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IL PRINCIPO DI EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA IN AMBITO EUROPEO

Alcune questioni di attualità: Mediazione civile; Collegato Lavoro; Appalti Pubblici. di Lugi Serino Responsabile area “Giusto Processo” Diritti Umani in Italia

www.duitbase.it 07.2011


Sull'obbligo, per gli Stati, di prevedere una giustizia effettiva e non illusoria riposa l'intero sistema di

tutela dei

diritti

dell'uomo.

Nel corso di questo breve saggio verrà evidenziata la portata di tale obbligo

nell'ambito

dell'Unione

Europea,

che,

grazie

all'attività

interpretativa della Corte di Giustizia ha dato una portata autonoma a tale concetto, riferendosi non solo alla definizione datane dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Ma anche alle tradizioni costituzionali da cui tale diritto deriva, e, con esse, all‟universo concettuale dei principi

che

caratterizzano

lo

Stato

di

diritto.

Verranno,

poi,

esaminate le ricadute di tale principio su alcune questioni di grande attualità quali la mediazione civile, le novità introdotte dal collegato lavoro in materia di sanzioni per il ricorso abusivo ai contratti a termine ed infine gli appalti pubblici.

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IL PRINCIPO DI EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA IN AMBITO EUROPEO E ALCUNE QUESTIONI DI ATTUALITÀ: Mediazione civile; Collegato Lavoro; Appalti Pubblici. 1.Brevi riflessioni sul principio di effettività della tutela in ambito europeo; 2. Le problematiche costituzionali riguardanti la mediazione civile; 3. Effettività della tutela nel collegato lavoro sotto l‟aspetto sanzionatorio nel ricorso abusivo ai contratti a termine; 4. Effettività della tutela giurisdizionale in materia di appalti pubblici alla luce della direttiva ricorsi. 1.Brevi riflessioni sul principio di effettività della tutela in ambito europeo. L‟effettività della tutela giurisdizionale è comunemente intesa come la capacità del processo di conseguire risultati nella sfera sostanziale, vale a dire di garantire la soddisfazione dell‟interesse sostanziale dedotto in giudizio dal ricorrente il cui ricorso, rivelandosi fondato, sia stato accolto. L‟applicazione dei principi sulla effettività della tutela giurisdizionale, desumibili dagli articoli 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell‟uomo impongono agli Stati di prevedere una giustizia effettiva e non illusoria in base al principio „the domestic remedies must be effective‟1. L‟effettività della tutela richiede, dunque, un processo funzionale ai caratteri sostanziali del contenzioso. Per semplicità, può essere utile richiamare la nozione “chiovendiana” di effettività della tutela. Scriveva, difatti, Chiovenda, che il principio di effettività costituisce la “vivida stella che irradia la sua luce sull‟intero sistema”, e che assicura “tutto quello e proprio quello” che il processo civile, mezzo di espressione della funzione giurisdizionale, è chiamato ad offrire per il perseguimento del bene della vita azionato2. Intesa in senso ampio, essa descrive l‟attitudine 1

Cfr. in tal senso Prisyazhnikova c. Russia, § 23 CEDU, Sez. III, 28-9-2006; Androsov-Russia, § 51 CEDU, 15-2-2006; Iza c. Georgia, § 42 CEDU, 27-12-2005; Mykhaylenky c. Ucraina, § 51 CEDU, Sez. II, 30-11-2005; Luntre c. Moldova, § 32 CEDU, Sez. IV, 15-9-2004. 2 Cfr. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, pag. 39 e ss. “la volontà della legge tende ad attuarsi nel campo dei fatti fino alle estreme conseguenze praticamente e giuridicamente possibili. Conseguentemente il processo deve dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch‟egli ha diritto di conseguire. Un principio così generale non è, né ha d‟uopo d‟essere, formulato in alcun luogo. Non esiste alcuna norma espressa che assicuri l‟azione al creditore insoddisfatto d‟un capitale mutuato: le norme del codice civile sul mutuo riguardano gli obblighi delle parti, non l‟azione; gli artt. 35 e 36 del codice di procedura civile presuppongono una norma più generale che conceda l‟azione, ma non la contengono; pure nessuno dubita che l‟azione ci sia. Il processo come organismo pubblico di attuazione della legge è per se stesso fonte di tutte le azioni praticamente possibili, che tendono all‟attuazione di una volontà di legge”, sicché il principio del “tutto quello e proprio quello” si traduce in qualunque modo di attuazione della legge, e strumento tramite il quale produrre il relativo effetto, purché lecito e

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dell‟ordinamento processuale a consentire la soddisfazione piena, puntuale e integrale (oltre che tempestiva), dell‟interesse protetto dalla norma sostanziale e leso dal comportamento o dall‟atto contestato in giudizio. La valutazione di effettività deriva, inoltre, dal confronto con le regole generali ordinarie del processo e dalla loro concreta capacità di realizzare la pienezza della tutela. In una prospettiva interna, l‟effettività si traduce nelle garanzie desumibili dal primo alinea dell‟articolo 24 della Costituzione, ovvero nella garanzia di accesso alle Corti, da intendersi quale tecnica possibilità di esercizio del diritto processuale di azione; nel parametro qualitativo del risultato conseguibile dall‟attore ed infine, ma non da ultimo, nel carattere oggettivo della tutela in funzione delle situazioni giuridiche soggettive azionate3. Parimenti non priva di significato è, poi, quella tendenza ricostruttiva che, in un‟ottica procedimentale e di teoria generale della tutela giurisdizionale dei diritti, ne coglie la portata in rapporto ad alcune caratteristiche minime della tutela da impartire, vale a dire il diritto al giusto processo, la legittimità della tutela differenziata ed il diritto ad un prodotto giustiziale atipico ed elastico nell‟ottica rimediale4. Né è da dimenticare che nella dimensione transnazionale tale principio costituisce la “parola d‟ordine predominante nell‟approccio comunitario al processo civile” 5, rilevando sotto tre diverse direttrici di pensiero. La prima, di grande attualità, traduce la garanzia di effettività nelle istanze di semplificazione ed accelerazione dei procedimenti; la seconda via favorisce la circolazione dei provvedimenti giurisdizionali verso nuovi ambiti e con l‟impiego di sempre più frequenti automatismi, mentre la terza direttrice di pensiero valorizza la tutela provvisoria e cautelare. La garanzia fondamentale della tutela giurisdizionale dei diritti opera nel conseguire un modo procedimentale retto dai crismi della regolarità, dell‟effettività e dell‟uguaglianza tanto nell‟accesso che in corso di giudizio, assicurando un prodotto di giustizia connotato dai caratteri dell‟adeguatezza della tutela in relazione al bene della vita oggetto del giudizio, affinché se ne assicuri l‟attuazione6. possibile, che devono ritenersi ammissibili. Cfr. anche ANDRIOLI, Progresso del diritto e stati del processo, in Scritti in memoria di P. Calamandrei, V, Padova, 1958, pag. 409, ripubblicato in ID, Scritti giuridici. I. Teoria generale del processo. Processo civile, pag. 61 3 Cfr. ORIANI, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, Napoli, 2007, pag. 10 e ss; Cfr. COMOGLIO, Giurisdizione e processo nel quadro delle garanzie costituzionali, in Riv.trim.dir.proc.civ., 1994, pag. 1063 e ss. 4 PULEO, Quale giustizia per i diritti di libertà? Diritti fondamentali, effettività delle garanzie giurisdizionali e tecniche di tutela inibitoria, Milano, 2005, pag. 37 e ss. 5 Cfr. BIAVATI, Europa e processo civile. Metodi e prospettive, Torino, 2003, pag. 121 e ss. 6 In ossequio a tale impostazione il canone di effettività diverrebbe il filo conduttore dell‟intero processo sino all‟esecuzione della sentenza, come la stessa Corte costituzionale, con le sentenze

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Ad ogni modo, qualsiasi considerazione relativa alle libertà fondamentali ed all‟effettività che deve connotarne la tutela sarebbe priva di fondamento se non si operasse un rinvio all‟ordinamento internazionale e comunitario ed all‟attività ermeneutica promossa dalla Corte Europea dei Diritti dell‟Uomo e dalla Corte di Giustizia. Nella Convenzione Europea dei Diritti dell‟Uomo troviamo (dopo l‟elencazione dei diritti dell‟individuo, quelli sostanziali e quelli che hanno creato il modello del c.d. “giusto processo”), all‟art. 13, il diritto ad un ricorso effettivo, il quale stabilisce che “ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un‟istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell‟esercizio delle loro funzioni ufficiali”. La Convenzione, dunque, dopo aver imposto agli Stati il rispetto e la tutela dei diritti fondamentali, li obbliga altresì, coerentemente, a predisporre un mezzo tramite cui i soggetti possano lamentarne e farne valere in giudizio la lesione. L‟art. 13 riflette, in buona sostanza, il principio di sussidiarietà, sul quale riposa il sistema europeo di protezione dei diritti dell‟uomo, e deve, al pari dell‟art. 35, applicarsi con una certa flessibilità. La finalità dell‟art. 13, letto in combinato disposto con l‟art. 35, è quella di offrire agli Stati contraenti l‟occasione di prevenire o di rimediare alle violazioni prima che siffatte violazioni siano fatte valere dinanzi agli organi della Convenzione7. Gli Stati non devono, dunque, rispondere dei loro atti davanti ad un organismo internazionale prima di avere avuto la possibilità di rimediare la situazione nell‟ordinamento interno. Questa regola si poggia sul fatto che l‟ordinamento interno deve offrire un ricorso effettivo per la violazione denunciata. Essa costituisce un numeri 435 e 419 del 1995, in Foro it., I, c. 2641, sembra affermare rilevando che: “ una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell‟esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un‟inutile enunciazione di principi con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto e quindi anche nei confronti di qualsiasi atto della pubblica autorità, senza distinzioni di sorta….in questi termini la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria”. In senso conforme si veda Corte costituzionale, 11 febbraio 1999, n. 26 in Foro it., 1999, I, c.1118. La Corte Europea dei Diritti dell‟Uomo ha inoltre ribadito che l‟esecuzione di una sentenza, da qualsiasi giurisdizione promani, deve essere considerata come facente parte integrante del «processo» ai sensi dell‟articolo 6 CEDU (Immobiliare Saffi c. Italia, n. 22774/93, CEDH 1999-V; Hornsby c. Grecia sentenza del 19 marzo 1997). L‟art. 6 § 1 della Cedu (diritto all‟equo processo) è posto a garanzia, oltre che del corretto svolgimento del processo, anche dell‟effettività della sua fase esecutiva. Qualora non fosse data concreta attuazione alle sentenze rese dai Tribunali degli Stati membri, infatti, verrebbero poste nel vuoto anche le garanzie predisposte per l‟equo svolgimento del processo (Burdov c. Russia, n. 59498/00, 07-05-2002). 7 Hentrich c. Francia, 22 settembre 1994, série A n° 296 A, p. 18, § 33 ; Remli c. Francia 23 aprile 1996, § 33.

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aspetto importante del principio secondo il quale il meccanismo di salvaguardia instaurato dalla Convenzione rivesta carattere sussidiario rispetto ai sistemi nazionali di garanzia dei diritti dell‟uomo8. Anzi, l‟addebito di cui deve conoscere la Corte deve dapprima essere sollevato, almeno nella sostanza, nella forma e nei termini prescritti dal diritto interno, davanti alle giurisdizioni nazionali competenti9. Nondimeno, l‟art. 35 della Convenzione prescrive soltanto l‟esaurimento di ricorsi disponibili e adeguati. Siffatti ricorsi devono offrire un grado sufficiente di certezza non soltanto in teoria ma anche in pratica, altrimenti mancano dell‟effettività e della accessibilità volute10. Da notare anche la seconda parte dell‟art. 13; la precisazione stando alla quale si possono far valere in giudizio le lesioni dei diritti, seppur cagionate da soggetti che agiscono nell‟esercizio delle loro funzioni ufficiali, sottolinea e ribadisce che non vi è trasgressione della CEDU alcuna che sia tollerata. Le violazioni, cioè, non perdono la loro illiceità per il fatto di essere commesse nell‟esercizio di una funzione anche statale, perché, ad esempio, la legislazione interna non tutela il diritto in modo adeguato. In una siffatta situazione, a ben vedere, il soggetto che cagiona la lesione non commetterebbe alcun illecito dal punto di vista del diritto interno, ma ciò non può comunque costituire una scusante per l‟illecito. La norma, dunque, ribadisce in questo modo, che lo Stato, assumendo tutela dei diritti fondamentali, si è obbligato non solo a non lederli con azioni dirette, ma anche, positivamente, a modificare la propria legislazione ove questa presenti lacune di tutela o determini essa stessa delle lesioni. Per soddisfare i dettami dell‟art. 13, il mezzo di ricorso davanti alla giurisdizione nazionale che gli Stati hanno l‟obbligo di creare deve essere effettivo. Questo vuol dire, innanzitutto, che deve essere accessibile, nel senso che l‟esercizio dell‟azione non può essere disciplinato in modo da essere eccessivamente gravoso per il Handyside c. Regno Unito, 7 dicembre1976, série A n° 24, p. 22, § 48. Cardot c. Francia 19 marzo 1991, série A n° 200, p. 18, § 34. 10 Incombe, però,sullo Stato dimostrare che queste esigenze sono soddisfatte (Vernillo c. Francia del 20 febbraio 1991, série A n° 198, pp. 11-12, § 27 ;Dalia c. Francia del 19 fébbraio 1998, Raccolta 1998-I, pp. 87-88, § 38). Di più, secondo i «principi del diritto internazionale generalmente riconosciuti», determinate circostanze particolari possono dispensare il ricorrente dall‟obbligazione di esaurire i ricorsi interni (Van Oosterwijck c. Belgio del 6 novembre 1980, série A n° 40, pp. 18-19, §§ 36-40, e più recentemente Scordino c. Italia, 29 marzo 2006, n. 36813/97). L‟art. 35 prevede una ripartizione dell‟onere della prova. Incombe al governo che eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne convincere la Corte che il ricorso era effettivo e disponibile, sia in teoria che in pratica, all‟epoca dei fatti (era cioè accessibile e idoneo ad offrire al ricorrente l‟esame esaustivo delle istanze) e presentava delle prospettive ragionevoli di successo. Quando il Governo ha dato questa prova, spetta al ricorrente provare che il ricorso invocato dal Governo non era né adeguato, né effettivo tenuto conto dei fatti di causa o di circostanze particolari (Akdivar ed altri c. Turchia, § 68). 8 9

