Internet e il mestiere dello storico

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Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione(*) Rolando Minuti R. Minuti, "Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione", Cromohs, 6 (2001): 1-75 <URL: http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html>

Premessa - La transizione incerta verso una nuova normalità I - Gli strumenti dello storico e la rete 1. Il miraggio della "risorsa" 2. Biblioteche e archivi 3. Problemi del documento digitale II. La comunicazione storica all'epoca di internet 1. Le incertezze della pubblicazione in rete 2. Nuovi modelli di scrittura storica 3. Comunità virtuali e insegnamento della storia Bibliografia / sitografia

* Il lavoro qui presentato in versione italiana è stato originariamente elaborato per l'edizione francese, ed è attualmente in corso di pubblicazione per la collana "Ecritures électroniques" delle Presses Universitaires de France. Alle PUF, che detengono il copyright dell'opera, va il ringraziamento dell'autore per avergli dato la possibilità di offrire questa versione elettronica italiana, che presenta peraltro alcune modifiche, nel testo e nella bibliografia, rispetto al lavoro destinato ai lettori di lingua francese [Rolando Minuti febbraio 2001]. Ultima revisione: ottobre 2001. Ringrazio l'amico e collega Luigi Totaro per avermi aiutato a correggere errori e refusi, e a migliorare la forma del testo.

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Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione Rolando Minuti R.Minuti, " Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione ", Cromohs, 6 (2001): 1-75 < URL: http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html >

Indice Premessa 1. La diffusione dell’uso della rete nell’ambito generale degli studi umanistici, e degli studi storici in particolare, costituisce ormai un fenomeno evidente: se pure ancora segnato da profonde differenze e diversi ritmi di sviluppo propri dei diversi contesti nazionali e culturali, rappresenta una realtà che non può essere più valutata come marginale, che investe sempre più direttamente il quadro di riferimento generale della produzione storiografica e della sua ricezione, e che -in quanto strettamente legato ad un’evoluzione tecnologica in rapida evoluzione- è sicuramente destinata ad espandersi. Se le applicazioni del computer alla ricerca storica costituivano fino ad alcuni anni fa un campo privilegiato di attenzione per ambiti particolari e chiaramente identificabili della ricerca umanistica -dal versante delle applicazioni quantitative alla ricerca storica a quello dell’analisi letteraria e linguistica, per le quali la storia dell’interazione con la tecnologia informatica è più antica-, è a partire dai primi anni ‘90, con la dilatazione di Internet conseguente all’affermazione del web, che l’utilizzazione di tecniche e pratiche di consultazione e di ricerca legate all’uso dei computer e della rete ha assunto connotati fortemente pervasivi, che toccano pressoché ogni aspetto e ogni settore della ricerca storica. È in altri termini la trasformazione sostanziale delle strategie e delle tecniche comunicative -che deriva dalla natura della rete, sia per l’accesso alla documentazione utile per la ricerca, sia per la comunicazione dei risultati della ricerca stessa, sia, infine, dal punto di vista dello scambio diretto di esperienze e di problemi nell’ambito di una comunità di studiosi, che tende ad assumere caratteri e confini diversi rispetto alla tradizione accademica- ad aver aperto sostanzialmente un nuovo scenario. La moltiplicazione delle “risorse di rete” per gli studi storici di ogni tipo e livello, la cui rapidità ed il cui disordine è direttamente conseguente alla facilità con cui si può giungere alla pubblicazione in rete, e che già determina seri problemi di orientamento e di organizzazione, ne è forse la testimonianza più evidente. Ma l’affermazione di questo nuovo scenario, accolto da più parti, sin da subito, come l’inizio di una sostanziale rivoluzione rispetto ad una tradizione plurisecolare legata alla cultura del libro, porta con sé una complessità di interrogativi sui processi di trasformazione che la rete implica dal punto di vista delle forme consolidate del mestiere storico, a livello di contenuti, di pratiche e di linguaggi, che meritano di

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essere evidenziati per cercare di trovare linee di risposta convincenti -evitando i rischi opposti di un entusiasmo tecnologico acritico e di uno scetticismo radicale- ad un ordine di problemi che sta assumendo una rilevanza particolarmente forte. 2. È con l’intento di presentare indicazioni utili ad una maggiore chiarezza su quest’ordine di problemi che è stato realizzato questo lavoro, senza l’ambizione di arrivare a risposte definitive ma con il desiderio di contribuire ad una proposizione corretta dei problemi. L’autore di queste riflessioni non è un informatico, ma uno storico che si considera molto tradizionale, che abitualmente si muove in quel territorio per molti aspetti di confine tra discipline differenti dato dalla storia delle idee e della cultura, e che ha condotto -e continua a condurre- il proprio lavoro e le proprie ricerche mediante l’analisi ed il commento di testi secondo tecniche e procedure consolidate dalla tradizione filologica e critica. Non appartiene alla più giovane generazione di storici che sono cresciuti con il computer e per i quali l’uso della rete ha costituito sin dall’inizio uno strumento familiare; appartiene piuttosto alla generazione delle schede cartacee e della macchina da scrivere; ha successivamente scoperto, come la maggior parte dei colleghi della sua generazione, l’importanza e l’efficacia del computer come macchina da scrivere e archivio intelligente; ed ha infine sperimentato l’uso della rete come strumento di comunicazione e di accesso a informazioni utili alla ricerca, maturando la convinzione che questo passaggio costituiva l’avvio di una trasformazione rilevante, e ricca di implicazioni, nelle forme consolidate del proprio mestiere. La ragione di queste riflessioni non deriva dunque da problemi connessi ad un tipo specifico di ricerca per la quale le applicazioni informatiche abbiano avuto una incidenza diretta[1] -ciò che può essere più evidente, ad esempio, nel caso delle ricerche di storia sociale, economica o demografica, o di analisi di tipo linguistico, per le quali le valenze e la rilevanza del trattamento quantitativo dei dati risultano più significative ed evidenti- ma da un ordine più generale di considerazioni che hanno portato chi scrive -al pari di molti altri colleghi in questa fase delicata di problemi che investono globalmente il mestiere di storico- ad interrogarsi sulle implicazioni, le potenzialità e le conseguenze di un’integrazione tra reti e mestiere di storico. Ma, se le considerazioni che seguono non sono il risultato di una pratica di ricerca su un campo specificamente legato all’uso del computer, esse sono comunque il risultato di un’esperienza. Gli interrogativi ai quali si cercherà di dare qualche risposta, frammentaria, provvisoria, nelle pagine che seguono, si sono infatti presentati sin dalle prime manifestazioni della rilevanza del web, e hanno dato vita a un esperimento, che è tuttora in corso. L’ipotesi di lavoro, assolutamente e volutamente empirica, era che per capire concretamente se e come la rete avrebbe influito sulle forme della ricerca e della comunicazione anche in ambito storico e umanistico, occorreva sperimentare direttamente, provare a costruire oggetti, concretizzare subito ciò che rischiava di essere irretito sin dall’inizio nelle maglie del dibattito sociologico o filosofico sulla comunicazione globale, i nuovi media, l’impatto di Internet sulla società e la cultura della fine del primo millennio. Un dibattito che è immediatamente sorto, e la cui crescita è divenuta ormai incontrollabile; ma che, nonostante i materiali complessi e importanti di riflessione che comporta, non ci sembrava in grado di rispondere in modo diretto ad alcune elementari domande: a cosa può concretamente servire la rete

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per lo storico attuale? può la rete cambiare, e in che termini, i caratteri tradizionalmente definiti e consolidati del suo mestiere? a quali problemi nuovi lo espone? Se era vero, come siamo tuttora convinti, che si trattava dell’avvio di un processo di profonda trasformazione destinato ad investire anche i quadri di riferimento degli studi umanistici -e storici in particolare- con effetti ed implicazioni probabilmente più dirompenti rispetto alla rivoluzione tipografica, bisognava innanzitutto ed immediatamente cercare di verificare, cioè usare la rete per produrre oggetti utili alla ricerca e valutarne l’impatto. 3. Da qui nacque, nel lontano 1995, l’idea di una rivista storica esclusivamente elettronica, con una piccola biblioteca di testi ad essa collegata[2]. Un esperimento, coltivato a margine delle normali esperienze di lavoro, da tre amici e colleghi, due storici e un filosofo della scienza; sviluppato autonomamente rispetto alle attività di centri di elaborazione informatica, che erano già presenti e consolidati; con la curiosità ed il piacere di verificare artigianalmente se e come le premesse che erano individuabili dall’affermazione del web potessero tradursi direttamente e rapidamente in realtà concrete[3]. Ed il progetto, maturato nel corso di lunghe discussioni serali, fu l’avvio di riflessioni e considerazioni che si sono sviluppate nel corso degli anni seguenti, e che costituiscono il nucleo di esperienza che sta alla base delle pagine che seguono. Da un lato, infatti, siamo stati in grado di sperimentare la facilità e la rapidità con cui i problemi vecchi e nuovi propri delle pubblicazioni scientifiche periodiche potevano risolversi. Dalla relativa facilità con cui era possibile acquisire le tecniche di costruzione dei documenti per la comunicazione sul web (in un’epoca, peraltro, in cui non erano ancora disponibili gli automatismi che hanno ormai reso la pubblicazione in rete un’operazione quasi banale); all’adesione immediata e incuriosita di personalità rilevanti appartenenti agli ambiti disciplinari investiti dai temi della rivista -che entrarono subito nel comitato scientifico indipendentemente dal loro grado diversissimo di competenze informatiche-; alla riduzione sostanziale dei costi rispetto alla produzione tipografica che costituiscono un dato rilevante e sempre più pesante per la pubblicazione scientifica; alla partecipazione volontaria ed entusiasta (talvolta imbarazzante, per la mancanza di risorse e di sostegni finanziari finalizzati all’iniziativa) di giovani allievi, studenti, dottorandi, tecnici informatici e grafici, che costituiscono tuttora la spina dorsale di questo esperimento in corso, tutto sembrava dimostrare che le premesse di un nuovo scenario della comunicazione anche in ambito umanistico potevano tradursi subito, e senza particolari difficoltà, in realtà. Ma dall’altro lato, parallelamente a tutto questo, sono subito emersi anche problemi nuovi: dal riconoscimento accademico dell’equivalenza tra una pubblicazione elettronica e una pubblicazione cartacea; al deposito legale delle pubblicazioni; alla diversa natura della scrittura di un testo destinato alla rete rispetto alla stabilità e alla conservazione dei documenti elettronici; alle potenzialità delle estensioni multimediali e alle implicazioni dei link esterni (che potenzialmente mettevano in crisi l’unità di un oggetto legata al proprio autore); alle citazioni e all’indicizzazione bibliografica dei documenti, che sono stati e sono tuttora oggetto di discussioni e di riflessioni. La convinzione, formatasi sin dall’inizio, che il nostro esperimento -concepito come laboratorio per comprendere con più precisione la natura di un fenomeno- sarebbe stato presto superato da altre

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iniziative -più robuste e più ambiziose negli intenti, nell’apparato tecnico e nelle risorse disponibili-, avviando un corso di pubblicazioni periodiche integralmente elettroniche tendenzialmente sostitutivo delle riviste cartacee, non si è in effetti avverata. Ancora restiamo, nel nostro ambito nazionale, una delle rare esperienze; ed anche in ambito internazionale l’affermazione risoluta dell’uso della rete per la comunicazione scientifica in ambito umanistico -nonostante il grande sviluppo delle risorse, tra cui anche i periodici elettronici- non si può dire sia ancora avvenuta in termini netti. Anche per spiegare le ragioni di questo dato le riflessioni che seguono, frutto in massima parte di questa esperienza, intendono offrire qualche elemento utile ad elaborare possibili risposte e soluzioni. 4. All’esperienza legata al progetto di rivista elettronica si è poi unito, nel corso degli ultimi anni, un nuovo e diverso fronte di esperienze. Seminari, workshop, corsi di perfezionamento sulle nuove tecnologie applicate agli studi umanistici, attivati in ambito universitario -soprattutto presso il Dipartimento di studi storici e geografici dell’Università di Firenze-[4], hanno ampliato considerevolmente il quadro delle esperienze e dei confronti su problemi concreti molto più utile, spesso, delle elaborazione puramente teoriche o metodologiche, e hanno determinato maggiore chiarezza nell’individuazione dei problemi, oltre alla possibilità di sviluppare nuovi livelli di riflessione. Un primo dato è apparso a tutti, promotori e partecipanti, particolarmente significativo. Intorno ai temi di volta in volta proposti alla discussione, nella cornice definita dal problema dell’uso della rete per la ricerca storica, si è andata costituendo una comunità di interessi e di interlocutori sostanzialmente nuova. Intorno ai problemi relativi al reperimento delle risorse in rete, alla loro natura, alla loro classificazione, alla loro conservazione, si è stabilità una circolarità di scambio tra bibliotecari, archivisti, storici di diversa formazione e di diverso ambito di competenza, letterati, linguisti, filosofi, che in precedenza probabilmente non avevano avuto occasioni di ritrovarsi e di confrontarsi con la stessa immediatezza, separati da barriere disciplinari e professionali spesso intese in maniera troppo rigida. Una comunità di confine, dove la centralità del problema del “documento in rete” ha costituito il comune denominatore di una discussione volta alla risoluzione di problemi da tutti riconosciuti come comuni, e dove l’importanza del problema -centrale per uno storico- dell’identificazione e della natura di una fonte, assumeva la funzione d’elemento di raccordo di una molteplicità di contributi. Le riflessioni presenti nelle pagine di questo lavoro sono anche il risultato di quell’esperienza, che si integra con i dibattiti attivati nei gruppi di discussione sorti e sviluppatisi in rete, dove il connotato dell’interdisciplinarietà costituisce un tratto distintivo, e dove attorno al nuovo linguaggio della rete tendono ad aggregarsi e ad articolarsi forme di appartenenza e di riconoscimento sostanzialmente diverse rispetto a quelle definite dalla tradizione accademica. Anche questo costituisce un versante di problemi -che investe l’organizzazione delle strutture di ricerca e, in maniera particolarmente rilevante, della didattica- sui quali è opportuno cercare di offrire qualche contributo utile alla chiarezza dei termini di una discussione che dovrà essere approfondita e che si protrarrà certamente nei prossimi anni. L’inadeguatezza degli attuali percorsi formativi in ambito umanistico -e storico in particolare- di fronte alle nuove tecnologie e all’uso della rete costituisce infatti un dato evidente, non solo tipico del contesto italiano dove peraltro i ritardi e le difficoltà sono forse maggiori che altrove. Perché i problemi, anche per questo aspetto, vengano affrontati e risolti in maniera corretta,

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e perché non si cada nella tentazione di vedere le soluzioni unicamente nell’adeguamento delle infrastrutture -che pure hanno un peso estremamente rilevante-, occorre una riflessione approfondita sui contenuti, sui metodi, sulle tecniche dell’insegnamento e della ricerca, che ci pare soltanto avviata. 5. Se quest’ordine di considerazioni, risultato di esperienze dirette, ha contribuito in maniera decisiva a mantenere alto il livello di attenzione sul problema del rapporto tra reti e storiografia, nella convinzione che tale rapporto costituirà un elemento importante nella formazione di una nuova generazione di storici e di ricercatori, al tempo stesso è stata fonte di un crescente disagio la constatazione che, intorno a tutto ciò, una forma di separazione andava consolidandosi. Lo scetticismo, prima nei confronti dei computer e poi della rete, è stato un dato caratteristico dell’evoluzione delle tecnologie informatiche sin dalla loro prima penetrazione nei territori della ricerca umanistica, costituendo da questo punto di vista un versante della più generale critica dell’impatto delle nuove tecnologie informatiche sulla società contemporanea che rappresenta tuttora uno dei temi ricorrenti di una letteratura critica e di una pubblicistica diffusa. Parallelamente è andata immediatamente definendosi una schiera di entusiasti che nella rete ha visto la crisi radicale della vecchia cultura, l’emergere ed il trionfo di forme nuove di identità e di autorità -legate in vario modo al concetto di ipertestualità-, la crisi di tutti i postulati intorno ai quali era andata configurandosi, fino all’avvento della rete, la nozione stessa di cultura; orientamento che ha avuto espressione particolarmente incisiva nelle discussioni sulla morte del libro e sulla fine dell’universo cartaceo come contesto regolativo della comunicazione culturale. Certamente lo sviluppo forte delle iniziative e delle applicazioni in rete, anche nell’ambito della ricerca umanistica, ha contribuito ad allentare i termini puramente teorici o astratti del dibattito e ad orientare l’attenzione sulla risoluzione di problemi concreti; la contestazione radicale di fronte all’ingresso dei computer nelle sale di consultazione riservata delle biblioteche o all’adeguamento tecnologico di istituti e dipartimenti, fa ormai parte di una passato che ci appare lontanissimo. Ciononostante le antiche ragioni di perplessità non sono affatto venute meno, anche se meno esplicitamente esposte, forse per un maggiore imbarazzo a manifestarsi di fronte ad un trend delle nuove tecnologie che ha assunto decisamente negli ultimi anni i connotati del “politicamente corretto”. Perplessità sui contenuti, sull’oggetto stesso della rete come strumento autenticamente utile alla ricerca storica, perplessità sulla labilità dell’informazione e della documentazione affidata alla rete, interrogativi sull’eccessiva rapidità della pubblicazione consentita dalla rete, rispetto alla serietà e alle lentezze della ricerca (che dovrebbero essere tanto maggiori quanto più cresce la letteratura critica) e sullo smarrimento della nozione di ricerca di fronte alla dilatazione della scrittura, continuano ad essere vivi, non solo per la generazione meno giovane di studiosi. 6. Interrogativi seri, che se si traducono spesso in una sorta di tolleranza verso un mondo ed un corso delle cose ormai impossibile a governare o indirizzare, parallelamente tendono fortemente a conservare, a distinguere e salvaguardare, i caratteri tradizionali della ricerca ed i suoi esiti, inclusa la pubblicazione cartacea. In altri termini è come se, esplicitamente o meno, si tendesse a stabilire come condizione di partenza indiscutibile il fatto che, se il rapporto tra storiografia e reti rappresenta un aspetto delle contemporaneità che non è possibile ignorare o marginalizzare, tutto ciò costituisce pur sempre un

