OXYGEN N.27: Customer 2.0. Il consumatore con i superpoteri

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27 12.2015

× CUSTOMER 2.0 Il consumatore con i superpoteri ×


oxygen | 27 — 12.2015

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comitato scientifico Enrico Alleva (presidente) Giulio Ballio Roberto Cingolani Derrick De Kerckhove Niles Eldredge Paola Girdinio Maria Patrizia Grieco Helga Nowotny Telmo Pievani Francesco Profumo Carlo Rizzuto Francesco Starace Robert Stavins Umberto Veronesi

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direttore responsabile Andrea Falessi direttore editoriale Vittorio Bo coordinamento editoriale Luca Di Nardo Stefano Milano Anastasia Milazzo Dina Zanieri managing editor Cecilia Toso redazione Cristina Gallotti collaboratori Simone Arcagni Davide Coero Borga Michele Fossi Gianluigi Torchiani

traduzioni Victoria Clifford Laura Culver Alessandra Recchiuti

rivista trimestrale edita da Codice Edizioni

art direction e progetto grafico undesign

via Giuseppe Pomba 17 10123 Torino t +39 011 19700579 oxygen@codiceedizioni.it www.codiceedizioni.it www.enel.com

ricerca iconografica e photoediting white infografiche Centimetri distribuzione esclusiva per l’Italia Messaggerie Libri spa t 800 804 900

© Codice Edizioni Tutti i diritti di riproduzione e traduzione degli articoli pubblicati sono riservati

Oxygen nasce da un’idea di Enel, per raccontare la continua evoluzione del mondo


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sommario

CUSTOMER 2.0 IL CONSUMATORE CON I SUPERPOTERI Le strade del consumo sono (quasi) infinite. L’economia si è aperta a ventaglio, mostrando soluzioni che prima sembravano solo conseguenze di una moda passeggera. Oggi che il consumatore si trova al centro dell’economia, tutto sta cambiando: il modo di acquistare, le ragioni per desiderare un oggetto, l’atteggiamento delle aziende nel comunicare con i propri clienti, le strategie di marketing. Sullo sfondo si muove l’innovazione tecnologica, che facilita la consapevolezza degli utenti, crea nuove opportunità – sia dal lato del consumatore sia da quello del produttore – e genera rivoluzioni positive. Siamo nell’era della partecipazione e il mercato non fa eccezione: incoraggiando il dialogo tra i suoi attori ha fatto il primo passo per inaugurare un modello di consumo evoluto ed efficiente, che potrebbe essere di stimolo per il mondo in via di sviluppo.

10 ˜ editoriale EDITORIALE CONDIVISO

14 ˜ intervista ad

arun sundararajan

L’ETÀ DEL CONSUMER EMPOWERMENT di Cecilia Toso Si sta affacciando sul mercato un diverso consumatore, come risultato di vent’anni di cambiamenti favoriti dalla tecnologia: un individuo che conosce le sue possibilità, che sa che cosa vale la pena possedere e che cosa invece può condividere. Che influenza le strategie aziendali e lo sviluppo dei mercati, e che ha la responsabilità e il dovere di rendere il mondo dei consumi più efficiente.

Oggi ciò che desideriamo è semplicemente accedere a un bene di cui spesso veniamo a conoscenza tramite la comunità, reale o virtuale, che frequentiamo 20 ˜ opinioni LE GEOMETRIE DELLA PARTECIPAZIONE di Carlo Alberto Carnevale Maffè La rete elettrica di domani non sarà fatta solo di snodi tecnici ma anche sociali, perché il consumatore oggi è persino protagonista del settore energetico: instaura un dialogo diretto con i fornitori e si pone al centro della rete. Il sistema unilaterale cessa di esistere e gli erogatori imparano a confrontarsi con l’economia circolare, scoprendo nuovi servizi e strade.

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24 ˜ scenari IL BRAND POST-CORPORATE di Ije Nwokorie Consapevoli o meno, quando facciamo un acquisto compriamo anche un brand. E che rappresenti l’azienda, che diventi uno status sociale da possedere o un simbolo di identificazione, il brand influenza le nostre scelte. Ma cosa succede oggi che questo schema è stato ribaltato?

Sta nascendo una nuova era, in cui molto potere è nelle mani dei clienti. Cosa succederebbe se pensassimo al brand come strumento per il consumatore? 28 ˜ approfondimento FABLAB, LA RIVOLUZIONE DEL MARCHIO di Massimo Temporelli Sotto il cappello del FabLab si riuniscono singole idee, progetti, strumenti e, con tutta probabilità, anche un nuovo modo di fare impresa. E così ai grandi brand potrebbero fare concorrenza i prodotti nati dall’open innovation.

30 ˜ approfondimento IL MARKETING… SEI TU di Michele Fossi È uno scambio continuo quello che compiono oggi le aziende con i propri clienti, che esigono di customizzare, se non addirittura co-disegnare, il prodotto, verificare sul web la veridicità di ogni claim, interagire in maniera personalizzata. In questo dialogo a “tu per tu”, ecco le principali tendenze che stanno rivoluzionando il mondo del marketing nell’era del “consumer empowerment”.

36 ˜ contesti IL MERCATO DELL’ENERGIA: UNA NUOVA CONNESSIONE COL CLIENTE di Nicola Lanzetta Non c’è nulla di più dinamico del mercato, e quello energetico è cambiato molto negli ultimi anni. Oggi il consumo di energia è agile e veloce come un click sullo schermo di uno smartphone e le aziende devono saper intercettare rapidamente quello che cercano i clienti, incontrandoli anche in nuovi territori.

40 ˜ intervista ad

alessandro cattelan

SEGNI PARTICOLARI: CONSUMATORE di Andrea Girolami Identikit del consumatore odierno: riempitore seriale di carrelli online, geek dal dito veloce per scaricare la nuova app che consegna la spesa in un nanosecondo, lettore senza libreria perché vuoi mettere la praticità del Kindle. Abbiamo chiesto ad Alessandro Cattelan se si riconosce in questo profilo e abbiamo scoperto molte cose, dall’amore per i libri di carta all’attenzione quasi pioneristica per l’energia.

44 ˜ contesti CONDIVISIONI AD AMPIO RAGGIO di Luca Salvioli Lo hanno capito le amministrazioni cittadine, le grandi aziende e anche il mondo finanziario. La condivisione non è un isolato atteggiamento romantico della società, è uno degli strumenti ai quali la ricerca di efficienza – e anche quella di profitto – può affidarsi. Dai mezzi pesanti in comune in Oregon ai minibus finlandesi, fino ai camion che solcano le autostrade americane: ovunque si mettono insieme risorse, e spesso sono le start-up a inaugurare tendenze.

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48 ˜ contesti

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I MILLE VOLTI DELLO SHARING di Gea Scancarello

SHARING: DI TUTTO E DI PIÙ a cura di Oxygen

C’è chi mette a disposizione il suo tempo, chi le sue capacità; qualcuno regala il cibo in eccesso, magari acquistato in previsione di una cena mai fatta e che passerebbe dal frigorifero alla spazzatura. E poi ci sono quelli che offrono il proprio salotto per condividere un’esperienza: un reportage nel mondo della sharing economy alla scoperta di chi, mettendoci la testa, la rende possibile.

56 ˜ intervista a

La sharing economy potrebbe valere 335 miliardi di dollari da qui al 2025, per quei settori e quelle aziende che sapranno sposare un nuovo approccio collaborativo 52 ˜ approfondimento IDEE IN CERCA DI REGOLE di Cristina Gallotti Tutti ricordiamo il clamore che pochi mesi fa si è generato attorno alla presunta illegalità di Uber, determinandone poi la chiusura. Ma cosa succede nelle altre start-up che si sono inserite così bene in alcuni aspetti della nostra quotidianità? Una panoramica su come, e se, stanno cambiando le loro regole.

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joseph pine

L’ESPERIENZA È MARKETING di Maria Chiara Voci Gli oggetti non ci bastano, vogliamo di più. E cosa fanno le aziende, si disperano? Non tutte: le più intraprendenti hanno deciso di creare per i propri clienti un’esperienza, un momento che sia legato all’acquisto e che muova anche altre corde: la piacevolezza, la condivisione, l’unicità di una giornata. Benvenuti nell’era dell’Experience Economy: sicuri di non averla già sperimentata?

60 ˜ contesti UN NUOVO ENTERTAINMENT di Luca Castelli Morte del supporto (ma non del vinile!), fruizione digitale, peer to peer, streaming: in poche parole, l’evoluzione del nostro approccio all’entertainment nell’era di internet. Ma non è solo una questione di supporto: gli smartphone sempre più veloci e prestanti moltiplicano i contenuti e li rendono accessibili in ogni momento. Come sceglieremo tra l’enorme offerta che teniamo in tasca?

64 ˜ future tech WELCOME TO THE FANDOM! di Simone Arcagni L’hai scritto tu ma lo continuo io. È finita l’epoca in cui chiudendo il libro si salutava per sempre il nostro personaggio preferito, o con la scritta “fine” il film finiva per davvero. Oggi i fan riscrivono e rimontano, continuano a narrare e a vivere la loro passione anche nella vita di tutti i giorni, partecipando a eventi e flash mob, vestendo i panni dei propri eroi e condividendo tra loro queste esperienze. Qualcosa, insomma, è cambiato.


66 ˜ scenari

78 ˜ contesti

COME COMPREREMO IN FUTURO? di Alice Pace

IMMAGINARE SOLUZIONI di Gianluigi Torchiani

Abbandoniamo visioni futuristiche di un mondo di pigroni che compreranno seduti in poltrona o che faranno shopping pagando con il riconoscimento della retina. L’universo degli acquisti è molto più complesso di così: è un’esperienza sociale che richiede tempo, persone, pensieri e luoghi. E lo stiamo ridisegnando proprio affinché questi elementi fondamentali non vengano a mancare. Gli scenari futuri saranno più articolati di quello che pensiamo.

Dal Chiapas alla Cambogia, passando per Brasile e vecchia Europa, le esigenze energetiche non potrebbero essere più diverse. E così le risposte. Ecco quindi che i progetti si plasmano in base alle caratteristiche del territorio e del cliente; e non si parla solo di elettricità. Un’evoluzione del mercato che vede l’energia andare letteralmente incontro all’utente.

70 ˜ infografica CONSUMATORI 2.0

72 ˜ contesti DIVISI NELLA RETE di Marco Cosenza Non è un problema solo geografico: a volte l’esclusione di una parte della popolazione dal mondo tecnologico dipende da fattori come l’età, la provenienza sociale o le motivazioni stesse per avvicinarsi alla rete. Viaggio alla scoperta del digital divide e delle soluzioni adottate per ridurlo sempre di più.

La tecnologia mobile, disponibile sempre più a buon mercato, diventa un potente strumento di inclusione e democratizzazione: là dove non arriva un cavo può arrivare un segnale 76 ˜ data visualization

82 ˜ scenari AFRICA: L’ALBA ENERGETICA di Ignacio J. Pérez-Arriaga e Robert Stoner Il discorso energetico assume caratteristiche del tutto specifiche quando si parla di Africa Subsahariana, una regione del mondo in cui l’accesso all’energia è drammaticamente basso e le condizioni per ampliare la rete elettrica sono spesso proibitive. Ecco allora una panoramica delle soluzioni praticabili e delle condizioni necessarie allo sviluppo di un mercato elettrico che sia frequentato anche da privati.

86 ˜ oxygen vs co2 IL FUTURO A MATTONCINI di Davide Coero Borga Inutile negarlo, la fama delle grandi aziende dipende anche dalla fiducia stabilita con il cliente, anche su temi come l’ambiente e i diritti umani. Oggi il consumatore vaglia attentamente questi comportamenti e, grazie alla rete, ha un modo in più per farsi sentire e di influenzare il corso degli eventi.

89 ˜ ENGLISH VERSION

LEZIONI DIGITALI a cura di Oxygen

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contributors

Hanno contribuito a questo numero 01˜ Carlo Alberto

02˜ Luca

03˜ Alessandro

04˜ Marco

05˜ Andrea

Carnevale Maffè

Castelli

Cattelan

Cosenza

Girolami

Professore di Strategia e Politica Aziendale presso la SDA Bocconi, dal 2003 al 2007 è stato coordinatore del master in Strategia Aziendale. Autore di diverse pubblicazioni, si occupa di competitive intelligence e strategie non competitive e internazionali e di innovazione tecnologica.

Giornalista, si occupa del rapporto tra musica, comunicazione e tecnologia su quotidiani (La Stampa), periodici (Il Mucchio Selvaggio, Focus) e siti web. Nel 2009 ha pubblicato La musica liberata. Insegna comunicazione, giornalismo e scrittura digitale alla Scuola Holden.

Conduttore radiofonico e televisivo, ha lavorato a Radio Kiss Kiss, All Music e Mtv, dove ha condotto TRL e Lazarus. Spalla comica a Quelli che il calcio, da cinque anni conduce X Factor. In radio ha condotto 105 all’una e, su Radio Deejay, dal 2013 Catteland e da luglio 50 Songs.

Ha cominciato il lavoro di giornalista a Radio 24, collaborando con la redazione del giornale radio, e ora scrive per Wired, su temi di tecnologia ed economia, e per l’agenzia ANSA, per quanto riguarda innovazione... e pallacanestro.

A sedici anni ha incontrato la rete e se ne è innamorato. Dopo aver lavorato per Tiscali, Mtv Italia e Wired Italia ora è responsabile contenuti per l’agenzia Better Days. È autore del libro Atlante delle cose nuove (Indiana editore, 2015).

06˜ Nicola

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Responsabile Mercato Italia di Enel dal 2014, ha ricoperto ruoli in ambito marketing e commerciale e di direzione generale in aziende nazionali e multinazionali, nei settori informatico, TLC ed energia, lavorando con NCR, AT&T, Telecom Italia, Infostrada e Camuzzi Gazometri.

Dopo gli studi in Architettura presso la Columbia University, ha lavorato in diversi ambiti e altrettanti luoghi, dall’Africa a New York e Londra. Nel 2006 è entrato alla Wolff Olins come senior strategist, diventando poi direttore generale e nel 2014 amministratore delegato.

Laureata in chimica e tecnologie farmaceutiche, ha un dottorato in nanotecnologie e un master in giornalismo scientifico. Nel 2013 è stata nominata Science Writer Fellow dalla Giovanni ArmeniseHarvard Foundation e dall’UGIS. Nel 2014 ha vinto il Premio Piazzano.

Direttore della Cattedra BP Energia e Sostenibilità all’Università Comillas, si è dottorato al MIT. Membro a vita dell’Accademia reale spagnola di Ingegneria e dell’Istituto degli ingegneri elettrici ed elettronici, fa parte dell’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia dell’UE.

Scrittore, ideatore dell’economia dell’esperienza e consulente aziendale, si è specializzato alla Sloan School of Management del MIT, sviluppando le teorie esposte in Mass Customization. Nel 1996 ha fondato insieme a Jim Gilmore la Strategic Horizons LLP.

11˜ Luca

12˜ Gea

13˜ Robert

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15˜ Massimo

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Temporelli

Giornalista del Sole 24 Ore, lavora come editor anche per Sole24ore.com. Per il quotidiano e per il supplemento Nòva24 scrive di tecnologia, internet e start-up. Segue le principali fiere di tecnologia tra Stati Uniti ed Europa.

Giornalista, si è formata tra Italia, Stati Uniti e Spagna. Freelance, ha lavorato per diverse riviste nazionali e come inviata per Lettera43.it, scrivendo reportage da numerosi Paesi. Sulla sharing economy ha pubblicato il libro Mi fido di te e il blog Pane e sharing.

Vicedirettore del MIT Energy Initiative, dirige il centro Tata per la tecnologia e il design, dove si fanno ricerche per inventare tecnologie rivolte a esigenze ancora irrisolte in India e nei Paesi in via di sviluppo. In precedenza ha lavorato come dirigente in Intel e Zygo Corporations.

Professore alla Leonard N. Stern School of Business dell’Università di New York, studia come le tecnologie digitali trasformano economia e società. Con oltre cinquanta pubblicazioni all’attivo e diversi riconoscimenti, è considerato un’autorità della sharing economy.

Fisico e fondatore di TheFabLab, insegna in scuole e università, su Oilproject e in tv a X-Makers. Organizzatore di mostre scientifiche, è direttore della collana Microscopi di Hoepli. Il suo ultimo libro è Innovatori. Come pensano le persone che cambiano il mondo.

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editoriale condiviso

CONSUMATORE

Gli acquisti sono degli incastri. Mi informo su internet se voglio comprare un oggetto tecnologico perché ne cerco le specifiche tecniche; poi posso anche andare a comprarlo fisicamente. A volte mi provo dei vestiti in un negozio, poi li acquisto cercando promozioni online. Davide Mi accorgo che le cose stanno cambiando, ma nella mia vita di consumatore finora non è successo molto. Mi sto ancora domandando come trarre vantaggio da questa nuova corrente. Francesco

Marta Oggi mi sento più protetto e indipendente. Se voglio, posso fare acquisti che mi arrivano a casa in scatola chiusa, senza che tutti sappiano cosa ho comprato. Roberto Mi capita di informarmi molto su internet prima di un acquisto economicamente importante, ma non per il resto, perderei troppo tempo. I vestiti li compro nei negozi, il frullatore online. Chiara La rete ha creato nuove occasioni di consumo, perché permette di acquistare cose che in alcuni Paesi prima non avevano mercato e non sarebbero state distribuite. Enrico 010


Marta Acquisto online tutto ciò che mi annoierebbe andare a prendere a piedi, come i biglietti del treno. Ma tutto ciò che devo vedere, fosse anche un piccolo oggetto, lo vado a comprare fisicamente, ho bisogno del contatto visivo. Claudia Per me avere consapevolezza vuol dire comprare il cibo dai produttori e utilizzare piattaforme peer-to-peer per viaggiare.

Silvia

Il mio portiere è diventato il mio negozio personale. Quando rientro a casa dall’ufficio nella guardiola del portiere del mio palazzo trovo ad aspettarmi i miei acquisti. Salgo in casa, apro i pacchi, gestisco eventuali resi direttamente dal mio telefonino e ordino altre cose. La mattina esco di casa e lascio in guardiola i resi che il corriere verrà a ritirare più tardi. Non potrei più pensare di fare di persona quello che faccio online. Come faccio ad aver ancora voglia di tuffarmi nel traffico della mia città per andare a vedere quel tale negozio nell’unico giorno libero che ho nella settimana? Ora in quel giorno vado in giro in bici o mi rilasso. Mi sento quasi liberata. Quello che faccio di persona, quando lo faccio, è una scelta, non più un obbligo. Anastasia Spesso ho consultato siti come Amazon mentre ero in un negozio per verificare prezzo e commenti. Ho potuto scegliere – è successo – di comprare subito a un prezzo maggiore, perché l’attesa non valeva la differenza di prezzo; e ho potuto incrociare le informazioni degli utenti per scegliere il prodotto migliore. Laura Se i consumatori capissero il potenziale politico che detengono, potrebbero incidere pesantemente sulle politiche dei brand. Elena Oggi sono più consapevole rispetto al marchio che compro. Molte piattaforme di acquisto online permettono di selezionare il designer/l’azienda, rendendo più evidente un aspetto che prima poteva anche passare in secondo piano. Cristina Oggi il consumatore ha più libertà di scelta perché è più informato: compra cosa vuole, dove vuole. In questo modo c’è una pressione al miglioramento del rapporto qualità/prezzo dei prodotti, perché le persone si scambiano opinioni e scrivono quel che pensano, mentre il negoziante potrebbe essere tentato di nasconderlo. Daniela 011


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Filippo

Le tecnologie ci permettono di collegarci con più persone e, di conseguenza, trovare più risorse, da condividere o acquistare. Michela Ho application di ogni genere sul telefono e cerco una casa in condivisione, un appartamento intero o una camera d’albergo a seconda di quanto mi devo fermare, di quali sono i servizi che ritengo necessari e così via. In una casa in sharing si può fare il bucato in modo più veloce ed economico e la rete internet è migliore che in hotel, dove però facilmente si trova la piscina, o addirittura la spa. E se sei stanco per il lavoro, o se fuori fa freddo, un po’ di tempo nel bagno turco o in sauna alla fine di una giornata di riunioni non è una cattiva idea, tantomeno a parità di prezzo. Emanuela Quando sono in città vivo in questa casa. Quando non ci sono, ci sta qualcun altro. Gabriele PayPal mi ha cambiato la vita: inserisci una volta sola i tuoi dati e via. Non hai bisogno di nient’altro, tutte le altre app dipendono da quella. Pietro IMPRENDITORI ECONOMISTI

Più si condivide una cosa, più si abbattono i costi. E il vantaggio è sia per il privato sia per la società intera. Andrea, utente del coworking Talent Garden di Genova Le persone investono soldi in quello che tu fai. Comincio a sentire per la prima volta che le mie idee sono importanti e che c’è più rispetto reciproco. Alchemy Collective, idea realizzata con il crowdfunding Come faccio a lavorare tutto il giorno e ad andare anche dai miei clienti e sbrigare la burocrazia? Solo creando una rete si esce dall’impasse e si riduce la catena degli sprechi. Andrea Cattabrica, fondatore di Slowd, piattaforma di sharing design

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Serena Non si possono accusare le novità di uccidere le cose che c’erano prima. È come se le poste cercassero di frenare la diffusione delle email! Gian Luca Ranno, fondatore di Gnammo Non è possibile inventare o immaginare il futuro pensando che i nostri giorni migliori siano alle spalle. Ciò di cui le imprese hanno bisogno per innovare è proprio la fiducia nel futuro e nell’openness. GE, BMW, FIAT, Unilever, Castorama e altre aziende con cui ho lavorato si sono accorte che la maggior parte delle innovazioni proviene dall’esterno dell’azienda; pertanto la loro principale attività è diventata sviluppare dei recettori per attrarre, apprendere e collaborare al di fuori del core business aziendale. Lisa Gansky, imprenditrice americana La nostra piattaforma aiuterà il mondo a tornare un villaggio, un posto in cui un sacco di persone si conoscono e si fidano l’una dell’altra. Brian Chesky, cofondatore di Airbnb Io i trapani li vendo, ma oggi la gente li affitta dai vicini di casa o chiede una mano a qualcuno che non conosce. O mi faccio mangiare i servizi, o trovo un modo per ripensarli. Stefano Grisenti, capo del progetto Vision di Leroy Merlin L’economia non è qualcosa di astratto che sta là fuori. È qualcosa che abbiamo creato noi e che ora stiamo modificando. Neal Gorenflo, cofondatore di Shareable La vita è ciò che facciamo di essa. Stiamo cambiando le regole basandoci sulle diverse priorità della società. Bryant Walker Smith, Attornery Stanford Legal Fellow Alla fine non sarà una peer economy o una sharing economy o una collaborative economy. Si chiamerà semplicemente “economia”. Jeremiah Owyang, Industry Analist 013


In

intervista

L’età del consumer empowerment Intervista ad Arun Sundararajan Professore alla New York University di Cecilia Toso

Si sta affacciando sul mercato un diverso consumatore, come risultato di vent’anni di cambiamenti favoriti dalla tecnologia: un individuo che conosce le sue possibilità, che sa che cosa vale la pena possedere e che cosa invece può condividere. Qualcuno che influenza le strategie aziendali e lo sviluppo dei mercati, e che ha la responsabilità e il dovere di rendere il mondo dei consumi più efficiente. 014


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Se il reddito smette di essere una discriminante, è facile spingersi a pensare che la condivisione sarà la risposta anche per i Paesi in via di sviluppo con persone con un reddito più basso

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L’istinto al possesso? Forse è stato solo un modo inefficiente di gestire negli ultimi anni i nostri consumi; perché, a quanto pare, siamo in grado di generare più consumo anche possedendo meno. La provocazione arriva dal mondo del digitale e si inscrive in un dibattito ormai noto sui modelli di consumo; in questo caso non ci troviamo tra gli esponenti di un ottimismo sfrenato su ciò che la rete rende possibile, né nell’utopia che il mondo possa smettere di produrre per diventare esclusivamente un luogo di scambio tra utenti. Ci troviamo invece a parlare con chi sta osservando l’emergere di un nuovo modello: più efficiente, vario e che – grazie al nuovo ruolo del consumatore – influenza i luoghi della produzione. Ne parliamo con Arun Sundararajan, professore alla Leonard N. Stern School of Business della New York University, specializzato nel modo in cui le tecnologie digitali influiscono sull’economia e la società. Negli ultimi cinquant’anni, secondo il professore, abbiamo gestito il nostro consumo in modo individua-

Le aziende sono passate da essere fornitori di un messaggio a essere, in un certo senso, mediatori di una conversazione

le: abbiamo scelto singolarmente quello che desideravamo (influenzati dalla pubblicità), siamo usciti dalle nostre case per comprarlo e possederlo. Un modello di consumo che ha stabilito chi poteva raggiungere un bene in base al reddito e alla capacità di acquistarlo. Oggi invece ciò che desideriamo è semplicemente accedere a un bene di cui spesso veniamo a conoscenza tramite la comunità, reale o virtuale, che frequentiamo. A volte lo utilizziamo in modo condiviso, traiamo da esso il valore necessario per poi rimetterlo in circolo; e la nostra capacità di accedervi non è dettata dal reddito bensì dalla reputazione che abbiamo all’interno della comunità. Un’evoluzione del consumatore che qualcuno ha soprannominato il darwinismo dei dati, in cui a sopravvivere saranno le persone che sapranno inserirsi nelle regole della rete e stabilire un rapporto di fiducia con gli altri. Utopistico? Non esattamente. Secondo il professor Sundararajan il concetto di condivisione fa parte di noi da sempre e, oggi, s’inserisce prepotentemente nel mondo reale grazie all’esistenza delle piattaforme peer to peer. «Si tratta di un’evoluzione naturale del consumatore». E il consumatore evoluto è un consumatore flessibile: «Acquisterà alcune cose dalle aziende, mentre per altre si rivolgerà a singoli individui, mediato dal mercato e dalle piattaforme. Sicuramente rispetto a sessant’anni fa ci sarà una maggiore condivisione, ma si tratterà pur sempre di un sistema misto». I nuovi protagonisti Facciamo un passo indietro. Come siamo arrivati fin qua? «Negli ultimi vent’anni, i consumatori hanno assunto un ruolo centrale e di influenza nella nostra economia. Le imprese hanno cominciato a coinvolgerli nel design dei loro prodotti, a interpellarli per raccontare marche e oggetti attraverso i social media, a renderli sostenitori del proprio brand o consulenti pre-acquisto tramite blog e siti aziendali. In questo modo le aziende sono passate da essere fornitori di un messaggio a essere, in un certo senso, mediatori di una conversazione. Questo 017


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ruolo centrale dei consumatori e l’emergere della sharing economy hanno fatto sì che sempre più persone fossero in grado di ottenere oggetti e servizi da altre persone, attraverso il mercato o la comunità, senza doversi rivolgere per forza a un’azienda produttrice». Siamo stati abituati a pensare che fosse la quantità di oggetti prodotti a fare aumentare i consumi, ma Sundararajan ci spiega che «quando si creano nuovi modi per accedere a un bene, il consumo tende a crescere. Se tutti devono possedere una macchina per poterla guidare, il numero di persone che ne guiderà una equivarrà a quello di quanti possono permettersi di comprarla. Ma se si può anche affittare quella di qualcun altro, allora crescerà il numero di persone che la potranno utilizzare. Quando si rimuovono le barriere, il consumo aumenta; se invece la proprietà è una condicio sine qua non per il consumo, la fetta di persone che si potrà permettere di trarre valore da un oggetto sarà minore». Più accesso equivale dunque a più consumo; ma come la mettiamo con i profitti delle aziende? «Dipende dalle decisioni che prenderanno nei prossimi anni» sostiene Sundararajan. «Io credo che un maggiore consumo generi più valore e più profitto, ma quello che ancora non sappiamo è chi catturerà questo valore, se le aziende, i consumatori o chi altro. Case automobilistiche come BMW, Mercedes e Fiat stanno lavorando per inserirsi con le proprie auto nel mercato del car sharing. In ogni Paese del mondo stanno nascendo piattaforme in cui i consumatori possono scambiarsi beni. Forse saranno proprio queste piattaforme – e i loro ideatori – a trarre il maggiore profitto. Con Airbnb milioni di persone sono diventati degli albergatori e presto gli individui diventeranno provider di servizi: dall’energia alle consulenze mediche, dal web design alle conoscenze di ogni tipo. Queste nuove aziende, invece di impiegare sotto di loro migliaia di lavoratori, creeranno franchising tra persone». Settori in fermento Sono le automobili a spiccare negli esempi del professore, ed è proprio l’automotive che, secon018

EROI DA SCHERMO Sul grande schermo non possono mancare eroi e supereroi. In queste pagine, gli screenshot tratti da: Batman Returns, Kick-Ass, Interstellar, Guardiani della Galassia, Superman, Thor, Capitan America, Ghostbusters, Iron Man, Batman Begins.


do lui, subirà un cambiamento maggiore. Questo semplicemente perché «è uno dei settori che incide di più sul PIL dei Paesi avendo al tempo stesso un’efficienza molto bassa. Una macchina in media è utilizzata per un’ora e mezza al giorno e, anche quando è usata di più, c’è sempre dello spazio extra non occupato. Un’efficienza del 2% per un’industria che negli Stati Uniti e in Europa fattura centinaia di miliardi di dollari è assurda. Non deve sorprendere il fermento in questo settore, e le auto che si guidano da sole si inseriscono perfettamente in questo panorama: non ci sarà bisogno di un guidatore e potremo avere la nostra auto on demand in ogni momento, senza doverla possedere, né guidare». C’è dell’altro. Nell’industria automobilistica si incrociano due caratteristiche che ne stanno determinando il cambiamento: «Elevato valore del bene e bassa efficienza di utilizzo. Vestiti costosi, accessori costosi, tutti quegli oggetti che sono caratterizzati da un alto valore ma da un uso sporadico faranno il successo delle piattaforme di condivisione». Non è una condivisione tout court quella che immagina Sundararajan, ma una valutazione ponderata di ciò che conviene fare, sia dal lato del consumatore sia da quello del produttore. Per un oggetto di utilizzo quotidiano – per esempio un aspirapolvere – finché il “costo” della condivisione sarà più alto del costo del possesso, le persone preferiranno spendere una cifra più alta in una volta sola invece di dover affrontare la scomodità di affittarlo quando serve. Paesi in via di condivisione Se il reddito smette di essere una discriminante, è facile spingersi a pensare che la condivisione sarà la risposta anche per i Paesi in via di sviluppo e per le persone con un reddito più basso. «Potranno accedere a cose migliori perché, grazie alle nuove vie di accesso, aumenterà il loro potere di consumatori. Dall’avvento dei portali di house sharing, il numero di persone che va in vacanza è aumentato e anche chi non avrebbe potuto permettersi una stanza d’albergo può viaggiare, magari

con tutta la famiglia. Un nuovo gruppo di persone ha accesso a una serie di servizi dai quali prima era escluso». Lo dimostra il fatto che, per esempio, in Paesi come Cina, India e non solo, ci siano aziende di car pooling come Didi Kuadi e Ola, molto più grandi di Uber in termini di numero di utilizzatori. «Gli investitori sanno che si tratta di un mercato importante, perché la mentalità dei consumatori in questi Paesi non è ancora matura. Negli Stati Uniti o in Germania, c’è un’ampia fetta di classe media che ha comprato e posseduto per molti anni e per la quale la condivisione richiederebbe un decisivo cambiamento di comportamento. Nei mercati emergenti, invece, la nuova classe media ha appena imparato a consumare e non è ancora attaccata al modello del possesso: i suoi membri diventeranno molto più facilmente (e velocemente) di noi consumatori della sharing economy. Presto avremo milioni di persone in Cina e in India che possono permettersi di comprare una macchina ma che non lo faranno perché ci sono vie alternative; inizieranno il loro consumo direttamente dalla condivisione, senza mai possedere un’auto. Questa è una delle ragioni per cui molti finanziatori vedono in questi Paesi un grande potenziale». Il movimento è quindi universale: i consumatori acquisiscono indipendenza, le aziende si fanno mediatrici tra i propri clienti, le innovazioni tecnologiche dettano il tempo. Quello che non può mancare, in tutto questo, è una certa dose di fiducia verso chi produce, verso chi condivide e verso la tecnologia. Il recente caso Volkswagen, secondo Sundararajan, deve fare riflettere: «Le macchine stanno diventando sempre più digitali. La grande sfida nei prossimi anni per l’industria sarà mantenere la fiducia dei clienti. Dal momento in cui il prodotto diventa tecnologico, non è più solo la sua manifattura a dover essere riconosciuta, ma anche la sua sicurezza tecnologica». Produttori e consumatori, quindi, si stanno calibrando e stanno preparando una nuova strada per i consumi, molto più varia di quella che avremmo immaginato. 019


Op

opinioni

LE GEOMETRIE

della partecipazione articolo di Carlo Alberto Carnevale Maffè Scuola di Direzione Aziendale, Università Bocconi

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La rete elettrica di domani non sarà fatta solo di snodi tecnici ma anche sociali, perché il consumatore oggi è persino protagonista del settore energetico: instaura un dialogo diretto con i fornitori e si pone al centro della rete. Il sistema unilaterale cessa di esistere e gli erogatori imparano a confrontarsi con l’economia circolare, scoprendo nuovi servizi e strade.

