Pellegrino Impianti Tecnici, e Sie Impianti Elettrici hanno contribuito in maniera decisiva alla sua realizzazione. Insieme abbiamo cercato di recuperare il passato, confrontandoci con quella che io definisco la “cultura del progetto”, e valorizzando i sistemi tradizionali e le pratiche del buon costruire connesse al territorio: la luce, la ventilazione, il disegno delle facciate, l’effetto irraggiamento del sole. Sostenibile C&P

Lo staff dello Studio di architettura gruppoforesta: da sinistra Tiziana Panareo, Alfredo Foresta, Michele Martina ed Ester Annunziata. In apertura, immagini della corte interna della “Casa a ballatoio” realizzata dal gruppo. Nelle altre foto, prospetto principale e prospetto posteriore dell’edificio - www.gruppoforesta.it

non vuol dire, necessariamente, l’esasperazione di tecnologia dell’ultima ora. Le regole e le caratteristiche alla base delle costruzioni di una volta, infatti, erano legate proprio al contesto ambientale dell’edificio, alle fonti energetiche naturali e alla qualità della vita degli abitanti». L’attività del gruppo spazia però dall’architettura al design, dalla comunicazione alla ricerca. Quali sono le altre anime che compongono lo studio? «Fin dagli anni dell’università ho instaurato un legame strettissimo con Ester Annunziata e Tiziana Panareo, con le quali ho deciso di seguire l’invito del maestro Bruno Zevi: “I giovani… se sono architetti, non possono assuefarsi alla passività e all’inerzia; sereni o disperati, devono essere felici perché sono architetti”. Sempre con loro, condivido la responsabilità ereditata dalla mia famiglia di mastri costruttori. Al gruppo si sono poi aggiunti l’ingegnere Michele Martina, e Vito Colonna, urbanista dichiaratamente “anziano”. Negli ultimi anni, infine, la curiosità e l’entusiasmo dello studio sono alimentati e arricchiti anche dal contributo di giovani stagisti». 173


Gli architetti Fabio Colmano, Antonia Colacicco e Michele Bedetta di Isolaprogetti, Milano www.isolaprogetti.com

Diversificare le forme dell’abitare Il recupero di edifici industriali dismessi si traduce spesso nel loft. Soprattutto a Milano. Michele Bedetta, Antonia Colacicco e Fabio Colmano, fondatori dello studio Isolaprogetti, spiegano le ragioni di questa frequente scelta architettonica, alla cui base sta una diversificazione delle forme dell’abitare di Luca Cavera

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Quello del recupero di aree e fabbricati dismessi da attività produttive è ormai uno dei temi focali del dibattito architettonico e urbanistico, in particolare in città come Milano. Qui, infatti, gli ultimi decenni di profonda trasformazione del tessuto sociale ed economico hanno drasticamente rimescolato le carte della forma e delle funzioni urbane insediate. «Così – spiega l’architetto Fabio Colmano –, consistenti porzioni della città che un tempo erano sedi industriali o artigianali – spesso periferiche, però anche centrali o semicentrali – hanno dapprima vissuto un periodo di dismissione e di oblio, per poi tornare al centro dell’interesse degli operatori del mercato immobiliare, sulla scia di una domanda di spazi capaci di coniugare modalità nuove di lavoro e di residenza». Fabio Colmano, insieme a Michele Bedetta e Antonia Colacicco, ha fondato nel quartiere Isola lo studio Isolaprogetti, struttura nata per la progettazione in campo residenziale, commerciale, terziario e per il recupero di edifici esistenti ex industriali. Nel campo della riconversione delle strutture produttive le scelte progettuali sono ben delineate. «È possibile individuare C&P


IL LOFT A MILANO | Isolaprogetti

A sinistra e sopra due rendering di un loft di prossima realizzazione. A destra, spazi interni e dettaglio costruttivo di un intervento già realizzato

È possibile individuare una via italiana, e soprattutto milanese, nel recupero degli immobili industriali

una via italiana, e soprattutto milanese, nel recupero degli immobili industriali - spiega Michele Bedetta -. Questo tipo d’intervento prevede la suddivisione degli edifici in loft, caratterizzati da ampie volumetrie relativamente indifferenziate, che intendono accogliere al loro interno spazi di lavoro, spesso terziario, ma anche artigianale, artistico o professionale, e spazi di vita privata e familiare. In realtà, però, questa è una tipologia di importazione». Un tipo d’intervento che ha cercato in un certo senso di “mutare” il volto di Milano. «Va considerato che una certa rigidità degli strumenti urbanistici tradizionali, da un lato, e gli appetiti speculativi, dall’altro, hanno condizionato pesantemente l’esito finale delle trasformazioni urbanistiche, peraltro tuttora in atto - spiega Antonia Colacicco -. Queste, solo occasionalmente hanno prodotto risultati architettonici e di effetto urbano di rilievo. Tanto per citare alcune delle questioni più dibattute legate al riutilizzo residenziale delle aree e degli edifici, non si possono trascurare tematiche come la salubrità dei suoli o il reperimento degli spazi da destinare ai servizi». C&P

Il tutto ha comportato una sorta di moda dei loft che non sempre ha un effettivo riscontro in termini abitativi. «In generale» concludono i membri di Isolaprogetti, «chi intende investire in un immobile di questo tipo può trovarsi di fronte a una promessa che rischia di non poter essere mantenuta. Per fare un esempio, la possibilità di modificare la destinazione d’uso – da produttivo a residenziale – è tutt’altro che scontata e va valutata caso per caso. Sia in relazione alle prescrizioni urbanistiche, sia alle caratteristiche intrinseche dell’immobile. Allo stesso modo vanno ben valutati gli aspetti fiscali, in fase sia di acquisto che di gestione. Tuttavia, è innegabile che la tipologia del loft tenda a rispondere a una mutazione – o meglio, a una diversificazione – delle esigenze abitative e di vita in generale. In particolare, la fusione degli spazi abitativi e di lavoro, di cura parentale, di studio e di socialità è già appartenuta a certe fasi delle nostre città in passato. Oggi può di nuovo rivelarsi compatibile con una fruizione della città che risponda alla complessità della realtà contemporanea». 175



RIQUALIFICAZIONE EDILIZIA


Un piano per le città La trasformazione urbana condotta secondo i principi della sostenibilità può rivelarsi determinante per il futuro del Paese. Per questo l’Ance ha presentato un piano per le città. Il ministro Corrado Passera, «è un’ottima idea» di Adriana Zuccaro

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C&P


EDILIZIA | La proposta dell’Ance

Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti

Il Piano per le città fortemente richiesto dai costruttori arriverà entro giugno. Lo ha annunciato il ministro dello Sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, nel suo intervento durante il convegno “Un piano per le città. Trasformazione urbana e sviluppo sostenibile” promosso dall’Ance. L’incontro è stato occasione per discutere delle aree urbane italiane come fattore strategico per la crescita e la competitività del Paese, e per delineare un programma che porti in tempi ragionevoli a una valorizzazione del territorio e dell’edificato. «Il piano è un’ottima idea» ha affermato Passera, mostrando piena adesione alle proposte avanzate dagli esponenti dell’Ance e annunciando che «insieme, già entro l’estate si può arrivare almeno a una prima tappa di preparazione del piano». Cinque i punti cardine redatti dall’Ance. Prima in lista la riqualificazione edilizia che dovrà essere sorretta, in casi di demolizioni e ricostruzioni, dalla semplificazione delle procedure e l’aumento degli incentivi per i proprietari al fine di farli aderire al progetto. Sarebbe opportuno attuare una fiscalità di favore per l’acquisto della prima casa attraverso mutui di sostegno, e porvi accanto, una fiscalità neutra che non gravi l’operatore nelle diverse fasi della trasformazione edilizia. «Anche in campo fiscale ciò che serve è un approccio integrato delle complesse problematiche e una regia affidata ai Comuni, con il supporto delle Regioni, che si interfacci con il governo» ha spiegato il ministro, sottolineando inoltre come per molte tematiche siano disponibili stanziamenti già predisposti. Gli altri obiettivi del piano riguardano il raggiungimento di alti profili di risparmio energetico C&P

e la dismissione del patrimonio pubblico come occasione irrinunciabile per disporre di edifici che possono cambiare il volto delle città e modernizzarle, fornendo funzioni di qualità e ribadendo, in linea con le riflessioni di Passera, che «le città sono motori formidabili per l’innovazione». Il ministro non solo ha riaffermato come «i principi cardine del piano ispirano l’azione del governo: stop al consumo del suolo, riqualificazione edilizia, efficienza energetica, housing sociale e rilancio del trasporto pubblico», ma si è detto favorevole anche alla richiesta avanzata dall’Ance di una neutralità dell’Iva sugli immobili invenduti. «Sono d’accordo, speriamo di trovare una soluzione a breve». Le agevolazioni fiscali hanno un ruolo determinante, soprattutto a seguito delle ultime novità introdotte dal decreto “salva Italia”, anche per le ristrutturazioni edilizie. Con il decreto legge 201/2011, infatti, la detrazione del 36% delle imposte per ristrutturazioni non ha più scadenza, essendo ormai incluso nel Tuir (Testo unico delle imposte sui redditi); il beneficio fiscale si estende inoltre a tutti gli interventi di manutenzione, restauro, risanamento, ricostruzione e ripristino di immobili danneggiati da eventi calamitosi, purché ricadano in aree in cui è stato dichiarato lo stato di calamità. Ogni azione mirata alla riqualificazione urbana, al risparmio energetico e a soddisfare la domanda abitativa concorre a ridare vita al patrimonio edilizio esistente e a ricostruire una risorsa anche per il mondo del lavoro. Perché, come ha affermato il ministro, «quello delle costruzioni è un settore in cui un miliardo di investimenti in più determina 20mila nuovi occupati; è uno dei macrosettori più determinanti per il futuro del Paese». 179


EDILIZIA

Guardare all’edilizia come motore del rilancio di Paolo Buzzetti presidente di Ance

Il settore delle costruzioni sta pagando a caro prezzo gli effetti della crisi dei mercati finanziari. La restrizione del credito concesso dalle banche rischia ormai di paralizzare l’intera rete imprenditoriale dell’edilizia. Ma oltre a ciò, le aziende devono affrontare anche il grave problema dei ritardati pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Si è giunti, infatti, a un tempo medio d’attesa di otto mesi, con un incremento del 40%: dai 114 giorni del maggio 2011 agli attuali 159. Senza considerare quelle situazioni limite nelle quali si sono superati i due anni. In questo modo si condannano le imprese a un inevitabile fallimento. È, invece, proprio al settore edile che bisognerebbe guardare per avviare concrete azioni anticicliche capaci di rilanciare l’economia, come avviene in altre grandi nazioni europee. L’Ance lo sostiene da tempo: la spesa pubblica produttiva, come quella delle infrastrutture, va salvata. Ogni miliardo di euro investito in edilizia genera ricadute positive per ben 3,4 miliardi. Tuttavia, negli ultimi anni, si è puntato su una politica di tagli agli investimenti piuttosto che alla spesa corrente, generando - dal 2005 a oggi - una contrazione del 44,5% del mercato dei lavori pubblici. Di certo, la decisione del Cipe dello scorso gennaio, che ha confermato l’assegnazione di fondi per le opere contro il rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, va letta come un primo segnale positivo. Al quale bisogna però far velocemente seguire un piano di 180

spesa delle risorse che, dopo una prima boccata d’ossigeno, sia in grado di creare una reale prospettiva di sviluppo. Prospettiva che deve naturalmente coinvolgere anche il settore privato il quale, nonostante abbia evitato gli effetti nocivi di una bolla speculativa, non è in grado di rispondere a un’esigenza abitativa decisamente alta, stando alle stime sulla crescita del numero di famiglie. Sono tre gli obiettivi su cui bisognerebbe concentrare gli sforzi. In primo luogo, è necessario investire nell’edilizia sostenibile, intervenendo sulla gran parte degli edifici esistenti secondo i più moderni criteri di risparmio energetico e le attuali norme antisismiche. Importante, poi, è rendere accessibile la casa anche alle fasce medio-basse della popolazione, attraverso mutui a condizioni agevolate e incentivi fiscali mirati. Ma, soprattutto, è urgente avviare un piano città capace di realizzare una radicale riqualificazione del tessuto urbano per recuperare le periferie, riorganizzare la mobilità e rendere le nostre città motori di sviluppo economico, poli turistici di grande interesse e luoghi di sempre più elevata qualità della vita. Quest’ultimo punto è fondamentale non soltanto per il settore, ma per tutta l’economia. La città, infatti, intesa come luogo di produzione della ricchezza materiale e culturale di un paese, è destinata a essere il principale terreno del confronto futuro fra le economie mondiali. C&P