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ricorrente e deve essere in grado di riparare la violazione subita, intendendosi con ciò che deve poter rimuovere efficacemente le conseguenze dell‟illecito, scopo cui il meccanismo è funzionale. E così, l‟effettività della tutela giurisdizionale si traduce unicamente nel monito per il legislatore di predisporre soluzioni adeguate che garantiscano il concreto accesso alla giustizia, non solo quanto a promozione del giudizio, bensì, ed anche, quanto a reale e concreto esercizio di simmetrici poteri e facoltà tra le parti, volti a realizzare pienamente il diritto alla difesa ed alla prova, quali espressione del più generale principio di uguaglianza che, certamente, non predica un livellamento dei modelli generali del processo11. Del pari, l‟effettività, questa volta colta nell‟ottica della ragionevole durata del processo, implica non già l‟assunzione di un canone rigido, definibile una volta per tutte, quanto di essere commisurato a diverse variabili quali l‟oggetto del giudizio e la sua complessità; la diligenza del giudice ed il comportamento delle parti. Così da ultimo intesa, l‟effettività, pur fondata sui canoni tecnici dell‟equità e della giustizia, si tradurrebbe dunque nel diritto a conseguire un prodotto giustiziale “adeguato, atipico ed elastico a misura dei diversi bisogni prospettati”, per accordare ad ogni situazione giuridica il massimo possibile di protezione concreta, come sostenuto autorevolmente da tempo in dottrina e dalla Corte costituzionale12. Il rimedio effettivo previsto dall‟art. 13 CEDU si riferisce, in buona sostanza, a ciascun diritto previsto dalla Convenzione. Occorrerà, dunque, cercare di volta in volta nell‟ordinamento se esista un mezzo per riparare efficacemente alla violazione13. A questo Sul legame tra dialettica processuale e singoli modelli di processo si veda per tutti DAMASKA, I volti della giustizia e del potere, Bologna, 1991. 12 Cfr. COMOGLIO, FERRI, TARUFFO, Lezioni sul processo civile, Bologna, 2001; COMOGLIO, Tutela differenziata e pari effettività nella giustizia civile. Relazione di sintesi predisposta per il VI Convegno della Facoltà di Giurisprudenza dell‟Università di Milano Bicocca sul tema generale Le ragioni dell‟uguaglianza, ( Milano 15-16 maggio 2008), pubblicato in Riv.dir.proc., 2008. Per il riferimento alla giurisprudenza della Corte costituzionale si veda invece, fra le tante, Corte cost. 9 marzo 1992, n.89, in Foro it., 1992, I, c.1020, nella quale la Corte afferma: “ la sola previsione di un rimedio difensivo…… non è sufficiente a far ritenere adempiuto il precetto costituzionale se non può produrre alcun effetto utile per la conservazione o l‟affermazione del diritto di cui si è titolari”. 13 L‟importanza del diritto in esame si coglie anche dai numerosi ricorsi che ne lamentano la violazione. In tema di procedure fallimentari, nei casi CITARELLA C. ITALIA, LEPORE C. ITALIA, VIOLA C. ITALIA, i ricorrenti, dichiarati falliti, dopo anni di procedimento, adivano la Corte per lamentare l‟irragionevole protrarsi del processo ed il protrarsi del loro stato di interdizione conseguente al fallimento. La Corte, in questi casi, ha dichiarato la violazione della norma in esame in quanto lo Stato convenuto non ha fornito alcuna argomentazione convincente che provasse l‟esistenza di un rimedio effettivo dinanzi al quale far valere il proprio stato di interdetto nell‟ordinamento interno. Di origine diversa dalla materia fallimentare è la causa ALEXANDRIDIS C. GRECIA, in cui il ricorrente sosteneva che non disponeva nel diritto nazionale interno di alcun ricorso attraverso il quale avrebbe potuto sollevare le sue obiezioni relative alla violazione della sua libertà 11

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proposito, conviene ricordare che l'effettività del diritto in questione vuole che un individuo goda di una possibilità chiara e concreta di contestare un atto che reca pregiudizio ai suoi diritti14. L‟art. 13 garantisce, d‟altro canto, l‟esistenza nel diritto interno di un ricorso che permetta di far valere i diritti e le libertà della Convenzione, quali sono in essa consacrati. Siffatta disposizione esige, dunque, per gli addebiti che si possano ritenere «difendibili» ai sensi della Convenzione e dei Protocolli, un ricorso interno che abiliti l‟«istanza» nazionale a conoscere il contenuto dell‟addebito e ad offrire un rimedio appropriato. La portata dell‟obbligazione derivante dall‟art. 13, inoltre, varia in funzione della natura dell‟addebito che il richiedente fonda sulla Convenzione. Il ricorso previsto deve essere «effettivo» in fatto come in diritto, nel senso che il suo esercizio non deve essere ostacolato, in modo ingiustificato, da atti o omissioni delle autorità statali15. Va rilevato, infine, che i requisiti dell'articolo 13, e delle altre disposizioni della Convenzione, assumono la forma di una garanzia e non di una mera dichiarazione di intenti. Questa è una delle conseguenze dello stato di diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, che è insita in tutti gli articoli della Convenzione16. Strettamente connesso al principio di effettività è quello relativo al diritto di accesso ad un Tribunale, che costituisce una delle principali espressioni del principio di supremazia della legge richiamato dall‟art. 3 dello Statuto del Consiglio d‟Europa. L‟art. 6§1 garantisce ad ogni persona il diritto di accesso davanti ad un tribunale di religione. (…) La Corte ricorda che l‟art. 13 della Convenzione garantisce l‟esistenza nel diritto nazionale di un ricorso per le obiezioni che si possono ritenere “giustificabili” nei confronti della Convenzione. Tale ricorso deve autorizzare l‟istanza nazionale competente a conoscere del contenuto dell‟obiezione fondata sulla Convenzione ed offrire la correzione adeguata, anche se gli Stati contraenti usufruiscono di un certo margine di apprezzamento quanto al modo di conformarsi agli obblighi che pone loro questa disposizione. Il ricorso imposto dall‟art. 13 deve essere “effettivo”, in pratica come in diritto. (…) e visto che il Governo non ha dato prova di alcun altro ricorso che il ricorrente avrebbe potuto esercitare per ottenere la riparazione della violazione della sua libertà di religione, è per forza di cose la Corte a constatare che lo Stato è venuto meno ai suoi obblighi derivanti dall‟art. 13 della Convenzione. In materia di immigrazione, l‟arbitrarietà con cui le autorità nazionali decidono di trattenere in un centro di detenzione un individuo solo perché richiedente asilo, e di sottoporlo a dei trattamenti che lo privino di una propria dignità umana, determina la violazione dell‟articolo 3 della Convenzione. Violano, inoltre, l‟articolo 13 della Convenzione gli Stati membri che non garantiscono, non disciplinando nella legislazione nazionale, il diritto ad un ricorso effettivo, avverso la decisione di non concedere l‟asilo politico (M.S.S. c. BELGIO E GRECIA, 30696/09, 21/01/2011). Bellet c. Francia, § 36; Markovic e altri c. Italia Kudła c. Polonia, § 157; Corte eu. D.U., 25 ottobre 2001, ricorso n° 41879/98, § 41; Corte eu. D.U., 27 marzo 2003, ricorso no 52903/99, § 47; Corte eu. D.U., 22 aprile 2004, ricorso no 7503/02, §§33-35; Corte eu. D.U., 2 febbraio 2006, ricorso no 15535/02, § 40 16 Conka c. Belgio, 5 febbraio 2002, ricorso n. 51564/99, §83. 14 15

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che conosca tutte le contestazioni relative ai diritti e agli obblighi sia di carattere civile che di carattere penale17. Detto in altri termini Il diritto di accesso ad un tribunale, per poter essere efficace, deve garantire ad ogni individuo una chiara e pratica opportunità per poter contestare un atto che ha interferito con i suoi diritti 18. Le limitazioni poste in essere dalla legislazione nazionale si conciliano con l‟art. 6 CEDU solo se non comprimono le possibilità di accesso del singolo in

Golder c. Regno Unito, § 36; Waite e Kennedy c. Germania [GC], § 50. Una prima ipotesi concerne la violazione degli art. 6 e 13 sotto il profilo della difficoltà di accesso giustizia, che si verifica quando l‟impianto processuale si sia rivelato in concreto eccessivamente difficoltoso per il raggiungimento di una tutela effettiva. In questo, ad esempio, gioca un ruolo importante la brevità dei termini previsti dalla legge processuale, in uno con la procedura per avere accesso agli atti per comprendere se un diritto è stato leso. Ove, se l‟interessato non sia stato rimesso in termini, l‟impianto processuale e la decisione che ne consegue integrano una violazione della Convenzione. Anche la eccessiva onerosità delle spese o l‟eccessivo sforzo che un soggetto deve compiere (Geouffre de la Pradelle c/o France, CEDH, 16 déc. 1992) per avere giustizia (si pensi ad una amministrazione non collaborativa, che dà un accesso frammentato o omissato degli atti, o reitera provvedimenti illegittimi, costringendo a numerosi ricorsi) integra tendenzialmente una violazione dell‟art. 6 sotto il profilo dell‟accesso alla giustizia. Analogo discorso vale (sotto il profilo dell‟art. 6) per l‟ipotesi in cui l‟amministrazione abbia costretto il ricorrente in una situazione in cui era impossibile il rispetto dei termini, negando il tempestivo accesso ai documenti (Miragall Escolano c/o Espagne, 25 jan. 2000; Sotiris et Nikos Koutras Atee c/ Grèce, 16 nov. 2000). Inoltre, la violazione dell‟ art. 6 (accesso al tribunale) può derivare anche dalla mancata conoscenza della motivazione del provvedimento e dalla inesistenza stessa di motivazione degli atti, che integra una "interpretation derasonnable ou une application erronée de la loi" (Miragall Escolano c/ Espagne, 25 janvier 2000; Zvolskt et Zvolska c/ République Tchèque, 12 nov. 2002), anche se tale profilo assume rilievo sotto altri prevalenti profili. La Corte di Strasburgo ha valorizzato anche il principio di égalité des armes. La giurisprudenza della CEDU ha stabilito in proposito che il principio della "égalité des armes" impone che "les parties puissent participer à l‟égalité à la recherche de la preuve". In Italia, invece, l‟amministrazione che ha le prove non ha alcun obbligo, ad esempio, di esibire le prove a proprio sfavore o utili a dimostrare una disparità di trattamento che non sia a conoscenza del ricorrente (ed anche in questo caso residuano spazi per un diniego, in base alla restrittiva interpretazione del Consiglio di Stato in materia di interesse all‟accesso ai documenti). Anche la mancata ammissione di prove richieste può determinare violazione del principio. La violazione dell‟art. 6 può riguardare anche il profilo del défaut de sécurité juridique. La giurisprudenza della Corte EDU è molto chiara sul punto: va sottolineato che l'incertezza - sia legislativa, amministrativa o derivante da pratiche applicate dalle autorità - è un fattore importante da prendere in considerazione per valutare il comportamento dello Stato (Broniowski v. Poland [GC], no. 31443/96, § 151, ECHR 2004-V; Păduraru v. Romania, no. 63252/00, § 92, ECHR 2005-XII (extracts); and Beian v. Romania (no. 1) § 33). Ma la violazione dell‟ art. 6 della Convenzione EDU esiste anche in ipotesi di mancata risposta del giudice a tutte le domande (Gorou c/o Grèce 11 janvier 2007). L‟ipotesi ricomprende anche il caso in cui il giudice nazionale "stravolga" la domanda interpretandola in modo diverso e, di fatto, eludendo la risposta giurisdizionale. Ad avviso della CEDU la motivazione della decisione deve infatti essere effettiva (Ruiz Torija et Hiro Balani c/o Spagna, 9 déc. 2004; Higgings c/ France, 19 fev. 1998).Ogniqualvolta, poi, la giurisprudenza interna interpreta una normativa nazionale impedendo una verifica nel merito della questione (si pensi, ad esempio, al contenuto delle prove di concorso), potrebbe intravedersi una violazione dell‟art. 6, proprio sotto il profilo dell‟effettività della tutela. La giurisprudenza della CEDU ha stabilito infatti che il tribunale deve avere piena giurisdizione e che un controllo limitato alla sola motivazione non basta (Obermeier c/ Autriche 28 juin 1990) e deve essere esteso al fatto (Zumbotel c/ Autriche 21 sept. 1993). 17

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un modo o ad un punto tale che il diritto venga compromesso nella sua sostanza19. E‟ innegabile che il tema della tutela dei diritti fondamentali sia intensamente avvertito anche dalle Istituzioni dell‟Unione; prova ne è data dalla recente entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha elevato la Carta dei Diritti Fondamentali proclamata a Nizza, allo stesso valore giuridico dei Trattati. In particolare, la tutela dei diritti fondamentali è stata perseguita nel consesso europeo grazie all‟attività promossa dalla Corte di Giustizia dell‟Unione Europea che, in qualità di garante della uniforme applicazione ed interpretazione delle fonti di diritto comunitario, attraverso il controllo di legittimità degli atti adottati dalle Istituzioni comunitarie, la previsione del rinvio pregiudiziale e le diverse ipotesi di ricorso – per legittimità degli atti ed in carenza – concorre a promuovere, talvolta in via creativa, alcuni principi fondamentali. Ed è proprio grazie all‟attività condotta dalla Suprema Corte che la garanzia di effettività è stata elevata a canone ermeneutico della tutela giurisdizionale del cittadino 20, esaltando l‟integrazione tra il piano della tutela interna e quello della protezione comunitaria ed imponendo al giudice domestico, in assenza di esplicita disciplina comunitaria, di applicare le norme processuali e procedimentali dell‟ordinamento interno nella misura in cui garantiscano i canoni della proporzionalità, dell‟adeguatezza e dell‟ effettività, assurti ad elementi indefettibili del modello europeo di tutela giurisdizionale voluto dalla Corte. L‟esplicito riferimento operato dalla Corte di Giustizia nella sua giurisprudenza al principio di effettività, ci consente, difatti, di meglio specificarne la portata, ricostruendone l‟essenza. Non vi, in tal senso, alcun dubbio che per la Cfr in tal senso De Trana c. Italia, n. 64215/01, 16.10.2007. Con riferimento al rapporto tra diritto di accesso ad un Tribunale ed immunità parlamentare si rimanda a CGIL e COFFERATI c. ITALIA, n. 46967/07 del 24 febbraio 2009. La concessione di un‟immunità più o meno estesa ai membri del Parlamento è una pratica che mira a permettere la libera espressione dei rappresentanti del popolo e ad impedire che azioni giudiziarie di parte possano ledere la funzione parlamentare. In tal senso, la previsione di un‟immunità parlamentare è prassi legislativa di per sé legittima, anche se potenzialmente lesiva del diritto individuale ad accedere ad un tribunale, garantito dall‟art. 6 Cedu. Come sempre accade quando si tratta di limitazioni di diritti individuali, tuttavia, occorre che sia rispettato un giusto equilibrio tra le esigenze dell‟interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell‟individuo. Dichiarazioni non rese nell‟esercizio di funzioni parlamentari stricto sensu, ma soltanto legate ad un‟attività politica in senso lato, non possono essere coperte da immunità, a pena di travalicare quei criteri di giusta proporzionalità che garantiscono il rispetto della Convenzione. 20 Nella giurisprudenza della Corte di Giustizia l‟affermazione per la quale la tutela giurisdizionale effettiva costituisce principio fondamentale del diritto comunitario cui non possono sottrarsi né gli stati membri, né le istituzioni UE riguardo agli atti da esse adottati, rappresenta, ormai da tempo, una costante di principio. Tra le tante pronunce si vedano Corte giust.15 ottobre 1987, c. 222/86, Heylens, in Racc., 1987, 4097; 25 luglio 1991, c. 208/90, Emmot, ivi, 1991, 4269; 3 dicembre 1992, c. 97/91, Oleificio Borelli, ivi, 1992, I, 6313; 22 settembre 1998, c. 185/97, Belinda J.Coote, ivi, 1998, I, 5199. 19

