Il segreto delle tre pallottole

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verdenero

inchieste


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Maurizio Torrealta, Emilio Del Giudice Il segreto delle tre pallottole © 2010, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277 © 2010, Maurizio Torrealta, Emilio Del Giudice Tutte le edizioni e ristampe di questo libro sono su carta riciclata 100% Finito di stampare nel mese di aprile 2010 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg)


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MAURIZIO TORREALTA EMILIO DEL GIUDICE

IL SEGRETO DELLE TRE PALLOTTOLE


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indice

introduzione

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quella strana telefonata

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gli scienziati del rapporto 41 dell’enea

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il professore sogna edward teller

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il fisico kurt grass parla di alfred coehn genio dimenticato

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la redazione

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il professore sotto i ferri

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conferenza stampa del 23 marzo 1989 a salt lake city

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la maledizione di tutankhamon

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la degenza del professore

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a lezione di fisica nucleare

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j. b. conant amministratore della guerra, rettore di harvard e il memorandum groves

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il manifesto russell-einstein

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una vacanza ad antibes

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percy william bridgman e la sua scoperta dimenticata

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uranio arricchito a khiam

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jey che non dorme mai

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una cenetta da manuale

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uranio arricchito a beirut

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ci sono cose che non possono essere chieste alla prima domanda

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il viaggio dal professor martin fleischmann

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le conferme della misteriosa telefonata

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il veterano del 1991 e la terza bomba nucleare

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le verifiche al racconto del veterano e la dottrina dell’ambiguità calcolata

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armi misteriose a gaza

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torna a essere un tema caldo la fusione fredda

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materiali

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note

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introduzione

Dal momento che, finora, abbiamo raccontato nelle nostr e inchieste storie vere e terribili senza che ne sortisse alcun effetto, qui racconteremo le medesime storie come se fosser o il frutto della nostra immaginazione, sperando in questo modo di stimolare la fantasia del lettore – cosa che ci siamo ben guardati dal fare nei nostri precedenti lavori – e di arricchire la percezione degli eventi drammatici che stanno avvenendo nel silenzio assoluto o che sono già avv enuti nella totale ignoranza. È di questo difetto della percezione, di questo sonno dell’intelligenza che siamo maggiormente pr eoccupati e di questo, lavorando nell’informazione, ci sentiamo in parte responsabili. Quindi, con il passo claudicante di chi pr eferisce muoversi piuttosto che rimanere fermo ad aspettare, abbiamo creato un personaggio fittizio e imper fetto come noi siamo, che non potevamo non chiamare Claudio – da claudicans –, un personaggio nato dalla sovrapposizione di quattro persone in carne e ossa: Flaviano Masella, Mario Sanna, Angelo Saso e Maurizio Torrealta, in rigor oso ordine alfabetico. Quattro giornalisti facenti parte del gruppo “Inchieste” di Rainews24, che si sono trovati a girar e il mondo seguendo un par ticolare filone di


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ricerca. Partiti da un servizio girato sulle ricerche effettuate da un gruppo di scienziati dell’Enea di Frascati intorno al tema della fusione fredda, abbiamo poi allargato la nostra inchiesta toccando I nghilterra, Libano del S ud e S tati Uniti, con lo scopo di trovare risposta ad alcune semplici domande: per ché una valida ricerca sulla fusione a temperatura ambiente è stata volutamente ignorata? Perché è stato trovato uranio arricchito in un cratere provocato da una bomba a Khiam, nel Libano meridionale? Perché le pallottole all’uranio impoverito producono 4000 °C di temperatura? Perché in tali proiettili si trovano tracce di altri elementi radioattivi? Qual è il funzionamento dei nuovi ordigni sganciati a Gaza, ordigni in grado di amputare gli arti inferiori delle persone colpite senza lasciare traccia di frammenti metallici? Le risposte a questi quesiti sono collegate tra di lor o da un segreto tenuto nascosto per più di venti anni: la scoperta di un processo fisico che ha permesso di produrre bombe nucleari della dimensione di una pallottola, pr obabilmente già utilizzate nei principali scenari di guerra del r ecente passato e dell’immediato presente. Si tratta di un segreto legato a doppio filo con il famoso “memorandum Groves”, documento secretato fino al 1975, nel quale J ames B. Conant, pr esidente del National Research Defence Council1 e per molti anni anche rettore di Harvard, suggeriva ai responsabili dell’amministrazione americana l’utilizzo dell’uranio “sporco” per inquinare le città nemiche con nuvole di nanoparticelle radioattive, prevedendo con esattezza gli effetti sulla salute delle persone coinvolte, effetti poi v erificatisi nella r ealtà in I raq, K osovo, Afghanistan e Libano, ossia nelle aree di fatto bombardate con tonnellate di uranio sporco dai cosiddetti paesi democratici.


