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LA MODA NEL MIRINO DEI FONDI

LA MODA NEL MIRINO DEI FONDI Il trend e il profilo delle aziende target

La view di protagonisti ed esperti

Private equity di nuovo in azione. Nel radar marchi, fornitori e fashion e-tailer

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Le M&A della moda in Italia (2019/2021)

PE Corporate

I recenti investimenti dei fondi nella moda sono l’occasione per riflettere sull’effetto-pandemia, sul cambio di prospettiva degli imprenditori e sulle possibili prede

DI ELISABETTA FABBRI

Dopo il picco di interesse raggiunto nel 2019, la moda è tornata nel mirino delle società di private equity che, nei primi nove mesi del 2021, hanno concluso 15 operazioni in Italia: il 25% in più rispetto allo stesso periodo del 2020. Siamo lontani dai 28 deal pre-pandemia, ma sembra che il trend non si sia per nulla esaurito. «La crescita - commenta Emanuela Pettenò, Consumer markets & Deals markets leader di PwC Italia - è stata trainata da operatori specializzati, tra cui L Catterton, Style Capital, Made In Italy Fund e Lion Capital ma anche da piattaforme di investimento sponsorizzate da fondi generalisti come Florence di Vam e Fondo Italiano di Investimento, Amf di Alpha Private Equity e Gmi di Consilium, oltre che dai fondi internazionali, in primis Permira e Carlyle». «Una tendenza sicuramente destinata a proseguire - aggiunge - poiché la situazione emergenziale innescata dalla pandemia ha aperto gli occhi agli imprenditori individuali e alle aziende famigliari sulla necessità di espandere il business all’estero, vendere tramite i canali digitali e comunicare con le nuove generazioni in modo diverso dal passato». Le aziende sono state frenate per carenza di risorse finanziarie (destinate in primis al prodotto) e per la difficoltà di attrarre manager che potessero agevolare il passo. «Il private equity può

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fornire la dotazione necessaria, affiancando all’imprenditore/fondatore una squadra di manager che porti a costruire un percorso di successo». «Il gran fermento del 2021 è il risultato di operazioni diverse - osserva Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi-Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt -. In alcuni casi di buy out l’imprenditore ha ceduto l’azienda per far entrare nuovi manager e dare il via a un altro ciclo di sviluppo. Qualcuno ha venduto per motivi anagrafici: il Covid ha accelerato i passaggi di testimone. Altri imprendi-

Le società di investimento forniscono capitali e manager per un percorso di successo

tori hanno deciso di non affrontare questo periodo sfidante, che richiede grande impegno, grandi capitali e nuove aggregazioni. Aziende che puntano a crescere hanno fatto entrare i fondi di sviluppo. Qualche private equity ha rilevato quote di minoranza, a dimostrazione della flessibilità

In base a un’analisi di PwC su dati Refinitiv, nei primi nove mesi del 2021 le operazioni del private equity in Italia sono salite del 25% rispetto a un anno prima, ma sono rimaste al di sotto di quelle dell’analogo periodo del 2020 (-44%). Gli operatori strategici hanno invece segnato un +93% sul 2020 e un +61% rispetto ai livelli pre-pandemia.

dello strumento, che si adatta alle imprese, rendendo possibili operazioni “su misura”». Di certo la pandemia ha portato alla luce una serie di problematiche, a partire dal livello di digitalizzazione e di sviluppo dell’e-commerce e dell’omnicanalità, alla diversificazione dei mercati di riferimento. In più ha messo in discussione strategie di management come il miglioramento continuo, a piccoli passi, ispirato dai principi del Kaizen giapponese e il just in time del magazzino, che esclude gli accumuli per limitarsi alle scorte necessarie. «L’imprenditoria - dice Gervasoni - si trova in mezzo a un guado e si chiede: “Cosa faremo tra cinque anni? Saremo ancora attivi? Quanto ci costerà?”. È tutto un ripensamento, che comprende anche temi chiave come la sostenibilità e la buona governance». Ma che caratteristiche deve avere un’azienda della moda per essere attraente agli occhi delle investment firm? «L’investimento in un marchio, dal luxury al fast fashion, è potenzialmente quello più rischioso per il private equity - risponde Pettenò -. Il successo dell’operazione è legato a scelte stilistiche e fattori esogeni talvolta difficili da prevedere. Inoltre i brand han-

