Vinicio Capossela - Special Edition "Marinai, Profeti e Balene"

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VINICIO CAPOSSELA MArINAI, PrOfETI e BALENE

SPECIAL EDITION 2CD + DVD contiene 2 Bonus Tracks



MArINAI, PrOfETI e BALENE Disco 1 1. Il Grande Leviatano 2. L’Oceano Oilalà 3. Pryntyl 4. Polpo d’Amor 5. Lord Jim 6. La Bianchezza della Balena 7. Billy Budd 8. I fuochi fatui 9. Job 10. La Lancia del Pelide Disco 2 1. Goliath 2. Vinocolo 3. Le Pleiadi 4. Aedo 5. La Madonna delle Conchiglie 6. Calipso 7. Dimmi Tiresia 8. Nostos 9. Le Sirene


Nessuno può muovere a piacimento i suoi passi. (Geremia) Il fato è cieco e cieco chi lo interpreta. (.. ) Ora destino puoi mostrare la tua potenza. Nessuno è padrone di sé, ciò che ha da essere deve avvenire, e così sia. (Shakespeare) La sorte determina semplicemente l’ordine di scelta. (.. ) Ciascuno è l’eroe del proprio dramma. (.. ) Per quanto presto ti possa svegliare all’alba, il tuo destino si è svegliato mezz’ora prima di te. (Proverbio africano)



Marinai, Profeti e Balene Testi e Musiche di Vinicio Capossela *tranne dove indicato Prodotto da Vinicio Capossela e Taketo Gohara Arrangiamenti orchestrali di Stefano Nanni registrato e Mixato da Taketo Gohara presso: “La Sede”, Milano; pianoforte e voce, nel Castello Aragonese, Ischia (pianoforte Seiler coda 1920 messo a disposizione dalla ditta Galvan e accordato quotidianamente da Egidio Galvan); Studio Echotropio, Heraklion, Creta, assistente di studio: Michael Boutsakis; Parrocchia S. Maria Assunta nel Santuario di S. Giovan Giuseppe della Croce - Diocesi di Ischia; Casa Del Jazz, roma, assistenti di studio: Ascanio Cusella, Simone (Zeta) Saccomandi e Iacopo Dell’Unto; freeborn Sound Studio, Berlino, assistente di studio: Phil freeborn; Officine Meccaniche, Milano, assistente di studio: Jacopo Dorici; La Maestà, Tredozio registrazioni addizionali, operatore Pro Tools e assistente di studio: Stefania Bonomini registrazioni addizionali: françois Lardeau a Noise Inc Studios, Brooklyn NY; Pedro Grey a Superlegal Studios, Brooklyn NY; Pepe Seguí a La frança Xica, Barcellona; Alberto Tremendo nella cucina di Gianfranco Angei; Studio Musica e Colori, Lodi Preproduzione effettuata negli studi Hendrix di radio Capodistria, Koper, assistente di studio Andrea flego Allestimento e acustica Sagrestia del Castello Aragonese di Ischia: Peppe De Angelis Masterizzato da Giovanni Versari a La Maestà, Tredozio Produzione esecutiva La Cupa srl Assistente di produzione La Cupa: Alice Biotti rappresentante Legale: Patrizio Visco Coordinamento generale per La Cupa: Luciano Linzi Artwork: Jacopo Leone “Etcetera.it” foto: Anonimo, Madrid 2010 Edizioni La Cupa srl Booking: info@ponderosa.it


VINICIO CAPOSSELA MArINAI, PrOfETI e BALENE


Il Grande Leviatano Musiche Vinicio Capossela; testo tratto da “The ribs and terrors in the whale”, “Moby Dick” di Melville, traduzione di Cesare Pavese - Adelphi 1987

Le coste ed i terrori di dentro la balena facevano a me intorno un buio spaventoso Di Dio l’onda nel sole si muoveva serena Portandomi abissato al giudizio doloroso Io vidi spalancarsi la bocca dell’inferno Con pene e con dolori d’orrenda privazione Che solo chi ha provato sa cos’è in eterno Cadevo nell’abisso della disperazione Nella disperazione io mi rivolsi a Dio Quando appena potevo sperar più la pietà Ed Egli piegò il capo a udire il prego mio E il grande Leviatano mi gettò in libertà Corse rapido Iddio al mio grido di pena Come fosse portato da un bianco suo delfino Splendeva sulle acque il volto sereno Del mio liberatore tremendo e divino Nel mio canto per sempre vorrò ricordare Quell’istante gioioso di nuova concordia D’ora innanzi e per sempre dovrà risuonare Del mio liberatore la misericordia

Nel mio canto per sempre vorrò ricordare Quell’istante gioioso di nuova concordia D’ora innanzi e per sempre dovrà risuonare Del grande Leviatano la potenza e la misericordia.. Vinicio Capossela: Voce, Ondioline Coro degli Apòcrifi: Voci Giuseppe Ettorre: Contrabbasso Stefano Nanni: Organo, Armonium, Pianoforte Mirco Mariani: Leviatano, Campionatore, Ondioline Taketo Gohara: Ondioline francesco Arcuri: Sega, Autoharp Alessandro Stefana: Vox Continental Vincenzo Vasi: Tubular bells, Nord Micro Modular


L’Oceano Oilalà Musica di Vinicio Capossela; testo liberamente tratto da “Moby Dick” di Herman Melville, traduzione di Cesare Pavese - Adelphi 1987

Che tipo scontroso, giocoso, scherzoso Che tipo che coso è l’oceano oilalà la la la la Il tifone è allegro Il baleno è un buffone Quando sbatte orgoglioso il codone La nuvola scappa La schiuma si leva Quando soffia l’arcoBalena la la lala Che tipo scherzoso giocoso, scontroso Che tipo che coso è l’oceano oilalà lalala La nave la spacca col tuono Che tipo che coso l’oceano che è Per lui è soltanto uno sbuffo Si scrolla il cielo di dosso in un tuffo lalalala Che tipo scontroso giocoso scherzoso Che tipo che coso è l’oceano oilalà lalala la La nave che sbatte è il cicchetto che fuma Quando vanesio s’incipria di schiuma Per lui è soltanto un balocco La burrasca che gonfia nel fiocco Che tipo scontroso giocoso scherzoso Che tipo che coso è l’oceano oilalà! Che tipo scontroso giocoso scherzoso Che tipo che coso l’oceano che è Che tipo scontroso giocoso scherzoso Che tipo che coso l’oceano che è lalalala rolling the wave, rolling the wave rollin the wave around the whale! La balena rolla e rulla

Tonda e oleosa, grassa e sontuosa Piena di barili d’olio è solo un mammifero senza piedi La più bella l’ho vista nuotare sulla crosta d’oceano polare Al ramponiere non manchi la lena quando colpisca la balena rolling the wave rolling the wave around the whale rolling the wave rolling the wave around the whale Della tempesta non s’importa Tanto sa sempre nuotare è un gigante di forza, è la regina del mare! Uhm che la smetta quel tuono, A che ci serve un tuono? Uhm non vogliamo dei tuoni, noi vogliamo del rhum Uhm uhm Date un bicchiere di rhum! Uhm uhm date un bicchiere di rum Uhm uhm uhm, noi vogliamo del rum Uhm uhm uhm, noi vogliamo del rum, Uhm uhm uhm Noi vogliamo del rum Vinicio Capossela: Voce Giuseppe Cacciola: Marimba, Teste di moro, Piatti Coro degli Apòcrifi: Voci Giuseppe Ettorre : Contrabbasso Mario Arcari: flauti dolci piccoli Stefano Nanni: Pianoforte Myriam Essayan: Bodhràn, Tamburello Stephane Lavis: Tin whistle Guillaume Souweine: Violino Caroline Tallone: Ghironda Taketo Gohara: Tamburello, fischio Vincenzo Vasi: Coro, Percussioni digitali Drunk Sailors Choir: Coro


Pryntyl Pezzo ispirato da “Scandalo negli abissi” L. f. Celine, Il melangolo, 1992

