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Questo libro è rilasciato con la licenza Creative Commons: "Attribuzione − Non commerciale − Non opere derivate, 3.0" consultabile in rete sul sito www.creativecommons.org. Tu sei libero di condividere e riprodurre questo libro, a condizione di citarne sempre la paternità, e non a scopi commerciali. Per trarne opere derivate, l’editore rimane a disposizione. Collana BookBlock Collana diretta da: Rachele Cinerari Cover design e illustrazione di copertina: Gabriele Ubrick Munafò Impaginazione: Sonny Partipilo Redazione: Anna Matilde Sali, Sonny Partipilo, Martina Campanini, Francesca Ruggiero © Copyright 2022, Eris (Ass. cult. Eris) © Benedetta Lo Zito Eris (Ass. cult. Eris) Piazza Crispi 60, 10155 Torino info@erisedizioni.org www.erisedizioni.org Prima edizione Aprile 2022 ISBN 9791280495112 Stampato presso Geca Industrie Grafiche Via Monferrato 54, S. Giuliano Milanese (MI)


Allɜ compagnɜ che mi hanno cambiato la vita. A mia madre, a Ola, a Valentina, allɜ miɜ amicɜ, alle donne della mia vita, anche a quelle che non sono fuori dalle dinamiche patriarcali narrate in questo libro. Sono sempre con voi. Alla comunità lgbtqia+, che è casa nonostante tutto. A Stefania N’Kombo José Teresa per la consulenza circa le tematiche sul razzismo. Ai miei stupratori, che la vita possa regalarvi il rimorso che meritate. Allɜ alleatɜ. A mio padre, che ha avuto il coraggio di diventare un uomo migliore. Allɜ miɜ sorellɜ sparsɜ per il mondo.

Intro Parlare di violenza sessuale è molto complesso, emotivamente sfiancante e spesso può essere percepito come inutilmente faticoso, soprattutto quando a fare tutto il lavoro restano soltanto l* survivor (persone sopravvissute a uno stupro) e le organizzazioni che si occupano di combattere in prima linea il fenomeno. Viviamo in una società (soprattutto quella italiana) incredibilmente sessuofobica e, benché lo stupro sia causato esclusivamente da dinamiche di potere e dominio, viene comunque associato inevitabilmente alla sua parte fisica e sessuale, e l’accento viene posto sulla vittima e sulla ricerca ossessiva della sua colpevolezza. Raramente ci si concentra sulla colpa dell’abuser (la persona che stupra), che pare innocente fino a prova contraria, anche quando risulta evidente che non è così, 5


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che ci sia una condanna o meno. Neghiamo perfino che la cultura dello stupro esista, quell’insieme di comportamenti, pensieri e norme socialmente accettate che contribuiscono a plasmare una società in cui le violenze sessuali accadono e sono tollerate. Le donne si rifiutano di credere di vivere in pericolo costante e gli uomini non vogliono sentirsi responsabili per questo. Creiamo giustificazioni su giustificazioni nei confronti degli stupratori e non facciamo assolutamente nulla per combattere una piaga così diffusa (in Italia, secondo gli ultimi dati Istat, una donna su tre ha subìto almeno un abuso sessuale nell’arco della sua vita). Cerchiamo di far contare davvero, nell’affrontare il fenomeno, quel 2-10% di false accuse di stupro globali che, oltre a essere una percentuale irrisoria, sono anche prese in considerazione a partire soltanto dai casi con denuncia ufficiale, ovvero quasi ovunque minori al 15% delle violenze sessuali totali. Speriamo in silenzio che le survivor siano davvero solo delle bugiarde in preda a un’isteria collettiva, incolpiamo le vittime, tentiamo di sfiancare attivist* e organizzazioni che raccontano l’emergenza, lanciamo allarmi contro un ipotetico e mai provato odio nei confronti del genere maschile tutto, inventandoci una sorta di sessismo al contrario che non esiste a livello storico o sociologico, ma 6


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che serve perfettamente il fine della deresponsabilizzazione dell’uomo bianco cisgenere (che si riconosce nel genere assegnato alla nascita). Perché se le femministe stanno solo “esagerando”, io, maschio etero cis, non devo chiedermi cosa faccio davvero per eliminare il sessismo nella società. Stiamo andando oltre, non si può più dire nulla, dico questo mentre giro la foto presa da Instagram di una tipa in mutande sul gruppo del calcetto, che poi in fondo la colpa è sua che l’ha messa lì. Che è ’sta storia che siamo privilegiati? Anche io posso essere rapinato per strada, è la stessa cosa, e poi io non stupro mica. Fingere che la violenza sessuale sia un concetto lontano da noi, che riguardi solo e soltanto una devianza di uomini malati, che sia perpetrata esclusivamente dai mostri nei vicoli bui e solo sulle donne che “se la vanno a cercare”, non ci metterà al sicuro e non cambierà le cose. Soprattutto, è questa negazione stessa a essere parte del problema. Il 70% delle violenze sessuali avviene per mano di persone che conosciamo e di cui ci fidiamo. Lo stupratore è molto più probabilmente il ragazzo che stavamo frequentando, che nemmeno si è reso conto di aver violato il nostro consenso, piuttosto che il criminale seriale appostato in un parcheggio buio. E se non parliamo di come educare tutti i generi, fin dalla più tenera età, a fare sesso 7