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no in molti casi una forte dipendenza dalla figura dell’imprenditore/fondatore, che tende a coincidere con lo stilista. L’azienda ne porta spesso il nome, cosa che rappresenta un potenziale elemento di debolezza, da gestire attraverso un adeguato piano di successione, che potrebbe includere un “renaming”». «I fondi con una minore propensione al rischio - aggiunge - tendono invece a orientarsi sullo sportswear, meno dipendente dalle mode e in sintonia con gli attuali stili di vita. Negli ultimi due-tre anni sono cresciute in modo significativo anche le operazioni di piattaforma sulla filiera, volte ad aggregare eccellenze del made in Italy, per realizzare sinergie produttive, commerciali e nei servizi generali». Pettenò (PwC) prospetta ora nuove operazioni su e-tailer e brand dalla forte componente digital, a seguito dell’Ipo di MyTheresa, dell’ingresso del fondo Style Capital in LuisaViaRoma e della volon-

Notorietà, presenza all’estero, allineamento ai trend sono fattori chiave nella valutazione di un marchio

tà espressa da Richemont di cedere una quota di Yoox-Net-A-Porter. Dal punto di osservazione di PwC, i fattori principali per la valutazione di un marchio sono la notorietà, la presenza sui mercati internazionali e l’allineamento con le tendenze, gli stili di vita e di consumo. «Organizzazione, digitalizzazione e aspetti Esg sono tipicamente quei fattori su cui un fondo di private equity può costruire un piano di creazione di valore, se assenti o scarsamente presenti», afferma Pettenò. Se invece il target è un’azienda della filiera, vanno considerati in primis l’ampiezza e la qualità del portafoglio dei brand serviti: i

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terzisti mono-brand e quelli al servizio del fast fashion sono tipicamente più rischiosi rispetto ai luxury oriented. Altri fattori che devono spiccare sono le capacità tecniche di manifattura, l’adeguatezza del sito produttivo dal punto di vista impiantistico/ ambientale e il corretto inquadramento del personale (area potenzialmente a rischio nelle realtà medio piccole). Nel caso di un fashion retailer, vanno valutati soprattutto la base clienti (numerosità, fidelizzazione, composizione B2B versus B2C, location), l’ubicazione degli store fisici e l’integrazione con il canale e-commerce, come pure l’adeguatezza dell’infrastruttura tecnologica a supporto dell’e-commerce e della logistica. Sul fatto che tuttora si possano rilevare realtà interessanti senza pagare cifre gonfiate, l’esperta di PwC non ha dubbi. «Sicuramente sì - risponde - soprattutto se si tratta di aziende familiari e imprenditoriali con molto da costruire. Tenendo però presente che quelle al secondo/terzo giro di private equity sono tipicamente soggette a valutazioni più elevate, perché includono il ritorno del fondo di investimento. Inoltre i multipli del lusso, dei digital brand e degli e-tailer sono di regola più alti, rispetto a quelli dei marchi sportivi e delle imprese della filiera». «I deal recenti hanno mostrato valutazioni buone, che tengono conto soprattutto della capacità progettuale e di mettersi in discussione di un’azienda, come pure le sue risorse umane», fa notare Gervasoni (Aifi), che non esclude anche nuove ope-

1. L’ingresso di Style Capital in LuisaViaRoma fa supporre nuove operazioni nel fashion e-commerce 2. La couture del designer Yuima Nakazato presenta nuovi volumi con Brewed Protein, bio-polimero creato da Spiber, recente investimento di Carlyle

Anna Gervasoni

Aifi «Le buone valutazioni delle aziende tengono conto della loro capacità progettuale e delle risorse umane»

Emanuela Pettenò

PwC Italia «Il private equity può creare valore a livello di organizzazione, digitalizzazione e fattori Esg»

razioni a opera di consorzi di fondi. «È il caso, per esempio, di un fondo più piccolo, locale, che ne coinvolge uno più grande per fare massa critica e per diversificare». Sono probabili pure ulteriori passaggi di quote da un private equity all’altro. «Una staffetta abbastanza fisiologica - spiega Gervasoni - perché nuovi interlocutori finanziari possono dare supporti diversi in momenti successivi, per portare avanti un dato piano». In media si parla di investimenti della durata di cinque anni come orizzonte per la realizzazione di un piano realistico. Ma il timing può andare anche oltre: «Oggi - conferma il direttore di Aifi - l’approccio è più industriale e meno finanziario». Non sempre, tuttavia, i matrimoni con le società di private equity funzionano e in certi casi arrivano pure nelle aule del tribunale. Come nel caso della Corneliani, che ora tenta di ripartire con l’intervento del Mise, in aggiunta al socio di maggio-