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settore, un versante, che può anche essere affidato a competenti o appassionati, in genere giovani ambiziosi di trovarsi nuovi spazi all’interno del contesto accademico tradizionale, ma che la ricerca e l’insegnamento della storia veri si fanno altrove, con altri mezzi e con le tecniche collaudate. E, d’altra parte, che la ricerca storica continui a seguire in massima parte le pratiche e le ritualità della tradizione può essere dimostrato dal fatto che nei riferimenti bibliografici dei libri di storia importanti attualmente prodotti, il riferimento alle “risorse di rete” è ancora limitatissimo, se non del tutto assente; e parallelamente va crescendo e articolandosi una circolarità interna della discussione in rete da parte di chi usa la rete, e soprattutto sui temi legati all’uso della rete, che tende a confermare l’emergenza ed il consolidarsi di una nuova specie di sotto-disciplina nel quadro tradizionale. Ebbene, se l’esito di questo processo dovesse essere la codificazione di mondi separati all’interno della comunità che globalmente si riconosce nei metodi e negli obiettivi della ricerca storica, di entità diverse e sospettose della propria autonomia, e parallelamente convinte del proprio primato, credo che avremmo perso una grande occasione di riflessione e di crescita; e soprattutto non saremmo riusciti a tradurre le potenzialità concrete della rete in un contesto diverso, e qualitativamente migliore, per lo studio, la ricerca e la comunicazione storiografica. Forse proprio l’appartenenza, da parte di chi scrive, ad una generazione più anziana rispetto alla generazione emergente di cyber-storici, lo mette nella condizione di comprendere meglio -e non di liquidare come residuato generazionale destinato più o meno rapidamente al superamento- le ragioni e la serietà di certe obiezioni, e di formulare su queste alcune considerazioni che possono risultare utili alla costituzione di un terreno di dialogo comune e più produttivo di risultati. È nell’intento principale di tradurre lo scetticismo ancora diffuso in un nuovo livello di consapevolezza critica, utile parallelamente a temperare l’impazienza rivoluzionaria -e talora la superficialità- di molti cavalieri delle nuove tecnologie, che ci si è decisi a svolgere queste riflessioni. 7. Il problema delicato infatti -se riconosciamo il fatto che la rete non costituisce un’appendice tecnologica capace solo di incidere su alcuni aspetti di un mestiere codificato e stabile, ma che al contrario determina un nuovo contesto e nuove forme dell’accesso all’informazione, della ricerca e dell’insegnamento- è di far sì che il risultato dell’incontro fra le tradizioni disciplinari, i problemi di metodo e di legittimazione scientifica dell’attività dello storico e le nuove tecnologie della comunicazione in rete, si traduca in uno scenario di normalità in cui possano ritrovarsi complessivamente la tradizione e l’innovazione. Ed è evidente che perché cio avvenga, e si prenda piena coscienza di un processo di mutazione che non deve essere necessariamente una frattura col passato -complemento inevitabile della “fine della storia” e della crisi dell’identità di storia e di mestiere di storico nell’età contemporanea- è necessario liberarsi dalla sindrome dell’adeguamento, che tende a spostare l’intero asse del problema sul versante dell’adattamento tecnologico, ed assumere una chiara responsabilità critica e una funzione di guida culturale rispetto alle nuove tecnologie. Lo smarrimento di un’identità chiara e condivisa -rispetto al moltiplicarsi delle risorse della rete, alla dilatazione di un mare informativo eterogeneo e indistinto, ad orientamenti che esaltano, confortati proprio dalla realtà di Internet, la natura puramente discorsiva, rappresentativa ed effimera della conoscenza storica- rischia altrimenti di costituire un esito reale. Ma tutto ciò non sarà causato dalla

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natura di Internet e dalla forza incontrollabile della tecnologia, ma dalla scarsa responsabilità di coloro, storici compresi, che semplicemente ne accettano la presenza come fenomeno da tollerare, ignorandone o fingendo di ignorarne la ricaduta fortissima sul piano della cultura e dell’identità civile collettiva, per continuare a coltivare forme tranquillizzanti, accademiche, e sostanzialmente aristocratiche di sapere. Non ci pare che questo processo di costituzione di una nuova normalità dell’operare dello storico in un contesto regolato dalla rete sia ancora avviato in maniera chiara. Forse l’osservatorio da cui ci muoviamo, quello italiano, presenta maggiori elementi di ritardo, dal punto di vista infrastrutturale, rispetto ad altri contesti; ma, se ciò è vero, è ragione di un ulteriore elemento di riflessione. Se lo sviluppo della rete, in quanto legato al possesso di tecnologie e di risorse, è in grado di produrre nuove forme di primato culturale che hanno conseguenze dirette sulla conservazione, l’utilizzazione e la diffusione della memoria storica, questo può risultare profondamente contraddittorio rispetto alle valenze egualitarie, alla riduzione delle barriere di accesso all’informazione, all’annullamento delle gerarchie tra centri e periferie culturali, che la rete propone. Oggi forse solo il versante statunitense offre possibilità concrete di “fare storia” (anche se per lo più ad un livello divulgativo) utilizzando in maniera rilevante, per non dire esclusivamente, risorse di rete[5]; mentre, sul versante opposto, aree enormi della società mondiale sono ancora escluse dall’ “accesso”[6]. È possibile ritenere, ed è auspicabile, che questo squilibrio vada progressivamente attenuandosi; ma è anche legittimo temere il contrario, e vedere l’approfondirsi di primati culturali nella rete, coerenti con primati e gerarchie di potere politico ed economico. Sono problemi che vanno molto oltre l’ambito specifico del rapporto tra storiografia e reti; ma, poiché investono direttamente il problema della gestione e dell’uso della memoria storica, toccano in maniera molto diretta il mestiere di storico e la sua responsabilità. 8. Poiché queste riflessioni hanno inteso affrontare tematiche molto generali che riguardano il rapporto tra storiografia e reti, e poiché il loro intento prioritario è, come si diceva, quello di avvicinare sponde che tendono ad allontanarsi in modo preoccupante, e ad attribuire al problema della rete un’importanza complessiva ed un rilievo di contesto globale nel mestiere di storico, abbiamo volutamente evitato i tecnicismi e la selva irritante delle sigle e degli acronimi (che continua a dare della rete -soprattutto ai non-entusiasti, che in ambito umanistico sono ancora una parte maggioritaria- l’immagine di uno spazio iniziatico ed esoterico). Abbiamo inoltre evitato le lunghe elencazioni o la repertoriazione delle “risorse utili”, limitandoci a pochi riferimenti, in nota e in bibliografia, che non hanno alcuna pretesa né di esaurire l’ambito della letteratura utile né di selezionare quella oggettivamente più importante, ma solo di segnalare alcuni termini del percorso di riflessione che chi scrive ha seguito. Di “guide alle risorse utili” per gli storici -o di metarisorse che dir si voglia- sempre più voluminose e sempre più in difficoltà di fronte al compito di censire un volume informativo che si fa ogni giorno più ricco, e che risulta spesso drammaticamente instabile, vi è ormai ampia disponibilità (in rete e su carta); basta accedere ad uno dei portali dedicati alle risorse di rete per la storia, e si è immessi in un circuito di liste di risorse, di elenchi più o meno ragionati, di repertori che rinviano ad altri repertori[7]. L’abbondanza e la crescita quantitativa di repertori, di indirizzi e di guide alle risorse sono piuttosto rivelatori di un altro problema, su cui varrà la pena di spendere qualche parola nelle pagine che seguono,

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ossia la difficoltà crescente di arrivare efficacemente a risposte precise, sensate e non fuorvianti rispetto ai problemi che ci poniamo; e soprattutto -ciò che è ancora più difficile perché legato a variabili individuali non facilmente traducibili anche dalle tecnologie più sofisticate della ricerca- di individuare e di selezionare la qualità della “risorsa” cercata. Ciò che la rete sembra offrire immediatamente (rapidità e facilità di accesso a ciò che si vuole) si rivela assai meno corrispondente alla realtà di quanto, sulla spinta di un senso comune acritico favorito dai mass media, si possa ritenere; ed anche questo è fonte di frustrazioni e di scetticismo. I colleghi e gli amici che dividono con me l’avventura dell’incontro con le nuove tecnologie della comunicazione in rete spero perdoneranno il tono volutamente discorsivo e intenzionalmente tendente ad evitare l’approfondimento su aspetti specifici o tecnici di una realtà che offre ogni nuovo giorno motivi di nuove considerazioni, di riflessione su nuove possibilità e nuovi scenari potenziali; queste pagine non hanno lo scopo né di aggiornarli né di guidarli, ma mirano piuttosto ad essere lette da chi -studiosi anziani o meno, e giovani che si avviano alla pratica della ricerca- segue con minore assiduità e pazienza tale evoluzione e da essa ricava soprattutto impressioni di disorientamento e di incertezza. Più in generale, si è inteso illustrare e chiarire i termini entro i quali sia possibile, con i molti problemi che si cercherà di mettere in luce, la ricomposizione di una nuova comunità di storici nel contesto regolato dalla rete, e nel riconoscimento dell’identità forte e condivisa di una metodologia fondata sul rapporto critico con le fonti al fine della costruzione di discorsi veri; e come questa possibilità -risultato, come si diceva, di una mutazione più che di una rivoluzione- costituisca un obiettivo che tutti coloro che operano nell’ambito della ricerca e dell’insegnamento della storia dovrebbero responsabilmente ed attivamente perseguire.

[1] Il problema del rapporto tra computer e storia è oggetto da anni di analisi articolate, legate anche ad iniziative di studio e di coordinamento internazionali quali l’ Association for History and Computing (AHC) e le sue varie ramificazioni nazionali. Il sito web dell’AHC < http://grid.let.rug.nl/ahc/ > e la rivista ufficiale dell’associazione, il Journal of the Association for History and Computing < http://mcel.pacificu.edu/JAHC/JAHCindex.HTM > costituiscono due punti di riferimento di particolare importanza per quest’ordine di problemi. Per altri riferimenti vedi la bibliografia del presente volume. [2] Vedi Abbattista, G., Minuti, R., 1998, con riferimento a Cromohs (Cyber Review of Modern Historiography),< http://www.cromohs.unifi.it >. [3] Agli amici Guido Abbattista e Alberto Mura, che hanno condiviso con chi scrive questa esperienza, desidero dedicare queste pagine. [4] Vedi le iniziative coordinate da A.Zorzi e da chi scrive, al sito <http://www.storia.unifi.it /_storinforma>. [5] Vedi, tra gli esempi più rilevanti da questo punto di vista, il progetto MOA (Making of America), volto alla digitalizzazione di fonti primarie per la storia americana e gestito da un consorzio di istituzioni bibliotecarie e universitarie statunitensi, < http://www.umdl.umich.edu/moa/ >. Vedi anche il progetto

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NINCH (National Initiative for a Networked Cultural Heritage), < http://www-ninch.cni.org/ >. [6]Per un quadro generale dei problemi dell’ accesso nella realtà contemporanea, vedi Rifkin, 2000. [7] Per le guide cartaceee vedi soprattutto Trinkle et Merriman, 2000. Tra i numerosi metasiti, vedi in particolare la guida della AHC, History Links: WWW pages for Historians < http://grid.let.rug.nl /ahc/histlink/welcome.html >, The Horus History Links < http://www.ucr.edu/h-gig/ > e WWW-VL History < http://www.ukans.edu/history/VL >.

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Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione Rolando Minuti R.Minuti, " Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione ", Cromohs, 6 (2001): 1-75 < URL: http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html >

Indice I . 1. Il miraggio della "risorsa" 9. E’ indubbio che nella terminologia del web una delle parole di maggior successo e diffusione è “risorsa”. Il web si presenta come una fonte inesauribile di risorse; e la loro ricchezza appare tanto più affascinante quanto più i mezzi di comunicazione di massa ci dicono che l’accesso alla rete è la chiave di tutto, del successo negli affari come del superamento dei problemi della vita relazionale, di nuove dimensioni del lavoro come di nuovi e meno noiosi modi di fare e comunicare cultura; basta aprire la porta, immettersi nella rete percorrendo uno qualsiasi dei sentieri tracciati nella ragnatela, e disporsi a navigare: ed inevitabilmente a qualsiasi domanda sarà trovata una risposta. L’impressione che dunque nella rete si trovi “tutto”, oltre che “di tutto”, e che anche le esigenze specifiche di un’utenza di studio e di ricerca appartenenti all’ambito della storiografia risultino già ampiamente soddisfatte, può ottenere certamente molte giustificazioni; tuttavia, ad un’osservazione più diretta, e meno soggetta all’insistenza talora irritante dei mass media, ciò non corrisponde pienamente alla realtà. Che la crescita del numero delle risorse sia vertiginosa e difficilmente quantificabile è un fatto noto, e verificato anche per quanto riguarda l’ambito -apparentemente contenuto ed appartato- della storia. Il più recente ed accurato repertorio a stampa delle risorse per la storia disponibile nel web lo testimonia in maniera chiara[1]. L’individuazione di Internet come “quite simply the most revolutionary storehouse of human knowledge in history”[2] è sufficientemente indicativa, da un lato, dell’entusiasmo dei curatori di fronte ad un fenomeno straordinario di moltiplicazione e di diffusione dell’informazione storica; e, dall’altro, delle difficoltà di mettere ordine nel caos, di distinguere, di qualificare e quindi di orientare il potenziale utilizzatore. Cercare di realizzare efficacemente questo obiettivo è veramente come “to sip water from a fire hose”[3] -oggi assai più che nel 1996, anno della prima edizione della guida-; e nonostante l’impegno ammirevole e la sistematicità con cui i redattori di History Highway hanno inteso assolvere a questo compito, essi stessi non possono evitare, alla fine, di rinviare al senso critico individuale, alla capacità di distinguere e verificare direttamente anche all’interno del repertorio di risorse selezionate -come, a maggiore ragione, per quanto riguarda tutte le risorse che possono non essere incluse in questa pur vastissima guida, ma che possono ciononostante offrire qualcosa di interessante e di

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utile-, come ultima e valida risorsa per muoversi con consapevolezza nell’intrico del web. 10. La moltiplicazione delle risorse a disposizione di ogni livello di curiosità e di interesse storico consente sicuramente di vedere nel web un territorio di esplorazione vastissimo; ma, al tempo stesso, la natura eterogenea della nozione di “risorsa”, la sua estrema variabilità in funzione della tipologia di chi cerca informazione in rete e di chi la offre, la rendono particolarmente scivolosa e non agevolmente utilizzabile con riferimento specifico agli studi storici. Credo si possa individuare entro questi termini il primo consistente versante di critica e di scetticismo verso l’uso sistematico della rete per la ricerca storica e, a maggior ragione, verso la sostituzione delle tecniche tradizionali con le nuove tecniche suggerite dal web. In altri termini, per lo studioso esperto nelle pratiche definite e consolidate dalla tradizione, che porta con sé una precisa mappa mentale degli strumenti disponibili per giungere all’informazione di cui ha bisogno -e che trova nell’uso di questa mappa la chiara identificazione di un connotato peculiare del proprio mestiere- costituisce sicuramente un motivo di insoddisfazione, e una sostanziale convinzione di perdere tempo, la necessità di districarsi nel mare magnum di informazione che gli viene offerta ad ogni possibile interrogazione di un motore di ricerca generalista. Dove la rete promette di far guadagnare tempo, di accelerare i ritmi del lavoro, in realtà si rivela fonte di frustrazione e di incertezza. È esperienza comune, credo, quella di aver digitato un termine nella maschera di ricerca di un motore e di aver ottenuto migliaia di risposte che hanno in comune unicamente la presenza del termine che abbiamo chiesto in qualche luogo della pagina o del sito esaminato, ma che per l’oggetto specifico che ci interessa non danno alcun apporto significativo[4]. Anche la selezione che è offerta dai miglioramenti più recenti introdotti nei motori di ricerca generalisti per termini, che cercano di accorpare le richieste più frequenti mediante segnalazioni, o “folder”, risultanti da procedure automatiche di assimilazione tra rilevanza e frequenza, non offrono dal punto di vista dei contenuti un aiuto particolarmente efficace; e anche dal punto di vista della tipologia dei siti sono soggetti a esiti fuorvianti. Credo che sia ormai a tutti noto che la digitazione di una voce come “storia” nella maschera di interrogazione di un motore generalista non abbia alcun senso, dato il volume incontrollabile dei siti all’interno dei quali tale termine ha una qualche presenza. Ma se mi illudo che l’affinamento recente dei motori di ricerca generalisti consenta di offrire, di questo volume di dati, un qualche ordinamento gerarchico, che metta in primo piano, per esempio, le metarisorse o gli indici, per poi scendere a livelli inferiori e minimi in termini di rilevanza di contenuti, compio ancora un errore clamoroso, proprio perché il termine (e non il contenuto, l’oggetto, che io attribuisco al termine “storia” ) è presente in una variabile estrema di interrogazioni, il cui accorpamento, puramente in termini di frequenza, può portare a risultati aberranti. 11. E’ un rischio che sul versante dei motori per termini risulta certamente amplificato, ma che anche ricorrendo a motori generalisti tematici o indicizzati[5] non è facile evitare; e in questo caso subentra l’ulteriore difficoltà derivante dalla necessità di affidarsi a criteri selettivi che si basano fondamentalmente sulla segnalazione diretta da parte dell’utenza del web -evitando dunque l’automatismo integrale- ma che sono per questo soggetti a variabili molto forti. E’ pur vero che l’apprendimento delle caratteristiche e delle potenzialità specifiche dei diversi motori di

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ricerca generalisti -sia sul versante degli indici sistematici sia su quello della ricerca per termini, che costituisce una delle prime esigenze primarie di alfabetizzazione per l’uso consapevole della reteconsente di disciplinare e di correggere molte di queste difficoltà. Ma se, dal punto di vista di quell’utenza abituata alle tecniche tradizionali di reperimento delle informazioni a cui abbiamo fatto riferimento, alle difficoltà di acquisire pratica ed esperienza nell’uso della rete e dei motori e di organizzare in archivi o elenchi di bookmark le informazioni utili recuperate -operazione meno banale di quanto possa apparire, che produce essa stessa rapidamente un eccesso di riferimenti (propria della tentazione, indotta dalla navigazione in rete, di non perdere o dimenticare nulla, data la difficoltà incontrata nel recupero) e che impone continue revisioni e controlli perché gli indirizzi del web, com’è noto, non sono stabili e mutano di continuo- aggiungiamo il fatto che il volume prevalente dell’informazione che genericamente può essere definita di interesse storico è attualmente costituita da compendi, riassunti, schede, informazioni spesso più agevolmente recuperabili in una qualsiasi biblioteca, si può ben comprendere come lo scetticismo sulle risorse di rete per la ricerca storica possa emergere. Si tratta di considerazioni che possono dunque portare a reazioni di insofferenza, relativamente comuni in questa fase di sviluppo del web nell’ambito della comunità interessata in primo luogo alla ricerca e allo studio; considerazioni che certamente non sono facilmente aggirabili o liquidabili, che rinviano ad un problema reale nella gestione dell’informazione in rete, ma per le quali si possono comunque individuare linee di risposta convincenti, e già in parte rilevabili dalle esperienze presenti in rete. In realtà, l’idea che l’indeterminatezza del web costituisca un suo peccato d’origine ineliminabile; che la libertà un po’ anarchica -che ha contrassegnato la natura della rete sin dagli inizi e che costituisce certamente una valenza che non deve essere mortificata- sia inevitabilmente e irrimediabilmente in contraddizione con criteri d’ordine, di selezione e di riconoscimento; e che non sia possibile, infine, distinguere con chiarezza la qualità, la rilevanza scientifica, l’innovazione, dalla ripetizione o addirittura dalla falsità, non ha giustificazioni fondate. Se è infatti vero che la possibilità che il web offre a ciascuno di essere autore ed editore consente anche -per le caratteristiche proprie del linguaggio di comunicazione riconosciuto dalla rete- di qualificare i contenuti del proprio elaborato, della più diversa natura, con segnalatori (meta-names) tramite i quali si intende richiamare l’attenzione, essere considerati, esseri visti, dai motori di ricerca e dalla comunità della rete nella sua estensione massima, ciò non significa che da questo rischio non ci si possa cautelare, esaltando piuttosto quella dimensione della libertà nell’accesso all’informazione che consiste nell’avere le condizioni di scegliere e nel proteggersi dall’inganno o dal richiamo verso oggetti indesiderati. 12. Proprio all’uscita dalla genericità e dall’indeterminatezza delle “risorse”, assai poco disciplinabile dai motori di ricerca generalisti; e ad una sorta di autolimitazione della libertà assoluta, al fine di ottenere una maggiore garanzia per il conseguimento efficace di risultati, ci si sta movendo in molte direzioni, anche sul versante delle discipline umanistiche e storiche. La presenza di cataloghi di risorse tematici e di motori di ricerca più specialistici -che rinunciano all’idea di filtrare l’intero web e si limitano a cercare all’interno di un circuito preliminarmente selezionato di siti e di pagine, accettando il rischio di un’esclusione ingiusta, ma consentendo di offrire indicazioni più qualificate e pertinenti- offre , come vedremo, possibili alternative e risposte valide al disordine, alla ridondanza e

