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L'INIZIO DI UNA RIVOLUZIONE VIA WEB

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L’INIZIO DI UNA RIVOLUZIONE VIA WEB

Dalle criptovalute alla tracciabilità

Parlano gli addetti ai lavori

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Blockchain: un passo quasi naturale per i marchi technology driven

La moda deve affrontare nuove sfide in materia di comunicazione dell’autenticità, approvvigionamento responsabile e sostenibilità. Per chi cerca un formato digitale sicuro c’è la tecnologia della “catena di blocchi” da valutare, che offre anche nuovi spunti per il marketing. Finora il suo habitat è stato quello delle criptovalute, ma può spaziare - garantiscono gli esperti - arrivando persino al metaverso

DI ELISABETTA FABBRI

Il livello di conoscenza della blockchain (letteralmente “catena di blocchi”) fra i top manager è ancora scarso, come attesta un recente sondaggio presentato dalla società di consulenza EY, in collaborazione con gli esperti di comunicazione di Quiibee (vedi box a pag. 44). Siamo solo agli inizi di quella che alcuni definiscono una rivoluzione digitale, nata dal mondo delle criptovalute: il primo “blocco” pare, infatti, che sia connesso al varo di una delle più note, il Bitcoin, nel 2009. La moda - abituata com’è a cavalcare le novità - si sta muovendo in questo campo da almeno un triennio, con progetti che riguardano soprattutto la tracciabilità, l’autenticità del prodotto e gli Nft-Non fungible token (“certificati di prorietà di beni non fungibili”, vedi anche a pag. 47), considerati sempre di più un nuovo modo di promuovere il brand, specie in connessione con il mondo dell’arte e del collezionismo. Ma c’è molto altro e gli esperti di trasformazione digitale sperano che in breve il settore arrivi a una comprensione migliore delle potenzialità di questo digital enabler e a un’adozione più diffusa. Con il termine blockchain si intende un registro di dati digitale e, in particolare, un database distribuito tra i vari partecipanti che costituiscono la rete informatica. I dati non sono conservati né sottoposti a un ente centrale, risultando quindi meno vulnerabili ad attacchi degli hacker, ma

La moda si sta muovendo con progetti legati alla tracciabilità, all’autenticità e agli Nft

anche al potere o alla discrezionalità dello stesso ente: l’idea alla base è quella di creare fiducia attraverso la disintermediazione. Mancando l’autorità centralizzata che verifica l’autenticità dei dati, la validazione è affidata a un meccanismo di consenso distribuito su tutti i nodi della rete (qualsiasi dispositivo hardware del sistema, in grado di comunicare con gli altri dispositivi), autorizzati a partecipare al processo di validazione di ciò che deve essere incluso nel registro digitale. Senza il consenso della rete i dati non possono nemmeno essere modificati. Ogni elemento del registro è tracciabile, con la possibilità di risalire alla sua provenienza. Raggruppati in blocchi e concatenati in ordine cronologico, i dati sono al riparo da eventuali violazioni e manipolazioni, grazie a un sistema di crittografia. Queste infrastrutture si dividono principalmente i due categorie. Nelle blockchain permissionless (o pubbliche) chiunque può diventare un nodo della rete, leggere e scrivere i dati e partecipare al processo di validazione. Quelle permissioned (o private), al contrario, sono caratterizzate da un accesso alla rete limitato ad alcuni partecipanti autorizzati e da un processo di validazione in capo a un gruppo ristretto di attori. In genere sono più performanti delle pubbliche, in termini di calcolo, ma perdono in decentralizzazione. Esistono poi versioni ibride, che permettono a chiunque di partecipare alla rete, ma solo alcuni si occupano della validazione. Facebook, oggi ridenominata Meta, aveva incuriosito la moda nel 2019 con l’annuncio del progetto Libra, che identificava una criptovaluta basata sulla tecnologia

