Bollettino Diocesano Luglio-Settembre 2018

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BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria

Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto


BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto Registrazione Tribunale di Bari n. 1272 del 26/03/1996 ANNO XCIV - N. 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2018 Redazione e amministrazione: Curia Arcivescovile Bari-Bitonto P.zza Odegitria - 70122 Bari - Tel. 080/5288211 - Fax 080/5244450 www.arcidiocesibaribitonto.it - e.mail: curia@odegitria.bari.it Direttore responsabile: Giuseppe Sferra Direttore: Gabriella Roncali Redazione: Beppe Di Cagno, Luigi Di Nardi, Angelo Latrofa, Paola Loria, Franco Mastrandrea, Bernardino Simone, Francesco Sportelli Gestione editoriale e stampa: Ecumenica Editrice scrl - 70132 Bari - Tel. 080.5797843 www.ecumenicaeditrice.it - info@ecumenicaeditrice.it


D OCUMENTI

DELLA

C HIESA USNIVERSALE OMMARIO

DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE L’incontro ecumenico di preghiera con Papa Francesco “ Su di te sia pace”. Cristiani insieme per il Medio Oriente (Bari, 7 luglio 2018) Papa Francesco e i Capi di Chiese del Medio Oriente a Bari

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Monizione introduttiva del Santo Padre all’incontro di preghiera (Rotonda sul Lungomare di Bari)

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Discorso a conclusione dell’incontro con i Patriarchi e i capi delle Chiese del Medio Oriente (Sagrato della Basilica di S. Nicola)

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MAGISTERO PONTIFICIO Lettera al Popolo di Dio

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Discorso nella Veglia di preghiera con i giovani italiani in preparazione al Sinodo dei vescovi (Roma, Circo Massimo, 11 agosto 2018)

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DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Consiglio Permanente Nomina di don Mario Diana

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Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace Messaggio per la 68a Giornata nazionale del Ringraziamento

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DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO L’assemblea-convegno diocesana del 15 settembre 2018

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO “Fede e profezia in Aldo Moro” (Bologna, 13 agosto 2018)

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CURIA METROPOLITANA Cancelleria Sacre ordinazioni e decreti

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Servizio diocesano per la Pastorale giovanile L’incontro e il cammino

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Ufficio Musica sacra-Museo Diocesano Notti sacre 2018: “Di generazione in generazione”

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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Presbiterale diocesano Verbale della riunione del 19 aprile 2018

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Consiglio Pastorale diocesano Verbale della riunione del 22 marzo 2018

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PUBBLICAZIONI

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DIARIO DELL’ARCIVESCOVO Luglio 2018 Agosto 2018 Settembre 2018

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D OCUMENTI

DELLA

C HIESA U NIVERSALE

INCONTRO ECUMENICO DI PREGHIERA PER LA PACE “Su di te sia pace”: papa Francesco e i Capi di Chiese del Medio Oriente a Bari

L’Arcidiocesi di Bari-Bitonto ha vissuto, il 7 luglio di quest’anno, un evento di Grazia che rimarrà impresso nella memoria storica non solo della nostra Chiesa locale, bensì di quella universale, travalicando persino i confini della confessionalità cattolica. Ancora una volta, ma forse mai come questa, si è reso manifesto che la custodia delle reliquie di san Nicola faccia di Bari una terra di incontro privilegiata tra le diverse confessioni cristiane, le quali si ritrovano nella Casa del Santo, sentendosi parte di una stessa famiglia.

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Questi ultimi anni le “frequentazioni familiari” si sono intensificate sia in casa (si pensi alla visita del Patriarca Ecumenico Bartolomeo il 6 dicembre 2016, il quale dichiarò, per la prima volta nella storia delle relazioni con il Patriarcato, la Traslazione delle Reliquie da Myra a Bari un “evento provvidenziale”), che all’estero (come non ricordare i milioni di pellegrini russi in coda per venerare la reliquia del Santo trasferita a Mosca e San Pietroburgo dal 21 maggio al 28 luglio 2017), creando un particolare clima ecumenico favorevole attorno alla città di Bari. Tra le questioni internazionali più rilevanti e drammatiche che toccano contemporaneamente diverse Chiese in questi ultimi anni vi è sicuramente la situazione dei cristiani del Medio Oriente. Dal 2011, ovvero dall’inizio della guerra civile in Siria, e ancor di più dopo il 2014, all’avanzata del cosiddetto Stato Islamico, la presenza cristiana in quelle terre è stata messa seriamente a rischio. Molti cristiani, indipendentemente dalle appartenenze confessionali, sono stati uccisi (si è parlato a questo proposito di “ecumenismo del martirio” o “del sangue”) e moltissimi altri sono stati costretti a fuggire, spopolando aree di cristianesimo antico di duemila anni. Questa situazione allarmante sappiamo essere stata oggetto di diversi colloqui tra Capi di Chiese, come, del resto, ci fu un summit proprio a Bari, il 29 e 30 aprile 2015, tra rappresentanti ecclesiastici (tra cui alcuni patriarchi) e politici (fra i quali anche ministri degli Esteri e ambasciatori), organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio dal tema “Christians in the Middle East: what future?”. La serietà della vicenda mediorientale, tuttavia, ha suggerito, nelle varie consultazioni private, un’ipotesi di incontro tra tutti i Capi di Chiesa, per porre all’attenzione del mondo ciò che sta accadendo nella culla geografica del cristianesimo. Quanto detto fa comprendere il retroterra del comunicato dato dalla Sala Stampa vaticana lo scorso 25 aprile: «Il prossimo 7 luglio il Santo Padre si recherà a Bari, finestra sull’Oriente che custodisce le Reliquie di San Nicola, per una giornata di riflessione e preghiera sulla situazione drammatica del Medio Oriente che affligge tanti fratelli e sorelle nella fede. A tale incontro ecumenico per la pace Egli intende invitare i Capi di Chiese e Comunità cristiane di quella regione». La poca distanza che intercorreva tra l’annunzio e la realizzazione dell’evento ha lasciato subito intuire l’urgenza della situazione.


INCONTRO ECUMENICO DI PREGHIERA PER LA PACE La nostra diocesi non poteva che accogliere questa notizia con una grande gioia, pur consapevole della responsabilità e dell’impegno a cui sarebbe stata chiamata. Si trattava di dare supporto sul territorio ad un incontro organizzato, nei suoi contenuti, dalla Santa Sede. Si è costituito un comitato organizzativo diocesano che avrebbe curato i diversi ambiti, da quelli logistici a quelli pastorali, in collaborazione con la Congregazione per le Chiese Orientali e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Come già si poteva intuire dal comunicato, l’incontro sarebbe stato focalizzato attorno a due poli: la riflessione e la preghiera. Tali poli si sono identificati geograficamente in due luoghi: la Basilica di San Nicola e Largo Giannella, più come conosciuto come la Rotonda sul Lungomare di Bari. Se poteva essere facilmente immaginabile il passaggio dalla Basilica per la venerazione delle reliquie del Santo Vescovo di Myra, forse non altrettanto si può dire della scelta della stessa chiesa per il momento di riflessione e confronto comune a porte chiuse. Tale scelta ricopre un duplice significato. Anzitutto ricorda che questo incontro tra Capi di comunità ecclesiali non è paragonabile ad un summit politico. Ci si è incontrati in una chiesa, e non in un’anonima sala conferenze, poiché dei credenti, responsabili delle proprie Chiese, avrebbero dovuto confrontarsi su una situazione delicata che andava anzitutto letta dalla prospettiva di fede. La scelta della Basilica, inoltre, ricorda che nel 1098, proprio al suo interno, si è tenuto il cosiddetto Concilio di Bari, che fu il primo tentativo di riconciliazione tra Oriente e Occidente dopo lo scisma del 1054. Un incontro con i Capi del Medio Oriente non poteva avere, in Bari, un luogo più evocativo della Basilica di San Nicola. Si è individuata, invece, nella Rotonda sul Lungomare la collocazione più adatta per la preghiera comune. Sin dall’inizio, nella costruzione dell’evento, si è partiti dalla prospettiva che non si sarebbe trattato di un “incontro di vertice”, bensì avrebbe riguardato l’intero popolo di Dio. Il popolo che vive in Occidente avrebbe pregato per i fratelli cristiani del Medio Oriente insieme a coloro che in quel momento li rappresentavano, i loro Capi. Lo avrebbe fatto in un luo-

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go simbolico che ha fatto geograficamente di Bari e della Puglia un ponte naturale nel Mediterraneo con un affaccio sull’Oriente. Pregare insieme affacciati verso il mare ha voluto esprimere iconicamente lo sguardo attento verso ciò che accade al di là dello stesso. Per lo stesso motivo il palco che ha ospitato la preghiera ha avuto al centro una grande finestra aperta sull’orizzonte, davanti alla quale, in prospettiva, ha preso posto il grande crocifisso ligneo della concattedrale di Bitonto. Il 7 luglio, guardare all’Oriente, ci avrebbe fatto pensare al Cristo che soffre nei nostri fratelli e sorelle al di là del mare. Sul palco vi sarebbero stati anche l’icona dell’Odegitria e di San Nicola, patroni della Diocesi, anch’essi provenienti dall’Oriente cristiano. Pensato come evento di popolo, la Diocesi si è mobilitata affinché nelle diverse realtà ecclesiali si comprendesse bene e ci si preparasse alla straordinarietà di ciò che sarebbe successo. L’omelia dell’Arcivescovo il giorno della Festa della Traslazione di San Nicola, il 9 maggio, è stata tutta volta a sottolineare la grandezza del dono della

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custodia del Santo che diviene responsabilità per la nostra Chiesa, come la scelta di Bari per l’evento del 7 luglio manifesta. Anche la Giornata di santificazione sacerdotale dell’8 giugno ha visto mons. Lorenzo Lorusso, O.P., sottosegretario della Congregazione per le Chiese Orientali, e mons. Andrea Palmieri, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, relazionare al clero sullo stesso argomento. L’Arcivescovo ha composto una preghiera da recitare quotidianamente in tutte le parrocchie; è stato anche preparato del materiale utile per la catechesi e momenti


INCONTRO ECUMENICO DI PREGHIERA PER LA PACE di preghiera più strutturati. Sono stati organizzati degli incontri specifici con tutte le Aggregazioni laicali e i delegati degli Uffici Ecumenici di tutta la Regione Puglia. Da un punto di vista logistico, la Regione Puglia e il Comune di Bari hanno collaborato per la preparazione dell’evento. Questo coinvolgimento ha reso possibile, secondo dati ufficiali, la partecipazione consapevole di 70mila persone, provenienti soprattutto dalla diocesi, ma anche dal resto della regione, includendo il clero e i fedeli delle comunità ortodosse presenti sul territorio barese. Un unico popolo cristiano radunato per elevare la preghiera a Dio per la pace in Medio Oriente. La giornata si è presentata assolata, ma un leggero vento ha piacevolmente mitigato la calura estiva. Un servizio di 450 volontari, di cui la maggior parte giovani della diocesi, ha contribuito, assieme alle forze dell’Ordine, affinché tutto si svolgesse nel migliore dei modi, senza incidenti, distribuendo acqua e cappellini bianchi preparati per l’occasione. Quando i Capi delle Chiese Orientali, recandosi alle 7.45 del mattino alla Basilica di San Nicola, sono passati tra le due ali di folla festante, grandi espressioni di gioia si sono potute leggere sui loro volti: si è percepito subito che si trattava di un incontro unico nel suo genere, diverso da tutti gli altri. Erano presenti, per le Chiese ortodosse di tradizione bizantina: Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico, Sua Beatitudine Theodoros II, Patriarca greco-ortodosso di Alessandria e di tutta l’Africa, Sua Eminenza Nektarios di Anthedon, del Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, Sua Eminenza Hilarion di Volokolamsk, del Patriarcato di Mosca e di tutta la Russia, Sua Eminenza Vasilios di Kostantia, dell’Arcivescovado di Cipro. Le antiche Chiese ortodosse Orientali erano rappresentate da Sua Santità Tawadros II, Papa di Alessandria e Patriarca della Sede di San Marco, da Sua Santità Ignatius Aphrem, Patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, da Sua Grazia Hovakim del Regno Unito e Irlanda, del Patriarcato armeno della Sede di Etchmiadzin, Sua Santità Aram, Catholicos della Sede di Cilicia degli Armeni. La Chiesa Assira d’Oriente era presente con il suo Capo, Sua Santità il Patriarca Mar Gewargis II. Tutte le Chiese cattoliche presenti in

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Medio Oriente avevano un loro rappresentante: Sua Beatitudine Ibrahim Isaak Sedrak, Patriarca di Alessandria dei Copti cattolici, Sua Beatitudine Ignace Youssif III Younan, Patriarchia di Antiochia dei Siri cattolici, Sua Beatitudine il card. Béchara Boutros Raï, Patriarchia maronita di Antiochia e di tutto l’Oriente, Sua Eccellenza Jean-Clément Jeanbart, Metropolita greco-melkita di Aleppo, Sua Beatitudine il card. Louis Raphaël I Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei, Sua Beatitudine il card. Krikor Bedros XX Gabroyan, Patriarca di Cilicia degli Armeni cattolici, Sua Eccellenza Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme. Per le altre Chiese coinvolte nel Medio Oriente vi era, inoltre, il Molto Reverendo Sani Ibrahim Azar, vescovo della Chiesa Evangelica Luterana di Giordania e Terra Santa, e la dottoressa Souraya Bechealany, segretaria generale del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente. La straordinarietà dell’incontro di Bari è data dalla quantità di Chiese rappresentate ufficialmente dai loro Capi o da diretti delegati. Dopo il primo scisma del 431, ovvero dal Concilio di Efeso, mai le Chiese delle origini si erano ritrovate in questo modo per un momento condiviso di preghiera e riflessione. La gioia dell’incontro tra questi Capi di Chiesa la si può chiarissimamente leggere sui loro volti al momento del saluto personale con il Santo Padre Francesco all’ingresso della Basilica di San Nicola alle 8.30 del mattino. Il primo gesto della giornata diviene, dunque, la venerazione comune delle reliquie di San Nicola e l’accensione della lampada uniflamma da parte del Papa, per affidare i frutti della preghiera e della riflessione e il desiderio di unità all’intercessione del Santo. La comunità domenicana, attraverso la propria presenza e il canto, manifesta la custodia di questo desiderio che si vive quotidianamente in cripta attraverso la preghiera dei pellegrini cattolici e ortodossi. Come afferma anche il Logo preparato per l’evento, tutta la giornata è stata vissuta nella prospettiva di “cristiani insieme per il Medio Oriente”. Tale vivere “insieme”, senza alcuna differenza gerarchica posta tra i diversi Capi, è espresso visivamente da quello che rimarrà uno dei segni più eloquenti dell’incontro: lo spostarsi a bordo di un unico pullmino bianco scoperto. Nessuna papamobile, dunque, o auto di rappresentanza, ma un mezzo preparato per l’occasione al fine di esprimere l’importanza del camminare uniti. A bordo di tale pullmino


INCONTRO ECUMENICO DI PREGHIERA PER LA PACE

ci si è recati sulla Rotonda sul Lungomare per il momento di preghiera delle 9.30. Oltre ai diversi Capi, che saliranno sul palco per la preghiera, sono presenti anche le delegazioni di accompagnamento dei Patriarchi, circa trenta membri, Sua Em. il card. Parolin, Segretario di Stato Vaticano, Sua Em. il card. Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, Sua Em. il card. Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Sua Em. il card. Becciu, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, già Sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato, Sua Ecc. mons. Galantino, Segretario generale della CEI, Sua Ecc. mons. Spreafico, Presidente della Commissione per l’Ecumenismo della CEI, la quasi totalità dei vescovi dell’episcopato pugliese insieme ad altri vescovi italiani, p. Sergiusz Gajek, visitatore apostolico dei greco-cattolici in Bielorussia, Sua Ecc. mons. Sean Larkin, arcivescovo anglicano di Guildford, superiori di comunità religiose e monastiche, autorità civili e militari della Regione Puglia e della Città di Bari, il prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant’Egidio. La preghiera, dopo la monizione introduttiva del Santo Padre, è un susseguirsi di invocazioni e intercessioni recitate da tutti i Capi presen-

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ti nelle diverse lingue e alternate con canti, letture bibliche, alcuni gesti simbolici. Il tutto è accompagnato da un coro di circa 200 elementi creato per l’occasione, formatosi dall’unione dei cori “Frammenti di Luce”, diocesano, della Cattedrale, della Basilica di San Nicola, della Pastorale Giovanile e della Corale Ecumenica “A. Sinigaglia”, e da un’orchestra di una ventina di elementi. L’atmosfera festante è progressivamente sostituita da un silenzio orante a motivo delle ripetute richieste a Dio di pace e di termine della guerra. Molto commovente è la processione di tutti i Capi di Chiesa, dai volti immersi nella preghiera, nel posare una lampada per la pace su di un candelabro. Tali lampade erano state consegnate loro dai giovani rappresentanti tutti i vicariati della Diocesi, poiché l’impegno per la pace non riguarda solo l’oggi, ma le nuove generazioni. Dopo lo scambio di pace è ritornato il clima di gioia che ha caratterizzato la conclusione della preghiera e il nuovo spostamento sul pullmino bianco in Basilica per il momento di riflessione. La folla accompagnava questo viaggio esultante. Alle 11.00, i diversi rappresentanti ufficiali si sono ritrovati in Basilica per il momento di riflessione comune, che è stato aperto da una relazione di S.E. mons. Pizzaballa. Cosa sia stato detto in quelle due ore e mezzo circa non ci è dato saperlo, in quanto il colloquio è stato privato. Tuttavia, non può passare inosservata l’immagine di questi Capi tutti radunati attorno ad un tavolo rotondo bianco. Tutti hanno parlato avendo lo stesso diritto di parola e si sono confrontati liberamente. È stato un altro segno ecumenico potente, che ha visto la sua manifestazione per la prima volta a Bari. Verso le 13.30, dal portone centrale della Basilica, i Capi sono usciti sul sagrato. Ad attenderli circa 1500 persone, presenti lì dal mattino presto, soprattutto religiosi della diocesi e devoti di san Nicola, impegnati ad accompagnare con la preghiera l’incontro a porte chiuse. Su quel sagrato, circondato dai successori degli Apostoli delle più antiche sedi cristiane, il successore di Pietro ha parlato. Un discorso personale il suo, ma frutto dei tanti colloqui avuti. Dietro le sue forti parole, espressioni di condivisione di tutti gli altri. Un ultimo gesto ha accompagnato quella giornata, già conosciuto, ma sempre di una forte valenza simbolica. Il lancio di colombe bianche. Questa volta esse sono state portate ai Capi delle Chiese da alcuni ragazzi della “Comunità frontiera” di Bari, i quali vivono situazioni di degrado sociale e povertà. A ribadire, come il papa stesso ha fatto nel suo messaggio finale, che i temi della


