Oxygen n. 19 - Governance, futuro plurale

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«Che dio ci protegga! Non sto né con il regime né con l’opposizione. Bashar ci bombarda e quelli dell’esercito libero ci derubano. Aleppo era un gioiello. Oggi non ci sono elettricità, gas, acqua, telefono. Niente. Io ho cinque figli, mio marito è morto sotto una bomba e devo venire a elemosinare il pane. Come siamo arrivati a questo punto? Chi ha seminato nei cuori dei nostri ragazzi tutto quest’odio? Anche i soldati del regime sono i nostri figli. Chi ci guadagna da tutto questo sangue?». Le donne intorno ad Amal approvano. Saranno duecento. Molte hanno in braccio i bambini. Sono in fila da tre ore davanti a una palazzina di Masakin Hananu, ad Aleppo, per ritirare un pacco di viveri. Alcune sono vedove di combattenti dell’esercito libero. Altre di soldati del regime. Ma ai loro occhi non fa molta differenza: chiamano martiri gli uni e gli altri. Di là dalla cancellata si fa avanti un signore di mezza età. Si chiama Yusef ‘Abbud. Brizzolato, la barba curata. Scambia due parole con alcune signore, con un tono rassicurante. Poi ordina ai ragazzi di iniziare la distribuzione. Nelle buste nere ci sono olio, zucchero, riso, sale e farina. ‘Abbud è un comandante dell’Esercito libero siriano, ma oggi non indossa la mimetica. È venuto in veste di presidente del Comitato per la diffusione del bene (Hayat Amr bil Ma’ruf), il braccio civile del Fronte islamico per la liberazione della Siria (Jabhat Tahrir Suriya al Islamiya), la nuova coalizione islamista dell’esercito libero. La più importante per numero di combattenti e per peso politico. «Ci siamo appena costituiti – mi spiega ‘Abbud – e contiamo già più di 125 battaglioni tra i più importanti: Liwa al Tawhid, Liwa al Fateh, Kataib al Faruq, Liwa al Nasr. Più di 30.000 combattenti, praticamente tutta la corrente islamica moderata dell’Esercito libero. La nostra unione è il primo passo verso la costruzione di uno Stato islamico moderato». I finanziamenti di questa nuova formazione arrivano sia da uomini d’affari siriani vicini ai Fratelli Musulmani, sia dai governi di Qatar e Turchia. E da un’organizzazione caritatevole islamica turca arrivano gli aiuti alimentari che ‘Abbud sta distribuendo alle donne. «Lavoriamo su tre fronti. Il primo è il jihad, la guerra contro le forze del regime. Il secondo è la sicurezza delle zone liberate: abbiamo formato una Polizia rivoluzionaria islamica e dei Tribunali islamici. Il terzo sono gli aiuti. Il popolo vive in condizioni di estrema povertà. Assistiamo migliaia di sfollati ad Aleppo che hanno perso la casa sotto le bombe. Stiamo ripulendo le piazze dalle montagne di spazzatura, presto ripareremo la rete elettrica, stiamo riaprendo le scuole e rifornendo gli ospedali di medicine». Resistenza armata, sicurezza e servizi sociali. Così gli islamisti provano a costruire il consenso nelle aree di Aleppo liberate dal regime. Prima però hanno dovuto riportare un po’ di calma in città, cambiando strategia militare. Meno guerriglia urbana e più attacchi mirati a posti di blocco, convogli, basi e aeroporti militari del regime. Così negli ultimi tre mesi sono cadute le principali basi da cui il regime bombardava Aleppo. Basi da cui i combattenti dell’Esercito libero hanno saccheggiato armi e munizioni in gran quantità. Comprese quelle che gli Stati Uniti avevano vietato di inviare all’opposizione siriana. Carri armati, lanciamissili, mortai, antia-

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