EDILIZIA | Veronica De Angelis

La dottoressa Veronica De Angelis della Dae Costruzioni Spa di Roma. Sotto, veduta della rampa Antonio Ceriani. A fianco, immobile in via Vipiteno dae@pec.daecostruzioni.com - segreteria@daecostruzioni.com

Il progetto, una visione condivisa Secondo Veronica De Angelis il rinnovamento urbanistico italiano non può che nascere dal dialogo fra giovani imprenditori edili e giovani architetti. Puntando alla vivibilità degli ambienti interni e soprattutto di quelli che circondano gli edifici di Luca Cavera


Nel progettare e poi nel costruire bisognerebbe partire da una visione quanto più possibile condivisa, che ascolta i bisogni del territorio e dei cittadini

Ogni gesto architettonico lascia inevitabilmente un segno duraturo sul volto delle città. Questo vale tanto per il suo passato storico che per quello più recente. In molte città italiane lo scenario urbanistico che si è sedimentato negli ultimi decenni è stato il frutto di logiche di volta in volta diverse, ma, nella maggior parte dei casi, lontane dai criteri che dovrebbero guidare un intervento destinato a lasciare una traccia così profonda. «Non è una questione di ricetta giusta o sbagliata, bensì di riacquisizione di responsabilità nel progettare e nel costruire. Ciò significa comprendere, fino in fondo, come si interverrà sul territorio». A parlare è la dottoressa Veronica De Angelis, giovane imprenditrice edile alla guida della società romana Dae Costruzioni Spa, da trent’anni impegnata nella realizzazione di costruzioni civili e industriali. La sua idea è semplice ed efficace: partire dalla condivisione. Può spiegare questo concetto? «Nel progettare e poi nel costruire bisognerebbe partire da una visione quanto più possibile condivisa. Per visione e condivisione intendo, ascoltare i bisogni del territorio e dei cittadini. Partire quindi dal basso e non dall’alto. Non bisogna mai dimenticare che i nostri principali interlocutori C&P

sono coloro che abiteranno gli immobili. Anche per questo bisogna puntare su una maggiore evoluzione dei sistemi costruttivi, sulla sostenibilità e l’integrazione dell’edificio col sistema urbano; insomma sulla vivibilità non solo delle abitazioni, ma dell’ambiente circostante. Alla base di tutto questo deve esserci l’ascolto – purtroppo questa visione sembra esistere in modo discontinuo». Chi sono i soggetti più sensibili alla condivisione e all’ascolto? «Credo che siano i giovani architetti, insieme ai giovani imprenditori edili. Non a caso i problemi urbanistici di oggi penso siano figli di una storica assenza di comunicazione fra imprenditori e architetti. Oggi però esiste, fra progettista e impresa, una volontà crescente di collaborazione e la voglia di dialogare. Infatti, è soltanto quando le questioni architettoniche e le esigenze economiche raggiungono una sintesi che si può procedere a un’operazione veramente funzionale; tale da dare la possibilità a entrambi i soggetti di interpretare una visione che lasci un’impronta sulla città. Gli edifici restano per decenni e sono il simbolo di una cultura e di un’epoca. Roma è certamente una città storica, ma anche noi possiamo contribuire a costruirne ancora la storia». 183


EDILIZIA | Veronica De Angelis

Sopra, ingresso del complesso residenziale La Storta. A fianco, veduta degli immobili realizzati a Casal Monastero (RM)

Quali sono invece i maggiori ostacoli, in questo momento, che i giovani, sia imprenditori sia architetti, incontrano nell’esprimere una nuova visione della città? «Esiste un problema legato alle dimensioni delle imprese di costruzioni. La maggior parte, in linea con il resto dell’imprenditoria italiana, appartiene alla schiera delle piccole e medie imprese. Questo vuol dire che il più delle volte si tratta di imprese che più che ad innovare, sono spinte a proseguire una tradizione. Difficilmente c’è spazio per l’ingresso di personalità esterne apportatrici di nuove idee e vissuti – e quindi anche di nuove idee di progettare e costruire. Questo fa sì che il giovane architetto abbia difficoltà a inserirsi e ad entrare in contatto con i soggetti che otterrebbero un vantaggio dall’apporto di novità». Anche dal punto di vista normativo esistono degli ostacoli. Quali sono i maggiori? «Noi giovani costruttori siamo molto interessati ad un processo di riqualificazione della città, di 184

rigenerazione. Gli strumenti urbanistici per fare questo, in potenza esistono – penso al Print o al Piano Casa. Però, passando dalla teoria alla pratica, spesso ci si scontra con difficoltà burocratiche o con la complessità dei nostri piani regolatori, come quello di Roma, spesso di non semplice consultazione per gli stessi tecnici del settore. Se guardo invece al piano regolatore di una città come New York, trovo un documento accessibile e di facile lettura anche per il singolo cittadino». Voi avete realizzato molte opere di edilizia economica e popolare. Quale visione vi ha guidato? «Abbiamo sempre cercato di dare il massimo della qualità, compatibilmente con i limiti stabiliti dal prezzo massimo di cessione. Oggi guardiamo al modello di molte città spagnole, in cui la progettazione dell’edilizia popolare è stata affidata a giovani architetti che hanno saputo comprendere l’importanza di creare dei quartieri vivi e capaci di lasciare un segno architettonico». C&P



Edilizia e ambiente Integrare la costruzione nel contesto e, contemporaneamente, rispettare l’ambiente con materiali ecocompatibili e fonti rinnovabili. Il lavoro edile, infatti, non può prescindere dal circostante. Il punto di Carlo Dossi di Eugenia Campo di Costa

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Nella realizzazione di opere edili non si può prescindere dall’ambiente circostante. Inteso sia come contesto, all’interno del quale dovrà armonizzarsi una nuova costruzione, sia come “habitat” da rispettare, sfruttando materiali ecocompatibili e fonti rinnovabili. Non prescinde da questa visione l’attività della Edildos Costruzioni, fondata nel 1975, realtà nel settore dell’edilizia, impegnata sia in conto proprio che per conto terzi nella realizzazione di costruzioni civili e industriali, oltre che nell’ambito di ristrutturazioni, ampliamenti e riqualificazioni. Come spiega Carlo Dossi, il suo fondatore, «la nostra idea combina esperienza e competenza con utilizzo di nuove tecnologie costruttive, finiture di qualità e stile, risparmio energetico, riqualificazione dell’esistente e formazione del nuovo che al meglio interpreta l’esigenza moderna». In che modo, nelle vostre realizzazioni e nelle ristrutturazioni, si esprime l’attenzione all’impatto ambientale e all’integrazione di fonti rinnovabili negli edifici? «Le nostre progettazioni, innanzitutto, mirano a integrare la costruzione, sia essa residenziale, C&P


EDILIZIA | Carlo Dossi

Limitiamo l’impatto ambientale anche mediante l’utilizzo di materiali ecocompatibili e di nuove tecnologie per garantire la migliore efficienza energetica

In apertura Carlo Dossi, titolare della Edildos Costruzioni di Vimercate (MB) e Cantiere in Gessate, complesso di 125 appartamenti in classe A. A destra, cantiere in Burago di Molgora, studio personalizzato di un interno firmato dall’interior design geometra Ombretta Dossi edildoscostruzioni@tiscali.it

commerciale o industriale, armonizzandola con l’ambiente circostante. Il criterio è quello di interpretare la realtà del luogo e prediligere l’equilibrio. A questo scopo, ci avvaliamo della collaborazione di tecnici competenti che applicano questi principi sia per integrare una costruzione nuova, sia per adeguare una preesistenza, senza mai snaturarne la storia. L’utilizzo delle fonti rinnovabili è una componente molto importante: solare termico, fotovoltaico, geotermico assumono un peso sempre maggiore nelle nostre realizzazioni. Lo scopo è di limitare l’impatto ambientale, obiettivo che perseguiamo anche mediante l’utilizzo di materiali ecocompatibili e di nuove tecnologie per garantire la migliore efficienza energetica possibile». Edildos Costruzioni è una realtà molto competitiva, come testimoniano importanti cantieri in diversi comuni lombardi. Su quali progetti state lavorando in questo momento? «A Carate stiamo realizzando varie ville, abitazioni bifamiliari e appartamenti in classe energetica A. A Missaglia, stiamo lavorando alla costruzione di una C&P

palazzina di 37 appartamenti che sorge in un contesto paesaggistico importante quale il parco del Curone. A Biassono, in edilizia convenzionata, con requisiti di alto livello, si sviluppano 200 appartamenti di diverse metrature. A Gessate, stiamo lavorando a un complesso di 125 appartamenti dislocati in vari lotti. A Burago di Molgora, invece, siamo impegnati nella realizzazione di una palazzina di 31 appartamenti in classe B, riscaldamento centralizzato, pannelli solari, serramenti ad alta resistenza termica e acustica, cappotto esterno. A Gorgonzola, in centro storico, stiamo invece costruendo una palazzina di 7 appartamenti più spazi commerciali». Quali le prospettive di Edildos Costruzioni per il prossimo futuro? «Tenacia, concretezza e qualità sono la base della Edildos Costruzioni. Ho trasmesso ai miei tre figli, Ombretta, Omar e Maurizio, questi valori e la passione per l’attività imprenditoriale nella certezza che il futuro sarà la continuità. Continueremo sulla strada della ricerca tecnica, stilistica, qualitativa al fine di sapere soddisfare sempre e al meglio anche i committenti più esigenti». 187


I materiali termoisolanti Per ottimizzare dal punto di vista termico e acustico gli edifici esistono oggi diverse soluzioni e materiali. Luca Maccioni fa un quadro delle possibilità offerte dalla moderna edilizia ecosostenibile di Manlio Teodoro

Luca Maccioni, Giovanni Oliveri e Guido Maccioni, responsabili della Coriges Srl di Concorezzo (MB) www.coriges.it

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Il riscaldamento e il raffreddamento degli ambienti domestici hanno un pesante impatto dal punto di vista energetico e nel conseguente inquinamento ambientale e nel consumo di risorse. Ciò è dovuto al fatto che fino a pochissimi decenni fa, nella progettazione architettonica non si dava la dovuta considerazione all’isolamento termico degli edifici e il risultato è che oggi le nostre città si presentano come delle selve di edifici dalla scarsa efficienza termica e questo a fronte di costi energetici sempre più elevati. «Si stima che, in Italia, il riscaldamento e il raffreddamento degli edifici incidano per almeno il 40 per cento dei consumi energetici. E inoltre, circa un terzo di questo consumo va collocato sotto la voce degli sprechi, dato che è generato dalla dispersione. Gli architetti, nel progettare nuovi edifici, oggi, tengono conto di questi fattori. Ma il vero problema resta quello dell’intervento sugli immobili esistenti». A parlare è Luca Maccioni, responsabile della Coriges, società specializzata negli interventi di isolamento termico, nelle opere in cartongesso, nei rivestimenti C&P


EDILIZIA | Coriges

Utilizzando il polistirene, che è un materiale leggero, di facile lavorazione e non infiammabile, si ottiene un notevole isolamento termico

colorati e negli intonaci premiscelati. Quali sono le soluzioni tecniche e quali i vantaggi che permettono di raggiungere? «Oggi sono stati sviluppati diversi sistemi che garantiscono l’isolamento termico grazie all’applicazione di particolari materiali edili con i quali si realizzano coibentazioni a cappotto. Queste soluzioni permettono importanti abbattimenti dei consumi energetici, consentendo di ridurre gli sprechi energetici di oltre il 60 per cento. I vantaggi sono molteplici, i principali sono un maggiore comfort abitativo con una minore spesa e un’importante riduzione delle emissioni di anidride carbonica». Quali sono i materiali che utilizzate maggiormente per questo tipo di interventi? «Gli isolamenti a cappotto sono realizzati con pannelli isolanti che vengono posati direttamente sulla muratura perimetrale esterna degli edifici – indipendentemente dal fatto che si tratti di una nuova costruzione o di una C&P

ristrutturazione. Esistono diversi tipi di pannelli con caratteristiche isolanti differenti, sia dal punto di vista termico che acustico. Tra i più utilizzati troviamo pannelli in polistirene, lana di roccia e sughero». Può descrivere le differenti caratteristiche dei diversi pannelli? «Utilizzando il polistirene – che è un materiale leggero, di facile lavorazione e non infiammabile – si ottiene un notevole isolamento termico. Anche la lana di roccia ha efficaci qualità termoisolanti e non è combustibile. Questa è particolarmente indicata nella coibentazione di edifici che superano gli otto piani di altezza. Inoltre, ha un’elevata permeabilità al vapore e protegge contro l’umidità, garantendo un clima interno molto confortevole. La scelta più ecosostenibile risulta quella del sughero, dato che si tratta di un materiale naturale. Ha anche il vantaggio di presentare un’elevata resistenza superficiale. Altri materiali altrettanto performanti sono la fibra di legno e l'idrato di silicato di calcio». 189


© foto Georgia Nuzzo

Nel tondo Alessandro Cuculi, amministratore unico della Taurus Costruzioni Srl di Roma. Nella pagina accanto il cantiere e una parte del complesso residenziale di via Prampolini

L’edilizia necessita di una “ristrutturazione” Pur in una fase di estrema difficoltà, il settore edile punta a recuperare il suo ruolo all’interno del sistema economico nazionale. Nuove idee e soluzioni per affrontare il mercato nelle parole di Alessandro Cuculi

I cambiamenti che hanno attraversato la società negli ultimi decenni hanno inciso in maniera considerevole anche nel modo di costruire. L’edilizia residenziale è infatti chiamata a reinterpretare gli spazi abitativi, anche e soprattutto in funzione delle mutate necessità delle famiglie moderne. «Single, giovani coppie e anziani hanno esigenze molto diverse rispetto alle “classiche” famiglie di una volta», afferma l’amministratore unico della Taurus Costruzioni di Roma, Alessandro Cuculi. «Grazie al supporto di strumenti informatici che ci permettono di effettuare varie simulazioni degli spazi, oggi abbiamo la concreta possibilità di farci carico di queste trasformazioni, e di costruire così abitazioni a misura d’uomo».