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all’eccesso di informazione; ed è auspicabile che dal perfezionamento e dallo sviluppo di queste esperienze si giunga a soluzioni sempre più efficaci e convincenti. Lo sviluppo delle discussioni sui criteri di valutazione delle risorse presenti sul web è un indice significativo di questo orientamento, e della volontà di pervenire a criteri uniformi di valutazione delle risorse mediante procedure di rating e di classificazione basate in primo luogo sulla qualità e la serietà delle stesse[6]. Questa operazione è il risultato di una volontà e di una decisione -in ultima analisi di un’autorità-, ma soprattutto di un impegno collettivo in cui un ruolo decisivo sarà svolto, accanto agli appartenenti ai diversi ambiti disciplinari e ai tecnici informatici, dai nuovi bibliotecari del web; ad essi spetta il ruolo importante e delicato -e come tale soggetto a nuove forme di specializzazione e di qualificazione professionale rispetto alla formazione tradizionale del bibliotecario- di organizzatori e comunicatori di un patrimonio documentario che non è più racchiuso tra le mura di un edificio, ma che è esteso all’intera rete ed è in continua crescita. La messa a punto di procedure di valutazione coerenti risulta fondamentale per elaborare decisioni relative soprattutto all’acquisizione di risorse da parte di istituzioni bibliotecarie; ma risulta essenziale anche per produrre guide o portali la cui presenza, per ogni tipologia di utenza della rete non necessariamente ed esclusivamente vincolata a specifici ambiti disciplinari, è sempre più percepita come via d’uscita dal rumore informativo; che ciò significhi l’avvio di un disciplinamento della rete inteso come sacrificio delle sue potenzialità liberatorie, ed in ultima analisi l’affermazione di nuovi criteri di controllo, può essere oggetto di discussione; ma non credo debba essere inteso in chiave unilateralmente pessimistica. Definire criteri uniformi di rilevanza, che abbiano come primo elemento il contenuto scientifico; e tradurre questi criteri in strumenti di orientamento, distinti per ambiti disciplinari, interessi, metodologie differenti, ma uniti dall’accettazione di alcuni criteri universalmente riconosciuti -il rispetto delle fonti e la verificabilità, in primo luogo-, costituisce uno degli obiettivi primari della fase attuale di sviluppo delle risorse di rete per gli storici. Un obiettivo non ancora pienamente realizzato ma già chiaramente individuato e che in parte già risulta tradotto in strumenti utili ed affidabili. 13. E’ già possibile infatti trovare esempi concreti di strumenti che, per ambiti specifici di interesse, consentono di muoversi tra le risorse presenti nel web con una sufficiente consapevolezza di non essere destinati a smarrirsi o ad annegare nell’eterogeneità e, in ultima analisi, di non incorrere in perdite di tempo eccessive. E’ probabilmente proprio a causa della natura della rete, e più in generale di un eccesso di aspettative in termini di rapidità ed efficacia che l’ambito umanistico tradizionale tende a riporre nella tecnologia e nell’uso delle macchine -in virtù di una separazione di linguaggi e di pratiche che si è mantenuta forte al di là di settori e di ambiti di ricerca specifici- che si è sviluppata l’opinione secondo la quale un’ora di tempo dedicata alla ricerca in rete costituisca un dispendio di energie eccessivo rispetto a quanto si possa ottenere ricorrendo a strumenti cartacei; dimenticando troppo facilmente, per esempio, quanto maggiore sia il tempo da dedicare al reperimento di un’informazione bibliografica con gli strumenti tradizionali, e come questa operazione sia impossibile per chi non abbia facile accesso ad una biblioteca adeguatamente fornita di strumenti di consultazione. Il problema non risiede tanto nei tempi, e nella necessità di un’acquisizione minima di esperienza nell’uso

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dei computer e delle reti -ancora assai meno diffusa di quanto si possa ritenere, e soprattutto assai inegualmente distribuita nei diversi contesti nazionali e tra centri e periferie degli stessi contesti-, quanto, contrariamente all’illusione che nella rete si trovi tutto, nella quantità e nella qualità oggettiva di informazioni rilevanti e attualmente disponibili sul web per chi intenda utilizzarlo per lo studio e la ricerca storica. E’ comunque indispensabile insistere sul fatto che per rispondere alla necessità di uscire dal caos dell’indistinzione e dell’informazione indifferenziata, soprattutto dal punto di vista qualitativo, non è possibile ricorrere a soluzioni puramente informatiche. Non è possibile, almeno allo stadio attuale della tecnologia -anche se l’evoluzione recente ci insegna a non assumere posizione assolute neppure di fronte alle possibilità che appaiono più remote- delegare totalmente ad un software un’operazione che richiama energicamente il ruolo della comunità scientifica. Il problema è allora di capire se e come una comunità scientifica di storici che riconosca nella rete lo strumento essenziale della propria attività e del proprio ruolo -ciò che non è ancora possibile vedere affermato in termini generali - possa trovare le forme ed i modi non per imporre un nuovo potere ma per far sentire efficacemente la propria voce, che non solo è legittimata dalla propria identità scientifica, ma è precisamente individuata come funzione sociale da parte della collettività. 14.Quella funzione di disciplinamento, di riconoscimento, di valutazione e di giudizio, che costituisce la natura di una comunità scientifica, e che ha trovato nel tempo possibilità di manifestarsi mediante vari strumenti -dall’organizzazione istituzionale dell’insegnamento e della ricerca, alle riviste, al sistema regolativo delle pubblicazioni- deve trovare modo di esprimersi in maniera efficace anche nel web; ed esiste oggettivamente la possibilità che ciò avvenga, anche se con modalità che determineranno esigenze di riconfigurazione e di adattamento profonde. La strategia stessa che ha dettato la nascita di alcuni motori di ricerca specialistici che possono dirsi già affermati sul web, ci indica chiaramente come alla base della ricerca di soluzioni informatiche adeguate allo scopo si ponga l’esigenza prioritaria di “riconoscersi” dal punto di vista dell’appartenenza ad una comunità scientifica. Ritengo che, da questo punto di vista, uno degli esperimenti più interessanti condotti in questi ultimi anni sia quello proposto da un gruppo di lavoro dell’Università di Evansville. Le finalità che hanno determinato, a partire dal 1995, lo sviluppo della ricerca presso lo Internet Applications Laboratory di questa Università statunitense, e che hanno portato alla realizzazione di un modello di motore di ricerca ad area limitata[7], corrispondono sostanzialmente alle esigenze e agli obiettivi di selezionamento e di ordine che abbiamo sopra richiamato. Da questa ricerca sono derivati dapprima Argos[8] -motore di ricerca ad area limitata dedicato agli studi sul mondo antico e medievale- e successivamente Hippias[9] -motore di ricerca ad area limitata dedicato a gli studi di filosofia-. L’idea di base che ha portato allo sviluppo di queste applicazioni è stata che la tecnologia attuale, ed in particolare l’uso di meta-tag, non risultassero sufficienti per un’efficace soluzione del problema del controllo della qualità delle risorse presenti sul web; un problema particolarmente rilevante soprattutto per tutto quel versante di navigatori del web che non corrispondono necessariamente alla comunità degli studiosi o degli specialisti, e che possono quindi essere indotti in confusioni e fraintendimenti in merito all’affidabilità delle risorse recuperate tramite motori di ricerca generalisti.

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15. Le difficoltà di un’affermazione diffusa di standard riconosciuti e condivisi sull’uso dei meta-tag[10] -alla quale lo sviluppo di nuovi linguaggi di marcatura orientati ai contenuti, come XML, potrà apportare un considerevole contributo- , ha determinato un serio problema di quality-control che è stato giustamente inteso come non facilmente superabile. La possibile soluzione è stata allora vista nella costituzione di una comunità di soggetti affiliati, caratterizzati essenzialmente dalla qualificazione universitaria e dal fatto di gestire le proprie risorse su server istituzionali, e dall’elaborazione di un software di ricerca che operasse esclusivamente su questi siti e sui link presenti nelle “guide alle risorse” o nelle “liste di indirizzi utili” incluse in questi siti, con alcune esclusioni automatiche quali le pagine personali o i motori di ricerca generalisti (che riproporrebbero inevitabilmente il problema che si intende risolvere). Una soluzione, in altri termini, che ha inteso unire una limitazione dal punto di vista informatico -la ricerca, da parte di un motore, soltanto su un numero circoscritto di siti- ad una selezione di carattere scientifico, basata sull’accreditamento di alcune risorse e sull’attribuzione ai siti affiliati -la cui adesione è il risultato di una valutazione e di una selezione- di una responsabilità diretta nella selezione dei siti sui quali il limited area search engine (LASE) verrà ad operare; ciò significa che se il link ad un sito presente in una lista di risorse inclusa in uno dei siti affiliati decade, perché tale sito si dimostra incapace di mantenere uno standard accettabile di qualità, e viene pertanto eliminato dalla lista stessa, anche il motore di Argos e di Hippias cesseranno di vederlo. Una soluzione intelligente, non particolarmente complicata o impegnativa nella gestione, che certamente riduce fortemente il rumore informativo difficilmente eliminabile dai motori generalisti, sulla base di un’esplicita e dichiarata assunzione di responsabilità nella selezione delle risorse e dell’idea che la costituzione di una comunità omogenea di affiliati offra sufficienti garanzie di ampiezza e di coerenza. 16. In realtà queste aspettative non si sono rivelate pienamente corrispondenti all’esperienza realizzata. Come illustra puntualmente Anthony Beavers[11], principale responsabile di questo progetto, proprio la difficoltà di stabilire una chiara coerenza di intenti tra gli affiliati al progetto ha continuato a produrre -sia pure in misura fortemente ridotta rispetto ai motori generalisti- risultati disomogenei e in alcuni casi fuorvianti. Se l’idea della ricerca ad area limitata si confermava come una soluzione ricca di potenzialità, il modello che intendeva seguire la traccia del collegamento tra siti autonomi associati non si è rivelato in ultima analisi pienamente soddisfacente. Alla fine, la totale gestione da parte di un solo soggetto, sul modello sviluppato da Jurist: The Law Professor’s Network[12], si è rivelata più interessante; e soprattutto da uno sviluppo di questa esperienza è derivato il modello di Noesis[13]. Noesis è in realtà un progetto più ambizioso, e con valenze più ricche ed articolate rispetto al solo problema dell’ordinamento e della selezione delle risorse di rete per un particolare ambito disciplinare; l’ambizione dei suoi curatori è infatti di costituire un punto di riferimento organico per la comunicazione scientifica sul web in ambito filosofico[14]. Per quanto riguarda il problema specifico del recupero di un’informazione qualitativamente selezionata, quello che ci pare interessante sottolineare è che con Noesis assistiamo ad un’ulteriore riduzione, o addomesticamento, della tecnologia informatica a vantaggio di un primato della responsabilità scientifica.

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Quello che prima era infatti lasciato ad un automatismo regolato da una pre-selezione di soggetti autonomi, adesso si traduce in una enciclopedia di risorse gestita da un unico soggetto, e da una catalogazione -secondo diverse tipologie- che accentua ancora di più la decisione e l’autorità nella scelta e nell’esclusione. La compilazione di questa catalogazione e l’utilizzazione di un motore di ricerca che andrà ad operare unicamente all’interno delle risorse selezionate si presentano dunque non tanto come l’asettica applicazione di soluzioni informatiche, ma come autentica e responsabile operazione critica che l’utente deve riconoscere come tale, utilizzandone consapevolmente i risultati, nella convinzione che nelle risposte offerte dal sistema non troverà tutto quello che è possibile trovare in rete ma che quello che troverà risulterà corrispondente ad uno standard qualitativo riconosciuto dalla comunità scientifica. Le potenzialità di questa soluzione, che, come accennato, mira a costituire un punto di riferimento accreditato per la comunicazione in ambito filosofico, sono numerose e suscettibili di sviluppo e di perfezionamento[15]; ma l’accentuazione della responsabilità scientifica sull’automatismo della ricerca ai fini del recupero di informazione utile ci pare un dato generale la cui importanza merita di essere rilevata. 17. Si può facilmente obiettare quanto sia difficile riprodurre questo tipo di esperienza per l’ambito complessivo delle discipline storiche. Ciononostante, anche da questo punto di vista significative esperienze, che si offrono come utili strumenti di orientamento e di selezione, sono presenti sul web, e ritengo che l’esempio più significativo, da questo punto di vista, sia il WWW-Virtual Library History Index Network[16]. Le strategie, le finalità e l’articolazione operativa di questo repertorio sono sensibilmente diverse rispetto ai criteri fortemente selettivi che abbiamo sopra richiamato a proposito dei motori di ricerca specialistici, e rispondono ad un’esigenza che intende da un lato proporre criteri di ordine nel web, ma dall’altro mantenere una forte connotazione democratica ed aperta. Esigenza sentita immediatamente, sin dalle origini del web, da uno dei suoi principali creatori, Tim Berners-Lee, a cui si deve appunto l’idea e la realizzazione della Virtual Library[17], il più antico progetto di catalogazione e selezione delle risorse sul web, nell’ambito del quale proprio la sezione storica è stata tra le prime, nel 1993, ad avere una propria importante collocazione[18]. La strategia di WWW-VL History (come dell’intera VL) si basa sull’iniziativa volontaria e sul coordinamento, regolato dal comitato responsabile del programma, di autonomi progetti di repertoriazione di risorse utili[19]; un autentico network internazionale di indici, dunque, volto ad integrare e coordinare il lavoro di molti gestori di repertori e di gateway di risorse per gli studi storici, sulla base della definizione di uno standard comune di qualità e di serietà. La natura al tempo stesso democratica e federativa dell’iniziativa -ciascun membro del network ha eguale autorità nella definizione dei criteri e nella loro discussione-, è quanto garantisce la sua ampiezza e la sua espandibilità. L’articolazione del catalogo centrale del network, situato presso l’Università del Kansas, prevede la possibilità di accedere a sezioni relative ai contesti nazionali, ai periodi storici, ai soggetti, ed un motore di ricerca che lavora sul complesso dei siti presenti nel network consente un’ampia possibilità di risposta, che evita l’eccesso di rumore dei motori generalisti, per gli utenti della rete. 18. Una maggiore possibilità di accesso all’informazione dunque, rispetto ai criteri selettivi dei motori settoriali e specialistici che abbiamo citato, ma anche un maggior rischio di eterogeneità, di ripetizione, di eccesso di risposte insoddisfacenti per una domanda volta in primo luogo alla ricerca. Un rischio

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evidentemente percepito dai curatori del sistema, quando richiamano che i “maintainers should attempt to establish standards of coverage and selectivity that will make their sites effective tools for practicing historians wishing to work on-line”[20], ma evidentemente non risolto, e forse non risolvibile, in termini convincenti. Se anche i responsabili di Argos e Hippias ricordano come, nonostante tutti i criteri e le regole di selettività proposti, fosse difficile stabilire argini e limitazioni al motore di ricerca di fronte a link interni o nascosti presenti anche nei siti più seri appartenenti al circuito associato[21], possiamo ben immaginare quale margine di indeterminatezza e di eterogeneità possa essere proprio di un motore che opera sul complesso dei siti raggiungibili tramite i repertori “confederati” del network. Le raccomandazioni al buon senso scientifico, all’adeguamento rispetto agli standard qualitativi propri delle diverse aree di competenza, all’importanza del fatto che la “uniform excellence”[22] costituisce elemento fondamentale della reputazione del progetto e condizione essenziale per il riconoscimento dello stesso come strumento qualitativamente utile alla comunità degli storici -e in ultima analisi per un’affermazione autentica del web nel mondo della ricerca-, rischiano di non produrre i risultati attesi proprio a motivo dell’articolazione molto forte, delle variabili e delle diverse concezioni in merito alla qualità e alla rilevanza delle risorse, che è propria della logica del sistema. Ciononostante, se dobbiamo valutare lo stato attuale degli strumenti presenti sul web, WWW-VL History si presenta come uno strumento essenziale ed una mappa fondamentale che consente, anche agli utenti non particolarmente esperti nella ricerca in rete, di evitare i disturbanti effetti dei motori generalisti. Due strategie diverse, dunque, due possibili vie di sviluppo per l’ordinamento delle risorse di rete -da un lato la via dell’autonomia regolata e della responsabilità all’interno di un organismo federativo, dall’altro quello della forte selezione disciplinare e dell’assunzione diretta di un’autorità di scelta- che offrono comunque possibilità di orientamento efficaci, anche se in buona parte da sviluppare e potenziare, e che consentono di eliminare molto del rumore informativo tipico della rete[23]. 19. Ma se è possibile, con lo sviluppo ed il potenziamento di queste esperienze, evitare le irritanti confusioni dei motori generalisti ed anche distinguere tra i siti che offrono occasionali ed episodici riferimenti al tema che ci interessa da quelli che ne fanno l’oggetto principale di attenzione eventualmente distinguendo all’interno di un sito o di un portale quelle sezioni che possono essere identificate e qualificate come risorse utili-, si può effettivamente giungere ad una reale valutazione di qualità e di rilevanza di risorse proponibile come standard alla comunità degli storici? E’ possibile in altri termini, una volta identificata la specificità e la rilevanza di una risorsa e ricondotta a criteri uniformi di catalogazione e di ordinamento fruibili dall’utente della rete, stabilire oggettivamente quali contenitori siano più ricchi di informazioni rilevanti per uno storico e stabilire, in ultima analisi, una gerarchia tra le “risorse” che possono essere più o meno utili alla ricerca storica? Questo interrogativo rivela la possibilità di un sostanziale fraintendimento e di un possibile errore di interpretazione sul rapporto tra potenzialità della rete ed esigenze proprie dello studio e della ricerca storica, che è opportuno cogliere. Dire che una risorsa è qualificabile per contenuto e serietà, dire che questi elementi sono rilevabili ed utilizzabili per uscire dall’indistinzione e dal disordine, non significa affatto stabilire una corrispondenza automatica tra un contenitore preordinato di informazioni ed i possibili interrogativi che uno storico si pone.