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introduzione

Sia ben chiaro, questo è solo un r omanzo, liberamente ispirato a fatti veri. Alcuni nomi sono di fantasia, ma buona par te delle testimonianze riportate sono state r egistrate nel corso delle nostre inchieste e, per quanto fantastiche e inaudite possano sembrare, sono semplicemente vere. Per non togliere al lettore la sorpresa di ciò che, durante le nostr e indagini, ha portato a risultati incredibili – accezione da prendere nel senso letterale del termine – quanto riportato in corsivo nei servizi di Claudio corrisponde a testimonianze registrate sul campo. Spesso la verità è a tal punto inverosimile da prestarsi a essere narrata come fosse un par to della fantasia. La narrazione è costellata di notizie storiche su personaggi realmente esistiti: Edward Teller, Alfred Coehn, Percy William Bridgman, James B. Conant, M artin Fleischmann, Stanley Pons e S. T. Cohen sono tutte “personalità storiche” del mondo della scienza, e spesso anche del mondo della guerra. Qualcuno di loro è divenuto anche un personaggio della nostra storia: starà al lettore valutare se stiamo fantasticando o raccontando semplicemente quello che ci è successo . Quando si affrontano temi complessi come quello raccontato in questo libro, la verità finisce inevitabilmente per essere più di una. Del resto, noi autori non apparteniamo a quel genere di giornalisti sempre alla ricerca dello scoop e non vogliamo stupire con effetti speciali. Sarà il lettore a convincersi se questa storia è fantastica e inverosimile, fantasiosa ma verosimile, o inverosimile ma vera. Noi vorremmo solo che il grande dono ricevuto in sorte dall’essere umano, quello di poter osser vare il mondo circostante e fare congetture su di esso, tornasse a essere un patrimonio fondamentale della collettività. Consapev oli

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di quanto fragile sia l’autonomia di pensiero che pure rivendichiamo, abbiamo comunque la presunzione di cercare di ragionare su questi argomenti, per capire i quali, a ben vedere, sono sufficienti le basi fornite dagli studi delle scuole superiori insieme a quell’arroganza nel fare le domande che, in un paese libero come il nostro, ha cresciuto frequentatori di bar, lettori di giornali e casalinghe dalla radio sempre accesa. E quando le nostre conoscenze si sono rivelate inadeguate – e questo è avvenuto spesso –, una validissima comunità di scienziati italiani ci è venuta in aiuto, prodigandosi nello studio e nella ricerca. Questo enorme patrimonio umano – il più delle volte inutilizzato, quando non “sottratto” al nostro paese – che gli altri paesi continuano a invidiarci, è stata la scoper ta più gradita di tutto il nostro lavoro, oltre che fonte di un aiuto insostituibile. Tra tutti questi insperati angeli custodi della conoscenza, quello che ci è stato più generosamente vicino, condividendo con noi segreti, ipotesi e ragionamenti, nonché numeri telefonici e amicizie, è stato il fisico teorico E milio Del Giudice, il quale, ogni volta che parla, ci r egala la preziosa illusione di comprendere la fisica nucleare così come si capisce la topografia di Roma. Il suo ruolo di coautore del presente libro ha come motivazione profonda quella di voler cercare di mantenere l’illusione di aver capito la fisica nucleare. Per conservare l’aspetto romanzato del testo, anche Emilio Del Giudice vi appare come personaggio con il nome di Kurt Grass, in “omaggio” al suo aspetto fisico. Come giornalisti e scrittori coltiviamo una speranza, quella che l ’espressione “ uranio impo verito” v enga finalmente, e quanto prima, sostituita nei pezzi giornalistici con quella di


