Avevamo ragione noi (nuova edizione) | Domenico Mungo

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~atropo · narrativa~ 27




Questo libro è rilasciato con la licenza Creative Commons: “Attribuzione − Non commerciale − Non opere derivate, 3.0” consultabile in rete sul sito www.creativecommons.org Tu sei libero di condividere e riprodurre questo libro, a condizione di citarne sempre la paternità, e non a scopi commerciali. Per trarne opere derivate, l’editore rimane a disposizione.

Collana Atropo Collana diretta da: Anna Matilde Sali, Francesca Bianchi Grafica: Gabriele Munafò, Sonny Partipilo, Adam Tempesta Redazione: Anna Matilde Sali, Valentina Presti Danisi Illustrazioni di: Paolo Castaldi © Copyright 2016, Eris (Ass. cult. Eris) © Copyright 2016, Domenico Mungo Eris (Ass. cult. Eris) piazza Crispi 60, 10155 Torino info@erisedizioni.org www.erisedizioni.org Prima edizione Giugno 2016 Seconda edizione Luglio 2021 ISBN: 9791280495075


Prefazione alla nuova edizione

A esattamente vent’anni dai fatti di Genova, Domenico Mungo decide insieme a Eris di rieditare il suo romanzo Avevamo ragione noi, Storie di ragazzi a Genova 2001. Un romanzo dalla potenza di mille soli che non può essere semplicemente letto; va ascoltato, sentito e interiorizzato. Non è in silenzio che leggiamo questo libro, ma ci ritroviamo catapultati in un insieme di emozioni e da sottofondo c’è sempre una canzone. Questa opera mi ha molto sorpresa perché inizialmente non riuscivo bene a collocarla in un genere specifico. Non l’ho mai preso come un semplice romanzo, ma l’ho visto come la sintesi perfetta capace di spaziare dalla narrativa, alla poesia, al teatro, all’arte di strada. La prima volta che mi sono ritrovata a leggerlo ho avuto come la sensazione di star assistendo a una performance; fidatevi, è davvero strano che un romanzo, che non è un’opera teatrale, faccia questo effetto che definirei quasi destabilizzante. Questa è la prova tangibile del fatto che possiede un’energia incredibile.

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Ho avuto il primo contatto con Domenico quando nel 2017 il collettivo autonomo di Urbino, Omnia Sunt Communia, decide di invitarlo per il Festival Resistenze Anomale, il festival che ogni anno, fino all’edizione del 2017, è stato organizzato per celebrare la liberazione dal nazifascismo. Per varie cause purtroppo il nostro percorso come collettivo è cessato al termine di quell’anno accademico e ognuno di noi ha conservato e tramandato un pezzo di quella esperienza nella propria città o comunque altrove, dove la vita ha deciso di portarci. Avevamo già organizzato parecchie presentazioni di libri, ma ben presto ci siamo resi conto che questo non si poteva semplicemente “presentare”. A Domenico serviva un palco e noi gliel’abbiamo dato e se avessimo potuto gli avremmo consegnato il Colosseo. Non poteva andare meglio di così. Un migliaio di persone, tutti appiccicati, tutti in silenzio, alcuni a piangere, compresa la sottoscritta. È stata un’esperienza al limite tra la rabbia, lo sconcerto, lo schifo, la tristezza, la voglia di cambiare tutto il sistema, tutto questo male, tutto quest’odio, tutto questo egoismo insito nella nostra società. È stato qualcosa che ha risvegliato la coscienza anche di chi, di Genova, non sapeva nulla. Ed è sempre stato questo l’obiettivo del libro. L’obiettivo di Domenico. Trasmettere brutalmente quello che è

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stato davvero uno degli episodi più bui della nostra storia nazionale, tanto che Amnesty International lo ha definito «una violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia recente.» A luglio del 2001 io avevo appena compiuto sei anni e a Genova non c’ero, non avrei mai potuto fisicamente, ma ricordo che feci moltissime domande ai miei genitori perché volevo capire la motivazione di tutta quella violenza. Volevo capire il perché dell’esistenza del “male nel mondo” con tutta l’innocenza che una bambina di sei anni può avere. E adesso parlo soprattutto alla mia generazione, come vorrebbe Haidi, la madre di Carlo. Anche se non c’eravamo è fondamentale ricordare. Il ricordo di un tempo che non ci apparteneva ma che ha creato il mondo che adesso, in questo momento, in questo hic et nunc, ci appartiene. Genova ha creato un orribile precedente che troppo a lungo ci ha fatto credere che nulla più fosse recuperabile; questo era il Loro volere, ma al loro gioco non ci stiamo. Con la consapevolezza dell’oggi, dopo aver somatizzato quest’esperienza che ancora rimane indigesta, a testa alta, continuiamo a credere e a lottare per quello in cui crediamo. Nulla resterà impunito, pagherete caro, e pagherete tutto.

