Edgar Allan Poe - Eureka

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EUREKA

Edgar Allan Poe

secondo caso, un bel nulla. Di certo nessuno vorrà credere che io propenda qui per l'assoluta impossibilità di ciò che noi tentiamo di comunicare mediante la parola "infinito". Il mio proposito è invece quello di mostrare l'assurdità del tentativo di provare lo stesso Infinito, o addirittura il nostro concetto di questo, mediante quegli errati ragionamenti che di solito si usano. Ciò nonostante, personalmente mi si consentirà di dire che io NON POSSO concepire l'infinito, e sono convinto che nessun essere umano lo possa. E' vero che una mente non interamente cosciente, non abituata all'analisi introspettiva dei propri meccanismi; ingannerà spesso se stessa supponendo di AVER ammesso il concetto di cui parliamo. Nello sforzo di ammetterlo noi procediamo gradino dopo gradino, riflettiamo punto dopo punto, e finché CONTINUIAMO nello sforzo, possiamo di fatto dire che TENDIAMO alla formazione dell'idea designata, mentre la forza dell'impressione di configurarla progressivamente o di averla già configurata pienamente, è proporzionale al periodo durante il quale portiamo avanti tale sforzo mentale. Ma è al momento in cui interrompiamo lo sforzo di definire (come noi crediamo) l'idea, di dare l'ultimo colpo (come supponiamo) al concetto, che l'intera costruzione della nostra fantasia crolla d'un lampo, lasciandoci fermi a un punto finale, e pertanto ben determinato. Tuttavia, per l'assoluta coincidenza temporale tra l'arrivare al punto finale dello sforzo e lo smettere di pensare, noi non siamo in grado di percepire tale arresto. Tentando, d'altro canto, di formare l'idea di uno spazio limitato, noi non facciamo altro che invertire i processi che implicano l'impossibilità. Noi CREDIAMO in un Dio. Possiamo credere o no in uno spazio finito o in uno spazio infinito; ma il nostro credere dev'essere in entrambi i casi più propriamente definito come FEDE, ed è cosa assolutamente distinta da quel pensiero proprio, da quel credere INTELLETTUALMENTE, che presuppone il concetto mentale. Il fatto è che nell'enunciazione di qualsiasi cosa compresa in quella classe di termini cui appartiene il concetto di "Infinito", la classe che rappresenta PENSIERI DI PENSIERO, colui che ha il diritto di affermare che egli pensa REALMENTE si sente in dovere NON di ammettere un concetto, ma semplicemente di dirigere la sua visione mentale verso un punto dato del firmamento intellettuale, dove sta una nebulosa che non sarà mai dissolta. In realtà, egli non compie nessuno sforzo per dissolverla, poiché con istinto immediato intuisce non solo l'impossibilità, ma, rispetto a tutti i propositi umani, la INESSENZIALITA' della dissoluzione. Egli intuisce che la Divinità non ha VOLUTO che essa fosse dissolta. Egli comprende, insieme, che ciò OLTREPASSA i limiti della ragione; e intende pure COME, se non PERCHE', ne è al di là. Ci sono persone, ne conosco alcune, che dedicandosi al tentativo di raggiungere l'inattingibile, acquistano assai facilmente, grazie al loro linguaggio fumoso, reputazione di profondità presso gli pseudo-pensatori loro simili, per i quali oscurità e profondità sono sinonimi; ma la più sottile qualità del pensiero è la sua autocoscienza; e

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