Nel fondo del mar, nel fondo del mar.. La foca barbuta, sempre piaciuta Che è solitaria, le piace cantar, Una sirena si sente coi baffi, Una sirena del fondo del mar E i pesci uccelli le batton le ali E scrosciano applausi di pinne e di bolle Nel fondale spettacolare Dell’abisso musicale Io la vispa Pryntyl Dal caschetto malizioso Nettuno si gettava ai miei piedi Implorando chiamami Nunù Prima stella del corpo di ballo Del balletto delle onde Un tutù di alghe nel blu.. chiamami Nunù Perché sono una sirenaaa canto in sirenese Ondeggia il pavimento, nel mare si stringono i cuori Li assalgono i mali della nostalgia Si avvicinano narvali e gamberi schiudono perle le ostriche Non ho perso la voce per un paio di gambe Come la Sirenetta in pegno d’amor Ma io la perdo fumando e bevendo Nell’orgia dei sensi mi butto cantando

E mi ubriaco e stordisco ballando Nell’ebrezza felice abbracciando Sulla terra tutto si consuma L’amore all’alba si trasforma in schiuma Ma nell’abisso è tutto uno spasso Puoi sempre incontrare, un pesce pagliaccio E quando sei triste, basta una siiireeennaaaaaa Sbarazzina, civettuola, piena di squame dalla coda alla gola fatevi attorno focene volanti, cavallucci di mare, di terra e bagnanti Ascoltate come sturo l’abisso Ora lo scandalo lo darò io Perché sono una sireennaaaa ,canto in sirenese Pryntyl slash slash smack smack glu glu Chiamami Nunù Ora Pryntyl sei finita in taverna In esilio da kraken e krill Sei finita a guadagnarti la birba Tra le biffe, i lenoni e i play boy E i papponi del porto ti tengono


Alla lenza di grog e di skunk E mi ubriacano a furia di spriz E mi ubriacano se faccio le biz Bell’ufficiale buttiamoci a mare, voglio tornare squamata a brillare Ma che non lo sappia, il capitano testa di morto O a tutte due finirà il collo torto finiremo con lui tra gli scogli a schiamare: kruag kruag kruag affondate con me E non è proprio un verso da sirenaaaaa Che canta in sirenese.. Pryntyl slash slash smack smack glu glu Pryntyl slash slash smack smack glu glu Pryntyl, smack smack glu glu Chiamami nunù

Vinicio Capossela: Voce, Pianoforte Antonio Marangolo: Arrangiamento, Saxofoni, Washboard, Marimba, Glockenspiel: Vibrafono, Xilofoni Jimmy Villotti: Chitarra Ares Tavolazzi: Contrabbasso Vincenzo Vasi: Coro, Nettuno, Tubo, Lumachine di mare, Giocattoli elettronici e meccanici, fischietti, flauti, Kazoo, Carillon, Samples, Theremin Luisa Prandina: Arpa Nadia ratsimandresy: Ondes Martenot Alessandro Stefana: Banjo francesco Arcuri: Campanelli, Toy piano, Sega Le Sorelle Marinetti: Coro Arrangiamenti trio vocale di Christian Schmitz


Polpo d’Amor Testo Vinicio Capossela; musica di Joey Burns e John Convertino dei Calexico

Troppe braccia per non abbracciarti Tentacoli senza tentazioni Troppe braccia per non abbracciarti Tentacoli per cercarti

E quando infine io ti troverò 100 ventose io ti attaccherò E danzeremo insieme Questo polpo d’amor

Spettri danzano negli abissi Negli abissi danzano Vascelli fantasma E non ti trovo compagna Mando messaggi d’inchiostro nero, nero, Per trovarti nel nero, nero

8 braccia per abbracciarti 8 braccia mi mancano 8 braccia per abbracciarrrti

Mando messaggi d’inchiostro nero, nero, nel nero, nero 8 braccia per abbracciarti 8 braccia mi mancano 8 braccia per ritrovarti 8 braccia mi mancano E quando infine io ti troverò 100 ventose io ti attaccherò E danzeremo insieme Questo polpo d’amor L’abisso è scuro, scuro L’inchiostro è nero, nero Mando messaggi di profondità Lettere di profondità

Vinicio Capossela: Voce, farfisa, Mellotron Jimmy Villotti: Chitarra con tremolo Giuseppe Cacciola: Timpano, Vaso, Pentolina, Acqua, Marimba Ares Tavolazzi: Contrabbasso Enrico Gabrielli: Clarinetto basso, Sax tenore Vincenzo Vasi: Theremin, Shaker francesco Arcuri: Kalimba, Pentola, Acqua Alessandro Stefana: Chitarra elettrica


Lord Jim Nessuno è mai protetto Dalla sua debolezza Che se ne sta nascosta Come una serpe dentro un rovo Vilmente sconosciuta Appena sospettata Ma invece rivelata Nel momento che sta a te Lord Jim Credevi di esser forte, Credevi di esser saldo Ora sai chi sei, ora che sta a te Lord Jim Proprio ora che sta a te Lord Jim

E non te ne vorrebbero Ti giustificherebbero, giustificando loro Ma è dentro te che sai com’è che farai, Come ti comporterai Quando ancora starà a te Lord Jim La chiave della cella è meglio siano i giudici a tenerla Lasciare al mondo fuori la condanna e l’assoluzione Ma a farsi giudici di sé non c’è più espiazione Non c’è un confessore a cui affidare la tua pena Sali il tuo calvario di esule in esilio Porta sulle spalle la tua croce di Caino Non c’è abbastanza terra più per te Terra più per te

Le domande non ti toccano Ti piegano e t’interrogano Tornare indietro un attimo Ma non c’è niente da rifare Solo da aspettare La prossima occasione che ancora tocchi a te Lord Jim Ora hai mancato il colpo, ma di questo non si muore è solo che ora sai, di che pasta sei Lord Jim è dentro te che sai Lord Jim

Ora hai fatto il salto E il pozzo non ha fondo Hai perso l’innocenza Sei uno di noi Lord Jim Ora hai la conoscenza Sei uno di noi Lord Jim Hai perso l’innocenza Sei uno di noi Lord Jim

Per commettere un crimine Ci vuole il suo coraggio Ma per voltar la testa Basta la debolezza Sono tutti complici

Vinicio Capossela: Voce, Pianoforte francesco Arcuri: Gamelan, Steel drum Greg Cohen: Contrabbasso Giuseppe Cacciola: Tamburo, Boobam, Xilofono, Marimba Coro degli Apòcrifi: Voci Mauro Ottolini: Trombone, Tromba bassa in Bb Taketo Gohara: Kalimba bassa, Gong delle nuvole Vincenzo Vasi: Gu zheng, Tres, fischi, Xilofono, Marimba, Theremin, Tampura


La Bianchezza della Balena Musiche Vinicio Capossela; testo liberamente tratto da “Moby Dick” tradotto da Cesare Pavese - Adelphi 1987

Sebbene sia bianco il signore degli elefanti bianchi Che i barbari Pegu pongono sopra a ogni cosa E bianche le pietre che i pagani antichi donavano in segno di gioia, per un giorno felice Bianche cose nobili e commoventi, Come i veli di sposa L’innocenza, la purezza, la benignità dell’età Sebbene abiti bianchi vengano dati ai redenti Davanti a un trono bianco, Dove il santissimo siede, bianco come la lana Sebbene sia associato a quanto di più dolce, Onorevole e sublime La bianchezza della balena Niente è più terribile di questo colore, Una volta separato dal bene, Una volta accompagnato al terrore La bianchezza dello squalo bianco, L’orrida fissità del suo sguardo che demolisce il coraggio La fioccosa bianchezza dell’albatro, nelle sue nubi di spirito La bianchezza dell’albino bianco E cosa atterrisce dell’aspetto dei morti se non il pallore Bianco sudario colore? Spettri e fantasmi immersi in nebbie di latte Il re del terrore avanza nell’apocalisse Su un cavallo pallido E pallidi i cappucci della pentecoste E il mare nel suo richiamo abbissale Nell’antartico, bianco sconfinato cimitero, il bianco sogghigna nei suoi monumenti di ghiaccio Il pensiero del nulla si spalanca nella profondità lattea del cielo

Bianco l’inverno bianco, la neve bianca, bianca la notte Bianca l’insonnia bianca, la morte bianca e bianca la paura è bianca L’universo vacuo e senza colore Ci sta davanti come un lebbroso Anche questo è la bianchezza della balena La bianchezza della balena Capite ora la caccia feroce? Il male abominevole, l’assenza di colore Vinicio Capossela: Voce, Pianoforte Coro voci bianche “Mitici Angioletti” diretto da Mariafrancesca Polli Giuseppe Cacciola: Kalimba, Piatti Quartetto EDODEA: Archi Alessio Pisani: fagotto, Controfagotto Mauro Ottolini: Trombone Giuseppe Ettorre: Contrabbasso Mario Arcari: flautofono Vincenzo Vasi: Glockenspiel, balena (effetto sonoro) Stefano Nanni: Celesta Alessandro Stefana: Chitarra elettrica