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Corte di Giustizia l‟effettività della tutela giurisdizionale si traduca: a) nella concreta protezione delle posizioni giuridiche, anche ove essa non venga contemplata dagli ordinamenti nazionali; b) nell‟esclusione di prove eccessivamente gravose ed onerose per le parti; c) nell‟inderogabile dovere di motivare gli atti e di darne comunicazione alle parti; d) nell‟esigenza di assicurare esecuzione effettiva e non simbolica ai provvedimenti; e) nel diritto all‟impugnazione degli atti 21. Nel tempo, l‟eterogeneità dei modelli giurisdizionali di tutela invalsi negli ordinamenti degli Stati membri ha difatti indotto la Corte a delineare meglio il principio in esame, dettando comuni regole di garanzia, volte ad uniformare i meccanismi di tutela. Grazie ad esse, si è così assistito alla traduzione di detto principio dal mero piano del c.d. effetto utile del provvedimento giurisdizionale a principio, per così dire fondativo, del sistema di diritto comune, cogliendosi nel pieno diritto di accesso alle Corti; di semplificazione degli atti del processo; nell‟essenzialità della difesa tecnica anche per i non abbienti; nel reciproco riconoscimento – nei diversi ordinamenti giuridici – delle decisioni giudiziarie; nella tendenziale uniformità delle norme processuali nazionali; nella previsione di meccanismi preventivi e successivi di conciliazione, con un netto favor verso la diffusione dei metodi di tutela alternativi allo strumento giurisdizionale22. È dottrina consolidata della Corte di giustizia che il principio di tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell‟Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ed è stato sancito dall‟art. 6 CEDU23. Quale diritto fondamentale, essendo stato recepito dall‟art. 47 CDFUE, il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva ha acquistato, con l‟entrata in vigore del Trattato di Lisbona, «lo stesso valore giuridico dei Corte giust., 10 aprile 1984, c. 14/83, Von Colson e Kamann, in Foro it., 1985, IV, c. 59. Corte giust., 8 novembre 1983, c. 199/82, San Giorgio, Foro it., 1984, IV, c. 297. Corte giust. 15 ottobre 1987, c. 222/86, Heylens, in Racc. 1987, 4097. Corte giust., c. 14/83, Von Colson e Kamann, cit.. Corte giust., 7 luglio 1981, c. 152/80, Rewe, in Racc. 1983, IV, 17. 22 Cfr. ANDOLINA, La cooperazione internazionale nel processo civile, Relazione al X Congresso mondiale di diritto processuale della International Association of Procedural Law ( Taormina, 17-23 settembre, 1995, pubblicata nei relativi Atti, in Trans-national aspects of procedural law, I-III, Milano, 1998 ed in Riv.trim.dir.proc.civ., 1996, pag. 755 ed in Ricerche sul processo, III. Cooperazione internazionale in materia giudiziaria, Catania, 1996, 1.; ROMANO, Enunciazione e giustizi abilità dei diritti fondamentali nelle Carte costituzionali europee. Profili storici e comparatistica, in Atti del Convegno in onore di F.T.Valiente, (Messina, 15-16 marzo 1993), Milano, 1994. In argomento si vedano CAPPONI, Giustizia civile: nuovi modelli verso l‟Europa?, in Foro it., 1993, V, c. 221; MORBIDELLI, La tutela giurisdizionale dei diritti nell‟ordinamento comunitario, Milano, 2001. 23 Sentenze 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, punti 18 e 19; 25 luglio 2002, causa C 50/00 P, Union de Pequeños Agricultores/Consiglio, punto 39, e 22 dicembre 2010, causa C 279/09, DEB, punto 29. 21

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Trattati», come enuncia l‟art. 6, n. 1, TUE, e deve pertanto essere rispettato dagli Stati membri quando applicano il diritto dell‟Unione (art. 51, n. 1, CDFUE). Ai sensi dell‟art. 47 CDFUE ogni persona «i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell‟Unione siano stati violati» ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice (primo comma), nel rispetto delle condizioni che permettano che «la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge», ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare (secondo comma), e può, se del caso, beneficiare del patrocinio gratuito (terzo comma). In forza, tanto dell‟art. 6, n. 1, terzo comma, TUE, quanto dell‟art. 52, n. 7, CDFUE, ai fini dell‟interpretazione dell‟art. 47 CDFUE, è necessario prendere in considerazione le Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, elaborate inizialmente dal presidium che ha redatto la Convenzione: tale documento si limita a dichiarare che il primo comma dell‟art. 47 CDFUE si basa sull‟art. 13 CEDU, mentre il secondo comma corrisponde all‟art. 6, n. 1, CEDU, in entrambi i casi presentando una portata più ampia. Alla luce di quanto sopra, al di là del valore interpretativo di tali Spiegazioni, essendo stato proclamato diritto dell‟Unione mediante l‟art. 47 CDFUE, il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, come viene enunciato da tale disposizione, ha acquistato un‟identità ed una essenza proprie, proiettandosi al di là della mera sommatoria degli enunciati di cui agli artt. 6 e 13 CEDU. In altri termini, il diritto fondamentale in parola viene ad acquistare, quale diritto sancito e garantito dall‟ordinamento dell‟Unione, un contenuto proprio, nella definizione del quale giocano un ruolo fondamentale non soltanto gli strumenti internazionali cui tale diritto si ispira, tra i quali, in primis, la CEDU, ma anche le tradizioni costituzionali da cui tale diritto deriva, e, con esse, l‟universo concettuale dei principi che caratterizzano lo Stato di diritto. Tutto ciò senza rinnegare in nessun caso la propria tradizione rappresentata dall‟acquis comunitario affermatosi da più di mezzo secolo, che ha dato luogo, quale sistema normativo, allo sviluppo di una dottrina sui principi che gli sono propri. Difatti, l‟art. 13 CEDU, in quanto mira ad assicurare che la tutela dei diritti sanciti dalla CEDU sia garantita, all‟interno di ciascuno Stato parte della Convenzione, dal ricorso effettivo dinanzi ad un giudice nazionale, si proietta inevitabilmente, conformemente al proprio enunciato, sui diritti garantiti dalla stessa CEDU. Tuttavia, è difficilmente ammissibile che, laddove l‟art. 47, n. 1, CDFUE si ispira alla suddetta disposizione, stia per ciò stesso anche limitando la DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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propria portata, esclusivamente, ai diritti garantiti dalla CDFUE. In definitiva, il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto dall‟art. 47 CDFUE deve essere definito con riferimento al significato e alla portata conferiti a tale diritto dalla CEDU (art. 52, n. 3, CDFUE); tuttavia, l‟ambito di applicazione di tale diritto deve essere quello stabilito dalla CDFUE, ossia, usando i termini esatti della Carta, l‟ambito dei «diritti e delle libertà garantite dal diritto dell‟Unione»24. In definitiva è possibile affermare che l‟Unione conferisce a tutti gli individui il diritto di richiedere la tutela di un giudice a fronte di qualsiasi atto lesivo dei diritti e delle libertà riconosciuti dall‟ordinamento dell‟Unione, imponendo, anzitutto, che il rimedio giurisdizionale sia effettivo, vuoi nel senso che deve essere giuridicamente idoneo a consentire la riparazione, se del caso, della lesione denunciata, vuoi nel senso che deve trattarsi di un rimedio praticabile, vale a dire, soggetto a condizioni che non rendano il suo esercizio impossibile o assai difficile25.

2. Le problematiche costituzionali riguardanti la mediazione civile. Con il Decreto Legislativo n. 28 del 4.03.2010, il Governo Italiano ha introdotto, nel nostro ordinamento, l‟istituto della “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”. Si tratta di una normativa che impone alle parti di azionare una Cfr. in tal senso le conclusioni dell‟avvocato generale PEDRO CRUZ VILLALÓN presentate il 1º marzo 2011 nella causa C-69/10, Brahim Samba Diouf contro Ministre du Travail, de l‟Emploi et de l‟Immigration, nella domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunal administratif du Grand-Duché de Luxembourg (Lussemburgo), avente ad oggetto «Domanda di asilo presentata dal cittadino di uno Stato terzo – Rifiuto della domanda, mediante un procedimento nazionale accelerato, per insussistenza dei motivi che giustificano la concessione della protezione internazionale – Mancata previsione di un ricorso autonomo avverso la decisione di sottoporre la domanda ad un procedimento accelerato – Diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo». L‟avvocato generale ha quindi affermato che il diritto ad un ricorso effettivo deve essere indubbiamente applicato con riferimento alle «decisioni relative ad una domanda di asilo», in quanto l‟assoggettamento di tali decisioni a «un rimedio effettivo dinanzi a un giudice», conformemente al ventisettesimo „considerando‟ della direttiva 2005/85/CE, non è altro che il riflesso di «un principio fondamentale del diritto comunitario», ora sancito con rango di diritto primario dalla Carta dei diritti fondamentali dell‟Unione. 25 Tale contenuto indispensabile del diritto sancito dall‟art. 47 CDFUE è quanto si deriva dalla CEDU secondo l‟interpretazione della Corte europea dei diritti umani, ed è il contenuto cui si conforma con perfetta naturalezza l‟art. 39 della direttiva 2005/85/CE, il quale garantisce espressamente che «il richiedente asilo abbia diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice» avverso le decisioni amministrative di rigetto della domanda di asilo in tutti i casi contemplati dal n.1 della disposizione medesima, ossia, per ragioni di merito, di forma o di procedura. 24

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procedura conciliativa prima di instaurare un giudizio civile o commerciale26. Come è noto il procedimento di mediazione costituisce uno strumento alternativo di risoluzione delle controversie rispetto al giudizio curato dagli organi giurisdizionali pubblici o dall‟arbitrato. Con l‟acronimo ADR (Alternative Dispute Resolution) si suole indicare l'insieme degli strumenti di risoluzione delle controversie alternativi al procedimento giurisdizionale ordinario, la cui caratteristica principale è quella di essere modelli sostanziali di risoluzione della lite, diversi dai modelli statali processuali di risoluzione delle controversie e che si caratterizzano per la loro elasticità, confidenzialità ed informalità. Attraverso tali strumenti le parti in contesa possono ricomporre la lite prescindendo dal ricorso all‟autorità giudiziaria ordinaria27. Le ragioni poste a base dell‟introduzione nell‟ordinamento giuridico italiano dell‟istituto della mediazione in materia civile e commerciale devono essere rintracciate a livello sovranazionale. Il trattato istitutivo della Comunità europea prevede all‟art. 61, lett. c) che il Consiglio, allo scopo di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, adotti «misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile». Ancora, l‟art. 65 stabilisce i criteri da seguire nell‟adozione di misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, che presenti implicazioni trasfrontaliere. Le istituzioni comunitarie hanno adottato misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, necessarie al corretto funzionamento del mercato interno. Il Consiglio europeo, prima, nella riunione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 ha invitato gli Stati membri a istituire procedure extragiudiziali e alternative; poi, nel maggio del 2000 ha adottato conclusioni sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale. La Commissione europea nell‟aprile del 2002 ha presentato un Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, per l‟adozione di misure volte a promuovere l‟utilizzo della mediazione. Il procedimento di mediazione dovrebbe comportare l‟espansione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia europeo, attraverso l‟accesso ai metodi extragiudiziali di risoluzione delle controversie. La sua funzione primaria è quella di creare una procedura di mediazione da applicarsi soltanto nelle controversie transfrontaliere, con la possibilità che tale procedimento si applichi, comunque, ai procedimenti interni. L‟attività degli organi comunitari Per un approfondimento si rimanda a LA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLA PROCEDURA DI MEDIAZIONE COSIDDETTA OBBLIGATORIA di Michele Mondello, in Nel Diritto n. 7/11. 27 Cfr. PUNZI, Relazioni fra l'arbitrato e le altre forme non giurisdizionali di soluzione delle liti, in Riv. arb., 2003, 385, sulla relazione fra arbitrato e conciliazione. 26