INCONTRO ECUMENICO DI PREGHIERA PER LA PACE pace e della giustizia sociale e del futuro dei bambini sono strettamente legati tra loro. A rendere ancora più suggestivo questo momento è stato l’accompagnamento di un canto in lingua araba. Terminato il tutto due invocazioni, ripetute più volte, sono salite al cielo dal popolo lì radunato, “Pace” e “Unità”, mentre l’ormai conosciuto pullmino trasportava i Capi delle Chiese in episcopio per il pranzo. Tutto l’evento è stato seguito da circa 250 testate giornalistiche accreditate, locali, nazionali e straniere, come alcune russe, francesi, tedesche, americane, sia di matrice cattolica che laica. Ancor più importante è che l’incontro sia stato trasmesso in Medio Oriente, perché i nostri fratelli cristiani che vivono nella sofferenza possano aver trovato in esso conforto e speranza. Tuttavia, ciò che sicuramente i media non hanno registrato è stato il saluto privato che papa Francesco ha voluto fare alla nostra patrona in cattedrale: la Santissima Vergine Odegitria. Prima di riprendere l’elicottero per Roma, alle ore 16, alla protezione del manto della Vergine che indica la via, coprendo le fragilità della nudità umana, il Santo Padre ha ringraziato per la giornata e affidato i frutti dell’incontro e del cammino della Chiesa, chiamata ad essere sempre più visibilmente una, per divenire segno di unità e riconciliazione tra i popoli. Con queste parole egli stesso si esprimerà domenica 8 luglio, all’Angelus in piazza San Pietro: «Ieri, a Bari, con i Patriarchi delle Chiese del Medio Oriente e i loro Rappresentanti abbiamo vissuto una speciale giornata di preghiera e riflessione per la pace in quella regione. Rendo grazie a Dio per questo incontro, che è stato un segno eloquente di unità dei cristiani, e ha visto la partecipazione entusiasta del popolo di Dio. Ringrazio ancora i Fratelli Capi di Chiese e quanti li hanno rappresentati; sono rimasto veramente edificato dal loro atteggiamento e dalle loro testimonianze. Ringrazio l’Arcivescovo di Bari, fratello umile e servitore, i collaboratori e tutti i fedeli che ci hanno accompagnato e sostenuto con la preghiera e la gioiosa presenza». sac. Alfredo Gabrielli vice direttore dell’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso

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Monizione introduttiva del Santo Padre alla preghiera ecumenica per la pace (Rotonda sul Lungomare, sabato 7 luglio 2018)

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Cari fratelli, siamo giunti pellegrini a Bari, finestra spalancata sul vicino Oriente, portando nel cuore le nostre Chiese, i popoli e le molte persone che vivono situazioni di grande sofferenza. A loro diciamo: “vi siamo vicini”. Cari fratelli, grazie di cuore per essere venuti qui con generosità e prontezza. E sono tanto grato a tutti voi che ci ospitate in questa città, città dell’incontro, città dell’accoglienza. Nel nostro cammino comune ci sostiene la Santa Madre di Dio, qui venerata come Odegitria: Colei che mostra la via. Qui riposano le reliquie di san Nicola, vescovo dell’Oriente la cui venerazione solca i mari e valica i confini tra le Chiese. Il Santo taumaturgo interceda per guarire le ferite che tanti portano dentro. Qui contempliamo l’orizzonte e il mare e ci sentiamo spinti a vivere questa giornata con la mente e il cuore rivolti al Medio Oriente, crocevia di civiltà e culla delle grandi religioni monoteistiche. Lì è venuto a visitarci il Signore, «sole che sorge dall’alto» (Lc 1,78). Da lì si è propagata nel mondo intero la luce della fede. Lì sono sgorgate le fresche sorgenti della spiritualità e del monachesimo. Lì si conservano riti antichi unici e ricchezze inestimabili dell’arte sacra e della teologia, lì dimora l’eredità di grandi Padri nella fede. Questa tradizione è un tesoro da custodire con tutte le nostre forze, perché in Medio Oriente ci sono le radici delle nostre stesse anime. Ma su questa splendida regione si è addensata, specialmente negli ultimi anni, una fitta coltre di tenebre: guerra, violenza e distruzione, occupazioni e forme di fondamentalismo, migrazioni forzate e abbandono, il tutto nel silenzio di tanti e con la complicità di molti. Il Medio Oriente è divenuto terra di gente che lascia la propria terra. E c’è il rischio che la presenza di nostri fratelli e sorelle nella fede sia cancellata, deturpando il volto stesso della regione, perché un Medio Oriente senza cristiani non sarebbe Medio Oriente.


INCONTRO ECUMENICO DI PREGHIERA PER LA PACE

Questa giornata inizia con la preghiera, perché la luce divina diradi le tenebre del mondo. Abbiamo già acceso, davanti a san Nicola, la “lampada uniflamma”, simbolo della Chiesa una. Insieme desideriamo accendere oggi una fiamma di speranza. Le lampade che poseremo siano segno di una luce che ancora brilla nella notte. I cristiani, infatti, sono luce del mondo (cfr Mt 5,14) non solo quando tutto intorno è radioso, ma anche quando, nei momenti bui della storia, non si rassegnano all’oscurità che tutto avvolge e alimentano lo stoppino della speranza con l’olio della preghiera e dell’amore. Perché, quando si tendono le mani al cielo in preghiera e quando si tende la mano al fratello senza cercare il proprio interesse, arde e risplende il fuoco dello Spirito, Spirito di unità, Spirito di pace. Preghiamo uniti, per invocare dal Signore del cielo quella pace che i potenti in terra non sono ancora riusciti a trovare. Dal corso del Nilo alla Valle del Giordano e oltre, passando per l’Oronte fino al Tigri e all’Eufrate, risuoni il grido del Salmo: «Su di te sia pace!» (122,8). Per i fratelli che soffrono e per gli amici di ogni popolo e credo, ripetiamo: Su di te sia pace! Col salmista imploriamolo in modo particolare per Gerusalemme, città santa amata da Dio e feri-

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ta dagli uomini, sulla quale ancora il Signore piange: Su di te sia pace! Sia pace: è il grido dei tanti Abele di oggi che sale al trono di Dio. Per loro non possiamo più permetterci, in Medio Oriente come ovunque nel mondo, di dire: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). L’indifferenza uccide, e noi vogliamo essere voce che contrasta l’omicidio dell’indifferenza. Vogliamo dare voce a chi non ha voce, a chi può solo inghiottire lacrime, perché il Medio Oriente oggi piange, oggi soffre e tace, mentre altri lo calpestano in cerca di potere e ricchezze. Per i piccoli, i semplici, i feriti, per loro dalla cui parte sta Dio, noi imploriamo: sia Pace! Il «Dio di ogni consolazione» (2 Cor 1,3), che risana i cuori affranti e fascia le ferite (cfr Sal 147,3), ascolti oggi la nostra preghiera.

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INCONTRO ECUMENICO DI PREGHIERA PER LA PACE

Discorso del Santo Padre a conclusione dell’incontro con i Patriarchi del Medio Oriente (Sagrato della Basilica di San Nicola, sabato, 7 luglio 2018)

Cari fratelli e sorelle, Sono molto grato per la condivisione che abbiamo avuto la grazia di vivere. Ci siamo aiutati a riscoprire la nostra presenza di cristiani in Medio Oriente, come fratelli. Essa sarà tanto più profetica quanto più testimonierà Gesù Principe della pace (cfr Is 9,5). Egli non impugna la spada, ma chiede ai suoi di rimetterla nel fodero (cfr Gv 18,11). Anche il nostro essere Chiesa è tentato dalle logiche del mondo, logiche di potenza e di guadagno, logiche sbrigative e di convenienza. E c’è il nostro peccato, l’incoerenza tra la fede e la vita, che oscura la testimonianza. Sentiamo di doverci convertire ancora una volta al Vangelo, garanzia di autentica libertà, e di farlo con urgenza ora, nella notte del Medio Oriente in agonia. Come nella notte angosciosa del Getsemani, non saranno la fuga (cfr Mt 26,56) o la spada (cfr Mt 26,52) ad anticipare l’alba radiosa di Pasqua, ma il dono di sé a imitazione del Signore. La buona notizia di Gesù, crocifisso e risorto per amore, giunta dalle terre del Medio Oriente, ha conquistato il cuore dell’uomo lungo i secoli perché legata non ai poteri del mondo, ma alla forza inerme della croce. Il Vangelo ci impegna a una quotidiana conversione ai piani di Dio, a trovare in Lui solo sicurezza e conforto, ad annunciarlo a tutti e nonostante tutto. La fede dei semplici, tanto radicata in Medio Oriente, è sorgente da cui attingere per abbeverarci e purificarci, come avviene quando torniamo alle origini, andando pellegrini a Gerusalemme, in Terra Santa o nei santuari dell’Egitto, della Giordania, del Libano, della Siria, della Turchia e degli altri luoghi sacri di quelle regioni. Incoraggiati gli uni dagli altri, abbiamo dialogato fraternamente. È stato un segno che l’incontro e l’unità vanno cercati sempre, senza

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paura delle diversità. Così pure la pace: va coltivata anche nei terreni aridi delle contrapposizioni, perché oggi, malgrado tutto, non c’è alternativa possibile alla pace. Non le tregue garantite da muri e prove di forza porteranno la pace, ma la volontà reale di ascolto e dialogo. Noi ci impegniamo a camminare, pregare e lavorare, e imploriamo che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro, che all’ostentazione di minacciosi segni di potere subentri il potere di segni speranzosi: uomini di buona volontà e di credo diversi che non hanno paura di parlarsi, di accogliere le ragioni altrui e di occuparsi gli uni degli altri. Solo così, avendo cura che a nessuno manchino il pane e il lavoro, la dignità e la speranza, le urla di guerra si muteranno in canti di pace. Per fare questo è essenziale che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta alle occupazioni di terre che lacerano i popoli! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente! Basta usare il Medio Oriente per profitti estranei al Medio Oriente! La guerra è la piaga che tragicamente assale quest’amata regione. Ne è vittima soprattutto la povera gente. Pensiamo alla martoriata Siria, in particolare alla provincia di Deraa. Lì sono ripresi aspri combattimenti che hanno provocato un ingente numero di sfollati, esposti a sofferenze terribili. La guerra è figlia del potere e della povertà. Si sconfigge rinunciando alle logiche di supremazia e sradicando la miseria. Tanti conflitti sono stati fomentati anche da forme di fondamentalismo e di fanatismo che, travestite di pretesti religiosi, hanno in realtà bestemmiato il nome di Dio, che è pace, e perseguitato il fratello che da sempre vive accanto. Ma la violenza è sempre alimentata dalle armi. Non si può alzare la voce per parlare di pace mentre di nascosto si perseguono sfrenate corse al riarmo. È una gravissima responsabilità, che pesa sulla coscienza delle nazioni, in particolare di quelle più potenti. Non si dimentichi il secolo scorso, non si scordino le lezioni di Hiroshima e Nagasaki, non si trasformino le terre d’Oriente, dove è sorto il Verbo della pace, in buie distese di silenzio. Basta contrapposizioni ostinate, basta alla sete di guadagno, che non guarda in faccia a nessuno pur di accaparrare giacimenti di gas e combustibili, senza ritegno per la casa comune e senza scrupoli sul fatto che il mercato dell’energia detti la legge della convivenza tra i popoli!


INCONTRO ECUMENICO DI PREGHIERA PER LA PACE Per aprire sentieri di pace, si volga invece lo sguardo a chi supplica di convivere fraternamente con gli altri. Si tutelino tutte le presenze, non solo quelle maggioritarie. Si spalanchi anche in Medio Oriente la strada verso il diritto alla comune cittadinanza, strada per un rinnovato avvenire. Anche i cristiani sono e siano cittadini a pieno titolo, con uguali diritti. Fortemente angosciati, ma mai privi di speranza, volgiamo lo sguardo a Gerusalemme, città per tutti i popoli, città unica e sacra per cristiani, ebrei e musulmani di tutto il mondo, la cui identità e vocazione va preservata al di là delle varie dispute e tensioni, e il cui status quo esige di essere rispettato secondo quanto deliberato

dalla comunità internazionale e ripetutamente chiesto dalle comunità cristiane di Terra Santa. Solo una soluzione negoziata tra Israeliani e Palestinesi, fermamente voluta e favorita dalla Comunità delle nazioni, potrà condurre a una pace stabile e duratura, e garantire la coesistenza di due Stati per due popoli. La speranza ha il volto dei bambini. In Medio Oriente, da anni, un numero spaventoso di piccoli piange morti violente in famiglia e vede insidiata la terra natia, spesso con l’unica prospettiva di dover fuggire. Questa è la morte della speranza. Gli occhi di troppi fan-

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ciulli hanno passato la maggior parte della vita a vedere macerie anziché scuole, a sentire il boato sordo di bombe anziché il chiasso festoso di giochi. L’umanità ascolti – vi prego – il grido dei bambini, la cui bocca proclama la gloria di Dio (cfr Sal 8,3). È asciugando le loro lacrime che il mondo ritroverà la dignità. Pensando ai bambini – non dimentichiamo i bambini! –, tra poco faremo librare in aria, insieme ad alcune colombe, il nostro desiderio di pace. L’anelito di pace si levi più alto di ogni nube scura. I nostri cuori si mantengano uniti e rivolti al Cielo, in attesa che, come ai tempi del diluvio, torni il tenero ramoscello della speranza (cfr Gen 8,11). E il Medio Oriente non sia più un arco di guerra teso tra i continenti, ma un’arca di pace accogliente per i popoli e le fedi. Amato Medio Oriente, si diradino da te le tenebre della guerra, del potere, della violenza, dei fanatismi, dei guadagni iniqui, dello sfruttamento, della povertà, della disuguaglianza e del mancato riconoscimento dei diritti. «Su te sia pace» (Sal 122,8) – insieme: “Su te sia pace” [ripetono] –, in te giustizia, sopra di te si posi la benedizione di Dio. Amen.

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MAGISTERO PONTIFICIO Lettera al Popolo di Dio

«Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1 Cor 12,26). Queste parole di san Paolo risuonano con forza nel mio cuore constatando ancora una volta la sofferenza vissuta da molti minori a causa di abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate. Un crimine che genera profonde ferite di dolore e di impotenza, anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nell’intera comunità, siano credenti o non credenti. Guardando al passato, non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere perdono e cercare di riparare il danno causato. Guardando al futuro, non sarà mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio per essere coperte e perpetuarsi. Il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il nostro dolore, perciò urge ribadire ancora una volta il nostro impegno per garantire la protezione dei minori e degli adulti in situazione di vulnerabilità.

1. Se un membro soffre Negli ultimi giorni è stato pubblicato un rapporto in cui si descrive l’esperienza di almeno mille persone che sono state vittime di abusi sessuali, di potere e di coscienza per mano di sacerdoti, in un arco

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di circa settant’anni. Benché si possa dire che la maggior parte dei casi riguarda il passato, tuttavia, col passare del tempo abbiamo conosciuto il dolore di molte delle vittime e constatiamo che le ferite non spariscono mai e ci obbligano a condannare con forza queste atrocità, come pure a concentrare gli sforzi per sradicare questa cultura di morte; le ferite “non vanno mai prescritte”. Il dolore di queste vittime è un lamento che sale al cielo, che tocca l’anima e che per molto tempo è stato ignorato, nascosto o messo a tacere. Ma il suo grido è stato più forte di tutte le misure che hanno cercato di farlo tacere o, anche, hanno preteso di risolverlo con decisioni che ne hanno accresciuto la gravità cadendo nella complicità. Grido che il Signore ha ascoltato facendoci vedere, ancora una volta, da che parte vuole stare. Il cantico di Maria non si sbaglia e, come un sottofondo, continua a percorrere la storia perché il Signore si ricorda della promessa che ha fatto ai nostri padri: «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,51-53), e proviamo vergogna quando ci accorgiamo che il nostro stile di vita ha smentito e smentisce ciò che recitiamo con la nostra voce. Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite. Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli. Faccio mie le parole dell’allora Cardinale Ratzinger quando, nella Via Crucis scritta per il Venerdì Santo del 2005, si unì al grido di dolore di tante vittime e con forza disse: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! […] Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (cfr Mt 8,25)» (Nona Stazione).