1. Nella blockchain i dati sono raggruppati in blocchi e concatenati in ordine cronologico 2. Virgo è una piattaforma realizzata da Temera con PwC, Luxochain e Var Group, per tracciare la catena di valore e certificare l’autenticità dei beni di lusso 3. Un tag Nfc con protocollo blockchain consente al consumatore che acquista un capo MCQ di interagire con il brand attraverso lo smartphone (Photo credit: MCQ)

blockchain e un sistema di pagamenti che avrebbe dovuto partire nel 2020. Un’iniziativa accolta con favore da realtà come il marketplace Farfetch, che era diventato funding member della Libra Association, l’entità no profit alla base del progetto. Il fondatore José Neves era del parere che il lusso dovesse beneficiare della blockchain specie per una maggiore IpIngress protection, per la trasparenza nel ciclo di vita dei prodotti e per uno shopping online frictionless su scala globale. Dopo le numerose critiche arrivate da capi di Stato e ministri delle Finanze del G7, alcuni membri fondatori si sono via via defilati e, a tutt’oggi, la valuta digitale Libra non c’è, però è stata ribattezzata Diem, a indicare che il patron Mark Zuckerberg non ha intenzione di disimpegnarsi da questo mondo, strategico anche nell’ottica del metaverso, l’universo virtuale in cui in futuro si dovrebbe anche poter acquistare beni e servizi. Tra le più recenti iniziative lanciate nella moda c’è V.I.R.T.U.S., in capo a Kering Eyewear, la controllata di Kering che realizza le montature di marchi in portafoglio come Gucci, Ysl e Bottega Veneta. Si tratta di una piattaforma proprietaria di scambio dati “Verified, Integrated, Reliable, Trustworthy, Unique and Secure” (come indica l’acronimo) per la valutazione e la tracciabilità di tutte le operazioni coinvolte nel sistema produttivo. «V.I.R.T.U.S. rappresenta una sfida e un viaggio complesso attraverso la vera innovazione e la sostenibilità - spiega Barbara Lissi, global head Supply Chain di Kering Eyewear -. Dopo una fase di lancio di tre anni, oggi siamo in grado di cominciare una mappatura chiara e trasparente di tutta la nostra catena produttiva, ottenendo un’analisi e una conoscenza dettagliata della provenienza e delle caratteristiche di ogni materiale e di ogni processo produttivo». «Crediamo - prosegue - che la raccolta e la condivisione di informazioni attendibili, per monitorare

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Barbara Lissi Kering Eyewear

«Raccogliere e condividere informazioni attendibili è la via più corretta per avvalorare la qualità»

Toni Belloni Lvmh

«La blockchain è una grande opportunità per il lusso, di rafforzare il rapporto con i clienti»

Il gemello digitale di un prodotto fisico facilita i passaggi di proprietà nel second hand

l’origine delle materie e dei componenti utilizzati, siano la via più solida e corretta per avvalorare la qualità dei nostri prodotti e il pieno rispetto dei nostri standard etici ed estetici». «Promuovere l’innovazione significa adattare le tecnologie di ultima generazione alla filosofia di collaborazione e condivisione al cuore della nostra azienda - prosegue Daniel Bellini, global head IT & Planning del produttore di occhiali -. Il nostro sistema blockchain garantisce la protezione, la sicurezza e l’autenticità di ogni transazione, fornendo la completa identificazione e tracciabilità dei prodotti e dei nostri partner attraverso dati immutabili e verificabili. Questa iniziativa non rappresenta solo un’autentica rivoluzione di settore ma anche una trasformazione profonda e inevitabile, nel nostro percorso verso la massima efficienza e trasparenza nelle comunicazioni». Nel 2020 Kering ha lanciato anche un progetto per Alexander McQueen. Il marchio di proprietà ora ha una sua piattaforma digitale blockchain-powered per la seconda linea MCQ - MyMCQ - che è quasi un hub multimediale, dove chiunque può interagire con il brand e avere a disposizione una serie di informazioni e di contenuti. Grazie al partner Temera, realtà fiorentina specializzata in innovation & technology, è possibile l’identificazione e la tracciabilità di filiera dei prodotti tramite la tecnologia Rfid-Uhf. Dei chip aggiuntivi che sfruttano la tecnologia Nfc-Near field communication inseriti nei capi consentono inoltre l’interazione diretta con il consumatore tramite smartphone. La tecnologia blockchain di Everledger rende invece possibile la scrittura e la gestione del “gemello digitale” del prodotto fisico. Così, se dopo il primo acquisto l’acquirente decide di rivendere il capo sui canali del second hand, può trasferirne la proprietà, che risulta certificata. Temera si sta muovendo nella moda anche con Virgo: una piattaforma realizzata nel 2019 con partner come la società di consulenza PwC, la blockchain Luxochain e l’azienda delle soluzioni Ict Var Group, per tracciare la catena di valore e certificare l’autenticità dei beni di lusso, dall’acquisizione delle materie prime, fino alla vendita e ai passaggi di proprietà sui canali dell’usato. La soluzione è piaciuta a Peuterey, che l’ha scelta per il suo marchio di outerwear Geospirit. Un Nfc integrato nel logo apposto sulla manica dei capi è in grado di tracciare le collezioni e