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ha portato, da ultimo, all‟emanazione della Direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell‟Unione europea, che fornisce all‟art. 3 la definizione di mediazione, disciplinando alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. Il legislatore nazionale all‟art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69 ha recepito nell‟ordinamento giuridico interno la direttiva n. 2008/52/CE, senza peraltro menzionarla specificamente, prevedendo i principi e criteri direttivi che il governo ha adottato, poi, nell‟adozione del decreto legislativo. Difatti, il Governo ha emanato il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, richiamando nel preambolo esplicitamente la direttiva n. 2008/52/CE, in attuazione della delega legislativa, definendo, all‟art. 1, lett. a), la mediazione come «l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa». L‟art. 16 del d.lgs. 28/2010 ha rimandato ad appositi decreti del Ministro della giustizia concernenti la disciplina degli organismi di mediazione e dei mediatori. Con il decreto 18 ottobre 2010, n. 180 il Ministro della giustizia ha completato il quadro delle norme interne in materia di mediazione. A partire dal 21 marzo 2011, eccezion fatta per le controversie condominiali e per quelle in materia di sinistri stradali, per le quali è stata disposta una proroga al 20.03.2012, quasi tutte le controversie civili e commerciali non potranno essere portate dinanzi all‟Autorità Giudiziaria se non dopo l‟esperimento di tale tentativo di mediazione. Ad ogni modo, la novità della mediazione all‟italiana consiste proprio nell‟obbligatorietà (non prevista nella legge delega e nella direttiva comunitaria) di tale tentativo di conciliazione stragiudiziale per tutte le controversie in materia di: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Infatti, ai sensi del punto 1 dell‟art. 5 del d. lgs. 28/2010 l‟esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale per chi intende promuovere una controversia nelle suddette materie. Proprio sotto quest‟aspetto si sono sollevate le maggiori criticità sulla nuova normativa della mediazione che l‟Organismo Unitario dell‟Avvocatura Italiana non ha mancato di rilevare, chiedendo, in DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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sede di impugnazione del decreto del Ministro della giustizia adottato di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico n. 180 del 18 ottobre 2010, pubblicato nella G.U. n. 258 del 4 novembre 2010, avente ad oggetto “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo n. 28 del 2010”, che l‟adito TAR del Lazio sollevasse questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, in riferimento agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione28. Il Tar ha affermato che il principio di accesso alla giustizia, nella dinamica della delega, non sembra assumere altro ruolo che quello di richiamare l‟attenzione sulla necessità di rispettare un principio assoluto e primario dell‟ordinamento nazionale (art. 24 della Costituzione) e di quello comunitario. Ciò posto, è vero che l‟accesso alla giustizia potrebbe non ritenersi ex se precluso dalla previsione di una fase pre-processuale, che, ancorché obbligatoria, lasci comunque aperta la facoltà di adire la via giurisdizionale. Infatti, secondo il costante insegnamento del Giudice delle leggi, l'art. 24 Cost. non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre allo stesso modo e con i medesimi effetti, e non vieta quindi che la legge possa subordinare l'esercizio dei diritti a controlli o condizioni, purché non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell'attività processuale29. Ma è altresì vero: - sia che, proprio in forza delle statuizioni appena citate, le modalità di una siffatta previsione non sono ininfluenti al fine di valutarne la conformità a Costituzione; - sia che nell‟ordinamento giuridico vigente, e specificamente in quello che regola la delega legislativa, non tutto ciò che è in via generale permesso all‟autorità delegante può ritenersi anche assentito alla sede delegata. Il TAR prosegue affermando che l‟assunzione di finalità deflative del contenzioso giudiziale, l‟apprezzamento dell‟equilibrio della soluzione prescelta e delle eccezioni previste rispetto all‟esercizio del diritto di azione ex art. 24 Cost. e all‟interesse generale alla sollecita definizione della giustizia ed al contenimento “dell‟abuso del diritto alla tutela giurisdizionale” – posto che una siffatta tipologia di “abuso” Si rimanda alla lettura dell‟ordinanza n. 03202/11 resa dal TAR del Lazio – Roma in data 12 aprile 2011. 29 Corte Cost., 21 gennaio 1988, n. 73; 13 aprile 1977, n. 63; sul punto, non può non richiamarsi anche la recente sentenza della Corte di Giustizia CE, IV, 18 marzo 2010 28

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possa essere legittimamente e genericamente visualizzata, a termini dell‟ordinamento nazionale vigente, unico parametro lecito nella prospettiva propria dell‟argomentazione, solo sulla scorta del dato costituito dal numero di contenziosi civili pendenti – non sono qui in discussione. Si tratta, infatti, di questioni di merito sottratte all‟ambito proprio del giudizio amministrativo, laddove, invece, più a monte, occorre verificare, in osservanza delle regole proprie dello scrutinio incidentale di costituzionalità di cui all‟art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948, se trattasi di scelte che il Governo era legittimato ad attuare, e con le previste modalità, in forza delle attribuzioni delegate dal Parlamento. Non è vero, per quanto pure in precedenza riferito, che l‟unico limite posto al decreto delegato è quello del rispetto della possibilità di accesso alla giustizia. Si è infatti sopra dato conto che nell‟art. 60 della l. n. 69 del 2009 sussistono alcuni elementi di carattere positivo univoci e concludenti, tra cui primariamente il richiamo alle già illustrate disposizioni di cui al decreto legislativo n. 5 del 2003 (artt. da 38 a 40, ora abrogati dall‟art. 23 del d.lgs. n. 28 del 2010), che, nel rapporto tra mediazione e processo, delineano un equilibrio molto diverso da quello assunto dal comma 1 dell‟art. 5. Né è conducente, per quanto sopra pure diffusamente esposto ...Omissis… affermare che la normativa comunitaria fa esplicito riferimento all‟ipotesi di mediazione obbligatoria anche negli specifici termini estremi fatti propri dal legislatore delegato (e non, si ribadisce, dalla legge delega), atteso che essi, nel contesto comunitario, come sopra acclarato, costituiscono previsioni via via “facoltizzate”. In particolare, le disposizioni di cui sopra risultano in contrasto con l‟art. 24 Cost. nella misura in cui determinano, nelle considerate materie, una incisiva influenza da parte di situazioni preliminari e pregiudiziali sull‟azionabilità in giudizio di diritti soggettivi e sulla successiva funzione giurisdizionale statuale, su cui lo svolgimento della mediazione variamente influisce. Ciò in quanto esse non garantiscono, mediante un‟adeguata conformazione della figura del mediatore, che i privati non subiscano irreversibili pregiudizi derivanti dalla non coincidenza degli elementi loro offerti in valutazione per assentire o rifiutare l‟accordo conciliativo, rispetto a quelli suscettibili, nel prosieguo, di essere evocati in giudizio. Le disposizioni in parola risultano altresì in contrasto con l‟art. 77 Cost., atteso il silenzio serbato dal legislatore delegante in tema di obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell‟esercizio della tutela giudiziale in determinate materie, nonché tenuto conto del grado di specificità di alcuni principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega, DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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art. 60 della l. 69/09, che risultano stridenti con le disposizioni stesse. In particolare, alcuni principi e criteri direttivi [lett. c); lett. n)] fanno escludere che l‟obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell‟esercizio della tutela giudiziale in determinate materie possa rientrare nella discrezionalità commessa alla legislazione delegata, quale mero sviluppo o fisiologica attività di riempimento della delega, anche tenendo conto della sua ratio e finalità, nonché del contesto normativo comunitario al quale è ricollegabile. Ciò infine è quanto disposto dal TAR: "E' rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 24 e 77 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, co. 1, del d.lgs. n. 28/2010 nella parte in cui, in materia di mediazione civile, introduce a carico di chi intende esercitare in giudizio un'azione, relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate, l'obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione; prevede che l'esperimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale; dispone che l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto o rilevata d'ufficio dal giudice. In particolare la predette disposizioni risultano in contrasto con l'art. 24 Cost. nella misura in cui determinano, nelle considerate materie, una incisiva influenza da parte di situazioni preliminari e pregiudiziali sull'azionabilità in giudizio di diritti soggettivi e sulla successiva funzione giurisdizionale statuale, su cui lo svolgimento della mediazione variamente influisce e dall'altro eccedono dai criteri fissati dalla legge delega n. 69 del 2009, atteso il silenzio serbato dal legislatore delegante in tema di obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell'esercizio della tutela giudiziale in determinate materie risultando quindi in contrasto con l'art. 77 Cost. ". Deve inoltre evidenziarsi che la disciplina concernente le indennità da corrispondere agli organi di mediazione presenta profili di censurabilità costituzionale ex artt. 3 e 24 Cost.. Sotto tale profilo è agevole osservare che la disciplina realizza una disparità di trattamento tra situazioni omogeneamente comparabili (art.3 Cost.) e, in particolare, tra coloro per i quali l‟esercizio del diritto non è condizionato alla mediazione obbligatoria e coloro sottoposti a tale istituto dovendo questi ultimi sopportare le spese di mediazione, di eventuali perizie rese necessarie e delle proposte mediative ex art.11 D.Lgs. 28/2010. Aggiungasi altresì che i costi e le spese di mediazione variano a seconda che l‟attore abbia prediletto un organismo di mediazione di diritto pubblico o viceversa privato (lett.c DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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e d punto 4 art.17 D.Lgs.28/2010 e art.16 D. M. Giustizia 18.10.2010 n.180) e che tale diversificato regime deve essere subito dalla parte convenuta, cui è già imposta la scelta dell‟attore in ordine all‟individuazione territoriale dell‟organismo di mediazione. Sicché appare configurabile rispetto a tale specifico profilo non solo la violazione dell‟art.3 Cost. in chiave di ragionevolezza ma anche dell‟art. 24. Non va sottovalutato, quindi, neanche il problema dei costi per intraprendere un procedimento di mediazione. Difatti, con il Decreto Ministeriale n. 180/2010 sono state approvate le tariffe per le spese di mediazione, le quali sono, a dir poco, esorbitanti. Ad esempio per una controversia di valore tutto sommato modico (1.100,00 euro), ogni parte dovrà versare al Mediatore ben 130,00 euro. Si badi bene ogni parte, laddove la legge prevede, per le cause civili, il versamento del Contributo Unificato, a carico di una sola parte, che nell‟esempio in questione sarebbe stato pari a soli euro 33,00. Tale ultima spesa va aggiunta, poi, alla somma versata al mediatore, qualora la conciliazione tra le parti non riesca. In buona sostanza, così come intesa la mediazione all‟italiana presenta seri dubbi di costituzionalità e di compatibilità con i principi affermati in materia di effettività della tutela, proprio per le plurime difficoltà che si riscontrano per accedere davanti ad un organo giudiziario.

3. Effettività della tutela nel collegato lavoro sotto l’aspetto sanzionatorio nel ricorso abusivo ai contratti a termine. Al di là delle innumerevoli note critiche che hanno seguito l‟entrata in vigore del cd. Collegato lavoro, ai fini che qui interessano sembra opportuno far riferimento alla “forfetizzazione” del risarcimento del danno spettante al lavoratore che si sia visto riconoscere l‟illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. Difatti i commi 5 e 6 dell‟art.32 della legge n.183/2010 così recitano: 5 Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un‟indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell‟ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell‟articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604. 6 - In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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che prevedano l‟assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell‟ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell‟indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà. Sin dall‟entrata in vigore delle predette disposizioni dell‟art.32 sull‟indennità risarcitoria si è aperta la discussione circa la natura della stessa con la richiesta di precisi chiarimenti tesi a definire se sia da ritenere: a) alternativa rispetto alla retribuzione persa dal lavoratore sino alla riassunzione in servizio; b) aggiuntiva tanto alla trasformazione del rapporto lavorativo quanto alla retribuzione persa dal lavoratore. Secondo la maggioranza della dottrina, la somma prevista dall‟art.32 va a sostituire l‟ordinaria tutela risarcitoria che tiene conto del periodo intercorso tra cessazione del rapporto e riammissione in servizio. Nella stessa direzione si sono poste le sentenze emesse il 29 novembre 2010 da due diversi giudice del lavoro del Tribunale di Milano. Di diverso tenore risulta invece, la decisione emessa dal giudice del lavoro del Tribunale di Busto Arstizio, che, con la sentenza n.528 sempre del 29 novembre 2010 , nell‟affermare la nullità del termine del rapporto oggetto del ricorso per l‟assoluta assenza delle ragioni tecniche,organizzative e produttive di cui all‟art.1 del d. lgs. n.368/01,non si è limitato ad ordinare, oltre alla conversione del contratto a tempo indeterminato, soltanto il pagamento dell‟indennità risarcitoria a norma dell‟art.32 della legge n.183/2010, ma anche la liquidazione da parte del datore di lavoro delle retribuzioni maturate sino alla sentenza. Si è occupato della norma, anche il Tribunale di Napoli con sentenza del 21 dicembre 2010, con riferimento ad una fattispecie di lavoro marittimo a termine. La sentenza, pur ritenendo che la novella riguardi il lavoro a termine di cui al solo d.lgs. 368 del 2010 e non anche il lavoro a termine disciplinato dal codice della navigazione, ha ritenuto in ogni caso di interpretare l‟art. 32 nel senso che esso non preclude la tradizionale tutela inerente il pagamento delle retribuzioni maturate dall‟offerta della prestazione lavorativa, essendo questa la sola interpretazione costituzionalmente e comunitariamente adeguata. Osserva incisivamente la sentenza: “una indennità di tale specie da un lato non ha un carattere efficace e dissuasivo da garantire la piena effettività di dette misure preventive (Sent Kiriaki Angelidaki punto 161 e v., in tal senso, sentenze Adeneler e a., punto 105; Marrosu e Sardino, punto 49, e Vassallo, punto 34, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 123) e, dall‟altro, non è atta ad eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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(Sentenza Kikiaki Angelidaki, punto 170). Infatti l‟abuso si può eliminare solo creando una situazione del tutto analoga a quella che vi sarebbe stata ove l‟abuso non fosse stato posto in essere, ovvero il contratto di lavoro fosse stato stipulato ab initio a tempo indeterminato. Il contratto a tempo indeterminato avrebbe dato luogo al pagamento delle retribuzioni per cui l‟indicata disposizione, che forfettarizza il danno, in maniera del tutto avulsa dal rapporto di lavoro ed in particolare dal tempo decorso dalla messa a disposizione delle energie lavorative, appare essere in radicale contrasto con la Direttiva 1999/70/CE ed in particolare con l‟obblighi di effettività ed equivalenza. Residua la possibilità di interpretare la sanzione di cui all‟art. 32 come aggiuntiva e non sostitutiva rispetto alle retribuzioni infratemporalmente maturate. In particolare dovrebbe ritenersi che le retribuzioni infratemporalmente maturate riguardino un aspetto non risarcitorio, ma di adempimento della obbligazione retributiva, cui il datore di lavoro sarebbe comunque tenuto, essendo la prestazione del lavoratore divenuta impossibile causa decorso del tempo, fatto ascrivibile alla sola responsabilità del datore di lavoro: il danno forfetizzato riguarderebbe quindi un danno ulteriore, biologico, morale, alla vira di relazione, esistenziale, alla professionalità. Detta interpretazione troverebbe conferma nell‟art 50 della legge 183/10, che prevede che, ove si accerti la natura di rapporto di lavoro subordinato in relazione ad un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, il datore di lavoro è tenuto ad indennizzare il prestatore di lavoro con una indennità compresa tra le 2.5 e le 6 mensilità di retribuzione avuto riguardo ai medesimi criteri di cui all‟art 32. La terminologia adoperata è più ampia: l‟indennizzo non è infatti limitato al risarcimento del danno (come nell‟art 32), ma copre ogni situazione, per cui è lecito argomentare che residuino aspetti che, nell‟ipotesi di cui all‟art. 32, non cadono sotto la “mannaia” indennitaria”30. A ben vedere tale impostazione normativa può porsi in contrasto con quanto già affermato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 214 del 2009, sulla necessità di prevedere l‟"effettività" della sanzione rispetto all'abuso dei contratti a termine, con la Carta di Nizza che prevede il dovere degli Stati membri dell'Unione di "promuovere l'applicazione e rendere effettivo l'esercizio dei diritti" Per un ulteriore approfondimento cfr. la Relazione della Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario e del ruolo del 12 gennaio 2011, avente ad oggetto: LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - DURATA DEL RAPPORTO - A TEMPO DETERMINATO - IN GENERE - Contratto di lavoro a tempo determinato - Violazione delle condizioni legali di apposizione del termine - Conseguenze - Regime previsto dall‟art. 32, comma 5-7, della legge n. 183/2010 Interpretazione. 30