La scienza ha svelato che l’elettrone è un ibrido di massa ed energia. Oggi, i progressi tecnologici e socioeconomici che stanno sconvolgendo il tradizionale e sonnolento mercato dell’energia trasformano il consumatore a sua volta in un “ibrido”, non più solo destinatario passivo ma attore diretto di processi di servizio sempre più distribuiti e partecipativi. L’energia non è più una commodity fisica da distribuire e consumare, ma l’oggetto di un patto di responsabilità, partecipazione e sostenibilità, stipulato reciprocamente tra domanda e offerta. Il cliente finale cambia ruolo: la convergenza tra innovazione tecnologica dell’energia e delle reti di comunicazione ne sta progressivamente trasformando la funzione economica, attribuendogli compiti attivi e rendendolo partecipe di processi di scambi finora difficilmente pensabili su vasta scala. Il cambiamento è chiaramente visibile in due settori vicini e complementari a quello dell’energia, dove la sharing economy sta avendo impatti significativi: il mercato delle abitazioni e quello dell’auto. Nel primo caso, grazie a marketplace globali che assicurano visibilità, comparabilità e un alto grado di sicurezza delle transazioni, ogni famiglia si affaccia al mercato dell’ospitalità dal lato dell’offerta, e non solo da quello della domanda, mettendo a disposizione di ospiti – spesso stranieri e quasi sempre ignoti – parte del proprio patrimonio immobiliare, da una sempli-

ce stanza a un’intera abitazione. Ancora più dinamico e complesso è quanto sta avvenendo nel mercato dell’auto, dove al diffondersi del car sharing urbano – Car2Go, Enjoy, flotte di auto elettriche municipali – si affiancano forme di condivisione di tragitti, vere e proprie innovazioni nei modelli di imprenditorialità del settore logistico, come Uber e Letzgo. Tutto questo grazie alla diffusione e standardizzazione dei protocolli di comunicazione, all’interoperabilità dei sistemi di accesso, prenotazione e pagamento dei servizi, ma anche al più maturo e consapevole ruolo del consumatore finale. Una figura che, dismessi i panni del soggetto passivo, oggi è motivata e preparata a partecipare attivamente ai processi di erogazione di un servizio collettivo, apprendendone e rispettandone le regole, anche quando non sono scolpite nella pietra di leggi statali, ma derivano da adozione su base volontaria di semplici prassi comportamentali proposte dalla rete sociale di riferimento. In questo contesto, si amplia il ruolo dei nuovi intermediari, che assumono forme innovative di pseudopotere legislativo e giudiziario: stabiliscono le regole e irrogano sanzioni – quali l’espulsione dal sistema – in caso di violazione. Come nei vicini mercati del trasporto automobilistico e dell’ospitalità, anche il mercato dell’energia è coinvolto in questa tumultuosa evoluzione del ruolo del consumatore, dopo un decennio di acculturamento all’economia della condi-

Energia fisica in cambio di flussi informativi e di scelte comportamentali: come è già successo per l’accesso a internet, domani l’energia si pagherà – anche – tramite scambi di dati dei consumatori

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visione guidato dai sussidi al fotovoltaico domestico. Ma, mentre la diffusione dei pannelli solari sui tetti delle case finora è stata vissuta dalla maggioranza delle famiglie come una forma di blando opportunismo fiscale, la fine dell’epoca del sussidio facile marca l’inizio di un nuovo ciclo economico e sociale. Grazie anche all’evoluzione normativa sulle metriche e sui criteri di bollettazione, e a quella tecnologica sulle case intelligenti, le reti ibride di energia e comunicazione nello scenario dell’Internet of Things, si sta affermando un nuovo atteggiamento di partecipazione da parte dei consumatori. L’intera catena del valore del settore ne sta uscendo profondamente sconvolta, e ciò che prima appariva come una sequenza lineare e unidirezionale di produzione ed erogazione, oggi viene ripensato in un’ottica di economia circolare, dove sostenibilità e innovazione si coniugano in un nuovo ciclo di servizi. La rigida distinzione di fasi tra generazione, distribuzione e consumo, che ha guidato generazioni di modelli industriali e ha informato l’emanazione di norme e regole, viene messa in discussione dalle smart grid e dai progetti di utilizzo di sistemi distribuiti di accumulo dell’energia. La bolletta, retaggio di un modello di erogazione unilaterale e asimmetrico, mera rendicontazione burocratica di metriche tanto incomprensibili per il consumatore quanto occultatrici di prassi fiscali e tariffarie al limite dell’arbitrio, 022

diventa un contratto di consapevolezza e di scambio. Energia fisica in cambio di flussi informativi e di scelte comportamentali: come è già successo nel mercato dell’accesso a internet, domani l’energia si pagherà – anche – in modalità non monetaria, tramite scambi in natura e in cambio dei dati dei consumatori. Pagare in modo direttamente correlato al consumo reale, scambiando dati sul proprio comportamento di consumo, possibilmente in tempo reale, come già accade nella telefonia mobile, è una grande scuola comportamentale: farlo è razionale sotto il profilo economico e tecnologico, per indirizzare correttamente gli incentivi alle scelte responsabili di consumatori e imprese. Il consumatore, così, esce dal suo isolamento di attore passivo e terminale, ed entra a far parte di una rete. Sistemi fisici e logici configurati sotto forma di reti, come nel caso dell’energia, sono di solito correlati da organizzazioni e servizi anch’essi strutturati a rete. Il criterio ineludibile di una rete è l’interoperabilità, dalla quale deriva l’interdipendenza. Oggi questo vale anche per i consumatori, in una nuova interoperabilità tra domanda e offerta. L’energia non è un servizio stand-alone, ma ha un insieme di vincoli fisici, economici e normativi che lo rendono un network service. Domani la rete dell’energia non sarà più fatta solo di cavi e di contatori, ma di nodi sociali – i clienti – sempre più consapevoli e partecipativi.


L’energia non è più una commodity fisica da distribuire e consumare, ma l’oggetto di un patto di responsabilità, partecipazione e sostenibilità stipulato tra domanda e offerta 023


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scenari

IL BRAND P O S T - C O R P O R AT E articolo di Ije Nwokorie Amministratore Delegato, Wolff Olins

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Consapevoli o meno, quando facciamo un acquisto compriamo anche un brand. E che rappresenti l’azienda, che diventi uno status sociale da possedere o un simbolo di identificazione cosiĚ€ forte da farci immedesimare con i valori che propone, il brand influenza le nostre scelte. Ma cosa succede oggi che questo schema è stato ribaltato?


Alla Wolff Olins abbiamo collaborato di recente con la Flamingo a un’inchiesta sui nuovi comportamenti dominanti dei consumatori (gamechangers.wolffolins.com); questa ricerca identifica una nuova serie di atteggiamenti che stanno mandando in confusione le multinazionali moderne. Alcuni di questi comportamenti sono nuovissimi, eppure si sono già diffusi e stanno dominando sia le economie consolidate sia quelle in crescita. E lo fanno proprio grazie ai loro protagonisti, giovani o anziani, esperti digitali o persone abituate a interagire in modo tradizionale con le aziende. 1 . In tutto il mondo le persone mettono in discussione il potere delle multinazionali e trovano modi per aggirarlo. 2 . Con così tanti strumenti per creare, utilizzare, adattare, combinare oggetti, venderli e perfino ideare un proprio business, le persone creano significati e obiettivi personali. 3 . Una comunicazione più veloce e più regolare ha permesso ai brand di farsi strada tra di noi, che cerchiamo però di poter almeno decidere quando, dove e a che condizioni acquistare i prodotti.

Non siamo più semplici consumatori: aggiriamo le situazioni e diamo un significato e importanza al nostro tempo, spostando l’ago della bilancia del potere dalle multinazionali agli individui. La risposta delle multinazionali Tuttavia, le multinazionali non sono rimaste con le mani in mano e hanno forgiato abilmente quegli stessi strumenti che abbiamo creduto ci dessero potere. Alcune di loro lo hanno fatto in modo sbagliato, e principalmente attraverso tre comportamenti.

Sta nascendo una nuova era, in cui molto potere è nelle mani dei clienti. Cosa succederebbe se pensassimo al brand non come strumento aziendale, ma come strumento per il consumatore?

Brand in cambio di vantaggio sul prezzo L’incredibile quantità di dati che le multinazionali possiedono su di noi e la loro abilità a elaborarli fa sì che esse possano decidere i prezzi in modo più oscuro che mai. In questo contesto, il loro sembra sempre più un tentativo cinico di far pagare il più possibile prodotti e servizi: la compagnia aerea richiede un prezzo più alto perché sa che il cliente

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è pronto a tutto pur di partire; il supermercato propone un’“offerta” più costosa rispetto al proprio miglior prezzo perché sa che il consumatore è comunque disposto a pagare di più. Queste strategie esistono dagli albori del mercato, ma adesso il tutto è sovralimentato dalla crescita di dati – archiviati ed elaborati – e i brand sono lo strumento per spuntarla con il prezzo più alto possibile. Brand in cambio di dati Non ci aspettiamo più di pagare per avere qualcosa. Nessun costo di prenotazione, nessun tasso di interesse; musica, film, minuti: possiamo avere tutto quello che vogliamo per poco o niente. Sembra un mondo meraviglioso. Eppure, i consumatori sono perlopiù ignari del fatto che se non stanno pagando per un prodotto è perché sono loro stessi il prodotto. E non si tratta solo della vendita dei nostri dati (la privacy è un ambito in cui esistono pro e contro), ma dell’impossessarsi di grandi parti della nostra vita, del nostro tempo, delle nostre abitudini e della nostra gioia a nostra insaputa. Perché raramente siamo consapevoli dell’entità del processo e delle sue implicazioni. Oggi le persone creano gran parte del valore nel mondo connesso; ma cosa succederà quando si accorgeranno che la felicità, le idee e il duro lavoro non appartengono realmente a loro, ma alle piattaforme gratuite che stanno utilizzando? Brand in cambio del libero accesso Social, local e mobile sono strumenti di grande potenza per i consumatori e le multinazionali stanno diventando sempre più sofisticate nel creare offerte irresistibili – 026

Tutte le aziende, per mantenere la loro immagine, dovranno ripensare il proprio brand attorno al cliente. E non c’è luogo migliore per farlo che quello dei settori primari dalla vendita al dettaglio fino alla musica e al denaro –, facendo leva sul potere delle reti. Quello di cui i consumatori sono meno consapevoli (e che le multinazionali non dicono) è quanto queste reti accrescano ulteriormente il potere delle aziende, dando loro più strumenti per dirigere, suddividere e controllare. Noi, però, non ci sentiamo ancora tranquilli a essere osservati tutto il tempo, indipendentemente da quanto questo renda migliori i prodotti e i servizi che utilizziamo; e i brand che usano queste strategie stanno rischiando la loro reputazione.


Un modo migliore di pensare al brand? Il post-corporate brand Ma cosa accadrebbe se tutto il potere delle persone e delle multinazionali fosse invece utilizzato per creare un nuovo tipo di relazione, un rapporto di scambio e non di manipolazione, del dare e del prendere? Il brand ha sempre assunto un significato di proprietario/azienda/ multinazionale: all’inizio era un simbolo di proprietà, un marchio sul fianco di una mucca, un cavallo o una botte. Poi è diventato sinonimo di qualità su una bottiglia, una lattina o una confezione, come per Kellogg’s. Successivamente, è diventato simbolo di desiderabilità di un prodotto in una pubblicità o in un negozio; basta pensare a come le grandi campagne pubblicitarie trasmesse dalla tv negli anni Sessanta abbiano definito la nostra cultura. E infine, il brand è diventato simbolo di fedeltà. Eravamo persone da Nike o Adidas, Coca-Cola o Pepsi, Fiat o Peugeot. È un processo che ha riguardato tutti i brand; ma oggi sta nascendo una nuova era. Con il potere nelle mani dei consumatori, cosa accadrebbe se pensassimo al brand non come strumento aziendale, ma come strumento per il consumatore? Sarebbe un mondo con meno ossessioni sul posizionamento del prodotto, sul pubblico e sul target, e più concentrato sul creare valore, partecipazione e legami. Sarebbe come consegnare le chiavi all’ecosistema, al consumatore, e utilizzare i brand come tessuto connettivo per unire gli obiettivi delle multinazionali a quelli dell’individuo. C’è chi già lo fa e si tratterà di brand migliori e più duraturi, rispetto a chi va a caccia di clienti come se fossero nemici e non veri partner di uno scambio. Questo atteggiamento non riguarda soltanto una nuova tipologia di brand “californiani”; tutte le aziende, per mantenere la loro immagine, dovranno ripensare il proprio brand attorno al cliente. E non c’è luogo migliore per farlo che quello dei settori primari, che hanno un impatto cruciale sulle vite delle persone: energia, alimentazione, denaro, istruzione e salute.

Le aziende che falliranno in questo, prima o poi verranno cannibalizzate. Se invece capiremo l’opportunità, si aprirà davanti a noi un’epoca d’oro di marchi importanti, ammirati e forti, con un impatto positivo nel mondo.

Il brand ha sempre significato proprietario/ azienda/ multinazionale. All’inizio era un simbolo di proprietà, poi di desiderabilità e, infine, di fedeltà

MARCHIATI A FUOCO La parola brand, in inglese, ha un’origine agricola. Anticamente indicava il marchio fatto sulle bestie con un ferro caldo, per reclamarne la proprietà e da lì deriva anche l’espressione brand new, che significa “nuovo”, “appena sfornato”. L’italiano marca, invece, ha origini territoriali, di confine (come margine) e già ai tempi di Carlo Magno delimitava aree geografiche. 027


Ap

approfondimento

FabLab

La rivoluzione del marchio articolo di Massimo Temporelli Giornalista

Sotto il cappello del FabLab si riuniscono singole idee, progetti, strumenti e, con tutta probabilità, anche un nuovo modo di fare impresa. E così ai grandi brand potrebbero fare concorrenza i prodotti nati dall’open innovation, un universo di microimprese agevolate da macchine di produzione digitale e specializzate in merci personalizzate.

Mi piace pensare che, tra qualche decina di anni, gli storici, parlando di rivoluzioni industriali, potranno inserire nell’indice dei loro manuali la seguente catena di eventi: 1. Fine Settecento, passaggio al vapore. 2. Fine Ottocento, passaggio all’elettricità. 3. Fine Novecento, passaggio al digitale. Vi è una certa elegante progressione in questa sequenza, una progressione che in pochi secoli ha ridisegnato e continuerà a ridisegnare il nostro rapporto con gli oggetti, con quell’insieme di atomi e molecole che oggi chiamiamo prodotti. L’ultima rivoluzione industriale in particolare, quando raggiungerà la sua fase più matura (tra qualche decina di anni), cambierà non solo il nostro modo di produrre gli oggetti ma anche quello di acquistarli, fondendo insieme due figure oggi distinte, quella dei producer e quella dei consumer e dando vita a quella che per ora rimane ancora solo una provocazione chiamata prosumer. Le tecnologie di produzione digitale o di digital fabrication (in particolare le stampanti 3D) sono nate negli ultimi decenni del secolo scorso (il primo brevetto è del 1982) ma solo in questi ultimi anni, complice anche la scadenza di alcuni brevetti e la nascita 028

del movimento dei maker, si stanno diffondendo realmente a tutti i livelli del tessuto produttivo e, in Italia, iniziano a penetrare nella celeberrima PMI, dove secondo molti potranno trovare il terreno fertile per prosperare e produrre grandi benefici. Anche se oggi queste tecnologie vengono utilizzate solo o soprattutto dagli addetti ai lavori (maker o designer) e solo all’interno dell’industria e dei FabLab, laboratori di produzione digitale di cui parleremo a breve, sembra che le potenzialità e la flessibilità tipica del digitale, che queste macchine integrano completamente, siano davvero destinate a far nascere i prosumer, consumatori che produrranno e modificheranno (editeranno) i prodotti proposti e venduti dalle aziende. Non sappiamo dove si fermeranno le stampanti 3D: in un centro di fabbricazione di quartiere, nel negozio sotto casa o nel garage o nel soggiorno del cliente finale, ma è quasi certo che come è successo per il personal computer (nato nel 1975 e che oggi teniamo in tasca) queste tecnologie sono destinate a diventare sempre più facili da usare e alla portata di tutti. In questo scenario, non troppo lontano, nasceranno due tipologie di prosumer:


I FabLab sono una palestra dove gli innovatori (ma anche i futuri clienti e cittadini) possono allenarsi a un nuovo paradigma, luoghi dove le tecnologie digitali per la produzione sono a disposizione di chi intende proporre al mercato una sua nuova visione

quelli che stamperanno pedestremente i prodotti così come proposti dall’azienda di partenza e chi, invece, in un auspicato contesto di open innovation, modificherà e proporrà nuove release del prodotto, contribuendo alla sua innovazione e magari guadagnando qualche “soldino” in una logica di revenue sharing. Entrambi questi approcci al mondo del prodotto e del progetto vengono sperimentati tutti i giorni all’interno dei FabLab, mostrando a imprenditori e designer (ma anche a semplici cittadini) i vantaggi di questa nuova filosofia di produzione, distribuzione e vendita del prodotto. È interessante notare che il più importante risultato portato dalla diffusione di queste rivoluzionarie tecnologie sarà l’apparizione, accanto ai grandi player che oggi caratterizzano il mondo del prodotto, di tante microimprese che, agevolate e supportate da economiche macchine di produzione digitale, potranno soddisfare piccole nicchie e/o promuovere una produzione di merci personalizzate che oggi (ancora) la grande industria non riesce a proporre. Noi in questo articolo l’abbiamo definita rivoluzione della microimpresa ma gli americani, in modo forse più rivoluzionario, la

chiamano desktop manufacturing revolution, sottolineando così in modo più marcato la leggerezza e le piccolissime dimensioni di queste macchine per la produzione digitale. Chi scrive questo articolo ha fondato quasi tre anni fa il primo FabLab nella città di Milano (www.thefablab.it) e, oggi più di allora, è convinto che stia davvero nascendo una nuova generazione di progettisti e di imprenditori che prima di quanto pensiamo sapranno fondare nuove aziende, inventare nuovi modi per distribuire in rete i beni fisici, proponendo nuovi prodotti e servizi che nel futuro diventeranno consuetudine. A ben guardare, i FabLab sono una palestra dove questi innovatori (ma anche i futuri clienti e cittadini) possono allenarsi al nuovo paradigma, luoghi dove tutte le tecnologie digitali per la produzione e la customizzazione dei prodotti sono a disposizione di chi intende proporre al mercato una sua nuova visione. I FabLab sono il futuro e la rappresentazione concreta dell’era dell’open innovation e di una nuova filiera del prodotto. 029


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approfondimento

IL MARKETING... SEI TU articolo di Michele Fossi Giornalista illustrazioni di Undesign

È uno scambio continuo quello che compiono oggi le aziende con i propri clienti, che esigono di customizzare, se non addirittura co-disegnare, il prodotto, verificare sul web la veridicità di ogni claim, interagire in maniera personalizzata. In questo dialogo a “tu per tu”, ecco le principali tendenze che stanno rivoluzionando il mondo del marketing nell’era del “consumer empowerment”.

Collaborative design Attraverso la fan page australiana e per mezzo di un’applicazione Facebook, l’impresa di ristorazione internazionale Domino’s Pizza ha chiesto ai propri fan australiani di scegliere nome e ingredienti di una nuova varietà di pizza da inserire nel menu ufficiale, con ottimi risultati in termini di vendite. Anche numerosi colossi internazionali dell’abbigliamento e accessori sportivi, come Nike e Oakley hanno abbracciato recentemente la pratica di adattare il design dei propri prodotti in funzione dei feedback dei consumatori, raccolti con sistemi di voto online e concorsi a premi. Coinvolgere la propria clientela nel design del prodotto è una strategia di marketing sempre più comune, che risponde alla crescente esigenza dei consumatori empowered di 030

entrare in dialogo con l’azienda. Quella a cui assistiamo è una duplice metamorfosi: da un lato i consumatori diventano co-designer, dall’altro il brand si fa “piattaforma d’ascolto”, deputata a raccogliere i feedback di clienti desiderosi di dire la loro sui prodotti. In questo modo, l’azienda cede parte del proprio potere decisionale, ma aumenta la probabilità di avere una clientela soddisfatta e motivata.


Gli evangelisti del brand Uno degli scopi primari del marketing in questo momento storico è convertire i consumatori in Brand Evangelist, indurli cioè a parlare positivamente del marchio sui social network o a voce ai loro amici e familiari. Una forma di pubblicità “orizzontale” che non piomba dall’alto, per bocca dei canali pubblicitari classici come tv e radio, ma procede attraverso un passaparola tra consumatori che, se ben congegnata, può rivelarsi estremamente efficace. Per innescare il tam tam, una pratica diffusa è quella di creare piattaforme ad hoc sul web che, con espedienti sempre diversi, forniscano i presupposti affinché il consumatore, in maniera più o meno conscia, diventi ambasciatore del brand presso i propri contatti sui social network. Per esempio, nell’aprile del 2013 per il lancio del nuovo

Karl Lagerfeld Store ad Amsterdam, la casa di moda ha creato un’app con cui i visitatori del negozio, per mezzo di tablet fissati alle pareti dei camerini, hanno avuto l’insolita possibilità di condividere istantaneamente, con un’inquadratura e una grafica accattivante, i vari look proposti dal brand con gli amici, e chiedere loro un parere prima dell’acquisto. La fatidica domanda “Dici che mi sta bene?”, rivolta a un’intera rete di contatti e non più solo a un annoiato compagno di shopping in carne e ossa ha garantito alla maison uno straordinario ritorno di visibilità.

Pubblicità che insegna Buone notizie per i giornalisti: a dispetto della crisi dell’industria della carta stampata, pare che le aziende avranno sempre più bisogno di loro, stando almeno alla rapida crescita del content marketing, la pubblicità basata sulla creazione di contenuto (testo, video, immagini ecc.) in grado di suscitare un sincero interesse nel pubblico. «Per acquisire notorietà sul mercato, consolidare il rapporto di fiducia con la propria clientela e, soprattutto, attrarne di nuova, sempre più aziende si trasformano in veri e propri mass media, producendo regolarmente contenuti in grado di interessare il bacino di utenti cui si vuole far conoscere il brand», spiega Joe Pulizzi, CEO del Content Marketing Institute e autore dei bestseller Epic Content Marketing e Content.inc. «Questo può avvenire, per esempio, nella forma di post sui social media, articoli sulla homepage aziendale, accattivanti newsletter. Oggi, per creare un rapporto duraturo con il brand non basta più martellare il cliente di slogan pubblicitari, ma occorre realmente interessarlo, coinvolgerlo, dargli qualcosa in cambio». Alcune aziende, come Moleskine, sono riuscite a creare una piattaforma di con-

tenuti generati non da un team aziendale ma dagli utenti stessi, myMoleskine Community, dedicata alla condivisione di disegni creati sulle pagine del noto taccuino da viaggio. In poco tempo la piattaforma ha saputo attrarre un gran numero di utenti che contribuiscono regolarmente con materiale originale, riuscendo al contempo a consolidare l’associazione tra il brand e un valore positivo come quello della creatività. «E, soprattutto, ad attrarre e fidelizzare la clientela più sensibile all’acquisto dei loro prodotti o servizi: il popolo dei creativi e dei viaggiatori. Non a caso il nostro motto al Content Marketing Institute è: “Costruisci prima il tuo pubblico, poi il tuo prodotto”». O, per dirla con le parole del guru del marketing, Gary Vaynerchuk: «Preferisco avere 10.000 follower di cui 9000 comprano i miei prodotti, piuttosto che averne 100.000, di cui solo 2000 disposti ad aprire il portafoglio». 031


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Popmarketing Se si considera la capacità di fare da cassa di risonanza di un messaggio pubblicitario sul web, le popstar “inceneriscono” le performance di sportivi e attori: i 77 e 90 milioni di follower su Facebook di Katy Perry e Rihanna fanno impallidire i tre milioni di Brad Pitt e Robert Pattinson. Non stupisce dunque che, per la «campagna più digitale di sempre», Calvin Klein abbia scelto il re indiscusso dei social media, la popstar Justin Bieber (più di 59 milioni di follower su Twitter e 77 su Facebook), lanciando una serie di iniziative rivolte ai suoi fan. Come #Calvinkleinlive: un live di Bieber trasmesso su calvinklein.com e su canali social come Facebook, Tumblr, Twitter, Google+ e YouTube. Complice anche un piccolo “scandalo” legato ai muscoli di Bieber (photoshoppati o no?) che ha dato ulteriore visibilità alla campagna, Calvin Klein ha concluso la stagione con ben 3,6 milioni di nuovi follower su Facebook. «Nell’era dei social media, più che modelli e modelle vedremo crescere l’importanza di star dal grande seguito sul web come testimonial di campagne rivolte direttamente ai fan, che puntano a ottenere un “travaso” di follower dalla star all’azienda», spiega Hamish Pringle, consulente strategico dell’agenzia londinese 23red e autore del libro Celebrity Sells. «Il principio non è dissimile da quello del content marketing: per coinvolgere i consumatori sempre più esigenti, occorre far leva sui loro interessi e sulle loro passioni, e la musica è tra quelle che ha più potenziale di generare traffico».

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Selfie smagliante Una recente campagna digitale di Calvin Klein è #mycalvins, nella quale il marchio statunitense ha invitato i propri clienti a postare un selfie indossando un capo intimo del brand. Anche Colgate, per la campagna Smile, lanciata su Facebook la scorsa estate, ha chiesto ai propri clienti di caricare autoscatti che li ritraessero nell’atto di mostrare i propri sorrisi smaglianti: i migliori sono stati trasformati in poster collage di grandi dimensioni esposti nei supermercati e nei centri commerciali. In base ai dati forniti da WaveMetrix, una società che si occupa di buzz analysis, la campagna ha sortito l’effetto positivo desiderato: non solo sul web si parla 2,5 volte di più del brand, ma il suo nome, grazie ai tanti sorrisi, ne avrebbe guadagnato anche in termini di immagine. Lo sdoganamento del selfie come strumento di marketing è ormai definitivo: sempre

più spesso il consumatore finale diventa addirittura il “volto” delle campagne pubblicitarie. Un buon esempio è la campagna di Philips Express Yourself Every Day, divenuta in breve tempo virale, nella quale i clienti delle note lamette da barba sono stati invitati a caricare online un autoscatto, e, in un secondo momento, a provare virtualmente sul proprio volto i più disparati stili di barba, basette e pizzetti, il tutto tramite i filtri di un’apposita applicazione. Difficile resistere alla tentazione di chiedere un parere agli amici, o, nel caso dei look meno felici, farsi una risata condividendo col tasto share le immagini sulla piattaforma.