MAGISTERO PONTIFICIO 2. Tutte le membra soffrono insieme La dimensione e la grandezza degli avvenimenti esige di farsi carico di questo fatto in maniera globale e comunitaria. Benché sia importante e necessario in ogni cammino di conversione prendere conoscenza dell’accaduto, questo da sé non basta. Oggi siamo interpellati come Popolo di Dio a farci carico del dolore dei nostri fratelli feriti nella carne e nello spirito. Se in passato l’omissione ha potuto diventare una forma di risposta, oggi vogliamo che la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo ed esigente, diventi il nostro modo di fare la storia presente e futura, in un ambito dove i conflitti, le tensioni e specialmente le vittime di ogni tipo di abuso possano trovare una mano tesa che le protegga e le riscatti dal loro dolore (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 228). Tale solidarietà ci chiede, a sua volta, di denunciare tutto ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona. Solidarietà che reclama la lotta contro ogni tipo di corruzione, specialmente quella spirituale, «perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito: l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di autoreferenzialità, poiché “anche Satana si maschera da angelo della luce” (2 Cor 11,14)» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 165). L’appello di san Paolo a soffrire con chi soffre è il miglior antidoto contro ogni volontà di continuare a riprodurre tra di noi le parole di Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Sono consapevole dello sforzo e del lavoro che si compie in diverse parti del mondo per garantire e realizzare le mediazioni necessarie, che diano sicurezza e proteggano l’integrità dei bambini e degli adulti in stato di vulnerabilità, come pure della diffusione della “tolleranza zero” e dei modi di rendere conto da parte di tutti coloro che compiono o coprono questi delitti. Abbiamo tardato ad applicare queste azioni e sanzioni così necessarie, ma sono fiducioso che esse aiuteranno a garantire una maggiore cultura della protezione nel presente e nel futuro. Unitamente a questi sforzi, è necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto

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abbiamo bisogno. Tale trasformazione esige la conversione personale e comunitaria e ci porta a guardare nella stessa direzione dove guarda il Signore. Così amava dire san Giovanni Paolo II: «Se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49). Imparare a guardare dove guarda il Signore, a stare dove il Signore vuole che stiamo, a convertire il cuore stando alla sua presenza. Per questo scopo saranno di aiuto la preghiera e la penitenza. Invito tutto il santo Popolo fedele di Dio all’esercizio penitenziale della preghiera e del digiuno secondo il comando del Signore1, che risveglia la nostra coscienza, la nostra solidarietà e il nostro impegno per una cultura della protezione e del “mai più” verso ogni tipo e forma di abuso. È impossibile immaginare una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio. Di più: ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il Popolo di Dio abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita2. Ciò si manifesta con chiarezza in un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – quale è il clericalismo, quell’atteggiamento che «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente»3. Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo. È sempre bene ricordare che il Signore, «nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazio1

«Questa specie di demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno» (Mt 17,21). Cfr Lettera al Popolo di Dio pellegrino in Cile, 31 maggio 2018. 3 Lettera al Cardinale Marc Ouellet, Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, 19 marzo 2016. 2


MAGISTERO PONTIFICIO ni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 6). Pertanto, l’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che ci coinvolge e ci riguarda tutti come Popolo di Dio. Questa consapevolezza di sentirci parte di un popolo e di una storia comune ci consentirà di riconoscere i nostri peccati e gli errori del passato con un’apertura penitenziale capace di lasciarsi rinnovare da dentro. Tutto ciò che si fa per sradicare la cultura dell’abuso dalle nostre comunità senza una partecipazione attiva di tutti i membri della Chiesa non riuscirà a generare le dinamiche necessarie per una sana ed effettiva trasformazione. La dimensione penitenziale di digiuno e preghiera ci aiuterà come Popolo di Dio a metterci davanti al Signore e ai nostri fratelli feriti, come peccatori che implorano il perdono e la grazia della vergogna e della conversione, e così a elaborare azioni che producano dinamismi in sintonia col Vangelo. Perché «ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 11). È imprescindibile che come Chiesa possiamo riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili. Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui. La coscienza del peccato ci aiuta a riconoscere gli errori, i delitti e le ferite procurate nel passato e ci permette di aprirci e impegnarci maggiormente nel presente in un cammino di rinnovata conversione. Al tempo stesso, la penitenza e la preghiera ci aiuteranno a sensibilizzare i nostri occhi e il nostro cuore dinanzi alla sofferenza degli altri e a vincere la bramosia di dominio e di possesso che tante volte diventa radice di questi mali. Che il digiuno e la preghiera aprano le nostre orecchie al dolore silenzioso dei bambini, dei giovani e dei disabili. Digiuno che ci procuri fame e sete di giustizia e ci spinga a

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camminare nella verità appoggiando tutte le mediazioni giudiziarie che siano necessarie. Un digiuno che ci scuota e ci porti a impegnarci nella verità e nella carità con tutti gli uomini di buona volontà e con la società in generale per lottare contro qualsiasi tipo di abuso sessuale, di potere e di coscienza. In tal modo potremo manifestare la vocazione a cui siamo stati chiamati di essere «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 1). «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme», ci diceva san Paolo. Mediante l’atteggiamento orante e penitenziale potremo entrare in sintonia personale e comunitaria con questa esortazione, perché crescano tra di noi i doni della compassione, della giustizia, della prevenzione e della riparazione. Maria ha saputo stare ai piedi della croce del suo Figlio. Non l’ha fatto in un modo qualunque, ma è stata saldamente in piedi e accanto ad essa. Con questa posizione esprime il suo modo di stare nella vita. Quando sperimentiamo la desolazione che ci procurano queste piaghe ecclesiali, con Maria ci farà bene «insistere di più nella preghiera» (cfr S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 319), cercando di crescere nell’amore e nella fedeltà alla Chiesa. Lei, la prima discepola, insegna a tutti noi discepoli come dobbiamo comportarci di fronte alla sofferenza dell’innocente, senza evasioni e pusillanimità. Guardare a Maria vuol dire imparare a scoprire dove e come deve stare il discepolo di Cristo. Lo Spirito Santo ci dia la grazia della conversione e l’unzione interiore per poter esprimere, davanti a questi crimini di abuso, il nostro pentimento e la nostra decisione di lottare con coraggio. Vaticano, 20 agosto 2018 Francesco 252


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C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Veglia di preghiera con i giovani italiani in preparazione al Sinodo dei vescovi

Riflessione finale del Santo Padre (Roma, Circo Massimo, sabato 11 agosto 2018)

Cari giovani, grazie per questo incontro di preghiera, in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi. Vi ringrazio anche perché questo appuntamento è stato preceduto da un intreccio di tanti cammini sui quali vi siete fatti pellegrini, insieme ai vostri vescovi e sacerdoti, percorrendo strade e sentieri d’Italia, in mezzo ai tesori di cultura e di fede che i vostri padri hanno lasciato in eredità. Avete attraversato i luoghi dove la gente vive e lavora, ricchi di vitalità e segnati da fatiche, nelle città come nei paesi e nelle borgate sperdute. Spero che abbiate respirato a fondo le gioie e le difficoltà, la vita e la fede del popolo italiano. Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato (cfr Gv 20,1-8), Giovanni ci racconta quella mattina inimmaginabile che ha cambiato per sempre la storia dell’umanità. Figuriamocela, quella mattina: alle prime luci dell’alba del giorno dopo il sabato, attorno alla tomba di Gesù tutti si mettono a correre. Maria di Magdala corre ad avvisare i discepoli; Pietro e Giovanni corrono verso il sepolcro... Tutti corrono, tutti sentono l’urgenza di muoversi: non c’è tempo da perdere, bisogna affrettarsi... Come aveva fatto Maria – ricordate? – appena concepito Gesù, per andare ad aiutare Elisabetta.

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Abbiamo tanti motivi per correre, spesso solo perché ci sono tante cose da fare e il tempo non basta mai. A volte ci affrettiamo perché ci attira qualcosa di nuovo, di bello, di interessante. A volte, al contrario, si corre per scappare da una minaccia, da un pericolo… I discepoli di Gesù corrono perché hanno ricevuto la notizia che il corpo di Gesù è sparito dalla tomba. I cuori di Maria di Magdala, di Simon Pietro, di Giovanni sono pieni d’amore e battono all’impazzata dopo il distacco che sembrava definitivo. Forse si riaccende in loro la speranza di rivedere il volto del Signore! Come in quel primo giorno quando aveva promesso: «Venite e vedrete» (Gv 1,39). Chi corre più forte è Giovanni, certamente perché è più giovane, ma anche perché non ha smesso di sperare dopo aver visto coi suoi occhi Gesù morire in croce; e anche perché è stato vicino a Maria, e per questo è stato “contagiato” dalla sua fede. Quando noi sentiamo che la fede viene meno o è tiepida, andiamo da Lei, Maria, e Lei ci insegnerà, ci capirà, ci farà sentire la fede. Da quella mattina, cari giovani, la storia non è più la stessa. Quella mattina ha cambiato la storia. L’ora in cui la morte sembrava trionfare, in realtà si rivela l’ora della sua sconfitta. Nemmeno quel pesante macigno, messo davanti al sepolcro, ha potuto resistere. E da quell’alba del primo giorno dopo il sabato, ogni luogo in cui la vita è oppressa, ogni spazio in cui dominano violenza, guerra, miseria, là dove l’uomo è umiliato e calpestato, in quel luogo può ancora riaccendersi una speranza di vita. Cari amici, vi siete messi in cammino e siete venuti a questo appuntamento. E ora la mia gioia è sentire che i vostri cuori battono d’amore per Gesù, come quelli di Maria Maddalena, di Pietro e di Giovanni. E poiché siete giovani, io, come Pietro, sono felice di vedervi correre più veloci, come Giovanni, spinti dall’impulso del vostro cuore, sensibile alla voce dello Spirito che anima i vostri sogni. Per questo vi dico: non accontentatevi del passo prudente di chi si accoda in fondo alla fila. Non accontentatevi del passo prudente di chi si accoda in fondo alla fila. Ci vuole il coraggio di rischiare un salto in avanti, un balzo audace e temerario per sognare e realizzare come Gesù il Regno di Dio, e impegnarvi per un’umanità più fraterna. Abbiamo bisogno di fraternità: rischiate, andate avanti! Sarò felice di vedervi correre più forte di chi nella Chiesa è un po’


MAGISTERO PONTIFICIO lento e timoroso, attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci, come Giovanni aspettò Pietro davanti al sepolcro vuoto. E un’altra cosa: camminando insieme, in questi giorni, avete sperimentato quanto costa fatica accogliere il fratello o la sorella che mi sta accanto, ma anche quanta gioia può darmi la sua presenza se la ricevo nella mia vita senza pregiudizi e chiusure. Camminare soli permette di essere svincolati da tutto, forse più veloci, ma camminare insieme ci fa diventare un popolo, il popolo di Dio. Il popolo di Dio che ci dà sicurezza, la sicurezza dell’appartenenza al popolo di Dio… E col popolo di Dio ti senti sicuro, nel popolo di Dio, nella tua appartenenza al popolo di Dio hai identità. Dice un proverbio africano: “Se vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”. Il Vangelo dice che Pietro entrò per primo nel sepolcro e vide i teli per terra e il sudario avvolto in un luogo a parte. Poi entrò anche l’altro discepolo, il quale – dice il Vangelo – «vide e credette» (v. 8). È molto importante questa coppia di verbi: vedere e credere. In tutto il Vangelo di Giovanni si narra che i discepoli vedendo i segni che Gesù compiva credettero in Lui. Vedere e credere. Di quali segni si tratta? Dell’acqua trasformata in vino per le nozze; di alcuni malati guariti; di un cieco nato che acquista la vista; di una grande folla saziata con cinque pani e due pesci; della risurrezione dell’amico Lazzaro, morto da quattro giorni. In tutti questi segni Gesù rivela il volto invisibile di Dio. Non è la rappresentazione della sublime perfezione divina, quella che traspare dai segni di Gesù, ma il racconto della fragilità umana che incontra la Grazia che risolleva. C’è l’umanità ferita che viene risanata dall’incontro con Lui; c’è l’uomo caduto che trova una mano tesa alla quale aggrapparsi; c’è lo smarrimento degli sconfitti che scoprono una speranza di riscatto. E Giovanni, quando entra

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nel sepolcro di Gesù, porta negli occhi e nel cuore quei segni compiuti da Gesù immergendosi nel dramma umano per risollevarlo. Gesù Cristo, cari giovani, non è un eroe immune dalla morte, ma Colui che la trasforma con il dono della sua vita. E quel lenzuolo piegato con cura dice che non ne avrà più bisogno: la morte non ha più potere su di Lui. Cari giovani, è possibile incontrare la Vita nei luoghi dove regna la morte? Sì, è possibile. Verrebbe da rispondere di no, che è meglio stare alla larga, allontanarsi. Eppure questa è la novità rivoluzionaria del Vangelo: il sepolcro vuoto di Cristo diventa l’ultimo segno in cui risplende la vittoria definitiva della Vita. E allora non abbiamo paura! Non stiamo alla larga dai luoghi di sofferenza, di sconfitta, di morte. Dio ci ha dato una potenza più grande di tutte le ingiustizie e le fragilità della storia, più grande del nostro peccato: Gesù ha vinto la morte dando la sua vita per noi. E ci manda ad annunciare ai nostri fratelli che Lui è il Risorto, è il Signore, e ci dona il suo Spirito per seminare con Lui il Regno di Dio. Quella mattina della domenica di Pasqua è cambiata la storia: abbiamo coraggio! Quanti sepolcri – per così dire – oggi attendono la nostra visita! Quante persone ferite, anche giovani, hanno sigillato la loro sofferenza “mettendoci – come si dice – una pietra sopra”. Con la forza dello Spirito e la Parola di Gesù possiamo spostare quei macigni e far entrare raggi di luce in quegli anfratti di tenebre. Èstato bello e faticoso il cammino per venire a Roma; pensate voi, quanta fatica, ma quanta bellezza! Ma altrettanto bello e impegnativo sarà il cammino del ritorno alle vostre case, ai vostri paesi, alle vostre comunità. Percorretelo con la fiducia e l’energia di Giovanni, il “discepolo amato”. Sì, il segreto è tutto lì, nell’essere e nel sapere di essere “amato”, “amata” da Lui, Gesù, il Signore, ci ama! E ognuno di noi, tornando a casa, metta questo nel cuore e nella mente: Gesù, il Signore, mi ama. Sono amato. Sono amata. Sentire la tenerezza di Gesù che mi ama. Percorre con coraggio e con gioia il cammino verso casa, percorretelo con la consapevolezza di essere amati da Gesù. Allora, con questo amore, la vita diventa una corsa buona, senza ansia, senza paura, quella parola che ci distrugge. Senza ansia e senza paura. Una corsa verso Gesù e verso i fratelli, col cuore pieno di amore, di fede e di gioia. Andate così! Francesco


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C HIESA I TALIANA

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Consiglio Permanente

Nomina di don Mario Diana

Prot. N. 674/2018

IL CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE

su PROPOSTA di S.E. Mons. Gualtiero Sigismondi, Assistente Ecclesiastico Generale dell'Azione Cattolica Italiana con lettera del 24 giugno 2018; - OTTENUTO il nulla osta di S.E. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari Bitonto; - A NORMA dell'art. 23, lett. o), dello statuto della Conferenza Episcopale Italiana, nella sessione del 24 - 26 settembre 2018, ha nominato il Reverendo Don Mario DIANA dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto Assistente Ecclesiastico Nazionale del Movimento Studenti dell’Azione Cattolica Italiana (MSAC), per un triennio. Roma, 11 ottobre 2018

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C HIESA I TALIANA

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Messaggio per la 68ª Giornata Nazionale del Ringraziamento (11 novembre 2018)

«… secondo la propria specie …» (Gen 1,12): per la diversità, contro la disuguaglianza

Quando la Scrittura parla del creato, lo fa sempre con un tono di ammirato stupore per la varietà delle creature che vivono in essa. Fin dalla prima pagina essa sottolinea come Dio benedica la bontà di questa vita plurale e differenziata: «E la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,12). E dello stesso stupore risuona il Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi: «Laudato si’, mi Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba». La varietà della vita è dunque un dono prezioso, un valore intrinseco, che va tutelato. Lo sottolinea Papa Francesco: riprendendo san Tommaso d’Aquino, egli ricorda che essa riflette quel mistero divino che non potrebbe essere espresso da un singolo vivente: «L’insieme dell’universo, con le sue molteplici relazioni, mostra al meglio la ricchezza inesauribile di Dio» (Lettera enciclica Laudato si’, n. 86).