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(art. 51,1) ed infine con la Direttiva 1999/70/CE prevede l'obbligo per il legislatore nazionale di "creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti a termine". La giurisprudenza comunitaria in materia di contratti a termine illegittimi, se ha affermato la non necessità della previsione negli ordinamenti nazionali della sanzione della conversione del rapporto in lavoro a tempo determinato, nel contempo ha evidenziato, da un lato, la necessità della predisposizione di sanzioni effettive proporzionate e dissuasive degli abusi del termine e, dall‟altro lato, il divieto di reformatio in pejus della disciplina nazionale, affermato in entrambi i casi l‟obbligo del giudice di interpretazione della disciplina nazionale in conformità di tali principi. Con riferimento alla necessità della predisposizione di sanzioni effettive proporzionate e dissuasive degli abusi del termine, la norma dell‟art. 32, comma 5 e, ancor più, 6, appare del tutto insoddisfacente, prevedendo una sanzione che, ove interpretata come sostitutiva del diritto alle retribuzioni, è assai blanda. In senso contrario, si è peraltro rilevato che la conversione del contratto (da rapporto a termine a rapporto a tempo indeterminato), per quanto ex nunc, unita al pagamento di un‟indennità, può ragionevolmente considerarsi una tutela sufficiente, nell‟ottica di un bilanciamento di contrapposti interessi: da un lato quello del lavoratore, dall‟altro quello del datore di lavoro a non vedersi esposto all‟esborso di somme enormi per impugnazioni magari proposte a distanza di anni. L‟obiezione, tuttavia, poteva assumere rilevanza nel regime pregresso di impugnativa del termine, soggetto solo ad un termine prescrizionale ampio, laddove oggi non appare più ragionevole operare il descritto bilanciamento dei contrapposti interessi (a fronte di un inadempimento che è e resta solo datoriale): oggi, infatti, la legge non prevede misure compensative alla riduzione di tutela ma anzi prevede ulteriori riduzioni di tutela, come l‟applicazione dei nuovi termini decadenziali, inedita e piuttosto stridente con i principi generali in materia di domande di accertamento di nullità di clausole contrattuali; la nuova disciplina, infatti, prevede una sorta di <<sanatoria della nullità del termine>> conseguente al prodursi della decadenza dall‟impugnazione31. Il contrasto è notevole con il diritto comunitario32. Così PERRINO A.M., Il contratto a tempo determinato e il diritto dell‟Unione, in atti dell‟incontro d studi Il diritto del lavoro dell‟Unione europea nella concreta esperienza dei giudici di merito, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, in Roma, 25-27 ottobre 2010. 32 Sul principio generale di effettività della tutela, utili considerazioni sono in GARATTONI M., La violazione della disciplina sul contratto a termine nelle pubbliche amministrazioni: la tutela risarcitoria effettiva, adeguata e dissuasiva, in RIDL, 2009, 138. 31

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Sul punto, si è consapevoli che la Corte di giustizia ha ammonito che l‟art. 5, punto 2 dell‟accordo quadro recepito dalla direttiva 1999/70 non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi IANNIRUBERTO G., Le regole per le impugnazioni nel c.d. “collegato lavoro”, appunta le sue critiche sul termine decadenziale previsto dalla normativa, osservando in tema che <<è un dato di esperienza che a siffatto contratto -a termine, n.d.r.- si ricorre con una certa frequenza per le ragioni più diverse e che, allo scadere dello stesso, il lavoratore tante volte è fiducioso di essere nuovamente chiamato dallo stesso datore, per cui la previsione di un termine di decadenza potrebbe porgli il dilemma tra contestare la legittimità del termine od evitare iniziative nella speranza di una nuova assunzione. D‟altra parte, secondo un principio consolidato, anche la presenza di trattative per ricostituire un rapporto non impedisce la maturazione della decadenza per cui c‟è da chiedersi se la nuova disciplina, con l‟indicazione del primo termine di 60 giorni, garantisca quell‟effettività della tutela, che secondo la giurisprudenza comunitaria deve essere assicurata. L‟art. 32 comma 5 dispone, poi, che nei casi di conversione del contratto a termine, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento in favore del lavoratore stabilendo un‟indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra 2,5 e 12 mensilità. Orbene, se la finalità perseguita dalla legge è quella di evitare che, attraverso atteggiamenti dilatori del lavoratore, la domanda giudiziale venga proposta a notevole distanza dai fatti oggetto della lite, in modo che il risarcimento possa essere commisurato a tutto il tempo, in cui non si è avuta prestazione di lavoro, qualche dubbio si può sollevare sulla scelta di fissare un termine di decadenza di 60 giorni, dato che, anche in assenza di tale innovazione, il richiamato comma 5 limita la misura del danno. E‟ poiché la giurisprudenza aveva già escogitato degli accorgimenti per contenere questa misura, disancorandola dal tempo intercorso dopo la scadenza del termine illegittimamente apposto, la ratio di quella decadenza in qualche modo potrebbe perdere la sua validità>>. Coglie opportunamente il nesso tra la disciplina risarcitoria e la decadenza anche PERRINO A.M., Il contratto a tempo determinato e il diritto dell‟Unione, in atti dell‟incontro di studi Il diritto del lavoro dell‟Unione europea nella concreta esperienza dei giudici di merito, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, in Roma, 25-27 ottobre 2010, secondo la quale <<Il primo dato che balza agli occhi è l‟effetto di sanatoria della “nullità del termine” conseguente al prodursi della decadenza dall‟impugnazione. Sia pure in prima lettura paiono emergere alcuni profili distorsivi delle regole comunitarie. Anzitutto, la disciplina della decadenza mina in radice la forza deterrente e dissuasiva della sanzione della conversione. E‟ vero, al riguardo, che la Corte di giustizia ha ammonito che l‟art. 5, punto 2 dell‟accordo quadro recepito dalla direttiva 1999/70 “non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi” (sentenza Marrosu e Sardino, punto 47). Ma è altresì vero che le modalità di attuazione delle norme comunitarie non devono “rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l‟esercizio dei diritti conferiti dall‟ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività)” (sentenza Marrosu e Sardino, punto 52), dovendo gli Stati membri “prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla direttiva” (sentenza Adeneler, punto 102). Nel nostro caso, le decadenze stabilite per l‟esercizio dell‟azione di nullità del termine e la previsione della misura risarcitoria nei soli- casi di conversione del contratto (per importi, tra l‟altro, che per la loro predeterminazione, sono a priori incapaci di ristorare danni protrattisi per un periodo superiore a 12 mensilità) inducono almeno qualche dubbio in ordine alla conformità della norma alla clausola 5 dell‟accordo quadro. Non a caso, con riferimento al lavoro pubblico, che non contempla la sanzione della conversione, la Corte di giustizia ha, sia pure prima facie, reputato la normativa italiana conforme all‟accordo quadro puntando non tanto e non solo sull‟esistenza di norme imperative relative alla durata ed al rinnovo dei contratti a tempo determinato, sibbene sulla previsione del diritto al risarcimento del danno in caso di ricorso abusivo a contratti a termine (sentenza Marrosu e Sardino, punto 57)>>, sicché, conclude l‟autrice, <<Parrebbe dunque prospettarsi per il profilo in questione un arretramento di tutela>> (nei medesimi termini, PICCONE V., op. cit., relazione al convegno “Il collegato lavoro”, organizzato d Magistratura democratica, in Roma, 16.12.2010).

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ultimi; ma è altresì vero che le modalità di attuazione delle norme comunitarie non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l‟esercizio dei diritti conferiti dall‟ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività), dovendo gli Stati membri prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla direttiva. In particolare, nella sentenza Adeneler, c-212/04, si afferma che l‟accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70, relativa all‟accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che, qualora l‟ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato non preveda nel settore considerato altra misura effettiva per evitare e, se del caso, sanzionare l‟utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi, il detto accordo quadro osta all‟applicazione di una normativa nazionale che vieta in maniera assoluta, nel solo settore pubblico, di trasformare in un contratto di lavoro a tempo indeterminato una successione di contratti a tempo determinato che, di fatto, hanno avuto il fine di soddisfare «fabbisogni permanenti e durevoli» del datore di lavoro e che devono essere considerati abusivi (v. punto 105, dispositivo 3). Rileva la Corte di Giustizia che <<91. l‟accordo quadro non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi. 92. Tuttavia esso impone agli Stati membri di adottare almeno una delle misure elencate nella clausola 5, punto 1, lett. a)-c), dell‟accordo quadro, che sono dirette a prevenire efficacemente l‟utilizzazione abusiva di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi. 93. Inoltre gli Stati membri sono tenuti, nell‟ambito della libertà che viene loro lasciata dall‟art. 249, terzo comma, CE, a scegliere le forme e i mezzi più idonei al fine di garantire l‟efficacia pratica delle direttive (v. sentenze 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer, Racc. pag. 497, punto 75, e 12 settembre 1996, cause riunite C58/95, C-75/95, C-112/95, C-119/95, C-123/95, C-135/95, C140/95, C-141/95, C-154/95 e C-157/95, Gallotti e a., Racc. pag. I4345, punto 14). 94. Pertanto, quando, come nel caso di specie, il diritto comunitario non prevede sanzioni specifiche neppure nel caso in cui sono stati comunque accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte ad una siffatta situazione, misure che devono rivestire un carattere non soltanto DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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proporzionato, ma anche sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell‟accordo quadro. 95. Anche se le modalità di attuazione di siffatte norme rientrano nell‟ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell‟autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l‟esercizio dei diritti conferiti dall‟ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, sentenza 14 dicembre 1995, causa C312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 12, e giurisprudenza ivi citata). ....101. l‟accordo quadro non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, ma il punto1 della sua clausola 5 impone l‟adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure elencate in tale disposizione volte a prevenire l‟utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi, allorché il diritto nazionale non prevede già misure equivalenti. 102. Peraltro, quando una siffatta utilizzazione abusiva abbia comunque avuto luogo, deve poter essere applicata una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela del lavoratore al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto comunitario. Infatti, secondo i termini stessi dell‟art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla [detta] direttiva». 103. La Corte non è competente a pronunciarsi sull‟interpretazione del diritto interno, spettando tale compito esclusivamente al giudice del rinvio, che deve nel caso di specie stabilire se gli obblighi ricordati al punto precedente siano soddisfatti dalle disposizioni della normativa nazionale rilevante. 104. Se il detto giudice dovesse riscontrare che ciò non si verifica, si dovrebbe concludere che l‟accordo quadro osta all‟applicazione di tale normativa nazionale>>. Ancor più ampie le considerazioni sul punto della sentenza Angelidaki, cause riunite da C-378/07 a C-380/07, secondo la quale la clausola 5, n. 1, dell‟accordo quadro impone che detta normativa preveda, per quanto riguarda l‟utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, misure effettive e vincolanti di prevenzione di un siffatto utilizzo abusivo, nonché sanzioni aventi un carattere sufficientemente efficace e dissuasivo da garantire la piena effettività di tali misure preventive. Spetta quindi al giudice del rinvio DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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verificare che i suddetti requisiti siano soddisfatti. Rileva la Corte di Giustizia che <<158. Per quanto riguarda, poi, la repressione degli abusi, occorre ricordare che qualora, come nel caso di specie, il diritto comunitario non preveda sanzioni specifiche nelle ipotesi in cui non siano stati nemmeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte ad una siffatta situazione, misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma anche abbastanza effettivo e dissuasivo da garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell‟accordo quadro (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 94; Marrosu e Sardino, punto 51, nonché Vassallo, punto 36, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 125). 159. Seppure in mancanza di una specifica disciplina comunitaria in materia, le modalità di applicazione di tali norme spettino all‟ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio dell‟autonomia processuale di questi ultimi, esse non devono, però, essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l‟esercizio dei diritti conferiti dall‟ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, citate sentenze Adeneler e a., punto 95; Marrosu e Sardino, punto 52, e Vassallo, punto 37, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 126). 160. Ne consegue che, qualora si sia verificato un ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario. Difatti, secondo i termini stessi dell‟art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla [stessa] direttiva» (citate sentenze Adeneler e a., punto 102; Marrosu e Sardino, punto 53, e Vassallo, punto 38, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 127). 161. Ne consegue che, sebbene uno Stato membro come quello di cui al procedimento principale abbia il diritto di non prevedere la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato quale sanzione in caso di mancato rispetto delle misure preventive sancite dalla normativa nazionale di trasposizione della clausola 5, n. 1, dell‟accordo quadro, come risulta dal punto 144 della presente sentenza, detto Stato deve comunque assicurarsi che le altre sanzioni adottate dalla medesima normativa abbiano un carattere sufficientemente efficace e dissuasivo da garantire la piena effettività di dette misure preventive (v., in tal senso, le precitate DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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sentenze Adeneler e a., punto 105; Marrosu e Sardino, punto 49, e Vassallo, punto 34, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 123). … 164 Spetta dunque al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni di applicazione nonché l‟applicazione concreta delle pertinenti disposizioni di diritto interno ne facciano uno strumento adeguato a sanzionare l‟utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi (v., in tal senso, citate sentenze Vassallo, punto 41, e Marrosu e Sardino, punto 56, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 135)>>. A complicare ulteriormente il cammino e l‟applicazione delle disposizioni sopra riportate è intervenuta l‟Ordinanza n.2112 del 28 gennaio 2011 della Corte di Cassazione che ha ritenuto in contrasto con la Costituzione l‟indennità risarcitoria di cui all‟art. 32 commi 5 e 6 della legge n.183/2010, rinviando altresì, alla Corte Costituzionale il compito di verificare la compatibilità costituzionale delle citate norme. Secondo i Giudici della Cassazione “il danno sopportato dal prestatore di lavoro a causa dell‟illegittima apposizione del termine al contratto è pari almeno alle retribuzioni perdute dal momento dell‟inutile offerta delle proprie prestazioni fino al momento dell‟effettiva riammissione in servizio. Fino a questo momento, spesso futuro e incerto durante lo svolgimento del processo e non certo neppure quando viene emessa la sentenza di condanna, il danno aumenta col decorso del tempo ed appare di dimensioni anch‟esse non esattamente prevedibili”. I giudici di legittimità hanno precisato altresì che l‟indennità prevista dall‟art. 32 non può essere paragonata a quella prevista dall‟art. 8 L. 15.07.1966 n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), perché il diritto all‟indennità esclude il diritto al mantenimento del rapporto; di conseguenza, la norma non è riferibile al risarcimento di un danno che deriva dall‟attuazione di un rapporto di durata – il cui ammontare aumenta con il trascorrere del tempo. Peraltro nell‟ordinanza si legge che un‟indennità non proporzionata rispetto all‟ammontare del danno può indurre il datore di lavoro a persistere nell‟inadempimento (prolungando il processo oppure sottraendosi all‟esecuzione della sentenza di condanna). Pertanto, a parere della Suprema Corte “risulta vanificato il diritto del cittadino al lavoro (art. 4 Cost.) e nuoce all‟effettività della tutela giurisdizionale, con danno che aumenta con la durata del processo, in contrasto con il principio affermato da qualsiasi secolare dottrina processualista, oggi espresso dagli artt. 24 e 111, secondo comma, cost., e che esige l‟esatta, per quanto materialmente possibile, DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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corrispondenza tra la perdita conseguita alla lesione del diritto soggettivo ed il rimedio ottenibile in sede giudiziale”. E‟ stato inoltre rilevato che, il contrasto delle disposizioni legislative in questione con il diritto del cittadino al lavoro, di cui all'art. 4 Cost., emerga con solare evidenza anche in virtù della mancata aderenza di esse alla giurisprudenza comunitaria. La Suprema Corte ha infine concluso, escludendo che la limitazione dell‟indennità a dodici mesi prevista nella controversia esaminata, possa “trovare giustificazione nel fine, perseguito dal Legislatore, di evitare la perdita patrimoniale che deriverebbe all'impresa dal risarcimento di danni di notevole entità a numerosi lavoratori”. 4. Effettività della tutela giurisdizionale in materia di appalti pubblici alla luce della direttiva ricorsi. Il decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 12 aprile 2010, n. 84) attuativo della Direttiva 2007/66/CE modificativa delle Direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, riguarda il miglioramento della efficacia delle procedure concernenti il ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici. Occorre, quindi, fermare l‟accento sul ruolo che l‟ultima direttiva ricorsi riconosce al giudice chiamato a sindacare la violazione delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici. Attraverso l‟espresso richiamo ai principi di effettività della tutela garantiti dall‟art. 47 della Carta dei diritti dell‟Uomo, la direttiva assume infatti un più ampio valore interpretativo di questi ultimi, particolarmente significativo nella lettura delle norme processuali interne. In particolare, rispondendo ad un‟esigenza già rappresentata dalla Corte di Giustizia (sent. Alcatel, in C-81/98, pt. 33), la nuova direttiva mira a garantire un migliore funzionamento delle direttive (“classica” e “speciale”) in materia di appalti pubblici (2004/18 e 2004/17), rafforzando i meccanismi esistenti per assicurarne l‟effettiva applicazione, in particolare nella fase in cui le violazioni possono ancora essere sanate (cfr. considerando 3). La direttiva del 2007 si basa invero su una valutazione d‟impatto approfondita, che espone due problemi principali: la mancanza di ricorsi efficaci contro la prassi degli affidamenti diretti illegittimi di appalti pubblici e la stipula affrettata dei contratti di appalto da parte dei soggetti aggiudicatori, che privano di fatto gli operatori economici della possibilità di proporre ricorsi efficaci prima della conclusione del