Lo store End. di Londra, a Soho ranza, il fondo del Bahrein Investcorp. «La finanza d’impresa - commenta Gervasoni - è un’attività a rischio con tante variabili. I casi di insuccesso possono essere legati al fatto che non si crea una chimica tra fondo e imprenditore, oppure si parte da un piano troppo ambizioso, se non irrealistico o si investe troppo nella direzione sbagliata. Capita pure che azienda e management vengano sovrastimati: il fondo non fa il manager, scommette su un professionista o un designer ma può succedere che non siano quelli adatti per un certo progetto. Ci vuole sensibilità: l’aspetto umano conta nel bene e nel male». Potrebbero danneggiare anche l’eccessivo uso della leva, sebbene nelle acquisizioni italiane non sia una pratica ricorrente, e

LO PAROLA AI FONDI/CARLYLE

PRONTI A NUOVE ACQUISIZIONI MA NON A FARE PAZZIE

Massimiliano Caraffa Managing director head Consumer & Retail di Carlyle per l’Europa

In questo momento abbiamo diversi dossier sul tavolo, ma nel fashion&consumer bisogna fare molta selezione e muoversi con cautela, perché le valutazioni delle aziende sono alte. L’e-commerce sembra non fermarsi mai, ma è pure vero che il retail tradizionale non è morto. I brand della moda sono sempre ‘‘ nel nostro cuore, anche se ora i nostri investitori chiedono una maggiore focus sul tech e sui fattori Esg. Alcune operazioni sono già andate in porto e ce n’è una che speriamo di poter annunciare presto. Nel valutare un’acquisizione ci basiamo sui fondamentali, esattamente come avveniva prima del Covid. Le incertezze legate all’evoluzione del virus, che hanno implicazioni sui consumi ma anche su materie prime, energia e trasporti sono tutti temi attuali, ma non vediamo effetti nel lungo periodo: saranno considerati costi straordinari nel business plan. Anche se il 2022 non si prospetta come un anno facile, ipotizziamo una progressiva normalizzazione di alcuni fattori nel giro di 18-24 mesi. Il problema vero è il panorama competitivo. Valutazioni come quelle di Allbirds e Mytheresa in sede di Ipo non sembrano giustificate dai fondamentali. Il prezzo alto delle azioni è pure legato alla scarsità: le società del lusso quotate sono limitate. Noi non facciamo pazzie, diamo valore ai fondamentali e ci poniamo delle domande. L’azienda cosa racconta? È unica oppure no? Perché è meglio di altre? In Golden Goose, per esempio, abbiamo visto Twinset Milano è nel portafoglio del fondo americano dal 2012 un unicum. Ci chiediamo anche cosa pensa il consumatore e valutiamo la presenza del marchio su Internet, sui social e l’effetto community, per percepirne il consenso. L’acquisizione di End., che vende sportswear di alta gamma on e offline, è arrivata adesso, ma poteva capitare anche prima: stavamo valutando un investimento nell’e-commerce dal 2014-2015. Di End. ci piace il fatto che sia un multimarca molto connotato, concentrato sullo streetwear di alta gamma, che spazia anche nel lifestyle. Attualmente i tre negozi in Uk sono diventati cinque e l’idea è di proseguire l’espansione fra Europa, Usa e Asia, perché il retail tradizionale è una sorta di guida per il consumatore. Lo sviluppo europeo di End. dovrebbe partire nel 2022: in valutazione ci sono Milano, Parigi e Berlino. Quanto alle vendite online, sono concentrate soprattutto in Europa ma stanno accelerando negli States e in Giappone e puntiamo all’approdo in Cina. Stiamo spaziando nelle linee donna in punta di piedi, ma a breve pensiamo di aprire un negozio di womenswear a Newcastle e di includere un concept donna con i futuri opening. Carlyle sta investendo anche intra-filiera, selezionando realtà green. In settembre ha rilevato una minoranza del produttore giapponese di biomateriali tessili Spiber, mentre nel 2019 ha acquisito una quota della spagnola Jeanologia, attiva nelle tecnologie per il trattamento ecofriendly del denim. Anche il packaging “eco” ci sembra un settore interessante. Quanto al marchio di womenswear Twinset Milano, l’andamento del 2021 è stato ancora influenzato dal Covid, ma l’azienda è uscita dallo stress finanziario e ci aspettiamo che il 2022 sia l’anno del vero recupero, con conti in ordine e una sana generazione di cassa. La porteremo dove doveva essere se non arrivava la pandemia, dopodiché cercheremo una soluzione per una nuova proprietà.