Solo per te I tempi del marketing di massa, incentrato su un messaggio rivolto indistintamente a milioni di consumatori, paiono sempre più lontani. Grazie a innovazioni rivoluzionarie come Google AdWords, l’1:1 marketing, cioè il marketing ritagliato sul profilo dei singoli consumatori, oggi è una delle più importanti tendenze nel mondo della pubblicità. «I consumatori chiedono esperienze di acquisto personalizzate, e le aziende, monitorando le loro attività online, puntano a intercettarne esigenze e desideri». Nata con la diffusione di smartphone ed e-commerce e il conseguente accumulo di immense quantità di dati specifici per

cliente, la tendenza si conferma ormai un’esigenza generalizzata dei consumatori empowered, e una carta vincente anche fuori dallo schermo. Sephora, per esempio, ha moltiplicato le vendite grazie al Color IQ System, un sistema di riconoscimento automatico della tonalità della pelle con cui ha promesso, prima della concorrenza, un’esperienza di acquisto personalizzata. «Ci eravamo resi conto che le nostre clienti cercavano la tonalità di fondotinta o rossetto più adatta un po’ a tentoni, arrivando ad acquistare fino a sette prodotti di tonalità diverse prima di trovare quello che più faceva al caso loro», racconta Bridget Dolan, VP of Interactive Media di Sephora, «oggi siamo in grado di proporre a ciascuna i prodotti più indicati. La campagna ha avuto un importante ritorno di vendite. I clienti oggi preferiscono dialogare con un’azienda in un rapporto il più possibile diretto, personalizzato, piuttosto che subire lo sciorinamento di slogan generici». 033


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Tutti possono essere Superman Partecipare a un concorso, incrociare le dita e sperare di vincere un premio è un’attività per definizione elettrizzante, in grado di riportare molte persone – spiegano gli esperti – all’aspettativa gioiosa dello scarto dei regali della propria infanzia. Lo sa bene chi si occupa di marketing e sempre più spesso cavalca l’onda di concorsi e altre forme ludiche di interazione per guadagnarsi l’attenzione e la simpatia del pubblico. Un buon esempio è Arduino, la nota piattaforma open source per la creazione di prototipi elettronici, che regolarmente lancia concorsi per inventori interessati a presentare nuovi marchingegni interfacciabili con la piattaforma. Nella maggioranza dei casi il contest marketing prende la forma di concorso fotografico. È il caso della strategia pubblicitaria

impiegata dalla Warner Bros per l’uscita del film L’uomo d’acciaio, dedicato a Superman: ai visitatori della pagina Facebook del film veniva chiesto di caricare foto di se stessi vestiti come il supereroe, dietro alla promessa di premi per le foto più belle e divertenti. Sistemi del genere diventano rapidamente virali: per ottenere più voti gli utenti sono indotti a condividere l’iniziativa sulle pagine Facebook dei propri amici, col risultato che attorno al film si è creata, ancor prima della sua uscita nelle sale, una folta comunità web e una grande aspettativa. Di grande successo anche il concorso Their Real Beauty Should Be Shared (“La loro vera bellezza deve essere condivisa”) sulla pagina web della nota marca di prodotti per il corpo Dove. Il brand ha chiesto ai propri follower di postare la foto di loro conoscenti che considerano esempi di bellezza “reale” e non artefatta, promettendo di impiegare i vincitori del concorso come testimonial delle future campagne pubblicitarie.

Sharing marketing Seguendo l’esempio di aziende concorrenti come Daimler, Ford e BMW, anche Opel, alcuni mesi fa, ha annunciato il suo ingresso nel mondo del car sharing urbano. La trasformazione delle case automobilistiche da meri costruttori a fornitori di servizi va letta anche come una nuova forma di marketing, i cui vantaggi sono evidenti: attraverso un servizio a pagamento, con cui realizza ulteriori profitti, l’azienda ottiene anche che, guidandolo, milioni di possibili acquirenti familiarizzino in prima persona col prodotto, senza peraltro avere la sensazione di essere coinvolti in un’operazione pubblicitaria. Attraverso l’app Car Unity, Opel dallo scorso giugno promette di rivoluzionare il mondo del car sharing estendendo la possi034

bilità di condivisione anche alle auto private. In altre parole, il modello Airbnb, che ha cambiato per sempre il mondo dell’ospitalità consentendo la condivisione di appartamenti, applicato a quello della mobilità urbana. Si rivelerà altrettanto di successo? Di sicuro moltiplicherà la visibilità della casa automobilistica, aumentando il numero di veicoli Opel a disposizione della comunità e, soprattutto, la varietà di modelli, che i cittadini avranno modo di testare.


Social brand Secondo il sito di informazioni economiche Bloomberg, il social-media ad spending, la voce spesa dalle aziende per pubblicità sui social network, passerà da quasi cinque miliardi di dollari alla fine del 2012 a 9,8 nel 2016. Ad aumentare, promettono gli esperti, saranno in particolare le iniziative di marketing che coinvolgeranno anche i social media “minori”, come Pinterest, Google+, Tumblr e Instagram. «La diversificazione del social media marketing su più social network si annuncia come uno dei trend nei prossimi anni», spiega Lauren Kaye, Marketing Editor di Brafton Inc. «Non basta, si badi bene, essere presenti su tutte le piattaforme, quanto fornire i messaggi e le informazioni che il consumatore, sempre più esigente, si aspetta di trovare su ciascuna di esse». E cioè immagini curiose e interessanti su Pinterest; immagini ad alto impatto estetico, che fungono da premessa al racconto di una storia, su Instagram; pillole di informazione accattivanti, facili da condividere, su Twitter ecc. «Passando da una piattaforma all’altra, il brand deve trovare il modo di modulare opportunamente forma e contenuto del messaggio, e riuscire al contempo a rimanere riconoscibile». Il cambio di strategia di marketing va interpretato come una reazione al fatto che un numero crescente di consumatori si muove ormai regolarmente su più social media. In base a uno studio di Pew Research su un campione di 1000 internauti statunitensi, nel 2014 il 52% degli intervistati aveva un profilo su diversi social network; il 36% almeno su due, il 16% su tre, l’8% su quattro e il 4% su cinque. Mentre tutte queste percentuali di overlap sono in netto aumento, quella di utenti presenti solo su un’unica piattaforma è scesa in un solo anno dal 36% al 28%.

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Co

contesti

IL MERCATO DELL’ENERGIA:

una nuova connessione col cliente articolo di Nicola Lanzetta Responsabile Mercato Italia, Enel

Non c’è nulla di più dinamico del mercato, e quello energetico è cambiato molto negli ultimi anni. Oggi il consumo di energia è agile e veloce come un click sullo schermo di uno smartphone e le aziende devono saper intercettare rapidamente quello che cercano i clienti, incontrandoli anche in nuovi territori.

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Diversificare e innovare sono le parole d’ordine per affrontare le sfide di un mercato in cui il ruolo del cliente è sempre più attivo e consapevole

Auto senza guidatori sono in prova per le strade della California, un giornale senza redazione è diventato il più importante notiziario del mondo, una rete di case messe a disposizione da privati sta mandando in crisi le grandi catene alberghiere. Questi sono solo alcuni degli esempi possibili per descrivere la scena attuale dei mercati, costituita da start-up leggere e nuovi concorrenti che sfidano i leader di settore, barriere all’ingresso che si infrangono nel (poco) tempo che serve per sviluppare un’app e clienti sempre connessi e pronti ad accogliere la migliore proposta con un click, anzi – sempre di più – con un tocco sullo smartphone. Queste tendenze sono indubbiamente accelerate dallo sviluppo

delle tecnologie digitali, i cui costi decrescenti rendono sempre più facile e meno oneroso competere su scala delocalizzata e tentare incursioni in settori molto diversi tra loro. I clienti raggiungibili attraverso i canali digitali, d’altra parte, non sono più confinati nella nicchia degli “smanettoni”: in Italia ormai più dell’85% delle famiglie ha accesso a internet e la navigazione in mobilità ha superato pro-

prio quest’anno i volumi di traffico della navigazione da PC fisso. Sembra appunto che smartphone e tablet, con l’immediatezza del touch e delle app al posto del mouse e dei software, abbiano aiutato a rimuovere le resistenze residue nelle fasce della popolazione più anziana o refrattaria all’innovazione, e c’è da aspettarsi che nei prossimi anni, con l’ulteriore abbattimento dei costi per dispositivi e connessione e complice il ricambio generazionale, la popolazione italiana non connessa si azzeri del tutto. In questo contesto, ogni impresa che operi in qualsiasi settore corre un solo reale pericolo, per dirla con una formula molto amata dall’AD di Amazon Jeff Bezos: «Il pericolo di non evolversi». In particolare 037


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FUTUR-E Un concorso per dare nuova vita ai 23 siti Enel non più produttivi: questo è Futur-E, un passo importante verso la riqualificazione del territorio e il rinnovamento dello scenario energetico italiano, con al centro le esigenze della comunità. Stakeholder e operatori del settore imprenditoriale, attraverso il sito web, diventano protagonisti del cambiamento rispondendo alla call to action di Enel, sviluppata con l’ausilio del Politecnico di Milano. Il sito di Alessandria è il primo a raccogliere la sfida.

oggi, nonostante la composizione della domanda delle famiglie sia rimasta essenzialmente la stessa di quella dei tempi dei nostri genitori, assistiamo dal lato dell’offerta a una veloce convergenza di settori, cioè al tentativo di aggredire i margini di altre imprese entrando in mercati non strettamente collegati al proprio core business. Questo è senz’altro vero anche per il settore delle commodity, anche se finora non ha subito sostanziali stravolgimenti rispetto all’assetto competitivo e alla struttura della domanda. Quello che ci chiediamo, da uomini di marketing e da leader del mercato libero dell’energia, non è tanto “se” oppure “quando” aspettarci una discontinuità, ma come costruire un cambiamento a partire dai punti di forza attuali del nostro business. Enel gode già di tre grandi asset che le assicurano un vantaggio competitivo: il suo brand è tra i più conosciuti e credibili in Italia, circa 30 milioni di clienti si avvalgono 038

dei suoi servizi e – di questi – 10 milioni l’hanno scelta come fornitore sul mercato libero e la sua presenza sul territorio è capillare e radicata. Su queste basi abbiamo cominciato, negli ultimi anni, a costruire la strada per diventare il fornitore di riferimento per tutte le esigenze energetiche domestiche, ben al di là della semplice vendita di luce e gas, allo stesso modo in cui i campioni dell’innovazione stanno trasformando e diversificando le proprie attività grazie al capitale costituito dalla credibilità dei brand e dalla fidelizzazione dei clienti costruita attraverso la qualità offerta nel proprio core business. Già oggi un cliente può acquistare direttamente da Enel Energia i propri impianti di climatizzazione con la garanzia di una classe energetica superiore e di un servizio chiavi in mano; può scegliere di generare da sé la propria energia tramite gli impianti a fonti rinnovabili prodotti e installati da tecnici specializzati; può rivoluzio-

nare il suo approccio alla mobilità e minimizzare la sua impronta ecologica acquistando un’auto elettrica brandizzata Enel e ricaricandola presso le nostre stazioni. Il prossimo passo che ci aspetta consiste nell’estendere la gamma di prodotti e servizi a disposizione dei clienti. Una sperimentazione è già in corso per affiancare ai dispositivi per l’acqua calda e il clima attualmente in vendita una gamma completa di elettrodomestici ad alta efficienza. Se il catalogo dei veicoli elettrici è stato già ampliato con l’offerta delle due ruote come scooter e biciclette, anche i servizi di car sharing municipali a zero emissioni e massima circolabilità sono un territorio da esplorare. Il pacchetto per la casa si arricchisce di servizi di assistenza a tutto tondo sui guasti e di soluzioni assicurative a più ampio spettro. Infine, in un contesto in cui l’internet delle cose costituisce la nuova frontiera dell’innovazione, entriamo nel campo della domotica tramite i


sistemi di smart metering e di controllo a distanza degli impianti e degli elettrodomestici. Diversificare il portafoglio di offerta per avere soluzioni integrate per le famiglie. Inoltre il mondo dei clienti business, sempre più esigenti in fatto di semplificazione e consulenza energetica, è costituito da persone desiderose di ottenere dal proprio fornitore qualcosa che vada al di là del cosiddetto contatore. Da semplice fornitori diventeremo veri e propri partner, tramite offerte disegnate in base ai bisogni specifici di ciascun settore. Enel Energia potrà inoltre diventare il punto di contatto tra i due mondi che compongono la propria base clienti, quello delle famiglie e quello delle imprese, nella logica degli attuali sistemi a piattaforma e cioè fornendo ai clienti residenziali un canale d’accesso privilegiato ai prodotti e ai servizi dei clienti business, e viceversa a questi ultimi un’opportunità di contatto con nuovi potenziali consumatori. Diversificare e innovare sono dunque le parole d’ordine per affrontare le sfide di un mercato in cui il ruolo del cliente è sempre più attivo e consapevole. Tenerlo saldamen-

te al centro della propria strategia e al termine di ogni percorso di innovazione è d’altra parte la scelta che ha reso tali i cosiddetti grandi innovatori: il primo principio strategico di Amazon è letteralmente «l’ossessione per il cliente» e Apple ha disegnato ogni singolo pulsante dei suoi dispositivi avendo in mente il concetto di esperienza al posto di quello di fruizione. Farsi guidare dal consumatore è una scelta che richiede un cambio totale di prospettiva rispetto al marketing tradizionale: il fatto che un bambino in Africa tramite uno smartphone possa avere accesso a più informazioni di quante ne avesse un presidente degli Stati Uniti 15 anni fa, per esempio, è qualcosa che dovremmo tenere presente anche in settori come il nostro, apparentemente lontani dal digitale e dall’hi-tech. Nei mercati occidentali siamo già oltre la semplice accessibilità delle informazioni, dal momento che i clienti partecipano direttamente e senza filtri – principalmente attraverso le piattaforme social – alla produzione e diffusione delle informazioni e dei contenuti diventando essi stessi, di fatto, un medium. Guardare ai clienti come

a una delle nostre leve di comunicazione è un altro dei tanti cambi di paradigma a cui siamo chiamati. Il successo del cambiamento dipenderà senz’altro dalla capacità e velocità nel riprogrammarci internamente per dedicare sforzi all’innovazione e rischiare su percorsi nuovi, ma anche dalla selezione degli sforzi giusti: se vale il principio che il 20% delle attività determina l’80% dei risultati, sarà cruciale individuare – rapidamente e restando sintonizzati con i bisogni dei nostri consumatori – quel 20% che fa la differenza nei mercati.

Ogni impresa che operi in qualsiasi settore corre un solo reale pericolo, per dirla con una formula molto amata dall’AD di Amazon Jeff Bezos: il pericolo di non evolversi

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In

intervista

SEGNI PA R T I C O L A R I: C O N S U M ATO R E Intervista ad Alessandro Cattelan Presentatore televisivo di Andrea Girolami Giornalista

Identikit del consumatore odierno: riempitore seriale di carrelli online, geek dal dito veloce per scaricare la nuova app che consegna la spesa in un nanosecondo, lettore senza libreria perché vuoi mettere la praticità del Kindle. Abbiamo chiesto ad Alessandro Cattelan se si riconosce in questo profilo e abbiamo scoperto molte cose, dall’amore per i libri di carta all’attenzione quasi pioneristica per l’energia. I sondaggi raccontano di consumatori che passeggiano per i negozi fotografando QR code per cercare informazioni, che consultano i blog mentre scelgono se comprare un prodotto o un altro, che se non hanno tempo di recarsi fisicamente in un posto acquistano tranquillamente online. Questo dovrebbe essere il consumatore evoluto, consapevole, informato e dotato di tecnologie all’avanguardia. Ma è già così? Siamo ancora in fase evolutiva o abbiamo raggiunto uno standard da consumatore 2.0? Abbiamo chiesto ad Alessandro Cattelan di prestarsi come campione d’indagi040

ne, di raccontarci le sue abitudini di consumo e quanto la tecnologia influisce su di esse. Tutti dovrebbero telefonare ad Alessandro Cattelan, almeno una volta ogni tanto. Il presentatore di X-Factor (oltre che speaker a Radio Deejay, scrittore, attore, compagno e padre) è una persona capace di ispirare una serenità fuori dal comune. In questi giorni concitati fatti di messaggi istantanei, visioni future più o meno torbide e paure millenariste (anche se l’anno 2000 è passato da un bel po’), Alessandro è in grado di riportare tutti con i piedi per terra già nei primi secondi

di conversazione. «Non ho mai imparato a sfruttare la tecnologia in modo completo» confessa candidamente, «uso il telefono in maniera ancora abbastanza basilare: chiamate, WhatsApp, due o tre applicazioni ma niente di che». Ed è solo l’inizio: Cattelan sembra impermeabile non solo a qualunque mania tecnologica che pare aver stregato il resto del mondo, ma anche a turboconsumismo («faccio questa cosa folle: compro quello che serve»), e uso e abuso di cibi bio, a chilometro zero e simili. «Sono ancora vecchia scuola, oltre la pasta integrale non vado, però ho scoperto che mi piace


Alessandro va quasi sempre a fare acquisti di persona: ÂŤĂˆ anche un momento per stare insieme a mia figliaÂť

tratto distintivo consapevolezza

acquisti in negozio il valore del tempo

hobby non pilotare droni

cibo non per forza bio

acquisti online di stranezze

2.0 consumatore con i piedi per terra

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energia verde ed efficiente

mezzi di trasporto quelli degli altri

più il gusto e mi hanno fatto notare che fa anche meglio, quindi perfetto». Quasi a suggerire che forse il consumatore di domani non è quello che si fa prendere dalle mode o dall’ossessione tecnologia, ma una persona consapevole, che utilizza la tecnologia per lo stretto necessario, per informarsi e avere i giusti strumenti per decidere. La faccia da “bravo ragazzo” che lo ha trasformato nel figlio buono e brillante che tutte le mamme vorrebbero (oltre che nel nipote sveglio e gentile di una famosa serie di spot) non sembra essere una montatura ma la pura realtà dei fatti. Da una celebrità come lui ci si aspetterebbero acquisti blindati, rigorosamente online, per evitare potenziali schiere di aspiranti popstar appostate al supermercato sotto casa, in attesa dell’occasione di fare un provino tra il banco dei surgelati e quello della carta igienica. Ma Alessan042

dro va quasi sempre a fare acquisti di persona: «È anche un momento per stare insieme a mia figlia». Online compra poco, anzi pochissimo. E che cosa? Cose varie, come un cofanetto della serie tv Friends diversi anni fa («qui in Italia non si trovava»), o un curioso nettalingua, di cui con soddisfazione vuole spiegarci la funzione: «È una barra di rame che ti passi sulla lingua la mattina prima di lavarti i denti o la sera prima di andare a dormire e igienizza la bocca, previene il mal di gola. Un acquisto che forse avrei anche potuto fare fisicamente, visto che per comprarlo ho speso più per la spedizione che altro». Eppure anche nella vita di Alessandro Cattelan ci sono “vittime collaterali” della rivoluzione digitale: i supporti musicali. «Alla fine sento il bisogno del disco fisico solo quando sono a casa. La musica l’ascolto e la tengo nel telefono». E per i libri?

Vale la stessa cosa? «È diverso, i lettori di libri digitali mi stanno quasi antipatici, ci ho provato ma non riesco proprio a farmeli piacere. Quando vado in vacanza riempio ancora la valigia di quattro o cinque libri; magari rinuncio alle mutande, ma vedere un libro diventare sempre più sottile mentre lo leggo è una cosa che mi dà soddisfazione. Su un Kindle questo non succede, tutto rimane uguale: posso continuare a sfogliare all’infinito senza che ci sia nessun vero cambiamento». Fin qui il presente degli oggetti che ormai tutti utilizziamo. Ma per le visioni di cui parlavamo all’inizio? Droni capaci di consegnarci a casa un ordine fatto online in una manciata di minuti, e non solo: auto che si guidano da sole, di cui Google sfoggia già i primi prototipi, e su cui pare che anche Apple stia lavorando. «In verità questa storia dei droni inizia a farmi sorridere» sogghigna


Alessandro al telefono, «sono le solite cose che da principio sono una sciccheria e subito dopo diventano mainstream». Continua: «Per esempio nel mondo della produzione video, dove sembra che nessuna ripresa sia possibile se non hai un drone. Qualche anno fa succedeva la stessa cosa con le persone che si sentivano fotografi solo perché avevano l’app per mettere tre filtri alle foto. Adesso sono tutti registi d’avanguardia perché hanno il drone; magari non sono capaci di mettere a fuoco, ma sanno far volare questo coso». Il giorno della nostra telefonata coincide con l’apice dello scandalo emissioni Volkswagen: impossibile non incalzarlo dunque sulla possibile soluzione utopica a problemi di questo tipo. Un mondo dove a circolare saranno solo auto elettriche, che si guidano da sole per giunta. Che ne pensa il capitano di X-Factor? «Personalmente, non amando guidare, non vedo l’ora che arrivino macchine che si guidano da sole e parcheggiano da sole. Anche se, sentendone parlare da anni ma non avendone mai vista una con i miei occhi (né conoscendo qualcuno che l’abbia guidata), comincio a chiedermi se non ci troviamo piuttosto nella sceneggiatura di Ritorno al futuro...». L’energia, oltre a essere il tema che incalza sempre più la discussione X-FACTOR In onda questo autunno su Sky Uno HD, la nona edizione di X-Factor Italia ha visto Alessandro Cattelan dirigere, per il quinto anno, la competizione tra dodici giovani talenti musicali, giudicati da un parterre d’eccezione: Elio, Mika, Fedez e Skin. Il talent di origine britannica, e ormai diffuso in tutto il mondo, in Italia si è concluso il 10 dicembre con la vittoria di Giosada.

globale, è anche uno dei servizi in cui la consapevolezza del consumatore rappresenta una delle strade per raggiungere l’efficienza. Alessandro, in particolare, ha a cuore il tema energetico ed è il protagonista degli spot a cui accennavamo in precedenza, quelli in cui lo si vede all’opera in scene di vita quotidiana a raccontare che per evitare di sprecare energia basta davvero poco. Il consumatore evoluto è quindi un consumatore più attento? Forse sì. «Per quanto riguarda il risparmio energetico mi ritengo una sorta di pioniere. Nella mia abitazione di Milano ovviamente è più difficile perché è in contesto condominiale, ma a Tortona, dove ho costruito una casa più nuova, già 10 anni fa avevo installato pannelli fotovoltaici e coperture di sughero per i muri per avere una ridotta dispersione del calore e dell’energia. È un tema che mi è stato sempre a cuore perché sono fermamente convinto che, più andiamo avanti, e più ci sarà bisogno di gestire bene quel che abbiamo, come energia e acqua». Forse è proprio questo il nuovo consumatore, più concentrato sulla sostanza che sulle mode, che utilizza la tecnologia come un mezzo e non come unica risorsa possibile, che pensa, innova e sceglie, che ragiona puntando all’efficienza.

L’energia è un tema che mi è stato sempre a cuore, perché sono fermamente convinto che, più andiamo avanti, e più ci sarà bisogno di gestire bene quel che abbiamo

tecnologia un utile mezzo

libri digitali ma soprattutto di carta

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contesti

CONDIVISIONI AD AMPIO RAGGIO articolo di Luca Salvioli Giornalista

Lo hanno capito le amministrazioni cittadine, le grandi aziende e anche il mondo finanziario. La condivisione non è un isolato atteggiamento romantico della società, è uno degli strumenti ai quali la ricerca di efficienza – e anche quella di profitto – può affidarsi. Dai mezzi pesanti in comune in Oregon ai minibus finlandesi, fino ai camion per il trasporto merci che solcano le autostrade americane: ovunque si mettono insieme risorse, e spesso sono le start-up a inaugurare tendenze.

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Negli inverni più rigidi dell’Oregon, costa nordoccidentale degli Stati Uniti, quando la neve si fa abbondante il dipartimento dei trasporti non si perde d’animo. Difficilmente avrà il problema di reperire i mezzi necessari per risolvere la viabilità urbana. Basta andare su Munirent, avviare la ricerca per uno spalaneve e vedere se qualche contea ha un mezzo fermo e dunque disponibile. Lo stesso vale per schiacciatori, spargisabbia e così via: il sito consente alle amministrazioni pubbliche di scambiarsi le risorse che altrimenti non sarebbero impiegate; e quello dell’Oregon è solo uno degli esempi più interessanti. Anche questa è sharing economy, anzi, è nelle amministrazioni pubbliche che si vedono i casi più virtuosi che, grazie alla condivisione di risorse, permettono di ottimizzare gli investimenti (nulla resta fermo in magazzino), ridurre l’inquinamento e la congestione delle città con la non trascurabile conseguenza di creare un terreno fertile per nuove attività imprenditoriali (vedi Munirent). Mentre sulla multimilionaria Uber si concentrano le attenzioni di tutto il mondo, specie per le conseguenze dirompenti rispetto ai tradizionali business dei trasporti, e ci si interroga se la nuova occupazione non sia altro che un moderno precariato strutturale, nelle città la tecnologia rende possibili nuovi modelli di partecipazione all’insegna di sostenibilità e qualità della vita. Il contesto di fondo è quello di un cambiamento epocale, ovvero quello che segna il passaggio dal possesso all’utilizzo. Perché un’amministrazione pubblica dovrebbe spendere centinaia di migliaia di euro in acquisti quando il cittadino qualunque ha la possibilità di rinunciare se non alla prima alla seconda auto grazie al car sharing? Il mondo consumer è spesso una palestra per le applicazioni in ambito pubblico e per le aziende private grandi o piccole.

Restando nel caso delle amministrazioni, in Finlandia i cittadini hanno una nuova alternativa per muoversi per le strade di Helsinki. Si chiama Kutsuplus ed è un servizio di minibus on demand più costoso di un autobus ma meno di un taxi, con l’obiettivo di ridurre il numero di auto in circolazione. È una specie di bus sharing che mette insieme fino a nove persone dando anche indicazioni via app su come raggiungere la destinazione a piedi o in altro modo una volta che il bus arriva alla fermata. Spostandosi dall’altra parte del mondo, in Corea del Sud, si trova uno degli esempi più dura-

Nel 2012 è stato lanciato il progetto “Sharing city Seoul”. La città ha stanziato fondi e strutture per la nascita di startup che potessero favorire una gestione efficiente delle risorse pubbliche 045


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turi. Seul ha circa 10 milioni di abitanti, una densità abitativa molto elevata e probabilmente la migliore infrastruttura IT al mondo con quasi il 100% di penetrazione della banda larga. Ha inoltre bisogno di combattere l’inquinamento cittadino. Le autorità hanno lanciato nel lontano settembre 2012 il progetto “Sharing city Seoul”, composto da diverse fasi. La città ha stanziato fondi e strutture per la nascita di start-up che favorissero una gestione efficiente delle risorse pubbliche. Ha poi messo a disposizione gli spazi pubblici inutilizzati e i big data dell’amministrazione. Ne sono nati servizi per la gestione intelligente dei parcheggi, per riempire le stanze vuote, scambiarsi i vestiti usati per i bambini, i libri di scuola, persino i pasti. Come si vede, perché il modello funzioni è necessario che ci siano le infrastrutture tecnologiche, a partire dalla banda larga. Le imprese che hanno saputo interpretare il cambiamento si sono arricchite molto in fretta: uno studio di giugno firmato da VB Profiles calcola che tutto questo mondo sia rappresentato da aziende che valgono 17 miliardi di dollari. Quali conseguenze, invece, per le grandi aziende? Innanzitutto l’opportunità di incorporare l’innovazione che arriva dalle startup. È il caso di Daimler: il costruttore tedesco – che controlla i marchi Mercedes e Smart – da tempo è attivo nei nuovi business dei trasporti attraverso la controllata Moovel, a cui fanno capo, tra gli altri, il car sharing Car2Go e mytaxi. Quest’ultima è una start-up fondata nel 2009 – stesso anno di Uber – da Niclaus Mewes e Sven Külper e acquisita da Daimler poco più di un anno fa. BMW ha lanciato il servizio di car sharing DriveNow e investito nell’app JustPark, che ha installato nelle Mini per permettere agli automobilisti di sapere in

Il mondo consumer è spesso una palestra per le applicazioni in ambito pubblico e per le aziende private grandi o piccole

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anticipo dove c’è un parcheggio libero. La catena alberghiera di lusso Hyatt ha invece investito in OneFineStay, un servizio di affitto di case di pregio, una specie di Airbnb di lusso. Ci sono anche casi – la maggior parte dei quali americani – che nascono per le necessità del business: dalle grandi aziende alle attività più artigianali. Cargomatic è un’azienda americana che sta trasformando il trasporto su gomma: connette i camion che si occupano di trasporto merci con le aziende che consegnano loro i prodotti e pagano le commesse. L’idea è quella di ottimizzare il servizio: se un tir ha ancora spazio e deve fare lo stesso tragitto può rendersi disponibile, arrotondare il servizio caricando altra merce e allo stesso tempo garantire un risparmio all’azienda sua controparte. Un caso simile è quello di TwoGo, un servizio di carpooling per pendolari che grazie a un algoritmo aiuta una condivisione più intelligente dei tragitti giornalieri per andare a lavoro (o per le missioni fuorisede). Wikispeed è invece una specie di Wikipedia per costruire vetture: i progetti vengono condivisi in open source tra ingegneri e meccanici e poi realizzate dalle autofficine distribuite in tutti gli Stati Uniti. Nasce così un’auto 2.0. Guardando in prospettiva, il modello è visto in forte crescita dagli analisti. C’è da aspettarsi molto, visto che si è mosso tardi, dal mondo corporate. Un settore particolarmente dinamico è quello finanziario, che per il momento vede i suoi massimi esempi nella finanza distribuita: scambio di soldi e finanziamenti senza intermediari, come succede con Zopa, Prestiamoci, Kickstarter e Indiegogo. Queste ultime piattaforme hanno permesso a chiunque di raccogliere centinaia di migliaia di dollari se il progetto è coinvolgente. Questa sì che è una rivoluzione, ed è soltanto l’inizio.

Le grandi aziende hanno l’opportunità di incorporare l’innovazione che arriva dalle start-up

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contesti

I MILLE V O LT I D E L L O SHARING articolo di Gea Scancarello Giornalista e autrice del libro “Mi fido di te”

LISA 28 anni

C’è chi mette a disposizione il suo tempo, chi le sue capacità; qualcuno regala il cibo in eccesso, magari acquistato in previsione di una cena mai fatta e che passerebbe dal frigorifero alla spazzatura. E poi ci sono quelli che offrono il proprio salotto per condividere un’esperienza: un reportage nel mondo della sharing economy alla scoperta di chi, mettendoci la testa, la rende possibile.