© foto Georgia Nuzzo

di Guido Puopolo

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A questo proposito, in quali tipologie di progetti siete coinvolti al momento? «Attualmente a Roma stiamo lavorando su tre cantieri di edilizia residenziale, due di grandi dimensioni e uno di medie, quest’ultimo ormai in fase di chiusura. In via Prampolini abbiamo consegnato 54 appartamenti, oltre al centro commerciale Eurospin; in corso d’opera abbiamo invece altri 188 appartamenti divisi su tre lotti. Nell’area di Tor Pagnotta stiamo realizzando un totale di 400 appartamenti divisi in 4 lotti, mentre al Torrino sono pronte per la consegna 20 abitazioni. Mi preme sottolineare che Taurus è un vero e proprio general contractor, che gestisce i lavori di costruzione C&P


© foto Georgia Nuzzo

EDILIZIA | Alessandro Cuculi

© foto Georgia Nuzzo

Da impresa “giovane” e dinamica abbiamo sempre tenuto presente la salvaguardia dell’ambiente, valutando l’impatto sociale dell’opera e facendo ricorso a una architettura “ecologica”

dalle fasi preliminari di approntamento cantiere fino alla vendita “chiavi in mano”». Nonostante la crisi, quindi, questo è stato per voi un biennio molto intenso. «È vero. In completa controtendenza rispetto al settore, Taurus ha conseguito risultati estremamente positivi in termini di crescita, con un portafoglio lavori che, a oggi, è pari a oltre 50 milioni di euro. Solo per dare un’idea, nel 2011 il nostro fatturato ha superato gli 11 milioni di euro, con un incremento superiore al 100 per cento rispetto all’anno precedente. Oltre ai dati di carattere puramente economico, possiamo vantare un record: prendendo in esame il totale delle nostre lavorazioni in cantiere, infatti, abbiamo registrato una percentuale di contestazioni pari a zero. Questo significa che, di norma, le committenze con le quali operiamo sono estremamente soddisfatte della qualità e della tempistica dei nostri interventi». Oggi grande attenzione viene posta alla costruzione di edifici a basso impatto ambientale. Come cercate di soddisfare queste nuove esigenze del mercato? «Da impresa “giovane” e dinamica abbiamo sempre

C&P

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© foto Georgia Nuzzo

tenuto presente la salvaguardia delle risorse e del paesaggio, valutando l’impatto sociale dell’opera e facendo ricorso a un’architettura “ecologica”, sia dal punto di vista dei materiali utilizzati che dal punto di vista energetico. D’altro canto, l’edilizia residenziale consuma circa il 45 per cento del totale dell’energia prodotta: pannelli solari e fotovoltaici, così come lo sviluppo della domotica, sono solo alcune delle soluzioni che permettono di realizzare costruzioni più confortevoli ed ecosostenibili, con notevoli vantaggi non soltanto ambientali ma anche economici». Quali accorgimenti tecnici e quali innovazioni progettuali e tecnologiche, invece, potranno contribuire a un riassetto dell’edilizia abitativa in chiave antisismica? «Con la nuova normativa antisismica, l’Italia ha fatto passi da gigante e si è allineata al resto d’Europa, con l’uso di nuove tecnologie quali isolatori sismici e dissipatori di energia che hanno reso il nuovo 192

costruito ben resistente ad attacchi sismici. Il problema fondamentale è che la nuova normativa ha di fatto “reso” insicuro tutto quanto costruito in precedenza. Pertanto è fondamentale recuperare gli edifici esistenti e provvedere alla loro messa in sicurezza dal punto di vista sismico. Lo sforzo in tale direzione comporterà certamente un notevole dispendio di risorse, ma d’altro canto - se inquadrato in un piano organico – questo potrebbe dare un nuovo impulso all’economia e all’occupazione». In effetti la ripresa del comparto edile italiano stenta a decollare. Quali sono, a suo avviso, i fattori principali alla base di questa situazione? «Un grande freno è rappresentato dalla generale difficoltà di accesso al credito, che di fatto sta riducendo il numero dei potenziali nuovi proprietari di casa. Crediamo però che, in un momento di estrema volatilità dei mercati azionari, le banche e gli investitori dovranno necessariamente tornare a C&P


EDILIZIA | Alessandro Cuculi

A lato un’immagine del cantiere di Tor Pagnotta. Sotto, l’asilo e l’area verde in via Prampolini (Roma)

Studiare un sistema che permetta ai potenziali nuovi proprietari di casa di stipulare contratti di affitto che potremmo definire “convertibili”, potrebbe essere un’idea per rilanciare l’edilizia investire sul settore, finanziando sia le grandi opere che l’edilizia residenziale». Come fare, allora, per ripartire? «Un’idea per il futuro prossimo potrebbe essere quella di studiare un sistema che permetta ai potenziali nuovi proprietari di casa di stipulare contratti di affitto che potremmo definire “convertibili”. Pensiamo a un giovane trentenne che, non avendo la possibilità di accendere un mutuo per l’acquisto della sua prima casa, stipula un contratto di affitto con la proprietà dell’immobile appena costruito, nel quale però si definisce a priori una scadenza entro la quale poter convertire la locazione in un atto d'acquisto. Ciò comporterebbe un vantaggio per entrambe le parti: per la proprietà - che percepisce una rendita - e per il privato - che può compensare i canoni di affitto versati tramutandoli nell'anticipo per l'acquisto della sua prima casa. É soltanto un’'idea, che potrebbe però contribuire a risolvere un problema di carattere anche sociale». C&P

Quali sono, infine, gli obiettivi aziendali per il prossimo futuro? «Dopo una fase di grande crescita avvertiamo la necessità di migliorare partendo da ciò che può essere definito il nostro vantaggio competitivo, ovvero la capacità costruttiva. Ci stiamo quindi muovendo in questa direzione, partendo da una riorganizzazione del lavoro, un miglioramento delle performance finanziarie e un’attenzione maniacale alla qualità. Taurus, tra l’atro, ha il sistema di gestione della qualità certificato e ha ottenuto l’attestazione Soa per la categoria di lavori nella quale opera. Sicuramente, vista la situazione macroeconomica italiana, uno dei nostri obiettivi nel breve-medio periodo sarà di aprirci ai mercati esteri, dove la domanda per le attività edili è in grande crescita. Per questo abbiamo creato un team interno che sta studiando e valutando alcune ipotesi di intervento su scala internazionale, con particolare riferimento alla città di Berlino, ma anche oltreoceano». 193


Progettare abitazioni razionali La pianificazione architettonica è lo step più importante per una corretta realizzazione degli edifici, soprattutto in chiave energetica. La logica della qualità, nel tempo, paga più di quella del risparmio. Ne parliamo con Agostino Pala di Erika Facciolla

L’attenzione verso l’ambiente e il risparmio energetico è un requisito fondamentale che tutte le aziende operanti nel settore edile devono dimostrare di possedere, sia in fase di progettazione architettonica che di realizzazione costruttiva. Occorre pianificare con cura le strategie procedurali da applicare al progetto, tenendo conto delle esigenze estetiche e funzionali della committenza ma anche delle recenti normative di sostenibilità ambientale varate dall’Unione Europea. Occhio, dunque, alla scelta dei materiali, alla coibentazione termica e acustica, alla razionalizzazione degli spazi e, in generale, all’efficienza energetica. Progettare, pianificare, costruire. Sono queste le attività che da sempre sostanziano il lavoro dell’azienda edile romana Prometea di cui parla l’amministratore e direttore 194

tecnico Agostino Pala. Una delle principali caratteristiche che distingue Prometea dalle altre società del settore è la sua multidisciplinarietà che apre molte strade della progettazione contemporanea. Una specializzazione che si è costruita nel tempo e che segue, passo dopo passo, le nuove tendenze del mercato. «La diversificazione delle attività – conferma Agostino Pala – è il nostro tratto distintivo, in quanto ci permette di avere una visione d’insieme dei vari aspetti del progetto e di ottimizzarne la realizzazione». In quest’ottica di massima diversificazione rientra la partecipazione con una quota importante in una società immobiliare, grazie alla quale l’impresa romana è riuscita ad acquisire un borgo dell’ottocento nelle campagne senesi che sarà presto riportato all’originario splendore. Un business in ascesa, quello C&P


EDILIZIA | Agostino Pala

Nella pagina precedente, alcune opere e fasi di cantierizzazione condotte dal team di Prometea Srl di Roma prometea.srl@virgilio.it

«Cerchiamo di valorizzare le caratteristiche che portano alla realizzazione di abitazioni razionali, ecologiche e con alto indice di benessere»

della ristrutturazione e del restauro, che vede Prometea impegnata su più fronti. Ma quali sono, in generale, le attuali richieste del mercato? Agostino Pala spiega che «di solito vengono chieste modifiche alla divisione interna degli spazi e il rifacimento degli impianti tecnologici, anche se il trend dominante punta a migliorare l’efficienza energetica dell’abitazione». Una tendenza spinta dall’aumentata sensibilità dei costruttori e dei committenti verso le tematiche ambientali e dall’evoluzione della normativa che disciplina il settore sia a livello nazionale che europeo. «Sicuramente – sottolinea il manager - vi è una maggiore attenzione alla coibentazione termica ed acustica degli edifici; soprattutto quest’ultimo aspetto è stato troppo a lungo trascurato, quando invece è uno dei requisiti più importanti di un’abitazione e allo C&P

stesso tempo di più difficile e onerosa risoluzione». In quest’ottica la scelta dei materiali incide notevolmente sia sull’efficienza delle opere edilizie che sulla resa estetica, ecco perché diventa determinante pianificare con criterio le strategie costruttive migliori già in fase di coordinamento progettuale. «Cerchiamo soprattutto di valorizzare e aumentare le caratteristiche che portano alla realizzazione di abitazioni razionali – dichiara Agostino Pala -, ecologiche e con alto indice di benessere, quindi poniamo un’attenzione quasi maniacale agli aspetti di coibentazione termica e acustica, alla corretta illuminazione degli ambienti, all’uso di materiali ecologici, all’efficienza energetica. Riuscire a combinare in maniera equilibrata questi fattori si traduce in una costruzione sana, economica e confortevole». 195


EDILIZIA | Maurizio Nociforo

Un nuovo centro per Catania Un centro polifunzionale innovativo e a misura d’uomo. È la scommessa della società JO-FA-S.A.B. Capital Group per la provincia di Catania. Maurizio Nociforo presenta il progetto de “Il Mandarin” di Emanuela Caruso

Un’area residenziale con dieci ville esclusive, un albergo a cinque stelle luxury, una struttura polivalente con teatro, sale espositive e anfiteatro all’aperto. E ancora, un’area commerciale dedicata a negozi di grandi firme, un’area direzionale per uffici, locali per la ristorazione, parcheggi, un’ampia zona verde, spazi comuni e piazze, il tutto in design contemporaneo e in moderno stile mediterraneo. Sono queste le prerogative del progetto de Il Mandarin, il nuovo centro polifunzionale di concezione americana che con la sua estensione di 110mila metri quadrati occuperà la parte est del Comune di Sant’Agata Li Battiati. A finanziare il progetto è l’imprenditore italo-americano Joseph Alfred Faro, fondatore e amministratore della società committente dell’opera, la JO-FA-S.A.B. Capital Group. «Lo scopo di questo progetto – spiega Maurizio Nociforo, project manager della società – è quello di creare un

insediamento polifunzionale in controtendenza rispetto alle recenti realtà commerciali nate nell’hinterland catanese. Infatti, al contrario di tali centri commerciali, Il Mandarin sarà un villaggio all’insegna del lusso caratterizzato dal rito della passeggiata commerciale tipica del centro urbano che disporrà di proprie strade, piazze e viali alberati. Così facendo, verrà creato quell’effetto “città” volto a favorire la vita sociale e di relazione di quanti fruiranno del nuovo centro». L’iniziativa imprenditoriale seguirà inoltre le direttive per lo sviluppo sostenibile del territorio di Sant’Agata Li Battiati, ponendo grande attenzione all’efficienza energetica, alla riduzione delle emissioni di carbonio e di gas, e all’utilizzo di materiali locali, riciclati e privi di sostanze tossiche. I progettisti dell’opera fanno capo agli studi di ingegneria e architettura S.I.A.Ge.T. di Catania e Arrowstreet di Somerville in USA.