Un’agricoltura per la diversità Nel contesto della globalizzazione commerciale la varietà delle specie è stata pesantemente ridotta con la coltivazione su grandi esten-

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sioni di poche varietà colturali che meglio soddisfacevano le esigenze di una produzione alimentare industriale di massa; in particolare nei cereali. Si è progressivamente cercato di privatizzare la biodiversità agricola tramandataci dalla tradizione contadina. La FAO ci ricorda che nel XX secolo nell’indifferenza generale è stato perso il 75% della biodiversità delle colture e come la perdita della diversità genetica delle piante, dei “parenti selvatici” di quelle che coltiviamo, sia una grave minaccia per la sicurezza alimentare; in particolare, per i più poveri impegnati nella lotta alla fame. Siamo chiamati a riscoprire lo stupore della Scrittura quando parla della diversità e varietà del creato, immagine tangibile della generosità del Padre Nostro. La biodiversità non può essere sottomessa all’interesse prevalente di pochi, ma non può neanche essere limitata ad un pacchetto di risorse a nostra disposizione, perché nella bontà di quella vita plurale che Dio stesso benedice c’è il codice, l’impronta della generatività del Suo amore. Una delle ricchezze del nostro Paese è la grande varietà di prodotti della terra, cui corrisponde un cibo di qualità (il 2018 è l’Anno del cibo italiano). L’Italia dei mille borghi e dei mille campanili, con il mondo agricolo ha già reagito all’omologazione dell’agroalimentare globale, impegnandosi per la rigenerazione di un’agricoltura che vuole declinarsi in forme creative, valorizzando la ricca varietà di specie vegetali presenti e contribuendo così alla cura del creato nella sua diversità. Così facendo, infatti, essa promuove quella complessa relazione tra terra, territorio e comunità, tra biologia e cultura, che costituisce una componente essenziale della realtà del Paese. 260

Un’agricoltura contro la diseguaglianza I processi di omologazione globale dei mercati agroalimentari hanno mortificato quel contributo delle diversità culturali che, se ben indirizzato e nel rispetto dei diversi patrimoni, avrebbe contribuito a determinare una inclusione partecipata, sussidiaria e solidale dei popoli nell’unica famiglia umana. Il modello di industrializzazione imposto dal pensiero neoliberista e mercantilista, evidente nel sistema economico-finanziario globale


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA attuale, è basato sull’idea che tutto possa ridursi in merce attraverso il denaro. Le conseguenze non possono lasciare stupiti, ma neppure indifferenti: il declino inarrestabile del livello culturale, l’indifferenza per gli altri, gli effetti della disoccupazione, la decisione sulla distribuzione delle risorse naturali, l’impatto della recessione sulla qualità della vita. L’associazionismo, la compartecipazione e la condivisione che caratterizzano il modello agricolo italiano costituiscono gli agganci necessari per rendere salda e robusta la persona, la famiglia, la comunità che vive e opera in armonia nel contesto di un’economia di mercato inclusiva che valorizza e promuove le distintività locali. Un sistema economico capace di rinsaldare il legame degli agricoltori con il territorio e di restituire fiducia al consumatore nella ricerca di maggiore tracciabilità e sicurezza degli alimenti e nella domanda di conoscenza del cibo, della sua provenienza e delle sue tradizioni, è anche capace di vivere e contemplare la biodiversità come ricchezza naturale e genetica su cui investire al fine di garantire forme differenziate di accesso al mercato. Un’economia civile che si oppone all’economia dello scarto è un’economia che sa difendere il lavoro riconoscendo ad ogni individuo il proprio valore nel contributo personale che rende alla cura e allo sviluppo del Creato non solo per ciò che produce ma per i servizi che mette a disposizione della collettività, per il cibo – ma non per la merce – che offre e che riceve come dono. L’agricoltura oggi più che mai è percepita come un bene collettivo, un mezzo di coesione sociale, dove l’accoglienza, l’ospitalità e la solidarietà sono punti di forza per l’abbattimento delle disuguaglianze di ogni genere. In questo contesto l’offerta multifunzionale dell’impresa agricola assume un ruolo strategico per le molteplici possibilità occupazionali che offre alle persone. Papa Francesco ci invita a valorizzare i preziosi beni della terra: «Dio ha creato il cielo e la terra per tutti; sono gli uomini, purtroppo, che hanno innalzato i confini, mura e recinti, tradendo il dono originario destinato all’umanità senza alcuna esclusione». Ecco, allora, l’impegno costante a «programmare un’agricoltura so-

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stenibile e diversificata» (Laudato si’, n. 164) capace di conciliare, nella sua dimensione morale, il pieno rispetto della persona umana con l’attenzione per il mondo naturale, avendo cura «della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato» ma non uniforme, perché l’uniformità rende la natura fragile, rigida, poco adattativa e poco incline alla sopravvivenza» (ivi, n. 5). Ci guidi lo stupore della Scrittura e la benedizione di Dio che vide che quella molteplicità era “cosa buona”, come messaggio che, nel suo amore, c’è posto per tutti e tutto, perché solo l’insieme dell’universo con le sue molteplici relazioni, mostra al meglio la ricchezza inesauribile di Dio che cerchiamo di accogliere e da cui siamo rinnovati. Roma, 31 maggio 2018, Visitazione della Beata Vergine Maria La Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace

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V ITA

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C HIESA

DI

B ARI -B ITONTO

ASSEMBLEA DIOCESANA L’Assemblea-Convegno del 15 settembre 2018

La Chiesa di Bari-Bitonto ha aperto il nuovo anno pastorale 20182019 vivendo il convegno-festa diocesano, di sabato 15 settembre 2018, presso la Basilica Santuario dei SS. Medici in Bitonto. Lo scorso anno pastorale, la diocesi di Bari-Bitonto ha vissuto il suo cammino all’insegna dell’incontro tra le generazioni, che ha avuto il suo apice nella peregrinatio della “tenda dell’incontro”: «uno spazio e un tempo in cui adulti e giovani si sono confrontati con le domande, i sogni, le speranze che accompagnano la ricerca di senso e di pienezza della loro vita», come ha affermato l’Arcivescovo mons. Francesco Cacucci.

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Un ulteriore slancio è stato il dono dell’incontro ecumenico per la pace nel Medio Oriente di Papa Francesco con i Patriarchi e i Capi delle Chiese a Bari lo scorso 7 luglio. Da questo evento di grazia, la Chiesa di Bari-Bitonto è ripartita vivendo il convegno-festa diocesano, di sabato 15 settembre 2018, presso la Basilica Santuario dei SS. Medici in Bitonto, coordinato dal Servizio per la Pastorale giovanile e dall’Ufficio per la pastorale familiare.

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Una assemblea, dunque, diversa rispetto al passato: una intera giornata di ascolto e di dialogo, di preghiera e di festa, per rileggere l’esperienza delle “tende” e per tracciare insieme le linee programmatiche del nuovo anno pastorale. Vista la prossimità del Sinodo dei Vescovi: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale (3-28 ottobre 2018), vogliamo continuare il nostro cammino «con lo sguardo rivolto ai giovani, il baricentro puntato sulla famiglia, con le braccia spalancate sul mondo e sulla società» (mons. Cacucci). Al convegno-festa hanno partecipato tutti: gli adulti, i giovani, le famiglie delle nostre parrocchie, movimenti e associazioni con i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose, i consacrati e le consacrate della nostra Chiesa diocesana. La giornata si è aperta con la lectio divina guidata da fr. Sabino Chialà, biblista della Comunità di Bose. A seguire, divisi per zone pastorali, si sono svolti i laboratori dove si è riflettuto su diverse tematiche (“Economia, lavoro e cura della casa comune”; “L’impegno nella storia tra Parola e Liturgia”; “Dentro la cultura dello scarto e dell’emarginazione”; “Formare alla


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO cittadinanza attiva”; “Chiamata e accompagnamento alla santità”; “Un’esperienza familiare di Chiesa”). Dopo la pausa per il pranzo, e la visita di alcuni spazi espositivi, alle 16.00 sono ripresi i lavori all’interno della Basilica. Don Mario Castellano, direttore dell’Ufficio Pastorale, ha fatto una lettura di sintesi di quanto emerso dalle riflessioni laboratoriali, completata dall’intervento finale dell’Arcivescovo. Come è consueto, alla fine del suo intervento, mons. Cacucci ha dato comunicazione delle nomine e dei trasferimenti dei sacerdoti e dei diaconi per questo nuovo anno: Presbiteri – Don Andrea Favale, parroco della parrocchia “S. Marcello” in Bari – Don Antonio Stizzi, vicario parrocchiale della parrocchia “S. Nicola” in Mola di Bari – Sem. Nicola Sicolo (VI anno), collaboratore presso la parrocchia “S. Agostino” in Modugno – Sem. Tommaso Genchi (VI anno), collaboratore presso la parrocchia “SS. Medici” in Bitonto – Sem. Giuseppe Capozzi (VI anno), collaboratore presso la parrocchia “SS. Sacramento” in Bari. Diaconi permanenti – Antonio Memmi, collaboratore presso la parrocchia “S. Marcello” in Bari – Pietro Tenerelli, collaboratore presso la parrocchia “S. Cuore” in Mola di Bari – Antonio Verzino, collaboratore presso la parrocchia “S. Maria delle Grazie” in Casamassima – Carlo Errico, collaboratore presso la parrocchia “S. Maria Assunta” in Grumo Appula – Domenico Palmisano, collaboratore presso l’Ospedale San Paolo in Bari – Francesco Sgovio, collaboratore presso l’Ospedale di Grumo Appula.

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Provviste Religiosi – Don Antonio D’Angelo, S.D.B., parroco della parrocchia “SS. Redentore” in Bari – Don Domenico Madonna, S.D.B., vicario parrocchiale della parrocchia “SS. Redentore” in Bari – Don Piotr Telega, S.D.C., cappellano moderatore al Politecnico di Bari – Don Paul Arockia Raj Chinnappan, S.D.C., vicario parrocchiale della parrocchia “Maria SS. Addolorata” in Bari – P. Antonio Genziani, S.S.S., parroco della parrocchia “S. Ottavio” in Modugno – P. Vincenzo D’Angelo R.C.J., parroco della parrocchia “Cuore Immacolato di Maria” in Bari (in sostituzione di p. Antonio Pierri) – P. Fulvio Procino c.s.s., parroco della parrocchia “Maria Santissima Immacolata” in Palombaio – P. Nicola Summo O.F.M.Cap., vicario parrocchiale della parrocchia “S. Fara” in Bari (in sostituzione di p. Piero Errico) – Madre Corpus Christi Beluchi O.S.B., Abbadessa del Monastero di S. Scolastica in Bari – Suor Chiara Crocifissa, Abbadessa del Monastero Santa Chiara in Mola di Bari. Altri Uffici – Don Giosy Mangialardi, assistente diocesano di AC. – Don Stefano De Mattia, assistente settore adulti AC. – Don Mario Diana, studente a Roma.

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Alle ore 17.00, con l’arrivo degli adolescenti, è iniziato il secondo momento di questa giornata assembleare, caratterizzato da giochi, concerti, testimonianze, e, a conclusione, dalla veglia di preghiera. don Carlo Cinquepalmi Direttore Ufficio Comunicazioni sociali


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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Fede e profezia in Aldo Moro*

Suppongo che abbiate chiesto a me di presentare qualche riflessione su Fede e profezia in Aldo Moro perché, pur appartenendo lo statista a tutta la storia d’Italia, ha avuto un rapporto speciale con la Puglia (è nato a Maglie, cittadina dell’arcidiocesi di Otranto, di cui sono stato Arcivescovo), e in particolare con Bari, sua città di adozione, dove si trasferisce appena diciottenne. È inizialmente la Chiesa di Bari il suo riferimento formativo spirituale. Proprio nel corso degli studi universitari, Moro inizia a frequentare il circolo barese della FUCI, presso la parrocchia Maria SS. del Rosario, in piazza Garibaldi, entrando nel Terz’Ordine Domenicano. La sintesi tra la sua esperienza di studioso e il suo impegno prima nella FUCI di Bari e poi a livello nazionale (sarà presidente al tempo in cui Mons. Montini era assistente) si incanalerà nella sua passione politica nella Democrazia Cristiana, sin dal 1945. Suo riferimento a Bari è stata una delle grandi figure della Chiesa dell’epoca, il mio predecessore Mons. Marcello Mimmi (che nasce a Castel San Pietro ed è stato il primo rettore del Seminario di Bologna voluto dal Card. Della Chiesa, futuro Benedetto XV). Delle frequenti visite di Moro alla mia parrocchia di origine, S. Giu*

Conferenza tenuta a Bologna in occasione del “Ferragosto a Villa Revedin”, il 13 agosto 2018.

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seppe in Bari, a motivo degli incontri che egli intratteneva, anche a livello spirituale, col mio parroco don Michele Schiralli, conservo un vivido ricordo. Mi permetterete anche il riferimento al legame di Aldo Moro con la casa editrice di mio zio, definito “l’editore di Moro”, e alle sue lezioni sul Diritto e lo Stato, pubblicate pochi mesi dopo la sua uccisione1, per gentile concessione della sua famiglia. ***

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«Io sono, come tanti altri, entrato nella DC con la spontaneità e l’entusiasmo di una scelta, più che politica, religiosa [...] Si era nell’ambito di quella che si chiamava la dottrina sociale della Chiesa, fondata sulla proprietà [...] con una precisa funzione sociale [...] . In quel fervore iniziale c’era più fede che arte politica e tale stato d’animo restò per molti a lungo». Sono queste le parole che Moro usa per tratteggiare l’avvio della sua militanza politica, ricordando l’entusiasmo del neofita che guarda in avanti e pensando che il futuro possa essere costruito solo con uomini che sono mossi da «una fede». È agli uomini ispirati da una fede, più che dal realismo politico, che Moro si affida nel tracciare i primi suoi interventi, nella fiducia che si apra un nuovo cammino verso quella che lui definisce «una nuova, più vera ed umana, concezione della vita e dell’attività politica», animata da «ideali semplici e buoni di umanità. Nella quale ciascuno assolva la sua missione nel mondo, sentendola grande sempre e creatrice di storia»2. Cosa intende Moro per fede? Fiducia in un ideale? Visione di un futuro di crescita e di sviluppo della società italiana, reduce da un sanguinoso conflitto, lacerata e impoverita nelle sue relazioni sociali ed economiche? Il riferimento di Moro alla fede è esplicito nel momento in cui richiama la dottrina sociale della Chiesa: si tratta della fede in Dio e quindi non solo di un riferimento politico o culturale. Mi piace riportare due ricordi che Agnese Moro ha lasciato del padre: «Un signore incontrato a Montecatini mi ha raccontato che, trovandosi nella chiesa di Santa Emerenziana a Roma, una mattina presto, per 1

Cfr A. MORO, Il Diritto – lo Stato. Lezioni di filosofia del diritto, Cacucci Editore, Bari 1978. A. MORO, Nuovi ideali, in Scritti e discorsi (1944-1947), a cura di G. Rossini, Cinque Lune, Roma 1982, vol. I, p. 9.

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO fare le prove con l’organo in preparazione di una celebrazione, aveva visto una persona in atteggiamento di profondo abbandono, quasi riverso sul banco. Ebbe l’impressione che si trattasse di un poveretto e gli posò accanto una moneta. In realtà era papà intento in preghiera. A Terracina mi hanno raccontato di una volta in cui, durante una gita alle isole Pontine, non aveva voluto niente da mangiare durante il viaggio; si è capito che, all’arrivo, lo attendeva la possibilità di fare la Comunione e per questo voleva restare digiuno»3. La preghiera e la comunione quotidiana lo hanno accompagnato fino alla fine. Una fede personalmente vissuta, che si incarna nella storia, senza trasformarsi in ideologia, e permette di raccogliere la sua eredità politica, è autentica profezia. Già nel gennaio ’45, Moro commenta così il discorso pronunciato da Pio XII in occasione del Natale ’44: «La libertà […] non è finzione di mistiche popolari ingannatrici, è invece sostanza di vita morale, peso di coscienti e lucide decisioni, di contributi da dare, di controlli da stabilire in vista del bene comune»4. *** Tenterò di raccogliere in tre obiettivi l’eredità di Aldo Moro, non separando la dimensione di fede dalla profezia, che ne è limpida conseguenza, con la consapevolezza che anche oggi tale eredità possa rivivere. Partirei dal primo degli obiettivi: come riallacciare i rapporti tra politica e mondi vitali della società? Intervenendo al XII Congresso della DC, all’inizio degli anni ’70, richiama i delegati a prestare massima attenzione a quanto sta avvenendo: «La liberazione in corso nella società moderna […] si esprime nella forte carica critica e innovatrice, portata dai giovani, dalle donne, dai lavoratori, da un’età cioè che è essa stessa avvenire e speranza»5. 3

AGNESE MORO, Un uomo così, RCS Libri, Milano 2003, p. 114. A. MORO, Orientamenti, in Scritti e discorsi cit., vol. I, p. 101. 5 A. MORO, Discorso al XII Congresso della Democrazia Cristiana, 6 giugno 1973, in Scritti e discorsi cit., vol. V, p. 3089. 4

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La lettura dei “segni dei tempi” sollecitata da Moro, di sapore evangelico (cfr Mt 16,3) e conciliare (cfr Gaudium et spes, n. 4), affonda le sue radici nell’ambiente culturale e teologico francese, caro a Montini (e alla FUCI), con particolare riferimento a Maritain e a teologi come Chenu e Congar. La crisi in atto è definita da Moro prima morale che politica6. Per Moro, quindi, è necessario realizzare una sorta di nuova “costituente”, non giuridica ma etico-culturale. Questo è possibile se si parte dal primato della società sullo Stato. La straordinaria attualità di questa visione rimanda a un lavoro giovanile di Moro, pubblicato su «Studium»: Al di là della politica, e alle sue lezioni di filosofia del diritto sul rapporto tra società e Stato. Moro – è noto – nega che possa farsi una distinzione tra società e Stato, in quanto ritiene che lo Stato sia società. Una società particolare, certo, che si dispiega nella storia per realizzare un ideale di giustizia. Per intendere lo Stato, occorre anzitutto riferirsi a questo ideale di giustizia. È vero che la giustizia come ideale non può essere compiutamente realizzata nella storia e che esiste una continua dialettica tra la società e la giustizia, tra una storia che ricerca la giustizia e una giustizia che tende a farsi storia. Ma come la giustizia può in qualche modo “incarnarsi” nella storia? Attraverso le istituzioni. Esse sono - dice Moro - i mezzi per realizzare la giustizia. Nel momento in cui sono in crisi le istituzioni, è in crisi la realizzazione della giustizia, è in crisi lo Stato come tendente ad attuare l’ideale di giustizia, è in crisi anche la società che attende di essere ordinata secondo giustizia. V’è un gran parlare oggi di crisi delle istituzioni, di crisi dello Stato, incapace talvolta a recepire i mutamenti della società. Ma credo occorra distinguere la crisi della gestione delle istituzioni dalle crisi delle istituzioni stesse. Non è possibile confondere le istituzioni con la gestione delle stesse. E se occorre cambiare, il mutamento non può corrispondere all’abbattimento di strutture fondamentali; va mantenuto quel che delle istituzioni è valido. Occorre cambiare il costume. “Al di là della politica” c’è la giustizia. Ci sono i valori sui quali tutti si ritrovano e tutti si devono ritrovare. La politica deve tornare ad essere contributo offerto alle istituzioni perché queste siano davvero strumento per il conseguimento del bene comune. 6

Come non richiamare le affermazioni, in tal senso, di Benedetto XVI nella Caritas in veritate (n. 32)?