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Galeotto fu uno yogurt greco, e una cena mai fatta. È per colpa di quel barattolo, un alieno di plastica in un frigorifero di soli alimenti vegani, che Paola B. – 26 anni, architetto, bolognese – ha deciso di buttarsi nel mondo del foodsharing: letteralmente, condivisione di cibo. Nell’accezione più alta possibile: evitare lo spreco, redistribuire il sovrappiù, consumare (meglio) collettivamente. Al posto di adagiarsi nelle abitudini buttando quello che avanza o che si è comprato in eccesso, insomma, lo si dona a qualcun altro. Come? Pubblicando un’offerta su un sito internet, uno dei molti che in ogni Paese stanno nascendo a questo scopo. «Sono vegana e presto molta attenzione a tutto quello che ruota intorno al cibo. Quando l’amica per cui avevo comprato lo yogurt non si è presentata a cena, ho deciso di regalarlo», racconta Paola con un’emozione che trasuda buone intenzioni. «Sentivo di fare qualcosa di giusto. Non importa che fosse un solo barattolo, di poco valore: era un segno di cambiamento. Infatti mi ha scritto poco dopo una ragazza che era intenzionata a prenderlo». È il lato buono della sharing economy: forse meno popolare delle piattaforme più celebri, ma ugualmente rivoluzionario. Specie considerando che, stando ai dati della FAO, ogni anno un terzo degli alimenti prodotti nel mondo finisce in discarica, spesso senza nemmeno passare dal piatto. Numeri sconcertanti, e probabilmente non abbastanza noti, che hanno spinto Ilaria Venturelli, ingegnere, bolognese, poco più che trentenne, a creare la piattaforma S-cambia Cibo. «Mi avevano chiesto di progettare un ristorante a Mosca. Per farlo ho pensato di documentarmi sui consumi alimentari in zona e, a furia di leggere, sono arrivata ai dati sullo spreco nel mondo. Mi sono realmente indignata e ho deciso che nel mio piccolo dovevo provare a fare qualcosa», racconta. Così è nato S-cambia Cibo, che oggi fun-

blablacar.it

Accessibilità è una delle parole chiave dell’ondata di idee nate sotto il cappello della sharing economy: ampliare le possibilità, avvicinare le persone a mondi lontani, gestire collettivamente beni, capacità ed energie

PAOLO 20 anni

teatroxcasa.org

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ziona soprattutto a Bologna: lo sforzo è cercare di far attecchire le buone abitudini un po’ dappertutto. Ma non è uno sforzo isolato, né il solo a indicare un cambio di rotta. È una prateria di speranze nel campo della collaborazione. Paolo R., per esempio, faceva il sales manager in un’azienda di elettronica quando una ristrutturazione del business lo ha lasciato senza lavoro. «Avevo 50 anni e la sensazione netta di essere finito. Ma, fortunatamente, avevo anche un’enormità di hobby e di buona volontà. Così ho provato a darmi un’altra chance». Non spedendo curricula, bensì offrendo competenze: cioè mettendosi a disposizione di altri su TimeRepublik, la prima banca del tempo digitale internazionale, presente in 110 Paesi al mondo, in cui si trova e si chiede un po’ di tutto, dagli esperti di informatica ai dog sitter. Gli utenti della piattaforma si pagano tra loro usando non denaro ma “tempo”: quando ci si iscrive sul sito si riceve infatti un capitale di minuti che si può usare per remunerare le prestazioni di altri; per accrescere il proprio capitale, invece, si possono fare cose per altre persone. «Io avevo una passione per l’elettronica e per il bricolage, ma ho anche una patente nautica e mi sono dichiarato disponibile per trasferimenti di barche da un posto all’altro. Così sono stato contattato da un armatore e ho finito per fare le vacanze gratis in barca». Il cambio di paradigma non è semplice da far digerire, come ammette Karim Varini, cofondatore della piattaforma che, nemmeno a dirsi, nella vita pre-sharing gestiva fondi di investimento a Lugano. «Eliminando il problema dei soldi si possono fare grandi cose: un’idea che da soli non si riesce a realizzare prende vita chiedendo aiuto ad altri». Il 70% degli scambi sulla piattaforma, non a caso, riguarda lavori di grafica, di informatica e per la gestione-realizzazione di progetti web e di consulenza aziendale: un bacino di competenze da usare in modo collaborativo, anche per creare nuovi posti di lavoro. E «intelligenza collaborativa» è proprio l’espressione con cui Fabrizio Gasparetto spiega il funzionamento di Oxway, la piattaforma – prima del suo genere – che ha creato e messo in funzione tra Milano e Londra. Sul sito di Oxway aziende, istituzioni ed enti di vario genere possono chiedere aiuto alla collettività per risolvere problemi, ribaltando la logica dei processi decisionali spesso governata più da ruoli e definizioni che da intuizioni. «Chi partecipa riceve un riconoscimento, e può essere anche qualcosa di molto prestigioso: per esempio fare la giu050

timerepublik.com

LIVIA 32 anni

La sharing economy potrebbe valere 335 miliardi di dollari da qui al 2025, per quei settori e quelle aziende che sapranno sposare un nuovo approccio collaborativo ria in un festival che si è contribuito a ripensare», chiarisce il fondatore. Accessibilità, insomma, è una delle parole chiave di quest’ondata di idee nate sotto il cappello della sharing economy: ampliare le possibilità, avvicinare le persone a mondi lontani, gestire collettivamente beni, capacità ed energie. Una rivoluzione del pensiero e delle pratiche che ha conseguenze economiche rilevanti, anche quando non è strettamente mirata al profitto. Secondo uno studio di PricewaterhouseCoopers, la sharing economy potrebbe valere 335 miliardi di dollari, da qui al 2025, per quei settori e quelle aziende che sapranno sposare un nuovo approccio collaborativo. Ma se spesso si pensa unicamente a forme di noleggio tra privati, le possibilità sono invece molto più ampie: i limiti solo la fantasia e la capacità di intuire bisogni emergenti. Basta avere 25 tra seggiole e cuscini, per esempio, per trasformare la propria sala in un teatro, dove compagnie selezionate


mettono in scena spettacoli per un pubblico riservato. L’idea è venuta a Raimondo Brandi, attore egli stesso, che ha poi creato il sito internet TeatroXcasa. «Chi non riesce a uscire per andare a teatro, magari perché ha figli piccoli, può iscriversi e decidere di ospitare una rappresentazione, per vedere produzioni di qualità; le compagnie ampliano il loro pubblico e si crea una relazione intima e inedita tra gli attori e gli spettatori», spiega. Nell’arco di un anno attraverso il sito sono già stati organizzati 90 eventi per 2800 spettatori totali, in situazioni spesso inedite: fino a 30 persone in un monolocale (il minimo per andare in scena è 25) e 74 nel giardino di una villetta, accalcate per vedere produzioni uniche. Un piccolo trionfo della cultura, ma anche una gioia per il portafoglio: al termine di ogni rappresentazione, i presenti fanno una donazione agli attori, ripagandoli per il lavoro. Una percentuale del ricavato (intorno al 10%), viene da loro versata alla piattaforma, che può continuare a funzionare e a organizzare altri spettacoli. L’intraprendenza dei singoli, dunque, sostituisce i canali tradizionali, spesso inceppati e burocratizzati. La logica, d’altronde, è la stessa che ha fatto la fortuna di BlaBlaCar, uno dei campioni “buoni” della sharing economy: avvicinare domanda e offerta, con un occhio all’ambiente e uno al risparmio, mantenendo per sé una percentuale sul totale

degli scambi. Oggi circa 20 milioni di persone nel mondo offrono e cercano passaggi in auto sulla piattaforma, e non solo per spendere meno: in Italia, per esempio, soltanto il 21% degli iscritti sono studenti, per il resto si tratta di lavoratori a cui condividere le spese di viaggio può far comodo, ma non è una necessità. «Nell’ultimo anno ho dato 37 passaggi: ho pubblicato sul sito tutti gli spostamenti interurbani che ho fatto», conclude Chiara S., 35 anni, titolare di un negozio a Milano. «Non è che i 10 euro che ricevo come rimborso spesa mi cambino la vita, ma me la cambia avere compagnia in macchina: qualche settimana fa se non fosse stato per uno dei passeggeri avrei rischiato di non vedere un ostacolo in mezzo alla strada e di fare un incidente».

scambiocibo.it

ARON 38 anni

Sul sito di Oxway aziende, istituzioni ed enti di vario genere possono chiedere aiuto alla collettività per risolvere problemi, ribaltando la logica dei processi decisionali

LARA 46 anni

051


Ap

approfondimento

Idee in cerca di regole articolo di Cristina Gallotti

Tutti ricordiamo il clamore che pochi mesi fa si è generato attorno alla presunta illegalità di Uber, determinandone poi la chiusura. Ma cosa succede nelle altre start-up che si sono inserite così bene in alcuni aspetti della nostra quotidianità? Una panoramica su come, e se, stanno cambiando le loro regole.

Si parte da un’idea: innovativa, fresca. Soprattutto realizzabile, non importa se non alla perfezione; ci sarà tempo e margine per ottimizzare. La maggior parte delle imprese comprese nello spettro della sharing economy nasce così, come piccola realtà a cavallo tra la burocrazia più leggera che governa le start-up e il vuoto normativo che ancora aleggia nell’economia della condivisione. Un territorio difficile da definire, dove è labile il confine tra iniziative di scambio e vere e proprie attività commerciali, regolamentazione fiscale e tutela del consumatore. L’Europa sta prendendo le misure e ci sono molti studi in corso per mappare le tante tipologie di imprese sorte e procedere verso una normalizzazione del sistema. Più che a livello teorico, le norme si fanno sul campo grazie a casi pratici che hanno coinvolto tra i maggiori attori della sharing economy; Uber, Airbnb e BlaBlaCar hanno fatto molto parlare di loro, e continuano a farlo. È solo di questo autunno, infatti, l’appello dell’Antitrust per una legge che disciplini i servizi di trasporto offerti attraverso piattaforme come Uber. In Italia Uber non è più 052

attiva da luglio, da quando il tribunale di Milano ha accolto il ricorso di concorrenza sleale mosso all’azienda dai tassisti, ma le proteste del sindacato, rivolte principalmente a UberPop (il carpooling che regola passaggi tra i privati), hanno finito per avere conseguenze su tutti i servizi del portale. Un caso che per portata e intensità delle proteste non ha avuto pari in Europa e che ha messo sotto la lente di ingrandimento gli aggregatori di domanda e offerta tra i cittadini che basano il loro business sulla percentuale trattenuta dalle transizioni. Quella di Uber per esempio è del 20% e anche BlaBlaCar di recente si è allineata al modello. In un primo momento, l’azienda non guadagnava sui viaggi in auto decisi sul sul sito, ma dopo un paio di anni, prima in Francia e Spagna e dallo scorso maggio anche in Italia, ha fissato una percentuale variabile (pari al 12% nel caso di un viaggio medio da 340 km) sui pagamenti, che avvengono anticipatamente e tramite carta di credito. Da una parte si tutelano i proprietari del veicolo da eventuali scorrettezze dei passeggeri che, pagando al momento della prenotazione, sono incentivati a


onorarla; dall’altro l’azienda guadagna, e non poco se consideriamo che la piattaforma conta più di 20 milioni di iscritti. Altro settore, uguale diffusione: 20 milioni sono gli utenti sparsi in 190 Paesi del mondo iscritti ad Airbnb, il portale di affitti temporanei nato a San Francisco nel 2008 dall’intuizione di tre studenti e oggi valutato 24 miliardi di dollari (ben tre miliardi in più di una catena come Marriott, che gestisce più di 4000 hotel). Qui sia gli ospiti, sul cui conto è addebitata una percentuale che va dal 6 al 12% a prenotazione, sia gli host, per i quali il servizio ha una commissione del 3%, affrontano un costo di servizio. Nonostante Airbnb non si sia mai posto in aperta concorrenza con il settore alberghiero tradizionale – puntando tutto sul rapporto tra ospite e viaggiatore – non mancano esempi di utilizzo che si allontanano dallo spirito originario del progetto, soprattutto per avvantaggiarsi della parziale flessibilità fiscale. E allora ecco che una maggiore regolamentazione del servizio è richiesta da più voci. Lo scorso 3 novembre a San Francisco è stata votata con referendum, e respinta, la Proposition F, una proposta di legge che mirava a rendere più severe le regole sull’affitto di camere e appartamenti per brevi periodi. Se la proposta fosse passata, il numero di notti in cui i cittadini avrebbero potuto affittare casa in loro assenza sarebbe sceso a 75, contro le 90 attuali. E non solo: ogni quattro mesi gli host avrebbero dovuto presentare resoconti delle loro attività e, in caso di violazione delle regole, i residenti e le organizzazioni avrebbero potuto fare loro causa. Insomma, una battuta d’arresto alla velocità e snellezza del portale e un controllo maggiore che tocca da vicino il diritto alla privacy. Al di là delle motivazioni che hanno condotto alla Proposition F – affittare per lungo periodo un appartamento è diventato più difficile, visto che molti sono destinati ad affitti brevi –, e al fatto che sia stata respinta dal voto popolare, quella del 3 novembre è stata un’altra data importante nella storia della sharing economy: ha segnato l’esigenza di trovarle un assetto normativo diverso da quel modello economico da cui prende le

distanze. Con un numero di piattaforme in continua crescita, così come quello degli utenti, è necessario che le norme siano agili ma anche univoche. E a chiederlo sono gli stessi attori delle nuove imprese: recentemente Gian Luca Ranno, uno dei fondatori della start-up italiana di “social eating” Gnammo, si è espresso a favore di una regolamentazione unica per tutte le attività della sharing economy. Condiviso, ma a regola d’arte.

Nonostante Airbnb non si sia mai posto in aperta concorrenza con il settore alberghiero tradizionale non mancano esempi di utilizzo che si allontanano dallo spirito originario del progetto, soprattutto per avvantaggiarsi della parziale flessibilità fiscale 053


Ps

passepartout

SHARING: DI TUTTO E DI PIÙ a cura di Oxygen

CANADA

BIKESAUCE

REWEAR

BAGHITCH

Per ripararsi la bicicletta con i giusti attrezzi e l’aiuto di volontari esperti www.bikesauce.org

Perché comprare un abito firmato se si può affittare? www.rewear.co

Un corriere privato e affidabile per il trasporto di oggetti in tutto il Paese www.baghitch.com

SWAPSITY

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Scambio di oggetti, servizi e capacità www.swapsity.ca

Regno Unito ed Europa, affitto di vestiti. Ne ordini tre e ne scegli uno www.girlmeetsdress.com

SVEZIA REGNO UNITO PAESI BASSI

FRANCIA

USA

MYNEIGHBOR

PRETACHANGER

Sharing di oggetti e servizi tra gli abitanti dello stesso quartiere www.myneighbor.com

Scambio e vendita di vestiti e accessori usati www.pretachanger.fr

PAX

HUERTOS COMPARTIDOS Mette in contatto chi ha della terra con chi vorrebbe coltivarla www.huertoscompartidos.com

Voli charter su misura e condivisibili con altri viaggiatori www.personalairlineexchange.com

BRASILE

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Noleggio tra privati, dal trapano alla tenda da campeggio www.locloc.it

CABE NA MALA Scegli un prodotto che all’estero costa meno, cerca un viaggiatore diretto alla tua città. Compralo su Amazon, faglielo recapitare et voilà www.cabenamala.com.br

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Vuoi vedere un film al cinema, ma non è in programmazione? Trova un gruppo di amici e organizza la tua proiezione www.movieday.it

KOINZ Non lo usi più? Scambialo! www.koinz.me

OIL PROJECT

La scuola online senza banco né orario: accedi, scegli la materia e impara www.oilproject.org

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SPAGNA

ITALIA GRECIA

YIUCO

Scambio di oggetti di riciclo, riuso o manufatti www.yiuco.com

YOLYOLA Il BlaBlaCar made in Turkey www.yolyola.com

TURCHIA


LIVELLO GLO

LEGENDA ABITI scambio, affitto e vendita

OGGETTI scambio, affitto e vendita

TRASPORTI E CORRIERI

E L A B

ALLOGGI E VIAGGI

COLIS-VOITURAGE La nuova frontiera dello sharing su strada è il corriere www.colis-voiturage.com

COMPETENZE spazi, cultura e abilità

CAMP IN MY GARDEN Orti e giardini in affitto per amanti del campeggio campinmygarden.com

CINA

DIDI KUAIDI

HUTSTORAGE

L’Uber made in Cina www.xiaojukeji.com

Chi non ha spazio in casa può sempre affittarlo da chi ne ha http://hutstorage.com/

EAT WITH A LOCAL

INDIA PET SITTER JUGNOO Lo sharing dei risciò. Nulla di più tipico! www.jugnoo.in

MALESIA

La comunità online per trovare un pet sitter per il tuo animale domestico www.petsodia.com

Affitto di qualsiasi cosa, con consegna e ritiro a domicilio www.rentsher.com

SECRET WARDROBE

KRRB Mobili e oggetti d’arte e arredamento in vendita presso privati www.krrb.com

SINGAPORE

RENT SHER

Condividi un pasto con una persona del posto per sentirti subito meno turista eatwithalocal.socialgo.com/

ROOMALA Alloggi in condivisione per brevi e lunghi periodi en-uk.roomlala.com

WASTE IS NOT WASTE

TRAMPOLINN

Quello che per un’azienda è scarto, per un’altra può essere risorsa www.wasteisnotwaste.com

Metti a disposizione la casa per ospitare un viaggiatore e guadagni punti per il prossimo viaggio trampolinn.com

SHIPIZY Un mittente, un destinatario, un pacco da trasportare. Tra loro un guidatore che ha la stessa meta e il gioco è fatto www.shipizy.com

TRIPDA Il BlaBlaCar di America Latina, Stati Uniti e Asia www.tripda.com.ph

Abiti da cerimonia in affitto per tutti i gusti, indiano e occidentale www.secretwardrobe.in

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In

intervista

L’ E S P E R I E N Z A È MARKETING Intervista a Joseph Pine

Teorizzatore della Experience Economy di Maria Chiara Voci Giornalista 056


Gli oggetti non ci bastano, vogliamo di più. E cosa fanno le aziende, si disperano? Non tutte: le più intraprendenti hanno deciso di creare per i propri clienti un’esperienza, un momento che sia legato all’acquisto e che muova anche altre corde: la piacevolezza, la condivisione, l’unicità di una giornata. Benvenuti nell’era dell’Experience Economy: sicuri di non averla già sperimentata?

Era la fine degli anni Sessanta quando la Lego, la celebre azienda danese, conosciuta in tutto il mondo per le costruzioni giocattolo, ha capito che per crescere era necessario ampliare i propri orizzonti. È nata così a Billund, nei pressi del quartier generale dell’impresa, Legoland, una città in miniatura dove sono riprodotti, in scala, monumenti celebri di tutto il mondo, realizzati con milioni di mattoncini multicolore e dove ogni gioco diventa una giostra o un luogo in cui i piccoli utenti possono apprendere nuovi concetti, imparare a guidare un’auto o fare scuola nautica, entrare in un bosco o in un regno di fantasia. Il parco tematico e del divertimento, dedicato alle famiglie con bambini – soprattutto ai più piccoli – è stato poi replicato in altri cinque Paesi, dall’Inghilterra, agli Stati Uniti alla Malesia. «La Lego, prima di altre multinazionali – commenta Joseph Pine, fondatore di Strategic Horizons LLP, consulente strategico e teorizzatore della Experience Economy – aveva compreso che per lanciare il proprio prodotto era necessario toccare nuove corde fra il pubblico dei possibili acquirenti. Perché ciò che le persone chiedono oggi non sono più oggetti da acquistare, ma esperienze da vivere in prima persona, che le coinvolgano sul piano intimo e personale».

fondata sui beni, e successivamente a un’economia dei servizi. Oggi, ciò che domina il mercato è, al contrario, l’esperienza. È questo il principio che sarà alla base, nei prossimi anni, della crescita dell’occupazione e del prodotto interno lordo dei nostri Paesi. Su cosa si basa questa convinzione? Rispetto al passato, oggi le possibilità di scelta per gli acquirenti sono molteplici. Di pari passo con l’aumento delle offerte e della pubblicità, la vera differenza non la fa più il “che cosa” si compra, ma il “dove” si compra e attraverso quale percorso.

Ciò che le persone oggi chiedono non sono più oggetti da acquistare, ma esperienze da vivere in prima persona, che li coinvolgano sul piano intimo e personale

Joe Pine, lei è autore di numerose pubblicazioni, che analizzano i cambiamenti del mercato e i nuovi orientamenti e bisogni dei consumatori. Ma cosa intende quando parla di Experience Economy? È la fase economica attuale. Negli anni, siamo passati da un’economia agraria, basata sui prodotti, a un’economia industriale,

Cosa vogliono, oggi, i consumatori? Due sono le direzioni verso cui i consumatori stanno guidando il mercato. Da una parte, sono orientati ad avere prodotti e servizi utili, a prezzi sempre più appetibili, così da essere certi di spendere bene i propri soldi, faticosamente guadagnati. Dall’altra, per entrare in possesso di questi beni vogliono vivere momenti coinvolgenti. Anche in questo caso, non vogliono sprecare il proprio tempo, spesso sottratto con sforzo agli impegni quotidiani. Crede che un cittadino oggi sia più disposto a spendere per una bella esperienza che per un buon prodotto? Assolutamente sì. Numerose ricerche hanno dimostrato che oggi comprare un’esperienza ci rende più felici che acquistare un prodotto. Anche perché, per effetto della crisi economica, la maggior parte delle persone si è resa conto che di oggetti ne abbiamo più che a sufficienza. Mentre ciò di cui siamo carenti sono i vissuti e le emozioni. 057


oxygen | 27 — 12.2015

MARKETING MONTANO Vrin, comune svizzero nel cantone dei Grigioni, con i suoi circa 270 abitanti punta sul turismo montano. Per farsi pubblicità, quest’estate ha fatto dialogare – attraverso una webcam e un pannello posto nella stazione di Zurigo – uno dei suoi abitanti (seduto in un prato con il suo portatile) e gli increduli viaggiatori. Le conversazioni si concludevano con un biglietto omaggio da utilizzare in giornata con direzione Vrin. E il filmato è diventato virale.

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Geek Squad ha trasformato un servizio di consulenza informatica in un momento di incontro coinvolgente; Starbucks riesce a vendere a un prezzo fra i tre e i sei euro una tazza di caffè che ha materia prima per due o tre centesimi


Ma a guidare il mercato non sono più i brand? In alcuni casi la scelta resta comunque legata al grande marchio conosciuto, garanzia di affidabilità. Credo, tuttavia, che con l’eccezione di legami di storica affezione, l’esperienza si dimostri un fattore più determinante del brand nell’orientare la scelta di chi acquista. Il caso della Lego è stato fra gli apripista al mondo di una nuova tendenza. Ma quali altre aziende famose si sono mosse o si stanno muovendo in questa direzione? Gli esempi sono molti. Geek Squad ha trasformato un banale servizio di consulenza informatica in un momento di incontro coinvolgente, basandosi sul principio che “il lavoro è teatro”, e ha ampliato il proprio business fino a dare vita a una rete di 20.000 agenti attivi nel mondo. Starbucks riesce a vendere a un prezzo variabile fra i tre e i sei euro una tazza di caffè che ha materia prima per due o tre centesimi, puntando su un ambiente confortevole, dove la gente va perché ha piacere di trascorrervi il proprio tempo. E ancora, la Apple ha compreso da tempo che l’esperienza è marketing e che occorre puntare sulla progettazione degli oggetti e sui negozi che li vendono per sfondare e fare la differenza.

Come incide la sharing economy sulle richieste del consumatore? L’economia della condivisione è appunto la dimostrazione di come oggi i consumatori abbiano capito che non occorre possedere tutti i beni, che, anche se appartengono ad altri, sono comunque accessibili a fronte del pagamento di una quota. Quota che dà, appunto, diritto a vivere l’esperienza di possedere qualcosa, ma solo a tempo debito, quando e come è necessario. Il principio dell’economia dell’esperienza può essere applicato anche a campi come il turismo, l’architettura, la salute? Non esiste settore produttivo o dei servizi che non sia stato, in qualche modo, toccato dalla nuova e imperante esigenza di offrire esperienze. Il turismo, peraltro, si è sempre basato su questo business ed è, di fatto, la prima industria del mondo e occupa il 10% della popolazione mondiale. Tuttavia, ciò che cambia oggi per un tour operator è la necessità di competere sulla tipologia di esperienza per il cliente, che deve essere sempre più ricercata e peculiare per emergere e dimostrarsi vincente. In altri settori, ad esempio l’architettura, oggi il focus è sempre meno progettare un edificio fisico e sempre più come creare un luogo in cui le persone possano trovarsi a proprio agio, vivere e trascorrere tempo sereno. Così anche la medicina e la cura della persona, più di altri comparti produttivi, hanno dovuto fare i conti con il fatto che migliore è l’esperienza che un paziente riesce a vivere e migliore il risultato che ne consegue. E se esaminassimo ancora altri settori economici, gli esempi non mancherebbero.

Non esiste settore produttivo o dei servizi che non sia stato, in qualche modo, toccato dalla nuova e imperante esigenza di offrire esperienze

Anche in Italia ci sono esempi di imprese che hanno puntato sull’esperienza? Uno dei miei casi preferiti è quello di Eataly. Questo store dell’alimentare ha trasformato il proprio negozio in uno straordinario luogo in cui fare esperienza della cucina e del cibo italiano, attraverso il design, i caffè e i ristoranti tematici, la scuola di cucina e persino un museo. Un posto dove chi entra vive un’esperienza a tutto tondo. Quali sono i punti basilari che rendono un’esperienza di successo? In alcuni casi, quando l’attenzione è incentrata su un tema ben delineato, il punto di forza è la capacità di creare coesione fra coloro che sono chiamati a vivere una determinata situazione. In altri casi, il successo sta nel mix ben dosato d’intrattenimento, istruzione, evasione ed estetica. Infine, hanno successo quei momenti di vissuto che restituiscono al consumatore l’illusione dell’autenticità.

Stati Uniti ed Europa: si tratta comunque di due continenti con culture e abitudini differenti. Ciò che vale per il mercato americano è applicabile anche a quello del Vecchio continente? Sì. Anche in Europa vale il principio dell’esperienza. Certo, con approcci che devono essere magari differenti e devono rispondere al carattere di una popolazione. Per esempio, nei Paesi UE, i livelli di esperienza richiesti sono in genere più intimi o profondi. Ma il concetto di base resta invariato. Da un lato all’altro del mondo, offrire un momento da vivere, magari facendo qualcosa di diverso dal solito, sarà la vera frontiera per il prossimo futuro. 059


Co

contesti

UN NUOVO ENTERTAINMENT articolo di Luca Castelli Giornalista

Morte del supporto (ma non del vinile!), fruizione digitale, peer to peer, streaming: in poche parole, l’evoluzione del nostro approccio all’entertainment nell’era di internet. Ma non è solo una questione di supporto: gli smartphone sempre più veloci e prestanti moltiplicano i contenuti e li rendono accessibili in ogni momento. Come sceglieremo tra l’enorme offerta che teniamo in tasca? 060


Con l’arrivo in Italia di Netflix, piattaforma leader mondiale nel settore dello streaming online di film e serie tv, si aggiunge un altro tassello al ricco mosaico dei nuovi metodi di fruizione digitale della cultura e dello spettacolo. Il panorama del 2015 è stato non solo radicalmente rivoluzionario rispetto a quello dell’inizio degli anni Novanta, precedente all’avvento di internet, ma anche notevolmente diverso rispetto a quello che ha caratterizzato i primi anni di espansione del web. Il cambiamento più interessante, a cui il pubblico si è abituato in modo piuttosto rapido, è il passaggio dal paradigma del possesso a quello dell’accesso. Dal 1999 al 2007 – dal varo di Napster (il primo software che permise di condividere online musica non autorizzata) al lancio dell’iPhone – l’intrattenimento via internet si è sviluppato come un semplice aggiornamento e potenziamento delle dinamiche tipiche del Novecento. Al posto di dischi, videocassette o libri, l’industria ha provato a vendere file digitali, replicando il modello di commercio di prodotti unitari. Emblema di questa stagione è stato iTunes, il negozio lanciato da Apple nel 2003, che per molti anni è riuscito a monopolizzare l’e-commerce multimediale, distribuendo milioni di canzoni (seguite da podcast, film, videogiochi, applicazioni) e raccogliendo un immenso e prezioso archivio di clienti e numeri di carte di credito. Per diversi anni, iTunes è stato visto come la soluzione ai mali e alle inquietudini commerciali del web: da un lato, l’antidoto legale alla pirateria di album, film e software; dall’altro, il sistema che permetteva di recuperare il controllo dei canali di smistamento dell’entertainment, senza essere costretti a operare cambiamenti strutturali (nella musica, l’unica grande novità è stata il passaggio dalla vendita di album a quella di singole canzoni). Ma si è rivelata una parentesi: una sorta di interregno piuttosto breve tra il vecchio mondo analogico e la nuova dimensione generata dagli ulteriori scatti in avanti della tecnologia. Scatti che possono essere identificati soprattutto in due elementi: la diffusione universale degli smartphone e il miglioramento delle connessioni senza fili. Gli smartphone hanno trasformato l’esperienza di consumo dell’utente medio, spostandola dalla fissità totale del computer di casa (o parziale del laptop) alla natura puramente nomade del dispositivo mobile. Il sistema operativo degli smartphone – meno “libero” di quello di un computer, slegato dalla navigazione via browser e ancorato a un reticolo di app proprietarie – ha inoltre portato a un significativo cambiamento nella gestione delle interfacce tra provider e utente finale. Rispetto agli anni un po’ anarchici del peer-

Oggi si può quasi parlare di un aggiornamento 2.0 del modello verticale della tv e della radio, arricchito da funzioni interattive e da un ormai inevitabile legame con i social media

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oxygen | 27 — 12.2015

Gli smartphone hanno trasformato l’esperienza di consumo dell’utente medio, spostandola dalla fissità totale del computer di casa alla natura puramente nomade del dispositivo mobile

to-peer si è tornati a un più rigido controllo dall’alto e a un’esperienza dell’utente incanalata in strumenti e opzioni decise dal fornitore di contenuti. Si potrebbe parlare di un aggiornamento 2.0 del modello verticale della tv e della radio, arricchito da funzioni interattive e da un ormai inevitabile legame con i social media (oggi l’intrattenimento è molto più “condiviso” che in passato). L’aumento esponenziale della copertura garantita dal Wi-Fi e dalle reti 3G/4G ha poi offerto a questa nuova configurazione del rapporto uomo-macchina il terreno ideale per sviluppare un consumo di contenuti universale. Grazie agli smartphone e alle reti mobili l’utente oggi è sempre connesso al jukebox multimediale: in ogni momento, in ogni luogo. Ciò ha reso quasi inevitabile per i sistemi d’intrattenimento più innovativi trasformarsi da venditori di contenuti a fornitori di accesso ai medesimi. Da qui, l’esplosione di servizi come Spotify e Netflix che basano la propria offerta su un modello in abbonamento dove si accede illimitatamente – in genere a prezzi inferiori ai 10 euro al mese – a milioni di canzoni e migliaia di film. Evidente è la rottura rispetto ai modelli di vendita di prodotti singoli, tipici tanto dei tradizionali negozi offline che di iTunes. A questo punto è necessario aggiungere 062

un’altra parola chiave, dai connotati più tecnologici: streaming. Mentre il decennio di iTunes e della pirateria via P2P è stato caratterizzato dal dominio del download (file che si archiviavano sul proprio hard disk, per poi essere consumati sul PC o su dispositivi portatili come il lettore musicale iPod), il contesto attuale sta assistendo al trionfo di una modalità in cui si concretizza anche dal punto di vista tecnico l’idea di un “accesso senza possesso”. Nello streaming, architrave dei già citati Spotify e Netflix ma anche del serbatoio video di YouTube, il file viene sempre scaricato sul proprio dispositivo (PC, laptop, smartphone, tablet) ma solo in funzione del consumo immediato da parte dell’utente: a meno di ricorrere a trucchi illeciti, non può essere archiviato e scompare appena terminata la visione o l’ascolto. I dati che arrivano dal mercato sembrano confermare le dimensioni e forse anche l’irreversibilità di questo processo. La musica offre i numeri più evidenti: da ormai due anni, in quasi tutti i Paesi più maturi dal punto di vista della penetrazione dei consumi digitali (Stati Uniti in primis, ma anche Italia), il download a pagamento di canzoni e album è iniziato a crollare, surclassato dalla forte crescita dello streaming. Visti i dati dei primi sei mesi dell’anno, il 2015 confermerà questa tendenza.