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contratto33. Ne consegue che essa si concentra sull‟obbligo, imposto agli Stati membri di provvedere “affinché i provvedimenti presi in merito alle procedure di ricorso di cui all‟art. 1 (avverso le violazioni delle norme in materia di appalti pubblici) prevedano i poteri che consentono di: a) prendere con la massima sollecitudine e con procedura d‟urgenza provvedimenti provvisori intesi a riparare la violazione denunciata o impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica di un appalto o l‟esecuzione di qualsiasi decisione presa dalle autorità aggiudicatrici; b) annullare o fare annullare le decisioni illegittime, compresa la soppressione delle specifiche tecniche, economiche o finanziarie discriminatorie figuranti nei documenti di gara, nei capitolati d‟oneri o in ogni altro documento connesso con la procedura di aggiudicazione dell‟appalto in questione; c) accordare un risarcimento danni alle persone lese dalla violazione. Merita dunque in proposito sin da ora sottolineare che l‟ordinamento comunitario, nella ricerca di una tutela effettiva contro le violazioni del diritto sostanziale, sottolinea il carattere prioritario della tutela cautelare e, in ogni caso, della misura caducatoria, mentre non ritiene “efficace” una tutela di carattere meramente risarcitorio (che l‟art. 2 della direttiva pone solo al terzo posto tra le diverse forme di tutela e l‟art. 2 sexies considera espressamente inidonea a valere come sanzione alternativa alla cessazione di effetti del contratto). In quest‟ottica, gli organi europei individuano alcune condizioni minime che gli Stati membri devono osservare per impedire che gli atti assunti in violazione delle regole primarie sull‟affidamento degli appalti pubblici raggiungano comunque il loro effetto. Le principali innovazioni della nuova direttiva consistono pertanto: a) nell‟introduzione di un termine sospensivo (c.d. standstill period) minimo (di 10 giorni dalla conoscenza del contenuto illegittimo della decisione, legata ad una relazione sintetica dei motivi pertinenti che l‟hanno determinata: considerando 4 -7 e art. 2 bis) tra la decisione di aggiudicare un appalto e la conclusione del contratto, in modo da offrire a chiunque ritenga di aver subito un pregiudizio di valutare (cognita causa) l‟opportunità di presentare ricorso; la deroga alla sospensione è ammessa soltanto quando il termine sospensivo sia palesemente inutile (es. del concorrente unico), ovvero nei casi di urgenza estrema non imputabile alle stazioni appaltanti o infine nei cfr. parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva, COM (2006) 195 def. INT/318, pt. 2.2 e considerando 4 della direttiva. 33

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casi di contratti basati su un accordo quadro o su un sistema dinamico di acquisizione, ma in quest‟ultimo caso, quando l‟appalto è pari o superiore alle soglie di rilevanza comunitaria, gli Stati membri devono assicurare che il contratto resti privo di effetti quando siano state violate le disposizioni più specificamente dirette a garantire un effettivo confronto concorrenziale (considerando 8 e 9 e art. 2 ter); b) nell‟introduzione di un ulteriore termine sospensivo per la stipula del contratto, operante tra la proposizione di un ricorso e la decisione (cautelare o sul merito) da parte dell‟organo indipendente chiamato a pronunciarsi su di esso (considerando 12 e art. 2 co. 3); c) nell‟invito a rafforzare la tutela efficace per incoraggiare ad utilizzare la procedura d‟urgenza prima della conclusione del contratto (considerando 28); d) nella prescrizione che il contratto eventualmente già stipulato prima della decisione di annullamento dell‟aggiudicazione si deve considerare privo di effetti se il soggetto aggiudicatore ha aggiudicato un appalto in via diretta fuori dei casi consentiti dalle direttive 17 e 18, ovvero non ha rispettato il termine sospensivo minimo, qualora tale violazione abbia impedito l‟offerente di avvalersi di mezzi di ricorso efficaci prima della stipula del contratto quando tale violazione si aggiunge ad una violazione delle direttive 17 e 18 che abbia influito sulle opportunità del medesimo offerente di ottenere l‟appalto o ancora quando il termine sospensivo sia stato derogato per appalti basati su un accordo quadro o su un sistema dinamico di acquisizione (considerando 13, 14 e 18 e artt. 2, co. 7 e 2 quinquies); la regola dell‟inefficacia del contratto nelle suddette ipotesi più gravi di violazione delle norme sostanziali ha valenza assoluta e generale e può essere derogata, in via eccezionale, soltanto dall‟organo indipendente di ricorso quando quest‟ultimo, dopo aver esaminato tutti gli aspetti pertinenti, rileva che il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale (che possono essere rappresentate da interessi economici soltanto se, in circostanze eccezionali, la privazione di effetti conduce a conseguenze sproporzionate e comunque mai per interessi economici legati al contratto in questione) impone che, in quella particolare fattispecie, gli effetti del contratto siano mantenuti (considerando 22-24 e art. 2 quinquies), fermo peraltro l‟obbligo di prevedere l‟applicazione di sanzioni alternative (anche pecuniarie) a carico della stazione appaltante, in nessun caso identificabili col mero risarcimento del danno (considerando 19 e 21 e art. 2 sexies); si segnala quindi che la deroga deve essere giustificata di volta in volta dal giudice per interessi evidentemente primari rispetto a quello alla tutela della concorrenza e non può essere in ogni caso stabilita in via DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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preventiva e generalizzata dagli ordinamenti nazionali sulla base di scelte delle stesse amministrazioni e che in ogni caso la stazione appaltante che abbia illegittimamente stipulato il contratto in violazione delle sopra richiamate disposizioni deve essere assoggettata a sanzioni diverse e ulteriori rispetto al mero risarcimento del danno (che tanto meno può essere quindi circoscritto entro un tetto legislativamente prefissato); e) nell‟affermazione della necessità di termini di prescrizione e di decadenza per garantire la certezza giuridica (considerando 25 e 27 e art. 2 septies), in una con la previsione di termini minimi per proporre ricorso, diversi per i ricorsi sugli atti che non incidono sul contratto (dieci o quindici dalla conoscenza del contenuto illegittimo dell‟atto: art 2 quater) e per i ricorsi diretti a far venir meno gli effetti del contratto (trenta giorni dalla comunicazione motivata dell‟aggiudicazione o, in difetto, sei mesi dalla stipula di quest‟ultimo: art. 2 septies); si segnala peraltro che il Comitato economico e sociale nel richiamato parere sulla proposta di direttiva ha evidenziato l‟esigenza che i legislatori nazionali tengano conto del problema della possibile notevole distonia tra giorni civili e giorni lavorativi, che in taluni casi può tradursi in una riduzione eccessiva dei termini a difesa: il discorso vale all‟evidenza anche per i termini – già allo stato estremamente ridotti – per il deposito dei documenti e delle memorie difensive, che dovrebbero essere quindi riconsiderati anche alla stregua di un giusto criterio di proporzionalità34, che tenga anche conto della esigenza di rappresentare compiutamente all‟organo giudicante la situazione in fatto e in diritto in cui si inserisce la controversia; f) la previsione della possibilità di subordinare il risarcimento del danno al previo annullamento dell‟aggiudicazione (artt. 6 e 7, co. 2. Oltre a confermare il netto favor dell‟ordinamento comunitario verso una tutela di tipo sostanziale (che impone addirittura come si è visto in alcuni casi una sorta di tutela cautelare automatica, attraverso la preclusione alla stipula del contratto nelle more della decisione di merito o della decisione cautelare definitiva sul ricorso eventualmente proposto avverso l‟aggiudicazione), la direttiva Basti pensare alle oggettive difficoltà difensive della parte resistente – peraltro in genere aggravata dalla istituzionale complessità della struttura – che (come ormai sempre più frequentemente accade) riceva un ricorso a mezzo fax il venerdì sera con la camera di consiglio fissata per il giovedì successivo (sempre che il ricorrente non abbia ottenuto un‟ulteriore abbreviazione dei termini per la discussione il martedì o il mercoledì): considerata la necessità di far pervenire al collegio le difese e i documenti almeno 24 ore prima, i termini a difesa (nei quali va compresa la raccolta dei documenti, l‟individuazione del legale e l‟illustrazione al medesimo della vicenda) ne risultano gravemente ridotti (senza abbreviazioni, meno di due giorni lavorativi), con evidente e sproporzionato pregiudizio per una tutela effettiva e per una piena cognizione dei termini della controversia da parte dell‟organo giudicante (che spesso non è a sua volta posto nelle concrete condizioni di esaminare in tempo adeguato l‟intero fascicolo). 34