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Il secondo obiettivo di Moro riguarda la rifondazione del popolarismo di ispirazione cristiana, adeguando l’originaria intuizione sturziana alla crescente maturità della riflessione e della prassi della Chiesa in tema di impegno politico dei cattolici. Moro ha tentato di far compiere alla DC un “salto di qualità” – come egli stesso lo definiva –, superando la vecchia concezione del “partito cattolico”, tramontata insieme al “regime di cristianità”, per aprirsi alla testimonianza e alla difesa dei valori cristiani in un contesto pluralistico e secolarizzato. Riporto un denso passaggio del discorso del 27 gennaio 1962 al Congresso della DC a Napoli, definito l’enciclica di Aldo Moro: «I valori morali e religiosi ai quali la DC si ispira e che essa vuole tradurre in atto il più possibile nella realtà sociale e politica, sono destinati ad affermarsi nella vita democratica del Paese [...], non secondo l’assolutezza propria di questi valori, ma nella lotta, nel dibattito, nelle gradualità ed incertezze proprie della vita democratica. Ciò dimostra il salto qualitativo che dati della coscienza morale e religiosa sono costretti a fare, quando essi passano ad esprimersi sul terreno del contingente, quando sono affidati ad una difesa sì efficace come è quella di un grande partito, ma con strumenti e modi propri della lotta politica. E ciò vale naturalmente in misura anche maggiore per quelle che sono propriamente applicazioni o specificazioni di quei valori, scelte concrete di ordine politico che evidentemente nessun cristiano si indurrebbe a ritenere del tutto estranee ai supremi valori della vita morale e religiosa, ma che obbediscono tuttavia alla legge di opportunità, di relatività, di prudenza che caratterizza la vita politica, che soprattutto risentono della necessità del confronto, si affermano nella misura in cui riescono a conquistare un maggior numero di consensi, si presentano su di un terreno comune con altre ideologie il quale non può essere quello proprio delle idealità cristiane e con un preciso e rigoroso criterio di verità»7. L’attualità di questo suo testamento è addirittura sorprendente, come il riferimento implicito alla visione sturziana, mentre oggi si 7 Discorso al Congresso della DC, 27 gennaio 1962, in A. MORO, L’intelligenza e gli avvenimenti (Testi 1959-1978), Garzanti, Milano 1979, p.64.

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discute di “coerenza” e di “efficacia” del servizio cristiano in politica; mentre i cattolici italiani (della cosiddetta destra e della cosiddetta sinistra) si accusano reciprocamente o di strumentalizzare o di svendere il “principio di sussidiarietà”, di essere lassisti o integristi nell’ispirare l’azione politica ai valori cristiani comuni in cui tutti crediamo. Al di là di legittime sensibilità diverse, rimane il fatto che anche questa eredità politica di Moro va raccolta e non può andare perduta. Con essa andrebbe perduto il patrimonio ideale di quel cattolicesimo democratico, che è stato decisivo nella costruzione e nella difesa del nostro Stato democratico8. E qui emerge il problema del rapporto tra verità e carità. «Soprat-tutto per i cristiani – afferma Moro – i quali hanno una fede, la democrazia potrebbe apparire un assurdo, se non fosse l’espressione più genuina della carità». Il cristiano, certo, possiede una verità, ma è soggetto all’imperativo dell’amore, di cui quella verità si nutre e, per questo amore, egli «può bene come dimenticare di possedere la verità, per fare della strada con coloro che cercano e non sanno di avere»9. Il suo intervento in Assemblea costituente del 13 marzo 1947 è limpido: «Il compromesso – afferma Moro – è come cedere parte della propria verità: la carità è come realizzare intera la propria verità». Qui si rivela l’autenticità della testimonianza cristiana. Con accenti diversi, Benedetto XVI e papa Francesco dedicano feconde riflessioni al rapporto tra verità e carità.

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Il terzo obiettivo corrisponde alla terza fase, quella del “compromesso storico”, che Moro teorizzava da tempo. Proprio la considerazione della democrazia parlamentare come della più alta sintesi tra libertà e pluralismo, tra solidarietà e giustizia, lo orienta verso quel “patto costituzionale” di una “democrazia compiuta”, non realizzata fino a quel momento a causa della trentennale contrapposizione ideologica tra DC e PCI. «È realistico e onesto riconoscere – scrive Moro su Il Giorno del 10 dicembre 1976 – che, al centro della riflessione, è il Partito Comunista, il problema dei rapporti da stabilire con esso. Questo è il tema di oggi […]. Potrebbero emergere da questa esperienza cose interessanti». 8

Cfr B. SORGE, Eredità politica di Aldo Moro, in «Aggiornamenti sociali» (1998), n. 5, pp. 1 sgg. A. MORO, Di fronte alla Costituente, in Al di là della politica e altri scritti, Ed. Studium, Roma 1982, p. 98.

9


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Il testamento politico di Aldo Moro si potrebbe ravvisare nelle riflessioni che padre Bartolomeo Sorge ha consegnato qualche tempo fa ai vescovi pugliesi (durante un incontro informale). Moro, secondo Sorge, aveva previsto il superamento del marxismo come ideologia, così come si è andato consumando dopo la caduta del muro di Berlino dell’89. La minaccia si fronteggia, secondo lui, solo «con l’impeto innovatore, la spinta democratica, la vocazione popolare». Non dimentichiamo il suo realismo, espresso durante la Conferenza di Helsinki, nell’indicare il ruolo decisivo dell’Europa per superare il bipolarismo Est-Ovest (anche questo preludio alla caduta del muro di Berlino). Non dimentichiamo che è il leader il quale ha inventato la “strategia dell’attenzione”, ponendo le basi del quadro che consente al PCI la presa di distanza da Mosca e la proclamazione dell’eurocomunismo di Berlinguer. Ma la sua critica non è meno spietata nei confronti del capitalismo. E questo spiega le diffidenze americane nei confronti del suo disegno politico (espresse particolarmente da Kissinger). La sua strategia politica di lungo periodo gli fa pronunciare, in quel discorso straordinario del 1968, la frase: «Tempi nuovi si annunciano»10. Nell’ottobre ’69 esprimerà la sua “utopia” all’Assemblea generale delle Nazioni Unite: «Stiamo per entrare in una nuova fase della storia. Di contro a sconcertanti e forse transitorie esperienze quello che solo vale e a cui bisogna inchinarsi è un nuovo modo di essere della condizione umana»11. A mio parere, la finanziarizzazione dell’economia ha segnato, un decennio fa, il crepuscolo del capitalismo, indicando “tempi nuovi”, di cui però non si scorge chiaramente l’avvio. Moro non ci ha lasciato ricette politiche. Affida un’eredità sorprendente ai cristiani e al servizio cristiano in politica.

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Discorso al Consiglio Nazionale della DC, Roma 21 novembre 1968, in L’intelligenza e gli avvenimenti cit., p. 223. 11 Per una pace integrale, Discorso alla XXVI Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, New York, 8 ottobre 1969, in Senato della Repubblica, Archivi on line, Fondo Aldo Moro, Discorsi e dichiarazioni del Ministro degli Affari Esteri Aldo Moro, anno 1969, UA 486.

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E se la fede ha illuminato e sostenuto la sua esistenza, fino all’esito finale, una ormai celebre omelia di don Giuseppe Dossetti nella Domenica di Pentecoste a Monteveglio, il 14 maggio 1978, ci aiuta a leggere la parabola finale della sua vita, dal rapimento all’uccisione ed oltre, attraverso il fluire liturgico del mistero pasquale12. Dossetti accosta Moro a La Pira. Lo statista pugliese aveva scritto alla moglie, affidandosi «alla volontà di Dio», avendo pregato molto La Pira. Dossetti riscrive la vicenda della cattura e della morte di Moro «in un ambito, in un andamento, per così dire liturgico». Mette in luce come il rapimento sia avvenuto a ridosso della settimana santa, «inizio della Passione del Signore». La prigionia coincide con la Settimana di Passione e con tutto il tempo pasquale fino all’ascensione: «meno di quarantotto ore dopo che noi avevamo celebrato il mistero dell’Ascensione egli è stato chiamato a comparire dinanzi al Signore». L’umana vicenda di Moro può essere letta come icona del mistero di Cristo. + Francesco Cacucci Arcivescovo di Bari-Bitonto

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12

Cfr G. DOSSETTI, Omelia di Pentecoste, 14 maggio 1978, in Omelie del Tempo di Pasqua, Ed. Paoline, Milano 2007, pp. 208-220.


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CURIA METROPOLITANA Cancelleria

1. Sacre ordinazioni, ammissioni, ministeri istituiti – Il 1° luglio 2018, XIII domenica del Tempo Ordinario, S.Ecc. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, durante una concelebrazione eucaristica da lui presieduta, con le legittime dimissorie del Ministro Provinciale, nella Basilica Pontificia Minore di S. Fara in Bari, ha ordinato diaconi, in vista dell’ordinazione presbiterale, fra Aliaksandr Astraushka, fra Gaetano D’Arcangelo e fra Reoland Marku, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini; – Il 9 settembre 2018, XXIII domenica del Tempo Ordinario, S.Ecc. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, durante una concelebrazione eucaristica da lui presieduta, nella parrocchia “Cattedrale” in Bari, ha istituito Lettori i candidati al Diaconato Permanente Michele Cassese, Antonio Ciani, Francesco Lo Buono, Nicola Lopez, Nicola Petruzzelli; e i sigg. Pietro Amico, Michele Antonino, Francesco Cascione, Carmine Clemente, Stefano Di Tondo, Francesco Erriquez, Giuseppe Gattolla, Michele Gattullo, Francesco Giura, Valter Mallardi, Ferdinando Nocerino, Nicola Simonetti, Carmine Soranno.

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2. Decreti arcivescovili S.Ecc. l’Arcivescovo, con decreto del – 1 luglio 2018 (Prot. n. 19/18/D.A.G.), ha rinnovato il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Bari-Bitonto, per la durata di cinque anni e così composto: Presidente sac. Michele Sardone, vice presidente sac. Marino Decaro, consiglieri: sac. Giuseppe Bozzi, sac. Alessandro Tanzi, ing. Vito Bellomo, dott. Michele Belviso, avv. Giuseppe Gironda, dott. Rocco Luisi e ing. Arcangelo Mastroviti. Ha rinnovato anche il Collegio dei Revisori dei Conti dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di BariBitonto, per la durata di cinque anni e così composto: Presidente dott. Rocco Saltino, consiglieri dott. Giuseppe Trotta e mons. Vito Nicola Manchisi. – 12 settembre 2018 (Prot. n. 40/18/D.A.G.) ha costituito il nuovo Tribunale Ecclesiastico dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto per la durata di cinque anni, nominando vicario giudiziale diocesano don Pasquale Larocca e giudici mons. Giacomo Giampetruzzi, padre Lorenzo Lorusso O.P. e il dott. Antonio Lia.

3. Nomine e decreti singolari

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S.Ecc. l’Arcivescovo ha istituito, in data – 1 settembre 2018 (Prot. n. 21/18/D.A.S.-I), don Antonio D’Angelo, S.D.B. all’ufficio di parroco della parrocchia “SS. Redentore” in Bari; – 1 settembre 2018 (Prot. n. 20/18/D.A.S.-I), don Domenico Madonna, S.D.B. all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “SS. Redentore” in Bari.


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CURIA METROPOLITANA Ufficio di Pastorale giovanile

L’incontro e il cammino

“Una festa di popolo che ha smosso i cuori e anche i pregiudizi di chi pensa sempre cose negative sui giovani e sulla Chiesa”, “abbiamo sperimentato ed esercitato l’arte dell’ascolto e del dialogo”, “ la tenda è stata un dono di Dio, un segno di comunione...”. Queste sono solo alcune delle considerazioni, alcuni dei pensieri che i giovani della nostra diocesi hanno trascritto a conclusione dei lavori della “Tenda dell’incontro”, che ha colorato le piazze e le strade delle nostre città nelle settimane dall’8 aprile al 12 maggio 2018. La tenda, un’occasione di confronto, un punto di ristoro, un’oasi nel deserto, la possibilità di ascoltarsi e di parlare, un luogo in cui cum venire, trovarsi insieme: giovani e adulti. 277 Ma perché proprio una tenda? L’idea della tenda ha origini lontane: fa riferimento alla tenda del convegno, che Mosè era solito piantare al di fuori dell’accampamento, dove erano custodite le tavole dell’alleanza e dove Dio scendeva e si fermava a parlare con Mosè faccia a faccia; ed è lì che ciascuno si recava per parlare al Signore, ciascuno con la propria fragilità, con il proprio bisogno di ascolto.


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La tenda, dunque, è stata simbolo di una parola accolta, di una carezza ritrovata, ha rappresentato la possibilità per i giovani e gli adulti di ascoltare e raccontarsi, è stata il segno di una storia che si offre all’altro nel racconto e nella testimonianza. La tenda è stata il mezzo attraverso il quale le comunità parrocchiali e vicariali si sono rincontrate per camminare nella storia insieme, è stata il luogo attraverso cui incontrare chi è più lontano e accorciare le distanze, il luogo in cui sentirsi famiglia, sentirsi casa, sentirsi Chiesa. Detta così, può sembrare che si stia parlando di una sorta di “tenda dei miracoli”, un luogo utopico in cui cercare rifugio. No, non è stata la tenda dei miracoli, che bastava gonfiare per risolvere ogni cosa, è stata piuttosto la tenda della semina e della fatica, della fatica che si incontra per scavare nella terra e inserirvi il seme buono. Le modalità attraverso le quali la tenda è diventata quanto detto prima, sono frutto di alcune direttive generali proposte dall’équipe di Pastorale Giovanile della nostra diocesi, rielaborate e riadattate per ognuna delle città e delle comunità che hanno poi ospitato la tenda nelle diverse settimane. È stato un lavoro che ha tenuto le équipe territoriali sveglie fino a tarda sera, che ha portato tanti progetti alti a scontrarsi con l’umanità della realtà e della burocrazia. È stato un lavoro fatto di vigilie e di entusiasmi, di sorrisi e di speranze, di aspettative spesso soddisfatte, altrettante volte superate oppure deluse. È stato un tempo pieno di lavoro, di ipotesi di idee, di comunione, di cantieri aperti a cambiare, a rinnovarsi, a rifare. Sono stati giorni, quelli della preparazione, in cui siamo stati a stretto contatto con i pastori delle nostre comunità: ci siamo confrontati con le loro idee, con le loro fragilità e le loro ricchezze, e loro si sono trovati faccia a faccia con le nostre. Ogni passo, ogni movimento è stato frutto di un’analisi e di una conoscenza, che non sarebbe stata possibile non lavorando braccio a braccio.

Le attività Il programma, le attività, gli incontri sono stati diversi a seconda del territorio; tuttavia lo schema della settimana seguiva degli appuntamenti fissi: la celebrazione eucaristica, la festa conclusiva e


CURIA METROPOLITANA il momento del World Cafè. Quest’ultimo, per dirlo parafrasando le parole di un poeta dei nostri giorni (Lorenzo Jovanotti), è stato davvero “sostanza dei giorni” della tenda. Si tratta di una tecnica utilizzata spesso anche per convention aziendali che consente di trattare diverse tematiche, è proprio il caso di dirlo, a tavolino: si parte da un tavolo che ha un tema preciso, lo si affronta, lo si analizza e si segna su una tovaglia di carta l’esito dell’analisi, dopodiché si passa ad un altro tavolo, altro tema, altra moderazione. A consentire lo scambio sono proprio i messaggi lasciati sulle tovaglie, le quali diventano esito pregnante di una discussione itinerante. Tra i temi trattati, quello che sembra avere forse lo slancio maggiore è il tema del sogno, un magazzino di speranza per giovani e adulti, che ben si inserisce nella traccia pastorale della nostra diocesi per l’anno 2017/2018 “Di generazione in generazione”. Giovani e famiglia, e si rincontra come bisogno primario dei giovani per andare avanti. La visione del sogno vissuto non come punto di distacco, ma come un “punto di partenza”, qualcosa che “dà senso alla vita”, che la completa e le dà vigore, accomuna le diverse generazioni che si sentono parte di un sogno più grande, fatto da qualcuno, che molti chiamano Dio, ma a cui molti altri hanno dato i nomi più disparati: destino, fato, volontà, etc... Al tema del sogno, e alla sua interreligiosità, si lega il motivo scatenante di questa corsa, di questa voglia di riscoprirsi, rianalizzarsi, di mettere i giovani al centro: il Sinodo dei giovani, «Un Sinodo dal quale nessun giovane deve sentirsi escluso! […] Il Sinodo è il Sinodo per e di tutti i giovani! I giovani sono i protagonisti. “Ma anche i giovani che si sentono agnostici?”. Sì! “Anche i giovani che hanno la fede tiepida?”. Sì! “Anche i giovani che sono lontani dalla Chiesa?”. Sì! “Anche i giovani che si sentono atei?”. Sì! Questo è il Sinodo dei giovani, e noi tutti vogliamo ascoltarci. Ogni giovane ha qualcosa da dire agli altri, ha qualcosa da dire agli adulti, ha qualcosa da dire ai preti, alle suore, ai vescovi e al Papa! Tutti abbiamo bisogno di ascoltare voi». Queste parole di Papa Francesco, che ha “spezzato” per la Chiesa durante la veglia di preghiera in preparazione alla XXXII Giornata mondiale della gioventù, creano ponti, danno speranza, per una

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Chiesa in crescita, in movimento, in cammino. Per una «Chiesa senza pareti e senza tetto, una Chiesa cioè aperta a tutti, capace di accogliere tutti, che sia “la fontana del villaggio”»1.