Billy Budd Testo tratto da “Billy in the darbies” di Herman Melville; musiche e adattamento del testo Vinicio Capossela

Oh oh Ay Ay Billy Budd.. Oh oh Ay Ay Billy Budd oh oh oh ay! Ecco il cappellano è entrato nella cella In ginocchio sulle ossa Piegato qui a pregare Per quelli come me Billy Budd Oh oh Ay Ay Billy Budd Oh oh Ay Ay Billy Budd Mentre dall’oblò entra un po’ di luna riflessa su una sciabola d’argento Arriva fino a dentro Ma morirà anche lei all’alba Dell’ultimo giorno di Billy Budd Oh oh ay ay Billy Budd Oh oh ay ay Billy Budd Domani faranno di me un gioiello Una perla appesa in punta di pennone Come quegli orecchini che un giorno regalai a Molly Molly Budd! Oh oh ay ay Molly Budd Ai ai, sospenderanno me, non la mia sentenza Appenderanno me al capriccio della lenza Ai ai tutto è pronto Anch’io devo esser pronto A salire fin lassù, di quaggiù A salire fin lassù, di quaggiù Ma non è tutta una finta? Non è che sto sognando? Un taglio alla mia gomena? Andare alla deriva?

Il tamburo chiama per il grog, ma Billy non lo sa Il tamburo chiama per il grog, ma Billy non lo sa Ay ay Billy Budd oo ay Billy Budd oh oh ay! Ma Donald mi ha promesso, Di starmi accanto all’asse Stringerò una mano Prima di andare a fondo, Ma che sto dicendo? Allora sarò morto ora che ci penso ricordo Taff di Galles, quando sprofondò La guancia come un garofano in bocciolo Ma a me mi legheranno, ai piombi dell’amaca Mi getteranno giù, giù in fondo Come sognerò dormendo, Sento che sta arrivando il sonno Sento che sta arrivando il sonno Sentinella sei lì fuori? Allenta le manette per favore, E girami su un fianco Sii gentile ho sonno, Le viscide alghe mi si attorcigliano già attorno Sii gentile ho sonno, Le viscide alghe mi si attorcigliano già attorno Ho sonno ho sonno ho sonno Oh oh ay ay Billy Budd ooh oh oh ay Vinicio Capossela: Voce, Chitarra Stella Zeno De rossi: Timpano, Catene Marc ribot: Chitarre, Banjo, Mandolino Greg Cohen: Contrabbasso Myriam Essayan, Stephane Lavis, Guillaume Souweine, Mirco Mariani, Marco Castellani, Vincenzo Vasi: Catene Drunk Sailors Choir: Coro


I fuochi fatui Testo liberamente tratto da “Moby Dick” di Herman Melville nella traduzione di Cesare Pavese - Adelphi 1987

I fuochi fatui I fuochi fatui Danzano tremuli I fuochi fatui I fuochi fatui Danzano demoni I fuochi fatui I fuochi fatui fuochi fatati I fuochi fatui.. I fuochi fatui, fuochi specchiati I fuochi fatui I fuochi fatui, fuochi sognati I fuochi fatui I fuochi fatui, fuochi abissati “I corpisanti abbiano pietà di noi tutti!” “Sì sì, marinai, osservatela bene, la fiamma bianca Illumina soltanto la via verso la balena bianca Sebbene tu sia luce, che prorompe dalla tenebra, io sono tenebra che prorompe dalla luce! Io brucio con te, forza del cielo, io ti adoro sfidantoti” Danzano tremuli, tremuli danzano, danzano e tremano..

Achab è Achab per sempre. Tutto questo dramma è decretato, e le prove io e te le abbiamo fatte un miliardo d’anni fa. Sciocco! Io sono il luogotenente del fato. Agisco i suoi ordini. Bada tu, di obbedire ai miei Che cos’è mai questa cosa senza nome? Quale tiranno mi comanda? Perché contro tutti gli affetti io debba osare ciò che nel mio cuore vero, non ho mai osato di osare? Sono io questo o chi? Dove vanno gli assassini marinaio? Chi dovrà sentenziare quando il giudice stesso è trascinato alla barra? Ma è un vento dolce oggi e un cielo dolcissimo e l’aria odora come se spirasse da prati lontani Vi sentire coraggiosi, marinai coraggiosi?” I fuochi fatui I fuochi fatui


Danzano tremuli I fuochi fatui “LA BALENA! La mascella! La sua fronte implacabile avanza! La Mascella!” “Nave gloriosa fino alla morte, devi tu perire senza di me? Oh solitaria morte di una vita solitaria! riversatevi ora qui arditi flutti della mia vita trascorsa e coronate questo grande maroso della mia morte Io mi volgo verso di te, mostro, fino all’ultimo lotto con te. Dal cuore dell’inferno io ti trafiggo, in nome dell’odio io vomito su di te l’ultimo respiro! Legato a te dannata balena, così io getto le armi” Ismaele: “Il mare ci si richiuse sopra come all’epoca del grande diluvio e io soltanto mi sono salvato per potervelo raccontare”

Vinicio Capossela: Voce, Pianoforte Daniel Melingo: Voce Ismaele Giuseppe Ettorre: Contrabbasso Giuseppe Cacciola: Timpani, Tamtam, Percussioni sinfoniche francesco Arcuri: Bicchieri Vincenzo Vasi: Theremin, Effetti sonori, Coro CaboSanroque: Orquestra Mecànica roger Aixut e Laia Torrents: Delfín-bañera Stefano Nanni: Piano preparato, Armonio Alessandro Stefana: Chitarra Luisa Prandina: Arpa Coro degli Apòcrifi: Voci


Job Testo liberamente tratto dal “Libro di Job” nella traduzione di Guido Ceronetti - adelphi 1972

Un uomo era in terra di Uz Un uomo di perfetta purità Temeva Dio e il male aborriva Tra tutti i figli dell’oriente, uomo più grande non c’era E un giorno venne che i figli della terra stettero davanti al Signore E Satana tra loro Hai messo il tuo cuore sul mio servo Job? è un uomo di perfetta purità Di un bastione lo hai circondato Ma stendi la tua mano e colpiscilo nel suo Sulla tua faccia ti maledirà E un giorno un messaggero venne a Job e disse: “fuoco di Dio dal cielo è sceso, greggi e mandriani ha divorato sono venuto a dirlo io, il solo scampato” parlava ancora e un altro arriva e dice “I figli tuoi sedevano e mangiavano quando ecco dal deserto leva un vento nella rovina sono morti” “Dal ventre di mia madre nudo sono uscito, nudo tornerò

Il Signore dà, il Signore toglie sia benedetto il nome del Signore” E Satana disse: “La pelle per la pelle. L’uomo dà tutto per la vita ma stendi la tua mano nel suo osso, sulla tua faccia ti maledirà” E piagò Job con l’ulcera del male dai piedi fino al cranio “Maledici il Signore e muori!” “Se accettiamo il bene, dobbiamo prendere anche il male il Signore dà, il Signore toglie, sia benedetto il nome del Signore” E infine Job apre la bocca e grida: “Che tu sia maledetto giorno che mi hai partorito, che sia un giorno di tenebra, il cielo lo ripudi gli neghi il lume della luce Perché ginocchia venirmi incontro? Perché mammelle vi ho succhiato? Perché la luce è data a chi pena? Perché la vita a una gola amara? Ecco, i terrori che più ho temuto


Ecco incarnarsi le mie paure Non ho pace né tregua, Sono un cumulo di dolore Strepita pure, chi ti risponde? Se cerchi Dio, se implori Shaddai Se rispondesse quando io grido Solo m’ingozza di pena amara Dio stermina chi ha colpa E chi non ha colpa La terra è data in mano a chi fa il male La faccia dei suoi giudici è coperta Tu che hai messo in me la grazia della vita, Tu che fai dei miei giorni un’ombra Ecco che nascondi nel tuo cuore: Terra buia come la tenebra Dove non brilla che oscurità E adesso che il mio occhio ti ha veduto Mi ripudio E mi consolo Sulla polvere e sulla cenere”

Vinicio Capossela: Voce Psarantonis: Lyra cretese, Voce Ares Tavolazzi: Contrabbasso Zeno De rossi: Batteria Niki Xylouri: Bendir francesco Arcuri: Steel drums Haralambos Xylouris: Boulgari Yiorgis Xylouris: Laouto, oud Alessandro Stefana: Chitarra, Divan sazi, Banjo Nadia ratsimandresy: Ondes Martenot Vincenzo Vasi: Cori, flauti


La Lancia del Pelide La lancia del Pelide Magico dono Per un verso ferisce, per l’altro guarisce Lei sola lenisce le ferite che infligge Così sei tu, Mia bella tu Tu che puoi uccidermi e farmi risorgere Non vale altra cura per le ferite che procuri tu.. La lancia del Pelide infuria in battaglia Infiniti lutti adduce al suo tocco Ma è unica a avere Il magico dono Di restituir la vita a chi l’ha tolta Così sei tu, Mia bella tu Tu che puoi uccidermi o farmi risorgere Come quella fenice è la ferita che procuri tu Guariscimi ora Tu sola hai la cura Non vale che cerchi altrove consiglio e premura Guariscimi ora Tu che ne hai la cura Il tuo amore è una lancia appuntita Che può toglier la vita Guariscimi amore, Dal male d’amore Guariscimi ora Tu sola hai la cura Ahhhhh..