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afferma quindi alcuni principi di estrema rilevanza, quali la possibilità di bilanciamento degli interessi ai fini della cautela, la correlazione della decorrenza del termine di impugnazione alla conoscenza della motivazione del provvedimento (profilo di fondamentale rilievo anche per la proposizione dei motivi aggiunti e del ricorso incidentale, che, merita sottolineare, per imprescindibili esigenze di effettività della tutela e di parità delle armi non possono seguire regole diverse da quelle del ricorso principale), la coerenza e l‟opportunità di prevedere termini brevi (purché comunque ragionevoli e proporzionati ad un adeguato esercizio del diritto di difesa) di decadenza in ossequio ai principi di certezza del diritto (ciò che fa cadere un ulteriore argomento della tesi contraria alla pregiudiziale di annullamento) 35. La compatibilità di questi ultimi termini con il principio di effettività della tutela affermato dalle direttive ricorsi era stata del resto ripetutamente e costantemente affermata dalla Corte di Giustizia, che vi ha anzi – correttamente – rinvenuto un importante strumento di garanzia della certezza del diritto e dell‟efficacia del ricorso (come del resto espressamente confermano il terzo considerando e l‟art. 1 nn. 1 e 3 della direttiva 89/665), rilevando che “la completezza dell‟obiettivo perseguito dalla direttiva 89/665 sarebbe compromessa se ai candidati offerenti fosse consentito far valere in qualsiasi momento del procedimento di aggiudicazione infrazioni alle regole di aggiudicazione obbligando quindi l‟Amministrazione aggiudicatrice a ricominciare l‟intero procedimento al fine di correggere tali infrazioni. Occorre poi considerare che la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza risponde, in linea di principio, all‟esigenza di effettività derivante dalla dir. 89/665, in quanto costituisce applicazione del fondamentale principio della certezza del diritto (omissis) D‟altro canto non sussiste alcun dubbio sul fatto che sanzioni come la decadenza sono idonee a garantire che le decisioni illegittime delle Amministrazioni aggiudicatici, dal momento in cui sono note agli interessati, vengano denunciate e rettificate il più presto possibile, anche conformemente sia agli obiettivi perseguiti dalla dir. 89/665 sia al principio di certezza del diritto”, per concludere nel senso che “la direttiva 89/665 non osta ad una normativa nazionale la quale prevede che qualsiasi ricorso avverso una decisione di una Amministrazione aggiudicatrice vada proposto nel termine all‟uopo previsto e che qualsiasi irregolarità del procedimento di aggiudicazione invocata a sostegno di tale ricorso vada sollevata nel medesimo termine a pena di a condizione che il termine in parola sia ragionevole.” (sent. 12 dicembre 2002, in C-470/99, Universale-Bau e aa., punti 75-79, sviluppando gli argomenti già emersi nella sentenza 14 dicembre 1995, in C-312/93, Peterbroeck, punto 12 e giurisprudenza ivi richiamata). Detti principi sono stati espressamente richiamati, confermati ed elaborati in riferimento ai surrichiamati termini di decadenza previsti dal nostro ordinamento nazionale dalla sentenza 27 febbraio 2003, in C-327/00, Santex (punti 50 ss.), legittimando in tal modo l‟orientamento giurisprudenziale dei nostri giudici amministrativi che afferma la decorrenza dei termini di impugnazione delle clausole ostative alla partecipazione alla gara dalla data di pubblicazione del bando (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1 del 2003), con l‟unica precisazione che, ai fini di una corretta applicazione del principio di effettività della tutela, il predetto termine di decadenza non può iniziare a decorrere “nel caso in cui la stessa autorità aggiudicatrice, con il suo comportamento, ha creato uno stato di incertezza in ordine all‟interpretazione da dare a tale clausola e che questa incertezza è stata dissipata solo con l‟adozione della decisione di esclusione” (punto 58), concludendo di conseguenza nel senso che “la direttiva deve essere interpretata nel senso che essa – una volta accertato che un‟Autorità aggiudicatrice con il suo comportamento,ha reso impossibile o eccessivamente difficile l‟esercizio dei diritti conferiti dall‟Ordinamento giuridico comunitario ad un cittadino dell‟Unione leso da una decisione di tale Autorità – impone ai Giudici nazionali competenti l‟obbligo di dichiarare irricevibili i motivi di diritto basati sull‟incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di una impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità” (punto 66). Il principio è stato recentemente ribadito nelle conclusioni presentate dall‟Avvocato Generale Sharpston il 7 giugno 2007, in C-241/06, contro la Libera città anseatica di Brema (Germania), 35

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In definitiva, con la direttiva 2007/66/CE il legislatore comunitario ha inteso porre rimedio ad una serie di lacune emerse a seguito della applicazione delle norme processuali in materia di appalti pubblici, coordinate a livello europeo dalle precedenti direttive 89/665/CE, 92/13/CE, 2004/17/CE e 2004/18/CE. In attuazione di tale direttiva, il decreto legislativo n. 53/2010 apporta sostanziali modifiche al Codice dei contratti pubblici introducendo i due periodi dilatori (obbligatori) per la stipula del contratto previsti dalla Direttiva, oltre alle sanzioni previste dal legislatore comunitario per il caso di violazione dei termini dilatori. Il decreto legislativo anzitutto modifica l‟art. 11, co. 10, del Codice ampliando il “periodo di sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione del contratto”, ivi già previsto, da trenta a trentacinque giorni, che decorrono dalla comunicazione dell‟aggiudicazione definitiva, nel quale il contratto non può comunque essere stipulato. L‟amministrazione non è però tenuta a rispettare tale termine nel caso in cui, a fronte di una procedura ad evidenza pubblica regolarmente bandita, sia stata presentata od ammessa la sola offerta risultata poi aggiudicataria e non siano state proposte impugnazioni avverso il bando o la lettera di invito, ovvero nell'ipotesi in cui le impugnazioni proposte siano già state definitivamente rigettate, ovvero ancora nel caso di un appalto basato su un accordo quadro di cui all'articolo 59 e in caso di appalti specifici basati su un sistema dinamico di acquisizione di cui all'articolo 60 del Codice. La nuova disciplina in linea generale non ammette più la conclusione anticipata del contratto in presenza di particolari ragioni di urgenza, essendo anzi stabilito espressamente che l‟Amministrazione non possa eseguire il contratto in via d‟urgenza nel corso dei periodi di stand-still. Tuttavia nell'ultimo capoverso del comma 9 dell‟art. 11, è previsto, con previsione di dubbia compatibilità comunitaria, che l‟esecuzione in via d‟urgenza sia comunque consentita, oltre che nel caso in cui la normativa non prevede la pubblicazione del bando di

ricavandone la regola secondo cui contrasta con la direttiva ricorsi (e dev‟essere quindi disapplicato dal giudice nazionale) il termine di decadenza dall‟impugnazione di una procedura che abbia erroneamente escluso una gara d‟appalto dall‟ambito di applicazione della tutela comunitaria “se le informazioni fornite nel bando o nel capitolato d‟oneri non sono sufficienti per consentire a un offerente ragionevolmente informato e normalmente diligente di rilevare che non era stata seguita la procedura corretta” (punto 81). Nelle medesime conclusioni, facendo esplicito richiamo alla sentenza Grossmann Air Service 12 febbraio 2004, in C-230/02, l‟Avvocato Generale ha peraltro concluso che, in linea generale, e salve le deroghe, di rigida interpretazione, sopra enunciate, “un termine per impugnare decisioni adottate nell‟ambito di una gara d‟appalto è compatibile con il principio di effettività, nonché con le esigenze di rapidità e di certezza del diritto, anche qualora l‟omessa contestazione entro i termini di un‟irregolarità privi un‟offerente della tutela della procedura di ricorso garantita dalla direttiva 89/665” (punto 61).

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gara, anche nel caso in cui la mancata esecuzione immediata del contratto determinerebbe un grave danno all'interesse pubblico. Risulta poi modificata secondo quanto richiesto dalla normativa comunitaria la disposizione del Codice dei contratti relativa all‟obbligo dell‟amministrazione appaltante di comunicare ai partecipanti l‟aggiudicazione; infatti, in base al nuovo testo dell‟art. 79, le amministrazioni dovranno allegare alla comunicazione, da inviare entro cinque giorni ai concorrenti, il provvedimento di aggiudicazione definitiva e le relative motivazioni. Il legislatore delegato ha inoltre previsto l‟obbligo di informare i concorrenti di cui al comma 5, lett. a, della avvenuta stipulazione del contratto mediante una ulteriore specifica comunicazione, che è funzionale alla verifica da parte degli interessati del rispetto dei periodi di stand-still da parte dell‟amministrazione. Con l'art. 11, comma 10 ter, viene inoltre introdotto un del tutto nuovo secondo periodo di stand-still prevedendosi che “se è proposto ricorso avverso l'aggiudicazione definitiva con contestuale domanda cautelare, il contratto non può essere stipulato, dal momento della notificazione dell'istanza cautelare alla stazione appaltante e per i successivi venti giorni a condizione che entro tale termine, intervenga almeno il provvedimento cautelare collegiale di primo grado, ovvero fino alla pubblicazione del dispositivo della sentenza di primo grado in caso di decisione del merito all'udienza cautelare; ovvero fino alla pronuncia di detti provvedimenti se successiva”. Per fruire di tale sospensione il ricorrente deve notificare il ricorso sempre presso la sede reale dell'amministrazione, oltre che, se previsto, all'Avvocatura dello Stato. Dal complesso delle disposizioni in fieri, risulta dunque che il termine di 30 giorni per impugnare l‟aggiudicazione definitiva decorra dalla comunicazione della stessa ai sensi del novellato art. 79, ferma restando la facoltà del concorrente di proporre successivamente motivi aggiunti in relazione a nuovi atti o documenti conosciuti a seguito dell'accesso. Il che significa che prima della proposizione del ricorso non è consentita la stipula del contratto, dato che il periodo a disposizione per l‟impugnativa (30 giorni) è più breve del primo periodo di stand-still (35 giorni). Ne consegue, quindi, che in caso di impugnativa giudiziale, al primo periodo di sospensione obbligatoria segue, senza soluzione di continuità, il secondo; con il che la proposizione del ricorso accompagnata dalla richiesta di misura cautelare determina sostanzialmente la sospensione automatica del provvedimento ancorché provvisoria. Va peraltro ricordato che, al fine di evitare che la stipulazione del contratto sia rimandata troppo a lungo con eccessivo sacrificio dell‟interesse pubblico alla esecuzione DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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dei lavori o del servizio oggetto dell‟appalto, il legislatore delegato ha introdotto una serie di disposizioni volte a velocizzare ulteriormente la procedura e quindi a rendere per così dire specialissimo il già speciale rito. Come si è detto in apertura, il legislatore inoltre rafforza l'istituto del periodo di stand-still soprattutto attraverso la previsione di un adeguato impianto sanzionatorio a presidio della sua osservanza; difatti la stipula del contratto nei periodi di sospensione obbligatoria può comportare l'inefficacia del contratto ovvero la irrogazione di sanzioni alternative. La inefficacia del contratto è dichiarata dal giudice amministrativo in aggiunta all'annullamento del provvedimento di aggiudicazione definitiva in alcuni casi tra cui quello in cui il contratto sia stato stipulato durante uno dei due periodi di sospensione obbligatoria laddove, in ragione della natura del vizio del provvedimento accertato, emerga che il ricorrente avrebbe avuto la possibilità di ottenere l'affidamento (v. art. 245 bis). Inoltre, verificandosi tale fattispecie, il giudice deve stabilire se la declaratoria di inefficacia sia limitata alle prestazioni ancora da eseguire alla data di pubblicazione del dispositivo (ex nunc) ovvero operi in via retroattiva (ex tunc); ciò sulla base delle deduzioni delle parti, della gravità della condotta della stazione appaltante e della situazione di fatto. Tuttavia il giudice non dispone l'inefficacia del contratto allorquando “il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale imponga che i suoi effetti siano mantenuti”. Pertanto la violazione delle clausole di stand-still di per sé non comporta mai la inefficacia del contratto o la invalidità dell'aggiudicazione. Tale grave conseguenza si ha, infatti, solo quando la procedura di gara sia affetta da vizi propri che hanno inciso sulla possibilità del ricorrente di ottenere l'affidamento dell'appalto. Il nuovo art. 245quater, infine, individua i casi in cui, pur in presenza di violazioni gravi, il contratto è mantenuto in essere con applicazione però di sanzioni alternative a carico della stazione appaltante consistenti in una sanzione pecuniaria oscillante tra lo 0,5 per cento e il 5 per cento del valore del contratto ovvero in una riduzione della durata del contratto da un minimo del dieci per cento ad un massimo del cinquanta per cento della durata residua. Tali sanzioni trovano applicazione nei casi di cui all'art. 245bis, co. 4, e cioè quando il giudice, pur ravvisando una delle ipotesi di gravi violazioni di cui al primo comma dello stesso art. 245bis, abbia fatto applicazione del secondo comma ovvero della possibilità di limitare temporalmente la declaratoria di inefficacia. Infine l'art. 245quater, al terzo comma dispone che “Il giudice applica le sanzioni di cui al comma 1 anche qualora il contratto è stato stipulato senza rispettare DUit – Diritti Umani in Italia www.duitbase.it

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il termine dilatorio stabilito per la stipulazione del contratto, ovvero è stato stipulato senza rispettare la sospensione della stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l'aggiudicazione definitiva, quando la violazione non abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e non abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l'affidamento”. In definitiva, il sistema di tutela di cui dispongono gli operatori economici in materia di appalti non si configura affatto come un hortus conclusus, ma bensì è permeato dai principi elaborati in generale dall‟Unione Europea per la tutela delle situazioni soggettive dei singoli che hanno fondamento proprio nel principio di effettività della tutela. Dott. Luigi Serino

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Notizie sull‟autore Laureato in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Napoli "Federico II", ha successivamente partecipato al Corso di Specializzazione nella professione legale internazionale ed europea "Carlo Sforza" nel 2009. Ha conseguito, poi, il Diploma di Scuola di Specializzazione per le professioni legali sempre presso l'Università degli studi di Napoli "Federico II". Collabora tutt'ora con lo studio legale dell'avv. Giovanni Romano. E' responsabile della sezione tutela della proprietà e libertà d'informazione del database Cedu italiano in Diritti Umani in Italia. E- mail luigiserino@inwind.it