Render del progetto de Il Mandarin, centro polifunzionale che sorgerà a Sant’Agata Li Battiati (CT) - www.ilmandarin.com

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EDILIZIA | Ferdinando Vignola

Edilizia e innovazione Realizzazioni innovative, materiali ecosostenibili, maestranze specializzate. Su queste prerogative si deve fondare oggi l’attività edile. Il punto di Ferdinando Vignola di Eugenia Campo di Costa

Ferdinando Vignola, amministratore unico de La Titano Edilizia di Roma. In apertura, dettaglio della Procura di Tivoli www.latitanoedilizia.com

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L’edilizia oggi pretende innovazione e ricerca di soluzioni materiche e costruttive all’avanguardia. Con un’attenzione particolare all’impatto ambientale e al risparmio energetico. Su queste premesse si basa l’attività de La Titano Edilizia, impresa romana che ha fatto della diversificazione l’aspetto di punta del suo percorso, operando sia nel settore pubblico che in quello privato, con attività di costruzione, ristrutturazione, restauro e manutenzione in ambito civile e industriale. «Per molti anni – afferma Ferdinando Vignola, amministratore unico della società che ha fondato trent’anni orsono - l’azienda si è occupata di restauro di chiese sia a Roma che in vari paesi del Lazio, per poi passare negli ultimi quindici anni sia alle manutenzioni di enti pubblici, che alla realizzazione di edilizia residenziale e alla costruzione di edifici di carattere pubblico». C&P


Cerchiamo di usare prodotti innovativi e materiali all’avanguardia con un occhio di riguardo all’ambiente, all’aspetto ecologico e al risparmio energetico. Oggi queste sono prerogative imprescindibili

Quali progetti, tra quelli da voi seguiti, risultano particolarmente rilevanti? «Nell’ambito del restauro, sicuramente il ponte etrusco di Vulci. In passato, abbiamo inoltre realizzato delle opere su progetto dell’architetto Portoghesi presso l’ospedale San Giovanni di Roma. Più di recente, abbiamo invece eseguito per l’azienda ospedaliera San Giovanni - Addolorata di Roma lavori di ristrutturazione dei locali del presidio ospedaliero di nuova destinazione della postazione dell'Ares 118 e la realizzazione del servizio psichiatrico di diagnosi e di cura (Spdc) all’interno del presidio ospedaliero. Inoltre, con ente appaltante il Ministero delle Infrastrutture, abbiamo lavorato alla riparazione del sisma e all’adeguamento funzionale della Scuola Sottoufficiali della Guardia di Finanza e delle annesse pertinenze per le attività connesse C&P

all’organizzazione e allo svolgimento del vertice G8 in L’Aquila. Contestualmente, abbiamo realizzato di recente anche un nuovo corpo di fabbrica per gli uffici giudiziari di Tivoli». Tra i lavori più impegnativi spicca il progetto per l’azienda ospedaliera San Giovanni – Addolorata. Cosa ha comportato il vostro intervento? «Abbiamo realizzato la Sala Pucinotti destinata al servizio intramoenia dell’ospedale. Questo ha comportato un complesso lavoro sia di costruzione ex novo che di restauro delle strutture preesistenti. In effetti, la difficoltà maggiore è stata rinforzare le travi del vecchio soffitto». La ricerca di materiali innovativi è un aspetto chiave dell’attività edile. Quali sono le strategie adottate 199


EDILIZIA | Ferdinando Vignola

Alcune immagini della ristrutturazione seguita da La Titano Edilizia per l’azienda ospedaliera San Giovanni - Addolorata di Roma

Nella Sala Pucinotti dell’ospedale San Giovanni - Addolorata la difficoltà maggiore è stata rinforzare le travi del vecchio soffitto

dalla Titano Edilizia in tal senso? «Cerchiamo di usare prodotti innovativi e materiali all’avanguardia con un occhio di riguardo all’ambiente, all’aspetto ecologico e al risparmio energetico. Credo che oggi questi siano aspetti imprescindibili per andare avanti». Quali altre prerogative distinguono il vostro servizio? «Diamo grande fiducia alle giovani maestranze specializzate nel risanamento, nella ristrutturazione. Lavoriamo dando grande importanza agli aspetti della sicurezza mantenendo gli stessi standard qualitativi, cerchiamo sempre di essere concreti». Il mercato dell’edilizia vive un momento di critica empasse. Quale situazione sta vivendo il settore nel territorio laziale? 200

«Dal 1982 quello che manca è la scuola “di cantiere”. Proprio per questo la mia azienda insiste molto su questo aspetto. Un tempo si creavano delle maestranze qualificate, si imparava veramente il mestiere “sul campo”, all’interno del cantiere. Penso che le forze politiche e quelle sindacali abbiano fatto molto per il nostro settore in questo paese, ma forse a un certo punto c’è stato un eccesso di garantismo che in qualche modo ha “squalificato” le capacità lavorative dell’individuo. E ora ne paghiamo le conseguenze. Inoltre, il settore sta soffrendo, come tutti, della crisi globale. In Italia, in particolare,il costo della manodopera è molto oneroso, i ritardi nei pagamenti delle commesse da parte della Pubblica Amministrazione ha messo in seria difficoltà molte aziende, soprattutto piccole e medie, costrette a chiudere». C&P



EDILIZIA | Mirko Padalino

Mirko Padalino, amministratore della Mida Enterprise Srl di Catania www.midaenterprise.it

Costruire a secco Materiali naturali e soluzioni innovative permettono di ottenere edifici e ambienti che rispondono ai requisiti contemporanei. Mirko Padalino spiega le possibilità di una tecnica alternativa di Valerio Germanico

Le origini della costruzione con l’ausilio del gesso, trovano spazio tra antichi popoli e stili come Barocco e Rococò, avendo questo rappresentato, probabilmente, la più antica delle soluzioni architettoniche. Questa tecnica antichissima, che oggi si ripropone come cartongesso, combinando materiali naturali e soluzioni tecnologiche moderne, rappresenta ancora uno strumento di innovazione e spesso una scelta irrinunciabile per ottenere ambienti dal basso consumo energetico e con un’esecuzione dei lavori più rapida ed economica rispetto alle proposte dell’edilizia classica. «La nostra filosofia ci ha permesso di far incontrare la tecnica della costruzione a secco sia con le soluzioni architettoniche per l’edilizia privata, sia per quella pubblica, introducendola nella protezione antincendio». A parlare è Mirko Padalino, amministratore della Mida Enterprise, impresa edile che ha posto come proprio obiettivo la collocazione 202

all’interno del settore della costruzione a secco. «L’evoluzione e le tecnologie avanzate del settore ci consentono di completare immobili che posseggono la robustezza dei laterizi tradizionali, ma con una conducibilità termica sensibilmente ridotta e con tempi di realizzazione quasi dimezzati. Il cartongesso, i pannelli di fibra minerale, i pannelli con doghe in alluminio, i pannelli per esterni composti da inerti e cemento Portland ci hanno consentito di intervenire nella realizzazione di sale operatorie per ospedali e cliniche, centri di riabilitazione motoria, poliambulatori, centri radiologici, strutture alberghiere e comunitarie, istituti di credito, scuole, e centri commerciali. Soddisfacendo tutte le esigenze di protezione, termica ed acustica, sia di pareti interne che esterne, e puntando anche sulla resa estetica nei casi di restauro e rifacimento di soffitti a volta per ambienti di culto e manufatti antichi». C&P



Cresce l’interesse verso gli edifici in legno Nella valutazione degli immobili l’efficienza energetica è un argomento che non ha raggiunto ancora la meritata importanza. L’architetto Fabio Ciaroni spiega perché andrebbe rivisto il modo in cui si stima il valore di una casa. E anche il sistema per costruirla di Luca Cavera

Nonostante la centralità assunta dal tema del risparmio energetico degli edifici, residenziali e non, e la recente introduzione dell’obbligo di inserire negli annunci immobiliari di vendita e locazione l’indice di prestazione energetica, nel mercato continua a resistere – di fatto e di diritto – una valutazione del valore commerciale legata principalmente al sito in cui si trova l’immobile. Questo riguarda certamente le costruzioni esistenti, nelle quali, semplificando, a dominare è ancora l’opposizione fra centro e periferia, o fra palazzi di pregio storico e condomini post boom economico. Ma a ciò si aggiunge anche il fatto che in molte aree italiane si costruisce ancora come cinquant’anni fa, prolungando nel tempo una concezione dell’edilizia basata su cemento armato e muro a cassetta e che 204

sembra ignorare totalmente l’evoluzione tecnologica. Secondo l’architetto Fabio Ciaroni: «Le prestazioni energetiche dovrebbero diventare un parametro fondamentale nella determinazione del valore commerciale di un immobile e al contempo il valore dovrebbe essere svincolato dal sito». Ciaroni è direttore tecnico del gruppo Alessandrini, insieme di società che da anni lavora alla progettazione e realizzazione di costruzioni di nuova concezione, in particolare nell’area della capitale. «Il nostro gruppo, grazie a una dirigenza di tecnici, ha messo al centro l’efficienza energetica – e quindi l’involucro – già in anni in cui il tema non era di attualità. Questo perché il gruppo credeva, e ne ha avuto ragione, che si potesse introdurre un valore aggiunto che il mercato C&P


COSTRUZIONI | Fabio Ciaroni

In apertura, particolare del centro polifunzionale di Collemaggio (AQ); sotto l’intera struttura, realizzata dal gruppo Alessandrini di Roma www.gruppoalessandrini.it

Dopo il sisma, all’Aquila, la necessità più urgente era ridare un rifugio alle persone e ricostruire i presidi minimi di assistenza per la popolazione

avrebbe prima o poi riconosciuto. Per questo la scelta è stata di investire nella tecnologia realizzativa. Infatti, una delle società del gruppo si occupa esclusivamente di sensoristica e monitoraggio, sia del comfort abitativo sia strutturale. Ci siamo quindi concentrati su tutto il range dello sviluppo tecnologico, per poi soffermarci soprattutto sull’involucro». Uno dei risultati di queste ricerche è stato l’impiego del legno come materiale fondamentale di costruzione. «Abbiamo iniziato a impiegare una tecnologia che all’estero, in Germania, è usata da anni, quella dei casseri Isotex in legno-cemento mineralizzato. Questo sistema costruttivo ci ha permesso di avvicinare maggiormente i valori della trasmittanza termica di una parete ai requisiti delle normative, evitando così la C&P

creazione di ponti termici. Il risultato di questa applicazione è stata la creazione di edifici in classe A e B». Il gruppo Alessandrini ha quindi anticipato i tempi, investendo e avendo fiducia sull’evoluzione del mercato e sullo sviluppo di una sensibilità che mettesse in conto, nella valutazione di un immobile, non solo il prezzo di acquisto, ma soprattutto il costo di gestione. Questo anche nella prospettiva di un’evoluzione futura delle normative, che potrebbe rimettere in discussione l’attuale sistema dei prezzi nel mercato immobiliare. «Altro vantaggio del sistema di costruzione in legno, utilizzato in combinazione con l’acciaio, è la sua dimostrata antisismicità. Su questo tema, dopo il devastante terremoto che ha colpito l’Aquila, si era accesa l’attenzione sia degli acquirenti sia delle 205