Tornerò a vita per te Tornerà vita per noi.. Guariscimi amore Dal male d’amore Guariscimi ora Tu che ne hai la cura Vinicio Capossela: Voce, Pianoforte Psarantonis: Lyra cretese, Voce Danilo rossi: Viola d’amore barocca Giuseppe Cacciola: Timpano, Piatti, Chimes Quartetto EDODEA: Archi Giuseppe Ettorre: Contrabbasso Luisa Prandina: Arpa Vincenzo Vasi: Samples, QY10 Taketo Gohara: Santur Stefano Nanni: Piano preparato francesco Arcuri: Marimbula, Pentole


Goliath Venite vedrete è arrivata la balena Si porta sulla schiena tutta la storia del cosmo è la più grande del mondo Ma viaggia sulle ruote E si chiama Goliath Ha perso la vita ma ha salvato la pelle Entrateci in bocca e vedrete le stelle Il grande meccano dell’universo sovrano Perché la balena è un cannone Puntato sull’abisso del cielo Un telescopio vivente Tra la vita e il niente Venite vedrete è arrivata la balena E io la cavalco Sul cocchio della schiena Perché sono il cavaliere nano Dell’Apocalisse Vedrete anche Ulisse che si affanna a tornare Le sirene, i ciclopi E le creature del mare Dimenticate da Noè Nell’arca della pancia Non badate all’odore Dell’artista ambulante è pur sempre una carcassa di taxidermista La carne imputridita gli cola sulla pista La balena è un totem è il nostro sacrificio Il suo occhio vacuo e spiaggiato Che ancora si ostina a guardare Innocente come madre Come i fanciulli di Erode

E io la porto a voi Affinché possiate liberarvi E brutalmente desiderare E selvaggiamente uccidere e picchiare E stuprare e sbranare Nella santa anarchia del caos primordiale finché tutta la carne Sia colata di dosso E restino lustre E di sasso le ossa E ritorni l’ordine del silenzio Iniziale Vinicio Capossela: Voce Marco Gianotto: Organo di Barberia CaboSanroque: Orquestra Mecànica roger Aixut e Laia Torrents: Delfín-bañera Alessio Pisani: fagotto, Controfagotto Vincenzo Vasi: Theremin francesco Arcuri: Metallofoni, Sega Stefano Nanni: fischietto


Vinocolo Vino vinocolo Vino monocolo Vino vinocolo Vino con un occhio solo Attenti al cannibale Attenti al cannibale Per me che son vetta di monte Tutto mi appare lontano Gli uomini son così piccoli Volli vederli più da vicino Vicino, venire più vicino Vicino, vedere più vicino In una lente di vino Li vidi e me li mangiai Attenti al cannibale, attenti al cannibale Venti misure di acqua e una misura di vino Vino vinocolo Vino di Mèrone Vino che abbatte il ciclope Non conoscevo il succo dell’uva E solo pascevo le crape Bevevo latte e mi ha vinto il miele Del succo dell’uva pigiata Un nessuno, nessuno da niente Mi ha vinto col vino, mi ha vinto col vino

Mi ha orbato la luce dell’occhio E poi si è nascosto in un nome E io mi aspettavo un eroe Vino vinocolo, vino monocolo “Quando i compagni mi avrai mangiato Bevilo, disse, e sarai beato” A brani a brani me li mangiai E poi avido tracannai Ed era buono, ed era buono Al pesce quando abbocca, l’esca gli piace e la mangia tutta Carne e vino vomitavo ubriaco, Col capo girato di lato Mi vinse il sonno che tutto doma, mi vinse il sonno Che tutto doma A grandi coppe bevono i barbari Al vino scostumati Danzano in coro, danzano in coro e ne chiedono Ancora e ancora ridono in bocche di anfore Profumi di viola e di sangue


Vino ematoso, vino ferroso Vino di Merone stuporoso facce di cani parlanti, facce che ridono abbaianti Vicino vedere più vicino, vicino vedere più vicino Attenti al cannibale Ora che ho visto così da vicino La luce del sole me la renda il vino Vino Demodoco, vino cantore Vino dilatatore Attenti al cannibale, attenti al cannibale Io, come Kronos che tutto divora, ma per aumentare le cose ancora Io, come Kronos che tutto divora, ma per aumentare le cose ancora Vicino venire più vicino, vicino vedere più vicino, Volli vedere da vicino, volli vedere da vicino

Vinicio Capossela: Voce, Chitarra Psarantonis: Lyra cretese, Coro, Voce recitante Ares Tavolazzi: Contrabbasso Taketo Gohara: Tambourine, Shaker, Maracas Alessandro Stefana: Chitarra, Cubus outi, Divan sazi, fiaboli Niki Xylouri: Bednir, Stamna, Daouli, Daoulaki francesco Arcuri: Campioni Mario Arcari: Oboe d’amore, flauti dolci


Le Pleiadi Non piove, non piove è un raggio la vela nel sole Cede il suo lume alla volta Alla stella polare Urano lontano, lento meccano del cielo Tutto si muove, ma niente si muove davvero E i giorni passano e gli anni e le nozze col velo raschia la linea degli occhi l’inganno del telo Tramontate son le Pleiadi Notte alta Io dormo da sola.. L’attesa, è un inganno l’attesa Ma, preferisco l’attesa è più dolce che non vederti tornare Nell’attesa mi conosci così bene Ma poi non riconoscerò te.. Non piove non piove Precipita il carro nel cielo Dondola l’Orsa appesa alla volta polare Andromeda, Orione Le figlie di Atlante Brillanti ai naviganti La via per tornare

L’attesa, è un inganno l’attesa Ma preferisce l’attesa Lei non mi crederà, perché ama la sua nostalgia Nell’attesa mi conosci così bene Ma poi non riconoscerò te S’alza in cielo ora la Croce del Sud Notte alta io avanzo da solo fino ai confini delle Pleiadi fino agli estremi confini del mare Ma io non ti dico tutto, con te consigliati in cuore E da te stesso scegli la via Vinicio Capossela: Voce, Pianoforte Giuseppe Cacciola: Marimba Quartetto EDODEA: Archi Giuseppe Ettorre: Contrabbasso Luisa Prandina: Arpa Mirco Mariani: Effetti Iceberg Taketo Gohara: Gong delle nuvole francesco Arcuri: Chitarra con archetto Nadia ratsimandresy: Ondes Martenot Vincenzo Vasi: rumori


Aedo L’aedo venne Per chi era presente Per chi aveva tutto E chi non aveva niente L’aedo venne E gettò l’incanto Per la sala ombrosa Del suo canto La beltà seduce La verità convince Da quel che attinge, da quello che finge Il vero dal falso più non si distingue Ah.. soffrilo e poi impara, Ah.. e imparalo a cantare Pathos mathos, pathos mathos L’aedo canta e intanto la memoria Si versa sopra agli occhi Il dono che Gli da’ luce dentro Lo fa cieco di fuori

Canta la storia Come ci fosse stato Come se avesse visto Prima di essere nato Ah ah, soffrilo e poi impara L’aedo incanta E mentre tesse il testo In sala sorse il pianto Il verso versa E toglie alla morte Chi viene cantato Chi aveva orecchie, chi poté sentire ritrovò la sua vita, com’era e com’è stata Ah, soffrilo e poi impara Ah, e imparalo a cantare Pathos mathos Un re tradito Che ritrovò il ritorno Nascosto di stracci Portò la strage in sala