basta uno smartphone per verificare l’autenticità dell’acquisto, conoscere i materiali utilizzati e i vantaggi per l’ambiente. Pinko invece ha scelto Virgo per il progetto di moda circolare Reimagine, che sigla una capsule realizzata con stoffe e materiali di rimanenza e con abiti rimasti in magazzino che sono stati rielaborati. I capi, uno diverso dall’altro, sono stati certificati anche tramite blockchain. «Nel giro di sei mesi abbiamo assistito a un’esplosione di interesse da parte del fashion e di iniziative - dice Guido Mengoni, chief digital officer e partner di Temera -. La blockchain nasce con l’idea di certificare e rendere immodificabile un dato che potrebbe rischiare di essere violato. Oggi la moda la sta adottando perché, specie nel lusso, le nuove generazioni chiedono più trasparenza. Persino le aziende che negli anni si sono rifornite in Cina e quelle del fast fashion si stanno orientando alla trasparenza, perché l’utente è attento al tema del greenwashing». Un’altra esigenza molto sentita è quella di garantire l’autenticità di un capo o un accessorio. «Non è un tema nuovo - conferma Mengoni - però adesso, con i tag Nfc, si può arrivare al più alto livello di certificazione possibile. I brand li scelgono per tutelarsi, come strumento di autodifesa». Ne è un esempio Moncler che a fine luglio, nell’annunciare il rafforzamento della sua digital strategy e l’obiettivo di raddoppiare il business online in tre anni, ha citato il sistema anticontraffazione Rfid-Nfc per l’identificazione univoca del capo tramite smartphone, «che ora si sta evolvendo attraverso la tecnologia blockchain». Uno dei progetti su cui Temera è attualmente al la-

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voro è invece una piattaforma per lo scambio di moda, arte e musica (altro settore che ha bisogno di protezione, basti pensare al copyright, ndr). «Alcuni brand - prosegue Mengoni - adottano la blockchain per le strategie di marketing legate agli Nft, che credo diventeranno il tormentone alla

Le nuove generazioni chiedono più trasparenza e sono attente al greenwashing

base del metaverso. La moda inizia adesso a muoversi nel metaverso, a pensare che anche in quel mondo si vorranno indossare i capi preferiti nel mondo reale. Forse si arriverà a un punto in cui i brand dovranno sviluppare digital twin (omologo digitale di un prodotto reale, ndr) per tutti i loro

LUXURY CLIENTS

PERSONALISATION TRANSPARENCY

CREATIVE COMMUNITIES

CREATIVE OF BRANDS

CREATION TRACEABILITY

TECHNOLOGICAL COMMUTINIES

INNOVATION PROVIDERS & VENDORS

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progetti e, per evitare che vengano falsificati, si troveranno a valutare gli Nft per ogni singolo prodotto». «Bisogna anche tenere presente che i social andranno nella direzione delle immagini, a scapito del testo - aggiunge Mengoni -. Perciò avrà sempre più valore la certificazione delle immagini e degli oggetti. Se pensiamo anche al boom del second hand, la certificazione digitale rafforza l’autenticità di un prodotto, anche se è sul mercato soltanto da un anno». Tra le blockchain pubbliche che si stanno legando alla fashion industry emergono anche VeChain, che ha collaborato con H&M e Givenchy (Gruppo Lvmh), come pure Arianee, partner di marchi di orologi come Audemars Piguet, Vacheron Constantin (Gruppo Richemont) e Breitling, e Lukso, nei mesi scorsi scelta da Eric Pfunder, ex direttore artistico di Chanel, per la registrazione della raccolta di oltre 120mila fotografie ereditate