Le prestazioni energetiche dovrebbero diventare un parametro fondamentale nella determinazione del valore commerciale di un immobile

imprese di costruzioni – quella dei primi, purtroppo, però si è spenta dopo pochi mesi. Tuttavia, l’Aquila è stata un’occasione per noi di dimostrare la validità dell’edificare col legno. Per questo abbiamo realizzato un’opera che non ha avuto alcun interesse speculativo, bensì esclusivamente di beneficio pubblico. Data la situazione dopo il sisma, c’era la necessità fondamentale e urgente di ridare un rifugio alle persone e di ricostruire i presidi minimi di assistenza per la popolazione. Abbiamo così realizzato, in appena 22 giorni, un centro polifunzionale in legno – il materiale che garantisce la maggiore rapidità di edificazione – che è stato prima donato alla Croce Rossa e oggi è diventato un centro fisioterapico. È stato realizzato a Collemaggio, località scelta perché anche prima del 206

sisma era un punto di riferimento sanitario per la popolazione. L’edificio è la concretizzazione di uno studio di cellula abitativa che portavamo avanti da qualche anno insieme all’architetto Mauro Spagnolo. Il risultato è un edificio in classe A+, che cioè, grazie a impianti di microeolico e fotovoltaico, produce più energia di quella che consuma». Il legno, però, nel sentire comune è percepito ancora come un materiale per costruzioni temporanee o per baite di montagna. I principali dubbi di chi valuta l’idea di abitare in una casa costruita in legno riguardano soprattutto tre aspetti: la robustezza, la durata e l’infiammabilità. «Tutti aspetti che il sistema di costruzione in legno moderno ha superato. Al contrario, vengono totalmente ignorati i vantaggi di leggerezza, efficienza energetica e comfort abitativo, C&P


COSTRUZIONI | Fabio Ciaroni

In queste pagine, a fianco, interno della struttura di Collemaggio; sopra, il ristorante di San Polo dei Cavalieri in provincia di Roma; sotto, l’immagine del primo edificio multipiano in legno che il Gruppo Alessandrini realizzerà a Roma entro il corrente anno

che sono di gran lunga superiori rispetto agli standard della casa in muratura. Certamente oggi una casa in legno ha dei costi leggermente più alti rispetto all’edilizia tradizionale, ma ciò è dovuto principalmente alla sua minore diffusione. Sebbene le statistiche dimostrino un crescente interesse verso la casa in legno, è indubbio che esista una concezione radicata – per ragioni storiche e culturali – che avrà bisogno di tempo e di motivazioni importanti per essere ribaltata. Al momento si parte ancora da un presupposto anche di immagine mentale, che associa la casa in legno alla baita. Ma questa immagine non ha già più aderenza con il reale, dato che un edificio in legno, costruito con l’impiego delle tecnologie moderne, non è distinguibile, dall’esterno, da un edificio tradizionale». C&P

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L’integrazione come forma architettonica Con la sinergia delle professionalità, al prodotto edilizio si arriva con un diverso concetto di iter, in cui ogni fase è prevista sin dall’inizio del processo realizzativo. Ne parliamo con Andrea e Mauro De Rinaldis di Valerio Germanico

La cooperazione fra diverse figure professionali e fra professionisti e imprese consente un controllo più concreto e preciso dell’intervento architettonico. Un lavoro in continua sinergia tra i vari attori del processo produttivo genera un ventaglio più ampio di idee e creatività, supportato dalla conoscenza della tecnica costruttiva. «Un’idea architettonica che prenda forma dall’esperienza quotidiana del costruire è sicuramente più realizzabile e concreta di un’idea astratta che lascia, a chi la realizza, l’onere di trovare i giusti espedienti costruttivi, spersonalizzandola o stravolgendola nella maggior parte dei casi». È questa l’idea di progettualità e successiva esecuzione dei lavori portata avanti da Andrea De Rinaldis e dal fratello Mauro, l’uno architetto, l’altro ingegnere, che a Lecce dirigono lo studio di progettazione De Rinaldis e l’impresa di costruzioni general contract Inarkstudio, che agisce a livello nazionale, soprattutto per interventi di edilizia residenziale, pubblica e per il settore bancario. Quale nuova idea del progettare sta dietro la commistione tra le diverse professionalità, 208

In alto, l’ingegner Mauro De Rinaldis e l’architetto Andrea De Rinaldis dell’Inarkstudio di Lecce. A fianco, cortile e interni di un B&b a San Cassiano (LE) - inarkstudio1@fastwebnet.it

ingegneristiche e architettoniche? Mauro De Rinaldis: «Se in passato per prodotto edilizio si intendeva il risultato di un susseguirsi gerarchico di fasi ben distinte, che vanno dal progetto al cantiere, ora si è imposto un nuovo iter, in cui ogni fase è prevista sin dall’inizio del processo produttivo. Questo iter consente allo studio di progettazione di operare su più fronti architettonici, garantendo alla committenza un controllo totale del processo realizzativo. Poiché ci confrontiamo con lavori che hanno esigenze e destinazioni diverse, partiamo dal presupposto che ogni progetto da realizzare sia caratterizzato da fattori che vanno sempre contestualizzati. Prima di tutto bisogna quindi analizzare il contesto nel quale il progetto si inserisce, studiandone i caratteri tipologici e morfologici. L’obiettivo è quello di ottenere un organismo architettonico che integri vari aspetti. Mi riferisco agli aspetti tipologici, a quelli funzionali – con particolare riferimento alle destinazioni d’uso – e a quelli tecnico-costruttivi, soprattutto per le tecniche e i materiali da impiegare, sia a livello strutturale sia a livello estetico». C&P


COSTRUZIONI | Andrea e Mauro De Rinaldis

Un’idea architettonica che prenda forma dall’esperienza quotidiana del costruire è sicuramente più realizzabile e concreta di un’idea astratta


COSTRUZIONI | Andrea e Mauro De Rinaldis

Attualmente da quali linee, stili, forme architettoniche è maggiormente influenzato il vostro lavoro? Andrea De Rinaldis: «In questo momento gli architetti hanno di fronte una molteplicità di stili, di forme e di linee. Nel campo ingegneristico e architettonico la tecnologia corre veloce, immettendo continuamente sul mercato nuovi prodotti e materiali che stimolano la curiosità e l’immaginazione dei tecnici, così da diventare, a volte, veri protagonisti del progetto. Possiamo comunque individuare nella maggior parte dei nostri progetti una continua ricerca di forme semplici, linee morbide e materiali leggeri e trasparenti che si confrontano con luci e colori per creare un prodotto architettonico sobrio ed essenziale, il cui contenuto più importante sia la funzionalità». Quali tra i vostri lavori più recenti hanno richiesto maggiore impegno progettuale e realizzativo? M. De R.: «Nel 2011 abbiamo completato chiavi in mano la ristrutturazione di un antico edificio ottocentesco collocato nel centro storico di San Cassiano (LE). La nuova destinazione d’uso è quella di bed & breakfast. Il progetto è stato preparato dallo 210

studio tecnico associato De Rinaldis, che ne ha curato oltre alla progettazione, anche la direzione lavori e le soluzioni d’arredo, mentre l’impresa esecutrice dei lavori è stata la Inarkstudio Srl. Altro lavoro recente è stata la realizzazione di una filiale di bancApulia (gruppo Veneto Banca), a Termoli (CB). Per questo progetto abbiamo curato tutto l’iter, partendo dal rilievo dei locali e curando la progettazione e la direzione dei lavori. La più grande difficoltà è stata data dal fatto che le opere di allestimento sono state condotte a banca aperta e quindi con l’impegno di evitare in ogni modo l’interruzione del servizio e di ridurre al minimo i disagi». Come giudica lo sviluppo recente, architettonico e urbanistico, di Lecce? A. De R.: «La città, negli ultimi anni, ha vissuto un periodo di arricchimento architettonico, anche con interventi che portano il nome di architetti di fama mondiale. Però, di fondamentale importanza è ancora il potenziamento delle infrastrutture. E affinché Lecce possa proseguire su uno sviluppo positivo è necessario progettare il territorio con una visione più ampia di quella urbana». C&P



Verso una nuova razionalità progettuale L’architettura ha incontrato le esigenze dell’industria dell’alta tecnologia. L’esperienza internazionale di Alfonso Mercurio nella progettazione di strutture produttive per le multinazionali dei semiconduttori di Luca Cavera

L’architetto Alfonso Mercurio di A.M.Architetti srl (AMA Group) di Roma. In alto, headquarters STMicroelectronics, Ginevra. A fianco, da sopra, Texas Instruments, D.MOS6 Dallas; Amd Fab 30, Dresda www.amagroup.it

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«Mi hanno definito un tecno-razionalista. Ed effettivamente ho sempre pensato che l’architettura non sia un’arte, bensì una scienza composita, elaborata da molti soggetti e in cui l’architetto ha il ruolo di direttore d’orchestra. Credo che le nuove tecnologie, l’influenza dell’ecosostenibilità, la necessità di essere economicamente compatibili, ci spingano oggi verso una rivisitazione aggiornata del razionalismo». L’architetto Alfonso Mercurio di A.M.Architetti srl (AMA Group) riassume così le influenze che lo hanno maggiormente affascinato nel corso della sua carriera, di cui una parte importante è stata dedicata alla progettazione di strutture industriali per le multinazionali dell’elettronica. «Ovviamente non ci si può focalizzare, autolimitandosi, C&P


STRUTTURE INDUSTRIALI | Alfonso Mercurio

Credo che le nuove tecnologie, l’influenza dell’ecosostenibilità, la necessità di essere economicamente compatibili, ci spingano oggi verso una rivisitazione aggiornata del razionalismo

a un solo settore della progettazione. Così, qualche anno fa, A.M.Architetti srl (AMA Group) ha aperto una sede anche in Libia, dove ci stiamo occupando di centri sanitari per la riabilitazione motoria. Naturalmente, continuiamo a essere attivi nel settore industriale, negli edifici per uffici e, recentemente, anche nel restauro di monumenti». Le sue opere rappresentano una risposta progettuale alle esigenze industriali ed economiche dell’epoca 2.0. L’affermazione, però, è arrivata prima all’estero che in Italia. Qual è stato il percorso? «Alla fine degli anni 70 la mia funzione progettuale era limitata nell’area europea e a quelle strutture industriali definite manufacturing. Si trattava di C&P

edifici ampli, ma funzionalmente piuttosto semplici. Fu tuttavia un’esperienza importante, che mi diede l’opportunità di conoscere e approfondire la logica operativa delle engineering americane basate, sostanzialmente, su una strettissima collaborazione interdisciplinare – architettonica, strutturale, impiantistica e di landscaping –, messa in atto sin dalle prime battute della definizione progettuale. Questo modo di lavorare, allora, era raro in Italia». Con quale progetto questa tendenza fece il suo ingresso nel nostro paese? «Verso la fine degli anni 80 la Texas Instruments decise di costruire un Wafer Fab in Italia. Si trattava questa volta di un edificio estremamente 213


STRUTTURE INDUSTRIALI | Alfonso Mercurio

Un’intensa attività progettuale ci ha consentito di aprire sedi prima a Dallas, poi a Singapore e Shanghai, anche per garantire la presenza diretta sui cantieri

complesso, sia per la molteplicità delle funzioni, sia per i requisiti strutturali e impiantistici della clean room: il vero cuore dell’edificio. In quest’area di circa 7mila mq si doveva garantire, strutturalmente, un’assoluta resistenza alle vibrazioni. Al contempo, con adeguate apparecchiature e articolati layout, doveva mantenersi una purezza dell’area con requisiti più stringenti di quelli di una camera operatoria. Il progetto iniziale della Texas Instruments prevedeva la riproduzione di una loro struttura già esistente a Dallas. Dopo uno studio attento, decisi di proporre alcune modifiche che con mia sorpresa furono approvate. L’edificio italiano fu realizzato 214

Borsa Italiana, ristrutturazione palazzo Mezzanotte, Milano

ad Avezzano e una volta in produzione attrasse l’attenzione di molte altre importanti società americane e dell’Estremo Oriente». Quali sono stati gli sviluppi? «Un’intensa attività progettuale ci ha consentito di aprire nostre sedi prima a Dallas, poi a Singapore e Shanghai – anche per garantire la presenza diretta sui cantieri, assicurandoci la conduzione del construction management. Anche l’italo-francese STMicroelectronics, una volta scoperto che i progettisti di molti complessi industriali sparsi per il mondo e dedicati alla produzione di semiconduttori erano italiani, ha scelto di iniziare a collaborare con noi». C&P



Progettazione integrata L’evoluzione progettuale degli ultimi decenni ha ampliato il ventaglio di professionalità richieste al progettista. L’ingegner Virginio Guido Bombarda spiega perché investire in formazione continua e aggiornamento tecnologico di Manlio Teodoro