L’aedo disse Nel silenzio di morte A chi lo giudicava O re potente come ho cantato loro Ora canterò di te E disse quello Che tu viva per sempre E dentro il tuo canto Io viva con te Ah.. soffrilo e poi impara Gli Dei soltanto Ci filano sventure Per dare gloria al canto E il canto dice nascosto nel tempo Con voce di pietra: “Siamo due coste di rupe Aspettiamo un terremoto Per unirci di nuovo In un solo canto Per unirci di nuovo in un solo canto” Ah, soffrilo e poi impara Ah, e imparalo a cantare Pathos mathos

Vinicio Capossela: Voce, Chitarra Psarantonis: Lyra, Voce Niki Xylouri: Bendir Haralambos Xylouris: Boulgari Yiorgis Xylouris: Laouto Mario Arcari: flautofono francesco Arcuri: Santoor Vincenzo Vasi: Voce


La Madonna delle Conchiglie La madonna delle conchiglie è arrivata restituita dal mare Senza carte, senza la scorta Senza permesso, senza passaporto E di un fuggiasco così come era Ne abbiamo fatto la madonna nera Che è la madonna dei naviganti Protegge gli ospiti come i viandanti Volta l’onda e poi la rivolta Mentre tremola sopra la barca Sopra la barca la portano fuori Guarnita tutta di conchiglie e fiori Benedice chi si avventura Chi ha il cuore saldo e chi si appaura Chi viene a riva con le fanfare Chi arriva solo e sputato dal mare La madonna delle conchiglie Ha gli occhi come biglie, come coralli è vestita di drappi azzurri Come a una perla le fanno ventaglio Ha lo sguardo dolce e un poco lontano Di chi per tanto ha navigato invano Ha lo sguardo dolce e un poco assente Di chi ti capisce, e non può farci niente Ma dalla fede della sua gente Lei non sa come riparare La guarniscono e danno ai flutti Le sparano il fuoco e la invocano tutti

La madonna delle conchiglie è solo una statuetta restituita dal mare Ti guarda muta, senza parole E ha il volto tinto di un altro colore Da chi diverso e così lontano Se l’è forgiata e dipinta a mano Un altro popolo, un’altra gente Con la stessa paura di sempre Di essere nati e dovere andare Nati e poi non essere più niente Di essere nati e dovere andare Nati e poi non essere più niente Eppure la madonna delle conchiglie è un serafino con gli occhi di biglie Vinicio Capossela: Voce, Clavicembalo Mauro Ottolini: Conchiglie, flicorno tenore, Susaphone Giuseppe Cacciola: Piatti, Chimes, Cimbalo, rullante, Tamburo Alessio Pisani: fagotto Mario Arcari: flauto dolce, Oboe, Oboe d’amore francesco Arcuri: Bicchieri Vincenzo Vasi: Glockenspiel Stefano Nanni: Pianoforte


Calipso Calipso, colei che nasconde Tra i cristalli di luce E il labirinto di ombre Nel suo giardino d’incanto Non cambia mai stagione è cinto intorno e la chiave è nell’ombelico del mare rivestitelo ancelle, Imbalsamatelo belle Qui la corsa è finita Qui si è incantata la vita Il vino e l’amore e poi ancora l’amore.. Il vino e l’amore e l’amore ancora Il tuo abbraccio d’ambrosia mi ha tolto alla strada Mi ha tolto alla strada e la strada dov’è? Calipso Una stagione sola Nel luccicare del sole Senza vecchiezza e morte Senza più sete e fame Un velo di piacere e sonno mi ha nascosto al mondo fermati e non ti agitare, Ti puoi attardare, ti puoi attardare Nel quadro degli amanti nudi e crudi Gli amanti ruotano come lancette Nel talamo del letto Eccoli gli amanti nudi e crudi E il tempo non passa Il tuo abbraccio d’ambrosia mi ha tolto alla strada, Alla notte, alla morte, al freddo e al dolore Mi ha tolto alla strada e la strada dov’è?

Bloccato qui, solo su uno scoglio, Piango la mia anima ospite Il mare è una cintura di spine, Che cinge la vita del giorno, che cinge il ritorno Preferisco tornare allo sforzo e al dolore, Tornare a penare E indietro lasciare Il riparo accudito dal bene di un Dio, Di un paradiso che non è il mio Sembrava eterno Presente, ma è già dietro le spalle Però domani.. Per oggi ancora un poco di Calipso Mi ha già ripreso l’incanto Solo di giorno è il pianto La notte scioglie le ore Partita anche l’ultima nave Nessuno mi può più trovare Nessuno mi può più trovare Vinicio Capossela: Voce, Kalimba Mauro refosco: Arrangiamento ritmico, Percussioni, Udu, Latta, Vibrafono, Marimba, Glockenspiel, Kalimba Greg Cohen: Contrabbasso Vincenzo Vasi: Theremin, Teste di moro, Triangolo, Giocattoli Alessandro Stefana: Chitarra Wandré “Calipso” Stefano Nanni: Kalimba bassa Luisa Prandina: Arpa Mario Arcari: Shanaij, Oboe d’amore francesco Arcuri: Steel drums Valeria Pilia e le donne sarde di Actores Alidos: Valeria Pilia, Valeria Parisi, Manuela Sanna, Elisa Zedda, Barbara Zedda I testi sardi e le musiche sono state composte da Valeria Pilia con la consulenza musicale di Debora Mameli


Dimmi Tiresia Dimmi Tiresia Dal regno dove mai nessuno si è recato Versami il sangue Scavami un botro Un buco per sbirciare tra il mio destino e il fato Bevi il mio sangue Che porti alla memoria la coscienza di chi ero e sono stato Ma è meglio sapere o non sapere Aver la conoscenza Sapere o non sapere Quello che poi mi sporcherà Dimmi Tiresia Affido a te il mio viaggio Alla tua sentenza Tu che già sai, com’è filato il mio cammino Sapere o non sapere Se la donna mia mi aspetta se è fedele Sapere o non sapere

E così purifichi A che mi servirà sapere Saper il mio destino come già deve compiersi E poi non esser più creduto dai compagni Soltanto dai segni nei sogni Dimmi Tiresia Togli la sete Conoscilo e poi scordalo Bevi di questo Lete Conoscilo e poi scordalo La conoscenza è niente senza fede Conoscilo e poi scordalo La conoscenza è niente senza fede La conoscenza è niente senza fede

Dimmi Tiresia Quali stratagemmi dovrò ordire In quale forma mi dovrò nascondere Dimmi Tiresia Ma è meglio sapere o non sapere E non poter più credere Sapere e poi dovere Portare fino in fondo il compito

Vai oltre il ritorno Porta sulle spalle un remo Abbandona la casa e vai errante nel sole fino a gente che non batte il dorso del mare Che non conosce cibi conditi col sale Che confonderà il remo con un ventilabro Un rastrello per spargere intorno sementi Per pettinarle nelle crine dei venti Lì lo poserai offrirai sacrifici La morte ti coglierà dal mare Consunto da splendente vecchiezza Tra gente felice attorno Questo ti dico senza tema né dubbio

Dimmi Tiresia è duro profetare La conoscenza è distanza che separa La fatica di conoscere è più grande fatica di essere creduti? Dimmi Tiresia Tu che dimentichi e ricordi e poi dimentichi

Vinicio Capossela: Voce, Chitarra Psaradonis: Lyra cretese francesco Arcuri: Marimbula Greg Cohen: Contrabbasso Niki Xylouri: Bendir Taketo Gohara: Kashishi Haralambos Xylouris: Boulgari Alessandro Stefana: Chitarra, E-bow Yiorgis Xylouris: Laouto


Nostos

Le Sirene

Né pietà di padre, né tenerezza di figlio, né amore di moglie Ma misi me per l’alto mare aperto Oltre il recinto della ragione, Oltre le colonne che reggono il cielo, fino alle isole fortunate, purgatorio del paradiso Nostos Nostos fino alle terre retro al sol e sanza gente Itaca ha dato il viaggio Le sue ombre di viti nel sole e nel miraggio Le abbiamo portate dentro Come una bussola Ci ha fatto andare oltre gli incantesimi, E i Lestrìgoni Oltre le lusinghe dell’eterna giovinezza Ma a ritornare ora La troveremmo vuota di gente e piena di sonno Itaca ha dato il viaggio, Itaca ha dato il viaggio, L’hai avuta dentro, ma non ci troverai nessuno