«Chi non rischia non cammina»

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Di questo camminare della Chiesa i giovani di tutte le diocesi italiane si sono fatti carico: hanno indossato gli scarponcini, messo il cappello sulla testa, lo zaino in spalla e hanno marciato verso Roma, come i tralci scomposti tornano per mille strade alla vite. Per mille strade, sì, perché una carovana come quella che si è composta questa estate per arrivare a Roma da tutte le diocesi italiane percorrendo i sentieri e le strade più disparate, probabilmente non avrà eguali. Rievoca i pellegrinaggi che i nostri padri hanno fatto nel corso di tutte le epoche, parla del popolo d’Israele in cammino verso la promessa di Dio, parla di un cammino fatto di uomini, che attraversano da generazioni la storia della fede, parla di un popolo di camminatori instancabili, di pellegrini sulle strade di tutta la terra. Apparentemente sembra non avere senso. Che senso ha percorrere chilometri e chilometri, sotto il sole e la pioggia, con il caldo cocente, quando basterebbe un’ora scarsa di aereo per ritrovarsi freschi e asciutti a Roma, ma «Camminare non è uno sport. Mettere un piede davanti all’altro è un gioco da bambini. Nessun risultato, nessun numero quando ci si incontra: il camminatore dirà quale strada ha preso, quale sentiero offre il miglior panorama, quale vista si gode da quel certo promontorio. […] camminando c’è un solo primato che conta: l’intensità del cielo, lo splendore dei paesaggi»2. Siamo così abituati a fare le cose nel minor tempo possibile, “prima ti laurei, meglio è”, “dai l’esame anche se non hai finito di studiare, metti che ti va bene, hai risparmiato tempo”, “ma perché perdi tempo a leggere il libro, guarda il film, fai prima”, “ci vediamo per un caffè, nella pausa pranzo però, non ho tempo, devo lavorare!”. Siamo così terrorizzati dall’idea di un tempo che possa sfuggirci di mano, che abbiamo perso la bellezza dell’incontro, la bellezza della ¹Da un’omelia di don Tonino Bello. 2 Frédéric Gros, Andare a piedi.


CURIA METROPOLITANA strada; abbiamo smesso di viaggiare in treno e di incollarci ai finestrini a guardare il paesaggio per assaporare poco per volta cosa ci aspetta a destinazione; viaggiamo, corriamo dietro a un tempo che ci sta mangiando. “Dobbiamo risparmiare il tempo”, dicono, ma poi per cosa? Che senso ha buttarsi sul finale di una storia senza averne vissuto l’intera vicenda? Come possiamo lasciarci toccare, permeare, invadere dall’Amore di Lui, se ce lo cerchiamo in piccole dosi monoporzione, per evitare di lasciarci prendere troppo? Ecco, il cammino è rinunciare alla fretta, è darsi tempo, è scardinare l’idea del “tempo che è denaro”, rompere gli argini delle cose da fare e tornare a respirare, è darsi il “via libera”. È dirsi: vivi, respira, perché la giovinezza non tornerà più, e non potrai più ardere dei suoi fuochi nell’età adulta; vivi, cammina e stàncati, fino a non avere più il fiato. Urla, canta, piangi, è il tuo tempo, è il tempo per te, che è qui e ora e nessuno potrà togliertelo.

La terra trapuntata di stelle Camminare ti mette faccia a faccia con te stesso, con le tue aspettative, che spesso possono essere deluse, perché il cammino non è solo cieli azzurri e paesaggi meravigliosi, il cammino è anche avere la pressione bassa e camminare anche per venti chilometri sotto il sole e il sudore che ti entra anche negli occhi, ma è una grazia costante, soprattutto quando hai come compagno di viaggio un maestro di stupore e bellezza come don Tonino Bello, che cammina a braccetto con i frati della tua terra e ai sacerdoti della diocesi, che hanno scavalcato i confini delle chiese e si sono “buttati” per le strade. Non è ricchezza da poco. Il bene è stato riversato sui marciatori senza misura, senza nessuna economia e l’odore del cammino e della fatica si è mescolato ai profumi belli delle vocazioni che si sono poste al nostro fianco sulla strada: seminaristi, frati, suore, sacerdoti, giovani, laici, adulti, uomini in ricerca di Dio attraverso i fratelli, che hanno finito per ritrovare se stessi sulla strada. Da Capurso a Molfetta a guidarci Maria, compagna di viaggio. Spesso

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nei giorni del cammino è stato sottolineato “da Maria partiamo e a Maria torniamo”, proprio alludendo all’impronta mariana dei santuari di partenza e di arrivo: il santuario della Madonna del Pozzo a Capurso e quello della Madonna dei Martiri a Molfetta; lei, come madre amorevole, ci ha lasciati camminare sulla storia di don Tonino e ha lasciato, silenziosa, che a parlare fossero i suoi figli. Con il passare dei giorni a delinearsi e a farsi più visibili sono state le orme di Cristo che si è reso vivo in mezzo a noi attraverso la figura di don Tonino, raccontata dai suoi testimoni. Attraverso le nostre gambe mi piace pensare che don Tonino abbia parlato, camminato, confessato, ascoltato, riso e cantato. Un cammino, quello che ha invaso di rumori campagne, paesi, strade, per riscoprirsi giovani che non hanno paura di “perdere tempo” e di prendersi tempo. – Un cammino che dal quattro al dodici agosto, ha portato un po’ di cielo sulla terra, che ci ha portati a Roma, da Papa Francesco, a gridare che i giovani ci sono e che si sentono parte della grande famiglia della Chiesa; – un cammino che non c’è bolla o vescica che tenga, all’arrivo in città si balla e si canta a squarciagola dimenticando la stanchezza; – un cammino che ha trapuntato di stelle il Circo Massimo; – un cammino che ha accolto un invito che è proprio di don Tonino “Uagliù sciamu!”, che è una richiesta a non mollare, a non lasciare la strada, a camminare incontro «ad un Dio infaticabile viandante per le strade della terra»3. per il Servizio diocesano per la Pastorale giovanile Annarita Cinquepalmi 282

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Don Tonino Bello, Lettera al “fratello marocchino”.


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CURIA METROPOLITANA Notti Sacre 2018 “Di generazione in generazione”

Notti Sacre 2018 ha chiuso i battenti il 30 settembre con un concerto del coro femminile del Teatro Petruzzelli di Bari, in una Cattedrale piena fino all’inverosimile. Possiamo affermare che il livello artistico raggiunto è molto alto, ne fa fede l’affluenza del pubblico e il suo ascolto attento nel seguire i vari eventi. Enumero alcuni dati positivi che ormai da nove anni stanno a significare il grande impatto che questa rassegna ha nel mondo artistico barese e non solo. Il coinvolgimento delle istituzioni musicali della città di Bari: il Teatro Petruzzelli, l’Orchestra sinfonica della Città Metropolitana di Bari, il Conservatorio “N. Piccinni”, l’Orchestra sinfonica di Lecce e del Salento. I programmi hanno evidenziato la ricerca di musiche nuove per la città di Bari; importante l’esecuzione da parte del Con-servatorio di Bari di una prima assoluta dell’oratorio Santa Ferma di Antonio Caldara, musicista della scuola napoletana. L’altro elemento importante della Rassegna è stato il coinvolgimento di giovani musicisti in duo con i propri genitori musicisti. Abbiamo scoperto dei veri talenti musicali che stanno proseguendo la propria formazione musicale con grande impegno e buoni risultati artistici. Queste loro presenze le abbiamo chiamate “opening concerto”, in quanto precedevano i concerti serali degli adulti.

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Anche quest’anno, come gli anni passati, l’ensemble vocale “Florilegium Vocis” e l’orchestra barocca Santa Teresa dei Maschi ci hanno deliziato con una esecuzione meravigliosa del Messia di Haendel. Anno dopo anno il maestro Manzo ci presenta dei capolavori assoluti di musica barocca, partiture mai ascoltate per intero nella città di Bari. Un’altra serata interessante e applaudita ci è stata offerta dal maestro Donato Falco e dal “Nova Artistudium Ensemble”: l’esecuzione della “Buona novella” di Fabrizio De Andrè. Sono risuonate nella chiesa del Gesù quelle stupende melodie e i testi dei vangeli apocrifi intrisi di umanità e sofferenza. Siamo anche molto attenti a non dimenticare i nostri musicisti scomparsi in questi ultimi decenni. La Rassegna è stata aperta con la celebrazione dell’arcivescovo mons. Cacucci, durante la quale sono state eseguite musiche di don Minerva, don Sanseverino Gramegna e la messa “Odegitria” composta dal maestro Ottavio De Lillo. Un concerto nella chiesa della Vallisa ci ha condotto per mano a scoprire sonorità provenienti dall’Etiopia con l’artista Fasika Hailu e il suo strumento tipico, il Krar. L’associazione “Il vello d’oro” ha ricordato due nostri poeti, Vito Maurogiovanni e Luigi Angiuli, presentando due lavori molto apprezzati dal pubblico. Anche il Premio internazionale “Notti Sacre 2018” ha sviluppato il tema della figura femminile; 30 artisti italiani e provenienti anche da altre nazioni, hanno esposto nella chiesa di S. Teresa dei Maschi i loro quadri. Questo premio, giunto al quarto anno, sta ottenendo un buon riscontro, uscendo fuori dai confini nazionali. Vorrei anche menzionare la collaborazione con l’Acquedotto Pugliese, grazie alla presenza del dottor Scrimieri, direttore delle risorse umane, che offre questi spettacoli ai propri dipendenti, preoccupandosi anche di una loro educazione al bello e all’arte. Insomma, tutti gli aspetti di questa iniziativa sono positivi: i programmi, gli artisti, il pubblico, le chiese, realizzano un insieme vincente e valido. L’ultima settimana di settembre nelle chiese di Bari Vecchia si offre la possibilità di assistere ad eventi artistici che animano le strade, creando un’atmosfera quasi magica che non ha niente da invidiare ad altre città europee. E bisogna sottolineare che


CURIA METROPOLITANA anno dopo anno fra il pubblico aumentano le presenze di stranieri, sempre desiderosi di buona musica e positivamente sorpresi delle nostre storiche chiese. Vorrei ancora sottolineare che questa è una iniziativa diocesana, non privata; la presenza dell’Arcivescovo ai vari eventi sta a significare il coinvolgimento totale della nostra Chiesa barese; infatti si tratta di esperienze e cammini di vera evangelizzazione attraverso l’arte e la musica in particolare. Anche la collaborazione delle varie Confraternite del centro storico ci aiuta a guardare al futuro con più speranza e fiducia. Allora, un arrivederci al 2019, sempre l’ultima settimana di settembre, con arte, musica, pensiero, preghiera, spettacolo. don Antonio Parisi direttore Ufficio Musica sacra

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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Presbiterale Diocesano

Verbale della riunione del 19 aprile 2018

Il giorno 19 aprile 2018, alle ore 9.30, presso il salone della Casa del Clero in Bari, si è riunito il Consiglio Presbiterale diocesano, convocato e presieduto dall’Arcivescovo mons. Francesco Cacucci. Sono presenti: mons. Domenico Padovano, vescovo emerito di Conversano-Monopoli, il vicario generale mons. Domenico Ciavarella e i vicari episcopali: don Vittorio Borracci, don Andrea Favale, mons. Alberto D’Urso e padre Luigi Gaetani, O.C.D. Sono assenti: don Gaetano Coviello, don Emanuele De Astis, mons. Domenico Falco, don Nicola Laricchia, mons. Angelo Latrofa, don Carlo Lavermicocca, mons. Vito Manchisi, don Sigismondo Mangialardi, don Vito Piccinonna, don Alessandro Tanzi, p. Nicola Bollino, R.C.J., p. Filippo D’Alessandro, O.F.M., p. Giovanni Distante. O.P. All’ordine del giorno: 1. Confronto e valutazioni nell’esperienza della “Tenda dell’incontro”, in prospettiva del 2 giugno 2018, a cura dell’Ufficio Pastorale, dell’ Ufficio Famiglia e dell’Ufficio di Pastorale giovanile. 2. Don Michele Sardone presenta in sintesi la situazione dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento Clero. Votazione della terna da presentare all’Arcivescovo per il rinnovo dell’incarico di Presidente dell’Istituto.

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3. Varie ed eventuali. Dopo la preghiera dell’Ora Media viene data lettura del verbale della riunione del 18 febbraio 2018. Il Consiglio approva il verbale all’unanimità.

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1. Si passa dunque al primo punto all’o.d.g. L’Arcivescovo invita don Michele Birardi, direttore dell’Ufficio di pastorale giovanile, a raccontare l’esperienza della “Tenda dell’Incontro”, finora svolta nei vicariati. Don Michele rileva la positività di questa esperienza, in quanto attorno alla tenda si è radunata una comunità intera che si è interrogata circa alcune tematiche riguardanti il rapporto tra le generazioni. Tra le varie esperienze don Michele sottolinea l’iniziativa del V e del XII vicariato che ha posto la propria tenda, per una giornata, presso il Politecnico di Bari, nei pressi della cappella universitaria. In questa giornata, sottolinea don Michele, si sono avvicinati circa 2000 giovani, che si sono confrontati con i loro coetanei e gli adulti, aprendo spazi di riflessione e prospettive; dappertutto, continua don Michele, si è avuta la percezione di una chiesa in fermento. L’Arcivescovo chiede ai componenti del Consiglio di raccontare la loro personale esperienza della “Tenda dell’incontro”. Seguono alcuni interventi: Viene fatto notare come ci sia stata tanta collaborazione e entusiasmo nel lavorare insieme tra giovani e adulti. Si sottolinea la positività di questa esperienza in quanto ha permesso ai sacerdoti, ai consacrati, agli adulti e ai giovani delle comunità parrocchiali di uscire dai soliti luoghi, schemi e linguaggi, per evangelizzare. Si evidenzia come il tempo liturgico pasquale, con la lettura degli Atti degli Apostoli, sia molto indicato per questa esperienza, che ha richiesto una grande capacità di interagire con la realtà del territorio. Si sottolinea l’iniziativa di alcuni sacerdoti giovani, insegnanti di religione, che hanno portato le loro classi nel luogo dove era situata la tenda, facendo interagire tra loro i giovani. Si invita a non porgere l’attenzione solo alla settimana della “Tenda dell’incontro”, ma a tutta la preparazione vissuta per quella settimana, che ha visto dialogare e confrontarsi insieme giovani e adulti in maniera positiva e costruttiva.


CONSIGLI DIOCESANI Viene notato come ci sia stata difficoltà a far interagire tra loro le generazioni. Si sottolinea come l’aver lavorato molto bene insieme, all’interno del vicariato, abbia innescato un processo molto positivo, che si potrà sviluppare nel tempo. Si invita a vedere in questa esperienza più che un metodo, uno stile: quello dell’ascolto reciproco e dell’attenzione al territorio. Si evidenzia come in alcuni giovani si siano notate alcune resistenze e chiusure per questa iniziativa; ci sono giovani generosi e laboriosi in ambito parrocchiale; ma talvolta fuori da questo contesto si diventa anonimi. Pertanto si sottolinea che questo tipo di esperienze stimolano efficacemente i giovani e le comunità parrocchiali. L’Arcivescovo ringrazia tutti per gli interventi e invita i presbiteri, con le proprie comunità, a lasciarsi condurre dallo Spirito, abbandonando ogni tipo di chiusura clericale. L’Arcivescovo introduce l’altro aspetto del primo punto all’ordine del giorno, specificando che l’incontro del 2 giugno non vuole essere tanto il tentativo di affrontare una tematica in maniera particolare, quanto l’opportunità di far rifluire e confluire i contributi emersi nei vicariati durante la settimana della “Tenda dell’incontro”; in virtù di questo, ricorda a tutti la grande importanza del lavoro fatto all’interno del vicariato. L’Arcivescovo invita poi don Mario Castellano, direttore dell’Ufficio pastorale, a prendere la parola per riferire di una proposta che è stata elaborata in collaborazione con l’Ufficio di pastorale famigliare e giovanile. Don Mario afferma che il convegno del 2 giugno è il momento culminante e riassuntivo di un cammino che è stato caratterizzato da alcuni appuntamenti significativi per la nostra Chiesa diocesana: – il pellegrinaggio giovani e famiglie da Capurso a Noicattaro; – la giornata diocesana per gli operatori pastorali, che ha visto convergere quasi la totalità degli uffici di curia e seicento operatori pastorali; – la visita pastorale dell’Arcivescovo ai vicariati; – il pellegrinaggio all’Odegitria, che ha visto un’affluenza considerevole.