Il panorama edilizio-progettuale contemporaneo ha registrato, nell’ultimo ventennio, un profondo mutamento a livello nazionale e internazionale. Sia in termini di esecuzione progettuale delle opere, che nei rapporti con le amministrazioni pubbliche e, in generale, le sovraintendenze pubbliche e private. Come spiega l’ingegner Virginio Guido Bombarda: «Oggi al professionista è richiesto un elevato grado di conoscenze tecniche specifiche e differenziate in ragione delle diverse tipologie di committenza. E inoltre queste conoscenze devono essere sinergicamente integrate per affrontare al meglio la complessità della realtà fattuale contemporanea». Bombarda, con la collaborazione della figlia Elena, dirige l’omonimo studio di ingegneria e architettura civile e industriale con sede a Paderno Dugnano (MI), attraverso il quale ha curato la progettazione e la direzione di edilizia civile libera, sovvenzionata e industriale, ospedaliera e alberghiera, oltre a eseguire ristrutturazioni e recuperi. Come ha inciso sull’attività progettuale la rivoluzione che ha investito il settore edile? «Si è determinata una radicale rivoluzione

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C&P


PROGETTAZIONE | Virginio Guido Bombarda

Solo integrando le diverse professionalità nell’ambito di uno stesso e organico modello gestionale è possibile ammortizzare le tempistiche e ridurre i costi di progetto e realizzazione

In apertura, l’ingegner Virginio Guido Bombarda dello studio tecnico Bombarda di Paderno Dugnano (MI). A destra, l’architetto Elena Bombarda vgbombarda@libero.it

organizzativa delle fasi progettuali. Alla peculiarità degli interventi e alla multidisciplinarietà necessaria per la gestione del progetto – dalla fase ideativa a quella realizzativa-esecutiva, passando attraverso quella amministrativa – ha fatto seguito un ampliamento del panorama professionale specializzato, essendo divenuta necessaria una sinergia tra professionisti che collaborino tra loro in modo coordinato per il raggiungimento di uno stesso fine. Infatti, solo integrando le diverse professionalità nell’ambito di uno stesso e organico modello gestionale è possibile ammortizzare tempistiche troppo spesso dilatate. E inoltre riuscire a ridurre i costi». Attraverso quali interventi sull’organizzazione interna è possibile adeguarsi alle nuove istanze della committenza? «Oggi il professionista deve investire sulla formazione continua, frequentando corsi di specializzazione accreditati e perseguendo un aggiornamento normativo e gestionale costante che consolidi le competenze delle risorse umane presenti nello studio. C&P

Costante deve essere anche il rinnovamento degli strumenti progettuali e naturalmente dei software tecnici. Per questi motivi, l’offerta di un servizio solido e affidabile, unitamente a un nuovo modello di gestione consolidato attraverso il continuo aggiornamento, diviene indispensabile per far fronte alle attuali richieste di mercato». Quali sono le caratteristiche distintive del vostro studio? «Offriamo soluzioni complete e per la committenza privata e per quella pubblica. Professionalità e conoscenze multidisciplinari ci danno la capacità di dare risposte rapide in qualsiasi fase del progetto: dal concept all’esecutivo fino all’assistenza in cantiere. Inoltre, la profonda conoscenza delle prassi burocratiche e disciplinari – legata a una gestione del progetto organica e controllata – ci permette di ridurre il margine di errore, permettendo un notevole risparmio su tempi e costi. Il tutto viene portato a conclusione nella fase realizzativa, grazie alla collaborazione di un network di operatori qualificati che comprende imprese e artigiani». 217


Il villaggio nel delta del Po Il progetto di un insediamento turistico. Cinque grappoli di abitazioni su palafitte presso Scanno Palo. I fratelli Jacopo e Tomaso Carraro si sono ispirati al modello della calle veneziana e agli insediamenti sui cordoni litoranei della laguna di Fabio Rossi

Materiali ecosostenibili e salubri per vivere un’esperienza a pieno contatto con la natura. Sono questi gli elementi con i quali gli architetti Jacopo, Tomaso e Umberto Carraro dello studio IATO Architetti Associati, hanno ideato, con gli altri membri del Team, l’ingegner Sergio Mancin di Deltastudio e l’architetto Luca Dotto, il progetto di un villaggio nei pressi di Scanno Palo, una striscia di sabbia e tamerici sul Delta del Po, tra la laguna e il mare, tra Venezia e Ravenna. Una volta realizzato, il complesso di cinque grappoli di abitazioni su palafitte – collegate da una passerella pedonale – sarà raggiungibile solo a piedi o in barca, a sottolineare la ricerca di un nuovo modo di vivere la natura e di abitare l’acqua. Per il particolare interesse dell’intervento il progetto è stato selezionato al concorso Piccinato indetto dalla Regione Veneto e si è classificato primo al concorso Archinature, indetto dall’Ordine degli Architetti di Venezia. Sul progetto, ora sottoposto alla VIA, Jacopo Carraro osserva: «Confidiamo in un esito positivo, poiché il progetto è stato adottato e pubblicato senza alcuna osservazione negativa ed è stato elaborato, quanto agli aspetti ambientali, in rapporto con i responsabili del Parco del Delta puntando all’autosufficienza energetica dell’insediamento mentre la mobilità è affidata alla barca e alla bici in un contesto completamente 218

pedonalizzato. Per il trattamento delle acque usate è poi previsto il trasporto alla depurazione con una rete in pressione appesa alla passerella pedonale, garantendone costantemente l’ispezionabilità e la manutenzione». Il fratello Tomaso sottolinea gli altri aspetti posti al centro della necessaria integrazione con l’ambiente. «L’edificazione bassa delle unità abitative, raccolte in grappoli intervallati da ampi varchi visuali, permette la fruizione visiva in sequenza degli ambiti della laguna, dello scanno e del mare. Le coperture piane, isolate da giardini pensili caratterizzati dalle C&P


COMPLESSI TURISTICI | Jacopo e Tomaso Carraro

In alto, due render dell’insediamento di Eco Palo presso Porto Tolle (RO). Sotto, una villa anni 60 convertita in un complesso di sei appartamenti indipendenti a Mira (VE). Progetti curati dallo studio Iato di Mira (VE) www.iatoassociati.it

essenze vegetali dello scanno, costituiscono un elemento di continuità con la vegetazione dello scanno e mitigano gli impatti visivi ed ambientali dell’insediamento a protezione della avifauna. Ancora, la scelta di costruire sull’acqua anziché sullo scanno e la scelta del legno come elemento strutturale e di rivestimento utilizzando le tecnologie a secco dei pannelli XLame delle doghe permettono una completa reversibilità dell’insediamento». Importanti sono poi i riferimenti tipologici assunti: la calle veneziana e gli insediamenti sui cordoni litoranei della laguna di C&P

Venezia (Pellestrina), nonché il costruire su palafitte tipico di tante situazioni del delta del Po. «La decisa opzione a favore delle energie rinnovabili – aggiunge Jacopo – ha comportato la scelta dell’impianto fotovoltaico a copertura dei parcheggi e gli impianti a solare-termico per ciascuna abitazione. È in fase di studio anche la possibilità di ricorrere alla geotermia. Riscaldamento e raffrescamento saranno ottenuti con pompe di calore, mentre è previsto l’uso di cucine a induzione elettrica». Un altro recente progetto dei fratelli Carraro, già realizzato, è stato la trasformazione di una grande villa degli anni Sessanta nel centro di Mira (VE) in un gruppo di sei appartamenti. «Questi – spiega Tomaso – sono connessi dal gruppo scale all’edificio di nuova costruzione, che ospita altri appartamenti del tipo simplex e duplex. Il complesso edilizio risultante si caratterizza per il vivace intreccio dei bianchi degli intonaci, delle grandi vetrate, dei corpi in alluminio con il colore caldo delle murature in faccia a vista e per il volume complesso fatto di vuoti e pieni, oltre che da compenetrazioni di volumi semplici. L’insediamento spicca, nel contesto in cui si trova, per la complessità della struttura e per la sua forza compositiva e contribuisce a un migliore impatto visivo del quartiere, del quale recepisce gli allineamenti fondamentali». 219


L’ARCHITETTURA RURALE | Kubico

Nelle immagini il progetto realizzato da Kubico Srl architettura degli interni nel settembre 2011 a Melpignano - www.kubico.it

Le nuove “pagghiare” Riportare in vita un’architettura rurale e arcaica, essenza e sostanza della terra salentina. E gli antichi trulli diventano residenze contemporanee di Nicoletta Bucciarelli

Vastità e uniformità di uno spazio intervallato dalla civiltà contadina che qui ha radici profonde. Nel paesaggio salentino l’uomo ha fatto dell’utilizzo della pietra una costante per la costruzione di case, strade e muri di confine. «In fondo l’architettura da sempre registra la storia dell’umanità incidendola sulle pietre o con le pietre». Spiega il team della Kubico, realtà leccese che da oltre 40 anni progetta e realizza spazi abitativi, commerciali e per il tempo libero. «Con queste pietre ricavate dalla terra dissodata venivano costruite nella campagna salentina delle costruzioni comunemente chiamate “caseddhre”, “pagghiare” o “trulli”». Un retaggio antico che con il tempo ha iniziato a perdere d’importanza. «È in questo scenario che si fa strada il nostro operato. Abbiamo iniziato a collaborare con un 220

imprenditore che voleva ospitare alcuni collaboratori dell’azienda. Così facendo abbiamo impedito che un’architettura rurale e arcaica scomparisse dallo scenario della terra salentina». Il risultato è stato un progetto architettonico assolutamente contemporaneo. «Abbiamo realizzato, senza renderli manifesti, tutti gli impianti tecnologici che rendono possibile abitare in maniera confortevole questo spazio. – Conclude lo staff della Kubico – L’impiantistica è diventata ispirazione di un progetto d’arredo contemporaneo, su misura, minimale, essenziale e artisticamente connotato. Abbiamo trasformato un “ammasso di pietre” murate a secco in una residenza temporanea e contemporanea dotata di un ambiente arredato a giorno con cucina e pranzo, di una camera da letto e un bagno». C&P



Dai Trulli all’efficienza energetica Una delle priorità dell’architettura odierna è ottimizzare le prestazioni degli edifici e riqualificare l’enorme patrimonio esistente. Giovanni Cardone pone un occhio di riguardo verso elementi architettonici tradizionali, come i trulli di Amedeo Longhi

Ricercare nuovi materiali e utilizzarli al meglio, affidando il controllo della qualità energetica, acustica e ambientale a note aziende specializzate nel settore grazie alle attestazioni ISO 9001 e SOA che la sua azienda possiede. È questo oggi il modus operandi dell’imprenditore, che unisce innovazione a metodi e strutture tradizionali. «Quando facciamo interventi di recupero sui trulli cerchiamo di preservare il più possibile l’esistente, mentre quando costruiamo il nuovo l’attenzione è rivolta alla natura e all’ambiente», spiega Giovanni Cardone, titolare della Cardone Costruzioni. Quali sono le caratteristiche del trullo dal punto di vista architettonico? «Le principali caratteristiche del trullo possono essere sintetizzate in due concetti principali: la grande massa muraria in pietra assicura un’elevata inerzia termica e le ridotte aperture verso l’esterno che garantiscono protezione dalla radiazione solare estiva e riducono la dispersione di calore in inverno attraverso le aperture». 222

Quali sono i criteri che consentono di abbattere i consumi energetici? «Anzitutto è importante isolare le superfici disperdenti dell’edificio – pareti, solai – attraverso l’utilizzo di tecniche che si differenziano in base a scelte costruttive. L’installazione di infissi altamente performanti gioca un ruolo fondamentale. Tra i vari tipi di isolamento, la soluzione migliore è quella di un intervento dall’esterno. Quando ciò non è possibile, si utilizzano sistemi con isolamento nell’intercapedine o dall’interno. In tutti i casi è comunque necessario risolvere in maniera corretta tutti i ponti termici e acustici. Importante è garantire la tenuta dell’edificio nei confronti dell’aria, accertandosi che non vi siano perdite dell’aerazione. Fondamentale è anche utilizzare elementi schermanti, come aggetti orizzontali e verticali in grado di controllare la penetrazione della radiazione solare diretta, che soprattutto in ambiente mediterraneo, può favorire il surriscaldamento in estate». C&P


RIQUALIFICAZIONE | Giovanni Cardone

Se l’involucro è poco performante, si creano repentini sbalzi di temperatura all’interno degli ambienti, che provocano sensazioni di freddo in inverno o di surriscaldamento in estate

L’imprenditore Giovanni Cardone, al centro, insieme allo staff, formato dai suoi tre figli Antonio, Vito e Rosalba, della Cardone Costruzioni di Locorotondo (BA) - www.cardonecostruzioni.com

Quali sono i benefici di chi abita un edificio con elevate prestazioni energetiche? «Se l’involucro è poco performante, si creano repentini sbalzi di temperatura negli ambienti, che provocano sensazioni di freddo in inverno o di surriscaldamento in estate. Di conseguenza, per garantire la temperatura di comfort prevista per legge, gli impianti svolgono un ruolo importante, a cui sono legati consumi energetici elevati e costi sulla bolletta. Se l’edificio è di classe A o Passivo, ossia l’involucro è efficiente con elevata inerzia termica e ponti termici corretti, la temperatura superficiale interna è omogenea in tutti i suoi punti e ciò garantisce un livello di comfort e di conseguente risparmio in termini energetici ed economici». In che termini bisogna concretizzare la riqualificazione? «Oggi bisogna puntare sulla riqualificazione in termini energetici. Vi sono le detrazioni fiscali sugli interventi di efficientamento energetico dell’edificio che riguardano l’involucro, la sostituzione degli impianti con altri ad alta efficienza e l’utilizzo di fonti rinnovabili, come il solare termico. L’investimento per questo tipo di interventi è ammortizzabile in pochi anni e garantisce nel tempo un risparmio energetico quantificabile anche economicamente».