Sul fatto che siamo entrati in una nuova stagione per l’entertainment, fortemente influenzata dal progresso tecnologico, non ci sono dunque dubbi. Difficile invece è prevedere se e come questa si svilupperà, seguendo o meno i binari definiti dello streaming. A offuscare la sfera di cristallo sono la complessità del mercato, gli effetti ancora poco chiari della sinergia digitale (che sta portando a confrontarsi nella stessa arena un numero molto alto di concorrenti: piccoli e grandi, vecchi e nuovi, locali e globali) e l’impossibilità di conoscere in anticipo quali saranno le prossime vie imboccate dalla tecnologia (la cui unica certezza è l’innata tendenza al cambiamento). Molte sono le incognite di natura economica, dovute sia alla necessità di ridefinire i rapporti e gli accordi interni alla filiera creatore-distributore-utente, sia alla presenza di variabili che potrebbero influire in modo decisivo sulle abitudini e sulle scelte del pubblico: da anni, per esempio, si discute su come far convivere le canzoni distribuite gratis su YouTube con soluzioni ibride come il freemium di Spotify (alcuni servizi sono gratis, altri a pagamento) con realtà solo a pagamento come la neonata Apple Music. Dubbi significativi riguardano anche la materia giuridica e legislativa, sia in rapporto agli elementi di disruption introdotti dai nuovi servizi, sia per le complicate dinamiche nazionali e sovranazionali che inevitabilmente si atti-

vano in un sistema globale come internet. Da non sottovalutare è anche un altro aspetto, forse il più affascinante, sempre decisivo nel decretare il successo (o l’insuccesso) di un modello di business: la psicologia dei consumatori. Da questo punto di vista, le sorprese sono dietro l’angolo. Per esempio, può capitare che in pieno secolo di smaterializzazione digitale – tra smartphone, Wi-Fi e streaming – il pubblico riprenda ad acquistare con regolarità un oggetto puramente analogico e novecentesco come il vinile (il 2015 sarà l’ottavo anno di crescita consecutiva per il fatturato nel segmento dei vecchi dischi neri). Inoltre, ancora non è dato sapere come il pubblico reagirà di fronte alla vera rivoluzione copernicana dell’entertainment del ventunesimo secolo: il passaggio dalla scarsità all’abbondanza. Se l’intrattenimento del secolo scorso era dettato dai ritmi e dai limiti della scarsità dei prodotti, quello del nuovo millennio segue la ribollente espansione dell’abbondanza digitale. Ogni volta che accendiamo uno smartphone e ci interconnettiamo con il web, abbiamo immediatamente a disposizione milioni di canzoni, film, applicazioni, ebook e infiniti altri stimoli. A quali concederemo il nostro tempo? Quali scarteremo senza degnarli di uno sguardo? Con quali criteri condurremo il naviglio della nostra esperienza nell’oceano digitale, passando da un film a un tweet, dall’ascolto di una canzone a un like su Facebook? Su questi aspetti si traccerà il futuro del nuovo intrattenimento.

Sul fatto che siamo entrati in una nuova stagione per l’entertainment non ci sono dubbi: difficile invece è prevedere se e come questa si svilupperà, seguendo o meno i binari definiti dello streaming

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Ft

future tech

Welcome to the fandom! articolo di Simone Arcagni Giornalista

L’hai scritto tu ma lo continuo io. È finita l’epoca in cui chiudendo il libro si salutava per sempre il nostro personaggio preferito, o con la scritta “fine” il film finiva per davvero. Oggi i fan riscrivono e rimontano, continuano a narrare e a vivere la loro passione anche nella vita di tutti i giorni, partecipando a eventi e flash mob, vestendo i panni dei propri eroi e condividendo tra loro queste esperienze. Qualcosa, insomma, è cambiato.

Parola di Nick Bilton, il giornalista americano che “vive nel futuro”: siamo ormai consumivori, vogliamo consumare contenuti continuamente. Vogliamo averli sui nostri device, commentarli e condividerli. La società dei media digitali connessi deve accettare che qualcosa è cambiato: per Lawrence Lessig, che ha ideato i Creative Commons, siamo nell’epoca del remix, dove ogni cosa è manipolabile e modificabile. Scegliamo i nostri contenuti con navigazioni personali, li prendiamo, li socializziamo con cerchie di “amici” e poi li commentiamo, contribuiamo a farli diventare virali. Li archiviamo in library personali e magari ne facciamo mash-up o remix, omaggi o parodie, creiamo saghe partecipate, personali. Siamo nel fandom, come direbbe lo studioso americano Henry Jenkins, il regno del fan che vuole essere protagonista... ed ecco quindi film, spot e game che prevedono un utente attivo e completamente immerso nelle storie. Un po’ come i fan di Lost che hanno creato “dal basso” e in maniera indipen-

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dente la Lostpedia, l’enciclopedia online della serie. O i fan di The Walking Dead che archiviano i diversi “morti” della serie in pagine “cimiteriali” di Facebook. Mentre i fan di Harry Potter hanno creato saghe spin-off di ogni tipo. I fan vogliono appartenere al mondo narrativo che uno scrittore, un regista o un brand hanno ideato. E se i proprietari del brand Harry Potter si sono inizialmente “alterati” cercando di rivendicare diritti anche sulle opere di bambini (ebbene sì, hanno citato in giudizio persino dei bambini!), George Lucas ha invece cercato di abbracciare il fenomeno dei fan “scrittori” ponendo però dei limiti di utilizzo ai contenuti della saga di Star Wars. Il fan intanto inventa mille modi per essere nella narrazione: nascono così i flash mob a tema che animano d’improvviso strade e piazze. E “impazza” la moda dei cosplayer, persone che si vestono come i propri personaggi fantasy preferiti (dal Signore degli anelli ai supereroi Marvel). E anche i grandi studios hollywoodiani realizzano ARG (Alternate Reality Game) con


Cosplay × No, non è giapponese: l’origine del fenomeno di vestirsi e agire come i propri personaggi preferiti è tutta americana e viene da Forrest J. Ackerman, collezionista di memorabilia e direttore editoriale di riviste sci-fi. L’anno è il 1939 e il futuristic costume si ispira al film La vita futura.

cui sfidare i fan: il più importante è stata la campagna di lancio de Il cavaliere oscuro. Protagonista Jocker e la sua frase «Why so serious?». E così i fan sono stati immersi in una rete complessa di telefonate, appuntamenti, enigmi da risolvere per poi arrivare all’ambito biglietto omaggio per l’anteprima del film. E intanto per settimane la rete non ha fatto che parlare del gioco, del film, dell’aspettativa, coinvolgendo così i fan ma anche i mass media. Eh sì! Perché se ne sono accorti anche quelli del marketing che coinvolgere l’utente significa avvalersi di una campagna virale potenzialmente di enormi proporzioni. Se n’è accorta Coca Cola con le campagne degli ultimi anni, ma anche McDonald’s, e persino Poste Italiane e Maxibon… E intanto gli utenti si appropriano sempre più dei mondi narrativi, come quelli dei game, e lo fanno, per esempio, modificando il software per creare propri cortometraggi, magari nel mondo di The Sims… questa tecnica si chiama machinima (machine + cinema) e ha un vasto successo online. Ma partecipare significa avere anche la possibilità di diventare produttori, magari con una campagna di crowdfunding… ed esistono anche campagne di crowdsourcing per essere parte attiva della realizzazione di un film, come nel caso delle fan fiction: ognuno mette qualcosa di proprio, un aiuto, un’idea, una professionalità. Si chiama economia dell’io questo cambiamento di rotta, e il marketing se ne sta appropriando… ovviamente un marketing che crede nella comunicazione dei media digitali e dei social network, un marketing che intravede potenzialità nella sharing economy e che, soprattutto, ha ben presente il consumatore di oggi: un utente che vuole contenuti adattabili, personalizzabili e socializzabili. Una economia dell’esperienza che si colloca in una ecologia mediale sempre più convergente… basta gettare uno sguardo all’emergere di nuove piattaforme evolute, connesse, personali, interattive e immersive come quelle della realtà aumentata (e dei wearable device) e della realtà virtuale.

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scenari

COME COMPREREMO IN FUTURO? articolo di Alice Pace Giornalista

Abbandoniamo visioni futuristiche di un mondo di pigroni che compreranno seduti in poltrona o che faranno shopping pagando con il riconoscimento della retina. L’universo degli acquisti è molto più complesso di così: è un’esperienza sociale che richiede tempo, persone, pensieri e luoghi. E lo stiamo ridisegnando proprio affinché questi elementi fondamentali non vengano a mancare. Gli scenari futuri saranno più articolati di quello che pensiamo. 066


Il tacco che si rompe nella corsa per non perdere l’autobus: la perfetta sventura da condividere subito sui social per divertire gli amici, magari con tanto di foto. E subito dopo una notifica sullo smartphone: vuoi farti recapitare un paio di scarpe simili in ufficio, subito prima della riunione col capo? Click. Comprate. Tanto lì dentro ci sono già tutti i tuoi dati: orari, taglie, gusti. Surreale? Non del tutto. In realtà le architetture del mercato digitale ci abbracciano già da tempo, tutte occhi e tutte orecchi per carpire ogni nostra esigenza e giungere in nostro soccorso al primo segnale. Abbiamo già i Dash Button di Amazon, i pulsanti domestici connessi al Wi-Fi che riforniscono lo zucchero, la carta igienica e tutte le scorte per la casa con un solo tocco. Tesco sperimenta da tempo supermercati virtuali in giro per il mondo: punti con la fotocamera i prodotti che desideri su un pannello luminoso alla stazione della metro o all’aeroporto, così se rientri da un viaggio o hai fatto tardi al lavoro la spesa ti viene recapitata appena arrivi a casa. Cosa succederà domani? Per i teen di oggi fare acquisti con un solo colpo di smartphone o di tablet, dai quali non si staccano mai, sarà la normalità. Il mercato sarà sempre più concentrato sul mobile: app intuitive, sistemi di pagamento semplificati, geolocalizzazione, le parole

chiave. E anche i numeri parlano chiaro: anche solo in Italia le vendite da smartphone sono adesso in rialzo del 68% rispetto all’anno scorso, per un giro d’affari di circa due miliardi di euro. Un acquisto su quattro avviene già oggi su dispositivi mobili e, secondo le previsioni, entro l’anno tali operazioni rappresenteranno il 25% del totale dell’e-commerce (fonte dati: Osservatorio eCommerce B2c di Netcomm – Politecnico di Milano). E il destino dei negozi tradizionali? Tireremo dritto davanti alle vetrine? Scompariranno gli addetti alle vendite, soppiantati da un esercito di corrieri espressi a pieno ritmo per le strade? Niente più bancarelle della frutta al mercato, pomeriggi di shopping con le amiche, bambini capricciosi tra le corsie del reparto giocattoli? Qualcuno pensa che sarà davvero così. Tuttavia l’ipotesi più probabile rimane un’altra. Quella dell’acquisto è un’esperienza articolata: prevede tempo, parole, non significa semplicemente desiderare qualcosa e procurarselo. Il commercio e il mercato, ci insegna la storia, sono sempre state una parte essenziale dell’esperienza umana e

Il mercato sarà sempre più concentrato sul mobile: app intuitive, sistemi di pagamento semplificati, geolocalizzazione, le parole chiave

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dei rapporti sociali, non solo luoghi dove qualcuno vende i prodotti e qualcun altro li compra. Lì le persone si incontrano, si confrontano, raccontano le proprie storie: tutte dimensioni dell’acquisto che difficilmente possono essere digitalizzate. È per questo che risulta molto complicato immaginare una società senza gli spazi fisici dei negozi, nel futuro. La situazione auspicabile? Forse quella dove i due canali si incastrano, in perfetta sinergia. Le stanze dei negozi potrebbero diventare sempre più degli spazi espositivi e di prova, per esempio, dove toccare con mano la merce per poi completare l’acquisto online. I supermercati potrebbero farci trovare le borse della spesa già pronte al ritiro. Possiamo prevedere cosa acquisteremo sempre più online, attraverso siti e app, e cosa invece continuerà a farci entrare nei negozi “in carne e ossa”? «Fino a qualche anno fa l’e-commerce italiano era dominato dai servizi, perlopiù viaggi e assicurazioni, ma oggi anche i prodotti hanno guadagnato quota, e siamo a un 50%», afferma Riccardo Mangiaracina, responsabile della ricerca dell’Osservatorio sull’eCommerce del Politecnico di Milano. Tra questi, tecnologia e consumer electronics, ma anche i capi di ab-

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bigliamento, sono maggiormente in crescita. Più a rilento, ma in continua espansione, l’editoria e il grocery, che copre aree sempre più ampie. «Nell’immediato futuro ci aspettiamo filoni emergenti, come i prodotti enogastronomici delle nostre regioni, i cosmetici, l’arredamento e l’home design», va avanti il ricercatore, «ma anche il fai-date e i giocattoli meriteranno attenzione». Le ragioni che ci portano sempre più ad acquistare online sono piuttosto intuitive: prima di tutto, la ricerca di prezzi più bassi. In secondo luogo, la comodità: possiamo acquistare in ogni momento, la sera, nel weekend, in fretta, direttamente dal divano, con consegne a domicilio e, sempre più spesso, il reso gratuito. Altro fattore: la scelta, praticamente sconfinata, di rivenditori e prodotti a nostra disposizione. Anche se è difficile ipotizzare come sceglieremo davvero i nostri acquisti nel futuro. Da un lato fioccano i tool per indurci allo shopping d’impulso, immediato. Sempre più spesso potremo comprare attraverso il blog e i profili social dello sportivo, dello chef, della modella che ci piace tanto, solo cliccando sull’orologio che indossa, sul vassoio che ha in cucina o la sua tavola da surf. Ma anche


gli acquisti si stanno muovendo in massa per trovare noi: Google, Facebook, Instagram e tutti i siti a cui siamo registrati hanno imparato a conoscerci bene, anche nei nostri gusti. «La nostra vita online è sempre più lo specchio delle nostre attività offline, e i trend e le mode cambiano così in fretta che anche gli strumenti che li seguono si aggiornano continuamente e sempre più velocemente», commenta Luca Morena, ideatore di iCoolhunt, il social network che analizza e mappa le tendenze. Saremo più veloci noi a scremare le cose che più ci piacciono o verremo preceduti sempre più dagli algoritmi? Questo sembra ancora incomprensibile. «Forse, semplicemente, le due cose si abbracceranno», ipotizza Morena. Sicuramente tra le svolte più imminenti ci sono i sistemi di pagamento, dove sia big sia moltissime startup stanno lavorando per eliminare tutta la componente meno piacevole e noiosa del nostro fare shopping: la fila, il passaggio alla cassa, così come l’impiego della carta di credito (per non parlare del contante) hanno con tutta probabilità i giorni contati. «Già oggi in moltissimi acquisti non

è possibile impiegare la carta, soprattutto nelle piccole spese: il caffè, il giornale, lo scambio di denaro tra privati. Sarà lo smartphone, o comunque i dispositivi mobili, la soluzione», riflette Alberto Dalmasso, cofondatore di Satispay, un’app tutta italiana che, proprio come una prepagata, facilita lo scambio di somme di denaro senza essere legata al circuito delle carte di credito. E il tanto atteso riconoscimento della retina? E il pagamento con le impronte digitali? Quasi sicuramente non ci serviranno, e l’autenticazione passerà attraverso strategie ancora più immediate. E non possiamo escludere che nuove forze hi-tech irrompano sulla scena a plasmare le nostre abitudini in modo del tutto inaspettato. La stampa 3D, per esempio: magari tra cinque o 10 anni ci fabbricheremo da soli piatti e bicchieri, o il tavolino del salotto. O, perché no, la realtà virtuale, per farci testare i prodotti ancor prima che questi esistano davvero. In fondo chi, avendone la possibilità, rinuncerebbe a un giro nella propria futura casa ancora prima che questa venga costruita? Siamo proprio sicuri che non si possa già fare?

Le architetture del mercato digitale ci abbracciano già da tempo, tutte occhi e tutte orecchi per carpire ogni nostra esigenza

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C O NSUMATOR I 2.0 Il digitale e gli acquisti in negozio dei consumatori fa ricerche online prima di recarsi nei negozi

81%

66%

da computer

Dati in %

49 36

Digital (pc, tablet)

14 Mobile

59 37

35

55

55 29

52 29

29

5

2012

2013

2014

Comprare online

070

Gli acquisti maggiormente influenzati 62

28

19

ritiene importante che il retailer abbia un sito per cercare informazioni su:

garanzia 66% prezzo 52% specifiche tecniche 51% finanziamenti 47%

15% da cellulare

L’influenza sugli acquisti nei negozi

19%

elettronica

arredamento

automotive intrattenimento

infanzia


Lo sviluppo del digitale e i social media influenzano sempre di più le scelte dei consumatori e le modalità di acquisto dei consumatori pensa che la relazione diretta con il negoziante giochi ancora un ruolo cruciale nelle scelte di acquisto

85%

Deloitte; Synchrony Financial

SHOPPING CENTER

42% dei compratori cerca informazioni online mentre si trova all’interno dei negozi. E usa: motori di ricerca 64% sito o app del retailer 46% sito di altro retailer 30% altro sito o blog 26%

di chi compra nei negozi sostiene che i telefoni sono diventati importanti per l’acquisto nei negozi

71%

Fonti: elaborazione Codice/Infolab su dati GE Capital Bank; PWC; Google;

Compratori che usano i social media per l’acquisto di: Dati in %

29

31

32

33

abbigliamento

elettronica

automotive

salute & benessere

21

18

intrattenimento

cibo & bevande

62%

81% Danimarca Belgio

54%

USA

21%

Germania

72% Italia

29%

71% 31%

Turchia

78%

68% 43%

41%

Cina

51%

65% Brasile

36%

Russia

20%

70% 22%

Si informano sui social network

96%

17% Svizzera

Francia

infanzia

63%

56%

27%

Canada

81%

18%

59%

arredamento

Comprano online almeno una volta al mese

18%

42%

20%

UK

56

40

Sudafrica

24%

Giappone

38%

India

42% Medio Oriente

27%

Australia

18%

71% 30% 071


Co

contesti

D I V I S I NELLA

RETE

articolo di Marco Cosenza Giornalista

Non è un problema solo geografico: a volte l’esclusione di una parte della popolazione dal mondo tecnologico dipende da fattori come l’età, la provenienza sociale o le motivazioni stesse per avvicinarsi alla rete. Viaggio alla scoperta del digital divide e delle soluzioni adottate per ridurlo sempre di più. 072


Pagare una bolletta con lo smartphone o grazie a internet non è un privilegio dei giovani, ma un’opportunità per tutti, soprattutto per chi ha scarsa capacità di movimento, come un anziano. Ma c’è un buco formativo sulla tecnologia; come colmarlo? Come intervenire perché tutti possano avere lo stesso accesso alla tecnologia e ai suoi benefici? «Invitiamo la nazione ad assicurare che i nostri figli non siano mai separati da un divario digitale». Era il 1996 quando l’amministrazione Clinton, per voce del vicepresidente Al Gore, portava sul tavolo della politica un termine coniato nei primi anni Novanta ma destinato a rimanere al centro del dibattito anche per i giorni a venire. Con digital divide si intendono le differenze tra chi ha pieno accesso alle nuove tecnologie, e in particolare alla rete, e chi ne è invece escluso. Quasi due decadi dopo, tuttavia, quei figli sono ancora separati da un divario digitale. Il 90% delle famiglie americane dove almeno un genitore ha la laurea è connesso, ma nelle case dei non diplomati il dato si dimezza. Non va meglio ad altre latitudini, anzi. Più della metà della popolazione mondiale non ha accesso a internet: 4,4 miliardi di persone a cui manca la possibilità di usufruire del web e con essa quella di accedere alle opportunità di crescita conoscitiva, comunicativa ed economica di cui è vettore. Rimanere tagliati fuori significa così alimentare ulteriormente le cause del grande distacco, non solo digitale, tra Paesi sviluppati e non sviluppati. La questione è ramificata e complessa, proprio come i gangli della rete stessa. Da una parte c’è un problema di infrastruttura, dall’altra ce n’è uno di conoscenza. Prima di tutto non c’è inclusione senza connettività. Ampliare la copertura vuol dire fare i conti con aree remote e rurali, ricche di ostacoli orografici e tecnici. Uno scenario in cui la tecnologia mobile, disponibile sempre più a buon mercato, diventa un potente strumento di inclusione e democratizzazione: là dove non arriva un cavo può arrivare un segnale. Il sorpasso degli smartphone sui telefoni tradizionali è avvenuto nel 2014 e ci sono ormai nel mondo più SIM attive che perso-

90% È la percentuale delle famiglie americane con un genitore laureato che usa internet

20

MILIONI Gli italiani che non si sono mai connessi

Superare le barriere fisiche non basta se non si riescono ad abbattere quelle mentali: altrimenti anche nei Paesi connessi si crea un divario interno tra chi è capace di avere a che fare con dispositivi e interfacce digitali e chi non lo è

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Al digital divide in termini strettamente tecnologici si affiancherebbe una sorta di digital apartheid, un segregazionismo tecnologico in cui proprio quelli che sarebbero potenti mezzi di inclusione diventano invece ragione di esclusione

ne. Nei prossimi cinque anni il 90% di loro avrà a disposizione una rete. Se ne sono accorti i colossi della rete con la R maiuscola, e non sono certo rimasti con le mani in mano. Google ha lanciato Project Loon, un’iniziativa per portare internet a basso costo nei Paesi in via di sviluppo attraverso dei palloni aerostatici che, liberati nella stratosfera con apposite antenne, saranno in grado di diffondere nei territori sottostanti un segnale a banda larga, su un’area di circa 40 chilometri di diametro. Non così diverso è l’approccio di Facebook. Sostituite i palloni con droni alimentati a energia solare e il risultato non cambia. Dotati di un’apertura alare superiore a quella di un Boeing 737, ma più leggeri di una comune automobile, saranno in grado di volare per mesi a 18 chilometri d’altezza, spargendo il seme di internet. Chi guarda, e punta, ancora più in alto è Elon Musk. Il papà di invenzioni come il metodo di pagamento elettronico PayPal o l’auto elettrica Tesla intende lanciare, tramite la compagnia aerospaziale SpaceX, centinaia di satelliti-modem. L’impresa vale 10 miliardi di dollari e fonde filantropia e business, guardando sia alle sconfinate frontiere interplanetarie sia alle ampie praterie di utenti web del futuro. Una fetta di mercato che fa gola a molti, compreso Richard Branson, che attraverso una partnership tra la sua Virgin Galactic, Qualcomm e 074

la start-up OneWeb si starebbe dedicando a un progetto simile a quello del magnate sudafricano. Il lancio dei primi mini-satelliti (il loro peso sarà di circa 150 chilogrammi) è previsto per il 2018. Superare le barriere fisiche però non basta se non si riescono ad abbattere quelle mentali. Altrimenti anche nei Paesi connessi si crea un divario interno tra chi è capace di avere a che fare con dispositivi e interfacce digitali e chi non lo è. Limitare la definizione di accesso alla sola velocità di connessione è riduttivo se in presenza di una banda ultralarga ci si scontra con conoscenze ultrastrette. In Italia la quasi totalità del territorio è coperto, ma la velocità media (inferiore a 10 Megabit per secondo) resta tra le più basse del Vecchio continente e ancora lontana dagli obiettivi fissati dall’agenda digitale europea, secondo cui bisognerebbe portare tutti a 30 Mbps entro il 2020. La preoccupazione tuttavia non riguarda solo Bruxelles. Sono oltre 20 milioni (23 nel 2014 secondo l’Istat) gli italiani che non si sono mai connessi a internet, poco meno del 40% della popolazione. Una soglia che schizza al 90% per gli over 65, fascia interessata molto da vicino ai tanti servizi che la digitalizzazione può fornire, soprattutto in termini di rapporto con le pubbliche amministrazioni e le aziende sanitarie (anche al netto dei ritardi di entrambe nell’attrezzarsi in materia). La frattura creatasi si

BANDA ULTRALARGA Non è superfluo, sulla diffusione di una banda ultralarga (con velocità superiore ai 30 Megabit per secondo) si potrebbe basare il rilancio dell’economia. E mentre in Corea del Sud e Giappone si punta a connessioni da 1 Gbps, per portare l’Italia intera ai 30 Mbps, si stanno muovendo i privati e le istituzioni pubbliche, analizzando il territorio e le sue necessità.


può sanare ma ne vanno prima riconosciute le cause, spesso rintracciabili non tanto nella mancanza di dispositivi elettronici quanto in un senso di diffidenza verso un mondo che non si conosce. Diversa la situazione nei Paesi meno sviluppati, dove il fattore economico continua a giocare un ruolo primario. Internet per molti non solo è ancora un lusso ma rischia di essere un lusso irrilevante. Se i contenuti non sono considerati utili né disponibili nella propria lingua, non si vede la necessità di collegarsi pur avendone la possibilità materiale. Il mondo intanto evolve sempre più rapidamente, con un’applicazione della legge di Moore che può essere letta sia in positivo (come capacità di ricucire esponenzialmente prima il gap) sia in negativo (cioè allargarlo altrettanto velocemente). Al digital divide in termini strettamente tecnologici si affiancherebbe dunque una sorta di digital apartheid, un segregazionismo tecnologico in cui proprio quelli che sarebbero potenti mezzi di inclusione diventano invece ragione di esclusione. Si tratta di forme di analfabetismo digitale che al pari di quelle tradizionali si possono risolvere con processi di scolarizzazione. Precoce o tardiva, in modo che i più giovani non rischino l’esclusione da un mondo del lavoro legato a doppio filo all’elemento tecnologico e in modo che gli anziani trovino nella rete un bastone su cui appoggiarsi, un aiuto rispetto a limiti di autonomia e mobilità, in forma di domotica e sistemi indossabili per il monitoraggio della salute, visite mediche da remoto e consegna della spesa a domicilio. Sono nate per questo soluzioni come CoderDojo o ABCdigital. Il primo è in sostanza una palestra che mira a insegnare anche ai più piccoli, in modo ludico, a programmare e familiarizzare con i codici; la seconda è un’iniziativa che mette in contatto nonni e nipoti, pensionati e studenti in modo che per una volta siano i secondi a mettersi in cattedra per insegnare qualcosa ai primi: nella fattispecie come usare computer, smartphone e tablet. Per ridurre il digital divide serve infatti uno sforzo congiunto, di vecchie e nuove generazioni, pubblico e privato, istituzionale e aziendale, con un investimento di risorse sia economiche sia mentali. È uno sforzo però possibile: non è mai troppo tardi per rimboccarsi le maniche. Così come per imparare a muoversi in rete.

La tecnologia mobile, disponibile sempre più a buon mercato, diventa un potente strumento di inclusione e democratizzazione: là dove non arriva un cavo può arrivare un segnale

OVER

65

È la fascia italiana più emarginata, con un 90% che non sa usare internet

30

MBPS È la velocità da raggiungere nel 2020 secondo l’agenda digitale europea

075


Dv visualization oxygen |data 27 — 12.2015

LEZIONI DIGITALI 2-5

a cura di Oxygen Oggi a dominare il mercato sono ancora le esigenze degli immigrati digitali, i “nati prima” della rivoluzione in corso, ma presto sarà il turno dei nativi digitali, cresciuti con PC e tablet (il 96% dei quindicenni del mondo ha un PC a casa), con tutte le implicazioni del caso sulla struttura cognitiva. E infatti è la scuola, e la sua apertura verso la tecnologia, a suscitare interesse, come conferma lo Studio Pisa dell’OCSE che mappa il numero di

studenti per computer. E se la media generale è di 4,7, gli estremi fanno riflettere: si passa dai 53,1 studenti per computer della Tunisia all’Australia, dove un ragazzo ha più di un PC a disposizione. Forse complice una generazione di insegnanti immigrati digitali, però, il computer resta ancora spento per la maggior parte della giornata, con una media di 25 minuti/g spesi online nei Paesi OCSE e 19 minuti in Italia.

STUDENTI Nella media OCSE del 4,7 si trovano Irlanda, Francia, Russia, Giappone, Polonia, Italia e Germania

5-10

STUDENTI Corea del Sud e Grecia hanno inaspettatamente una media simile

MENO DI

2

Gli studenti per PC in Australia, Regno Unito e Stati Uniti

076


Energia X oggi ×

PIÙ DI

10

99%

Tra i 15,5 del Messico e gli oltre 50 della Tunisia, si accalcano al PC anche gli studenti di Brasile e Turchia

Dei quindicenni italiani ha un PC a casa

66,8% Gli studenti che in Italia utilizzano la rete a scuola, poco meno del 72% della media OCSE

L’energia può aiutare la digitalizzazione delle scuole. La nuova offerta di Enel Energia prevede, per ogni attivazione con bolletta elettronica, la donazione attraverso Enel Cuore di 2 € per sostenere il digitale nelle scuole primarie e dell’infanzia. Una bolletta sostenibile per l’ambiente e per la società.

93

MINUTI Il tempo che un quindicenne italiano passa sul web fuori da scuola ogni giorno

Fonte: OCSE “Students,Computers and Learning”, 2015

077


Co

contesti

IMMAGINARE SOLUZIONI articolo di Gianluigi Torchiani Giornalista

Dal Chiapas alla Cambogia, passando per Brasile e vecchia Europa, le esigenze energetiche non potrebbero essere più diverse. E così le risposte. Ecco quindi che i progetti si plasmano in base alle caratteristiche del territorio e del cliente; e non si parla solo di elettricità. Un’evoluzione del mercato che vede l’energia andare letteralmente incontro all’utente. 078


La produzione di energia non è un’attività astratta slegata dal contesto sociale ed economico che la circonda. Anzi. Tanto che, anche per effetto della recente diffusione delle moderne tecnologie di generazione e trasmissione, sempre più spesso la realizzazione di impianti e reti va a braccetto con la costruzione di importanti opportunità di sviluppo per le comunità locali, mettendo al centro le esigenze del consumatore e del territorio. Gli utenti, in particolare, stanno diventando gli autentici protagonisti della rivoluzione energetica del ventunesimo secolo. Anzi, si può dire che praticamente tutte le innovazioni e i progetti in ambito energetico ormai non possano prescindere dall’attribuire a noi tutti e alla nostra esperienza un ruolo centrale. Gli esempi concreti in giro per il mondo non mancano di certo: andiamo per esempio in Brasile, dove nelle favelas di Rio de Janeiro la società Intersolar ha messo in piedi un progetto che va oltre la semplice installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti dell’asilo comunitario di Santa Marta, a cui assicura comunque un consistente vantaggio economico. La società ha infatti affiancato a questo intervento anche la formazione e la qualificazione di alcuni professionisti reperiti localmente, investendo una consistente somma di denaro. Una vera e propria scommessa sociale, insomma, tra l’altro su un territorio difficile, che ha a che fare con il mondo dell’energia. Se in una metropoli come Rio de Janeiro la disponibilità di energia elettrica è tutto sommato scontata, non si può certo dire la stessa cosa per le regioni rurali del Chiapas, in Messico. Qui, grazie a un importante progetto messo in piedi a livello statale e con il concorso dell’Università di Scienze e delle Arti del Chiapas (UNICACH) si sta, infatti, cercando di assicurare l’elettricità alle comunità indigene del Nuevo Amanecer nelle regioni del Tejenapa e del monte Oreb nella Cintalapa. Le comunità autoctone che vivono in queste aree sono abituate a utilizzare il legname per le proprie esigenze energetiche, peggiorando la propria qualità della vita e amplificando il problema della deforestazione nella regione. La soluzione risiede nell’utilizzo del fotovoltaico, capace da solo di alimentare un importante numero di elettrodomestici, stufe ecologiche, sistemi di illuminazione esterna e pompaggio dell’acqua, garantendo così alle comunità indigene la disponibilità di energia a prezzo contenuto.

