OXYGEN N°13

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di Simone Arcagni

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L’unità italiana ha dato vita a una società moderna che ha sfruttato l’energia elettrica per catturare la luce e dare vita ad apparecchi e arti in grado di testimoniare il reale: la fotografia, il cinema, la radio, la televisione.

John Springer Collection/Corbis

Ogni cosa è illuminata: fotografia, cinema, radio, televisione

Sono gli inizi dell’Ottocento quando l’inglese Joseph Nicephore Niepce e il francese Louis Jacques Mandé Daguerre iniziano, prima ognuno per proprio conto, e poi costituendo una società in comune, a sviluppare le tecniche che porteranno alla scoperta della fotografia. A metà del secolo il procedimento viene messo a punto, nel momento in cui l’Italia muove i sui primi passi con i motti, le riunioni carbonare e l’ancora sotterraneo ideale e pensiero di unificazione. I personaggi di questa vicenda sono tutti già attivi: Giuseppe Mazzini, Vittorio Emanuele III, Giuseppe Garibaldi, Camillo Benso conte di Cavour. E così nel 1860 il garibaldino genovese Alessandro Pavia (1826-1889) può fotografare i partecipanti alla spedizione dei Mille e creare un album fotografico che si inserisce nella nostra storia e lega indissolubilmente la nascita di questo Stato moderno alla cultura moderna e della modernità: quella dei mezzi di riproduzione tecnica, dell’arte figlia della scienza e della tecnologia, dei mezzi di comunicazione di massa. I 150 anni dell’Unità italiana sono così anche i 150 anni di uno stato moderno, per come si è venuto a definire in Europa dopo la Rivoluzione francese, ma anche di una società moderna che sfrutta l’energia del vapore e l’energia elettrica,

che cattura la luce e crea apparecchi in grado di testimoniare il reale, proprio come la fotografia che inizia a fornire grandi repertori di paesaggi urbani e naturali e di persone, volti e corpi. È curioso e interessante notare come alcuni fili si riannodano in questa storia: Torino che diventa la prima capitale italiana e Torino che, parimenti, diviene anche la prima capitale industriale, come a voler sottolineare un legame stretto tra l’idea moderna di Italia e la modernità che questo paese vuole assumere, nonostante sia ancora una nazione prevalentemente contadina. E così nel 1899 nasce a Torino la FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino), mentre già nel 1895 Torino è la città italiana che più di ogni altra (sarà la stretta vicinanza con la Francia?) adotta la neonata invenzione cinematografica dei fratelli Auguste e Louis Lumière, nata nello sviluppo dei loro studi e interessi imprenditoriali sulla fotografia. Nel 1895 il cinematografo Lumière approda anche in Italia e subito si attestano alcune figure mitiche come il milanese Luca Comerio, personaggio quasi romantico di cineoperatore avventuroso che partecipa nel 1911 alla spedizione in Libia e poi nel 1915, sempre con la sua cinepresa in spalla, affronta le avversità della Prima

guerra mondiale. In un periodo in cui al cinema non veniva dato alcun credito artistico, solo l’italiana avanguardia futurista ha il coraggio di porre il nuovo mezzo tra le altre arti e, anzi, di immaginare che sarebbe sicuramente diventata la forma d’arte principale del Novecento. La capitale industriale del paese, Torino, adotta questa nuova forma d’arte e di espressione: vengono creati studi come quelli della FERT e registi, attori, produttori entrano in concorrenza con Parigi nella creazione di film. Il primo e più significativo risultato di questa esperienza sarà Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone, singolare figura di musicista, produttore, attore, regista e scienziato. Cabiria è un kolossal che, nell’epoca di metraggi brevi o medi, supera la durata di tre ore. È un film spettacolare e costosissimo, arricchito dalle musiche di Ildebrando Pizzetti e dalle didascalie del “vate” Gabriele D’Annunzio. E proprio la presenza di D’Annunzio (che lo stesso autore a dire il vero successivamente minimizzerà) apre però le porte del cinema italiano (che, con i suoi divi e i suoi kolossal storici, viene apprezzato e riconosciuto in tutto il mondo) a una nuova fase in cui scrittori e intellettuali ini-

ziano a interessarsi al mezzo. Basti citare la sceneggiatura di Luigi Pirandello di Acciaio (1933) di Walter Ruttman. Il fascismo investe nel cinema e, seguendo il motto mussoliniano «La cinematografia è l’arma più forte», fonda Cinecittà, il Centro sperimentale di cinematografia, la Mostra del cinema di Venezia, l’Istituto Luce (“L’Unione Cinematografica Educativa”). Alla fine della guerra è il cinema, più di ogni altro, che si assume il compito di ripensare la nostra società, di guardare i fatti disastrosi degli anni precedenti, ma anche di marcare la necessità di rinascita civile e culturale del nostro paese. E così, in parallelo alla scelta della Repubblica e alla scrittura della Costituzione, il nostro cinema torna grande con i capolavori del neorealismo come Roma città aperta (1945) e Paisà (1946) di Roberto Rossellini, Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica e La terra trema (1948) di Luchino Visconti. Da quella incredibile stagione, che segna la rinascita italiana e contemporaneamente la nascita della Repubblica, il cinema sarà sempre al fianco dei cambiamenti sociali e culturali: prima e durante il boom economico, per esempio, andando a testimoniare le modifiche dell’aspet-


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