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Un approccio integrato alla ristrutturazione Riqualificare gli edifici esistenti. E, nei casi più complessi, ricostruirli completamente. Savino D’Ambra fa il punto sulle opere di costruzione e ristrutturazione nella zona di Roma di Lucrezia Gennari

Da sinistra, Savino D’Ambra con i soci Alberto Castello e Carmine D’Ambra. Nella pagina accanto, Isola Sacra Fiumicino www.gruppodambraristrutturazioni.com

Dare nuovo slancio alle vecchie architetture. Attualizzandole, studiandone colori e materiali, regalando loro una nuova armonia. È questa una delle sfide principali del Gruppo D’Ambra, azienda edile romana impegnata in tutti i campi delle costruzioni, da quelle civili a quelle industriali, attraverso un’ampia varietà di edifici e strutture. La società, guidata da Savino D’Ambra, amministratore, nel settore edile da oltre trent’anni, è in grado oggi di affrontare anche qualsiasi tipo di ristrutturazione. «Siamo specializzati nella riqualificazione di fabbricati, con il rifacimento di tetti, facciate, di interi appartamenti, negozi e uffici – spiega Savino D’Ambra -. Il nostro intervento segue ogni fase, dalla demolizione alla ricostruzione, offrendo un servizio completamente “chiavi in mano” 224

effettuato attraverso personale altamente qualificato». Negli anni l’azienda ha ampliato e affinato le proprie capacità tecniche e produttive al punto di essere considerata oggi una delle imprese edili più affidabili nel proprio territorio. Nello specifico, quali tipologie di tecniche e lavorazioni realizzate? «Le lavorazioni sono molteplici e spaziano dalla muratura a cortina alle tramezzature in forati, dalla realizzazione di intonaco civile per esterno o interno, con paste a base di cemento e/o gesso, fino alle opere in pietra: posa in opera di lastre di travertino, posa in opera di marmo loculo, posa in opera di soglie in lastre di travertino fino alla realizzazione di edifici in classe A». C&P


RIQUALIFICAZIONE | Savino D’Ambra

Le lavorazioni sono molteplici e spaziano dalla muratura a cortina alle tramezzature in forati, dalla realizzazione di intonaco civile per esterno o interno, con paste a base di cemento e gesso, fino alle opere in pietra

Realizzazioni di questo tipo richiedono un aggiornamento tecnologico costante. «Negli anni abbiamo sempre rinnovato le nostre apparecchiature tecnologiche, con macchine operatrici per il movimento terra, accessori per le stesse quali mescolatori e trivelle, nonché autocarri per la movimentazione del materiale. Disponiamo inoltre di avanzati sistemi di misurazione laser e stazioni totali di rilevamento. Tutte le nostre attrezzature sono ciclicamente aggiornate con i modelli più avanzati esistenti sul mercato. L’avanguardia tecnologica è un aspetto fondamentale per realizzare in completa autonomia gli interventi edili, garantendo sicurezza ed esecuzione a regola d’arte nelle più svariate tipologie di lavoro». C&P

Su Roma e provincia avete effettuato interventi importanti. Quali i vostri lavori più rilevanti e quelli in cui siete impegnati in questo momento? «Nell’ambito delle ristrutturazioni annoveriamo una vasta gamma di interventi, quali quelli sull’Hotel Ripa - Albergo Maggiore, in zona Porta Maggiore, il Mercato coperto Corviale, un fabbricato del 1930 in Via Ostilia per la società Baldesi. Abbiamo inoltre realizzato appartamenti siti in Trastevere per conto dello Studio Architetti Maggiore, Monaco e Martini. Tra i lavori eseguiti ultimamente e quelli in corso d’opera, spiccano il Rione Rinascimento in zona Bufalotta, l’Istituto Ravasco in via Pio VIII, l’Istituto Suore S.S. Trinità (Casalotti Boccea), un condominio in Via Luigi Capucci e Unità immobiliari in località Torrino Mezzocamino». 225


Primo obiettivo, il rispetto del preesistente Collaborare con altre imprese edili, con gli architetti e con i clienti per riuscire a interpretare davvero le funzionalità dell’edificio da costruire o ristrutturare. Il punto di Roberto ed Edoardo Macchiarulo di Emanuela Caruso

Il nuovo studio del fotografo Umberto Nicoletti e il negozio Nicole Spose sono le ultime opere di cui si sono occupate l’Impresa Macchiarulo e la 2m ingegneria, che da svariati anni collaborano all’interno del settore edile per garantire alla committenza e al mercato interventi edilizi efficienti e di qualità. «Proprio queste due opere su cui abbiamo lavorato – spiegano Roberto ed Edoardo Macchiarulo, titolari rispettivamente dell’Impresa Macchiarulo e della 2m ingegneria – rappresentano l’anima della nostra partnership, del nostro modo di lavorare. Nel caso dello studio Nicoletti, infatti, l’intervento ha previsto sia una fase di progettazione, affidata allo studio 2m ingegneria, durante la quale sono state studiate le esigenze del cliente, elaborate le soluzioni migliori e ipotizzati i materiali più adatti; sia una fase realizzativa e costruttiva, di cui si è presa cura 226

l’Impresa Macchiarulo. L’intervento sul negozio Nicole Spose, invece, ha preso in considerazione solo la realizzazione del progetto, che era già stato messo a punto dall’architetto Cristiano Oberto; in quell’occasione il nostro compito è stato di dare vita all’idea dell’architetto». Unendo i reciproci punti di forza, le due società sono quindi in grado di centrare l’obiettivo per ogni commessa, ovvero di interpretare nella maniera giusta le aspettative e necessità del cliente, arricchendole di volta in volta con consigli derivanti dall’esperienza maturata nel settore. E all’interno del settore edile, l’impresa Macchiarulo e la 2m ingegneria si occupano di varie attività, tra cui al momento la più rilevante è la ristrutturazione. «In particolare – commenta Edoardo Macchiarulo – abbiamo in corso ristrutturazioni di esterni come C&P


RISTRUTTURAZIONI | Roberto ed Edoardo Macchiarulo

In apertura, da sinistra, l’ingegner Edoardo Macchiarulo responsabile della 2m ingegneria, Spiridione Macchiarulo fondatore dell’impresa Macchiarulo Srl e il geometra Roberto Macchiarulo, responsabile dell’impresa Macchiarulo.Qui, alcuni lavori realizzati dall’impresa Macchiarulo - www.macchiarulosrl.it

La ristrutturazione permette di progettare soluzioni nuove capaci di entrare in sinergia con la parte già esistente dell’edificio

facciate condominiali e pavimentazioni. Gli interventi di restauro sono molto interessanti perché, prendendo in oggetto edifici già esistenti, obbligano a studiare soluzioni che non solo consentano di realizzare qualcosa di nuovo, ma che siano anche compatibili con la struttura già presente». Di qualsiasi attività edilizia si parli o di qualsiasi intervento si tratti, ogni opera intrapresa dalle due società è accomunata alle altre per l’attenzione alle esigenze dei committenti. «I clienti che ci contattano – continua Roberto Macchiarulo – possono rientrare in due tipologie diverse: quelli che necessitano di un progetto e quelli che il progetto l’hanno già fatto redigere. Nel primo caso, mettiamo a loro disposizione l’esperienza della 2m ingegneria e insieme seguiamo la fase progettuale dando il nostro contributo sia in termini di contenimento della spesa C&P

sia di scelta dei materiali e delle tecnologie; nel secondo caso, mettiamo in opera il progetto che ci viene realizzato. Sempre per fare in modo che le aspettative dei committenti siano soddisfatte, coordiniamo le attività di cantiere e di logistica». Ed è soprattutto in un periodo di crisi del comparto edile come quello che sta vivendo il mercato italiano che la cura nei confronti dei clienti può fare la differenza e mantenere competitiva un’attività. «Ai nostri utenti – concludono Spiridione, Roberto ed Edoardo Macchiarulo – forniamo sempre un preventivo che non risulti un elenco incomprensibile di lavorazioni abbinate a una cifra, ma che sia invece un documento che descriva in maniera dettagliata ogni fase dell’intervento. Così facendo riusciamo a tutelare i committenti e a garantire loro un’opera finita di elevata qualità». 227


RISTRUTTURAZIONI | Nunzio Giardiello

Nuova vita ai vecchi edifici Tecnologie e nanotecnologie, insieme a vernici innovative, permettono di termoisolare e contrastare lo smog urbano. Nunzio Giardiello fa il punto sulle più recenti soluzioni di Valerio Germanico

Nunzio Giardiello, amministratore unico della società di costruzioni Gemi Srl di Milano. Nelle immagini lavori di ristrutturazione eseguiti dalla Gemi gemi.srl@tiscali.it

Di fronte alla crescente attenzione per il rispetto ambientale, il risparmio energetico e l’obbligo delle certificazioni per gli immobili in vendita e locazione, la nuova sfida per l’universo delle costruzioni è rappresentata dalla ristrutturazione degli edifici esistenti. «Oggi una delle più importanti missioni dell’edilizia è ridare nuova vita a immobili che magari hanno il pregio dell’età, ma una concezione architettonica ormai superata rispetto agli standard moderni. Bisogna quindi intervenire in particolare sotto il profilo del recupero energetico di alta efficienza e anche nella direzione della ricerca del benessere per chi abita gli edifici». A parlare è Nunzio Giardiello, amministratore unico della Gemi, impresa di costruzioni nel milanese specializzata nelle ristrutturazioni di interni ed esterni di immobili civili e commerciali. «La tecnologia e i nuovi materiali presenti sul mercato ci permettono, oggi, anche l’applicazione di soluzioni protettive nei confronti degli inquinati – aspetto che in una realtà come Milano non è trascurabile. Utilizzando le nanotecnologie, poi, è possibile realizzare cappotti termici a bassissimo spessore (da 1 a 2 centimetri) e

ad alta coibentazione. Questo sistema consente in pochi centimetri, spesso nello spazio del vecchio intonaco, di installare un cappotto con finitura verniciata a elevatissimo risparmio energetico e la garanzia di funzionamento per una durata di 60 anni». Altre soluzioni per il risparmio energetico sono rappresentate dalle vernici termiche, sia per interni che per esterni. «Queste hanno il vantaggio di determinare una riduzione drastica dei ponti termici dell’involucro edilizio. Sono inoltre ionizzanti e depurano l’aria, evitando il deposito di sporco sulle superfici. Essendo arricchite con ioni di argento (Ag+) eliminano le muffe e le condense. Infine, riflettono i raggi Ir, equalizzando la temperatura interna degli ambienti – fattore importante per la salubrità degli ambienti, che si riflette in un estremo senso di benessere per tutto il corpo. Ancora, guardando al rispetto dell’ambiente, l’utilizzo delle vernici per esterni silossaniche con biossido di titanio (TiO2) fotocatalitico permette di abbattere gli agenti inquinanti nell’aria, mantenendo le superfici sempre pulite, evitando il deposito dello smog e depurando l’aria circostante».