A livello globale non mancano progetti dove anche gli italiani hanno avuto la possibilità di offrire il loro prezioso contributo, come l’architetto Matteo Ferroni, che ha progettato un lampione portatile a energia solare per le comunità rurali del Mali

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Ormai tutte le innovazioni e i progetti in ambito energetico non possono prescindere dall’attribuire a noi tutti e alla nostra esperienza un ruolo centrale

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A livello globale non mancano progetti dove anche gli italiani hanno avuto la possibilità di offrire il loro prezioso contributo. Curiosa è l’esperienza del giovane architetto Matteo Ferroni, che ha progettato un lampione portatile a energia solare per le comunità rurali del Mali, nato dall’osservazione della vita delle comunità in alcuni villaggi del Paese africano. Da qui è nata l’idea del lampione, costruito in collaborazione con gli artigiani locali utilizzando materiali di recupero come telai di biciclette, tubi e cavi del telefono (fatta eccezione per il LED importato dalla Cina), ma prestando anche attenzione al design. Ha così preso vita un progetto che coniuga la necessità di illuminazione per le attività sociali nei villaggi e l’autorganizzazione e l’autarchia energetica delle comunità rurali. Il successo è stato immediato perché la luce portatile, ribattezzata foroba yelen nella lingua locale, facilita lavori che vengono compiuti di notte, dalla vaccinazione degli animali alla pesca sul fiume con le piroghe, sino alla ristrutturazione di edifici. Altro aspetto interessante di questo progetto è la gestione collettiva della luce. Ogni villaggio che ne fa richiesta riceve quattro lampioni. A gestirli è un comitato composto da rappresentanti di diversi gruppi: ci sono sempre una donna, un anziano, un giovane e un tecnico. Il comitato mette a disposizione il lampione per il noleggio e il ricavato alimenta una cassa comune, che viene poi utilizzata per finanziare altre micro attività imprenditoriali. Sinora abbiamo parlato quasi esclusivamente di elettricità, ma in realtà molto può essere fatto anche dal lato della produzione di energia termica, necessaria per la cucina e il riscaldamento. Nel cuore dell’Asia, per la precisione in Cambogia, c’è un progetto che sta andando molto bene e vede coinvolto un altro italiano, Carlo Figà Talamanca, tecnico che guida la Sustainable Green Fuel Enterprise. Così come nel Messico, anche la Cambogia deve fare i conti con la deforestazione, con le sue foreste che stanno diminuendo a un ritmo dello 0,8% annuo. Purtroppo questo problema è in buona parte causato dai cambogiani stessi che utilizzano la legna per cucinare e riscaldarsi (in assenza di altre risorse), con gravi conseguenze dal punto di vista dell’inquinamento atmosferico e della sicurezza. Il rimedio sviluppato da Sustainable Gre-


Gli utenti stanno diventando gli autentici protagonisti della rivoluzione energetica del ventunesimo secolo en Fuel Enterprise prevede che i gusci di cocco e altri resti vegetali siano trasformati in vere e proprie carbonelle da impiegare per la cucina nelle case e nei ristoranti. Un chilogrammo di carbonelle sostenibili può evitare il consumo di 6,6 chilogrammi di legno proveniente da foreste, a un costo competitivo per la popolazione locale e con l’emissione di una quantità inferiore di fumo e sostanze nocive per la salute. Tanto che l’azienda, che prima dell’invenzione delle carbonelle era a rischio chiusura, ha rapidamente incrementato produzione e vendite, riuscendo a rendere sostenibile il proprio modello di business. Infine, tornando nella Vecchia Europa, esistono tantissime iniziative legate al rap-

porto tra energia, comunità locali e utenti. Quella probabilmente più ricca di ragioni storiche e culturali è il progetto RESTOR (Renewable Energy Sources Transforming Our Regions) finalizzato ad aumentare la produzione di energia rinnovabile in micro e piccoli impianti idroelettrici, attraverso l’identificazione e la riattivazione dei mulini storici e delle centraline idroelettriche attualmente non in funzione, presenti in migliaia di esemplari lungo i fiumi e i torrenti di tutta Europa. L’obiettivo è fornire energia pulita alle comunità locali e alla rete elettrica europea, nonché sensibilizzare la popolazione sulla sostenibilità ambientale e sul ruolo vantaggioso del piccolo idroelettrico nel nostro mix energetico. 081


Sc

scenari

AFRICA:

l’alba energetica Articolo di Ignacio J. Pérez-Arriaga Direttore della cattedra di energia e sostenibilità promossa da BP all’Università Comillas di Madrid Robert Stoner Vicedirettore del MIT Energy Initiative

082


Il discorso energetico assume caratteristiche del tutto specifiche quando si parla di Africa Subsahariana, una regione del mondo in cui l’accesso all’energia è drammaticamente basso e le condizioni per ampliare la rete elettrica sono spesso proibitive. Ecco allora una panoramica delle soluzioni praticabili e delle condizioni necessarie allo sviluppo di un mercato elettrico che sia frequentato anche da privati.

La realizzazione di reti per l’accesso all’elettricità è un problema molto complesso che non può essere semplificato, e il successo di qualsiasi tipo di approccio è vincolato al contesto locale

Le statistiche sull’accesso all’energia elettrica nell’Africa Subsahariana sono ben note e scioccanti: 620 milioni di persone (quasi la metà della popolazione dell’intero continente) vivono senza accesso all’energia elettrica; l’80% di loro si trova in aree rurali in cui solo il 14% delle case ha accesso ai servizi elettrici essenziali. L’Africa Subsahariana, inoltre, è l’unica regione al mondo in cui il numero di persone senza accesso all’energia elettrica sta aumentando. Negli ultimi dieci anni il livello di consapevolezza del problema è cresciuto notevolmente, come indicano i numerosi annunci sulle iniziative di elettrificazione di molti dei governi regionali e l’aumento dei fondi internazionali destinati alla risoluzione del problema. Iniziative di vitale importanza ma ancora distanti da quanto sarebbe necessario fare. Eppure sembra che la sfida all’elettrificazione universale possa essere vinta in meno di vent’anni. Ma cosa si frappone sulla strada verso l’accesso universale all’energia elettrica? L’assenza di un quadro normativo affidabile e di una pianificazione approfondita per l’elettrificazione costituiscono i maggiori ostacoli. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, l’Africa Subsahariana avrà bisogno di più di 300 miliardi di dollari di investimenti per garantire elettricità a tutti entro il 2030. E sono necessarie regole rigorose perché gli investitori privati possano gestire il rischio finanziario, strumenti efficaci che aiutino i governi, le agenzie competenti, i donatori e gli altri stakeholder a pianificare e stanziare saggiamente le loro risorse. Perché è necessaria la pianificazione? La realizzazione di reti per l’accesso all’elettricità è un problema molto complesso che non può essere semplificato, e il successo di qualsiasi tipo di approccio è vincolato al contesto locale. Tuttavia esiste l’opinione comune che un piano di elettrificazione completo per l’Africa Subsahariana, e per ogni Paese in via di sviluppo, dipenda da una combinazione di soluzioni di estensione della rete e di soluzioni off-grid (microreti e sistemi a isola). Queste ultime possono sfruttare risorse locali e sono spesso l’opzione più a basso costo per una domanda limitata e situata lontano dalle reti esistenti. Offrono inoltre flessibilità: in alcune situazioni in cui l’allaccio alla rete è l’opzione più a basso costo, le soluzioni off-grid possono fungere da ponte, elettrificando le aree fino a quando la rete (tipicamente di proprietà pubblica e spesso in situazioni finanziarie drammatiche) potrà raggiungere la zona. Le soluzioni off-grid sono spesso finanziate privatamente, sia da piccoli imprenditori sia da grandi aziende, e i quadri normativi 083


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dei Paesi dell’Africa Subsahariana permettono il più delle volte agli imprenditori di negoziare le condizioni della fornitura offgrid con i piccoli villaggi o gruppi di consumatori. Sorgono quindi due questioni. Quando deve essere utilizzata un’opzione piuttosto che un’altra? Come devono essere stabilite le priorità per l’assegnazione delle risorse finanziarie e i tempi di realizzazione? Uno strumento di pianificazione ben strutturato può fornire una valutazione tecnico-economica precisa delle diverse alternative di elettrificazione che, insieme ad altre considerazioni politiche, sociali e normative, possono essere utilizzate dalle parti interessate per arrivare a una decisione ponderata. Le preferenze dei consumatori sull’affidabilità della fornitura, la praticità di utilizzo, il potenziale per la crescita della domanda e la convenienza devono essere poste al centro di qualsiasi piano di elettrificazione. Oggi è possibile sviluppare input per strumenti sofisticati di pianificazione di impianti elettrici partendo da banche dati che si basano su dati geografici e tecnologie di visione artificiale che possono identificare gli edifici dalle immagini satellitari. Questi strumenti mettono insieme la distribuzione geografica dei clienti, la loro necessità stimata di energia elettrica, il layout e l’affidabilità della rete esistente e la disponibilità di risorse energetiche locali per determinare la migliore opzione di elettrificazione, le tecniche specifiche e il costo di ogni opzione. Inoltre, questi strumenti possono calcolare la necessità di rinforzi alla rete esistente e sono utilizzabili su tutti i tipi di aree, da province con poche migliaia di famiglie a interi Paesi. Come affermano gli esperti della Banca Mondiale «questi strumenti, utilizzati in modo corretto, possono fornire informazioni sugli interventi politici dei governi e sostenere la mobilizzazione di risorse per le iniziative di elettrificazione. Ci sono molti potenziali ostacoli che mettono a rischio il successo di queste iniziative, incluse le barriere politiche e sociali. Ma un caso supportato da dati scientifici raccolti in modo meticoloso avrà sempre più possibilità di superare le barriere». Perché un quadro normativo affidabile ha un ruolo così importante? Una larga maggioranza di esperti concorda sul fatto che servano regole affidabili per attirare i grandi investimenti di cui l’Africa subsahariana ha bisogno. L’elettrificazione rurale, on-grid e specialmente off-grid, è più costosa rispetto all’elettrificazione delle aree urbane con una densità di domanda molto più alta. In

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molti Paesi non è possibile pensare a una cross-subsidization dell’elettrificazione rurale attraverso i consumatori esistenti – pratica che prevede che parte dei fondi necessari vengano fatti ricadere aumentando il prezzo delle bollette di chi già possiede l’elettricità, ndr – perché la maggioranza delle case non è elettrificata e il sussidio richiesto sarebbe troppo elevato. Bisogna riconoscere l’esistenza di un gap di fattibilità tra i costi di elettrificazione e quanto possono permettersi i beneficiari. E abbiamo bisogno degli strumenti di pianificazione descritti per aiutare i governi, i progettisti e gli investitori privati a fare valutazioni migliori sul volume dei gap finanziari e sulle necessità per i progetti specifici. Un quadro normativo affidabile deve, infatti, garantire che il gap di fattibilità venga in qualche modo colmato, e che il rischio per gli investitori privati sia accettabile. Le microreti compatibili con la rete elettrica principale necessitano di un supporto normativo, essendo più costose rispetto alle reti basilari (la migliore opzione di elettrificazione che i nuclei familiari più poveri possono generalmente permettersi) e i loro sviluppatori devono poter colmare il divario di fattibilità. Queste microreti che utilizzano prevalentemente energia rinnovabile meritano di essere supportate dal punto di vista legislativo per diverse ragioni: a) è meno probabile che vengano smantellate quando arriverà la rete principale, riducendo così il rischio per i potenziali investitori; b) se le microreti a energia rinnovabile vengono mantenute, non verranno sostituite dal mix energetico della rete principale, che in molti Paesi si basa sui combustibili fossili, aprendo la strada a un modello a bassa emissione di carbonio; c) dal momento che le microreti compatibili con la rete principale possono fornire un servizio di pari livello (o maggiore) alla rete esistente, riducono la preoccupazione dei consumatori che la microrete serva solo a ritardare l’arrivo della rete principale; d) nei luoghi che possono essere raggiunti dalla rete principale, le microreti finanziate privatamente aiutano a ridurre la pressione sulle aziende di distribuzione, rimandando nel tempo il peso finanziario di cui si dovrebbero far carico. Siamo dunque nel momento giusto per intraprendere un percorso di elettrificazione a lungo termine nei Paesi dell’Africa Subsahariana che si basi su sistemi sostenibili sia a livello economico sia ambientale, facendo leva sulla stretta cooperazione tra i governi, le organizzazioni internazionali e i principali attori del settore elettrico.


Ăˆ il momento giusto per un’elettrificazione a lungo termine dei Paesi dell’Africa Subsahariana, basata su sistemi sostenibili sia a livello economico sia ambientale. Facendo leva sulla cooperazione tra governi, organizzazioni internazionali e principali attori del settore elettrico

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Il futuro a mattoncini articolo di Davide Coero Borga Giornalista

Inutile negarlo, la fama delle grandi aziende dipende anche dalla fiducia stabilita con il cliente, anche su temi come l’ambiente e i diritti umani. Oggi il consumatore vaglia attentamente questi comportamenti e, grazie alla rete, ha un modo in più per farsi sentire e di influenzare il corso degli eventi.

Il ruolo della società nelle questioni etiche, scientifiche e ambientali è rilevantissimo, e può costringere un’azienda a prendere decisioni drastiche. Anche quando si parla di semplici giocattoli. È successo a LEGO, che dopo una lunga polemica ha sciolto una storica partnership con il gruppo Shell, sacrificando un budget stimato di 87 milioni di euro. Era già successo a Mattel nel 2011: allora il giocattolaio più grande del mondo aveva dovuto chiudere in fretta e furia uno spinoso contratto con la Asia Pulp & Paper, scoperta responsabile della distruzione di migliaia di ettari di foresta pluviale indonesiana. Anche in questo caso milioni di euro gettati alle ortiche. Ma andiamo con ordine. Nella vicenda LEGO il casus belli è un video virale, diffuso, visto e ultra condiviso sui social. La trama: in un affascinante diorama dell’artico, riprodotto con mattoncini giocattolo e popolato dai personaggi LEGO, una trivella inizia a estrarre petrolio. L’Artide è presto sommersa da un’inquietante marea nera. A dirla tutta, è dagli anni Sessanta che LEGO vende una serie di prodotti a logo Shell in diversi Paesi del mondo. Si tratta di auto-

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mobili giocattolo, colorate stazioni di servizio, veicoli di Formula 1. Succede però che, quando la multinazionale del petrolio prende la controversa decisione di trivellare l’Artico a caccia di giacimenti, Greenpeace porta la cosa a galla sfruttando la notorietà dei giocattoli per attaccare il colosso degli idrocarburi. Jørgen Vig Knudstorp, al vertice di LEGO, si sente un po’ tirato per la giacchetta, ma alla fine è costretto dalla forte pressione dell’opinione pubblica ad annunciare che la sua azienda non siglerà più ulteriori intese con Shell. Fine della storia. Poi c’è il caso Barbie. Sì, avete capito bene, Barbara Millicent Roberts. La bionda bambola bellissima, da sempre fidanzata con Ken Carson (anche lui giovane e affascinante) che ha conosciuto nel 1961 sul set di uno spot televisivo. È il giugno 2011 quando, nel bel mezzo di un’intervista, il bambolo Ken viene messo a parte di un terribile segreto: Barbie sta contribuendo alla distruzione della foresta pluviale indonesiana. Il videoshock, girato con sofisticate tecniche di animazione, viene diffuso in rete a seguito del coinvolgimento di Mattel nell’acquisto di prodotti


Icon power × Nessuna sorpresa che Barbie possa determinare un cambio di strategia di un colosso come Mattel; sì perché non è solo la bambola più famosa al mondo, ma una vera e propria icona. Lo testimonia la mostra inaugurata al Mudec di Milano a fine ottobre dal significativo titolo di Icon.

della Asia Pulp & Paper, una società che non rispetta i criteri stabiliti dal Forest Stewardship Council (il marchio delle foreste certificate) e strappa contratti per fornitura di imballaggi in carta a basso costo. Le indagini di Greenpeace, la mappatura dei dati e i certificati della società dimostrano che il packaging dei giocattoli di mezzo mondo – ci sono di mezzo anche Disney e Hasbro – sono ricollegabili in maniera diretta a carte ricavate da foresta pluviale. I quindici piani della facciata della sede Mattel di El Segundo, California, vengono coperti dagli attivisti con una gigantografia di Ken, imbronciato, accompagnata dalla scritta: Barbie, è finita, non esco con le ragazze responsabili della deforestazione. Migliaia di normali cittadini, da tutto il mondo, cominciano a sommergere di email la Mattel. La pagina Facebook di Barbie viene chiusa temporaneamente per l’invasione barbarica di messaggi in bacheca. Lo scandalo fa il giro del mondo, mentre Barbie e Ken fanno prove di pace su Twitter. La rete rimbalza la notizia e migliaia di utenti intasano i centralini dell’azienda statunitense. Morale: nel mese di ottobre Mattel, il maggiore produttore di giocattoli al mondo, annuncia una strategia globale per l’approvvigionamento di carta nel rispetto delle foreste pluviali, rivede i rapporti con i fornitori, riduce drasticamente la quantità di imballaggi utilizzati, verifica che la carta provenga interamente da foreste certificate e incrementa il riciclo dei materiali. Epilogo di una mobilitazione pubblica assolutamente non convenzionale. Prestare maggiore attenzione nella scelta dei propri partner è cosa buona e giusta. Sul mercato, una buona reputazione va guadagnata e mantenuta. E c’è di più. Una tirata d’orecchi da parte dei consumatori può diventare stimolo per nuove e coraggiose iniziative, come quella intrapresa dalla stessa LEGO, a seguito della vicenda Shell. L’azienda danese ha messo in piedi una ricerca per costruire i propri mattoncini con materie prime sostenibili. Investimento iniziale: 130 milioni di euro. LEg GOdt in danese sta per “gioca bene”. Nessuno sembra averlo scordato.

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Co cover

CUSTOMER 2.0 CONSUMERS WITH SUPERPOWERS The means of consumption are (almost) infinite. The economy has opened up to a broader range, presenting solutions that previously seemed to be simply fads. Today the consumer is at the center of the economy, and everything is changing: the way people are making purchases, the reasons for desiring an object, companies’ communication and marketing strategies. Technological innovation is operating in the background, facilitating the awareness of users, creating new opportunities – for both consumers and manufacturers – and generating positive revolutions. We are in the era of participation and the market is no exception: encouraging dialogue among its actors is the first step taken to usher in a new consumer model that is evolved and efficient, and which could be a stimulus for the developing world.

Ed shared editorial

CONSUMERS “I make purchases both ways. If I want to buy a technological object, I find information on the Internet because I’m looking for technical specifications; but later I can go and buy it in person. Sometimes I try on clothes in a store, then I’ll look for sales online and buy them.” Davide

delivered in a sealed box to my home, without anyone else knowing what I have bought.” Roberto “I often get information from the Internet before making an expensive purchase, but not for the rest: it would take too long. I buy my clothes at stores, but I’d buy a blender online.” Chiara

“I realize that things are changing, but my life as a consumer hasn’t changed very much as yet. I’m still wondering how I can take advantage of this new trend.” Francesco

“The Internet has created new opportunities for consumers because it allows you to buy things that previously had no market in some countries, and would never have been distributed.” Enrico

“Today I feel more protected and independent. If I want, I can make purchases that are

“Anything that would be boring to do in person, I buy online, such as train tickets. But every-

thing I need to see, even if it’s just some little thing, I go and buy in person, I need that visual contact.” Claudia “For me, being aware means buying food directly from producers and using peer-to-peer platforms for traveling.” Silvia

something in person that I’m able to do online. Why would I want to get caught up in the city traffic to go and see some store on the only free day that I have? Instead, I go cycling or relax on those days. I almost feel liberated. What I do in person, and when I do it, is done by choice and no longer because I have to.” Anastasia

“My doorman has become my personal store. When I get home from work, I find my purchases waiting for me in his office. I go up to my apartment, open the packages, deal with any returns directly by phone, and order other things. When I go out in the morning, I leave anything I want to return in his office, to be picked up later by the courier. Now I can’t imagine going to do

“I have often consulted sites like Amazon to check out prices and comments while being in a store. I could choose – and this has happened – to buy something right away at a higher price, because the wait was not worth the price difference; and I was able to compare user reviews in order to choose the best product.” Laura

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Marco

0:42 “If consumers understood the political potential they hold, they could significantly affect brand policies.” Elena “Today’s consumers have more freedom of choice because they are more informed: they buy what they want, wherever they want. Because people give their opinions and write whatever they think, there is pressure in general to improve a product’s quality/price ratio. Whereas retailers may be tempted to hide these details from the public.” Daniela “Today I know more about the brands that I buy. Many online purchasing platforms allow you to select the designer/company, highlighting an aspect that previously might have been overshadowed.” Cristina “Technologies allow us to be connected with many more people and, therefore, to find more resources, for sharing or buying.” Michela “I have all kinds of apps on my phone, and use them to look for places to share, an entire apartment, or a hotel room depending on how long I’ll be staying, what services I need, and so on. If you share a place,

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you can do your laundry more quickly and cheaply and the Internet is better than in a hotel. But in a hotel, there might be a swimming pool, or even a spa. And if you’re tired after work, or if it’s cold outside, a little time in the turkish bath or sauna at the end of a day of meetings is not a bad idea, all for the same price.” Emanuela “When I am in the city, I live in this house. When I’m not here, someone else stays here.” Gabriele “Paypal has changed my life: you just enter your information once and that’s it. You don’t need to do anything else, all the other apps depend on that one.” Pietro

ENTREPRENEURS/ ECONOMISTS “The more you share something, the more costs can be cut. And this is advantageous both for the individual and society as a whole.” Andrea, user of the co-working platform Talent Garden in Genoa “People invest money in what you are doing. For the first time, I’m beginning to feel that my ideas are important

and that there is more mutual respect.” Alchemy Collective, an idea achieved with crowdfunding “How can I work all day and go see my clients as well as attend to all the bureaucracy? The only solution is to create a network, reducing waste and inefficiency at the same time.” Andrea Cattabrica, founder of Slowd, a design sharing platform “You can’t accuse innovations of killing the things that were there before. That is equivalent to accusing the postal services of trying to curb the spread of e-mails.” Gian Luca Ranno, founder of Gnammo “You cannot invent or think about the future by thinking that our best days are behind us. What companies need for innovation is confidence in the future and in openness. GE, BMW, FIAT, Unilever, Castorama, and other companies I have worked with realized that most of their innovations came from outside the company; therefore their main activity has started to focus on developing receptors for attracting, learning, and collaborating outside their core business.” Lisa Gansky, American businesswoman

Filippo “Our platform will help the world to become once again like a village, a place where you know a lot of people and trust one another.” Brian Chesky, co-founder of Airbnb “I sell drills, but today people rent them from their neighbors or ask someone they don’t know to give them a hand. I either have to do away with the services or find a new way to rethink them.” Stefano Grisenti, Vision project manager for Leroy Merlin “The economy is not something abstract out there. It is something that we have created and that we are now changing.” Neal Gorenflo, co-founder of Shareable “We all know that life is what we make of it. We are changing the rules, based on the strength of the different priorities of society.” Bryant Walker Smith, Attorney and Stanford Legal Fellow “In the end, there won’t be a peer economy or a sharing economy or a collaborative economy. It will simply be called the ‘economy’.” Jeremiah Owyang, Industry Analyst


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In interview

THE AGE OF CONSUMER EMPOWERMENT As a result of twenty years of change favored by technology, the market is now seeing a different kind of consumer: an individual who knows his/ her chances, who knows what is worth owning, and what can be shared instead. This is a consumer who has an influence on business strategies and market development, and who has a responsibility and duty to make the world of consumption more efficient.

interview with Arun Sundararajan Professor at New York University by Cecilia Toso

Is there such a thing as the instinct to possess? Maybe it is in fact just an inefficient way of managing our consumption in recent years because, apparently, we are actually able to generate more consumption by possessing less. The challenge, arriving from the digital world, has aroused a well-known debate about consumption models; in this case, we are not among the leaders who have an unbridled optimism about what is made possible by the Internet, nor

Companies have gone from being suppliers of a message to becoming, in a certain sense, mediators of a conversation in a utopian fantasy where the world can stop producing new items constantly and become instead a place where an exchange of services or products between users is the sole currency. We spoke with someone who has been observing the

emergence of a new model: one that is more efficient, varied, and – thanks to the new role of the consumer – has an effect on production strategies. We talked to Arun Sundararajan, a professor at the Leonard N. Stern School of Business at New York University, specializing in how digital technologies affect the economy and society. According to Professor Sundararajan, over the last fifty years we have managed our consumption individually: we have personally chosen what we wanted (influenced by advertising), and left our homes to go out to buy it and own it. This is a model of consumption that establishes who is able to achieve a commodity, based on their income and ability to purchase it. However, what we now want today is simply to have access to an object that we have often come to know about through the community, real or virtual, that we frequent. Sometimes we may use it in a shared manner, drawing what we need from it and then putting it back into circulation; our ability to access it is not dictated by our income but by our reputation within the community. This is an evolution of consumers that has been nicknamed ‘Data Darwinism’ – in this new reality, the survivors will be those who are able to adapt to the rules of the Internet and establish a relationship of trust with others. Utopian? Not exactly. According to Professor Sundararajan, the concept of sharing has always been with us and today it is increasingly influencing the real world, thanks to the existence of peer-to-peer platforms. “This is a natural evolution of the consumer.” And evolved consumers are hybrid consumers: “They will purchase some things from companies, whereas for others, they will make an appeal to individual suppliers, via the market and platforms. There will be a greater sharing than sixty years ago, of course, but it will still be a mixed system.”

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The new protagonists Let’s take a step back. How did we get here? “In the last twenty years, consumers have taken on a central and influential role in our economy. Businesses have begun to involve them in the design of their products, to consult them about brands and objects through social media, and to win them over as supporters of the brand or pre-sales consultants via blogs and company websites. This way, companies have gone from being suppliers of a message to becoming, in a certain sense, mediators of a conversation. “This central role of consumers, along with the

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emergence of a sharing economy, means that more people have been able to obtain items and services from other people through the market or community, without necessarily having to go to a manufacturer.” We have been accustomed to thinking that it is the amount of items produced that leads to an increase in consumption, but Sundararajan explains that “when new ways of accessing goods are created, consumption tends to increase. If everyone had to own a car in order to drive one, the number of people who drive would be equivalent to the number of those who can afford to buy one. But if you can also rent someone else’s car,

then the number of people who will be able to use it increases. When barriers are removed, consumption increases; but if property were sine qua non for consumption, the number of people who could afford to derive value from an object would be smaller.” Thus, more access is equivalent to more consumption; but what does this entail for corporate profits? “That depends on the decisions we make in the next few years,” says Sundararajan. “I believe that a higher consumption generates more value and more profit, but what we do not know is who will benefit from this value, whether it is the companies, the consumers, or

someone else. Car manufacturers such as BMW, Mercedes and Fiat are working to integrate their cars into the car sharing market. Platforms where consumers can exchange goods are being created in every country in the world. Maybe it is precisely these platforms – and their creators – that will profit the most. With Airbnb, millions of people have become providers of accommodation and soon individuals will become providers of services: from energy to medical consultations, from web design to knowledge of all sorts. These new companies, instead of employing thousands of workers, will create a franchise between people.”

What we want today is simply to have access to an object that we have often come to know about through the community, real or virtual, that we frequent Changing sectors Cars stand out in the professor’s examples and he believes it is the automotive sector that will undergo the greatest change. This is simply because “it is one of the sectors that most greatly affects a country’s GDP but which has a very low

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efficiency. On average, a car is used for an hour and a half a day and, even when it is used more, there is always some remaining time when it is not being used. For an industry in the United States and Europe that invoices hundreds of billions of dollars, an efficiency rate of only 2% is absurd. It is not surprising that this sector is in turmoil, and driverless cars fit perfectly into this scenario: there will be no need for a driver and we can access a car on demand at any time, without having to own or drive it.” There’s more. In the automotive industry, the change is being facilitated by two intersecting characteristics: “The high value of the good and the low efficiency of its utilization. Expensive clothes, expensive accessories, all the objects that are characterized by a high value but sporadic use, will make the sharing platforms successful.” What Sundararajan imagines is not just sharing alone, but a balanced assessment of what should be done on both the consumer’s side and on the manufacturer’s side. For objects of everyday use – such as a vacuum cleaner – as long as the ‘cost’ of sharing is higher than the cost of ownership, people will prefer to spend a higher figure all at once instead of having to deal with the inconvenience of renting one every single time they need it.


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Countries headed towards sharing If income is no longer a discriminating factor, it is easy to see how sharing could be the answer for developing countries with people on a lower income. “They will be able to gain access to better things because, thanks to the new ways of accessing them, their power as consumers will increase. Since the advent of Airbnb, the number of people going on holiday has increased and now those who wouldn’t have previously been able to afford a hotel room can travel, even with their whole family. A new group of people has access to a range of services that they were excluded from previously. This is demonstrated by the fact that in countries like China, India and elsewhere, there are car pooling companies such as Didi Kuadi and Ola that are much larger than Uber in terms of number of users. “Investors know that it is an important market, because the purchasing mentality of consumers in these countries is not yet mature. In the United States or Germany, there is a large proportion of the middle class that has bought and owned products for many years, and for whom sharing would require a decisive change of behavior. In emerging markets, there is a new middle

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class that has just learned to consume and has not yet adhered to the model of possession: its members will become consumers of the sharing economy much more easily (and faster) than we will. Soon there will be millions of people in China and India who can afford to buy a car but won’t, because there are alternative solutions – they may begin their consumption directly through sharing, without ever owning a car. “This is one reason why many investors see a great potential in these countries.” Therefore, the movement is universal: consumers are acquiring independence, companies are mediating among their customers, and technological innovations are dictating the times.” What cannot be lacking in all this, is a certain amount of trust in those who produce, in those who share and in technology. According to Sundararajan, the recent case of Volkswagen should give us pause for thought: “Cars are becoming increasingly digital. The big challenge for the car industry in the coming years will be maintaining their customers’ trust. The moment a product becomes technological, it is no longer just its producer or brand name that has to be recognizable, but also its technological safety.” So, producers and consumers are re-adjusting and preparing new avenues for consumption that are much more varied than we’d ever imagined.