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Questo cammino culminerebbe nel convegno-festa che si è pensato di vivere per l’intera giornata di sabato 2 giugno. Il luogo scelto per il convegno è la basilica “Santi Medici” in Bitonto, che permette di avere un’ aula liturgica molto grande adatta ad un’ampia partecipazione. Al mattino si è pensato di individuare un relatore che possa aiutare l’assemblea nella riflessione e nella lettura dei dati emersi nei vicariati durante la settimana della “Tenda dell’ incontro”. Nel pomeriggio si è pensato di creare dei tavoli di confronto sulle tematiche che i vicariati stanno affrontando durante le settimane. Nel tardo pomeriggio è previsto l’arrivo dei giovanissimi. In serata si vivrà una veglia di preghiera nella piazza “Santi Medici” e la giornata si concluderà con un momento di festa coinvolgendo i gruppi giovanili che stanno animando le tende dell’incontro, in modo tale che i giovani non si sentano solo dei destinatari, ma vivano la giornata da protagonisti. L’Arcivescovo invita il Consiglio a esprimersi su questa proposta per definirla e completarla meglio. Seguono alcuni interventi. Si chiede che ci si confronti su alcune tematiche quali la denatalità, la migrazione dei giovani universitari baresi, il lavoro, la sofferenza. Si chiede inoltre che venga invitato un relatore che aiuti l’assemblea a leggere l’esperienza della “Tenda dell’incontro”. Si chiede di iniziare il momento assembleare con un annuncio kerigmatico che possa dare senso e forza alla discussione e alle prospettive che scaturiranno dai tavoli di lavoro del pomeriggio. Emerge la domanda sui destinatari di questo convegno. Si sottolinea come il convegno debba essere un’esperienza di sintesi; per questo è necessario invitare un relatore che sappia fare una lettura dell’esperienza della “Tenda dell’incontro” con il materiale che gli sarà messo a disposizione dai vicariati. Viene espressa qualche perplessità sulla necessità di invitare un relatore che legga l’esperienza della “Tenda dell’incontro”; si chiede, piuttosto, di creare dei tavoli di lavoro nei quali si possa riflettere sulle tematiche inerenti il rapporto tra le generazioni. Si chiede che a fare sintesi dell’esperienza della “Tenda dell’incontro” non sia un relatore esterno ma una persona che già conosce la realtà diocesana e che ha lavorato per la realizzazione di questa iniziativa.


CONSIGLI DIOCESANI L’Arcivescovo ringrazia per gli interventi e ricorda che il convegno si inserisce in un cammino diocesano, nel quale si è messo in evidenza l’incontro intergenerazionale tra giovani e adulti, per consolidare uno stile pastorale. Ritiene che si possa fare una riflessione ecclesiologica, alla base delle riflessioni pastorali concrete. Partendo, dunque, dall’icona della comunità dei discepoli, che all’alba della risurrezione hanno cominciato a vivere la tensione di comunione e missione, chiede che come momento iniziale del convegno possa essere fatta una lettura, a mo’ di lectio, sugli Atti degli apostoli da fratel Sabino Chialà, monaco di Bose. L’Arcivescovo comunica che ai lavori del convegno sono invitati tutti i sacerdoti, diaconi, consacrati, operatori pastorali e fedeli laici. Il Consiglio approva all’unanimità la proposta. 2. Si passa dunque al secondo punto all’o.d.g. Don Michele Sardone presenta in sintesi la situazione dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento Clero. L’Arcivescovo ringrazia don Michele per il suo intervento. Si procede alla votazione per eleggere la terna da presentare all’Arcivescovo per il rinnovo dell’incarico di Presidente dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero. Ogni membro del Consiglio Presbiterale può indicare fino a tre nomi sulla scheda. La votazione ha avuto il seguente risultato: – Votanti: 33 – I 5 più votati risultano essere: 1) don Michele Sardone 2) don Marino De Caro 3) don Giuseppe Bozzi 4) don Franco Lanzolla 5) don Marino Cutrone Terminata la discussione sui punti all’o.d.g., seguono alcune comunicazioni: L’Arcivescovo comunica di aver inviato al Santo Padre, secondo le

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norme canoniche, le sue dimissioni dall’incarico di Arcivescovo di Bari-Bitonto per raggiunti limiti d’età. Comunica inoltre che sua intenzione è di rimanere ad abitare a Bari presso gli appartamenti situati nella parrocchia del Sacro Cuore, lasciando alla diocesi la sua casa, ricevuta in eredità dai genitori. La riunione si conclude alle 12.45 con la preghiera del Regina Coeli. Il Segretario CPD sac. Pierpaolo Fortunato

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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Pastorale Diocesano

Verbale della riunione del 22 marzo 2018

Il giorno 22 marzo 2018, alle ore 19,00, presso l’aula magna della Casa del Clero in Bari, si è riunito il Consiglio Pastorale Diocesano, convocato e presieduto dall’Arcivescovo, mons. Francesco Cacucci, per discutere il seguente ordine del giorno: – riflessione teologico-pastorale sul Consiglio Pastorale Diocesano; – costituzione della Segreteria; – varie. Risultano assenti giustificati: mons. Alberto D’Urso, mons. Angelo Latrofa, mons. Vito Manchisi, don Paolo Bux, don Michele Camastra, don Marino Cutrone, don Francesco Gramegna, don Donato Lucariello, fr. Vincenzo Giannelli O.F.M. Conv., sr. Anna Rizzuto, sig. Nicola Costantino, sig.ra Cristina Cutrone, sig.ra Rosanna D’Aprile, sig. Giuseppe Gabrielli, sig. Vito Giannelli, sig. Mario Intini, sig. Luca Quaranta, sig.ra Rosa Scardicchio. Il Consiglio ha inizio con la preghiera e l’introduzione del direttore dell’Ufficio Pastorale, don Mario Castellano, che dà lettura del decreto di costituzione del Consiglio Pastorale (prot. n. 07/18/D.A.G) e illustra la composizione del Consiglio invitando tutti i membri a vivere con responsabilità, impegno, assiduità l’incarico ricevuto portando ognuno la propria esperienza ecclesiale.

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1. Dopo questa breve introduzione, l’Arcivescovo interviene sul primo punto all’ordine del giorno. Preliminarmente, saluta il Consiglio Pastorale ringraziando tutti per la disponibilità a vivere questa esperienza di Chiesa; ringrazia coloro che ne hanno fatto parte nel quinquennio precedente, in modo particolare saluta e ringrazia il segretario uscente prof. Antonio Colagrande per il prezioso lavoro svolto. Sottolinea, con vivo compiacimento, di aver voluto costituire il nuovo Consiglio con una importante presenza giovanile: tale scelta si colloca nel desiderio di rendere la presenza giovanile negli organi di partecipazione un elemento strutturale nell’ambito della nostra Chiesa diocesana. Evidenzia anche la scelta di ripristinare nella Curia Arcivescovile l’Ufficio Pastorale cui ha affidato il compito di coordinare i lavori del Consiglio Pastorale. L’Arcivescovo, innanzitutto, ripercorre l’esperienza del Consiglio Pastorale in diocesi ricordando che la Chiesa di Bari è stata la prima ad aver costituito un Consiglio Pastorale ad opera di mons. Nicodemo, che istituì l’Ufficio Pastorale Diocesano. L’Arcivescovo prosegue richiamando il cammino che la Chiesa diocesana ha vissuto nella prima parte dell’anno: l’assemblea diocesana a settembre, il pellegrinaggio famiglie e giovani nel mese di ottobre, il rinnovo dei consigli vicariali e il percorso in atto con l’esperienza della peregrinatio della tenda dell’incontro e il convegno finale previsto per il mese di giugno. Evidenzia, quindi, l’importanza della qualità della vita pastorale che è soprattutto dettata dalla presenza di tutte le realtà e dal rapporto tra le generazioni. Padre Arcivescovo prosegue la sua riflessione soffermandosi sulla visione conciliare della Chiesa e prendendo a riferimento la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II Lumen Gentium. A partire dalla struttura della costituzione, egli rileva come si è partiti dal mistero della Chiesa per giungere al capitolo sul popolo di Dio, sottolineando l’esperienza della Chiesa di popolo che ha come elemento costitutivo la missionarietà. Evidenzia alcuni rischi sempre presenti nell’esperienza ecclesiale: intendere la Chiesa come istituzione ben organizzata e non come esperienza di comunione sotto l’azione dello Spirito. L’Arcivescovo sottolinea come la responsabilità del popolo di Dio precede quella della gerarchia e, riportando le parole di papa Paolo VI, ricorda che la «Chiesa è esperta in umanità»; per cui sottolinea l’importanza della presenza


CONSIGLI DIOCESANI laicale nella vita della Chiesa. A tal proposito ricorda figure come quella di Aldo Moro, di cui quest’anno ricorre il 40° della morte, che ha saputo comprendere la realtà e percorrere scelte concrete vissute nella responsabilità personale pur attingendo da un vissuto di fede e ecclesiale. Invita pertanto tutti, laici e sacerdoti, a crescere come Chiesa sapendo che non sono i ruoli a essere determinanti ma vivere a pieno l’esperienza della comunione che si nutre di confronto, passando quindi da una visione individualistica e clericale alla visione conciliare della Chiesa che è «il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). In questa prospettiva conciliare, padre Arcivescovo sottolinea come nella Chiesa le strutture visibili, e quindi anche l’esperienza del Consiglio Pastorale, sono mezzo di salvezza e l’esperienza della comunione trinitaria determina la spinta missionaria. L’Arcivescovo conclude il suo intervento con un appello a vivere «l’amore e la passione per la Chiesa» sentendo la responsabilità di tutta la Chiesa, sentendoci a servizio della Chiesa insieme, laici, sacerdoti e diaconi, vivendo questa esperienza nel confronto, nel dialogo, nel rispetto ma sentendoci sempre parte di un unico corpo. 2. Il direttore dell’Ufficio Pastorale ringrazia l’Arcivescovo per aver tracciato il percorso che come Consiglio pastorale diocesano siamo chiamati a vivere e, prima di aprire il dibattito, invita i consiglieri a esprimere il proprio voto per l’elezione dei membri della segreteria. Si procede alla nomina del seggio elettorale che è costituito da tre consiglieri: Francesco De Nicolò, Giuseppe Panzarini e Rossana Ungolo. Si procede a raccogliere le disponibilità dei consiglieri all’elezione a membro della segreteria. Risultano candidati: Filomena Paltera, Annalisa Rossiello, Chiara Barile, Giovanna Reali, Vito Panniello, Rocco Mennuti, Nunzio Locorriere, Antonello Sisto, Lucy Scattarelli, Vincenzo Mascello. Si procede con la votazione a scrutinio segreto su apposita scheda. Risultano eletti membri della Segreteria: Vito Panniello con 38 voti, Chiara Barile con 38 voti, Rocco Mennuti con 28 voti; avendo

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riportato Annalisa Rossiello e Gianna Reali entrambe 26 voti, l’Arcivescovo, in deroga allo Statuto, stabilisce che i membri della segreteria saranno cinque invece di quattro. 3. Il direttore dell’Ufficio Pastorale invita il segretario uscente, prof. Colagrande, a illustrare al Consiglio Pastorale i risultati della verifica conclusiva del Consiglio uscente, come riportata nel verbale dell’ultima seduta del 10 maggio 2017, allegato alla lettera di convocazione dell’incontro odierno. Il prof. Colagrande illustra i dati riportati e sottolinea come l’esperienza vissuta sia stata un’esperienza di Chiesa, di famiglia e amicizia. In modo particolare si sofferma sul dato poco confortante della partecipazione dei laici eletti in consiglio che nel tempo ha registrato una flessione. Riporta quanto già evidenziato nel consiglio precedente su questo punto, con l’invito ai vicari zonali a svolgere un ruolo di accompagnamento dei laici in questa esperienza. Al termine di questo intervento, l’Arcivescovo nel ringraziare ancora il prof. Colagrande per l’impegno profuso per rendere il Consiglio pastorale un luogo partecipato e vitale, rinnova l’invito ai consiglieri a vivere in pienezza questa esperienza Chiesa. Al termine della seduta, la segretaria del Consiglio, nel riprendere l’appello ultimo dell’Arcivescovo a nutrire l’amore e la passione per la Chiesa, invita tutti a vivere l’esperienza del Consiglio pastorale come il luogo in cui condividere e realizzare il desiderio comune di una Chiesa bella segno visibile della presenza di Gesù. Il Consiglio si conclude alle ore 21.00 con la preghiera. 296

La segretaria del Consiglio pastorale diocesano Michela Boezio


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PUBBLICAZIONI Pier Giorgio Taneburgo

L’ecumenismo delle radici Prefazione di Brunetto Salvarani a L’ecumenismo delle radici. Cristiani ortodossi ed ebrei: storia dei rapporti, prospettive di dialogo Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano (Verona) 2017 INDICE: Prefazione di Brunetto Salvarani Introduzione Parte Prima La documentazione ufficiale del dialogo tra cristiani ortodossi ed ebrei (1972-2016) Dichiarazioni e comunicati dopo i Colloqui Dichiarazioni ufficiali da parte di cristiani ortodossi Interventi vari di cristiani ortodossi Parte seconda Quadro storico-teologico delle relazioni fra ortodossi ed ebrei Parte terza Ortodossi ed ebrei nella diaspora Conclusione Nodo biblico Nodo mitologico-letterario Nodo teologico-liturgico Nodo storico-geografico Nodo di grazia: unità e carismi Repertorio bio-bibliografico Sigle e abbreviazioni Bibliografia Sitografia Indice dei nomi

Da parecchi anni assistiamo a un boom d’interesse, in Italia, per l’e-

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braismo e la cultura ebraica nelle sue variopinte sfaccettature. Questo, si badi, a dispetto della scarsa presenza di ebrei (il cui numero non raggiungerebbe i trentamila, con appena ventuno comunità, di cui nessuna a sud di Napoli). I segnali spaziano dalla passione letteraria per l’epopea yiddish di I.B. Singer, quella mitteleuropea di J. Roth e quella israeliana del trio Oz-YehoshuaGrossman, al favore per le performance teatrali di un Ovadia e le installazioni artistiche di Lele Luzzati; dai festival su folklore, musica e cucina fino alla celebrazione della Giornata della memoria il 27 gennaio dal 2001, e di quella per la valorizzazione del patrimonio ebraico nel primo week-end di settembre dal 2000. Potremmo dire che, oltre al debito verso il grande codice biblico, ci stiamo rendendo conto di come le radici profonde della nostra modernità affondino ampiamente nel pensiero e nella visione del mondo d’Israele. A fronte di tale scenario, qui appena sintetizzato, ci si dovrebbe stupire constatando quanto poco sia penetrata nel tessuto delle nostre comunità la dimensione del dialogo con gli ebrei e l’ebraismo, cui pure esorta lo straordinario quarto paragrafo della dichiarazione cattolica Nostra Aetate! Probabilmente, il motivo principale di tale difficoltà è che la provocazione di Israele alle chiese solo apparentemente riguarda un aspetto specifico delle chiese stesse, i loro rapporti con Israele. Se si va oltre le apparenze, infatti, occorre riconoscere che essa mette in discussione tutta la Chiesa, la sua autocomprensione e persino la sua dimensione missionaria. E c’è chi ritiene, al riguardo, che la forma più sottile di antiebraismo persistente fra i cristiani sia il considerare l’area dei rapporti ebraico-cristiani come un’area specialistica e limitata della fede cristiana. La riflessione, è facile intuire, ha un’enorme portata. L’ha inteso bene il cardinal Martini, che oltre tre decenni orsono si era spinto ad avvertire come, dopo il concilio, il tema delle relazioni ebraico-cristiane si fosse fatto decisivo per il futuro della Chiesa: «La posta in gioco non è semplicemente la continuazione vitale di un dialogo, bensì l’acquisizione della coscienza, nei cristiani, dei loro legami con il gregge di Abramo e le conseguenze che ne derivano per la dottrina, la disciplina, la liturgia, la vita spirituale della Chiesa e addirittura per la sua missione nel mondo d’oggi». L’autorevole teologo riformato Karl Barth, agli inizi degli anni Sessanta, in visita a Roma al Segretariato per l’unità dei cristiani, si


PUBBLICAZIONI esprimeva nei seguenti termini: «Esiste, in ultima analisi, un solo grande problema ecumenico: quello delle nostre relazioni con il popolo ebraico». In una cornice ai suoi occhi già consolidata, che l’aveva portato a dichiarare, nel pieno della seconda guerra mondiale, che «l’antisemitismo è un peccato contro lo Spirito santo». Lo stesso cardinal Bea, autentico architetto della citata Nostra Aetate, ammetterà, durante il dibattito conciliare, inserendo la prospettiva della Shoà fra le ragioni impellenti che imponevano finalmente uno sguardo nuovo da parte dei cristiani: «Il bimillenario problema, vecchio come il cristianesimo stesso, delle relazioni della Chiesa con il popolo ebraico, è stato reso più acuto, e si è imposto quindi all’attenzione del concilio ecumenico Vaticano II, soprattutto per lo spaventoso sterminio di milioni di ebrei da parte del regime nazista in Germania». Mentre il neotestamentarista ebreo Pinchas Lapide coglierà uno stretto collegamento fra la riscoperta ebraica della figura di Gesù e l’esperienza della Shoà: «Solo dopo Auschwitz, da parte dei cristiani si torna, per così dire, a riumanizzare Gesù, e precisamente spostando l’accento sul vere homo, sull’uomo vero, in un’epoca nella quale così pochi bipedi sono uomini veri; Gesù diventa così un uomo ideale. E presso gli ebrei egli ora esce dall’inferno della polemica, che ha caratterizzato l’intero medioevo, per fare ritorno all’ebraismo della sua patria. Il fratello Gesù viene finalmente riportato a casa sua come compagno, come connazionale e consanguineo – tutte operazioni queste che non è difficile ricavare dalla lettura dei vangeli – anzi persino come sionista e compagno di lotta». Toni accorati da parte di questo coraggioso autore, che segnalano in ogni caso un cambio di registro rispetto al passato, almeno da parte di alcune élites ebraiche. In realtà va detto con la dovuta parresia che, nonostante le ripetute condanne dell’antisemitismo dopo la fine della seconda guerra mondiale da parte di vari organismi e assemblee ecclesiali, in realtà, studiando bene simili documenti, la presa di coscienza dei cristiani si presentò all’inizio ancora piuttosto superficiale, e non produsse una riflessione veramente approfondita sulle loro responsabilità vicine e remote nel tempo. Mentre appare indicativo il fatto che