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Il problema investe dunque complessivamente la nozione di “risorsa” per la storia, il suo carattere intrinsecamente variabile, come si diceva, e la sua natura fondamentalmente scivolosa e difficilmente definibile in termini uniformi. Che cos’è infatti una risorsa se non la possibilità di dar risposta a quesiti ed esigenze interamente riconducibili al problema che uno storico in un dato momento della sua attività si pone, e assai difficilmente riducibili ad uno standard? Può essere dunque il riferimento ad un documento presente in una biblioteca o in un archivio, ma anche il riferimento ad un libro in commercio o ad un saggio pubblicato su una rivista, recente o passata; oppure l’indirizzo -fisico o elettronico- di un centro di ricerca o di un collega che si ritiene possano costituire riferimenti utili per il lavoro in corso; o infine un documento testuale o un manoscritto, un filmato, un’immagine digitalizzata, una registrazione, o, in anni più recenti, un intervento presente in una mailing list o in un forum, e via dicendo. A tutte queste esigenze, separatamente considerate, la rete offre risposte molto efficaci e destinate certamente ad ampliarsi e a potenziarsi in termini qualitativi oltre che quantitativi nel corso dei prossimi anni; ma a queste risorse non riesco ad accedere, o lo faccio con particolare difficoltà, se digito nella maschera di accesso del motore di ricerca il termine che corrisponde all’oggetto del mio studio. 20. Anche i motori specialistici o i cataloghi tematici non riescono ad arrivare al riferimento bibliografico di un catalogo OPAC, per esempio, per il quale ho bisogno di percorrere un’altra strada. E, al tempo stesso, la risorsa che per me risulta essere importante, addirittura decisiva, per un problema che intendo affrontare per portare qualche contributo nuovo di conoscenza o di riflessione, non è affatto reperibile ricercando, attraverso un motore di ricerca anche specialistico, le risorse disponibili relative all’oggetto, semplicemente e banalmente perché la connessione tra problema e risorsa -e dunque la presenza di meta-tag che segnalano i contenuti della pagina ai motori di ricerca- non è presente; ed è normale ed ovvio che sia così, perché questa connessione è esattamente l’aspetto, o uno degli aspetti qualificanti della mia ricerca, la natura specifica del mio contributo. Può sembrare una considerazione banale -che peraltro è la semplice registrazione di un’obiezione immediatamente avanzata da chi non ha esperienza con il web- ma l’idea che si possa giungere, per esempio, digitando il nome di “Voltaire” nella maschera di interrogazione di un motore di ricerca ad avere tutto quanto può essere utile ad una mia ricerca su Voltaire, non ha alcun fondamento, ed oltre a rivelare la natura illusoria dell’immagine di un “mondo a portata di mouse”, come si accennava -che è ancora ben lontana dal costituire la realtà- , mette in luce un errore metodologico che la rete può contribuire ad amplificare. Le risorse (o fonti, nel linguaggio più tradizionale degli storici)[24] non sono quello che risulta racchiuso in un contenitore prestabilito e preordinato, fisico o virtuale, ma ciò che uno storico individua come tale in relazione ad un problema. Se la rete amplifica il contenitore ed aumenta straordinariamente, e inesorabilmente, la quantità delle risorse e la loro eterogenea qualità, esalta al tempo stesso la necessità della definizione e della chiarezza nella formulazione dei problemi, al fine di evitare la tentazione di affidare all’automatismo e al flusso inerziale della comunicazione e della fruibilità delle risorse la generazione dei problemi stessi. Accettando questa seconda strada -che certamente può essere accettata, che può essere subita, ma che non è imposta e non costituisce necessariamente l’unica via percorribile-, ed accettando l’idea che le connessioni problematiche, le relazioni logiche ed argomentative derivino

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inevitabilmente, per chi si affida al web, dai marcatori introdotti all’interno delle stesse pagine web, invece di ottenere un’espansione dell’orizzonte problematico e conoscitivo, che è certamente una delle potenzialità oggettive dell’ipertestualità del web, possiamo ricavare la riproposizione, estremamente amplificata, dello stesso orizzonte e degli stessi problemi, con effetti di ridondanza, di superfetazione del volume discorsivo, di mancanza di originalità, di uniformazione e di ripetitività particolarmente forti. E neppure è consentito dire che, se tutto questo è intrinsecamente nocivo allo sviluppo di idee innovative e di ricerche originali, può invece essere più favorevole ad un uso didattico, soprattutto a livelli inferiori, delle risorse di rete, perché su questo, come vedremo più avanti, si apre un nuovo e serio ordine di problemi, che richiedono risposte convincenti. Certamente la molteplicità di informazioni determina suggestioni, produce stimoli e interessi nuovi, consente -proprio in virtù della navigazione- di vedere o cogliere rapporti, recepire indicazioni e strumenti di riflessione; ma perché questo si traduca in materiale fertile per una storiografia seriamente intesa occorre una consapevolezza chiara della natura -e dei problemi nuovi che derivano dal passaggio dalla fisicità alla virtualità- delle fonti che si offrono nel web, e del loro uso critico. 21. Ci pare chiaro, ed è un punto sul quale torneremo, che indipendentemente da una consapevolezza critica di fronte alle possibilità e ai materiali che la rete ci offre, un reale arricchimento della cultura storica sia assai meno automatico di quanto l’espansione complessiva del fenomeno Internet possa far ritenere, ed il rischio di una confusione tra dilatazione del discorso sul passato e conoscenza critica -che gli orientamenti dell’approccio post-modernista tendono a favorire - sia reale. Ciò che è allora opportuno fare, per non confondere tra la libertà di movimento -o la rapidità nell’accesso alle “risorse” consentita dall’ipertestualità del web- e l’autonomia critica intesa come uso responsabile e consapevole di quello che la rete offre, è superare la nozione di “risorsa” e la sua attrattiva indeterminata, e disarticolarla in una pluralità di domande che corrispondono a quello che in un determinato momento io individuo come problema di conoscenza e di ricerca. Assumendo questo punto di partenza la rete si rivela veramente e pienamente uno strumento straordinario, le cui potenzialità sono in parte già dispiegate, in parte ancora no; e soprattutto un territorio di applicazione di soluzioni nuove che alla maturazione di una coscienza critica intimamente collegata all’uso delle nuove tecnologie della comunicazione possono efficacemente contribuire. Più precisamente, ciò che alla rete la comunità degli storici di mestiere soprattutto domanda non sono vie di accesso a risorse genericamente individuate come utili e interessanti per indagini o curiosità di tipo storico, ma strumenti per individuare, con maggiore precisione rispetto a quanto consentito dai metodi tradizionali, i documenti che costituiscono la base del proprio lavoro, e se possibile (con un passaggio ricco di implicazioni problematiche, come vedremo) di averne la riproduzione o l’edizione fruibile a distanza rispetto al luogo della loro presenza materiale. Nel soddisfacimento di queste esigenze credo possano essere individuate le aspettative ed i desideri della maggior parte degli storici che assistono all’evoluzione del web e che ritengono di potersene avvalere efficacemente per le proprie ricerche; e nel modo in cui queste aspettative possono trovare risposta nella realtà attuale di Internet e nelle sue prospettive future, credo possa essere individuata una parte rilevante dei problemi che riguardano il pieno riconoscimento dell’importanza della rete per la comunità degli storici.

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Ma è anche chiaro che per ottenere risposte convincenti a questo tipo di esigenze primarie, non è possibile attendere passivamente i risultati di un’evoluzione inerziale della rete, e che il pieno coinvolgimento e la partecipazione responsabile e diretta della comunità scientifica umanistica sono indispensabili; esse debbono costituire un orientamento metodologico chiaro, rivolto soprattutto alle nuove generazioni per le quali l’uso della rete, anche per la ricerca, sarà sempre più un fatto normale.

[1] Vedi Trinkle et Merriman, 2000, p.25. [2] Ibid., "Introduction", p.XIII. [3] Ibid. [4] La famiglia dei motori di ricerca è in continua espansione. Per poterne controllare l'evoluzione e per poterli utilizzare al meglio sono disponibili numerose liste, guide e repertori, tra cui: Search Engine Guide. The Guide to Search Engines, Portals and Directories,; The Spider's Apprentice. A Helpful Guide to Web Search Engines, < http://www.monash.com/spidap.html >; Search Engine Watch, < http://searchenginewatch.com/ >; Directory Guide, < http://www.directoryguide.com/ >; CEA/DIST Moteurs de recherche, < http://www-dist.cea.fr/ext/neuf/moteur/tabledesmatieres.html >; Guida completa ai motori di ricerca, < http://www.motoridiricerca.it/ >. [5] Il più importante e celebre esempio di motore "tematico", che non è in realtà un vero e proprio motore di ricerca ma un indice di siti organizzato per categorie secondo una struttura ad albero, è certamente Yahoo!, < http://www.yahoo.com/ >. [6] Per seguire la già vasta bibliografia sui criteri di valutazione delle risorse web, uno strumento particolarmente utile è il sito curato da A.Smith, Evaluation of information resources < http://www.vuw.ac.nz/~agsmith/evaln/evaln.htm >, che è parte del più vasto progetto, curato da T.M.Ciolek e I.M.Goltz, The Internet Guide to Construction of Quality Online Resources < http://www.ciolek.com/WWWVL-InfoQuality.html >. Per una guida alla valutazione delle risorse utili per gli storici, vedi The Internet for Historians, < http://www.humbul.ac.uk/vts/history/ >.Vedi anche, tra gli altri, Grassian, 1996; Smith, 1997; Harris, 1997; Auer, 1998; Tillman, 1998; Alexander and Tate, 1999. [7] LASE è l'acronimo di Limited Area Search Engine. [8] Argos, < http://argos.evansville.edu/ >.Collegata ad Argos è l'ottima Rassegna degli Strumenti Informatici per lo Studio dell'Antichità Classica Guida, curata da A.Cristofori < http://www.economia.unibo.it/dipartim/stoant/rassegna1/intro.html >. [9] Hippias, < http://hippias.evansville.edu/ >. [10] Il progetto più avanzato, a questo proposito, è la Dublin Core Metadata Initiative, < http://purl.oclc.org/dc/ >. [11] Vedi Beavers, 1998. [12] Jurist: The Law Professor's Network, a cura di Bernard Hibbit, < http://jurist.law.pitt.edu/ >.

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[13] Noesis: Philosophical Research On-Line, < http://noesis.evansville.edu/ >. [14] Vedi ibid., "Future plans". [15] In Noesis, alla data di composizione di queste pagine, è prevista l'inclusione di Hippias e di un'altra importante selezione di risorse filosofiche, ossia la Guide to Philosophy on the Internet curata da Peter Suber, < http://www.earlham.edu/~peters/gpi/index.htm >. [16] Vedi < http://www.ukans.edu/history/VL/ >. [17] WWW-VL, < http://www.vlib.org/ >. George Manning è il responsabile della manutenzione del catalogo centrale. [18] Per un breve presentazione di questa sezione del progetto WWW-VL, vedi < http://www.ukans.edu /history/VL/about/about.html>. [19] Tra le sezioni europee risultano di particolare spessore quella tedesca, divisa a sua volta in diverse sezioni coordinate da S.Jenks, < http://www.phil.uni-erlangen.de/~p1ges/vl-dtld-e.html >, quella italiana, curata da S.Noiret, < http://www.iue.it/LIB/SISSCO/VL/hist-italy/Index.html >, quella francese, diretta da M.Dacos,< http://www.revues.org/vlib/ >, quella spagnola, curata da I. Lopez Martin < http://www.iue.it/LIB/SISSCO/references/eur-spain.html >. [20] Ibid., "General Purpose". [21] Vedi Beavers, 1998, "The Argos Model". [22] Vedi < http://www.ukans.edu/history/VL/about/about.html >, "General Purpose". [23] Un interessante esperimento recente, ancora in fase sperimetnale, di motore di ricerca specializzato nelle scienze umane enza recente tne, è ALEPH, < http://www.aleph.ens.fr/revues/index.html >, realizzato dai coordinatori del sito Revue.org, < http://www.revues.org/ >. [24] E' stata proposto il termine di "metasource" per indicare "l'ensemble structuré des informations mises en formes et transmises à l'ordinateur et traitées par lui" (Genet, 1994, p.8).

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Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione Rolando Minuti R.Minuti, " Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione ", Cromohs, 6 (2001): 1-75 < URL: http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html >

Indice I .2. Biblioteche e archivi 22. L’aspetto sul quale è più difficile non riconoscere immediatamente l’efficacia degli strumenti telematici per la ricerca storica è certamente costituito dall’informazione bibliografica. Credo sia possibile affermare, allo stadio attuale dell’evoluzione del web, che anche coloro che con maggiore scetticismo si avvicinano all’uso dei computer e della rete riconoscano senza difficoltà il fatto che l’accesso on-line ai cataloghi elettronici delle biblioteche e ad altri repertori bibliografici costituisce uno strumento di eccezionale rilevanza ed efficacia. L’avvento della catalogazione elettronica ha indubbiamente costituito l’avvio di strategie nuove per la risoluzione dei problemi dell’accesso all’informazione bibliografica, e l’apertura di possibilità di controllo e di gestione dell’informazione estremamente efficaci[1]. Se questo vale per i cataloghi di grandi biblioteche che già disponevano di importanti edizioni cartacee, com’è il caso della Library of Congress di Washington, della Bibliothèque Nationale di Parigi, della British Library di Londra, della Staatsbibliothek di Monaco etc.[2], e che mediante Internet consentono una loro fruibilità di evidente ed immediata efficacia -sia per la possibilità di operare con criteri di ricerca impossibili sul cartaceo, sia, conseguentemente, per la possibilità di pianificare ricerche e soggiorni di studio in maniera assai più precisa ed economicamente vantaggiosa- ciò risulta ancora più significativo per quei contesti culturali che sul versante della catalogazione cartacea hanno accumulato ritardi antichi e pesanti. Il caso delle biblioteche italiane è particolarmente significativo, perché esso -che può essere assunto come esemplare dei problemi e delle prospettive operative che si presentano nell’uso della rete per la ricerca bibliografica, a fronte di un patrimonio librario di straordinaria importanza e diffusione sul territorio nazionale- descrive problemi di gestione, organizzazione ed accesso all’informazione che rendono particolarmente avventurosa e faticosa la conduzione della ricerca. Certamente le aspettative che a questo proposito sono state immediatamente riposte nel web, sarebbero state meno ansiose se si fosse potuto disporre sugli scaffali di consultazione delle nostre biblioteche, accanto ai cataloghi delle grandi biblioteche che abbiamo prima ricordato, di cataloghi a stampa completi almeno delle biblioteche nazionali italiane; ciò che sappiamo bene non essere, purtroppo, una realtà.

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La catalogazione elettronica, l’automazione, e l’acronimo un po’ magico ed iniziatico di OPAC si sono dunque presentati, soprattutto in contesti culturali come quello italiano, come l’occasione per procedere efficacemente al superamento di una carenza storica, consentendo per gradi la costruzione di una rete informativa organica e affidabile. 23. Si potrà forse lamentare, come risulta anche da alcune autorevoli voci della tradizione biblioteconomica[3], il fatto che l’eccesso di automazione possa produrre effetti disumanizzanti, e far trascurare l’importanza del rapporto diretto con le solide e affidabili competenze dei bibliotecari, non sostituibili dalle modalità automatiche di ricerca a soggetto sui cataloghi. Ed è certamente vero che le potenzialità della ricerca per soggetto sui cataloghi elettronici rischiano di produrre aspettative sproporzionate rispetto a quanto può e deve derivare da una specifica esperienza di studio, e dalla collaborazione diretta con competenze bibliotecarie in grado di orientare anche sui contenuti dei documenti. Valgono, da questo punto di vista, ragioni sostanzialmente simili a quelle che ostacolano, come abbiamo in precedenza sottolineato, una catalogazione automatica ed un recupero efficiente dell’informazione presente nelle risorse distribuite sul web. L’illusione di poter delegare alle tecniche di recupero automatico dell’informazione un vaglio ed un controllo completo dell’informazione bibliografica, e l’idea che questa operazione, in virtù della tecnologia informatica, risulti facile e immediata, possono sicuramente essere fonte di frustrazione[4] e far erroneamente ritenere che il ruolo del bibliotecario (come dell’archivista, e lo vedremo) sia destinato a svanire; dove invece proprio lo sviluppo delle nuove tecnologie ne esalta la funzione, e sollecita una più stretta collaborazione con chi usa la biblioteca e che deve essere guidato nell’intrico delle tecniche di interrogazione. Tuttavia, ha certamente un effetto disturbante constatare come i ritardi nei programmi di automazione, e le difficoltà e i problemi di accesso all’informazione libraria in rete, che caratterizzano una realtà complessa al pari di quella italiana, possano essere fatte apparire quasi una sorta di privilegio di fronte ai caratteri propri di una realtà segnata dal forte impatto tecnologico sulle biblioteche e sul mestiere di bibliotecario come gli USA. E’ probabilmente facile dimenticare che l’esistenza di cataloghi a stampa completi di singole grandi biblioteche non è, in aree culturali come quella italiana, un dato normale, e che il solo fatto di poter consultare a distanza il catalogo per autori e per titoli (completo) di particolari biblioteche o di più biblioteche contemporaneamente (tralasciando le illusioni di un recupero automatico per soggetto) costituisce di per sé un elemento di straordinaria importanza per ogni tipo di studio storico. Può essere forse dimenticato, in contesti dove l’accesso all’informazione bibliografica è mediato da grandi cataloghi generali come il National Union Catalogue e dove il prestito interbibliotecario anche per i materiali più rari funziona con particolare rapidità ed efficienza, che in altri contesti l’unico modo di verificare il contenuto è quello di recarsi fisicamente a consultare il catalogo a schede, con i tempi, i costi e le difficoltà che questo comporta, legati ad orari di apertura variabili e ad un rapporto con un personale bibliotecario che non è sempre warmly come si vorrebbe. Lo sviluppo ed il potenziamento della catalogazione elettronica fruibile in rete costituiscono in questo quadro un’occasione di risposta alle esigenze del mondo della ricerca (non solo storica) e della società civile nel suo complesso, di cui non è legittimo dubitare.