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introduzione

“uranio sporco” oppure di “uranio caricato con gli isotopi dell’idrogeno”, o che almeno non appaia più senza l ’aggettivo “cosiddetto”. Ci sono termini, come “limbo” o “sfere celesti”, che sono stati cancellati dai libri di teologia e lasciati solo come testimonianza di una conoscenza provvisoria e fallace, come solo può esserla quella degli uomini. Lo stesso deve avvenire anche per l’espressione “uranio impoverito”, e questo non perché esso non esista, ma perché tale uranio non è quello utilizzato nei campi di guerra. Tale correzione si rende ancora più necessaria dopo la desecretazione del “memorandum Groves”, avvenuta ben trentaquattro anni fa. D’ora in poi, chi continuerà a pronunciare quell’espressione dimostrerà tutta la sua caparbia superficialità e ignoranza. Un’ultima raccomandazione al lettore, perché impari finalmente a rifiutar e gli aggettivi associati ai nomi delle nuo ve armi: “nucleari ecologiche”, “atomiche sostenibili”, “nucleari chirurgiche”, “armi nucleari virtuali”, “fattori di deterrenza”, “robusti penetratori del terreno”, “deterrenza tecnica”, “deterrenza per competenza”, “demolitore di palazzi nucleare” ecc. Prima o poi, i paesi che si r endono colpevoli del loro impiego dovranno ammettere di averle utilizzate. Perciò, lasci il lettore questi ossimori agli equilibristi della morale e impari a considerarle per quel che sono: armi nucleari tattiche. E soprattutto, sia consapev ole delle implicazioni che questa espressione comporta. Buona lettura.

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Fu un periodo di esperimenti decisivi e di tentativi temer ari, di molte false partenze e di molte ipotesi insostenibili. Fu un’epoca di controversie, di critiche, di brillanti improvvisazioni matematiche... per coloro che vi parteciparono, fu un periodo di creazione: il nuovo orizzonte li atterriva e li esaltava insieme. La sua storia, forse, non sarà mai narrata completamente. Una ricostruzione storica del genere richiederebbe la stessa altissima perizia della storia di E dipo o di Cromwell, ma in un campo così lontano dall’esperienza comune che probabilmente nessun poeta o storico potrà mai conoscerlo. Robert Oppenheimer


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quella strana telefonata

Il professore esce dall’aeroporto di San Francisco come da una lunga apnea e si avvicina a un taxi. «Mi può portare a Union Square?». Il taxi imbocca la US-101 Nord. Il professore si abbandona sul sedile posteriore e guarda fuori dal finestrino. Le sopracciglia si inarcano, le rughe si increspano, gli occhi si stringono. Anche il tassista glielo legge in faccia. Che viaggio orribile: un’ora nell’aereo a Salt Lake City prima di decollare, la coincidenza per Londra persa e ora la ricerca di un albergo con questo mio intestino pesante come piombo. Il taxi corre sulla Bayshore, è una sera dell’estate del 1989, dal lato della baia si intravede una nebbia azzurrognola sospesa sull’acqua, una visione in grado di tranquillizzare anche l’animo più agitato, ma sul professore non ha il minimo effetto. Il taxi si ferma a Union Square. Al centro della piazza troneggia una vecchia statua della vittoria. I l taxi se ne v a e il professore si dirige verso un albergo, poi decide di puntare a quello successivo. Il disagio di questa imprevista notte a San Francisco giu-