If income is no longer a discriminating factor, it is easy to think that sharing will be the answer for developing countries with people on a lower income 093


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Op opinions

THE GEOMETRIES OF PARTICIPATION The power grid of tomorrow will be made up of not only technical but also social hubs: because consumers have now become protagonists in the energy sector, by establishing a direct dialogue with suppliers and putting themselves at the center of the network. The unilateral system no longer exists, and providers are learning to deal with the circular economy, discovering new services and means. by Carlo Alberto Carnevale Maffè School of Business Administration, Bocconi University

Science has revealed that the electron is a hybrid of mass and energy. Today the technological and socio-economic advances that are upsetting the traditional and sluggish energy market are simultaneously transforming the consumer into a ‘hybrid’ entity, not just a passive recipient but a direct participant in service processes that are increasingly shared and co-operative. Energy is no longer simply a physical commodity to be distributed and consumed, but the subject of a pact of responsibility, participation, and sustainability, mutually agreed upon according to the requisites of both supply and demand. The end user’s role is changing: the convergence of technological innovation and communication networks concerning energy is gradually transforming the economic contract, by assigning tasks to end users and making them active participants in a sharing of processes hitherto practically inconceivable on a large scale. The change is clearly visible in two sectors somewhat similar and complementary to that of energy, where the sharing economy is having significant impacts: the housing market and the car market. In the first case, thanks to global

marketplaces which ensure visibility, comparability and a high degree of safety in transactions, each participating family becomes involved in the hospitality market as suppliers (as opposed to being simple clients) by making part of their real estate assets available to guests (often foreigners and mostly strangers), in solutions ranging from a simple room to an entire house. An even more dynamic and complex state of affairs is invading the car market – urban car sharing is taking off, with the likes of Car2Go, Enjoy, and municipal fleets of electric cars taking their place alongside forms of shared journeys, in addition to genuine innovations in patterns of entrepreneurship in the logistics sector, such as Uber and Letzgo. All of this is thanks to the spread and standardization of communication protocols, the interoperability of systems of access, reservation, and payment of services, as well as the increasingly mature and conscious role of final consumers. Having abandoned their role as passive recipients or users, today’s consumers are motivated and pre-

Energy is no longer a physical commodity to be distributed and consumed, but the object of a pact of responsibility, participation, and sustainability mutually agreed upon by the requisites of both supply and demand pared to actively participate in the process of providing a collective service, thereby learning and respecting rules which may not be sanctioned by state laws but derive instead from the voluntary adoption of simple behavioral practices proposed by the social network or community concerned. In this

context, there is the developing role of new intermediaries who take on innovative forms of legislative and judicial pseudo-power: they lay down rules and apply penalties – such as expulsion from the system – in case of violation. Like the automotive transportation and hospitality markets, the energy market is also involved in this tumultuous evolution of the consumer’s role, after a decade of acculturation of the sharing economy aided by subsidies for the installation and use of domestic photovoltaic energy systems. Up to now, the fitting of solar panels to the roofs of houses has been carried out by families mostly as a bland form of fiscal opportunism, but the end of the era of easily-available funding has marked the beginning of a new cycle of economic and social development. Thanks also to legislative developments on energy units and criteria for billing, and technological progress regarding smart homes, hybrid power networks, and communication in the scenario of the Internet of Things, a new approach of consumer-participation is being established. The entire value chain of the sector is being radically overturned, and what first appeared as a linear and unilateral sequence of production and delivery has now been reconsidered in view of a circular economy, where sustainability and innovation are combined in a new cycle of services. The rigid distinction of phases between generation, distribution, and consumption, which has shaped generations of industrial models and informed the enactment of rules and regulations, is being put into question by the smart grids and projects for the use of distributed energy storage systems. The bill, legacy of a unilateral and asymmetrical delivery model with a mere bureaucratic reporting of units and figures which is incomprehensible to the consumers (concealing tax and tariff practices

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bordering on the arbitrary), has now become a contract of awareness and exchange. Physical energy in exchange for information flows and behavioral choices: as has already happened in the Internet access market, tomorrow’s en-

Having abandoned their role as a passive subject, today’s consumers are motivated and prepared to actively participate in the process of providing a collective service ergy will be purchased also in non-monetary ways, through exchanges in nature and in exchange for customer data. Payment directly related to actual consumption, exchanging data on their consumption behavior (possibly in real time, as already occurs through mobile phones) is a great behavioral school: the practice is rational from both economic and technological points of view in order to properly address the incentives for responsible choices made by consumers and businesses. Thus, the consumers emerge from their isolation as a passive and terminal actor, and become part of a network. Physical and logistic systems configured in the form of networks, as in the case of energy, usually have correlating organizations and services also structured within the network. The essential criterion of a network is interoperability, which results in interdependence. Today this also applies to consumers, in a new interoperability between supply and demand. Energy is not a stand-alone service; rather, it has a set of physical, economic, and regulatory constraints that make it a service network. Tomorrow’s energy network will no longer be made up solely of cables and meters, but of social nodes – customers – that are increasingly aware and participatory.

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Sc scenarios

THE POST-CORPORATE BRAND When we make a purchase, whether consciously or not, we are also buying a brand that represents the company, something which becomes a social status to own or an identification symbol strong enough to make us empathize with the values proposed. In any case, the brand influences our choices. But what will happen now that this pattern has been reversed? by Ije Nwokorie CEO, Wolff Olins

Recently at Wolff Olins, we partnered Flamingo to produce a report on The New Mainstream behaviors (http:// gamechangers.wolffolins. com) that define a new set of behaviours by customers that are confounding the modern corporation. While few of these behaviours are entirely new, they have become more

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widespread and mainstream, adopted by the young and old, the digitally savvy and those more confortable with traditional ways of interacting with corporations, and in established economies and growth economies alike: 1. People are side-stepping corporations: Everywhere in the world, people are questioning authority – and finding ways to sidestep it. 2. People are making their own meaning: With so many ways to create, use, adapt, mix things up, sell things and even build their own businesses, people are now creating their own meaning and purpose. 3. People are taking control: Faster and more frequent communication has allowed brands to push too much at us – and people are looking for ways to control that flow, to get things when they want them, where they want them, and on their terms. So we no longer just consume – we sidestep, make our own meaning and deepen the value of our time, swinging the

balance of power away from corporations to individuals. The corporate response However, it is not as if corporations have just sat back and done nothing. The same tools that customers believe give them power are being leveraged on the behalf of the corporation. Three corporate behaviours represent the wrong response: 1. Brand for price advantage The incredible amount of data that corporations hold on us, and their ability to crunch it, means they can price more opaquely than ever. In this reality, pricing is increasingly a cynical exercise in charging what they can get away with, not what’s fair. It’s the airline charging a higher price because they know you are ready to fly and the supermarket giving you an ‘offer’ that is more expensive than their best price because they know you are used to paying more anyway. While this behaviour is as old as selling itself, it has become

turbo-charged by the growth in data, data storage and data crunching, using the brand to extract the highest possible price each and every time. 2. Brand for data We no longer expect to pay for things. No booking fee, interest free, all the music, film and minutes you want, for little or nothing. Sounds like a wonderful world. Yet, customers are still largely unaware that if they aren’t paying for the product, they are the product. It is not just that our data is being sold – privacy is one area where customers are able to weight up the pros and cons – but large swathes our life, our time, habits, content, are being taken over, often without our knowledge, rarely with any real sense of to what extent and with what implications. With individuals creating much of the value in the connected world, what happens when people realise that their content, ideas and hard work do not really belong to them,


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but to the free platforms they’ve been using? 3. Brand for unfettered access Social, local and mobile are incredibly powerful for customers. And corporations are getting increasingly sophisticated about building compelling offers from retail to music to money that leverage the power of these utilities to create new value for customers. What customers are less aware of, and corporations don’t share, is how more power these utilities give corporations. To target. To segment. To control. Society is still not entirely comfortable with being watched at all times, regardless of how much better this makes the products and services we use, and brands that play with this are taking risks with their reputation long-term. A better way to think about brand? The post-corporate brand What if all this power that people and corporations have was put to use to create a new kind

of relationship? One of exchange, not of manipulation. One of give and take. Branding has always been about the owner/company/ corporation. First, it marked ownership, a mark on the side of a cow, a horse or a barrel. Then it marked quality, on a bottle, a can or a packet. Think of Bass or Kellog’s. After that, it marked the desirability of a product, on an ad, in a store. Think about the great TV ads of the Sixties and how they defined culture. And finally, brands came to mark our allegiances. We were Nike or Adidas, Coke or Pepsi, Fiat or Peugeot people. All of those were about the owner, the company, the corporation. However, a new era is upon us. With all this power in customers’ hands, what if we thought about the brand not as a corporate tool, but a tool for the customer? In this world, we would be less obsessed with positioning, audiences and targeting, and more obsessed

with creating value, participation and connection. It means handing over the keys to the ecosystem to the customer and using the brand as the connective tissue that unites the objectives of the corporation with those of the individual. Brands that do this will outperform and outlast those who exhaust themselves chasing the customer as a target (enemy), instead of as a genuine partner in the value exchange. However, this is not just an idea for a new breed of brands from California. All companies, to remain relevant, will have to rethink the brand around the customer. And nowhere is this more important that in the critical sectors that have a fundamental impact on people’s lives: energy, food, money, education and health. Fail to do this, and these companies will be cannibalised sooner or later. Get it right, and we will see a golden age of important, admired and strong brands that have a positive impact in the world.

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However, a new era is upon us. With all this power in customers’ hands, what if we thought about the brand not as a corporate tool, but a tool for the customer?

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Co contexts

THE ENERGY MARKET: A NEW CONNECTION WITH CUSTOMERS There is nothing more dynamic than the market, and the energy market has changed radically in recent years. Today energy consumption is as quick and easy as a click on the screen of a smartphone, and companies must be able to quickly pinpoint what is being sought by customers, venturing also into new territories. by Nicola Lanzetta Head of Italy market, Enel

Driverless cars are being tested on the streets of California, a newspaper without an editorial staff has become the most important newspaper in the world, and a network of homes to rent provided by private owners is undermining the big hotel chains. These are just a few examples which demonstrate the current market situation, consisting of small start-ups and new competitors who are challenging industry leaders. This upcoming generation is breaking down barriers in the (short) time it takes to develop an app and is prompt to snap up to-

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day’s customers who are always online and ready to welcome the best proposal with a single click or, increasingly, at the touch of a fingertip on their smartphone. These trends are undoubtedly accelerated by the development of digital technologies, whose decreasing costs make it increasingly easy both to compete on a delocalized scale and attempt forays into various diverse sectors. Moreover, the customer types reachable through digital channels are no longer confined to the niche of ‘geeks’: in Italy more than 85% of households now have access to the Internet and this year mobile navigation exceeded the volumes of navigation traffic on home PCs. In fact, it appears that smartphones and tablets, thanks to the easy immediacy of a click and an app instead of a clumsy mouse and software, have helped in removing residual resistance in older sections of the population and amongst those who resist change and innovation. It is expected that in the coming years (aided by further cost reductions for devices and internet service, and the arrival of a new digital generation), no sector of the Italian population will be without Internet connection. In this context, any company operating in any sector runs only one real danger to cite Jeff Bezos, the CEO of Amazon: “The danger of not evolving”. Especially today when, even though household demands have remained essentially the same as those of the times of our parents, we are seeing a rapid convergence of sectors amongst firms supplying these demands, i.e. an attempt to assault the margins of other companies by entering markets not closely related to their core business. This is certainly true of the commodities sector, although to date it has not undergone substantial upheaval regarding

either its competitive model or demand structure. What we, the marketing people and leaders of the free market, wonder is not so much ‘if’ or ‘when’ to expect a discontinuity, but how to create a change, starting with the current strengths of our business. Enel already has three major assets that ensure a competitive advantage. The Enel brand is among the most popular and credible in Italy: about 30 million customers use its services (10 million of them have chosen it on the free market as their supplier) and its presence in Italy is both widespread and deeply rooted. On this basis, in recent years we have begun to lay down a path that will lead us to become the supplier of choice regarding all

Any company operating in any sector runs only one real danger, to cite the CEO of Amazon, Jeff Bezos: the danger of not evolving household energy needs, a service extending well beyond the simple sale of electricity and gas, in much the same way that the champions of innovation are transforming and diversifying their activities thanks both to the reputation of their brands and customer loyalty gained by the quality offered in their core business. Already today a customer can buy air conditioning systems with the guarantee of a higher energy class and ‘keys in hand’ service directly from Enel Energia; you can choose to create your own energy yourself via renewable sources produced and installed by expert technicians; you can revolutionize your approach to mobility and minimize your ecological footprint by purchasing an electric car made by Enel and recharging it at our stations. The next step that lies ahead is to extend our range of products and services available to customers. An experiment is


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already underway to include a complete range of efficient appliances, alongside the devices for hot water and air conditioning/heating systems currently being sold. While the catalogue of electric vehicles has already been expanded with the offer of two-wheeled vehicles such as scooters and bicycles, the next areas to explore are urban car sharing with zero emissions and maximum circulation. Our household package is enhanced by all-inclusive warranty services and a broader spectrum of insurance solutions. Finally, in a context in which the ‘Internet of Things’ is the new frontier of innovation, we are launching into the field of home automation systems through smart metering and remote control facilities and appliances. Therefore by diversifying its product portfolio, Enel Energia has become a one-stop supplier of integrated solutions for families. Furthermore, the world of business customers, increasingly demanding in terms of simplification and energy con-

sulting, is made up of individuals who are especially eager to secure an offer from their supplier that goes well beyond the installation of a meter alone. There will be a shift, from just being a simple supplier to becoming a real partner, by targeting companies with proposals designed according to the specific needs of each sector. Enel Energia will also become a point of contact between the two worlds that make up its customer base, that of households and that of businesses, in the logic of the current platform systems, i.e. providing residential customers with a privileged access channel to products and services for business customers and vice versa, thus providing the latter with an opportunity to contact potential new clients. Diversify and innovate are therefore the watchwords to meet the challenges of a market in which the role of the customer is increasingly active and aware. Keeping the customer firmly at the heart of its strategy and at the end of each path of in-

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novation is, after all, the choice that has made these so-called great innovators great: the first strategic principle of Amazon is literally “customer obsession” and Apple has designed every single aspect of its devices with the concept of experience rather than that of fruition in mind. Being guided by the clients is a choice that requires a total change of perspective compared to Diversify and traditional marketinnovate are ing: for example, therefore the the fact that, thanks to a smartphone, watchwords to meet a child in Africa the challenges of a can have access to market in which the more information role of the customer than the President of the United is increasingly active States had 15 years and aware ago is something we should bear in mind, even in sectors like ours, which are seemingly far removed from the digital and hitech worlds. In Western markets we have already moved beyond the simple accessibility of information, since customers participate directly and without filters – mainly through social platforms – in the production and spread of information and contents, actually becoming a medium themselves. Looking to customers as one of our levers of communication is another one of the many paradigm shifts that we have been called upon to make. The success of our journey towards change will depend on the ability and, of course, the speed in our internal re-programming so as to dedicate efforts to innovation and undertake the risk of new approaches, but these efforts must also be appropriately focused: if the principle holds that 20% of the assets determines 80% of the results, it will be crucial to identify – quickly and always attuned to the needs of our customers – the 20% that makes the difference in the markets.

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In interview

DISTINGUISHING FEATURE: CONSUMER Identikit of today’s consumer: a serial filler of online shopping carts, a geek with a speedy finger for downloading the new app that delivers purchases in a nanosecond, a reader without a library thanks to the convenience of a Kindle. We asked Alessandro Cattelan if he recognized himself in this profile and we discovered many things, from his love of paper books to his quasi-pioneering attention to energy-saving.

interview with Alessandro Cattelan Television Show Presenter by Andrea Girolami Journalist

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Alessandro almost always does his shopping in person: “It is also a chance to spend time with my daughter”

Surveys would appear to reveal consumers in search of information who walk around stores photographing QR codes, others who consult blogs while choosing which product to buy, and yet others who don’t have time to physically go to a place and so end up simply making their purchases online. If this is true, these are consumers who should be evolved, aware, informed, and equipped with the latest technology. But are they really? Are we still evolving or have we already reached a consumer 2.0 standard? We asked Alessandro Cattelan to answer a survey regarding his consumption habits and the extent to which technology affects them. Everyone should give Alessandro Cattelan a call once in a while. The presenter of X-Factor (and speaker for Radio Deejay, as well as a writer, actor, companion, and father) is a person capable of inspiring extraordinary serenity. In these frenetic days filled with instant messages, tumultuous visions of the future, and millenarian fears (even though the year 2000 is long gone), Alessandro is surprisingly very down-to-earth, right from the start. “I’ve never learned to use technology effectively,” he confesses candidly. “I use the phone in a pretty basic way: for phone calls, WhatsApp, and two or three other apps, but not much else.” And that’s just the beginning: Cattelan seems impervious not only to whatever technological craze seems to have enchanted the rest of the world, but also to turbo-consumerism (“I do this crazy thing: I buy what I need”), the use and abuse of organic foods, zero kilometer products and the like. “I’m still old school, I don’t go much beyond whole wheat pasta, but I discovered that I like the way it tastes better and I’ve been told it’s also better for us, so that’s perfect.” All of which seems to suggest that perhaps the consumer of tomorrow is not necessarily

someone who is influenced by trends or obsessed with technology, but a conscientious person, someone who uses technology when strictly necessary, so as to be informed and to have the right tools for making decisions. His ‘good guy’ face, which has turned him into the darling son that every mother would wish for (as well as the smart and kind grandson in a famous series of commercials), does not seem to be make-believe but actually genuine. From a celebrity like him, we would expect a more covert purchasing behavior, strictly online in order to avoid potential legions of aspiring pop stars thronging the local supermarket, desperate to grab the opportunity to audition in the aisles among the frozen foods and toilet paper. But Alessandro almost always does his shopping in person: “It is also a chance to spend time with my daughter.” He doesn’t buy online very much, indeed very little. And what might that be? Various things, such as a box set of the TV series Friends purchased several years ago (“you couldn’t get it here in Italy”) or a strange tongue-cleaning device, which he is pleased to explain to us: “It’s a copper bar you rub on your tongue in the morning before brushing your teeth or in the evening before going to sleep and it sanitizes your mouth and prevents sore throats. But I should probably have just bought it in person from a shop, seeing as I spent more on shipping than anything else.” Yet even in the life of Alessandro Cattelan, there are ‘collateral victims’ of the digital revolution: the music media. “In the end, I only feel the need for ‘physical’ records when I’m at home. I listen to music and store it on my phone.” What about books? Does the same hold true? “That’s different, the readers of digital books are almost disagreeable to me: I’ve tried but I just cannot manage to warm to them. When I go on vacation I still fill my suitcase


with four or five books; maybe there’s no space for my underwear, but seeing a book’s pages turn gradually towards the end as I read it is something that gives me satisfaction. This doesn’t happen on Kindle, everything is static: I can continue to browse or scroll endlessly without there being any real change.” So far, these are objects that all of us are using already. But what about the futuristic visions we were talking about earlier? Drones that can deliver an order placed online to our home in a matter of minutes, and not only that: cars that drive themselves (Google has already shown off its first prototypes, and which it seems that Apple is working on too). “Actually, this thing about drones makes me smile,” Alessandro chuckles over the phone. “It’s one of those things that is ab-

solutely amazing at first and then immediately becomes mainstream.” He continues: “For example, in the world of video production, it seems as if filming is no longer possible unless you have a drone. A few years ago, the same thing happened with people who thought they were photographers just because they had the app to put three filters on their photos. Now they are all avant-garde directors because they have a drone; they might not even be able to focus the camera, but they know how to fly this thing.” The day we made our call coincided with the peak of the Volkswagen emissions scandal, so there was an irrepressible urge to question him about a possible utopian solution to such problems – a world where there will be only electric cars, which drive themselves as well. What does the X-Factor

presenter think about this? “Personally, I don’t really like to drive, I can’t wait for cars that can drive themselves and park on their own. Although, after hearing about them for years but never having seen one with my own eyes (nor do I know anyone who has ever driven one), I’m beginning to wonder if it’s not just something out of Back to the Future...”. Energy, as well as being increasingly the subject of global discussion, is also one of the services in which consumer awareness is a way to achieve efficiency. Alessandro feels particularly strongly about the issue of energy and he is the protagonist of the aforesaid commercials which feature him at work in everyday scenarios, explaining to us that it really doesn’t take much to avoid energy waste. Is the evolved consumer there-

fore an observant consumer? Maybe so. “As for energy saving, I consider myself a kind of pioneer. It is more difficult regarding my home in Milan, of course, because it is a condominium, but in Tortona, where I built a new house, I had solar panels installed ten years ago already, and the cork coverings for the walls have reduced heat and energy loss. This is a topic that I’ve always taken to heart because I am firmly convinced that, the further forward we move, the greater the need will be to efficiently manage the resources we have, such as energy and water.” Perhaps this is the new consumer: someone who is more focused on substance than on trends; who uses technology as a means and not as the only resource possible; a person who thinks, innovates, makes choices, and who reasons by aiming for efficiency.

Energy is a topic that I’ve always taken to heart because I am firmly convinced that, the further forward we move, the greater the need will be to efficiently manage the resources we have

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Co contexts

THE THOUSAND FACES OF SHARING There are those who offer their time, others their skills; some give away their excess food, perhaps bought in expectation of a dinner that never happened and which would have gone from the refrigerator to the trash bin. And then there are those who volunteer their living room for sharing an experience: here is a report on the global sharing economy to discover who is using their common sense to make it possible.

LIVIA 32 years old

by Gea Scancarello Journalist and author of “Mi fido di te”

The culprit was a Greek yogurt, and a dinner that never took place. It was all thanks to that yogurt pot, a plastic alien in a refrigerator usually populated only with vegan foods, that Paola B. (a 26-year-old architect from Bologna) decided to jump into the world of foodsharing. This practice involves exactly what the name suggests, with the highest of good intentions: to avoid waste, redistribute surplus, and consume (better) collectively. Basically, instead of succumbing to the habit of throwing out leftovers or excess purchases, the food is given to someone else. How? By posting an offer on a website, one of the many that are springing up in countries all over the world precisely for this purpose. “I am vegan and I pay a lot of attention to everything concerning food. When the friend I bought the yogurt for did not show up for dinner, I decided to give it away,” says Paola, bursting with an emotion that exudes good intentions. “I felt I was doing the right thing. It’s not important that it was just a cheap pot of yogurt: what matters is the fact that it was a sign of change. In fact, a girl who wanted it wrote to me shortly afterwards.” This is the good side of the sharing economy, a phenomenon which is perhaps less

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popular than other well-known platforms but is equally revolutionary. Especially when you consider that, according to FAO data, one third of the food produced in the world each year ends up in landfills, often without even reaching the dinner plate. These statistics, probably little-known, are staggering and were what pushed Ilaria Venturelli, an engineer from Bologna in her early thirties, to create the platform S-cambia Cibo (Ex-changing food). “I was asked to design a restaurant in Moscow. To do so, I decided to read up on food consumption in the area, and during this reading I came across the data on waste in the world. I became really indignant and decided that in my own small way I had to try to do something,” she says. Thus S-cambia Cibo was created – operating today primarily in Bologna, the aim is to try to establish good habits which may then take root everywhere. But it is not an isolated effort, nor the only one to indicate a change of direction and budding hope in the field of cooperation. For example, Paul R. was a sales manager for an electronics company when a reorganization of the business left him jobless. “I was 50 years old and I had the distinct feeling of being finished. But, fortunate-

ly, I also had a load of hobbies and goodwill. So I tried to give myself another chance.” Not by sending out resumes, but by offering his skills: to be precise, by making them available to others on TimeRepublik, the first international bank of digital time and active in 110 countries around the world, where one asks for and finds a little of everything in terms of skills and services, from computer experts to dog sitters. Platform users pay one another in ‘time’, not money: in fact, when you sign up on the website you receive a capital of minutes that can be used to remunerate services from others, while you can do things for other people to increase your capital. “I had a passion for electronics and DIY, but I also have a boat license and I declared myself available to relocate boats from place to place. So I was contacted by an owner and I ended up having free boating holidays.” The paradigm shift is not easy to digest according to Karim Varini, co-founder of the platform, who managed investment funds

Accessibility is one of the keywords of this wave of ideas generated in the name of the sharing economy: extending possibilities, bringing people closer to worlds far removed from their own, and collectively managing assets, skills, and energy


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in Lugano in his pre-sharing life. “By eliminating the problem of money you can do great things: an idea that someone is unable to bring to life alone may be achieved with help from others.” Not surprisingly, 70% of trade on the platform concerns graphic work, computer science, management/creation of Internet projects, and company consulting: a pool of skills to use in a collaborative way, also creating new jobs. And “collaborative intelligence” is the very expression Fabrizio Gasparetto uses to explain the platform Oxway, the first of its kind, which he created and put into operation between Milan and London. Via the Oxway website, companies, institutions, and organizations of various kinds can ask the online community for help in solving problems, thus overturning the logic of decision-making processes which are often governed more by roles and definitions than by clever insight. “Those who participate receive recognition, which may also be something very prestigious: for example, they may be selected as a member of the jury in a festival they have helped to re-shape,” explains the founder. In short, accessibility is one of the keywords of this wave of ideas generated in the name of the sharing economy: extending possibilities, bringing people closer to worlds far removed from their own, and collectively managing assets, skills, and energy. This is a revolution in thought and practice that has significant economic consequences, even when not

strictly profit-driven. According to a study by PricewaterhouseCoopers, the sharing economy could be worth 335 billion dollars between now and 2025 for those sectors and companies that embrace a new collaborative approach. But although the public view of a sharing economy often only comprises forms of private rental, the potential possibilities are actually much wider, with the only limits being one’s imagination and the ability to perceive emerging demands. For example, all you need are 25 chairs and/or cushions in order to turn a room into a theatre where selected companies can put on shows for a private audience. This idea came to Raymond Brandi, an actor himself, who then created the website TheatreXHome. “Those who cannot go out to the theatre, (perhaps because they have young children) can get together and decide to host a performance, to see quality productions; the theatre companies expand their audiences and create an intimate and unusual relationship between actors and audience,” he explains. In one year, the website has facilitated the organization of 90 events for a total of 2,800 viewers, in venues that are often unusual: up to 30 people in a studio apartment (the minimum for appearing on stage is 25) and 74 in the garden of a villa, crowded together to see unique productions. This is a small triumph of culture, but also a joy for your pocket: at the end of each performance, audience members make a donation to the actors, paying them for the

work done. A percentage of the proceeds (about 10%) is paid by the actors to the platform, which can continue to work and to organize other shows. Individual resourcefulness, therefore, replaces the traditional channels which are often backlogged and too bureaucratic. Indeed, the logic is the same as that which has made the fortune of BlaBlaCar, one of the ‘good’ champions of the sharing economy: bringing supply and demand closer, with one eye on the environment and another on savings, while keeping for itself a percentage of the total trade. Today about 20 million people around the world offer and look for lifts by car on the platform, and not just because they want to spend less – in Italy, for example, only 21% of members are students, the rest are people in employment for whom sharing travel expenses may be handy, but not a necessity. “In the last year, I have given 37 rides, I published all intercity trips I’ve done on the website,” rounds off Chiara S., aged 35, the owner of a shop in Milan. “It’s not as if the 10 euros I receive for costs will change my life, but having some company in my car does make a big difference: a few weeks ago, if it hadn’t been for one of my passengers, I wouldn’t have seen an obstacle in the road and there would almost certainly have been an accident.”

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Via the Oxway website, companies, institutions, and organizations of various kinds can ask the online community for help in solving problems, thus overturning the logic of decisionmaking processes

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growth and the gross domestic product of our countries in the coming years. What is this belief based on? Compared to the past, today there is a myriad of choices for buyers. Hand in hand with the increase in offers and advertising, the real difference is not ‘what’ you buy, but ‘where’ you buy and in which way. What do consumers want today? Consumers are driving the market in two different directions. On the one hand, they tend to want useful products and services at ever more attractive prices so they can be sure of spending their hard-earned money well. On the other hand, they want to live exciting moments in order to get hold of these goods. Again, they do not want to waste their time, having often had to take time from their daily commitments.

In interview

EXPERIENCE IS MARKETING Physical objects alone are no longer enough, we want more. So are companies despairing about that? Not all: the most enterprising businesses have decided to create an experience for their customers, a moment that is related to the act of purchasing but is also connected to other factors: feelings of pleasure, sharing, and the uniqueness of a day. Welcome to the age of the Experience Economy: are you sure you haven’t already experienced it?

interview with Joseph Pine Theoretician of the Experience Economy by Maria Chiara Voci Journalist

It was the end of the Sixties when Lego, the famous Danish company known throughout the world for its toy building blocks, understood that

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in order to grow it would have to broaden its horizons. Thus, in the small town of Billund, near the company headquarters, Legoland came into being: a miniature city where there are scale replicas of famous world monuments made with millions of its multicolored bricks. Every toy is fun, or provides a place where little ones can learn new concepts such as learning to drive a car or sail, or simply find themselves in a forest or fantasy realm. This amusement and theme park, perfect for families with children – especially the very young – was then replicated in five other countries, from England to the United States to

Today people no longer ask for material things to buy, but for firsthand experiences which involve them on an intimate and personal level

Malaysia. “Lego understood before other multinationals that to launch its new product, it would need to arouse enthusiasm in its audience of potential buyers. Because today people no longer ask for things to buy, but for firsthand experiences which involve them on an intimate and personal level,” said Joseph Pine, the founder of Strategic Horizons LLP, and strategic advisor and theoretician of the Experience Economy. Joe Pine, you are the author of numerous publications that analyze market changes and new trends and consumer needs. What do you mean by the Experience Economy? It is the economic phase we currently find ourselves in. Over the years, we have gone from an agrarian-based economy to an industrial economy based on goods, and then to a service economy. Today, on the contrary, what dominates the market is experience. This is the principle that will be at the basis of employment

Do you think that today’s citizens are more willing to spend money on a pleasant experience than for a good product? Yes, absolutely. Numerous studies have shown that today


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There is not a productive sector or service that has not been touched in some way by the need to offer new and effectual experiences buying an experience makes us happier than buying a product. Also because, due to the economic crisis, most people have realized that we have more than enough material things, while what we lack are experiences and emotions. So, aren’t brand-names leading the market any more? In some cases, our spending decisions are still tied to the big known brands that are a guarantee of reliability. Nevertheless, I believe that, with some exceptions of historical ties of affection, experience will prove to be a more determining factor than the brand in orienting buyers’ choices. Lego was one of the worldwide frontrunners in this new trend. What other famous companies have moved or are moving in this direction? There are many examples. Geek Squad turned a trivial computer consulting service into an engaging meeting on the principle that “work is theatre”. It has since expanded its business, thus spawning a network of 20,000 agents around the world. Starbucks manages to sell a cup of coffee that has two or three cents’ worth of raw material at a price ranging from three to six euros by focusing on a comfortable environment, creating a place people go to because they like to spend their time there. And then there is Apple which has long understood that the experience is marketing, and that it is necessary to focus on the design of objects and the stores that sell them in order to succeed and make a difference.