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24. E’ anche vero, peraltro, che nel momento in cui l’oggetto del desiderio sembra avere contorni chiari e definiti, e soprattutto conformi allo stato attuale della tecnologia disponibile, intervengono spesso per l’utente tradizionale una serie di problemi che rendono più incerto il conseguimento di obiettivi che sembrano a portata di mano. Partendo, ancora una volta, da chi usa le biblioteche a fini di studio ed è sollecitato all’uso della rete dalla sempre maggiore presenza di cataloghi elettronici fruibili sul web, forse la speranza maggiore sarebbe di avere la possibilità di digitare il nome dell’autore o parte del titolo che interessa, e di avere una lista esaustiva della distribuzione dell’opera cercata in un dato ambito nazionale, con l’indicazione delle biblioteche che lo posseggono, i dati relativi alla loro organizzazione, le modalità di richiesta dell’esemplare in prestito o di una sua riproduzione. Aspettative eccessive? certamente no, considerando sia l’attuale stato della tecnologia -e l’uso per esempio, di un protocollo quale lo Z39.50, che consente interrogazioni omogenee su cataloghi eterogenei, e la produzione di un output uniforme- sia la presenza reale di strumenti già utilizzabili concepiti per rispondere direttamente a questa esigenza[5]. Ciononostante, a fianco di queste iniziative, ed al loro sviluppo talvolta problematico, com’è il caso del sistema SBN[6] si ha una presenza numerosa di sistemi di accesso ai cataloghi informatizzati che mantengono caratteristiche specifiche e modalità di accesso particolari e variabili, dal telnet allo Z39.50. E’ un aspetto importante che, insieme alla presenza ancora non sistematica di cataloghi unificati, non agevola certamente l’uso e spesso contribuisce ad alimentare perplessità e scetticismo sulla reale importanza delle iniziative di informatizzazione da parte di un’utenza che non sia almeno minimamente esperta nelle procedure di ricerca bibliografica telematica. Ed è ancora opportuno sottolineare che proprio a questo tipo di utenza, tipica in particolare della generazione meno giovane di studiosi, si dovrebbe soprattutto guardare perché -limitando il discorso all’ambito degli studi umanistici- è nella saldatura tra la tradizione scientifica e le nuove procedure di indagine legate all’innovazione tecnologica che è possibile vedere la continuazione fruttuosa delle esperienze di ricerca e delle eredità culturali nel nuovo mondo regolato dalle reti. Per quanto mi è possibile affermare per esperienza diretta, la percentuale degli studiosi meno giovani che accettano e usano regolarmente le risorse telematiche è ancora assai ridotta; e molto frequente è il costume di appoggiarsi ad un esperto, collega o amico o tecnico di laboratorio, che possa aiutare a risolvere in casi specifici problemi anche banali di ricerca bibliografica in rete, contribuendo a costruire delle gerarchie di merito separate e improprie, che contrastano con la necessità che le nuove tecniche di lavoro legate alla rete costituiscano uno standard di esperienza normale e comune. Programmi di alfabetizzazione informatica e telematica rivolti alle generazioni più giovani -di cui si sente forte necessità soprattutto in ambito universitario umanistico, e che sono ormai imposti dal piano generale di riforma dell’università- rischiano allora di non produrre tutti i frutti che ci si potrebbe attendere se poi non trovano sul versante della docenza e della ricerca un’integrazione adeguata e la possibilità di un confronto diretto di esperienze. 25. Vale la pena allora di richiamare il fatto che ciò che ai sistemi bibliografici informatizzati chiede l’utenza scientifico-umanistica ancora più diffusa -che deve fare i conti con problemi di formazione culturale e di abitudini di lavoro consolidate- investe in primo luogo l’interfaccia[7]: si desiderano

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modalità di interrogazione chiare e semplici, o di complessità variabile e controllabile, che si esprimano visivamente in maschere chiare e semplici. In secondo luogo, si vorrebbe che queste procedure e queste maschere non soffrissero di variabilità eccessive nel passaggio da un sistema di catalogazione all’altro, consentendo l’integrazione e la combinazione delle ricerche tra cataloghi diversi. In terzo luogo, che tutto questo funzionasse veramente, con rapidità ed efficacia: ciò che, in ultima analisi, stabilisce l’affidabilità di un sistema. Perché va da sé che, di fronte a possibilità di ricerca bibliografica che si presentano anche sbalorditive, se le procedure di interrogazione vanno incontro a interruzioni continue, a lentezze eccessive e alla necessità frequente di ricominciare il lavoro dal punto di partenza, si è fortemente tentati di tornare alla scheda cartacea. Infine, sarebbe auspicabile una maggiore precisione nell’indicazione della copertura esatta della catalogazione elettronica rispetto al reale patrimonio librario conservato da ciascuna biblioteca. Perché una ricerca su un catalogo informatizzato risulti qualitativamente equivalente, oltre che tecnicamente più efficace, rispetto alla consultazione dei volumi o degli schedari cartacei di una biblioteca, sarebbe essenziale che l’intero patrimonio librario fosse fruibile telematicamente; o, in alternativa, e in attesa che i programmi avviati di catalogazione giungano a compimento, che si sapesse esattamente ciò che si può trovare e ciò che almeno temporaneamente resta escluso, il che non è sempre facile sapere. Ancora una volta, come per quanto concerne in generale le risorse presenti sul web, l’illusione che in Internet si trovi tutto e che la rete, nel caso specifico, dia accesso alla totalità dell’informazione bibliografica disponibile, non è fondata e può alimentare ulteriori illusioni e frustrazioni. Lo sviluppo degli OPAC è stato certamente rilevante negli ultimi anni, ma non investe affatto la totalità del patrimonio bibliotecario europeo (con forti squilibri derivanti anche da disuguaglianze nello sviluppo storico, politico-amministrativo ed economico delle diverse aree). Di fronte alle grandi biblioteche nazionali o universitarie degli Stati più avanzati, che hanno per prime attivato processi importanti di informatizzazione, esiste una miriade di biblioteche che sono spesso da intendersi come minori solo sul piano quantitativo, costituendo il più delle volte autentiche gemme che sfuggono all’utenza non specialistica e per le quali proprio una maggiore conoscenza e valorizzazione potrebbe contribuire ad affrontare in maniera nuova e più efficace problemi di conservazione materiale che spesso risultano drammatici. 26. In un contesto articolato e stratificato in maniera straordinaria come quello italiano, per esempio, le opportunità che si sono presentate con la tecnologia informatica e telematica hanno assunto un valore ed una rilevanza eccezionali. Molte iniziative importanti sono state avviate in questa direzione, e da esse è legittimo attendersi risultati significativi; ma la constatazione attuale resta sempre quella di un lavoro enorme da fare, e, soprattutto, dell’esigenza di strategie e di metodologie informatiche uniformi, che siano assunte come problema prioritario, e che siano studiate avendo presente in primo luogo la logica della rete più che gli oggetti catalografici informatizzati in un’accezione ristretta e chiusa. E quanto osservato per l’Italia può facilmente ripetersi, in termini amplificati, per aree culturali attualmente marginali o periferiche. Di nuovo la differenza, nel quadro generale dei problemi, rispetto alla realtà statunitense, emerge con grande evidenza. Il problema della quantità di informazione bibliografica disponibile in rete risulta dunque

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particolarmente rilevante, sia se consideriamo il numero delle biblioteche sia se volgiamo l’attenzione alla tipologia dei documenti di cui è disponibile un’informazione in formato elettronico fruibile in rete. Per chi, com’è il caso di chi scrive, si occupa prevalentemente di testi settecenteschi, è sconfortante notare come negli OPAC disponibili (ed è questo un discorso non solo italiano) tenda ad essere privilegiato il patrimonio librario più recente, per ragioni che possono anche essere facilmente comprensibili, mantenendo lacune importanti sul versante dei fondi antichi. E’ probabilmente, anche in questo caso, solo una questione di tempi, ma è certamente un dato da segnalare il fatto che, per un’utenza rivolta alla ricerca, poter disporre -per portare solo un esempio- del catalogo in linea della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze senza poter accedere alla consultazione in linea di un fondo straordinario come il Fondo Magliabechiano costituisce senz’altro un motivo di forte delusione[8]. Se soprattutto riportiamo il discorso alla miriade di fondi antichi e di manoscritti disseminati nel mare magnum delle biblioteche cosiddette minori alle quali prima si accennava -che spesso sono conoscibili solo attraverso uno schedario cartaceo, e quindi impongono peregrinazioni assai poco virtualiil problema, e il fronte delle aspettative deluse, si amplia in maniera straordinaria. Mi sono chiesto spesso, visitando piccole e preziose biblioteche locali, quanto sarebbe utile per la comunità scientifica che gli inventari talvolta eccellenti di fondi antichi e di manoscritti compilati da intelligenti bibliotecari locali fossero immessi in rete, e non imponessero l’ingresso fisico nella sala di consultazione riservata e la richiesta personale e riservata della loro consultazione. Per chi studia e fa ricerca resta insomma la constatazione, da un lato, delle enormi opportunità scientifiche offerte dalla rete; e, dall’altro, del loro ancora inadeguato sfruttamento. 27. Si tratta certamente di valutazioni che debbono tener conto di forti variabili nazionali, relative alla complessità del patrimonio gestito e alla disponibilità di risorse adeguate; ed è comunque opportuno insistere, da questo punto di vista, sull’importanza dell’armonizzazione e del coordinamento tecnico e scientifico delle iniziative, al fine di pervenire alla realizzazione di strumenti di controllo estensibili a patrimoni librari diversi. La quantità dell’informazione bibliografica a cui si può accedere mediante strumenti telematici non è peraltro limitabile agli OPAC delle biblioteche. Basi di dati bibliografiche fruibili, gratuitamente o a pagamento, in Internet o tramite sistemi di accesso a CdRom in rete locale, quali bibliografie nazionali[9], indici di periodici[10], cataloghi dei libri in commercio[11], repertori ed abstratcs di riviste[12], banche dati testuali, archivi biografici[13], e gli stessi cataloghi di alcuni grandi siti commerciali[14]- che per la loro ampiezza possono offrire molto non solo in una prospettiva di acquisto ma anche di conoscenza e di controllo bibliografico- costituiscono strumenti ormai difficilmente ignorabili da parte della comunità intera degli storici[15]. La disponibilità di questi strumenti nella sala di consultazione delle biblioteche costituisce un’esigenza non più eludibile, e definisce ormai un indice importante della qualità dei servizi erogati, che va molto al di là della conservazione e comunicazione del patrimonio conservato e che apre certamente problemi nuovi di gestione, di amministrazione e di infrastrutture. Quanto osservato a proposito delle biblioteche vale, in termini per molti aspetti più complessi, per gli archivi. I problemi dell’automazione degli archivi storici,-ormai avviata da anni in vari Paesi europei, pur

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con ritmi ed intensità molto diversi, e sempre più sollecitata a confrontarsi con l’espandersi delle reti, implicano una molteplicità di fattori che investono da un lato la responsabilità pubblica delle istituzioni archivistiche nella conservazione e gestione del patrimonio loro affidato e dall’altro l’esigenza di mantenere saldi, nei nuovi scenari delineati dallo sviluppo tecnologico, i termini di una tradizione e di un mestiere che molti ritengono, forse con un eccesso di preoccupazione, minacciato. Dal punto di vista di chi usa la rete a fini di studio e di ricerca storica, che non sempre coincidono con le esigenze primarie di chi gestisce e deve aver cura della conservazione della documentazione d’archivio, le possibilità di un mutamento delle strategie di ricerca e di reperimento dell’informazione archivistica aperte dallo sviluppo di Internet sono indubbiamente suggestive. In sintesi si può ritenere possibile, attraverso indici di ricerca informatizzati e fruibili in rete, di giungere direttamente all’informazione voluta superando la mediazione istituzionale e l’esperienza diretta dell’archivista; si può ritenere, digitando un nome, un luogo, un soggetto, di poter disporre immediatamente del repertorio di documenti che lo riguardano, presenti in un singolo archivio o in più archivi contemporaneamente. L’esplorazione di un archivio, che mantiene sempre una dimensione affascinante di scoperta e di avventura, si aprirebbe ad esperienze nuove, forse più vaste e diversificate rispetto al quadro dell’utenza attuale, con una molteplicità di ricadute interessanti sia per il ruolo degli archivi nella società civile contemporanea sia per gli sviluppi della ricerca. 28. Speranze illusorie, aspettative fantasiose di fronte all’estrema eterogeneità delle fonti archivistiche, al loro volume, alla diversità dei contesti istituzionali? Può certamente non essere prudente, al momento attuale dell’evoluzione del web, offrire una risposta risoluta e immediata, soprattutto considerando quanto oggettivamente è disponibile rispetto alla realtà effettiva degli archivi storici; ma è anche possibile individuare prospettive operative ed esempi che rendono questo scenario meno incerto ed immaginario di quanto gli storici legati alla pratica consolidata della consultazione archivistica possano ritenere. Due ordini di problemi in particolare si pongono per una piena soddisfazione delle aspettative a cui abbiamo accennato: da un lato, l’adozione di criteri di descrizione dei documenti archivistici che siano più orientati all’utenza -rispetto ad una tradizione archivistica che privilegia la descrizione di fondi, serie, unità, in relazione al contesto istituzionale di provenienza-: che siano, in altri termini, più attenti ai contenuti che ai contenitori. Congiuntamente, l’adozione di standard uniformi di descrizione che rendano possibile la comunicazione e lo scambio di informazioni tra database archivistici differenti. Lo sviluppo delle discussioni su quest’ordine di problemi -in particolare sull’uso di authority list e di thesauri in archivistica, e sull’adozione di standard condivisi per la descrizione archivistica connessa con l’uso di tecnologie informatiche e telematiche- è già fortemente avanzato, e costituisce un punto di riferimento importante[16]. Da un altro punto di vista, ciò che gli storici si attendono è una maggiore sensibilità per un’interfaccia e per modalità di interrogazione che tengano conto di esigenze di ricerca storica che, come prima si accennava, sono rivolte in primo luogo ai contenuti più che ai contenitori, o, per meglio dire, si rivolgono ai contenitori e al contesto a cui fa riferimento il documento archivistico nella misura in cui questo consente di pervenire al documento specifico e al suo contenuto. La descrizione di un documento e l’introduzione di indici di rilevanza, da parte di chi fa ricerca su un

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determinato argomento, sono tuttavia strettamente legati a strategie soggettive e personali, che rinviano alla natura peculiare del problema storico che il singolo studioso intende affrontare. Come per la schedatura di un libro, pensando di usare per questo un database, così per l’utilizzazione di un documento archivistico, l’organizzazione dell’informazione dipende in misura sostanziale dalla soggettività di chi svolge la ricerca; e l’adozione sistematica di standard di descrizione dei contenuti può sistematicamente rivelarsi insoddisfacente o addirittura fuorviante, orientando gli studiosi verso obiettivi e risultati in certo modo preordinati. 29. Penso che una delle preoccupazioni maggiori del mondo archivistico -soprattutto del versante più scettico verso l’adozione sistematica di nuove tecnologie di automazione- ruoti intorno a quest’ordine di problemi, inducendo ad attenersi alle regole della tradizione, intese a guidare il procedere della ricerca con un’attenzione prevalente al contesto formale di appartenenza dei documenti, ma evitando strategie di soggettazione dei singoli documenti che investano direttamente i contenuti e gli obiettivi della ricerca. Ma è d’altra parte pensabile, e probabilmente accettabile anche dagli archivisti più legati alla tradizione, mantenersi ad un livello generale di descrizione tale da poter orientare chi intende usare l’archivio anche sui contenuti dei documenti, senza tuttavia spingersi verso livelli troppo avanzati o specifici, che investono direttamente la natura della ricerca e la scelta dei singoli studiosi. Una descrizione dettagliata dei singoli documenti di un archivio storico, sulla base di strategie che dovrebbero essere il risultato di una collaborazione stretta tra storici e archivisti, è certamente possibile, soprattutto per piccole entità archivistiche; ma non è facilmente ipotizzabile che un simile criterio, volto ad un’esaustività e ad una completezza della soggettazione che è in contrasto con la natura soggettiva di ogni ricerca, possa essere esteso ed affermato in termini di standard. Soprattutto la necessità di disporre di standard uniformi, che si traducano in criteri di interrogazione e interfacce simili, se non proprio identiche -superando strategie autonome basate sullo sviluppo e l’adozione di sistemi chiusi e pensando soprattutto alla realtà della rete-, è sentita come primaria da parte di chi pensa di poter accedere alle risorse archivistiche attraverso i nuovi strumenti che le tecnologie informatiche e telematiche mettono a disposizione, ma senza per questo divenire un esperto di database. Si è molto discusso in un recente passato sull’adozione di strumenti informatici di organizzazione e recupero dell’informazione che risultassero specificamente rispondenti alle esigenze degli storici, e soprattutto alla necessità di organizzare una documentazione di tipologia eterogenea che mantenesse la propria integrità e non risultasse preliminarmente strutturata secondo le caratteristiche proprie dei database relazionali[17]. Certamente l’esempio più rilevante da questo punto di vista è stato il progetto Kleio, sviluppato da Manfred Thaller presso il Max-Planck Institut di Berlino[18]. Un progetto interessante, sia dal punto di vista “politico”, in quanto intendeva offrire un software non commerciale, sviluppato nell’ambito di un contesto universitario per la comunità degli studiosi; sia dal punto di vista progettuale, per caratteristiche di flessibilità nel trattamento di fonti che non risultassero strutturate entro campi rigidamente impostati, di integrazione con strumenti e moduli configurabili in relazione a specifiche esigenze e di possibilità di collegamento tra progetti diversi. La historical workstation progettata da Thaller mirava con questi caratteri, e sulla base dell’idea

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fondamentale di offrire uno strumento source-oriented, a divenire un punto di riferimento, uno standard, per l’organizzazione dell’informazione documentaria utile alla ricerca storica in tutte le sue possibili articolazioni. Se ciò non è avvenuto, e se questo progetto sostanzialmente non è riuscito a decollare e ad uscire dall’applicazione su singoli progetti -ben lungi dall’affermarsi come standard- credo sia da imputare a ragioni che non toccano la qualità sostanziale del progetto stesso, e la sua correttezza metodologica, ma che si collocano ad un livello più empirico. 30. Chi ha avuto modo di confrontarsi con Kleio, sin dal momento della sua presentazione alla comunità internazionale degli storici, difficilmente avrà evitato la percezione di una complicazione e di una difficoltà nell’uso dello strumento probabilmente superabili per chi avesse già una qualche esperienza informatica ma certamente non adatte ai neofiti, soprattutto in una fase delicata di transizione; l’apprendimento delle modalità di uso e lo sfruttamento delle potenzialità del sistema richiedono una seria applicazione, concettuale e pratica, preferibilmente sostenuta da una formazione specifica, improponibili per un contesto disciplinare umanistico e storico che, a parte settori circoscritti, aveva ed in larga misura ha tuttora difficoltà a stabilire un rapporto di piena fiducia con gli strumenti informatici. Il limite stava sostanzialmente in quella che abbiamo visto più volte essere una ragione di difficoltà di dialogo tra storici e informatici, ossia una preoccupazione troppo ridotta per un’utilizzazione user-friendly ed un’attenzione limitata per la costruzione di un’interfaccia che, evitando la necessità di acquisire specifiche ed elevate competenze informatiche, consenta a studiosi e docenti di utilizzare gli strumenti offerti dalle nuove tecnologie[19]. Parallelamente alla presentazione e all’applicazione di Kleio su progetti specifici, soprattutto in ambito tedesco, si è infatti diffusa la presenza di software, commerciali e non che, pur presentando forti limitazioni rispetto alla strategia source-oriented proposta da Kleio, consentivano un più rapido apprendimento e una più immediata utilizzazione, e che con il tempo hanno acquisito potenzialità ed estensibilità sempre maggiori. Ma se questo ha consentito una maggiore diffusione dell’uso dei computer, al di là dei programmi di scrittura, anche nella comunità degli storici -sulla base soprattutto della diffusione di pacchetti integrati- ha anche determinato una proliferazione di applicazioni eterogenee e di oggetti non sempre facilmente condivisibili, che hanno evidenziato quella che costituiva una delle esigenze fondamentali sentite dagli ideatori del progetto: l’affermazione di uno standard condiviso di regole e di tecniche nel trattamento e nell’organizzazione della documentazione storica che avesse alla base il rispetto dell’integrità della fonte documentaria, prima dell’intervento di criteri di analisi e tecniche di indicizzazione che sono legate alla natura specifica delle ricerche e che debbono essere previste come un passaggio successivo e distinto; e, parallelamente, l’estensibilità e la condivisione di questa procedura, sulla base di un rigore metodologico non alterato dalle caratteristiche di software, in particolare di database relazionali, sviluppati non pensando ai caratteri propri della ricerca storica. 31. Sono esigenze che proprio l’estensione della rete ha messo in luce con particolare evidenza e che, al di là del destino di un progetto che era stato concepito non pensando in primo luogo agli sviluppi imponenti che Internet avrebbe avuto, costituiscono tuttora un problema aperto ed investono particolarmente le strategie di organizzazione e le condizioni di fruibilità in rete degli archivi di documenti storici[20].