EY-QIIBEE BLOCKCHAIN SURVEY Manager poco preparati ma propensi all’investimento

Alla recente edizione italiana dell’EY Blockchain Summit sono stati presentati i risultati dell’EYQiibee Blockchain Survey, un sondaggio su scala europea condotto su più di 100 manager C-level di aziende e pubbliche amministrazioni, per valutare la loro percezione delle nuove tecnologie. Il livello di conoscenza della blockchain, in un’autovalutazione tra 0 e 100, è fermo in media a 48. L’intelligenza artificiale (AI), il 5G e l’Internet of Things (IoT) sono le tecnologie più note, anche se rimangono su un valore intermedio (rispettivamente 53, 52 e 51 su 100). Invece i manager sono più esperti di realtà virtuale e aumentata (34 su 100) e di quantum computing (29 su 100). La blockchain risulta però tra le tecnologie che i manager dichiarano di voler adottare maggiormente in azienda, perché ritenute ad alto impatto sul business: la predisposizione media all’adozione è del 57%, subito dopo l’AI (74%) e l’IoT (63%). Le applicazioni sono moltissime ma, per ora, se ne conoscono solo alcune. Le più note sono la tracciabilità (per il 24% dei rispondenti) e la token economy (18%). L’utilizzo di smart contract per l’automazione dei processi, l’implementazione di processi blockchain-based per la loyalty, la creazione di Nft e l’adozione di paradigmi di identità digitali basati sulla Self Sovereign Identity hanno percentuali più basse (rispettivamente 15%, 14%, 13% e 11%). Soltanto il 4% conosce e/o ha realizzato casi d’uso in ambito DeFi, la finanza decentralizzata abilitata dalla blockchain, ancora poco diffusa in Italia perché è percepita come legata a operazioni speculative e poco trasparenti, viene poco approfondita e non è regolamentata. L’adozione della blockchain è ostacolata da una serie di fattori come le preoccupazioni dei manager in tema di privacy e sicurezza (ad esempio per i dati coperti da segreto industriale). I dubbi riguardano anche la rigidità di adattamento, rispetto all’infrastruttura già in essere e l’interoperabilità. Mancano inoltre cultura e conoscenza della materia e una regolamentazione chiara.

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da Karl Lagerfeld. La blockchain privata di cui si parla di più invece è Aura, che vede come partner tecnologici ConsenSys e Microsoft. Dietro questo progetto, ufficializzato lo scorso aprile, c’è un inedito consorzio creato da Lvmh, Prada Group e Richemont, a cui di recente si è aggiunto il Gruppo Otb. Mentre scriviamo sulla blockchain sono attivi marchi come Bulgari, Cartier, Hublot, Louis Vuitton e Prada, ma Aura vuole essere aperta a tutti i brand del lusso. Si pone, infatti, come una struttura flessibile, in grado di supportare aziende di varie dimensioni e di adattarsi alle esigenze dei singoli. «Aura Blockchain Consortium - spiega Toni Belloni, direttore generale di Lvmh - è una grande opportunità per il nostro settore di rafforzare il rapporto con i clienti, offrendo loro soluzioni semplici per conoscere meglio i nostri prodotti. Unendo le forze con altri marchi del lusso, stiamo aprendo la strada alla trasparenza e alla tracciabilità. Spero che altri prestigiosi brand abbraccino questa soluzione». Tra i progetti al momento in fase di sviluppo figurano il lancio di Aura Light, cioà la versione software as a service di Aura (per marchi che intendono partecipare al consorzio, ma non hanno le risorse per sviluppare un proprio sistema) e i certificati Nft. «Sono convinta che la tecnologia particolarmente all’avanguardia e innovativa che offriamo ai nostri clienti aumenterà ulteriormente la loro fiducia nella qualità dei prodotti dei nostri partner», sostiene Daniela Ott, in giugno nominata segretario generale di Aura Blockchain Consortium ed esperta di lusso, dopo circa 15 anni di attività in vari ruoli presso Kering. Mentre Aura sperimenta una sorprendente alleanza tra rivali, per affrontare le nuove sfide del lusso, è lecito chiedersi quanto possa essere strategico adottare una blockchain che non sia pubblica. «A nostro modo di vedere la blockchain del futuro sarà una infrastruttura pubblica, come