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in modo corretto, a non diffondere materiale digitale privato e ad approcciarsi alle persone soltanto tramite il rispetto della volontà dell’altr*, a ben poco servirà inasprire le pene (anche perché in fondo si tratta di giustizialismo fine a sé stesso). Sì, anche gli uomini possono essere stuprati e spesso faticano a trovare aiuto per la scarsità di risorse dei cav (centri antiviolenza), già provati dall’enorme emergenza che è la violenza di origine misogina, e per la mascolinità tossica con cui vengono cresciuti, che impone agli individui di sesso maschile di essere forti, e/o perennemente consenzienti al sesso, ma soprattutto di non ammettere mai di stare male emotivamente, rendendoli carnefici e vittime allo stesso tempo. E ancora, cosa accade se quella vittima si identifica in un genere diverso da quello che le è stato assegnato alla nascita? Ci sono adeguate risorse per la violenza sessuale all’interno della comunità lgbtqia+? Come supportiamo un* sex worker che è stat* stuprat*? Analizziamo davvero, come società, le cause intersezionali che creano correlazioni tra razializzazione delle persone razzializzate, povertà, marginalizzazione e stupro? Una delle poche risposte certe che mi sono piombate addosso in questi anni di ricerca e consapevolezza come attivista e come survivor è che 8


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senza il femminismo, la liberazione dal ruolo di genere che la società mi aveva fatto indossare con la forza, l’aver dichiarato pubblicamente di essere una sopravvissuta, il coming out come persona queer, la rivendicazione del mio desiderio, del mio corpo e della mia sessualità, e gli spazi che mi sono ripresa, un morso dopo l’altro, non sarei quella che sono ora. Non possiamo pensare di combattere la violenza di genere senza scardinare i binari e i modelli eterocispatriarcali in cui la società ingabbia sia gli uomini che le donne. Senza non esiste libertà vera, non si cambiano le cose con il carcere e basta, non se non si riesce a partire dall’educazione, dalla prevenzione e dalla lotta costante per il raggiungimento della libertà sessuale, soprattutto femminile. Vorrei dire che ne sono completamente uscita, ma mentirei. La guarigione da un passato di abusi sessuali è un viaggio, una danza che fai insieme ai demoni che ti porti dentro. A volte guidano loro, ma sempre più spesso ti accorgi che il ritmo inizi a darlo tu. Non dimentichi, non perdoni, ma impari di nuovo a respirare. Impari a vivere ancora secondo le tue regole. La cultura dello stupro è un sistema educativo e istituzionale che non fa abbastanza per prevenire le situazioni in cui le violenze sessuali avvengono, proliferano e vengono tollerate. È la percezione che abbiamo delle vittime e della loro 9


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verità, della parità non solo a parole, degli stereotipi di genere che soffocano e uccidono. L’indagine Istat del 2019, intitolata Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale, ha evidenziato che 1 persona su 4 (23,9%) ritiene che un modo di vestire provocante possa causare una violenza sessuale; quasi il 40% delle persone intervistate pensa che, se una donna lo vuole davvero, può sottrarsi a un rapporto non consensuale, e il 15% crede che se una donna subisce uno stupro in stato di alterata percezione della realtà sia anche responsabilità sua. Se continuiamo, come collettività, a pensare che la violenza sessuale riguardi soltanto un certo tipo di donna, o che una vittima dovrebbe comportarsi esclusivamente in un modo che ci appare consono per essere creduta (vedi le dichiarazioni di Grillo sui famosi otto giorni trascorsi tra il possibile stupro commesso dal figlio e i suoi amici e la denuncia della survivor) allora stiamo contribuendo a narrazioni stereotipate che non aiutano nessun*. Non siamo davvero mai al sicuro se non impariamo a capire da dove può venire l’abuso sessuale, da quali situazioni aspettarcelo, ma anche e soprattutto a realizzare che certi contorni non sono netti come siamo stat* abituat* a pensare. Prendiamo come esempio anni di televisione che ha raccontato e racconta ancora di “pazzi” ap10