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Probabilmente, più che nell’affermazione di singoli progetti e nella possibilità o nella speranza di una loro affermazione come standard, è nello sviluppo dei linguaggi di marcatura sorti e sviluppati per la rete che possono essere viste indicazioni importanti per la soluzione di quest’ordine di problemi. Le ricerche sulle applicazioni del linguaggio SGML e la probabile affermazione dell’ XML[21] come linguaggio del web aprono prospettive molto interessanti anche dal punto di vista dell’accesso alla documentazione archivistica, e consentono un’estensibilità tale da poter coniugare le esigenze e le preoccupazioni dei conservatori con le esigenze di recupero qualitativo dell’informazione proprio degli studiosi. Il progetto EAD (Encoded Archival Description) offre indicazioni interessanti da questo punto di vista[22], consentendo di sviluppare strategie di recupero dell’informazione e finding aids, e di includere una descrizione dei contenuti della documentazione archivistica, sulla base delle regole stabilite dal General International Standard Archival Description (ISAD(G)) nell’ambito del Conseil International des Archives[23]; ma soprattutto aprendosi ad un’estensibilità, ad un’integrazione informativa e ad una condivisione dell’informazione tra entità archivistiche diverse, conformi all’evoluzione del linguaggio del web. Prospettive, problemi e soluzioni sulle quali nel mondo in espansione dell’informativa archivistica si sta alacremente lavorando[24], ma che rischiano tuttavia di costituire un ambito di discussione separato, per molti aspetti criptico per chi è abituato ad accedere alla documentazione archivistica sulla base della regola tradizionale della consultazione degli archivi, cioè l’esperienza della ricerca e l’aiuto diretto del personale archivistico. Per questo tipo di utenza, al di là dei problemi di metodo, di strategia informatica, di standard etc., restano alcuni interrogativi sostanziali: che cosa concretamente posso trovare dal punto di vista dell’informazione archivistica tra tutto quanto è attualmente diffuso in rete? la rete mi consente veramente di risolvere prima e in maniera più efficace i problemi che mi pongo in relazione alla ricerca di archivio? la rete mi offre, oltre alle indicazioni su come pervenire alla documentazione che mi interessa, anche la riproduzione del documento di cui ho bisogno per la mia ricerca? 32. Credo che a questo tipo di domande sia possibile dare una risposta positiva, che ovviamente deve tener conto del fatto che un lavoro enorme resta da fare; e che dalla rete non si ricava affatto tutto quanto ci si potrebbe aspettare, ma che sulla base di esempi concreti è legittimo individuare come uno scenario concreto ed in progressiva espansione, alla cui attuazione un parte rilevante del mondo archivistico sta dando contributi importanti[25]. Un primo livello, quello costituito dalla possibilità di accedere attraverso la rete agli indici relativi a singole unità o a complessi archivistici nazionali, fornisce già strumenti preziosi per una pianificazione delle ricerche e per l’individuazione più precisa dei materiali. A parte l’esempio statunitense, che anche in questo ambito costituisce un chiaro punto di riferimento, e che mediante il NARA archival information locator consente l’utilizzazione di un database che mira ad essere esaustivo sulla documentazione archivistica nazionale[26], anche nel contesto europeo sono già presenti strumenti importanti. Attraverso ARCHON[27], per esempio, curato dalla Historical Manuscript Commission di Gran Bretagna, si può accedere on-line al National Register of Archives, interrogabile secondo modalità diverse, con l’ulteriore vantaggio di poter diporre di information sheets relative a ambiti generali di ricerca e di poter giungere attraverso questi alle singole unità archivistiche e ai loro indici. E’ un esempio, che mi pare

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significativo, di come si possano inserire strumenti di orientamento a soggetto non particolarmente mirati, tali cioè da non condizionare in maniera significativa la specificità e la singolarità delle ricerche individuali, e che non alterano pertanto la correttezza del rapporto tra archivista e storico, ma che sono comunque molto utili per chi deve orientarsi nel mare della documentazione archivistica. Un altro esempio eccellente, da questo punto di vista è il Censo-Guía de Archivos Iberoamericanos offerto dal Ministerio de Educacion y Cultura di Spagna[28]. Ed infine, per la rilevanza che assume in rapporto alla realtà europea contemporanea, merita di essere segnalato il sistema EURHISTAR[29], che consente l’accesso agli indici degli archivi storici della comunità europea. Il solo fatto di poter disporre di questo tipo di informazione in rete, a distanza dal luogo di deposito e con la possibilità di chiedere direttamente informazioni e aiuto al personale archivistico locale, si presenta anche all’utenza più tradizionale come immediatamente ed evidentemente utile. Che questo tipo di strumenti sia ancora frammentario e ineguale, che copra ancora una parte minoritaria dell’intero patrimonio archivistico presente sul territorio europeo non incide sulla sua oggettiva utilità e sulla necessità di perseguire in questo tipo di interventi con sistematicità. 33. Certo, la rete offre possibilità e suggestioni maggiori rispetto alla semplice disponibilità di consultare indici e regesti. Offre soprattutto la possibilità di ottenere la riproduzione del singolo documento; la possibilità di disporre sulla scrivania, con i semplici strumenti del collegamento in rete e di una stampante, delle fonti primarie della ricerca. Una possibilità che è ritenuta da molti troppo ambiziosa, impossibile da realizzare oltre la soglia degli esempi selezionati, troppo impegnativa rispetto al volume della documentazione posseduta anche da un archivio minore, e sostanzialmente impraticabile. E’ un tipo di obiezione che viene spesso avanzata -analogamente alle obiezioni sulle potenzialità reali delle biblioteche digitali- da parte soprattutto della comunità meno giovane di studiosi, e che certamente corrisponde a reali difficoltà, di ordine tecnico ed economico, ma che non per questo deve essere proiettata immediatamente verso uno scenario futuribile o fantasioso. La rete ci offre già esempi di come un intero archivio possa essere reso fruibile sul web, dagli indici alla riproduzione digitale dei documenti. Proprio da uno sviluppo del sistema Kleio, a cui abbiamo in precedenza fatto riferimento, e da una sua applicazione al web, deriva un esempio che credo possa essere individuato, tra i molti, come particolarmente significativo a questo proposito. L’archivio municipale di Duderstadt, ed il progetto di digitalizzazione integrale sviluppato in collaborazione con il Max-Planck Institut di Berlino, offre questo tipo di risorsa, che integra gli inventari con la riproduzione fotografica dei documenti ed offre un sistema in grado di rendere possibile la consultazione degli originali preservandoli dall’uso materiale e dalla manipolazione; consente inoltre l’integrazione successiva di informazioni relative al singolo documento, in virtù delle caratteristiche del sistema informatico utilizzato, e pertanto una dinamicità che non è ipotizzabile per le edizioni cartacee dei documenti[30]. Lo strumento elettronico integrato con la rete consente dunque, in questo caso, non solo la possibilità di ottenere la riproduzione dei documenti a cui si può pervenire attraverso gli indici predisposti dal sistema; ma si offre anche come una possibile via di soluzione elettronica al problema dell’edizione delle fonti, curata non da un singolo studioso, e rigidamente chiusa entro i confini dell’edizione cartacea, ma dalla collettività dei ricercatori che a quel documento possono accedere ed il cui contributo può essere integrato

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nel database informativo del sistema. Un progetto certamente ambizioso, sicuramente oneroso dal punto di vista tecnico e finanziario e forse non facilmente o immediatamente riproducibile in altri contesti. Ma, ciononostante, un fatto concreto, una realizzazione e non solo un progetto; e che in quanto tale può essere indicato come una possibilità reale e non come una fantasia. Si può certamente ritenere che progetti di questo tipo incontrino maggiori difficoltà per strutture archivistiche più imponenti e complesse. Ma anche considerando queste difficoltà e questi problemi, la necessità di provvedere a strumenti di conservazione del materiale archivistico in formato elettronico -e di rispondere in questo modo a esigenze primarie di salvaguardia del patrimonio documentario consentendo al tempo stesso l’accesso, attraverso la rete, alla comunità degli studiosi- è diffusamente sentita e ha già dato avvio a iniziative che, seppure parziali, non per questo sono meno importanti. Un esempio, particolarmente vicino a chi scrive, è quello dell’Archivio di Stato di Firenze con il progetto Mediceo avanti il Principato[31]. Un progetto, che a partire dall’inventario del fondo, e mediando il rigore metodologico e le strategie di recupero dell’informazione proprie della tradizione archivistica con l’esigenza di un’informazione diffusa sollecitata dalla rete, mette a disposizione degli utenti una banca dati di immagini di un complessivo carteggio politico-diplomatico. E, a fianco di queste iniziative che si propongono di affrontare in maniera sistematica il problema dell’accesso telematico all’informazione archivistica relativa ad un fondo specifico o a un intero archivio, lo sviluppo di iniziative volte alla presentazione in rete di selezioni, esempi o serie particolari di documenti, scelte soprattutto per esigenze di conservazione e di salvaguardia dai rischi di una manipolazione diretta, sono numerosi[32], ed il loro sviluppo è un fatto che possiamo dire certo. 34. Esempi concreti, oggetti già fruibili, e modalità di accesso al materiale archivistico che non si separano dalle esigenze di contestualizzazione stabilite e consolidate dalla tradizione archivistica, ma sono in grado di integrarle e potenziarle: sono soprattutto queste realizzazioni che aiutano a vincere scetticismo e perplessità della comunità scientifica nei confronti della rete, forse più che le discussioni teoriche su standard, linguaggi e struttura dei database, che, pur essenziali per un’evoluzione delle applicazioni delle nuove tecnologie, sono spesso inaccessibili e talvolta irritano la parte più rilevante degli utenti di biblioteche e archivi. Uno storico, e soprattutto colui che proviene dalla tradizione delle discipline e della ricerca -non lo storicoinformatico di nuova generazione- si attende legittimamente, sulla base dello stato attuale della tecnologia informatica e delle aspettative alimentate intorno al fenomeno Internet, di trovare almeno questo tipo di risposte: l’accesso on-line ai cataloghi completi delle biblioteche, l’accesso a guide ragionate e organiche relative al materiale archivistico. E, in entrambi i casi, modalità di interrogazione (interfacce) omogenee, rispondenti alle caratteristiche proprie della tradizione consolidata nella ricerca e non particolarmente complicate dal punto di vista tecnico. Se ancora ciò non è possibile, per difficoltà organizzative o finanziarie, se le interrogazioni di cataloghi e indici impongono peregrinazioni tra sistemi diversi e modalità diverse di interrogazione, se soprattutto la quantità di informazioni che ci si attende non è ancora esaustiva ed equivalente ai repertori cartacei, si tratta di problemi che è possibile affrontare e risolvere sul piano strategico e tecnico. L’attuale possibile frustrazione di fronte a quanto la rete sembra

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promettere ma non mantiene, non può giustificare in altri termini uno scetticismo radicale nei confronti del web. E, d’altra parte, senza domande chiaramente impostate su quale informazione (documento) si va cercando e per quali scopi, e rivolgendoci indistintamente al web come fornitore indiscriminato ed esaustivo di risorse informative, si rischia sistematicamente di andare fuori strada o di alimentare aspettative che per non tradursi sistematicamente in frustrazioni debbono essere disciplinate entro ambiti di conoscenza, di esperienza, di saperi. E’ inutile, in altri termini, la possibilità di disporre di strumenti anche tecnologicamente raffinati di recupero dell’informazione archivistica, se alle spalle non c’è un problema e una ricerca, se non ci sono interrogativi ed esigenze chiare che ci portano ad un archivio e al suo materiale. La semplice disponibilità universale dell’informazione archivistica attraverso le reti telematiche (che peraltro è ancora ben lungi dall’essere realizzata), non produce affatto, da sola, problemi di studio e di ricerca; e non fa di ciascuno, indistintamente e automaticamente, uno studioso e un ricercatore.

[1] Per l'accesso ai cataloghi elettronici delle biblioteche vedi, tra i vari repertori disponibili, Libweb < http://sunsite.berkeley.edu/Libweb/ >; Library Web-Based OPACS < http://www.lights.com/webcats/ > ; Gabriel. Gateway to Europe's National Libraries < http://portico.bl.uk/gabriel/en/welcome.html >; Ministère de la Culture et de la Communication - Internet culturel - Bibliothèques, < http://www.culture.gouv.fr/culture/int/index.html > ; SiteBib, < http://www.abf.asso.fr/sitebib/ >; AIB [Associazione Italiana Biblioteche]. Il mondo delle biblioteche in rete, < http://www.aib.it/aib/lis/lis.htm >. Parte delle considerazioni svolte in questo capitolo sono già state presentate in Minuti, 2000. [2] Vedi Library of Congress < http://lcweb.loc.gov/ > ; Bibliothèque Nationale de France, < http://www.bnf.fr/ >; British Library < http://opac97.bl.uk/ >; Bayerische Staatsbibliothek < http://www.bsb.badw-muenchen.de/index2.htm >. [3] Vedi Lancaster, 2000. [4] Vedi Pickard et Dixon, 2000. [5] Per un repertorio dei sistemi e dei progetti nazionali europei di catalogazione elettronica vedi la pagina relativa del gateway Gabriel, < http://portico.bl.uk/gabriel/en/union.html >. [6] Vedi < http://www.sbn.it/ >. [7] Vedi, a questo proposito, le indicazioni presenti in Guidelines for OPAC displays - 65th IFLA Council and General Conference - Conference Programme and Proceedings, < http://www.ifla.org/IV/ifla65 /papers/098-131e.htm >. [8] Vedi Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, < http://www.bncf.firenze.sbn.it/ >. [9] Vedi per sempio il Catalogue collectif de France, < http://www.ccfr.bnf.fr/ >. [10] Vedi < http://portico.bl.uk/gabriel/en/periodicals.html >. Di particolare interesse sono la versione on-line di Ulrich's Periodicals Directory, < http://www.ulrichsweb.com/ulrichsweb/ >, il PCI - Periodical

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Contents Index , distribuito da Chadwyck-Healey, < http://pci.chadwyck.com/ >, la base di dati FRANCIS , < http://www.inist.fr/francis/francis.htm >. [11] Vedi la base di dati ELECTRE, < http://www.electre.fr/ >, disponibile su CD Rom, che ha un accesso internet, su abbonamento, all'indirizzo < http://www.electre.com/ >; per altri ambiti nazionali, vedi, per esempio, Books in print, < http://www.booksinprint.com/bip/ > e Alice < http://www.alice.it/ >. [12] Vedi per esempio ABC-Clio , < http://sb1.abc-clio.com:81/ >, da cui si accede a Historical Abstracts, uno dei principali strumenti per il controllo della letteratura periodica di argomento storico. [13] Vedi il World Biographical Index database edito dalla Saur, < http://www.saur-wbi.de/ >. [14] L'esempio più significativo è certamenente quello di Amazon < http://www.amazon.com/ >. Per una lista delle librerie accessibili on-line vedi < http://www.culture.gouv.fr/culture/autserv/livre.htm >. [15] Per una guida alla ricerca bibliografica in internet, vedi Metitieri e Ridi, 1998. [16] Vedi Gagnon-Arguin, 1989; Black, 1992. Per un aggiornamento sull'evoluzione delle discussioni relative agli standard in ambito archivistico, vedi il sito del Conseil International des Archives, < http://www.ica.org/ > . Vedi anche Unesco Archives Portal, < http://www.unesco.org/webworld /portal_archives/ >. [17] Vedi Townsend, S., Chappell, C., Struijvé, O., 1999, chap. 3: "From Source to Database". Per una difesa del valore dei database relazionali nella ricerca storica vedi Harvey and Press, 1996. [18] Vedi Thaller, 1991, e Thaller, 1993. [19] Vedi il manuale on-line per l'uso di Kleio, < http://www.gwdg.de/kleio/manual/tutorial/welcome.htm >. [20] Queste esigenze sono attualmente alla base anche degli sviluppi di uno dei più interessanti progetti di organizzazione e catalogazione di archivi di documenti storici, ossia dello History Data Service, < http://hds.essex.ac.uk/ >. HDS è parte di un più ampio arco di progetti coordinati, l'AHDS (Arts and Humanities Data Service, < http://www.ahds.ac.uk/ > ), e si è progressivamente specializzato nella gestione e distribuzione di raccolte documentarie particolari, quali censimenti della popolazione britannica, statistiche, e soprattuito del GBHD (Great Britain Historical Database). Cfr. Struijvé, 1999. Il sito di HDS fornisce una serie di strumenti utili all'organizzazione e alla gestione di database storici. [21] Il punto di partenza per seguire l'evoluzione dei linguaggi del web, ed in particolare di XML, è il sito del World Wide Web Consortium, < http://www.w3.org/ >. [22] Vedi Encoded Archival Description (EAD) - Official Web Site, < http://lcweb.loc.gov/ead/ >. [23] Voir < http://www.ica.org/index.html >. [24] Per una rassegna di progetti di digitalizzazione di matriale archivistico, con particolare riferimento alla medievistica, vedi Uhde, 2000. [25] Il sito dell'Università dell'Idaho fornisce un buon indirizzario ai siti di interesse archivistico; vedi < http://www.uidaho.edu/special-collections/Other.Repositories.html >. Vedi anche, per l'ambito francese,

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l'ottima lista di risorse archivistiche in internet curata dal Ministère de la Culture et de la Communication, < http://www.culture.gouv.fr/culture/autserv/archives.htm >. [26] Vedi < http://www.nara.gov/ >. [27] Vedi < http://www.hmc.gov.uk/archon/archon.htm >. [28] Vedi < http://www.mcu.es/cgi-bin/ALBALA/AlbalaCGI?CMD=INICIAL >. [29] Vedi < http://wwwarc.iue.it/eharfr/Welco-fr.html >. [30] Vedi < http://www.archive.geschichte.mpg.de/duderstadt/dud-e.htm >. Vedi in aprticolare la descrizione del progetto all'indirizzo < http://www.archive.geschichte.mpg.de/duderstadt/projekte.htm>. [31] Vedi < http://www.archiviodistato.firenze.it/Map/ >. [32] Vedi per esempio ARCHIM (Banque d'images numériques réalisées à partir de documents conservés au Centre historique des Archives nationales à Paris), < http://www.culture.gouv.fr/documentation /archim/accueil.html >. Vedi anche, per seguire lo sviluppo delle iniziative in ambito francese, il sito de Centre Historique des Archives Nationales (CHAN), < http://www.archivesnationales.culture.gouv.fr /CHAN/CHANmain.htm >.