LA PAROLA AI FONDI/PERMIRA

PREZZI ALTI, MA CREARE VALORE SI PUÒ. SPECIE NEL LUSSO

Francesco Pascalizi Head di Permira in Italia

La moda è una delle verticali su cui siamo più attivi e uno dei pilastri della nostra strategia di investimento nel consumer. Guardiamo con particolare attenzione i brand - il segmento dove ci muoviamo con più sicurezza, visti anche i nostri track record - e il consumer tech. Di certo oggi il mestiere di chi compra non è facile, perché ‘‘ ci sono tante variabili da considerare. Il primo fattore che complica il nostro lavoro è sicuramente il contesto di valutazioni alte e poi il Covid, che ha rimescolato le carte. Non parlo solo delle disruption temporanee ma di cambiamenti in atto nelle preferenze di consumo: qui vediamo il fattore di massima incertezza. Inoltre è diventato cruciale il tema, ancora relativamente nuovo, della sostenibilità: pensiamo che avrà un impatto fortissimo sul successo futuro delle aziende, viste le richieste dei consumatori e di tutti gli stakeholder. La somma di questi fattori complica la nostra attività, ma siamo certi che nel mondo dei brand ci sia ancora possibilità di creare molto valore. Specie nel lusso, un segmento che Permira conosce bene e che, nelle stime recenti, rappresenta un mercato da 300 miliardi di dollari di valore, con un alto livello di fidelizzazione da parte dei consumatori. Un’azienda-target per noi deve dimostrare di avere un marchio forte, dai caratteri distintivi e di avere sviluppato un rapporto stretto con il consumatore di riferimento. Deve inoltre mostrare i presupposti per un percorso che sia già orientato alla sostenibilità: un’area in cui sentiamo di poter dare un forte contributo, come avviene per la digitalizzazione. Un esempio è Golden Goose, con cui abbiamo iniziato un progetto di ulteriore crescita dal luglio 2020 (il closing per l’acquisto della quota di controllo in mano al fondo Carlyle è avvenuto nel giugno 2020, ndr): in un anno e mezzo circa l’e-commerce è passato dal 5% a circa il 20% dei ricavi totali. Di fatto il marchio è nato e cresciuto con il passaparola, mentre ora pensiamo di avvalerci di un mix fra canali tradizionali e digitali, per raccontare la storia di Golden Goose in modo più diretto. Abbiamo realizzato anche investimenti nel Crm e nel marketing, per rafforzare il rapporto con il cliente. Il Covid è stato un acceleratore, nel ripensare la distribuzione fisica e digitale, per questo pensiamo di investire su tutti i fronti. Stiamo anche lavorando all’innovazione di prodotto, con esperimenti interessanti nel ready-to-wear, per testare il potenziale del marchio e in tutto questo percorso è essenziale investire nel capitale umano. Non a caso abbiamo inserito ex novo figure professionali come un chief brand officer, nuovi responsabili del digital e del Crm e un chief sustainability officer di grande esperienza.

Golden Goose cambia design con le Space-Star, in vendita da gennaio. Nel suo percorso di crescita il brand è stato affiancato da fondi come Ergon Capital Partners, Dgpa, Carlyle (oggi titolare di una quota di minoranza) e Permira, che dal giugno 2020 controlla l’azienda l’emergere di fattori inattesi, come l’imporsi di stili di vita e di consumo lontani dal dna del brand. «Basti pensare al progressivo imporsi del casualwear e di uno stile più informale anche nei luoghi di lavoro, a scapito dell’abbigliamento formale», ricorda Pettenò. A sentire i fondi (vedi Carlyle e Permira in queste pagine), i sodalizi falliti fanno capire che il fashion non è un settore per tutte le società di investimento. Il semplice taglio dei costi in questo business non basta, «perché non

si può stare fermi, altrimenti si affonda». Allo stesso tempo può succedere che la struttura del capitale si riveli inadeguata al percorso di crescita ipotizzato. Talvolta il fondo sbaglia nel prevedere fenomeni che non accadono o nell’affidarsi all’imprenditore, perché quando entra nel business non ha le idee chiare. Possono capitare anche storie di governance complicate, con visioni diverse e in certi casi non conciliabili. «Generalmente - dicono gli investitori - il private equity ha il ruolo di portare disciplina nel modo di gestire un’impresa e prendere le decisioni: mettendo gli stop loss salgono a galla le criticità». Altre acquisizioni flop sono quelle relative a label che raggiungono in breve tempo un grande successo ma in realtà sono fragili, con storytelling non costruiti sulla sostanza. Dal punto di vista del private equity bisognerebbe pensare che un progetto di sviluppo o rilancio parte sempre con le migliori intenzioni: «Con l’idea di provarci davvero, per il bene dell’azienda». ■

La sfilata Etro per la prossima estate: nel 2021 il 60% del brand è passato a L Catterton, fondo di cui fanno parte Lvmh e Groupe Arnault. L’azienda è stata valutata 500 milioni di euro

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