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stificherebbe il miglior albergo dello Shopping District ma, per poche ore, un albergo o l’altro non fa differenza. Il professore si avvicina al banco della reception e biascica: «Vorrei una stanza per stanotte...». Il telefono della reception lo interrompe e l’uomo al banco si affretta a sollevare la cornetta. «Chi? Quando sarebbe arrivato? È sicuro? Chi lo vuole? Un attimo...». Poi, rivolgendosi a lui: «È per lei, la vuole al telefono il professore Edward Teller». Il professore afferra l’apparecchio. «Chi mi vuole? Chi parla?» far fugliando domande senza quasi aspettare risposta. «Chi? D a dove? Non capisco... chi parla?». Dall’altro lato una voce con un for te accento ungherese gli risponde: «Sono il professore Edward Teller, ho saputo che lei è in partenza per farsi operare, voglio farle i miei migliori auguri di pronta guarigione, volevo anche approfittarne per avere alcune informazioni sul suo esperimento, sul livello di caricamento e sul campo elettrico ottimale... se ovviamente non la disturbo...». Il professore, con un movimento impercettibile delle labbra, pronuncia frasi banali di convenienza seguite da suggerimenti tecnici altrettanto banali. «Proceda gradatamente con il caricamento. Dopo un certo tempo, nell’ordine di alcune settimane, vedrà manifestarsi il calore... siamo ancora in fase sperimentale e bisogna pr oseguire con cautela...». Ma il suo volto dice altr e cose: Come diavolo fai a sapere che sono qui, quando io stesso non sapevo di venirci? Dunque mi stanno seguendo. Perché?


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quella strana telefonata

La telefonata si conclude con r eciproci cordiali commiati. «... mi faccia sapere come andrà, siamo tutti con le i». «La sua telefonata mi ha fatto felice, la ringrazio molto dell’attenzione, a presto». Aggancia il telefono e chiede di esser e accompagnato in camera. «Ha fatto buon viaggio?» gli chiede il ragazzo dell’albergo. «Vuole che le porti qualcosa da bere dal bar? Vuole che alzi la temperatura della stanza?». Il professore non risponde, chiude la por ta e si dimentica anche di dargli la mancia. Si butta sul letto, chiude gli occhi e ricomincia a pensare: Teller, l’ispiratore del dottor Stranamore...2 Lo scienziato pazzo che non riusciva a trattenere il braccio dal fare il saluto fascista. Quando è venuto negli Stati Uniti ha litigato con tutti gli scienziati del progetto Manhattan. Secondo lui, Los Alamos era un covo di comunisti. Voleva fare la bomba H a ogni costo, anche se neanche un solo suo calcolo era giusto... si fece fare un laboratorio su misura dai militari perché non andava d’accordo con nessuno. È una persona impressionante, una grande intelligenza fuori controllo e troppo vicina ai militari. Se qualcuno mi avesse spedito una busta con cinque proiettili mi sentirei più tranquillo piuttosto che ricevere gli auguri di pronta guarigione da lui. La guarigione... Già, ma di che malattia soffro? Tanti microscopici tumori al colon provocati da qualcosa che nessuno conosce.

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il segreto delle tre pallottole

... Perché hanno fatto ritardare l’aereo e hanno organizzato questa stupida messa in scena della telefonata prima che partissi per Londra? Il messaggio è chiaro: “Sei seguito, non parlarne con nessuno, possiamo trovarti quando vogliamo, sparisci perché le cose che sai non dev ono essere conosciute”. Non sono un paranoico che si spaventa per una telefonata di auguri. Si tratta comunque della telefonata del padre della fusione calda al padre della fusione fredda e già questo spiega una qualche divergenza di punti di vista, se non altro sui livelli di temperatura. Se Teller mi avesse chiamato a casa o all’università... tutto tranquillo, ma in questo albergo... le mie paure hanno decisamente un fondamento. «Quando sai perché hai paura, non sei più spaventato» pronuncia a voce alta. Il professore sembra rinfrancato dalla sua lucidità, si rasserena, prende dal frigorifero un pacchetto di noccioline, le mangia e ricomincia a pensare: Perché mi fa seguire? Ora tutto quello che faccio è p ubblico... con il mio collega, lo abbiamo raccontato in conferenza stampa. Ci deve essere qualcosa nelle ricerche che sto facendo o che ho fatto che disturba Teller. Entrambi abbiamo cominciato come chimici, anche lui come me si è occupato dell’idrogeno , la sua tesi riguar dava il primo tr attamento accurato dello ione molecolare dell’idrogeno e anche io mi sto occupando di qualcosa di simile. Può essere che lui sappia qualcosa di più di quello che so io... che lui voglia usare quello che io ho scoperto per finalità diverse dalle mie. Di una cosa sono certo, questo è solo l’inizio, non si fermerà, ed è un brutto inizio.