Le sirene Ti parlano di te, Quello che eri Come fosse per sempre Le sirene Non hanno coda né piume, cantano solo di te L’uomo di ieri, l’uomo che eri, a due passi dal cielo Tutta la vita davanti, tutta la vita intera E dicono fermati qua Le sirene Ti assalgono di notte, create dalla notte Han conservato tutti i volti che hai amato e che ora hanno le sirene E te li cantano in coro, e non sei più solo Sanno tutto di te E il meglio di te è un canto di sirene E si sente nel rimpianto Di quanto hai mancato Quello che hai intravisto e non avrai Loro te lo danno, solo col canto Ti cantano di come sei venuto dal niente e niente sarai Uh uhhhhhhhh

fatti non foste a viver come bruti, Ma per seguir virtute e canoscenza Considerate la vostra semenza, considerate la vostra semenza Nostos nostos, perdere il ritorno Batti le ali, fare da remi al volo Ali al folle volo! fino alle terre retro al sol e sanza gente fino alle terre retro al sol e sanza gente Vinicio Capossela: Voce, Pianoforte Coro degli Apòcrifi: Voci Giuseppe Cacciola: Timpani, Piatti, Chimes, Tamburello, Vibrafono con arco, Udu, Vetrofono, Piatti ad acqua, Kalimba Antonio Visioli: Violoncello Giuseppe Ettorre: Contrabbasso Mario Arcari: flauti dolci piccoli, soprani, contralti francesco Arcuri: Campioni Mirco Mariani: Celesta Stefano Nanni: Toy piano, Glockenspiel

Le sirene, sono una notte di birra e non viene più l’alba Sono i fantasmi di strada che arrivano a folate e hanno voci di sirene riempi le orecchie di cera, per non sentirle quando è sera


Per rimanere saldo, legato all’abitudine Ma se ascolti le sirene, non tornerai a casa Perché la casa è Dove si canta di te Ascolta le sirene Non smettono il canto Nella veglia infinita cantano tutta la tua vita Chi eri tu chi eri tu chi sei tu? Chi eri tu chi eri tu chi sei tu? Mnemosine Perché continuare, fino a vecchiezza, fino a stare male è già tutto qua, fermati qua Non hai più dove andar Le sirene Non cantano il futuro, ti danno quel che è stato Ma il tempo non è gentile E se ti fermi a ascoltarle, ti lascerai morire Perché il canto è incessante Ed è pieno di inganni E ti toglie la vita Mentre la sta cantando Uh uhhhhhhhhhhhhhhhhhh Vinicio Capossela: Voce, Pianoforte Danilo rossi: Viola Maggini Giuseppe Ettorre: Contrabbasso Nadia ratsimandresy: Ondes Martenot francesco Arcuri: Campioni Coro degli Apòcrifi: Voci

Coro degli Apòcrifi Soprani: Carlotta Caruso, Sara Della Porta, Claudia Di Carlo, Giovanna Gallelli Contralti: Diletta Donati, Miriam Gentile, Chiara Guglielmi, Marta Zanazzi Tenori: Massimiliano Cutrera, fabrizio Giovannetti, Emilio Guazzone, Vito Plances Bassi: Giuliano Caruso, Giovanni Iorio Giannoli, Andrea robino rizzet, Edoardo rossi Quartetto EDODEA Eugenio Silvestri: Viola, Nicolai Leonardo freiherr Von Dellingshau: Violino II, Edoardo De Angelis: Violino I, Antonio Visioli: Violoncello Drunk Sailors Choir Edward Bailey, David Baker, Matt Bedford, David Muldoon, Philip O’Gara, Michael Lucchesi, Jamie Steele Le Sorelle Marinetti appaiono per gentile concessione di P-Nuts Alessandro “Asso” Stefana e Vincenzo Vasi appaiono per gentile concessione di Tremoloa records Zeno De rossi appare per gentile concessione di El Gallo rojo


La balena di Vinicio Capossela Diario di Bordo Castello aragonese di Ischia 4 ottobre 2010 Il Seiler d’altezza In musica, come in cucina e in marina, si fa con i mezzi di bordo. Questo è il pianoforte che ci siamo scelti. Si chiama Seiler, che è quasi sailor… è venuto da una montagna, ha 90 anni e mai un lifting. Ha assi come di barca e un complesso intreccio di corde, di legni e di sbarre, come le sartie di un veliero. è grave. Ha un suono più ricco sui medio bassi. Sulla parte alta non è sonoro. Le note muoiono subito e una volta che ci si adatta, si ha come la sensazione di aggrapparsi alle scalette che portano alle parti alte, velacci, velaccini, le zone del gabbiere di parrocchetto, quegli scalini che scorrono poco, destinati a farci da scaletta di appoggio. Per salire il resto ce lo devi mettere tu: lo spirito, la vista, il respiro. Dunque ben venga il piano a cassa sorda sugli alti. è un veliero. Ha la forma arrotondata e maestosa di un transatlantico di legno. è nero, consumato, come le incrostazioni del Pequod, e ha la voce scura che serve per queste canzoni Melviniane. La bianchezza della balena, l’albatro, i fuochi fatui… Ci abbiamo costruito un piccolo teatro intorno, in una sagrestia di una cattedrale abbattuta, dove si celebrarono i fasti di una delle più ricche corti rinascimentali. rovine di bellezza a picco, a 80 metri sul mare. L’aristocrazia, il distacco dello spirito si ottiene con l’altezza, non con la recinzione. Isolarsi qui sopra ci mette in un altro paese, a tiro dei gabbiani. La sagrestia è stata guarnita di tende da cinema, di tessuti spessi e separé sonori, fatti di sacco di iuta. Il mare sotto, il suo basso continuo incessante, ci lambisce in questi giorni di inizio ottobre. Tira uno scirocco accanito e noi tutti siamo a tiro dell’inconveniente, dell’avaria e del vento in poppa, tutti attenti al particolare, per giungere all’aria più ampia. Concentrati sul suono

di un tasto, intenti a costruire canzoni al telaio, come un’imbarcazione a cui si dovranno inchiodare tavole, scalmi e vele. rolling the whale! è il nostro canto da ciurma. La balena rolla e rulla, tonda e oleosa, grassa e sontuosa! Va catturata con ingegno, cuore e strumenti. Molti degli strumenti di registrazione sono a valvole, ci impiegano ore a scaldarsi e lavorare bene, e così anche il piano e così anche noi. Ci vuole tempo per adattarsi, per accomodarsi al piano e altro tempo ci vorrà per varare le canzoni ma tutto il tempo che ci vuole lo prendiamo, senza stare fermi. Tanto ne metti, tanto ne trovi.è necessario cantare queste canzoni correndo dei rischi, non padroneggiandole bene, restituire il momento del rischio e della navigazione, non raccontare di un fatto avvenuto, ma raccontarlo in presa diretta, mentre si sta lottando per non annegare. Il momento della scelta, interpretare segnali, presagi e realtà. D’altro canto per attraversare il mare questo ci vuole: esperienza, istinto e un poco di spavalderia, se no te ne resti alla spiaggia.

Creta 2 novembre 2010 Poluglottos Per questi pezzi nati col sole, Tiresia, l’Aedo, Vinocolo, Giobbe, abbiamo ritrovato il sole. Dopo giorni di completa immersione sotto il cielo coperto e la pioggia del quartiere, oscurato come da un coperchio. Dopo le crisi epilettiche che hanno colto il suonatore di tin whistle, i cori marinareschi, i piedi battuti con catene ad accompagnare l’impiccagione di Billy Budd, dopo l’oscuramento dell’autunno, eccoci nel sole, dove Zeus abita in un quartiere di case abusive. Chiusi in una palazzina tra le altre in costruzione con il canto del gallo, i cani randagi e lo spruzzo d’acqua di un autolavaggio-officina. Eppure il sole scotta e riporta l’aria del ciclope e delle canzoni omeriche. Bisognerà cercare di confrontarsi a Zeus con dignità, anche senza sapersi spiegare.