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Giuseppe Perrone EY

«La blockchain del futuro sarà una struttura pubblica, come pubblica è la sua natura, che parte dall’idea di democratizzazione»

Guido Mengoni Temera

«La moda comincia ora a pensare che nel metaverso si vorranno indossare i vestiti preferiti nel mondo reale»

L’aspetto energivoro delle blockchain dovrebbe migliorare con gli algoritmi probabilistici

pubblica è la sua natura, che parte dall’idea di democratizzazione e decentralizzazione - dice Giuseppe Perrone, Emeia Blockchain leader di EY -. Nelle blockchain pubbliche i nodi sono fuori da qualsiasi logica di controllo e alla base del modello c’è la piena trasparenza e fiducia tra le parti in quello che viene registrato e scambiato sulla chain». Certo è che la moda a vario titolo si sta attivando sempre di più e, in attesa

1. Bulgari è uno dei marchi già attivi sulla piattaforma Aura 2. Il progetto di Aura Blockchain Consortium è stato concepito come aperto a tutti i player del lusso, secondo differenti possibilità di membership e partecipazione alla governance 3. Un Nft creato da Matthew M. Williams, designer di Givenchy (Gruppo Lvmh), in collaborazione con il graphic artist Chito 4. Luxochain, con sede a Lugano, si è specializzata nel garantire l’autenticità dei prodotti di alta gamma attraverso un sistema di tracciamento e autenticazione basato su blockchain

che comprenda appieno le potenzialità della blockchain, questa tecnologia di frontiera continua a evolvere per smussare i suoi aspetti critici. Per esempio i costi. «Se la blockchain è privata - osserva Perrone - bisogna mettere in conto elevati investimenti nelle infrastrutture e nei protocolli da codificare. Se è pubblica, non occorre spendere in nuove infrastrutture ma si devono valutare soprattutto gli oneri di validazione. A tal proposito stanno emergendo modi nuovi per validare, che permettono di ridurre i relativi costi, come dimostra il nostro protocollo Nightfall per transazioni private su blockchain pubbliche». Le blockchain sono anche accusate di essere energivore, in particolare quando si tratta di processare e validare i blocchi. «Anche su questo fronte - anticipa l’esperto di EY - si stanno aprendo nuovi scenari, grazie all’uso di algoritmi probabilistici, al posto della potenza computazionale legata ai nodi. Probabilmente in un paio di anni l’aspetto green migliorerà». EY ha fatto un altro passo avanti pure sul fronte della privacy con Microsoft e ConsenSys. Con il protocollo Baseline, basato sulla blockchain di Ethereum, si potranno registrare informazioni che non si vogliono condividere con tutti, come dati sensibili e riservati. La “catena di blocchi” appare però un territorio scarsamente regolamentato. «L’auspicio - dice Perrone - è che nell’arco di cinque anni si arrivi a regole più chiare e a una regolamentazione utile allo sviluppo di nuovi business model abilitati su questa tecnologia». Per le aziende sarebbero utili anche sgravi o sostegni agli investimenti in queste infrastrutture e va in questa direzione il recente provvedimento pubblicato dal Mise, che destina 45 milioni alle imprese per investimenti in blockchain e intelligenza artificiale. Ormai è chiaro che questa specifica tecnologia potrebbe portare a una svolta nelle relazioni tra pubbliche amministrazioni, cittadini e imprese. ■

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