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gli scienziati del rapporto 41 dell’enea

Firenze, estate 2006. Claudio si sporge v erso la fila precedente e mormora all’orecchio di Norma, una ragazza bionda che gli sta davanti: «È l’ottavo “come dire”». «È un convegno sulle nuove guerre, o una riunione di militanti balbuzienti?» risponde lei, senza v oltarsi. «Chi sa, non parla... e chi p arla, non sa. O ra si amo nel secondo caso» replica lui sottovoce. «Come facciamo a entrare nel primo, se chi sa... sta zitto?». Nell’aula universitaria c’è caldo, confusione. Non si tratta di una lezione ordinaria, anche se il silenzio viene rispettato prima e dopo ogni intervento. Un uomo al tavolo di presidenza annuncia una pausa per il caffè. Claudio scatta in piedi cercando di raggiungere Norma per continuare la conversazione, quando un signore anziano con una cortesia inusitata ai presenti nell’aula gli si avvicina e a bassa voce gli sussurra: «Mi deve perdonare se la importuno, sono il professor Palazzi, apprezzo molto le inchieste che lei e il suo gruppo di giornalisti realizzate e, se permette, vorrei suggerirle un argomento particolare...». Claudio segue con gli occhi Norma che si allontana con un gruppo di altre persone e sospirando risponde: «Mi dica pure, professor Palazzi...».


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«La fusione fredda. Come lei si ricorderà, il 23 marzo 1989 due professori di Salt Lake City annunciarono la possibilità di produrre reazioni nucleari a bassa energia. Ci fu un’opposizione durissima contro di loro: furono accusati di falsificazione dei dati, di superficialità e di ogni altra possibile scorrettezza scientifica. Ora un gruppo di scienziati dell’ ENEA, ente presieduto dal noto premio Nobel, ha verificato che l’esperimento è riproducibile e ha individuato anche i valori per tale riproducibilità. Potrebbe essere molto interessante per voi occuparvi di questo. Si metta in contatto con questo fisico teorico» dice allungandogli un biglietto . Quindi, con la stessa cortesia, si accomiata: «Mi scusi se l’ho disturbata e le ho r ubato del tempo prezioso. Ancora grazie per quello che state facendo...». Claudio rimane immobile, ormai si è dimenticato di Norma. È successo quello che sperava avvenisse: qualcuno, che sa e che fino ad allora non aveva parlato, gli ha passato, molto timidamente, una informazione riservata. E d’un tratto, l’elenco delle sue priorità ha mutato aspetto: tornare in redazione, contattare il gruppo dell’ENEA, studiare la fusione fredda, recuperare informazioni sugli scienziati che ci stanno lavorando. Il biglietto... non deve dimenticarsene, copia velocemente sull’agenda il nome e il numero di telefono . Il luogo è davvero strano: troppo impersonale per definirlo un villaggio e troppo demodé per sembrare un centro scientifico. Il caos che vi impera offre comunque la sensazione che, in quel disordine, sopravviva un’insopprimibile forma di vitalità. La dottoressa Garbati saluta Claudio con cor tesia e lo conduce in un anonimo edificio anni Settanta. Il laboratorio riporta una strana sigla sulla porta: FF11018.