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Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione Rolando Minuti R.Minuti, " Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione ", Cromohs, 6 (2001): 1-75 < URL: http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html >

Indice I.3. Problemi del documento digitale 35. Se la possibilità di accedere per via telematica ai cataloghi elettronici delle biblioteche o agli indici ed inventari degli archivi costituisce un aiuto importante per la ricerca e offre strumenti di grande efficacia per l’organizzazione del lavoro, la pianificazione delle indagini e l’accesso ai materiali desiderati, ancora più suggestive, come si accennava in precedenza, sono le prospettive connesse allo sviluppo delle biblioteche digitali. La possibilità di disporre sulla scrivania e tramite il monitor di un computer di intere collezioni di testi, talvolta rari e di difficile reperimento nelle biblioteche, ha rappresentato, sin dalla prima diffusione del web, uno degli scenari più affascinanti per il mondo della ricerca umanistica e una prospettiva che ha stimolato una molteplicità di iniziative importanti[1]. Le perplessità iniziali di fronte all’idea di un trasferimento globale della memoria depositata sulla carta in memoria digitale si sono andate progressivamente attenuando di fronte allo sviluppo dei progetti e al forte impegno istituzionale -nell’ambito delle singole realtà nazionali o in forme coordinate e consorziate[2]- che in questa direzione si è manifestato. Un impegno che non deriva in prima istanza dalle esigenze proprie del mondo della ricerca, ma che è l’esito di problemi relativi alla preservazione del patrimonio culturale e della convinzione che la tecnologia digitale possa offrire da questo punto di vista migliori opportunità rispetto ai metodi sinora seguiti, in particolare mediante la riproduzione in microfilms e microfiches. Il progressivo deperimento del patrimonio librario conservato nelle biblioteche è un dato allarmante ma purtroppo accertato, riconducibile alle proprietà fisiche del supporto cartaceo ed alle conseguenze determinate nel lungo periodi da fattori quali l’acidità che, in termini crescenti in relazione all’evoluzione delle tecniche di produzione dalla seconda metà del XVIII secolo in avanti, sta determinando il rapido decadimento e la perdita irrimediabile di quantità imponenti di documentazione[3]. La consapevolezza della gravità di questo problema ha sollecitato l’adozione di strategie coordinate di intervento e lo sviluppo di progetti importanti[4] a livello internazionale. In altri termini, anche se non ritenessimo indispensabile, ai fini dello studio e della ricerca, la possibilità di disporre di riproduzioni digitali dei documenti che ci interessano, resterebbero comunque esigenze fondamentali di preservazione del patrimonio culturale tali da spingere fortemente in questa direzione; e

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da allontanare progressivamente, come in parte sta già accadendo in molte biblioteche, l’uso e la manipolazione diretta del libro o del documento cartaceo (a stampa o manoscritto) che ci interessa, a favore della consultazione della sua riproduzione, per ora in maggior parte mediante microfilm, ma progressivamente in formato digitale. E’ un mutamento di scenario di cui occorre tener conto, sia perché comporta nuove tecniche di reperimento e di accesso; sia, soprattutto, perché investe problemi metodologici oltre che tecnici che non è possibile considerare con superficialità, ritirandosi nell’angolo della tradizione e della conservazione di pratiche di lavoro che non saranno più riproponibili alle nuove generazioni in termini identici al passato. 36. Il primo, fondamentale problema metodologico che si pone di fronte ad un documento digitale che s’intende utilizzare come fonte per un determinato studio è proprio la sua assenza di fisicità, la sua natura di oggetto virtuale. Senza entrare direttamente nella discussione sulla nozione di virtualità, che affascina teorici della comunicazione e filosofi[5], e limitandoci, come ci siamo ripromessi, al livello empirico del mestiere e della pratica della ricerca storica, un dato emerge con grande immediatezza. Quando mi trovo di fronte ad un documento cartaceo, a stampa o manoscritto, così come quando mi trovo di fronte ad un monumento, ad una testimonianza materiale di una realtà passata, posso disporre di tecniche e di procedure consolidate da una tradizione filolologica e critica affermatasi a partire dall’Età dell’umanesimo, che mi consentono di contestualizzarlo, di investirlo di storia, di collegarlo ad altri documenti e monumenti egualmente contestualizzati, e di costruire su questa base un discorso storico. La fisicità del documento, la sua inerzialità e stabilità mi consentono di affinare queste tecniche e di convogliarle nel quadro di una procedura scientificamente condotta, anche se qualitativamente diversa rispetto a quanto caratterizza le scienze del mondo fisico, per l’impossibilità evidente e ovvia di riprodurre la realtà passata in termini di esperienza di laboratorio, e per il primato della dimensione argomentativa e discorsiva rispetto al linguaggio formalizzato. La natura specifica del sapere storico; la sua differenza rispetto alle scienze del mondo fisico, verso le quali la tradizione positivista tendeva forzatamente a ricondurlo; il suo stretto legame con la formulazione di problemi che non possono dirsi dati una volta per tutte, ma che mutano insieme al mutare della realtà complessiva nella quale gli uomini vivono -e che producono discorsi storici, narrazioni, concettualizzazioni che progressivamente si trasformano e si rinnovano-, sono elementi caratterizzanti della storiografia e definiscono i caratteri specifici del mestiere di storico e del suo ruolo nella società. Il ripensamento, la riscrittura, il riesame di problemi che sistematicamente mutano di prospettiva il relazione alle sollecitazioni della contemporaneità, sono pertanto elementi necessari e non marginali, anche rispetto alla scoperta di un nuovo documento -che deve essere collocato su una trama di problemi perché possa produrre nuova storiografia- o al contributo di conoscenza relativo a problemi specifici, che investono direttamente la funzione e la responsabilità dello storico. Ma perché questo procedere del lavoro storiografico mantenga i caratteri propri della verificabilità, dell’eventuale contestabilità ed in ultima analisi della scientificità propria ed originale del sapere storico, occorre che i documenti e le testimonianze che costituiscono la base del suo operare risultino identificabili, stabili e inalterabili, e come tali suscettibili di analisi, di critica e di interpretazione. 37. Un documento, perché possa assumere i caratteri di fonte storica, non deve in altri termini poter

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mutare, non deve essere soggetto a trasformazioni che non siano documentabili; deve poter essere attribuito ad una persona o ad un’istituzione e soprattutto ad un contesto temporale, ed è su questa base che può divenire materiale utile per un racconto vero; e se questo racconto non può mai aspirare a tradurre in forme verbali la realtà passata, che nella sua integralità e completezza ci rimane inaccessibile, al pari della realtà presente, ciononostante la sua qualità di essere racconto vero e di distinguersi dalla letteratura di fantasia, al di là delle variabili delle interpretazioni e delle concettualizzazioni -caratteri propri e necessari del lavoro storico- si basa fondamentalmente sulla verificabilità dei documenti. Si potrà discutere a lungo sullo stile e sul linguaggio dello storico, e sull’importante questione del rapporto tra narrazione e ricerca storica; ma il riferimento a questa regola di metodo critico, sulla base della quale la nozione stessa di storiografia è andata costituendosi a partire dall’Età dell’umanesimo e dall’incontro fecondo con la cultura classica, non può non rappresentare un punto di orientamento preciso anche in una realtà comunicatica segnata dall’elettronica e dalla telematica[6]. Ora, appunto la natura del documento digitale, quel connotato virtuale proprio di oggetti che perdono la loro fisicità e si traducono in tracce magnetiche costituite, alla radice, da lunghe stringhe di 0 e 1, è quanto pone direttamente problemi ad una loro utilizzazione diretta da parte degli storici. A differenza dei supporti cartacei o della materialità propria delle testimonianze monumentali, il documento elettronico è, per propria natura, plastico, è soggetto a mutamenti ed alterazioni che possono non lasciare tracce rilevabili. Si può ritenere di poterlo bloccare, di poterlo consolidare ricavandone copie cartacee, ma è una soluzione illusoria in quanto, nella comunicazione telematica, la copia cartacea è elemento subordinato, secondario rispetto alla memoria elettronica, che assume il valore di base documentaria. E, di fronte al primato del documento elettronico sul documento cartaceo, anche gli strumenti tradizionali della filologia e della critica sono sollecitati ad evolversi e a trasformarsi, pur mantenendo fermi alcuni loro fondamentali postulati metodologici. Chi dovrà affrontare problemi di identificazione, di datazione e di contestualizzazione di documenti elettronici, che già possono dirsi parte rilevante della realtà contemporanea, dovrà avvalersi in maniera sempre più forte di strumenti quali l’esame delle tracce lasciate dai protocolli di comunicazione, i frammenti di informazione recuperabili sui web-server e sui mail-server, l’esame dei cookies introdotti su macchine specifiche, per esempio. L’uso ormai diffuso della posta elettronica, come sostitutivo ambivalente di corrispondenza scritta e comunicazione orale, pone già problemi rilevanti per gli storici contemporanei, di natura radicalmente diversa rispetto a quelli propri delle corrispondenze cartacee, sia dal punto di vista tecnico -dove, come si accennava, il livello della competenza tecnico-informatica assumerà valore crescente rispetto, per esempio, alle tecniche tradizionali di indagine sulla grafia, la natura della carta, le filigrane- sia dal punto di vista giuridico, poiché apre il problema di una riservatezza dei dati che, nonostante forme avanzate di protezione, resta sempre e comunque più debole rispetto al singolo documento manoscritto. 38. L’uso dei computer e della rete a fini di indagine sulle attività criminali nella realtà contemporanea offrono già indicazioni interessanti su come il “paradigma indiziario” proprio della ricerca storica si evolva in funzione dell’uso della telematica, e sulla direzione che potranno assumere in maniera sempre più rilevante le tecniche di ricerca e di analisi del documento elettronico in termini direttamente collegati alla storiografia del mondo contemporaneo.

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Un problema strettamente connesso alla natura del documento elettronico investe poi la mediazione meccanica ed elettronica di accesso al documento. Di fronte ad un documento scritto o stampato su carta, ad una tavoletta d’argilla o a un’epigrafe, l’unica mediazione che si pone tra me e la testimonianza deriva dalle mie capacità di analisi critica, dalla mia esperienza di ricerca, dal livello generale delle conoscenze che possono consentirmi di decifrarlo, di contestualizzarlo, di interpretarlo; posso utilizzare a questo fine riproduzioni o edizioni, nelle quali può essere visto un livello di mediazione rispetto all’originale che risulta accreditato e riconosciuto dalla comunità scientifica, ma in ultima istanza il rapporto che vengo stabilire con il documento non è mediato dalla tecnologia ma dalla conoscenza e dall’esperienza. Un documento elettronico ha caratteristiche sostanzialmente diverse perché, per essere accessibile, deve essere tradotto e restituito in forma visibile da una macchina, senza la quale non è niente. Di fronte ad un documento testuale, elaborato, per esempio, con un word processor di una decina di anni fa, sviluppato per un sistema operativo da tempo estinto e registrato su un dischetto da 5 pollici e 1/4, si incontrano già seri problemi di accesso e di lettura. Possiamo immaginarci la sorte di questo stesso documento, mettiamo, tra 500 o 1000 anni ( senza tener conto della deperibilità fisica del supporto, che è ben lontana dal potersi dire garantita per periodi di tale lunghezza ); posto in questa prospettiva, il nostro documento elettronico si mostra assai più debole e fragile non solo rispetto ai documenti cartacei degli ultimi 500 anni (la stabilità e la resistenza di incunaboli e cinquecentine sono noti), ma anche rispetto alle pergamene, ai papiri o alle solidissime tavolette d’argilla. Non poniamo limiti alle possibilità degli sviluppi futuri della tecnologia, e alla capacità di elaborare sistemi che siano in grado di decodificare tutti i linguaggi e tutte le tracce informatiche del passato; ma il problema attualmente esiste e non può essere sottovalutato. La possibilità di mantenere in vita, e perfettamente funzionanti, elaboratori di più antica generazione e di concezione ormai superata, in grado di leggere e consentire la riconversione di formati elettronici e linguaggi ormai perduti, abbandonati, sperimentali o marginali, appare, allo stato attuale delle cose, come la via più diretta per affrontare un ordine di problemi di non facile soluzione. Si può obiettare che questo scenario fa parte di una preistoria della tecnologia informatica e telematica che è in via di superamento rapido, con l’evoluzione degli standard e l’affermazione di protocolli e di linguaggi condivisi. Ma, allo stesso tempo, si può anche replicare che dove il problema può essere superato con il passaggio dai personal computer e dai loro software al linguaggio universale della rete, esso si ripropone in relazione alla stabilità e alla sicurezza dei server; le conseguenze di un evento catastrofico (guerre, fenomeni naturali etc.) su un deposito unico di documenti elettronici possono essere più drammatiche rispetto alla distruzione di un’intera biblioteca, poiché in quel caso la parte più rilevante della documentazione (a parte i manoscritti, se non ne sono state fatte riproduzioni) può essere reperita altrove. 39. Come rendere stabile dunque un materiale documentario che per sua natura tende alla variabilità e al movimento? Come rendere affidabile la rete come deposito di documenti utili (di fonti) al lavoro storico, e mettere al sicuro il patrimonio documentario mantenuto su un server e reso accessibile tramite Internet, da alterazioni, manipolazioni, distruzioni accidentali o volute? Qual’è il modo migliore, se esiste un “modo migliore” inteso in senso generale, per convertire il patrimonio documentario cartaceo in formato digitale e renderlo accessibile tramite Internet, o per garantire la permanenza e la stabilità di un documento che

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è elettronico allo stato nativo e per il quale la versione cartacea costituisce una delle tante forme possibili, e variabili, di riproduzione? Un fronte complesso di problemi si apre, dietro lo scenario affascinante di un intero universo documentario che può comparire sullo schermo del computer attraverso le reti di comunicazione. Al problema della stabilità e della preservazione del documento elettronico, per il quale si stanno già impegnando energie e sono state avviate iniziative che meritano di essere seguite[7], non credo sia possibile dare risposte in termini puramente tecnici. L’evoluzione della sicurezza dei server, l’adozione di tecniche di mirroring, lo sviluppo degli standard di comunicazione sul web ed il perfezionamento delle tecnologie di accesso alla documentazione tramite crittografia, costituiscono senz’altro un aspetto fondamentale per la proposta di soluzioni al problema. Certamente l’uso sempre più consistente di Internet per i rapporti tra amministrazione pubblica e cittadino e l’introduzione di servizi innovativi che consentono di compiere con la rete operazioni delicate quali l’autocertificazione fiscale, di accedere alla documentazione bancaria, di ottenere certificati e attestati e, in un prossimo futuro, di registrare legalmente transazioni di proprietà tra privati, ha fortemente sollecitato la ricerca di soluzioni tecniche adeguate alla salvaguardia della riservatezza dei dati e alla preservazione della documentazione. Tutto questo ha evidentemente ricadute dirette ed importanti sul problema tecnico della conservazione della memoria digitale, che costituisce la principale preoccupazione degli storici. Ma ciò che risulta egualmente essenziale per quanto riguarda i depositi di memoria storica digitale è l’adozione di regole accettate a livello internazionale, e l’assunzione di responsabilità da parte di autorità riconosciute che possano assumere funzioni di garanzia del deposito della documentazione e curarne in maniera coerente la salvaguardia, l’intangibilità e la comunicabilità mediante l’adeguamento a nuovi standard. Per la memoria digitale dovrebbero in altri termini essere adottati criteri uniformi e condivisi a livello internazionale che consentano di poter difendere l’intero patrimonio depositato da ogni possibile alterazione, volontaria o meno, e di accedere ad esso indipendentemente da variazioni di ordine politico nazionale, da conflitti, da catastrofi naturali. Sono dunque quelle caratteristiche di difesa e di protezione che erano proprie delle esigenze militari e strategiche da cui, com’è noto, Internet è derivata[8] che, tradotte in termini di strategia internazionale di salvaguardia del patrimonio culturale digitale, dovrebbero stabilire la condivisione, la stabilità e la permanenza della memoria elettronica dell’umanità indipendentemente dalla perdita di uno o più poli del sistema. 40.Tutto ciò richiede evidentemente un forte impegno dal punto di vista tecnico (in termini di attrezzature, di memorie di massa, di sviluppo di tecnologie informatiche), ma soprattutto un forte impegno e precise volontà politiche a livello internazionale. Una “memoria del mondo”[9] digitale, distribuita nei vari contesti nazionali ed in più punti degli stessi contesti, ed in grado di mantenersi integra indipendentemente dalle alterazioni o dalle catastrofi eventuali di ogni singola unità collegata, è quanto costituisce probabilmente la speranza massima, e forse la via d’uscita definitiva al problema delle incertezze sulla stabilità del documento digitale. E’ una soluzione che è ancora ben lungi dal potersi dire realizzata o anche delineata in termini globali e strategici, e che rimane per ora sullo sfondo delle suggestioni alimentate dallo sviluppo delle reti. Nella realtà, la risposta a quest’ordine di problemi deve

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far riferimento ad iniziative più settoriali e circoscritte, all’esistenza di organismi consorziati che svolgono funzioni di mirroring o a istituzioni bibliotecarie e archivistiche che intendono lodevolmente assolvere questa nuova funzione, traducendo i compiti tradizionalmente legati alla conservazione e alla tutela del patrimonio documentario cartaceo nei termini propri delle esigenze nuove di salvaguardia e comunicazione del documento digitale. In una situazione ancora caratterizzata da una forte variabilità e da un marcato squilibrio qualitativo, dalla compresenza di iniziative individuali o volontarie -talvolta eccellenti, talvolta discutibili- e di grandi iniziative sostenute da una consistente base di risorse, la biblioteca digitale presente su Internet è andata comunque crescendo in maniera rilevante nel corso degli ultimi anni[10]. Fino a che punto si può dire, indipendente-mente dalle questioni tecniche relative alla sicurezza e alla permanenza nel tempo dei documenti digitali a cui abbiamo fatto cenno, che essa costituisca uno strumento utile e affidabile per gli storici? Direi che, se ci limitiamo ai termini della riproduzione fotografica in formato digitale delle pagine di un libro o di un manoscritto, i problemi metodologici e le perplessità si riducono al minimo o svaniscono interamente. La corrispondenza tra riproduzione digitale e documento originale è in questo caso stabilita con chiarezza evidente, al pari di un microfilm; ma con il vantaggio di una riproducibilità pressoché infinita e senza rischio di alterazione nell’immagine, e soprattutto di una comunicabilità in rete che le riproduzioni su pellicola non consentono. E’ anche la soluzione che più va incontro ad esigenze di ricerca specialistica degli studiosi, consentendo l’osservazione diretta di aspetti -caratteri, segni tipografici, elementi grafici inseriti nel testo- che possono risultare importanti. Resta sempre, peraltro, la soglia dell’esame materiale del documento, della carta con cui è stato prodotto; è un esame che risulta importante per determinati studi sui documenti a stampa -la storia dell’editoria, del rapporto tra produzione cartacea e produzione editoriale, etc.- e che è sempre fondamentale per i manoscritti (in questo caso l’esame materiale non vale solo per la carta, ma anche per altri elementi, quali ad esempio l’inchiostro utilizzato per la scrittura, etc.). 41. Per queste esigenze le risorse dell’informatica a molti non appaiono in grado di dare risposte equivalenti all’esperienza diretta; in realtà esse potrebbero fare anche di più, consentendo un’analisi del materiale in grado di evidenziare filigrana, diversità di spessore e altre caratteristiche, ma a costi assai più rilevanti rispetto alla consultazione diretta dell’originale, non proponibili se non per documenti di eccezionale importanza e non traducibili nelle tecniche correnti di riproduzione digitale per la comunicazione in rete. Si tratta peraltro di esigenze che si pongono ad un livello molto avanzato e specialistico di analisi del documento, e che non possono far venir meno la grande utilità di poter disporre, da ogni terminale collegato alla rete, di riproduzioni fotografiche di documenti originali, consentendone al tempo stesso una loro più efficace salvaguardia dai rischi della manipolazione. La via della riproduzione fotografica digitale è di fatto seguita da molte iniziative[11], soprattutto perché consente una maggiore rapidità nell’operazione di riproduzione del documento -permettendo quindi di affrontare con ritmo più accelerato il problema della salvaguardia e della conservazione prima richiamato- ed un lavoro molto ridotto rispetto alla traduzione in formato elettronico realizzata mediante l’uso di linguaggi di marcatura. La possibilità di seguire questo percorso è inoltre agevolata, per i