Si dice che Psarantonis suoni in cerchio e senza cuffie accompagnato dalla sua famiglia. Si dice che sia difficile suonarci insieme perché ha un tempo suo e per questo solo i suoi figli lo possono accompagnare. Come un patriarca, come l’ubriacatura di Noè. Dicono anche che se partecipa a un matrimonio, può anche rovinarlo. Lui non fa musica da festa. Quando canta cessano i balli, occorre ascoltare. Intanto ci prepariamo qui, tra via Minotauro e via Dedalos. La lira cretese è uno strumento che si suona con le unghie e con un archetto di setole di criniera di cavallo teso lungo un ramo di legno addobbato da sonagli. Psarantonis è poluglottos: “tace in tutte le lingue”. forse non è lui il pastore, ma il capro maschio, e il sonaglio gli serve per essere trovato. Bisogna guardarsi negli occhi per suonare in cerchio, stare muti e intendersi con la musica. E alla fine, Zeus strizzò l’occhio e poi si abbandonò a un passo di danza. Una cosa da baccante, da Voskos. Aveva del resto quel modo di fare seguire il corpo al passo del piede, come portandolo avanti prima di tutto il resto, che gli dava sempre un passo come di danza. Psaro dissero, vuol dire grigio, ma non ha i capelli grigi, ce li ha biondo anticati, poi ci dissero che psaro significa pescatore, e che suo nonno si era guadagnato il soprannome di pescatore di turchi.. Psaro Antonis, alla fine si sollevò dalla lira, dopo averla suonata, ascoltata, e interrogata a lungo, e disse.. alles klar! Grazia. E siccome è poluglottos ringraziò e ci ingraziò con una sola parola.

The Sede, dicembre 2010 Adesso sì che viene il bello… è come avere attraversato le grandi insidie e vedere i profili delle coste conosciute con le stive piene di montagne!

Note di Produzione Il grande leviatano Essere precipitati nel ventre dell’oscurità, nell’umido tepore del grande, mostruoso Leviatano Capitale, dove non regna né virtù, né conoscenza e nemmeno senso del destino. Cori solenni danno a questa visione biblica ispirata al grande ammutinato Jonà un tono da inno puritano. Il cammino dell’oscurità, l’espiazione del peccato, dello spreco della vita, viene invocato per innalzarsi dalla tenebra alla luce. L’inno sfocia in un autentico canto di baleneria, “The whale fish song,” così che il coro, da solenne, si fa canto di lavoro per uomini tali “da cacciarci la balena…”. Uomini che preferiscono cacciare il Leviatano piuttosto che esserne ingoiati.

L’oceano oilalà (rollin’ the whale) Una giga da cantare, mentre anche le onde danzano a pecorelle. Un coro per farsi coraggio di fronte alla tempesta, di fronte al capriccio del fato, perché “succeda quel che succeda, ci resta sempre la consolazione che tutto andrà come è già stato scritto. Dunque, che ci importa del tuono? L’oceano farà quello che vuole. Noi vogliamo del rum, date un bicchiere di rum!” Il timbro da festa da ballo è fornito dai bretoni Tinuviel di Guillame Souweine, dalla ghironda di Caroline Tallone, e dal coro da ciurma capitanato da David Muldoon (il Tom Waits del Naviglio).

Pryntyl Musical fantasticante degli abissi, Ziegfeld follies da bordello anni ’30, anni in cui Céline ambienta questo soggetto per balletto o cartoni animati, intitolato “Scandalo negli abissi”. La protagonista è Pryntyl, una sirenetta che, una volta ottenute le gambe in cambio della coda, non esita ad usarle, sgambettando e cantando in sirenese. Lo swing è assicurato dal gusto “fiesta Snack” dei grandi veterani Antonio Marangolo (sassofoni e arrangiamento), Jimmy Villotti e Ares Tavolazzi, riuniti in questa sessione 20 anni dopo la registrazione di “All’1 e 35 circa”. Il coro flautato del corpo di ballo delle sirene è intonato dalle elegantissime Sorelle Marinetti. Vincenzo Vasi dà fondo a tutto il suo baule di suoni da animazione fantastica.

Polpo d’Amor Il polpo in cerca di compagna apparso nell’ultimo disco dei Calexico, che al movimento dei suoi tentacoli avevano dato la musica, stavolta si ripresenta immerso in un suono più liquido. Accompagnato, invece che da trombe mariachi, da sezioni di claroni e mellotron e da percussioni acquatiche, nascosto dietro gli spruzzi d’inchiostro emessi dal tremolo della chitarra di Jimmy Villotti, l’abbracciante divinatore è più vivo e più solo che mai.

Lord Jim La ballata al pianoforte avanza galleggiando sui Gamelan e le vele a ventaglio dell’oceano indiano, sospinta dai cori che, come in un western o in una tragedia, accompagnano l’eroe incontro al suo errore. Canzone sull’irrimediabilità dell’errore, sulla debolezza, sul carattere rivelato dal momento della scelta; sull’errare come conseguenza dell’errore. Qual è “l’uno di noi” da cui ci si separa e quale quello da cui si viene accolti? è “l’uno di noi” reso simile a Dio dall’aver mangiato dall’albero e per questo reietto in nome della conoscenza? Oppure “l’uno


di un noi”, conciliante e auto-assolutorio in nome del “così fanno tutti”? Quello che poi gira la testa davanti all’ingiustizia, al crimine, alla bassezza, perché a questo basta la propria, comune, debolezza? O quello che è disposto a sbagliare pur di portare la sua esperienza più avanti, un poco più oltre.

La bianchezza della balena Un incubo reso in musica dalla chitarra allucinata che avanza nella tenebra dei ghiacci antartici. Come nel viaggio di Gordon Pym, avanza e si spinge fino all’estremo terrificante candore del bianco, fino all’abisso di nulla che si apre davanti alla macchia lattea del cielo. L’aspetto ambiguo e sinistro del bianco ha il suono innocente delle voci bianche. La chitarra, scura, satura e scandagliante è quella di Asso Stefana. Gli accordi ribattuti si muovono in circolo, disegnati dall’insonnia del concertatore che ha collaborato alla stesura della musica, Stefano Nanni.

Billy Budd Un blues duro, una prison song da tamburo da sentenza e catene da esecuzione. La chitarra acida di Marc ribot, qui principe del Mali, e il contrabbasso di Greg Cohen, mobile come un rettile a evitare i colpi d’incudine del mastro d’ascia Zeno De rossi, accompagnano al pennone dell’impiccagione i terrori e i desideri dell’ultima, insonne notte di Billy Budd. Billy, il bel marinaio, il gabbiere di parrocchetto, colui che nella nave sta più in alto ed è il più vicino al cielo. Simbolo dell’innocenza che non è in grado di difendersi, esempio della fallibilità della giustizia. Volto immolato al timbro protocollare della maschera che sigilla l’ordine costituito nella sua espressione più irrimediabile: la pena di morte.

I fuochi fatui Il destino come la balena si riconosce dalla coda. Per quanto mandi sbuffi e segnali lo si conosce solo quando è passato. Cori solenni accompagnano la manifestazione del soprannaturale, l’annunciazione e il compimento del fato. Cosa ci spinge, come in un incantesimo, a obbedire, a soggiacere ad un destino che appare premeditato dalla nascita del tempo? Gli stati d’animo si alternano in azioni e riflessioni, come tempesta e bonaccia, fino allo scontro finale, l’urto con la mascella del mostro bianco. Il destino imperscrutabile che nel momento del suo compimento lascia dietro di sé soltanto l’indifferente silenzio del nulla che precede la nostra nascita. La voce recitante di Ismaele, “il solo che – come nel Libro di Giobbe – si è salvato per potercelo raccontare”, è del Principe de las Tinieblas Daniel Melingo.

Job Il lamento urlato contro il silenzio di Dio, contro la sofferenza senza causa e il trionfo senza merito. L’ammutinamento alla potenza senza giustizia che domina il nostro fato. Il Dio fuori misura dell’Antico Testamento, che deve nominare il Leviatano per mostrare la sua opera immensa, violenta e incomprensibile. La musica prende l’avvio come ballata salmodiante tra le pietre della terra di Uz e cresce nell’allucinazione elettrica e devastante, incalzando domande cui non verrà data risposta. resterà la consolazione della polvere e della cenere. L’ebreo errante Marc ribot sostiene l’urlo di Giobbe, accompagnato dalla tribù nomade degli Xilouris. Il testo è tratto dalla traduzione di Guido Ceronetti.

La lancia del Pelide Un madrigale sulla ferita che l’amore infligge, quella che solo l’amato che l’ha inflitta può curare. La lancia affilata è la lira cretese di Psarantonis che riproduce il lamento della ferita. Il balsamo della guarigione è nella viola d’amore, nella carezza piena di partecipata tensione degli archi in quartetto di Edoardo de Angelis.