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Verrà un giorno, più puro degli altri. Scoppierà la pace sulla terra, come un sole di cristallo. Un fulgore nuovo avvolgerà le cose e gli uomini canteranno nelle strade liberi ormai… Il frumento crescerà sui resti delle armi distrutte e nessuno verserà più il sangue del fratello. Il mondo sarà allora delle fonti e delle spine che imporranno il loro impero di abbondanza e di freschezza. Senza frontiere. Marina De Simone attivista e militante

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Genova (2001) per me…

… È stato uno dei momenti più significativi e intensi della mia esistenza. Avevo 25 anni e dopo una lunga parentesi nichilista e costruttivamente autodistruttiva, era nata in me una nuova energia politica. Sentivo la necessità di buttarmi nella società per capirla maggiormente e per provare a cambiarla. Dopo il Punk e la Tekno, iniziai a frequentare prima un collettivo universitario e dopo il tpo (centro sociale bolognese), e questo fece scattare in me l’esigenza di attivarmi socialmente attraverso la mia passione: il video. Il contesto politico mondiale fu determinante: la crociata ottusa del neoliberismo, le multinazionali e i loro soprusi in nome del profitto, disegnavano una fine millennio non incoraggiante. Come critica a tutto ciò nacque quello che venne definito “il movimento no global”. Un movimento eterogeneo e variegato che cresceva ogni giorno di più. È strano pensare a quanto fossero lungimiranti le critiche che il movimento portava, soprattutto in

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materia economica, allora venivano derise ed etichettate come utopistiche o estremiste. Anche io all’epoca mi appassionai alle istanze di quel movimento e, passando per le chiacchierate con Alberto Grifi, l’entusiasmo per le nuove possibilità che la diffusione di internet offriva, approdai al progetto Indymedia. È con una fortissima voglia di essere testimone del mio tempo che andai a Genova, certo del fatto che ognuno doveva e poteva cambiare le cose partendo dalle proprie passioni. Evidentemente quella massa di persone che dicevano no!, fece paura a molti e qualcuno decise che a Genova si doveva dare un segnale forte. È stato un massacro, scioccante, che mi rimarrà dentro per sempre. Era oltre dieci anni fa e portavo con me la forza giovane di chi vuole cambiare le cose, tanta ingenuità e incoscienza. Quando ripenso a quei giorni di luglio mi sento quasi un miracolato. Sono passato indenne attraverso terribili avvenimenti, molto spesso sfiorandoli inconsapevolmente. Io, con una Sony Video8, mi trovavo davanti al carcere di Marassi quando il Blocco Nero tentò di assaltarlo, una situazione potenzialmente pericolosissima qualora la polizia avesse deciso di difendere il carcere (cosa che non accadde). Precedentemente sempre il Blocco Nero aveva tentato di assaltare un commissariato di Polizia e

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vidi un poliziotto all’ultimo piano dell’edificio puntarci la pistola addosso, non sparò. Dopo la carica di piazza Manin finii nella zona dove venne bruciata la camionetta dei carabinieri e decisi di tornare alla sede del Genoa Social Forum, non sapendo che a pochi metri da me veniva ucciso Carlo. Il giorno dopo, sabato, sul lungomare le violentissime cariche della polizia stavano spezzando il gigantesco corteo in due, io mi trovavo nella parte che poi sarebbe rimasta sul lungomare. Dopo essere finito in una nuvola di quei lacrimogeni fuorilegge sparati a grappolo, provai a farmi largo per scappare ma non vedevo niente, e la calca mi fece rimanere praticamente fermo. Qualche minuto dopo riuscii ad aprire gli occhi e vidi il fronte della polizia, tra la nebbia, avanzare a pochi metri da me. A quel punto avevo due scelte: o arretrare, oppure infilami in un cespuglio che dava sulla spiaggia. Sembrava un ottimo nascondiglio… Tentennai per un attimo e poi decisi di arretrare. Qualcun altro pensò di nascondersi in quel cespuglio, fu massacrato di manganellate… Quando, i giorni dopo, vidi quello che la polizia era riuscita a combinare su quel lungomare, mi si gelò il sangue. E ancora, dopo questa carica decisi di tornare alla sede del Genoa Social Forum che si trovava di fronte alla famigerata scuola Diaz. Dopo aver fatto