Are there any examples of Italian companies that are focusing on the complete experience? One of my favourite examples is Eataly. This food business has turned its store into an extraordinary location thanks to its design, cafes and specialty restaurants, cooking school, and even a museum, in which to experience Italian cuisine and food. It is definitely a place where those who enter have a complete experience. What are the basic aspects that make an experience successful? In some cases, when an experience has a well-defined concept, its strength lies in the ability to create cohesion among those who are called upon to live out a certain situation. In other cases, the key lies in a well-balanced mix of entertainment, education, escapism, and aesthetics. In the end, however, success lies in those moments experienced by the consumers that give them the illusion of authenticity.

er, what is changing today for tour operators is the need to compete on the type of experience offered to the customer, which must be increasingly sophisticated and unique in order to emerge and prove successful. In other sectors, such as architecture, the focus today is less and less on designing a physical building and more and more on how to create a place where people can feel at ease, live, and spend time. Even more than other sectors, medicine and personal care have had to deal with the fact that the better the experience a patient has, the better the subsequent treatment results will be. And if we consider all the other economic sectors, there are plenty of examples.

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The United States and Europe: it is still a question of two continents with different cultures and habits. Is what holds true in the US market also applicable to the European market? Yes. The principle of the experience is valid in Europe too, although, of course, with different approaches designed to respond to the culture and mentality of a population. For example, in EU countries, the level of experiences required is generally more intimate and profound. But the basic concept remains unchanged. All around the world, offering a moment to experience, possibly something new and unusual, will be the real frontier for the foreseeable future.

What impact do consumers’ demands have on the sharing economy? The sharing economy is essentially a demonstration of how today’s consumers have realized that there is no need for them to actually own all their goods. Instead, they may still access goods belonging to others by paying a fee that gives them the right to live the experience of owning something but only in due course, when and how they need it. Can the principle of the experience economy also be applied in fields such as tourism, architecture, and healthcare services? There is not a productive sector or service that has not been touched somehow by the need to offer new and effectual experiences. Tourism has always been based on this concept and is, in fact, the leading industry in the world, employing 10% of the world’s population. Howev-

Geek Squad turned a trivial computer consulting service into an engaging meeting; Starbucks manages to sell a cup of coffee that has two or three cents’ worth of raw material at a price ranging from three to six euros 105


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Co contexts

A NEW ENTERTAINMENT Death of the physical music formats (apart from vinyl!), digital use, peer to peer, and streaming: in short, this is the evolution of our approach to entertainment in the Internet age. But it is not just a matter of music formats: smartphones that are increasingly faster and well-designed are multiplying their content and making it accessible at all times. How can you choose from among the huge range of offers available via this pocket-sized device? by Luca Castelli Journalist

The arrival in Italy of Netflix, the world’s leading provider of on-demand streaming for online movies and TV series, adds yet another piece to the rich mosaic of new methods of enjoying digital culture and entertainment. Not only is the perspective in 2015 radically revolutionized compared to the beginning of the Nineties and the period prior to the advent of the Internet but it is also significantly different from the situation during the first few years of Internet expansion and popularity. The most interesting change (to which the public has become accustomed quite rapidly) is the shift from the paradigm of possession to that of access. From 1999 to 2007 – i.e. from the launch of Napster (the first software that allowed for the unauthorized sharing of online music) to the launch of the iPhone – entertainment via the Internet developed almost as a simple upgrade and expansion of the typical dynamics of the twentieth century. Instead of records, videotapes, or books, the industry tried to sell digital files, replicating the model of trade in product units. Emblematic of this practice was iTunes, the store launched by Apple in 2003, which for many years managed to monopolize the e-commerce media, distributing millions of songs (followed by podcasts,

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movies, video games, and applications) and collecting an immense and valuable archive of customers and credit card numbers. For several years, iTunes was considered to be the solution to the commercial ills and anxieties of the Internet: for one thing, it was a legal antidote to the piracy of albums, films, and software, and furthermore, it represented a way to regain control of the branching channels of entertainment without being forced to make major structural changes (in music, the only significant innovation was the move from albums to singles).

Today we could call it a 2.0 update of the vertical model of TV and radio, enriched with interactive features and inevitably connected to the social media But it turned out to be a parenthesis, a rather short interval between the old analogue world and the new dimension created by the latest technological advances. These innovations regarded two main elements: the universal spread of smartphones and improved wireless connections. Smartphones have transformed the average user’s consumer experience, marking a shift from the absolute stationary position of their home computer (or the only partial mobility of a laptop) to a purely nomadic mobile device. The operating system of smartphones – less ‘free’ than that of a computer, in that it is detached from browser-based navigation and anchored instead in a network of proprietary apps – has also led to a significant change in management of the interfaces between providers and end-users. Compared to the somewhat anarchic peer-to-peer-years, we have now returned to a more rigid control from on high and to a user-experience channeled into tools and options decided by the provider. We could call it a 2.0 update


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of the vertical model of TV and radio, enriched with interactive features and inevitably connected to the social media (as entertainment is now ‘shared’ much more than in the past). Thus the exponential increase of coverage guaranteed by the Wi-Fi and 3G/4G networks has provided this new man/machine configuration with the ideal ground for developing the consumption of universal contents. Thanks to smartphones and mobile networks, today the user is always connected to the multimedia jukebox: at all times, in all places. This has made it almost inevitable for entertainment systems to become more innovative by transforming from vendors of contents to providers of access to the same contents. Hence, the explosion of services like Spotify and Netflix who base their offer on a subscription model where there is unlimited access – generally costing less than ten euros per month – to millions of songs and thousands of movies. This obviously contrasts with the sales models of individual products, so typical of traditional offline stores and iTunes. At this point, another keyword must be mentioned, one with more technological connotations: streaming. The decade of iTunes and piracy via P2P was characterized by the domination of downloads (files that you store on your hard drive, to be used only on your PC or portable devices like an iPod music player), whereas today we are witnessing the triumph of a model in which the idea of ‘access without ownership’ has also been achieved from a technical point of view. With streaming, architrave not only of the aforementioned Spotify and Netflix but also of YouTube’s video reservoir, the file is still downloaded to your device (PC, laptop, smartphone, tablet) but only allows immediate consumption by the user: unless one resorts to illegal tricks, it cannot be stored and disappears as soon as you have finished watching or listening. Market data seems to confirm

the magnitude and possibly even the irreversibility of this process. The statistics regarding music are most clear: for the past two years, almost all the countries that are more mature in terms of digital consumption popularity (the United States first and foremost, but also Italy), the world of pay-per-download of songs and albums has begun to collapse, outstripped by the emerging power of streaming services. Given the figures for the first six months of the year, 2015 will confirm this trend. Thus there is no doubt that we have entered a new era of entertainment, strongly influenced by technological progress. However, it is difficult to predict if and how this will develop, and whether or not it will follow the tracks laid down by streaming. What clouds the crystal ball are the complexity of the market, the ambiguous effects of digital synergy (resulting in a very large number of competitors in the same arena – big and small, old and new, local and global – and the impossibility of knowing in advance what the next inroads made into technology will be (as the only certainty is the innate tendency to change). There are many economic unknowns, due both to the need to redefine the relationships and agreements inside the creator-distributor-user chain, and the presence of variables that could have a decisive influence on people’s habits and choices. For example, for years there has been an ongoing debate on how to reconcile songs being distributed for free on YouTube with hybrid solutions such as Spotify’s freemium (some services are free, others are available for a fee) and with others that are ‘subscription only’ such as the newly created Apple Music. There is significant doubt also regarding the field of law and legislation, both regarding elements of disruption introduced by the new services, and for the complicated national and supranational dynamics that are inevitably triggered in a global system like the Internet.

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Not to be underestimated is aning the ebullient expansion of other aspect, perhaps the most digital abundance. Every time fascinating one, which is always we turn on a smartphone and decisive in determining the succonnect with the Internet, we cess (or failure) of a business have at our fingertips millions model: the psychology of conof songs, movies, apps, e-books, sumers. From this point of view, and countless other stimuli. surprises are just around the What will we grant our time corner. For example, it may hapto? What we will discard withpen that at the acme of this cenout even bothering to take a tury of digital dematerialization look? What criteria will we use – involving smartphones, Wi-Fi, to guide our experience in the and streaming – the public will digital ocean, as we pass from resume regular purchasing of a movie to a tweet, from listenpurely analogue and twentieth ing to a song to clicking ‘like’ century objects such as vinyl on Facebook? These are the LPs (2015 will be the eighth conissues which will define the fusecutive year of growth for sales ture of the new entertainment. in the sector of the vintage music form, There is no doubt records). Moreover, that we have there is still no way entered a new era of knowing know how the public will of entertainment, react to the truly Cobut it is difficult to pernican revolution predict if and how of entertainment this will develop, and in the twenty-first century: the transiwhether or not it tion from scarcity will follow the tracks to abundance. If defined by streaming the entertainment industry of the last century was dictated by the rhythms and limits of the shortage of products, that of the new millennium is follow-

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Sc scenarios

HOW WILL WE MAKE PURCHASES IN THE FUTURE?

It is very difficult to imagine a society without the physical presence of stores in the future. What’s the ideal scenario? Perhaps one where the two channels fit together in perfect synergy

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Let’s forget about futuristic visions of a world of lazy people sitting in armchairs, who are making purchases or doing their shopping and paying via iris recognition software. The universe of buying is much more complex than that: it is a social experience that requires time, people, places, and thoughts. And we are re-designing it precisely so that these basic elements are not lacking. Future scenarios will be far more complex than we think. by Alice Pace Journalist

So, the heel of your shoe breaks when you’re running to catch the bus – this is sheer bad luck, the perfect event to share immediately on social networks, complete with photos to enter-

tain your friends. And, just a few seconds later, there’s a notification on your smartphone: do you want a new pair sent to the office, just in time for the meeting with your boss? Click. Done. After all, it’s easy enough – all your personal information is already in there, such as your appointments, sizes, and tastes. Surreal? Not entirely. In fact, the digital market has been embracing us for some time now, all eyes and ears to suss out our every desire and come to our aid at the first sign of ‘need’. We already have the Dash Button by Amazon, a domestic Wi-Fi connected device that provides us with sugar, toilet paper, and all household supplies at the touch of a button. For a while now, Tesco has been experimenting with virtual supermarkets around the world: use your phone camera to scan barcodes of products you want from a screen at the underground station or even the airport, so that whether you are returning from a trip over-

seas or just finished late at work, your purchases will be delivered when you get home. What will happen tomorrow? For teenagers today, a generation inseparable from their smartphones and tablets, shopping with a ‘click’ will be the norm. The market is becoming increasingly focused on mobile phones: intuitive apps, simplified payment systems, geo-location, keyword search functions. And the numbers speak for themselves – in Italy alone, sales of smartphones have risen 68% over the last year, with a turnover of approximately two billion euros. One out of four purchases is already made using mobile devices, and it is expected that by the end of the year these operations will account for 25% of the total e-commerce business (source: Observatory eCommerce B2C of Netcomm – Milan Polytechnic University). And what will the fate of traditional stores be? Will we just walk straight past shop windows? Will salespeople disappear, supplanted by an army of express carriers zipping up and down the roads? No more fruit stands at markets, afternoons of shopping with friends, or naughty children running in the aisles of the toy department? Some think this is what we can really expect. However, there is another more likely hypothesis. Making a good purchase is a complex experience which takes time and words, it is not simply a case of wishing for something and getting it. History teaches us that commerce and shops or markets have always been an essential part of human and social relationships, not just places where someone sells products and someone else buys them. It is where people come together, make comparisons, and tell their stories: all aspects of making a purchase that can hardly be digitized. That is why it is very difficult to imagine a society without the physical presence of stores in the future. What would be the ideal scenario? Perhaps a solution where the two channels fit together


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in perfect synergy. Shops could be adopted more and more as exhibition spaces, for example, as places where people can try things out and actually touch or check the goods and then complete their purchase online. Supermarkets could have our shopping bags ready and waiting to be picked up. Is it possible to predict what we will be purchasing more and more online through websites and apps, and what instead we shall continue to visit stores for in person? “Until a few years ago, Italian e-commerce was dominated by services, mainly regarding travel and insurance, but today products have also gained their share, which is currently standing at 50%”, states Riccardo Mangiaracina, head of research of the Observatory on eCommerce of Milan Polytechnic University. Among these, technology and consumer electronics, as well as clothing, are the fastest growing sectors. Growing more slowly, but in continuous expansion, are the publishing and grocery sectors. “In the near future, we expect the emergence of sectors such as the food and wine of our regions, cosmetics, furniture, and home design, while the DIY and toy sectors are also promising”. The reasons that lead us to buy increasingly online are easy to understand: first of all, there is the search for the lowest prices. Secondly, convenience: we can buy quickly at any time of day or night or at weekends, or directly from our couch, with home delivery often free of charge. Another factor is the almost boundless choice of retailers and products at our disposal. And yet it is still difficult to imagine how we really will choose our purchases in the future. On the one hand, we are showered with tools that convince us to dive into impulse buying immediately. We will increasingly be able to make purchases via the blogs and social profiles of an athlete, chef or model that we admire, just by clicking on the watch they’re wearing, on the

tray they have in their kitchen, or on their surfboard. But the goods themselves are moving en masse to find us too: Google, Facebook, Instagram and all the websites with which we are registered have learned to know us well, even our personal tastes. “Our online life is increasingly the mirror of our offline activities, and trends and fashions change so fast that the tools that follow them are also being updated constantly, faster and faster,” says Luca Morena, creator of iCoolhunt, the social network that analyzes and maps trends. Will we ourselves become faster at skimming through the things we like, or will we be increasingly led by the algorithms? This still seems incomprehensible. “Maybe, simply, the two possibilities will embrace one another.” Surely one of the most imminent shifts will be in the payment systems, where both large established businesses

and startup companies are working to eliminate all the less pleasant and more boring features of our shopping: waiting in line, the check-out process, and the use of a credit card (not to mention cash) are all probably currently existing on borrowed time. “Already today, you cannot use a credit card for many purchases, especially regarding small expenses such as a coffee, a newspaper, or an exchange of money between private individuals. Smartphones, or other similar mobile devices, will be the solution,” muses Alberto Dalmasso, co-founder of the Italian app Satispay, which (just like a prepaid card) facilitates the exchange of money without being tied to the circuit of credit cards. And what about the long-awaited use of retina recognition? Or payment with fingerprints? These almost certainly won’t be used, as authentication will be carried out through even more real-time strategies. And

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we cannot exclude that some new hi-tech phenomena will come bursting onto the scene to revolutionize our habits in a completely unexpected way. Take, for example, 3D printing – maybe in five or ten years, we will manufacture our own plates and glasses, or even coffee tables. Or (why not?) virtual reality, for us to test products before they actually exist. After all, given the opportunity, who would say no to a tour of their future home before it is even built? And, are we quite sure that it cannot already be done?

The market will be increasingly focused on mobile phones: intuitive apps, simplified payment systems, geo-location, keyword search functions

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We are now at the right time to guide the adoption of a long-term electrification path in SSA countries that is based on economically and environmentally sustainable systems, leveraging close cooperation among governments, international organizations and electricity players Sc scenarios

AFRICA: THE DAWNING OF ENERGY The energy issue takes on very specific characteristics when it comes to sub-Saharan Africa, a region of the world where access to energy is dramatically low and the conditions for expanding the electricity grid are often prohibitive. So here is an overview of viable solutions and the conditions necessary for the development of an electricity market that is also available to the private sector. by Ignacio J. Pérez-Arriaga Director of the BP Chair of Energy and Sustainability Comillas University of Madrid Robert Stoner Deputy Director of the MIT Energy Initiative

The electricity access statistics for Sub-Saharan Africa (SSA) are well known and appalling: 620 million people – nearly half of the total population in the entire Africa – live without access to electricity; 80% of the un-electrified population lives in rural areas; and, in these areas, only 14% of the households have access to critical electricity services.

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The SSA is the only region of the world where the number of people without electricity access is increasing. The level of awareness of this problem has increased substantially over the last decade, as indicated by a slew of announcements of electrification initiatives by many of the regions governments and the increasing level of available international funding. While these developments are vital, they are far from what is needed. Populations lacking access to energy is an unacceptable bane on our 21st century society. Luckily, it seems the challenge of universal electrification may be overcome in less than two decades. What stands in the path towards achieving universal access? We argue that the absence of a sound regulatory framework and of a comprehensive electrification planning approach are major impediments for the success of any serious attempt at providing the electricity access that could dramatically improve the lives of so many people. According to the International Energy Agency, SSA will require more than $300 billion of investment to achieve universal electricity access by 2030. Sound regulation is required to give private investors confidence

that the financial risk is manageable. Given the scale of the challenge and the diversity of options for electrifying vast regions, effective planning tools are necessary to help governments, electrification agencies, donors and other stakeholders plan and allocate their limited resources wisely. The following sections will briefly discuss these issues. Why is planning needed? The provision of electricity access is a very complex problem that cannot be reduced to simple terms, and the success of any given approach strongly depends on the local context. Nonetheless, there is overwhelming agreement that a comprehensive electrification plan in SSA, and in virtually every developing country, consists of a combination of grid extension and off-grid solutions (i.e. micro-grids and stand-alone systems). Off-grid solutions may take advantage of local resources and are often the lowest cost option for dispersed and low demand located far from existing grids or in places with difficult grid access. Off-grid solutions also offer flexibility: in some situations where grid connection is ultimately the least cost option, off-grid solutions can act as a bridge, electrifying areas until

the utility (typically publicly owned and often in dire financial situation) reaches the site. These off-grid solutions are often privately funded by small entrepreneurs and large firms alike. The regulatory frameworks of SSA countries often allow entrepreneurs to negotiate freely the terms of off-grid supply with small villages or other consumer groups. Two obvious questions emerge: when should each option (i.e. on-grid and off-grid) be utilized, and how should priorities over the allocation of financial resources and the timing of deployments be established? A well designed planning tool can provide a rigorous techno-economic assessment of various electrification alternatives. These assessments can then be used by different interested parties, together with other political, social or regulatory considerations, to arrive at informed decisions on electrification strategies. Consumer preferences – regarding the reliability of supply, convenience of use, the potential for demand growth and affordability – must be at the core of any electrification plan. It is currently possible to develop inputs to sophisticated power system planning tools from geo-referenced databases and computer vision techniques that can identify buildings from satellite imagery. These tools integrate the geographic distribution of customers, their estimated electricity needs, the layout and reliability of the existing grid, and the availability of local energy resources to determine the best electrification option (i.e. grid connection, microgrid, or stand-alone system) for every consumer within a region, as well as the technical specifications and cost of each option. Further, these tools can determine any needed upstream reinforcements to the existing grid. These planning tools can be applied to a region of any size, from counties with a few thousand families to en-


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tire countries with millions of unelectrified households. As stated by World Bank experts “available tools, properly used, can inform policy interventions by governments and support the mobilization of resources (public, private, and donor-funded) behind access initiatives. There are many potential impediments to successful implementation of such initiatives, including political and social barriers. But a case backed by scientific data, rigorously gathered, will always have a better chance of overcoming these barriers.” Why is sound regulation so important? An overwhelming majority of experts agree that sound regulation is an indispensable condition to attract the vast amount of investment that universal access to electricity in SSA will require. Rural electrification, on-grid and especially off-grid, is substantially more expensive than electrification in urban areas with much higher demand density. Cross subsidization of rural electrification by existing grid-connected consumers – an approach widely used in other parts of the world – is not possible in most SSA countries, as the vast majority of households are not electrified and the required subsidy would be too large. The existence of a ‘viability gap’ between the electrification cost and what the beneficiaries can afford – except for perhaps a bare minimum service of a couple of lights and a phone charger – has to be acknowledged. And we need the electrification planning tools that were described earlier to help governments, planners and private investors to make better assessments of the volume of financial gaps and of their financial needs for specific projects. As the quintessential London subway recording reminds us, we must “mind the gap!” Sound regulation has to make sure that the viability gap will somehow be filled,

and that the risk to private investors of not being able to obtain a reasonable rate of return is acceptable. Furthermore, regulation must be stable, effective and enforceable, and free of major flaws. Grid compatible micro-grids need regulatory support since they are more expensive than the most basic ones (the best electrification option that the poorest households can generally afford). Thus, the developers of grid-compatible micro-grids need to be compensated for the viability gap. These grid-compatible and predominantly renewable-powered micro-grids deserve to be supported by regulation for several reasons: a) their assets are less likely to be discarded when the grid ultimately arrives, thereby reducing the risk for the potential microgrid investor; b) if the original renewable-powered generation assets remain, they will not be replaced by the grid-connected generation mix, which is predominantly

based on fossil fuels in most countries, setting the path for a less carbon-intensive model for the power sector; c) since grid-compatible micro-grids can provide a level of service similar to (or in many cases, better than) that of the existing grid, they reduce the consumer concern that establishing a micro-grid will only tend to delay the arrival of the grid (a not-uncommon concern); and c) in those places that can be eventually reached by the grid, privately financed micro-grids reduce the pressure on the incumbent distribution company to extend the grid, delaying the utility’s financial burden until the best time for connection to take place. We are now at the right time to guide the adoption of a long-term electrification path in SSA countries that is based on economically and environmentally sustainable systems, leveraging close cooperation among governments, international organizations and electricity players.

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The provision of electricity access is a very complex problem that cannot be reduced to simple terms, and the success of any given approach strongly depends on the local context

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Oxygen 2007/2015 Andrio Abero Giuseppe Accorinti Amylkar Acosta Medina Andoni Luis Aduriz Emiliano Alessandri Nerio Alessandri Zhores Alferov Enrico Alleva Colin Anderson Lauren Anderson Martin Angioni Ignacio A. Antoñanzas Paola Antonelli Simone Arcagni Marco Arcelli Ben Backwell Antonio Badini Roberto Bagnoli Andrea Bajani Pablo Balbontin Philip Ball Alessandro Barbano Ugo Bardi Paolo Barelli Vincenzo Balzani Roberto Battiston Enrico Bellone Mikhail Belyaev Massimo Bergami Carlo Bernardini Tobias Bernhard Alain Berthoz Michael Bevan Piero Bevilacqua Ettore Bernabei Nick Bilton Lorenzo Bini Smaghi Andrew Blum Gilda Bojardi Angelo Bolaffi Aldo Bonomi Carlo Borgomeo Albino Claudio Bosio Stewart Brand Franco Bruni Luigino Bruni Giuseppe Bruzzaniti Massimiano Bucchi Pino Buongiorno Nick Butler Tania Cagnotto Michele Calcaterra Gian Paolo Calchi Novati Davide Canavesio Paola Capatano Maurizio Caprara Nicholas Carr Carlo Carraro Bernardino Casadei Federico Casalegno Stefano Caserini Valerio Castronovo Ilaria Catastini Marco Cattaneo Pier Luigi Celli Silvia Ceriani Marco Ciurcina Corrado Clini Co+Life/Stine Norden & Søren Rud Davide Coero Borga Emanuela Colombo Elena Comelli Ashley Cooper Barbara Corrao Paolo Costa Rocco Cotroneo Manlio F. Coviello

George Coyne Paul Crutzen Brunello Cucinelli Roberto Da Rin Vittorio Da Rold Partha Dasgupta Marta Dassù Andrea De Benedetti Luca De Biase Mario De Caro Giulio De Leo Michele De Lucchi Gabriele Del Grande Domenico De Masi Ron Dembo Gennaro De Michele Andrea Di Benedetto Marcel Dicke Gianluca Diegoli Dario Di Vico Fabrizio Dragosei Peter Droege Riccardo Duranti Freeman Dyson Magdalena Echeverría Daniel Egnéus John Elkington Richard Ernst Daniel Esty Monica Fabris Carlo Falciola Alessandro Farruggia Antonio Ferrari Francesco Ferrari Paolo Ferrari Paolo Ferri Tim Flach Danielle Fong Cary Fowler Stephen Frink Antonio Galdo Attilio Geroni Enrico Giovannini Louis Godart Marcos Gonzàlez Julia Goumen Monique Goyens Aldo Grasso Silvio Greco Maria Patrizia Grieco David Gross Sergei Guriev Julia Guther Giuseppe Guzzetti Jane Henley Søren Hermansen Thomas P. Hughes Jeffrey Inaba Christian Kaiser Sergei A. Karaganov George Kell Parag Khanna Sir David King Mervyn E. King Tom Kington David Kirkpatrick Houda Ben Jannet Allal Hans Jurgen Köch Charles Landry David Lane Karel Lannoo Cecilia Laschi Manuela Lehnus Johan Lehrer Giovanni Lelli François Lenoir Jean Marc Lévy-Leblond Ignazio Licata

Armin Linke Giuseppe Longo Arturo Lorenzoni L. Hunter Lovins Mindy Lubber Remo Lucchi Riccardo Luna Eric J. Lyman Tommaso Maccararo Paolo Magri Kishore Mahbubani Giovanni Malagò Renato Mannheimer Vittorio Marchis Carlo Marroni Peter Marsh Jeremy M. Martin Maurizio Martina Paolo Martinello Leonardo Martinelli Gregg Maryniak Massimiliano Mascolo Mark Maslin Tonia Mastrobuoni Marco Mathieu Ian McEwan John McNeill Daniela Mecenate Lorena Medel Joel Meyerowitz Stefano Micelli Paddy Mills Giovanni Minoli Marcella Miriello Antonio Moccaldi Renata Molho Maurizio Molinari Carmen Monforte Patrick Moore Luca Morena Javier Moreno Luis Alberto Moreno Leonardo Morlino Dambisa Moyo Geoff Mulgan Richard A. Muller Teresina Muñoz-Nájar Giorgio Napolitano Oriol Nel·lo Edoardo Nesi Ugo Nespolo Vanni Nisticò Nicola Nosengo Helga Nowotny Alexander Ochs Robert Oerter Riccardo Oldani Alberto Oliverio Sheila Olmstead Vanessa Orco James Osborne Rajendra K. Pachauri Mario Pagliaro Francesco Paresce Luca Parmitano Vittorio Emanuele Parsi Claudio Pasqualetto Corrado Passera Alberto Pastore Darwin Pastorin Federica Pellegrini Gerardo Pelosi Shimon Peres Ignacio J. Pérez-Arriaga Matteo Pericoli Francesco Perrini Emanuele Perugini Carlo Petrini

Telmo Pievani Tommaso Pincio Giuliano Pisapia Michelangelo Pistoletto Viviana Poletti Jason Pontin Giovanni Porzio Borja Prado Eulate Ludovico Pratesi Stefania Prestigiacomo Giovanni Previdi Antonio Preziosi Filippo Preziosi Vladimir Putin Alberto Quadrio Curzio Marco Rainò Virginie Raisson Federico Rampini Jorgen Randers Mario Rasetti Carlo Ratti Henri Revol Gabriele Riccardi Marco Ricotti Gianni Riotta Sergio Risaliti Roberto Rizzo Kevin Roberts Lew Robertson Kim Stanley Robinson Sara Romano Alexis Rosenfeld John Ross Marina Rossi Bunker Roy Jeffrey D. Sachs Paul Saffo Giuseppe Sala Gerge Saliba Juan Manuel Santos Giulio Sapelli Tomàs Saraceno Saskia Sassen Antonella Scott Andrea Segrè Lucia Sgueglia Steven Shapin Clay Shirky Konstantin Simonov Cameron Sinclair Uberto Siola Francesco Sisci Craig N. Smith Giuseppe Soda Antonio Sofi Charles Spence Donato Speroni Giorgio Squinzi Leena Srivastava Tom Standage Francesco Starace Robert Stavins Bruce Sterling Antonio Tajani Nassim Taleb Ian Tattersall Paola Tavella Viktor Terentiev Chicco Testa Wim Thomas S tephen Tindale Nathalie Tocci Jacopo Tondelli Chiara Tonelli Agostino Toscana Flavio Tosi Mario Tozzi Dmitri Trenin

Licia Troisi Ilaria Turba Luis Alberto Urrea Andrea Vaccari Paolo Valentino Marco Valsania Giorgio Vasta Nick Veasey Matteo Vegetti Viktor Vekselberg Jules Verne Umberto Veronesi Alejo Vidal-Quadras George Vidor Daniela Vincenti Marta Vincenzi Alessandra Viola Mathis Wackernagel Gabrielle Walker Elin Williams Changhua Wu Kandeh K. Yumkella Anna Zafesova Stefano Zamagni Antonio Zanardi Landi Edoardo Zanchini Carl Zimmer 

Testata registrata presso il tribunale di Torino Autorizzazione n. 76 del 16 luglio 2007 Iscrizione al Roc n. 16116 Finito di stampare a dicembre 2015 presso Primaprint, Viterbo


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CUSTOMER 2.0 IL CONSUMATORE CON I SUPERPOTERI

Le strade del consumo sono (quasi) infinite. L’economia si è aperta a ventaglio, mostrando soluzioni che prima sembravano solo conseguenze di una moda passeggera. Oggi che il consumatore si trova al centro dell’economia, tutto sta cambiando: il modo di acquistare, le ragioni per desiderare un oggetto, l’atteggiamento delle aziende nel comunicare con i propri clienti, le strategie di marketing. Sullo sfondo si muove l’innovazione tecnologica, che facilita la consapevolezza degli utenti, crea nuove opportunità – sia dal lato del consumatore sia da quello del produttore – e genera rivoluzioni positive. Siamo nell’era della partecipazione e il mercato non fa eccezione: incoraggiando il dialogo tra i suoi attori ha fatto il primo passo per inaugurare un modello di consumo evoluto ed efficiente, che potrebbe essere di stimolo per il mondo in via di sviluppo.

Oxygen nasce da un’idea di Enel per raccontare la continua evoluzione del mondo


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