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Licenza Creative Commons Attribuzione – Non Commerciale – Non Opere Derivate L‟OPERA (COME SOTTO DEFINITA) È MESSA A DISPOSIZIONE SULLA BASE DEI TERMINI DELLA PRESENTE LICENZA “CREATIVE COMMONS PUBLIC LICENCE” ("CCPL" O "LICENZA"). L‟OPERA È PROTETTA DAL DIRITTO D‟AUTORE E/O DALLE ALTRE LEGGI APPLICABILI. OGNI UTILIZZAZIONE DELL‟OPERA CHE NON SIA AUTORIZZATA AI SENSI DELLA PRESENTE LICENZA O DEL DIRITTO D‟AUTORE È PROIBITA. CON IL SEMPLICE ESERCIZIO SULL‟OPERA DI UNO QUALUNQUE DEI DIRITTI QUI DI SEGUITO ELENCATI, TU ACCETTI E TI OBBLIGHI A RISPETTARE INTEGRALMENTE I TERMINI DELLA PRESENTE LICENZA AI SENSI DEL PUNTO 8.e. IL LICENZIANTE CONCEDE A TE I DIRITTI QUI DI SEGUITO ELENCATI A CONDIZIONE CHE TU ACCETTI DI RISPETTARE I TERMINI E LE CONDIZIONI DI CUI ALLA PRESENTE LICENZA. 1. Definizioni. Ai fini e per gli effetti della presente licenza, si intende per "Collezione di Opere", un‟opera, come un numero di un periodico, un‟antologia o un‟enciclopedia, nella quale l‟Opera nella sua interezza e forma originale, unitamente ad altri contributi costituenti loro stessi opere distinte ed autonome, sono raccolti in un‟unità collettiva. Un‟opera che costituisce Collezione di Opere non verrà considerata Opera Derivata (come sotto definita) ai fini della presente Licenza; "Opera Derivata", un‟opera basata sull‟Opera ovvero sull‟Opera insieme con altre opere preesistenti, come una traduzione, un arrangiamento musicale, un adattamento teatrale, narrativo, cinematografico, una registrazione di suoni, una riproduzione d‟arte, un digesto, una sintesi, o ogni altra forma in cui l‟Opera possa essere riproposta, trasformata o adattata. Nel caso in cui un‟Opera tra quelle qui descritte costituisca già Collezione di Opere, essa non sarà considerata Opera Derivata ai fini della presente Licenza. Al fine di evitare dubbi è inteso che, quando l‟Opera sia una composizione musicale o registrazione di suoni, la sincronizzazione dell‟Opera in relazione con un‟immagine in movimento (“synching”) sarà considerata Opera Derivata ai fini di questa Licenza; "Licenziante", l‟individuo o l‟ente che offre l‟Opera secondo i termini e le condizioni della presente Licenza; "Autore Originario", il soggetto che ha creato l‟Opera; "Opera", l‟opera dell‟ingegno suscettibile di protezione in forza delle leggi sul diritto d‟autore, la cui utilizzazione è offerta nel rispetto dei termini della presente Licenza; "Tu"/"Te", l'individuo o l‟ente che esercita i diritti derivanti dalla presente Licenza e che non abbia precedentemente violato i termini della presente Licenza relativi all‟Opera, o che, nonostante una precedente violazione degli stessi, abbia ricevuto espressa autorizzazione dal Licenziante all‟esercizio dei diritti derivanti dalla presente Licenza. 2. Libere utilizzazioni. La presente Licenza non intende in alcun modo ridurre, limitare o restringere alcun diritto di libera utilizzazione o l‟operare della regola dell‟esaurimento del diritto o altre limitazioni dei diritti esclusivi sull‟Opera derivanti dalla legge sul diritto d‟autore o da altre leggi applicabili. 3. Concessione della Licenza. Nel rispetto dei termini e delle condizioni contenute nella presente Licenza, il Licenziante concede a Te una licenza per tutto il mondo, gratuita, non esclusiva e perpetua (per la durata del diritto d‟autore applicabile) che autorizza ad esercitare i diritti sull‟Opera qui di seguito elencati: riproduzione dell‟Opera, incorporazione dell‟Opera in una o più Collezioni di Opere e riproduzione dell‟Opera come incorporata nelle Collezioni di Opere; distribuzione di copie dell‟Opera o di supporti fonografici su cui l‟Opera è registrata, comunicazione al pubblico, rappresentazione, esecuzione, recitazione o esposizione in pubblico, ivi inclusa la trasmissione audio digitale dell‟Opera, e ciò anche quando l‟Opera sia incorporata in Collezioni di Opere; I diritti sopra descritti potranno essere esercitati con ogni mezzo di comunicazione e in tutti i formati. Tra i diritti di cui sopra si intende compreso il diritto di apportare all‟Opera le modifiche che si rendessero tecnicamente necessarie per l‟esercizio di detti diritti tramite altri mezzi di comunicazione o su altri formati, ma a parte questo non hai diritto di realizzare Opere Derivate. Tutti i diritti non espressamente concessi dal Licenziante rimangono riservati, ivi inclusi quelli di cui ai punti 4(d) e (e). 4. Restrizioni. La Licenza concessa in conformità al precedente punto 3 è espressamente assoggettata a, e limitata da, le seguenti restrizioni Tu puoi distribuire, comunicare al pubblico, rappresentare, eseguire, recitare o esporre in pubblico l‟Opera, anche in forma digitale, solo assicurando che i termini di cui alla presente Licenza siano rispettati e, insieme ad ogni copia dell‟Opera (o supporto fonografico su cui è registrata l‟Opera) che distribuisci, comunichi al pubblico o rappresenti, esegui, reciti o esponi in pubblico, anche in forma digitale, devi includere una copia della presente Licenza o il suo Uniform Resource Identifier. Non puoi proporre o imporre alcuna condizione relativa all‟Opera che alteri o restringa i termini della presente Licenza o l‟esercizio da parte del beneficiario dei diritti qui concessi. Non puoi concedere l‟Opera in sublicenza. Devi mantenere intatte tutte le informative che si riferiscono alla presente Licenza ed all‟esclusione delle garanzie. Non puoi distribuire, comunicare al pubblico, rappresentare, eseguire, recitare o esporre in pubblico l‟Opera, neanche in forma digitale, usando misure tecnologiche miranti a controllare l‟accesso all‟Opera ovvero l‟uso dell‟Opera, in maniera incompatibile con i termini della

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presente Licenza. Quanto sopra si applica all‟Opera anche quando questa faccia parte di una Collezione di Opere, anche se ciò non comporta che la Collezione di Opere di per sé ed indipendentemente dall‟Opera stessa debba essere soggetta ai termini ed alle condizioni della presente Licenza. Qualora Tu crei una Collezione di Opere, su richiesta di qualsiasi Licenziante, devi rimuovere dalla Collezione di Opere stessa, ove materialmente possibile, ogni riferimento in accordo con quanto previsto dalla clausola 4.c, come da richiesta. Tu non puoi esercitare alcuno dei diritti a Te concessi al precedente punto 3 in una maniera tale che sia prevalentemente intesa o diretta al perseguimento di un vantaggio commerciale o di un compenso monetario privato. Lo scambio dell‟Opera con altre opere protette dal diritto d‟autore, per mezzo della condivisione di file digitali (c.d. filesharing) o altrimenti, non è considerato inteso o diretto a perseguire un vantaggio commerciale o un compenso monetario privato, a patto che non ci sia alcun pagamento di alcun compenso monetario in connessione allo scambio di opere coperte da diritto d‟autore. Qualora Tu distribuisca, comunichi al pubblico, rappresenti, esegua, reciti o esponga in pubblico, anche in forma digitale, l‟Opera, devi mantenere intatte tutte le informative sul diritto d‟autore sull‟Opera. Devi riconoscere una menzione adeguata rispetto al mezzo di comunicazione o supporto che utilizzi: (i) all'Autore Originale (citando il suo nome o lo pseudonimo, se del caso), ove fornito; e/o (ii) alle terze parti designate, se l'Autore Originale e/o il Licenziante hanno designato una o più terze parti (ad esempio, una istituzione finanziatrice, un ente editoriale) per l'attribuzione nell'informativa sul diritto d'autore del Licenziante o nei termini di servizio o con altri mezzi ragionevoli; il titolo dell‟Opera, ove fornito; nella misura in cui sia ragionevolmente possibile, l‟Uniform Resource Identifier, che il Licenziante specifichi dover essere associato con l‟Opera, salvo che tale URI non faccia alcun riferimento alla informazione di protezione di diritto d‟autore o non dia informazioni sulla licenza dell‟Opera. Tale menzione deve essere realizzata in qualsiasi maniera ragionevole possibile; in ogni caso, in ipotesi di Collezione di Opere, tale menzione deve quantomeno essere posta nel medesimo punto dove viene indicato il nome di altri autori di rilevanza paragonabile e con lo stesso risalto concesso alla menzione di altri autori di rilevanza paragonabile. Al fine di evitare dubbi è inteso che, se l‟Opera sia di tipo musicale Compensi per la comunicazione al pubblico o la rappresentazione o esecuzione di opere incluse in repertori. Il Licenziante si riserva il diritto esclusivo di riscuotere compensi, personalmente o per il tramite di un ente di gestione collettiva (ad es. SIAE), per la comunicazione al pubblico o la rappresentazione o esecuzione, anche in forma digitale (ad es. tramite webcast) dell‟Opera, se tale utilizzazione sia prevalentemente intesa o diretta a perseguire un vantaggio commerciale o un compenso monetario privato. Compensi per versioni cover. Il Licenziante si riserva il diritto esclusivo di riscuotere compensi, personalmente o per il tramite di un ente di gestione collettiva (ad es. SIAE), per ogni disco che Tu crei e distribuisci a partire dall‟Opera (versione cover), nel caso in cui la Tua distribuzione di detta versione cover sia prevalentemente intesa o diretta a perseguire un vantaggio commerciale o un compenso monetario privato. Compensi per la comunicazione al pubblico dell‟Opera mediante fonogrammi. Al fine di evitare dubbi, è inteso che se l‟Opera è una registrazione di suoni, il Licenziante si riserva il diritto esclusivo di riscuotere compensi, personalmente o per il tramite di un ente di gestione collettiva (ad es. IMAIE), per la comunicazione al pubblico dell‟Opera, anche in forma digitale, nel caso in cui la Tua comunicazione al pubblico sia prevalentemente intesa o diretta a perseguire un vantaggio commerciale o un compenso monetario privato. Altri compensi previsti dalla legge italiana. Al fine di evitare dubbi, è inteso che il Licenziante si riserva il diritto esclusivo di riscuotere i compensi a lui attribuiti dalla legge italiana sul diritto d‟autore (ad es. per l‟inserimento dell‟Opera in un‟antologia ad uso scolastico ex art. 70 l. 633/1941), personalmente o per tramite di un ente di gestione collettiva (ad es. SIAE, IMAIE), se l‟utilizzazione dell‟Opera sia prevalentemente intesa o diretta a perseguire un vantaggio commerciale o un compenso monetario privato. Al Licenziante spettano in ogni caso i compensi irrinunciabili a lui attribuiti dalla medesima legge (ad es. l‟equo compenso spettante all‟autore di opere musicali, cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento nel caso di noleggio ai sensi dell‟art. 18-bis l. 633/1941). 5. Dichiarazioni, Garanzie ed Esonero da responsabilità SALVO CHE SIA ESPRESSAMENTE CONVENUTO ALTRIMENTI PER ISCRITTO FRA LE PARTI, IL LICENZIANTE OFFRE L‟OPERA IN LICENZA “COSI‟ COM‟E‟” E NON FORNISCE ALCUNA DICHIARAZIONE O GARANZIA DI QUALSIASI TIPO CON RIGUARDO ALL‟OPERA, SIA ESSA ESPRESSA OD IMPLICITA, DI FONTE LEGALE O DI ALTRO TIPO, ESSENDO QUINDI ESCLUSE, FRA LE ALTRE, LE GARANZIE RELATIVE AL TITOLO, ALLA COMMERCIABILITÀ, ALL‟IDONEITÀ PER UN FINE SPECIFICO E ALLA NON VIOLAZIONE DI DIRITTI DI TERZI O ALLA MANCANZA DI DIFETTI LATENTI O DI ALTRO TIPO, ALL‟ESATTEZZA OD ALLA PRESENZA DI ERRORI, SIANO ESSI ACCERTABILI O MENO. ALCUNE GIURISDIZIONI NON CONSENTONO L‟ESCLUSIONE DI GARANZIE IMPLICITE E QUINDI TALE ESCLUSIONE PUÒ NON APPLICARSI A TE. 6. Limitazione di Responsabilità. SALVI I LIMITI STABILITI DALLA LEGGE APPLICABILE, IL LICENZIANTE NON SARÀ IN ALCUN CASO RESPONSABILE NEI TUOI CONFRONTI A QUALUNQUE TITOLO PER ALCUN TIPO DI DANNO, SIA ESSO SPECIALE, INCIDENTALE, CONSEQUENZIALE, PUNITIVO OD ESEMPLARE, DERIVANTE DALLA PRESENTE LICENZA O DALL‟USO DELL‟OPERA, ANCHE NEL CASO IN CUI IL LICENZIANTE SIA STATO EDOTTO SULLA POSSIBILITÀ DI TALI DANNI. NESSUNA CLAUSOLA DI QUESTA LICENZA ESCLUDE O LIMITA LA RESPONSABILITA‟ NEL CASO IN CUI QUESTA DIPENDA DA DOLO O COLPA GRAVE. 7. Risoluzione

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La presente Licenza si intenderà risolta di diritto e i diritti con essa concessi cesseranno automaticamente, senza necessità di alcuna comunicazione in tal senso da parte del Licenziante, in caso di qualsivoglia inadempimento dei termini della presente Licenza da parte Tua, ed in particolare delle disposizioni di cui ai punti 4.a, 4.b e 4.c, essendo la presente Licenza condizionata risolutivamente al verificarsi di tali inadempimenti. In ogni caso, la risoluzione della presente Licenza non pregiudicherà i diritti acquistati da individui o enti che abbiano acquistato da Te Collezioni di Opere, ai sensi della presente Licenza, a condizione che tali individui o enti continuino a rispettare integralmente le licenze di cui sono parte. Le sezioni 1, 2, 5, 6, 7 e 8 rimangono valide in presenza di qualsiasi risoluzione della presente Licenza. Sempre che vengano rispettati i termini e le condizioni di cui sopra, la presente Licenza è perpetua (e concessa per tutta la durata del diritto d‟autore sull‟Opera applicabile). Nonostante ciò, il Licenziante si riserva il diritto di rilasciare l‟Opera sulla base dei termini di una differente licenza o di cessare la distribuzione dell‟Opera in qualsiasi momento; fermo restando che, in ogni caso, tali decisioni non comporteranno recesso dalla presente Licenza (o da qualsiasi altra licenza che sia stata concessa, o che sia richiesto che venga concessa, ai termini della presente Licenza), e la presente Licenza continuerà ad avere piena efficacia, salvo che vi sia risoluzione come sopra indicato. 8. Varie Ogni volta che Tu distribuisci, o rappresenti, esegui o reciti pubblicamente in forma digitale l‟Opera o una Collezione di Opere, il Licenziante offre al destinatario una licenza per l‟Opera nei medesimi termini e condizioni che a Te sono stati concessi dalla presente Licenza. L‟invalidità o l‟inefficacia, secondo la legge applicabile, di una o più fra le disposizioni della presente Licenza, non comporterà l‟invalidità o l‟inefficacia dei restanti termini e, senza bisogno di ulteriori azioni delle parti, le disposizioni invalide o inefficaci saranno da intendersi rettificate nei limiti della misura che sia indispensabile per renderle valide ed efficaci. In nessun caso i termini e le disposizioni di cui alla presente Licenza possono essere considerati rinunciati, né alcuna violazione può essere considerata consentita, salvo che tale rinuncia o consenso risultino per iscritto da una dichiarazione firmata dalla parte contro cui operi tale rinuncia o consenso. La presente Licenza costituisce l‟intero accordo tra le parti relativamente all‟Opera qui data in licenza. Non esistono altre intese, accordi o dichiarazioni relative all‟Opera che non siano quelle qui specificate. Il Licenziante non sarà vincolato ad alcuna altra disposizione addizionale che possa apparire in alcuna comunicazione da Te proveniente. La presente Licenza non può essere modificata senza il mutuo consenso scritto del Licenziante e Tuo. Clausola iCommons. Questa Licenza trova applicazione nel caso in cui l‟Opera sia utilizzata in Italia. Ove questo sia il caso, si applica anche il diritto d‟autore italiano. Negli altri casi le parti si obbligano a rispettare i termini dell‟attuale Licenza Creative Commons generica che corrisponde a questa Licenza Creative Commons iCommons.

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