Goliath La carcassa imbalsamata e ambulante della balena Goliath, portata in mostra come un freak show. Il suono della gigantesca, smisurata “Maquina Mecanica” brevettata dai barcellonesi della frança Xica, “Cabosanroque”, accompagna, assieme all’organo di barberia, l’esposizione del mostro innocente cavalcato e condotto dal cavaliere nano dell’apocalisse. Il loro arrivo libera dal tabù del non uccidere e dalla legge. Libera la violenza, l’anarchico disordine che prelude al silenzio della dittatura. La verità finale fatta di ossa: il Nulla, la Nada.

Vinocolo L’ubriacatura del ciclope messa a fuoco attraverso la lente avvicinante del vino. Il vino ematoso, il vino di Màrone stuporoso, che domina e travolge cannibali e selvaggi, i barbari. Una canzone sull’avvicinamento al diverso, che ha il suono della grotta del ciclope. Il ciclope che “non somigliaa uomini che mangiano pane, ma a picco selvoso che se ne sta in disparte dagli altri”. Gli echi e i suoni dei versi gutturali accompagnano l’incontro col “Nessuno da niente”, il piccolo uomo tessitore d’inganni che vince e abbatte la maestosa, fragile, mostruosa innocenza della natura primigenia. Chitarre elettriche da “peplum movie” di Asso Stefana, ance e flauti da baccanale di Mario Arcari, voce recitante in greco antico e respiro ritmico di Psarantonis.


Le pleiadi L’armonia delle sfere studiate da Keplero. I movimenti celesti riprodotti dagli strumenti (arpa, archi, onde) accompagnano come costellazioni la navigazione del pianoforte a vela, dal castello di pietra nel mare omerico fino alla parte di sotto del cielo, dove domina la croce del sud. Un brano plasticamente sospeso che ruota intorno a una tonalità fissa per esprimere gli inganni e i simulacri generati dall’attesa. La distanza siderale che la vita pone tra i destini degli amanti.

Aedo registrato a Creta, seduti in cerchio come in un “klephtikos”,con l’ensemble famigliare di Psarantonis, l’ultimo della stirpe degli aedi, lo Zeus con la lira. Una ballata che viene dall’antichità, che attinge al tempo mitico in cui non esiste divenire. L’aedo non canta la sua storia, ma una storia che riguarda tutti. Il tempo della memoria custodito dalle Muse cui solo l’aedo cieco al mondo può accedere “come se avesse visto, come ci fosse stato”. “Soffri e impara e imparalo a cantare” è il compito prefissato per tramandare le sventure che danno gloria al canto.

La madonna delle conchiglie Al tempo in cui gli Dei abitavano tra gli uomini, ogni naufrago, ogni straniero, doveva essere ben accolto perché in lui avrebbe potuto celarsi un Dio. Tanto più una statua di legno restituita dal mare, con la pelle dipinta di un altro colore. Allora come oggi è più facile essere accolti come Dio che come uomo. A un Dio si ha sempre qualcosa da chiedere, e non ha bisogno di permesso di soggiorno o passaporto. Ispirata alla santa restituta venerata in Ischia, e alle tante madonne protettrici di naviganti, questa marcia da carillon di automi è accompagnata da un ensemble di grandi conchiglie suonate dallo specialista Mauro Ottolini, dal clavicembalo barocco e da un corpo bandistico ondeggiante da processione su barche.

Calipso Gli incantesimi di “colei che nasconde”, il tentennamento in bilico tra lo sparire e il restare, il languore, la clandestinità, l’indugio, sono i temi di questo calipso in setticlavio, i cui continui cambi di tonalità seguono la mutevolezza d’animo dell’uomo che di giorno piange su uno scoglio e la notte gode dell’indugio e della festa dei sensi. L’incantamento lussureggiante dell’isola dove non cambia mai stagione, la sua vegetazione frondosa da isola dei morti è data dalle percussioni di Mauro refosco. Il coro delle ancelle è delle Donne sarde di

Actores Alidos. La ripetizione circolare e reiterata della musica allude alla tentazione dell’immortalità. Quell’immortalità che si acquista dalle coppe d’ambrosia, che forse è soltanto “dimenticarsi degli uomini e che gli uomini dimentichino me…”

Dimmi Tiresia Una ballata ancestrale per scavare una fossa nella terra, versarci del sangue, fare apparire i morti e interrogarli, al suono delle stampelle ritmiche della marimba e delle ossa. La lira di Psarantonis evoca l’apparizione del grande indovino a cui viene da chiedere se è meglio sapere o non sapere, se la nostra donna ci è fedele, se è bene partire o tornare. L’indovino paga il prezzo del suo conoscere con la solitudine. “La conoscenza è distanza che separa, quello che io ora so , quello che tu non sai, questo non si potrà colmare mai.” Il suono dei plettri, il vibrare severo dei lauti e della chitarra accompagna questo viaggio rivelatore. Il vaticinio finale sillaba un destino che termina con un’impresa incomprensibile e dà informazioni che aiutano soltanto a riconoscere l’enigma.

Nostos Cori gotici alti come onde d’oceano accompagnano la citazione dell’Ulisse infernale per fare risuonare ancora il suo ammonimento sferzante: “fatti non foste a viver come bruti”. Esortazione solenne per vincere il ritorno, per lasciarsi alle spalle i recinti del conosciuto, per affrontare il folle volo di ogni nostra nuova vita.

Le sirene A volte appare la cosa intravista, la perla, che colma la distanza infinita e appena visibile all’occhio. Come il visibile arcobaleno, la cui pentola d’oro non è ancora stata trovata. Questa distanza ce la fanno sentire le sirene, voci che amano cantare nelle notti insonni, nelle notti di birra in cui non arriva più l’alba, in cui i volti amati si ripresentano all’appello. La loro seduzione sta nel metterci davanti tutto il mistero della nostra vita, come è stata, come avrebbe dovuto essere. Quella vita che ci tolgono mentre ce la stanno cantando. Nella poesia è la conoscenza è la sua verità finale è fatta di ossa. Le sirene hanno la voce delle onde Martinot suonate dall’ondiste Nadia rastimandresy, della commovente viola “Maggini” di Danilo rossi e del canto soffiato sul limite del niente, del grande sogno della vita che l’ha contenuto.



ETCETErA 2011

( THEVIAGGIO BELLY Of THE WHALE ) AL CENTrO DELLA BALENA Testimonianza visiva in nove parentesi di Jacopo Leone

( ((( ))) ) frammenti originali del montaggio audio curati da SE SuonoEtcetera

EXTrA Estratti del concerto del 31/7/2011 a roma Auditorium Parco della Musica featuring Psarantonis, Sorelle Marinetti, Coro degi Apocrifi

BONUS TrACKS U cant du navgant (Enzo Del re) ProprietĂ Autore Vinicio Capossela, chitarra e voce

When the ship comes in (Bob Dylan) Ed.mus.Sony/ATV Testo tradotto e adattato da Vinicio Capossela Vinicio Capossela, piano e voce Alessandro Stefana, chitarra



fine


CD

DVD

VINICIO CAPOSSELA MArINAI, PrOfETI e BALENE

THEVIAGGIO BELLY Of THE WHALE AL CENTrO DELLA BALENA

Disco 1 1. Il Grande Leviatano 2. L’Oceano Oilalà 3. Pryntyl 4. Polpo d’Amor 5. Lord Jim 6. La Bianchezza della Balena 7. Billy Budd 8. I fuochi fatui 9. Job 10. La Lancia del Pelide

“Un documentario muto sui preparativi di un’impresa sognata dal destino.. una balena di compagnia!”

Disco 2 1. Goliath 2. Vinocolo 3. Le Pleiadi 4. Aedo 5. La Madonna delle Conchiglie 6. Calipso 7. Dimmi Tiresia 8. Nostos 9. Le Sirene

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))) )

EXTrA Estratti del concerto del 31/7/2011 a roma Auditorium Parco della Musica featuring Psarantonis, Sorelle Marinetti, Coro degi Apocrifi

BONUS TrACKS U cant du navgant When the ship comes in All’interno del libretto: Testi, Diario di bordo e Note di Produzione

formato immagine: PAL 16:9 widescreen Durata: 90 min. circa DVD5 All region - Stereo PCM

& 2011 La Cupa Srl distributed by Warner Music Italia Srl a Warner Music Group Company. Unauthorized copying, hiring, lending, public performance and broadcasting of this recording prohibited. Vietato il noleggio. Manufactured in the E.U. 5052498991228 www.warnermusic.it


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