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nella Confessione delle nostre colpe dell’ottobre 1945, votata dal Consiglio delle Chiese evangeliche a Stoccarda, non ci sia neppure un accenno della tragedia degli ebrei. Sarà solo con il trascorrere degli anni che, seppure lentamente, la coscienza cristiana procederà nella consapevolezza della centralità strategica di un fare memoria affinché non abbia più a rinnovarsi un dramma simile; ma soprattutto della necessità del riconoscimento delle colpe, anche dei cristiani e del loro antigiudaismo costitutivo, al riguardo. In questo scenario, qui ripercorso appena per sommi capi, è necessario ammettere che la cultura teologica italiana, nel suo inveterato provincialismo, ha ben poco riflettuto, sinora, sullo sguardo che le altre chiese, rispetto a quella cattolica, hanno avuto verso gli ebrei e l’ebraismo, nell’orizzonte del dopo-Shoà. È per questo motivo, e non solo per questo, che occorre essere grati alla certosina ricerca di padre Pier Giorgio Taneburgo, che si occupa qui del rapporto, accidentato e complesso, fra le chiese ortodosse e l’ebraismo, sondando piste – per l’appunto - largamente sconosciute alle nostre latitudini. Lo legge in una chiave cruciale, quella dell’ecumenismo delle radici, consentendoci di avvicinarci a una gran mole di documenti che ben poco circolano in Italia, ma forse potremmo dire in Europa, giungendo fino al recente Concilio panortodosso (giugno 2016). E lo fa, inoltre, fornendo un ottimo quadro storico-teologico delle relazioni fra cristiani ortodossi ed ebrei, utile per cogliere ancor meglio le trame sconosciute ai più di rapporti fecondi quanto vitali fra l’esicasmo e la teologia della berakà, la Filocalia e la spiritualità chassidica (per fare solo qualche esempio). Leggendo le pagine che seguono, non si potrà che convenire con l’assunto secondo cui, in assenza di un continuo riferimento alla radice d’Israele, i cristiani rischiano di trovarsi come il sale che ha perso il proprio sapore (cfr Mt 5, 13). Una radice però che non è solo residuo del passato, ma protagonista del presente e proiettata sul futuro. Forse la via migli0ore per tornare a quella radice e per riacquistare il sapore smarrito è quella di percorrere, col dovuto rispetto, il cammino dell’incontro, ancor più che del dialogo (esigenza certo più cristiana che ebraica: è il tema dell’asimmetria del dialogo), prendendo le mosse da Gesù di Nazaret, rabbi Yehoshua ben Yussef, ebreo in tutto e per tutto e in quanto tale avvicinabile sia dagli ebrei sia dai cristiani, ciascuno secondo la propria strada, e ciascuno conser-


PUBBLICAZIONI vando la propria specificità . «Naturalmente non si può pretendere – ha detto una volta al riguardo Paolo De Benedetti, nostro maestro scomparso da poco – che dopo quasi duemila anni di incomprensioni e persecuzioni gli ebrei siano pronti a questo nuovo incontro: perciò qualche volta il dialogo con l’ebraismo è possibile, qualche altra no. Per questo io non sono favorevole all’espressione dialogo con gli ebrei: la formula dovrebbe essere dialogo della Chiesa con se stessa al cospetto di Israele». Del resto, «un dialogo è maturo – come ha scritto Massimo Giuliani – quando tiene conto degli squilibri storici, delle asimmetrie psicologiche e delle conflittualità teologiche senza farsene travolgere; ma è maturo anche quando vigila costantemente sul proprio linguaggio e sta attento a non trasgredire i limiti della dignità altrui». Da questo puto di vista, è innegabile che la delicata pianticella dell’incontro cristiano-ebraico avrà ancora bisogno di molta acqua e di molta cura, per offrire frutti finalmente saporiti. Come sottolinea opportunamente padre Taneburgo nel suo ricco e documentatissimo studio, in realtà il cantiere continua ad essere aperto e sorvegliato, e potrà essere ulteriormente seguito nei Paesi in cui le relazioni tra cristiani ortodossi ed ebrei sono più frequenti e feconde. Il dialogo, la buona volontà e le rette intenzioni fungono da cemento, anche se lo scetticismo ha avuto la meglio nel passato, riducendo in detriti la testimonianza di fede nell’unico Signore. L’autore così sintetizza: la storia dell’umanità è guidata dallo Spirito di Dio, non perderà il suo carattere pneumatico, a un ritmo pacato le anime convergeranno dalla Terra verso Dio. La comunione cosmica può iniziare qui e ora. Aggiungerei da parte mia: se il dialogo è il rischio del non ancora e dell’altrove, non nega le differenze e non le annulla; anzi, richiede le differenze e le mantiene, ma abbatte gli steccati e costruisce ponti sulle voragini che abbiamo scavato per separare noi dagli altri e gli altri da noi. Non rivendica diritti di verità (teologica o storica), né si arroga il diritto di determinare le scelte dell’altro, non rinfaccia né richiede nulla all’altro. Il dialogo – in misura somma quello tra cristiani ed ebrei – è la cifra della carità, della speranza e della gratuità.

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In altri termini, il futuro del processo dell’incontro fra ebrei e cristiani, alla fine, è più nelle mani di Dio che delle chiese o dei leaders religiosi ebrei. Ed è bene non dimenticare mai la parola ‘ulaj, vale a dire forse, quella che secondo André Neher «è la parola chiave del pensiero ebraico»: che non rimanda necessariamente allo scetticismo, ma piuttosto alla consapevolezza del fatto che l’uomo – a conti fatti – non è mai l’interprete infallibile e definitivo della Torà. Quel che è certo, in ogni caso, è che a partire dalla Nostra Aetate e dai tanti documenti delle chiese ortodosse al riguardo siamo oramai chiamati ad ammettere che «nel testo e nella vita, nell’esperienza e nella storia, l’Ebraismo è diventato il paradigma non solo del dialogo interreligioso, ma il paradigma di ogni differenza, il sacramento di tutte le alterità, il locus theologicus nel quale i cristiani possono mostrare che ogni “altro” allude proprio nella sua alterità a Colui che è totalmente Altro e totalmente Prossimo ad ogni donna e uomo».

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– Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa per l’insediamento del nuovo Luogotenente dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Fara” in Bari, celebra la S. Messa per l’ordinazione di quattro diaconi Cappuccini. – Al mattino, in Episcopio, concede una intervista a Vatican News sull’incontro ecumenico di riflessione e preghiera del 7 luglio 2018. – Al mattino, presso la Basilica di S. Nicola, nella sala priorale, alla presenza delle autorità della Città e della Regione, partecipa alla conferenza stampa di presentazione dell’incontro per la pace di Papa Francesco con i capi delle Chiese cristiane del Medio Oriente. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria di Costantinopoli” in Bitritto, celebra la S. Messa per il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale del parroco don Mimmo Lieggi. – Al mattino, in Episcopio, concede un’intervista a Radio Vaticana e ad«Avvenire» per l’incontro ecumenico del 7 luglio. – Al pomeriggio, in Episcopio, è intervistato da «La Gazzetta del Mezzogiorno» e da TV2000. – Alla sera, presso il Teatro Petruzzelli in Bari, assiste al concerto “Suoni di Pace - Aspettando il Santo Padre e i Patriarchi”. – Al mattino, in Episcopio, concede un’intervista a Telepace.

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– Incontro ecumenico di riflessione e preghiera “Su di te sia pace”. Cristiani insieme per il Medio Oriente, promosso da Papa Francesco. – Al pomeriggio, presso la sede locale di Mediaset, interviene per la trasmissione “Stanze Vaticane” sull’evento del 7 luglio. – Al mattino, presso la Scuola Allievi della Guardia di Finanza in Bari, partecipa alla cerimonia di consegna dei gradi. – Al pomeriggio, presso il monastero di S. Scolastica in Bari, presiede il capitolo per l’elezione della nuova Madre Badessa e celebra la S. Messa nella festa di san Benedetto. Alla sera, in Cattedrale, partecipa alla concelebrazione eucaristica in occasione del 70° compleanno di S.E. Mons. Filippo Santoro, arcivescovo metropolita di Taranto. – Al pomeriggio, presso il monastero di S. Maria delle Vergini in Bitonto, presiede il capitolo delle monache e celebra la S. Messa. – Alla sera, nella chiesa di S. Domenico in Bari, celebra la S. Messa per il 30° anniversario di ordinazione diaconale di Nicola Rondinone. – Alla sera, presso la parrocchia “Maria SS. Annunziata” in Modugno, celebra la S. Messa per il 60° anniversario di ordinazione sacerdotale di don Oronzo Pascazio. – Al mattino, presso il monastero di S. Chiara in Mola di Bari, presiede il capitolo elettivo delle monache e celebra la S. Messa. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria del Carmine” in Sammichele di Bari, celebra la S. Messa per la festa della Titolare. – Successivamente incontra il gruppo della Fondazione “Frammenti di luce”. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria La Porta” in Palo del Colle, celebra la S. Messa per il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale del parroco don Giosy Mangialardi. – Alla sera, presso la parrocchia “Maria SS. del Carmine” in Sannicandro di Bari, celebra la S. Messa nella memoria liturgica del beato Luigi Novarese, fondatore del CVS. – Alla sera, presso il Teatro Abeliano in Bari, assiste al “Sogno di una notte di mezza estate” di W. Shakespeare nella coreografia di D. Iannone.


DIARIO DELL’ARCIVESCOVO 22 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria Maddalena” in Bari, celebra la S. Messa nella festa della Titolare. 29 – Al mattino, presso l’Oasi dei Trulli in Martina Franca, interviene al campo scuola organizzato dalla parrocchia “Cristo Re Universale” di Bitonto.

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– Alla sera, nella chiesa di S. Francesco d’Assisi in Gioia del Colle, celebra la S. Messa per il Perdono di Assisi. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria Assunta” in Cassano Murge, celebra la S. Messa per la festa patronale di Maria SS. degli Angeli. – Al mattino, presso il Santuario della Madonna del Pozzo in Capurso, presiede l’incontro di preghiera per il conferimento del mandato ai giovani pellegrini in cammino per mille strade per Roma. – Al mattino, presso la parrocchia “S. Nicola” in Bari-Torre a Mare, celebra la S. Messa per la festa patronale. – Alla sera, presso la parrocchia “Preziosissimo Sangue in S. Rocco”, celebra la S. Messa nella festa di san Lorenzo martire, patrono dei diaconi permanenti. – Al mattino, presso il Monastero di S. Chiara in Mola di Bari, celebra la S. Messa nella festa di santa Chiara di Assisi. – Nell’ambito della manifestazione “Ferragosto a Villa Revedin” in Bologna, tiene una relazione su “Fede e profezia in Aldo Moro”. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Benedetto” in Bari-San Giorgio, celebra la S. Messa per la festa della Madonna della Stella. – Al mattino, nella chiesa di S. Rocco in Gioia del Colle, celebra la S. Messa nella festa del Titolare.

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– Alla sera, presso la parrocchia “S. Rocco” in Valenzano, celebra la S. Messa nella festa del Titolare. 20 – Al pomeriggio, presso la parrocchia “S. Rocco” in Valenzano, celebra le esequie del diacono permanente Giovanni Mitola. 22 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria Assunta” in Turi, celebra la S. Messa nell’ambito del Giubileo Oronziano. 26 – Al mattino, presso il Santuario della Madonna del Pozzo in Capurso, celebra la S. Messa per la festa della Patrona. 27/8-2/9 – A Noto, guida un corso di Esercizi spirituali per i sacerdoti.

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– Alla sera, nella cripta della Cattedrale, celebra la S. Messa in suffragio dell’architetto Massimiliano Melchiorre. 4 – Alla sera, incontra i sacerdoti del decennio. 5 – Al mattino, presso la casa delle Suore Missionarie della Carità in Bari, celebra la S. Messa nella memoria di santa Teresa di Calcutta. 7 – In Casamassima, visita il cantiere della nuova chiesa intitolata a S. Vincenzo Ferrer, e successivamente celebra la S. Messa nella parrocchia “S. Maria delle Grazie”. 8 – Al mattino, partecipa alla cerimonia di inaugurazione della 82° edizione della Fiera del Levante. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria del Fonte” in BariCarbonara, celebra la S. Messa per il 25° anniversario della morte di don Mario Dalesio. 9 – Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa per il conferimento del Lettorato. – Alla sera, presso la parrocchia “Spirito Santo” in Bari-S. Spirito, celebra la S. Messa per la festa della Patrona Maria SS. Immacolata. 10 – Alla sera, nel Seminario Arcivescovile, incontra i seminaristi teologi. 12 – Al mattino, presso il padiglione 181 della Fiera del Levante, dedicato all’incontro di preghiera ecumenica che si è tenuto


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il 7 luglio scorso a Bari fra il Papa e i Patriarchi per la Pace nel Medio Oriente, partecipa al convegno ecumenico “Su di te sia pace, analisi di un dialogo internazionale”. Al pomeriggio, presso l’Oasi S. Maria in Cassano Murge, celebra la S. Messa per le monache Clarisse. Alla sera, presso la parrocchia “S. Luca” in Bari, celebra la S. Messa nel 20° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del parroco don Michele Birardi. Al mattino, in Episcopio, presiede la riunione del Consiglio episcopale. Al pomeriggio, presso la parrocchia “S. Andrea” in Bari, celebra le esequie di Anna Caroppo. Alla sera, presso la chiesa della Madonna del Rito in Noicattaro, celebra la S. Messa e benedice il quadro della Madonna. Presso il Santuario dei SS. Medici in Bitonto, presiede i lavori dell’Assemblea diocesana. Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa in suffragio dell’ing. Antonio Rini. Alla sera, presso la parrocchia ”S. Maria Veterana” in Triggiano, celebra la S. Messa per la festa della Madonna della Croce. A Molfetta, presso il Pontificio Seminario Regionale “Pio XI”, partecipa ai lavori della Conferenza Episcopale Pugliese. Alla sera, presso la parrocchia “S. Michele Arcangelo” in Bari-Palese, celebra la S. Messa e presenta il cammino del nuovo anno pastorale. Alla sera, presso l’Hotel Nicolaus, partecipa al Convegno dei Commercialisti Cattolici. Al mattino, nella chiesa di Maria SS. del Carmine in Bari, partecipa alla conferenza stampa di presentazione della IX edizione della Rassegna “Notti Sacre”. A Roma, nell’aula Paolo VI, tiene la relazione: “Catechesi mistagogica sull’iniziazione cristiana” al II Congresso Internazionale di Catechesi, promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.

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21 – Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa nella festa liturgica di san Matteo, patrono della Guardia di Finanza. – Al pomeriggio, presso l’aula “Aldo Moro” del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Bari, tiene una relazione su Fede e profezia in Aldo Moro nell’ambito del Convegno nazionale del MEIC su “Aldo Moro e la democrazia in Italia”. 22 – Alla sera, nella chiesa di S. Domenico in Bari, celebra la S. Messa in apertura della IX edizione della Rassegna “Notti Sacre”. 23 – Al mattino, presso la parrocchia “SS. Redentore” in Bari, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco don Antonio D’Angelo, S.D.B. e del vice parroco don Domenico Madonna, S.D.B. – Alla sera, presso la Basilica Pontificia Minore di S. Fara in Bari, celebra la S. Messa nel 50° anniversario della morte di san Pio da Pietrelcina. – Successivamente, in Cattedrale, nell’ambito della Rassegna “Notti Sacre”, assiste all’esecuzione del Messiah di G.F. Haendel con la direzione del m. Sabino Manzo. 24 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria Assunta” in Modugno, celebra la S. Messa per la festa di San Nicola da Tolentino e partecipa alla consegna delle chiavi della città. 25 – Al mattino, in Episcopio, presiede la riunione del Collegio dei consultori. – Successivamente, presso l’aula magna dell’Università degli Studi di Bari, partecipa all’incontro di Rete Mednet pres. Italiana. 26 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Sabino” in Bari, celebra la S. Messa nell’anniversario della Dedicazione della chiesa. 27 – Alla sera, nella chiesa del Gesù in Bari, nell’ambito della Rassegna “Notti Sacre”, partecipa all’incontro con la giornalista Costanza Miriano. 28 – Al mattino, presso l’Oasi “S. Maria” in Cassano Murge, celebra la S. Messa in occasione del 65° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di mons. Carlo Colasuonno. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Leucio” in Bitonto, celebra la S. Messa per la festa di santa Filomena. 29 – Al mattino, nella chiesa di S. Scolastica al Porto, celebra la S.


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Messa nella festa di S. Michele Arcangelo, patrono della Polizia di Stato. Successivamente, nella cappella dell’Episcopio, celebra la S. Messa nel quinto anniversario di ordinazione sacerdotale di don Nicola Simonetti, don Alessandro Decimo D’Angelo, don Alfredo Gabriellli, don Gerry Zaccaro. Alla sera, presso la parrocchia “S. Girolamo” in Bari, celebra la S. Messa per la festa del Titolare. Al mattino, presso la parrocchia “S. Maria Assunta” in Cassano Murge, celebra la S. Messa per la giornata comunitaria. Alla sera, sulla terrazza della chiesa di Maria SS. del Carmine in Bari, nell’ambito della Rassegna “Notti Sacre”, partecipa alla presentazione del libro Oltre ogni comoda certezza del dott. Pietro Scrimieri, Direttore Risorse Umane e Organizzazione dell’Acquedotto Pugliese.

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2018 da Ecumenica Editrice scrl - Bari


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