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gli scienziati del rapporto 41 dell’enea

«In questo laboratorio abbiamo lavorato dal 1999 al 2002. Questa è la camera termostatata che ha ospitato l’esperimento di elettrolisi. Abbiamo realizzato un esperimento nel quale era possibile simultaneamente misurare eccessi di calore e l’eventuale produzione di elio 4, che è la fir ma della natura nucleare dell’evento di fusione» gli racconta la ricercatrice. «Quale evento?» domanda Claudio. «La fusione a freddo di due nuclei di idrogeno o se preferisce del loro isotopo, il deuterio». Claudio sorride in silenzio pensando che non ha idea di cosa sia il “deuterio”, poi chiede: «M i spieghi tutto dall’inizio». «Nel 1999, quando il premio Nobel divenne presidente di questo ente, si assistette a una sorta di favorevole congiuntura astrale: ci furono affidati un miliardo e 150 milioni di lire e trentasei mesi di tempo per verificare, dieci anni dopo l’annuncio dato a Salt Lake City, se la fusione fredda fosse una bufala o un’incredibile scoperta. Nell’aprile del 2002 mandammo una nota al presidente per informarlo che eravamo pronti a relazionare sul progetto. I risultati ottenuti dimostravano la validità della teoria della fusione fredda: c’era effettivamente una relazione diretta tra la produzione di atomi di elio 4 e la produzione di calore.3 Il premio Nobel si dimostrò molto contento della notizia, anzi par tecipò con noi alla stesura di un rapporto, prodigandosi in consigli e suggerimenti. Pochi giorni dopo, però, lo scenario mutò radicalmente: le riviste, con diverse motivazioni, non pubblicarono il rapporto, il premio Nobel si rese irreperibile, nessuno ci disse “questo non v a fatto” o “questo è sbagliato”. I l tutto rimase bloccato fino all’autunno del 2002, quando decidemmo di inviare la richiesta di un nuovo finanziamento per proseguire le ricerche sulla fusione

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fredda. Ma, anche in questo caso, nessuna risposta. Poi un inaspettato colpo di scena: una comunicazione dell’alto commissariato del CEA, l’organismo responsabile di tutte le attività nucleari civili e militari della Francia. Il CEA aveva ricevuto dal gigante francese EDF (Électricité de France) la richiesta di tornare a lavorare sulla fusione fredda, e noi fummo invitati a Parigi a tenere seminari su questo argomento. Le nostre ricerche riscossero un notevole interesse, tanto che v ennero inviati tr e scienziati francesi, proprio in questo laboratorio dove siamo noi ora, per fotografare e realizzare disegni delle nostre apparecchiature in vista dell’apertura di un laboratorio simile alla periferia di Parigi. Insomma, si muovono dalla Francia per copiare la nostra esperienza, mentre in Italia quelli che l’hanno finanziata non fanno nulla per proseguire le ricerche».4 «Dottoressa potrebbe darmi un’idea di q uali sarebbero le conseguenze pratiche dei vostri esperimenti?» la interrompe Claudio. «Consideri che noi abbiamo fatto esperimenti indirizzati a verifiche scientifiche e che quindi abbiamo usato metalli come il palladio, chiamato l’oro bianco per il suo prezzo, ma la fusione fredda può avvenire all’interno di diversi metalli pesanti più economici, come ad esempio il tungsteno. Utilizzando un litro di acqua distillata e l’intero reticolo di una stecca di tungsteno di pochi centimetri cubi e dal costo di pochi eur o, si possono produrre potenze di decine di Kilowatt per centinaia di anni. Queste sono le unità di misura dell’energia prodotta». «Continui a raccontarmi la storia della v ostra scoperta, dottoressa». «C’è un altro colpo di scena: il 20 ottobre del 2004 il Ministero delle Attività Produttive convocò il nostro gruppo. Era venu-


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gli scienziati del rapporto 41 dell’enea