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C&P



OPERE PUBBLICHE | Antonio Pinzone

Interventi per il paesaggio Opere pubbliche a sostegno e rispetto del paesaggio che nascono dalla cooperazione tra imprese di costruzione, tecnici e architetti. Il caso della sistemazione del torrente Mandarino di Marco Tedeschi Rocciatori in azione per i lavori di sistemazione idraulica del torrente Mandarino della frazione di Altolia, Messina, condotti dalla Cospin Srl di Catania. Sopra, Antonio Pinzone, amministratore della Cospin cospinsrl@gmail.com

Nel campo dei lavori pubblici, dalla collaborazione tra imprese di costruzione, ingegneri, architetti e tecnici nascono opere che riescono a superare gli ostacoli connessi alle difficoltà dovute alla conformità del terreno. Come nel caso della sistemazione idraulica del torrente Mandarino, nella frazione di Altolia. «La sistemazione del torrente è una delle opere più importanti che la Regione Sicilia ha appaltato negli ultimi anni nella provincia di Messina». L’amministratore Antonio Pinzone introduce uno dei lavori che sta affrontando la Cospin, realtà del catanese che opera nel settore delle opere pubbliche e del privato. Si tratta di un’opera molto attesa dalla popolazione, perché connessa all’alluvione del 2009 avvenuta a seguito del nubifragio che aveva provocato vittime e danni alle abitazioni. «La collaborazione con gli architetti e gli ingegneri, ovvero con la direzione dei lavori, è stata costante. Questo ci ha consentito di superare diversi ostacoli, come trovare percorsi 230

alternativi al deflusso del torrente». L’opera è infatti caratterizzata da una configurazione morfologica di difficile raggiungimento. «Le lavorazioni necessarie in questo contesto sono state molteplici: muri, canali in cemento armato, consolidamento e bonifica di pareti rocciose instabili e ad alto rischio idrogeologico. Per questi ultimi lavori, è stata composta una squadra di rocciatori e speleologi e sono inoltre stati impiegati elicotteri per trasportare materiali». Un altro ostacolo si è inoltre verificato nel trovare la soluzione per il passaggio dei sottoservizi all’interno dell’opera di sovrapposizione di un manto stradale e un canale sotterraneo. In fase di progettazione la difficoltà stava nel trovare la loro migliore collocazione. «Grazie alla presenza dei nostri tecnici abbiamo creato uno strato di inerte tra la piastra di copertura del canale ed il piano stradale dove abbiamo collocato detti sottoservizi. Una miglioria rivelatasi strategica poiché non ha deturpato il paesaggio». C&P



INTERVENTI SPECIALI | Salvatore Rapisarda

L’architettura sfida la gravità Dall’unione di ingegneria, geologia, speleologia e alpinismo, è nata una figura fondamentale nell’attività di conservazione e manutenzione del patrimonio architettonico naturale e artificiale. La descrive Salvatore Rapisarda di Amedeo Longhi

Diverse tipologie d’intervento in ambito architettonico ed edilizio prevedono la necessità di operare in quota, rinunciando alla comodità e alla sicurezza del lavoro a terra. Questa condizioni comporta a sua volta diverse difficoltà e problematiche, molte delle quali possono essere risolte dall’intervento di operatori specializzati. Uno dei essi è Salvatore Rapisarda, amministratore della società siciliana Edil Rock, che da oltre un decennio opera nel settore dei consolidamenti di costoni rocciosi e del monitoraggio, manutenzione, recupero e conservazione di infrastrutture varie. «La natura degli interventi, eseguiti mediante tecniche alpinistiche e affini, è molto particolare. Pur puntando principalmente al raggiungimento dello scopo specifico del lavoro commissionato infatti, il valore aggiunto di questa modalità di operare consiste nella possibilità di ridurre drasticamente l’impatto visivi e invasivi del cantiere, dovuto per esempio alla presenza di ponteggi o piattaforme aeree». Nel corso degli anni, della propria attività, Edil Rock ha sviluppato tecniche di posa e di Salvatore Rapisarda, amministratore della Edil Rock Srl di Belpasso (CT) www.edilrock.com

intervento specificamente studiate per risolvere le diverse problematiche che si presentano nell’ambito di ambienti di difficile operatività e logistica: «Pensiamo ad esempio ai tempi di esecuzione dell’intervento, che con questa tecnica vengono ottimizzati, al rispetto dei luoghi e della natura, nonché delle normative vigenti in materia di sicurezza». Gli ambiti in cui questo tipo di professionalità può essere impiegata sono estremamente vari: «Ci occupiamo della progettazione e realizzazione di consolidamenti, di bonifiche e messa in sicurezza dei versanti rocciosi, di opere di ingegneria naturalistica, rilievi topografici e geostrutturali, manutenzione su stabili a qualsiasi altezza e in siti di difficile accessibilità e recupero del patrimonio edilizio tramite il consolidamento di manufatti». Per svolgere questo lavoro non è sufficiente la classica esperienza accademica e professionale: «Oltre al possesso di conoscenze in campo ingegneristico e geologico, i componenti del nostro staff possiedono esperienze alpinistiche pluriennali e qualifiche specifiche, sia lavorative sia relative alla sicurezza».



Progettazione integrata per il fotovoltaico I recenti aggiornamenti normativi hanno determinato un nuovo modo di progettare l’installazione di impianti fotovoltaici, non più a terra ma sui tetti degli edifici. Salvatore Lo Greco illustra tutte le novità di Amedeo Longhi

Secondo Coldiretti sono più di 3300 gli ettari di terreno agricolo che, sul territorio nazionale, sono utilizzati da impianti a terra. È stato proprio per fermare il “fotovoltaico selvaggio” e preservare il suolo coltivabile che il Governo ha previsto, nell’ambito del decreto legge numero 27/2012, all’articolo 65, la sospensione degli incentivi per l’installazione di impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole. Naturalmente questa importante modifica è stata recepita dagli operatori del settore, fra

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i quali figura anche Salvatore Lo Greco, amministratore di Spes Engineering: «Già dal 2010, prevedendo questa tendenza normativa, abbiamo adeguato la nostra offerta, ovvero specializzandoci nell’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti, in particolare di opifici industriali, fabbricati rurali e serre». Recentemente la società siciliana ha portato a termine un progetto per un’azienda agricola realizzando degli opifici per la trasformazione dei prodotti agricoli, coltivati e lavorati in loco dalla stessa azienda, con copertura composta

C&P


RINNOVABILI | Salvatore Lo Greco

La Spes Engineering Srl si trova a Catania. Nella foto in apertura, la copertura di un capannone in Zona Industriale. Sopra, serre e box per cavalli dotati di impianti fotovoltaici sui tetti - www.spesengineering.com

da pannelli fotovoltaici. «In questo modo è possibile sfruttare l’energia elettrica prodotta da fonte solare sia per abbattere i consumi necessari all’attività agricola sia, immettendo il surplus in rete, per ricavarne un introito. In un centro ippico di Pozzallo, per fare un altro esempio, abbiamo realizzato i box che ospitano i cavalli durante le gare con copertura fotovoltaica». Soluzioni analoghe sono state studiate anche per serre. Naturalmente, dal punto di vista progettuale, le complicazioni aumentano: «Nel progettare sia le serre che i capannoni abbiamo dovuto studiare e realizzare la struttura prevendendo l’installazione dell’impianto fotovoltaico. Dal punto di vista elettrico non cambia nulla; da quello costruttivo invece, è chiaro che installare un impianto a terra è un’operazione che non comporta complicanze sotto il profilo strutturale, mentre per realizzare impianti fotovoltaici su capannoni bisogna effettuare precisi calcoli strutturali da depositare al Genio Civile, redigere relazioni di calcolo. Anche di questo siamo in grado di occuparci noi, grazie a un team composto da figure professionali specializzate». Ripercussioni si sono avute anche dal punto di vista commerciale: «Rispetto agli anni passati, è aumentata la richiesta da parte del mercato di impianti su edifici, anche industriali, perché la normativa agevola questo tipo C&P

di opere. Bisogna sottolineare che è particolarmente conveniente, oltreché prevedere un impianto su una nuova struttura, realizzarlo su una esistente, sostituendo la copertura tradizionale, magari in Eternit, con un impianto fotovoltaico, operazione per cui è possibile usufruire di incentivi premio aggiuntivi a quelli già previsti dal c.d. Conto Energia». Va però registrata la presenza di voci che parlano di un nuovo Conto Energia che potrebbe anticipare l’abbassamento delle tariffe. Questo sta innescando una fase di stand by che coinvolge interventi di qualsiasi tipo, dal piccolo impianto a quello industriale. «Il problema maggiore di questa instabilità legislativa è la risposta del sistema bancario che stenta a dare il proprio sostegno agli imprenditori in assenza della certezza di determinazione preventiva del contributo economico da parte dello Stato. Tra l’altro, se è vero che si è assistito ad un sensibile abbassamento del prezzo dei pannelli, che sino a qualche anno fa era abbastanza alto e incideva molto su quello totale dell’impianto, il resto dei componenti, nonché la manodopera e i numerosi costi fissi si mantengono a livelli elevati. Si pensa che abbassando le tariffe il mercato si possa immediatamente adeguare di conseguenza, ma purtroppo non è così». 235


L’architettura delle telecomunicazioni Al pari di qualsiasi altra costruzione, anche gli impianti tecnologici oggi si collocano in un contesto al quale devono armonizzarsi. L’esperienza di Arabella Valdieri di Lucrezia Gennari

Gli impianti di telecomunicazioni, nell’era moderna, diventano parte integrante dei paesaggi. E si evolvono, non solo allo scopo di ottenere performance sempre più soddisfacenti, ma anche per armonizzarsi al meglio con il contesto in cui sorgono, al pari di ogni altro tipo di architettura. Proprio nel settore degli impianti di telecomunicazione opera la società Engineering & Technology Spa guidata dalla dottoressa Arabella Valdieri. L’azienda è attiva da anni nel comparto delle costruzioni civili, industriali ed elettromeccaniche. «Negli ultimi tempi abbiamo scelto di effettuare una serie di investimenti - spiega la titolare – mirati allo studio e all’implementazione delle strutture e delle infrastrutture dedicate agli impianti tecnologici civili e industriali e alla loro manutenzione». In virtù di questo principio, la Società Engineering & Technology Spa ha rilevato le quote di una società di carpenteria metallica, nonché le quote di uno studio di progettazione. Un’operazione che ha consentito all’azienda di avviare una divisione dedicata alla realizzazione di opere civili, industriali e tecnologiche. 236

Proprio all’interno di questa divisione si collocano anche le attività inerenti le telecomunicazioni «Ad oggi abbiamo già realizzato importanti opere e vantiamo, tra le nostre referenze per le telecomunicazioni,attività di ristrutturazione di diverse centrali, Ced, e uffici di rappresentanza. Sul fronte delle opere pubbliche siamo stati impegnati nelle ristrutturazioni di poli museali, operando su tutto il territorio nazionale. Il nostro lavoro copre ogni fase di realizzazione, dalla progettazione al finito “chiavi in mano”. La peculiarità in questo ambito è stata proprio quella di aver operato anche nel comparto delle telecomunicazioni, un settore particolarmente delicato, dove è fondamentale la perfetta esecuzione delle opere, che per la loro particolare destinazione d’uso, devono essere realizzate a regola d’arte e garantite nel tempo». Quale valore aggiunto offre alla società l’attività nell’ambito delle telecomunicazioni? «Lavorare per le telecomunicazioni aggiunge un importante valore al vostro know how e attualmente C&P


IMPIANTI | Arabella Valdieri Arabella Valdieri, titolare della Engineering & Technology Spa di Grottaferrata (RM) avaldieri@etspa.it

Un impianto tecnologico può essere anche visivamente gradevole se la sua progettazione tiene conto del contesto in cui sarà inserito e se vengono impiegati i materiali giusti

questo settore rappresenta una buona percentuale del nostro core business. Le nostre attività in materia di telecomunicazioni spaziano dalla progettazione e realizzazione di stazioni radio base a servizio della rete radiomobile, alla realizzazione di impianti di energia e climatizzazione a servizio delle centrali telefoniche, dagli impianti in fibra ottica alla trasmissione dati fino alla manutenzione delle centrali». Dal punto di vista più strettamente “edile”, quali particolari costruzioni sono richieste per questo tipo di impianti e come si coniuga la funzionalità dell’impianto con l’impatto estetico che questo ha sull’ambiente circostante? «Per quanto concerne la parte edile, al di là delle normali attività di progettazione e costruzione, abbiamo sviluppato un fortissimo know how in materia di progettazione e realizzazione di opere di carpenteria metallica sia pesante che leggera: si spazia dalla costruzione di tralicci per l’alloggiamento delle antenne e delle parabole, alla realizzazione di strutture portanti dedicate alle costruzioni di alloggi, padiglioni, C&P

scale. Anche l’impatto estetico naturalmente è importante, e un impianto tecnologico può essere anche visivamente gradevole se la sua progettazione tiene conto del contesto in cui sarà inserito e se nella realizzazione vengono impiegati i materiali giusti». Al di là degli impianti per telecomunicazioni, la società Engineering & Technology Spa può essere considerata una multiservizi che si occupa anche di altre tipologie di impianti tecnologici industriali. Quali nello specifico? «Realizziamo linee aeree ad alta tensione (fino a 380 kV), linee interrate a media e alta tensione (fino a 380 kV), cabine e sottostazioni a media e alta tensione, sistemi di telecontrollo e automazione degli impianti, distribuzione elettrica (cabine di trasformazione, quadri elettrici, impianti di terra sistemi di alimentazione), impianti di climatizzazione e trattamento dell’aria, impianti di energia (gruppi elettrogeni, UPS, sistemi di batterie), impianti di energia alternativa (eolico, fotovoltaico, biomasse)». 237




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