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due chiacchiere con alcuni amici, mi addormentai sul marciapiede della via tra le due scuole, stordito dai lacrimogeni. Nel cortile della Diaz c’era una cassa con la musica e vedevo gente con i sacchi a pelo entrare… Per un attimo mi sfiorò l’idea di andare a prendere il mio sacco e sistemarmi in quel posto che appariva molto accogliente. Poco dopo, vedendo andare via altri amici mi unii a loro per andare verso Brignole a prendere il treno: in viaggio ci arrivò la notizia del massacro che stava avvenendo alla Diaz. È sconcertante pensare come una decisione o un cambio di programma fortuito possano incidere sulla tua vita. Molti, moltissimi, non sono stati fortunati come me e voglio raccontare una delle loro storie. Genova 2001 per me rappresenta la disillusione, la fine della “giovinezza”, il mondo che ti dice: svegliati! Smetti di sognare! E lo fa con uno schiaffone fortissimo… Oggi a distanza di dieci anni voglio raccontare l’esperienza di chi è tornato da Genova con delle ferite ancora non rimarginate, per capire un po’ di più, per metabolizzare e per ricominciare a sognare. Danilo Monte ottobre 2011

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Ottopunti è un documentario su Timothy Ormezzano, una delle tante vittime del G8 di Genova 2001. Timothy, insieme al regista Danilo Monte, undici anni dopo il G8 torna a Genova per raccontare la sua vicenda. È la storia di un ragazzo che vuole cambiare il mondo e per questo viene massacrato di botte. Ma è anche la storia del rapporto con un padre che attraverso un trauma scopre un figlio che forse ancora non conosceva. Entrambi incontrano i genitori di Carlo Giuliani, il giovane ragazzo ucciso a Genova durante la manifestazione, e capiscono l’importanza del “fare memoria”.

Danilo Monte è nato a Casoria, Napoli, e vive a Torino. Lavora come regista nella società di produzione Video Tank di ctzzo audiovisivo per interpretare la realtà e tessere relazioni. È regista, direttore della fotografia e montatore e ha realizzato numerosi film.

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Luoghi di oggi, suoni di ieri, parole per domani Pensieri e parole di Timothy e Giampaolo Ormezzano, Danilo Monte, Haidi e Giuliano Giuliani genitori di Carlo

Danilo: «... Ricordo una frase di Terzani a proposito dei suoi viaggi nei luoghi più caldi dell’Asia... Diceva che quando andava in questi posti sentiva la “storia”, anche noi siamo andati a Genova per fare la “storia”, c’era un’energia che avvolgeva tutti e tutti pensavano che attraverso la critica si potessero cambiare le cose...» Timothy: «Mi sembrano un po’ cristallizzati quegli eventi... Però c’è appunto sempre quest’aria pesante, sembra questa difficoltà a respirare e a sorridere in questa città per me... E non me la toglierò mai...» Giampaolo Ormezzano (padre di Timothy): «... Dopo di quello noi ci siamo, se è possibile, legati ancora di più... Direi che ci vogliamo più bene dopo il G8... Se tecnicamente è possibile incrementare questo bene...»

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Giuliano Giuliani (padre di Carlo): «... “Memoria” è non rinunciare a riconoscere i granelli, è raccoglierli uno a uno per ricomporli in un puzzle, “memoria” è non rassegnarsi al presente, è ricominciare a pensare globale e agire locale, è raccontare le moltitudini con le voci dei singoli, “memoria” è nominare la morte in tutta la sua enormità e dare spazio al lutto individuale, incancellabile e nudo...» Haidi Giuliani (madre di Carlo): «L’energia di cambiamento la dovete trovare dentro di voi e in quelli che vengono dopo... Spesso incontriamo ragazzi e ragazze che nel 2001 non avevano ancora 10 anni… È a loro che dobbiamo parlare!»

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A mio Padre a mia Madre a Eva a Carlo e a tutti i ragazzi di strada.

Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili. Vita di Galileo, Bertolt Brecht



Genova sembra non finire mai. Ma è un’illusione. Genova, come ben sanno i viaggiatori di Baudelaire, che viaggiano per il viaggio e non per la meta, ha un inizio e una fine. Indeterminate, confuse, incastonate l’una nell’altra dopo aver disciolto il cielo e la roccia dentro il mare. All’improvviso. Dal nulla. Nel nulla. Come il nulla da cui arrivano le storie che ho sentito e che ho visto. Che ho vissuto. Sì, lo confesso. Che ho vissuto. E che vi racconto. Storie che tracciano un confine netto. Fra la verità e l’oblio. Fra la giustizia e il resto. Fra la vergogna. E la vergogna. Indignerò qualcuno, e molti farò ritornare all’incubo. Io stesso l’ho fatto. Riemergendo da me stesso con un respiro profondo per non morire d’embolia. Sono storie vere, semplici. Storie di lacrime, sangue, cicatrici, limoni, obitori e macellerie.

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