to a conoscenza dei risultati delle nostre indagini navigando in internet, dove avevamo pubblicato il Rapporto 41, quello sulla nostra ricerca. Il Ministero si dichiarò interessato a finanziare, con 800 mila euro per due anni, una ricerca sulla fusione fredda. Ovviamente noi eravamo felicissimi all’idea... poi di nuovo un altro colpo di scena: l’ENEA venne contattata dal Ministero, accettò il finanziamento ma decise di affidarlo a un altro gruppo che stava già seguendo un altro filone di ricerca in collaborazione con partner americani e israeliani». «Sembra che non abbiate molti sostenitori. Probabilmente c’è un legame tra i risultati po sitivi ottenuti, il dileguarsi di tutti i sostenitori e questo ultimo scippo d i fondi. Ma quali interessi potrebbe disturbare la fusione fredda?». «Ogni volta che si fa qualcosa di nuo vo si alterano gli equilibri e gli interessi di chi opera nel modo precedente. Pensi, ad esempio, q uanto f urono a llarmati g li a mmiragli d ei g randi velieri dalla comparsa delle prime navi a motor e. Se poi pensa che sono stati stanziati molti miliardi di euro per costruire un enorme impianto ( ITER) per studiare la fusione a caldo, può immaginare quanto disturbi la fusione fredda...». Claudio sembra non essere completamente convinto dalla spiegazione. Infatti, dopo qualche minuto di silenzio domanda: «Se fossero solo queste le ragioni, allora anche i v ostri colleghi che lavorano con americani e israeliani dovrebbero incontrare le stesse difficoltà. Forse sono altre le ragioni...». La ricercatrice si fa più seria e ribatte: «Suppongo che su questo argomento siano state realizzate da tempo ricerche di vari soggetti, alcuni accademici, altri industriali... altri né accademici né industriali, ma se parlassi di questa mia supposizione, peggiorerei soltanto la situazione, ed è decisamente meglio

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che il nostro colloquio finisca qui. Tenga presente, quando incontrerà difficoltà su questo argomento, che potrebbero provenire da molte direzioni. La prego di mantenere questa mia conversazione riservata». «Stia tranquilla, la telecamera è spenta. H o preso solo qualche appunto: prima voglio capire, poi vedrò come raccontare questa storia. Posso chiamarla e chiederle aiuto se non do vessi capire qualcosa?». «Certo». «Dovrebbe s paventarsi, p erché c iò av verrà m olto s pesso. Questo è il mio biglietto da visita. A pr esto, allora...». Poco più tardi, mentre guida in direzione della redazione, Claudio si concede il raro piacere di ragionare. Quando vengono acquisite nuo ve informazioni – e questo non succede molto spesso – le sinapsi celebrali assonnate sembrano risvegliarsi e iniziare una misteriosa danza per analizzare i nuovi dati in modo da prefigurare supposizioni e verifiche. D’altra parte cos’altro fanno gli umani se non fare supposizioni? Questa è la loro unica attività: dalle prime giornate sui banchi di scuola fino all’ultimo, piccolo salto prometeico, quello dal letto di casa alla fossa del cimitero, gli uomini e le donne non fanno altro che far e supposizioni; anche quando non hanno più nulla da supporre, si appassionano ai cruciverba, alla trasmissione televisiva. E così Claudio, che segue la danza delle ipotesi nella sua mente: Le indicazioni del professore Palazzi sono giuste. La storia è affascinante, si tratterebbe di fare una sorta di Reverse Engineering, un lavoro di ingegneria al rovescio: più la ricerca prosegue, più qualcuno si preoccupa di rallentarla. Bisogne-


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gli scienziati del rapporto 41 dell’enea

rebbe capire perché qualcuno cerca di nascondere questa scoperta... possiamo fare due ipotesi: la prima, che la scoper ta di una nuova fonte di energia a basso costo spaventi chi fino a ora ha guadagnato vendendo energia. La seconda, che dietro questa scoperta ci possa essere un processo fisico dalle molteplici potenzialità che non dev e essere rivelato a nessuno, perché potrebbe fornire enormi vantaggi economici e militari. Deve esserci una ragione di questo genere... ma le mie conoscenze sono ridicolmente inadeguate. Devo capire meglio i processi fisici. Avrei bisogno di... ma certo, del fisico teorico che mi ha consigliato Palazzi, ecco di chi! Devo chiamarlo, lui sicuramente potrà aiutarmi. Con una mano sul volante, r ecupera l’agenda e cercando di non perdere di vista la strada, sbircia il nome. «Kurt Grass. Il prefisso è in Toscana. Mi conviene chiamarlo subito» dice a voce alta.

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