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postati nella notte, sconosciuti, botte, lividi, urla e basta. Di donne che accusano per vendetta gli uomini di averle stuprate, o di bambine diventate sante per rifiutare la violenza (che contribuiscono alla narrazione del “se davvero vuoi puoi evitarlo”). Di vittime che si comportano esclusivamente da “survivor perfette”, che portano quei segni inconfondibili addosso, sia fisici che psicologici, senza macchie sui vestiti inamidati delle loro vite immacolate. Affidandoci solo a queste narrazioni lasciamo fuori una pluralità di altre esperienze che invece dobbiamo imparare ad ascoltare per creare una società in cui tutt* siano finalmente liber* e al sicuro. Esistono tanti falsi miti sullo stupro, questo libro l’ho scritto per cercare di scardinarne un po’. E se pensi che non ti interessa perché “non stupri e non stuprerai mai nessuno”, sappi che potresti aver passato il limite tantissime volte senza accorgertene. E soprattutto, se hai giudicato, esattamente come ho fatto io in passato, un’altra donna per le sue scelte sessuali, se tu, uomo cis, ogni volta che sei in uno spogliatoio parli delle donne come pezzi di carne sacrificabili, convinto che, se non siamo quelle “brave”, “dignitose” e “sposabili”, in fondo in fondo ce lo meritiamo; se mi chiami per strada come fossi un cane per rivendicare il tuo potere su di me, o pensi che i tuoi istinti siano diversi dai miei e credi che in qualche modo il ses11


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so femminile abbia il dovere di soddisfarli, anche tu sei parte del problema. Lo siamo tutt*. Lo sono, ancora di più, le istituzioni che nascondono la testa sotto la sabbia e non agiscono attivamente affinché le cose cambino per davvero, che tagliano fondi ai centri antiviolenza, si oppongono a una decente educazione sessuale e affettiva nelle scuole, si rifiutano anche solo di credere al fatto che viviamo in una società ancora fortemente patriarcale, che crea il terreno fertile affinché gli stupri possano avvenire. Lo sono i titoli di giornale pro-abuser, colpevolizzanti la vittima, lo è la pornografia del dolore nei media. Lo è chi rinnega le nostre battaglie come categorie marginalizzate, parlando al posto nostro, decidendo arbitrariamente la legittimità delle nostre richieste, chi pretende di sapere per noi di quanti diritti dobbiamo accontentarci. Abbiamo il dovere di chiederci in che modo cambiare, come collettività, il destino segnato in partenza di milioni di persone nel mondo. Per fermare l’emergenza della violenza sessuale e di genere una volta per tutte, perché gli stupri non riguardano soltanto le vittime: gli stupri distruggono le famiglie, gli stupri disgregano le comunità. Soprattutto se avvengono in età molto giovane (e sono parte di quelle che si definiscono ace, adverse childhood experiences) sono causa di abbandono scolastico, crimina12


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lità, dipendenze e ulteriore violenza perpetrata all’interno della società. Se a stuprare sono gli uomini, le donne hanno diritto a non essere limitate negli spostamenti, o in qualsiasi altro aspetto della propria esistenza, a smettere di vivere con la paura di doversi guardare continuamente le spalle, a non mandare più la posizione a un’amica se escono con un ragazzo, a non passare la serata in un locale con la mano sul bicchiere per la paura di essere drogate e poi violentate. Non possiamo più attraversare tutta la nostra vita proteggendoci, né vogliamo la protezione degli uomini. Pretendiamo solo di poter esistere, libere. Come qualsiasi altro essere umano. Di poter fare il possibile ogni giorno affinché le cose cambino e le ragazze di domani calpestino strade finalmente sicure. E vogliamo che lo facciano nella più totale autodeterminazione. Questo testo è solo un tentativo, ma, se ognun* di noi crea qualcosa, nel suo piccolo o grande che sia, insieme saremo lo tsunami che travolgerà e distruggerà i loro grattacieli del potere bianco, ricco e machista e cambierà davvero le cose una volta per tutte. Grazie per essere qui con me, ora. E per lottare al mio, al nostro fianco. Bi.

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Nota: In questo libro viene utilizzato spesso il femminile plurale, uno dei motivi è legato al fatto che la maggior parte dei dati sulle violenze sessuali in Italia riguarda persone socializzate come donne. Ritengo importante inoltre parlare dal mio punto di vista, interrogandomi sul mio posizionamento e privilegio, per non occupare spazi e narrazioni legittimamente altrui. Utilizzerò sia asterischi che schwa (ə singolare, ɜ plurale) per rappresentare anche le persone non binarie nel discorso, nel rispetto per l’autodeterminazione di ognun*.

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