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documenti testuali, dalla possibilità di utilizzare compressioni grafiche più forti rispetto a quelle consentite da documenti non testuali (cartografia, stampe, fotografie, etc.) per i quali il problema del colore e della definizione, e la necessità di mediare tra chiarezza dell’immagine e velocità di comunicazione in rete, sono certamente più spinosi. Ma si tratta anche di una soluzione che, rispetto alle possibilità offerte dall’informatica e dalla telematica, comporta importanti sacrifici. Il movimento interno ad un testo riprodotto in formato grafico può risultare, dati i limiti tecnici attuali della comunicazione sul web, molto più penoso rispetto alla consultazione di un documento cartaceo. E’ possibile ovviamente superare l’ostacolo dedicando il tempo, a volte lungo, necessario al downloading del testo dal server su cui è depositato, per poi stamparlo ed ottenere così una copia identica all’originale; e ciò costituisce comunque un vantaggio notevole per lo studio e la ricerca, soprattutto in considerazione di documenti rari o difficilmente accessibili. La presenza in rete di collezioni di riproduzioni digitali d testi e documenti ad accesso libero è di per sé, anche considerando la semplice riproduzione in formato immagine, uno scenario affascinante per ogni studioso, di fronte ai costosi volumi di reprint attualmente disponibili sul mercato. 42. Ciononostante, come dicevamo, si tratta di uno sfruttamento ancora molto parziale delle risorse rese attualmente disponibili dalla tecnologia informatica. Di fronte ad un testo riprodotto in formato fotografico non sono possibili tutte quelle operazioni di interrogazione, di utilizzazione di sue parti all’interno di word processor, di manipolazione, in una parola, del materiale testuale , che risultano di grande importanza per diversi aspetti e livelli di ricerca. Per tutto questo è indispensabile una traduzione del documento testuale nei formati e con i sistemi di marcatura adeguati alla comunicazione sul web. Ma a questo punto interviene un passaggio delicato dal punto di vista metodologico, in quanto la corrispondenza esatta con l’originale, garantita dall’immagine fotografica della pagina, si perde, e si deve ricorrere ad un’edizione; essa può essere più o meno raffinata o complessa, può limitarsi alla semplice riproduzione del testo (in ascii puro o in html con un minimo apporto di formattazione), o presentare una ricco apparato di codici di marcatura che consentano di interrogare il documento secondo strategie avanzate, com’è dato in particolare dall’applicazione della sintassi sgml ai documenti sviluppata dalla TEI[12]; ma sempre di edizione si tratta, in quanto comporta il trasferimento di un documento verso un’altra forma di rappresentazione ed in un altro linguaggio, con l’intento, innanzitutto, di perdere il minor quantitativo possibile di informazione propria dell’originale, e in secondo luogo, di consentire più efficaci possibilità di utilizzazione. Di fronte ad un’edizione, allora, non sono solo gli aspetti tecnico-informatici ma soprattutto le questioni di ordine scientifico e filologico a risultare centrali. Un’edizione elettronica si qualifica in primo luogo, in altri termini, per la corrispondenza all’originale fondata su criteri e metodiche che sono andate definendosi e consolidandosi nella storia della cultura moderna, e che devono essere tradotte nei termini propri della comunicazione telematica. In questo caso non è l’apparato tecnologico o informatico che risulta qualificante e garante della qualità dell’oggetto, ma l’editore (il quale deve necessariamente avere competenze informatiche adeguate) e la sua responsabilità, nella stessa misura che è propria delle edizioni a stampa. Sia che si tratti di un semplice copista o di un informatico-umanista in grado di allestire un apparato di marcatura complesso e tale da soddisfare le esigenze di linguisti, storici della lingua,

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lessicologi etc., la natura critica e non puramente meccanica dell’edizione elettronica -pur con gradazioni diverse di qualità e di impegno, relative agli obiettivi che ci si propongono- è un elemento che deve essere sottolineato. In particolare, la scelta delle strategie di marcatura “semantica” di un testo destinato alla comunicazione in rete e l’adozione di tecniche efficaci di presentazione delle varianti -insieme ad un apparato informativo o di commento non vincolato ai limiti spaziali propri delle edizioni a stampa, ma molto più libero ed estensibile-, fanno dell’edizione critica elettronica una delle prospettive più interessanti in assoluto nel panorama attuale degli studi umanistici[13]. 43. La realizzazione di un’edizione elettronica dipende sostanzialmente dagli obiettivi che ci si propongono nella sua realizzazione, che possono essere molto variabili e diversamente impegnativi; l’affidabilità di un documento elettronico e di una biblioteca digitale non dipende comunque dalla natura specifica di tali obiettivi, ma dalla chiarezza con cui tali obiettivi sono dichiarati, e dal loro rispetto, a partire dalla minore perdita possibile di informazione rispetto al documento originale. Tra le risorse offerte dalle biblioteche di riproduzioni fotografiche digitali di documenti, di testi presentati in formato html o codificati con altri linguaggi, dire quale sia la più utile ai fini di una ricerca storica dipende inevitabilmente dal tipo di interrogazione e dal problema che si intende affrontare. Non sempre, ad esempio, avrò bisogno di una marcatura TEI per poter utilizzare un documento che mi interessa, e mi sarà sufficiente applicare un motore di ricerca testuale per html per ottenere i risultati che mi servono; talvolta, come nel caso di importanti dizionari, l’utilizzazione di sistemi di marcatura più avanzati o l’organizzazione del materiale documentario in forma di database risulteranno più efficaci[14]; talvolta,soprattutto di fronte a documenti rari, sarò ben grato al curatore di una biblioteca digitale se mi consentirà di avere sulla scrivania, riprodotti in formato fotografico, un testo o un manoscritto che si trovano in luoghi difficilmente accessibili e che non mi sarebbe agevole procurarmi in altro modo; in altri casi infine, la possibilità di avere la versione elettronica del testo ma di mantenere l’integrità dell’impostazione grafica dell’originale, consentita da formati quali PDF, risulterà particolarmente gradita. In tutti i casi, ferme restando quelle esigenze di affidabilità che dovranno essere inevitabilmente affrontate caso per caso -chiamando in causa non la rete ma i responsabili e gli autori dei singoli progetti-, difficilmente, se mi sarà possibile giungere al documento che mi interessa, potrò dire di aver perso tempo. Piuttosto rimarrà forte, ancora una volta, l’impressione di un gigantesco lavoro da fare, e di una distanza notevole tra le aspettative che possono essere riposte nella rete e la quantità effettiva dei materiali, qualitativamente significativi, che vi si possono trovare. E’ pur vero che ormai i testi digitalizzati presenti in reti sono diverse decine di migliaia, ma se li confrontiamo con il patrimonio documentario di una biblioteca di medie dimensioni si tratta ancora di poca cosa. Siamo ancora ben lungi, in altri termini, dal poter dire che la rete è in grado di sostituire la biblioteca, anche per settori molto limitati e settoriali di ricerca. Perché ciò possa avvenire un concorso di energie e un impegno organizzativo, finanziario e scientifico risulterà indispensabile; in particolare, l’interesse ancora prevalente per i classici e i grandi nomi delle letterature nazionali dovrà ampliarsi considerevolmente agli autori e alle riviste minori, a tutto quel patrimonio di cultura ed erudizione locale, per esempio, che non potrà non essere cura delle specifiche realtà territoriali tradurre in formato elettronico, come parte importante della propria eredità

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culturale. Lo scetticismo e la perplessità di fronte alla rete, quando non si trovano i testi e i documenti che si spera di trovare, non dovrebbero dunque rivolgersi alla sua natura e alle sue possibilità, puntando il dito sul suo inevitabile disordine, sulla sua irrimediabile assenza di qualità e, alla fine, sulla sua sostanziale inutilità come deposito di documenti utili al lavoro dello storic; ma tradursi piuttosto in impegno più preciso e sistematico per riempirla di contenuti e per gestirli in modo responsabile.

[1] Per un aggiornamento sui progetti e le iniziative in corso vedi il repertorio des Bibliothèques Numeriques du site du Ministère de la Culture e de la Communication français, < http://www.culture.gouv.fr/culture/autserv/biblionum.htm >; la lista curata dal Berkeley Digital Library SunSITE, < http://sunsite.berkeley.edu/Collections/othertext.html >; la bibliografia presente in IFLANET. Digital Libraries. Resources and Projects, < http://www.ifla.org/II/diglib.htm >; il repertorio Digital Initiative Database della Association for Research Libraries (ARL) statunitense < http://www.arl.org /did/resources.html >; il repertorio curato dalla University of Texas at Austin, Books on the Internet. Library onLine, < http://www.lib.utexas.edu/Libs/PCL/Etext.html >. Per le iniziative specificamente accademiche vedi Directory of Electronic Text Centers del Center for Electronic Texts in the Humanities (CETH), < http://scc01.rutgers.edu/ceth/infosrv/ectrdir.html >. Un utile repertorio di biblioteche digitali è present al sito del progetto ATHENA, < http://un2sg4.unige.ch/athena/html/booksite.html >. Vedi anche Klemperer, K. and Chapman, S., 1997 e DigitalLibrary.net, < http://www.digitallibrary.net/ >. La rivista Ariadne, < http://www.ariadne.ac.uk/ > , costituisce uno strumento informativo importante anche per seguire gli sviluppi delle biblioteche digitali. [2] Vedi in particolare, a questo proposito, il progetto Bibliotheca Universalis, < http://www.kb.nl/gabriel /bibliotheca-universalis/index.htm >. [3] Vedi Gregory e Morelli, 1997; in particolare i contributi di Rütimann, Dalhø, Flieder, ivi. [4] Vedi il Memory of the World Programme. Preserving Documentary Heritage, < < http://www.unesco.org/webworld/mdm/index_2.html >. Un elenco dei programmi avviati è consultabile al sito < http://thoth.bl.uk/ddc/index.html >. [5] Vedi Levy, 1995 e 1997. [6] Vedi Momigliano, 1984. [7] Per un utile repertorio delle iniziative e dei progetti avviati per la preservazione del patrimonio culturale in relazione alle nuove tecnologie, vedi la pagina Conservation - restauration su site du Ministère de la Culture e de la Communication, < http://www.culture.gouv.fr/culture/autserv/conservation.htm >. Vedi anche Preserving Digital Information. Report of the Task Force on Archiving of Digital Information in < http://www.rlg.org/ArchTF/tfadi.index.htm >. [8] Un repertorio di risorse per la storia di internet è accessibile presso il sito della Internet Society < http://www.isoc.org/internet/history/ >. Vedi anche, nella ormai vastissima letteratura sull'argomento,

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gli aggiornamenti dello Hobbes' Internet Timeline, < http://info.isoc.org/guest/zakon/Internet/History /HIT.html >. [9] Memory of the World è il titolo di un programma organico di intervento promosso dall'UNESCO; vedi qui n.4. [10] Per una repertoriazione delle iniziative è indispensabile far riferimento a guide e liste quali qulle citate sopra, n.56. Tra i grandi progetti curati da istituzioni bibliotecarie, possono comunque essere segnalati la Digital Libraries Initiative (DLI) statunitense, < http://dli.grainger.uiuc.edu/national.htm > a cui è collegata la rivista D-Lib Magazine, < http://www.dlib.org/ >, il progetto britannico eLib, < http://www.ukoln.ac.uk/services/elib >, ed il progetto Gallica della Bibliothèque Nationale de France, < http://gallica.bnf.fr/ >. Tra gli altri progetti, sorti in ambito accademico, meritano particolare attenzione l' Oxford Text Archive (OTA), < http://ota.ahds.ac.uk/ >; il Center for Electronic Texts in the Humanities (CETH), < http://www.ceth.rutgers.edu/ >; Frantext, < http://zeus.inalf.cnrs.fr/frantext.htm >, a cui è collegato il Project for American and French Research on the Treasury of French Language (ARTFL), < http://humanities.uchicago.edu/ARTFL/ARTFL.html > ; il Women Writers Project, < http://www.wwp.brown.edu/ >; l'italiano CIBIT (Centro Interuniversitario per la Biblioteca Italiana Telematica), < http://cibit.humnet.unipi.it/ >. Ma l'ambito delle biblioteche digitali comprende anche progetti non direttamente legati a istituzioni universitarie, quali il progetto Gutenberg, < http://www.gutenberg.net/ >, l' ABU (Association des Bibliophiles Universels), < http://cedric.cnam.fr/abu/ >, LiberLiber < http://www.liberliber.it/ >, che documentano la serietà e l'utilità di iniziative legate al principio del volontariato. [11] La più importante raccolta di testi digitalizzati in formato immagine è certamente quella messa a disposizione sul server Gallica della Bibliothèque Nationale de France, < http://gallica.bnf.fr/ >. Vedi anche l'importante collezione digitale i documenti relativi alla storia canadese realizzata dal progetto ECO (Early Canadiana On-line), < http://www.canadiana.org/ >. Un progetto interessante, anche se non completato, è la Internet Library of Early Journals (ILEJ), archivio elettronico in formato immagine di giornali inglesi del XVII e XVIII sec., < http://www.bodley.ox.ac.uk/ilej/ >. [12] TEI è l'acronimo di Text Encoding Initiative, un progetto volto allo sviluppo di un'applicazione (o DTD, Document Type Definition ) della sintassi SGML sviluppata specificamente per l'edizione di documenti letterari; vedi < http://www.uic.edu/orgs/tei/ >. [13] Un punto di riferimento importante per seguire l'evoluzione delle discussioni sui progetti e sui problemi che riguardano l'edizione elettronica di testi e documenti è la conferenza annuale Digital Resources for the Humanities (DRH), < http://www.drh.org.uk/ >. [14] Vedi per esempio l'edizione elettronica on-line dell' Encyclopédie di Diderot e d'Alembert, curata da M.Olsen nell'ambito del Project for American and French Research on the Treasury of the French Language (ARTFL), < http://www.lib.uchicago.edu/efts/ARTFL/projects/encyc/ >. Vedi, nel quadro dello stesso progetto, Dictionnaires d'autrefois. French Dictionaries of the 16th, 17th, 18th et 19th centuries, (tra questi, il Dictionnaire historique et critique de Pierre Bayle), < http://www.lib.uchicago.edu /efts/ARTFL/projects/dicos/ >.

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Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione Rolando Minuti R.Minuti, " Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione ", Cromohs, 6 (2001): 1-75 < URL: http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html >

Indice II.1. Le incertezze della pubblicazione in rete 44. Lo sviluppo incessante della rete sta dunque significativamente mutando le modalità di accesso agli strumenti e alla documentazione utili alla ricerca storica, pur con tutti i problemi sui quali abbiamo cercato rapidamente di porre l’accento, e nonostante il fatto che il fronte delle aspettative, in relazione allo sviluppo delle nuove tecnologie e all’insistenza dei mass-media, rimanga ancora assai più ampio rispetto alle realizzazioni concrete. Non è dunque possibile sostenere, allo stato attuale delle cose, che già la rete rappresenti un contesto realmente sostitutivo delle condizioni di lavoro e degli strumenti tradizionalmente propri della ricerca storica, anche se si può affermare con certezza che già offre aiuti rilevanti, in molti casi più potenti ed efficaci rispetto agli strumenti tradizionali; e che la loro conoscenza ed il loro potenziamento sono di grande importanza perché la mutazione -probabilmente inevitabile- del mestiere dello storico e della pratica storiografica, nel contesto comunicativo regolato dalle reti, avvenga in modo consapevole e responsabile. Il fatto che la presenza di riferimenti bibliografici a siti web, nelle note e nelle bibliografie degli studi storici pubblicati, sia ancora assai marginale -se non per quei lavori che si muovono entro la cerchia degli studi sui nuovi media e sul rapporto tra Internet e ricerca, o che sono rivolti alla repertoriazione delle risorse web: per tutti quei lavori, insomma, per i quali la rete è comunque un oggetto di riflessione oltre che uno strumento di lavoro- è indicativo. Come potrebbe essere altrimenti, d’altra parte, in una dimensione in cui gli indirizzi web dei documenti citati, per portare un esempio a cui spesso si fa riferimento, sono soggetti a mutamenti che rischiano di farli smarrire completamente, o di consentire il loro recupero solo a costo di tempo e con difficoltà a volte notevoli? Rischio forse ridotto per documenti presenti in siti istituzionali importanti o fortemente accreditati, ma assai forte per i siti più deboli o legati a iniziative individuali, che non necessariamente, tuttavia, meritano per questo di essere esclusi dalla considerazione scientifica. La comunità scientifica degli storici, complessivamente intesa, continua in altri termini a mantenere un

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atteggiamento perplesso e incerto nei confronti della rete: non tanto perché non siano chiaramente percepibili -al di là del disordine, dell’eterogeneità, e di certe difficoltà di approccio iniziale- gli aiuti che dalla rete possono derivare alla ricerca; da questo punto di vista, anche assumendo un atteggiamento moderato, riconoscendo che i problemi non sono banali e che molto resta ancora da fare rispetto alle attese, non occorre né particolare competenza informatica né l’assunzione di ipotesi rivoluzionarie legate all’avvento dei new-media per rendersi conto che accedere a cataloghi di biblioteche, indici di archivi, documenti digitalizzati, può costituire un grande aiuto. 45. Alla base di scetticismi e perplessità stanno invece quegli aspetti strutturali del documento digitale su cui abbiamo in precedenza fermato l’attenzione. La sua mancanza di stabilità fisica, in particolare, lo rende sospetto o utilizzabile con maggiore difficoltà in un contesto di discorso storico; la maggiore labilità, in altri termini, di quegli elementi capaci di far sì che qualsiasi traccia lasciata dall’esperienza umana mantenga intrinsecamente una propria aderenza ad un tempo e ad uno spazio, ad un contesto che è compito dello storico decifrare con le tecniche di analisi di cui dispone e che consentono di attribuire ad un monumento o ad un documento il valore di fonte storica. Abbiamo ricordato come per questi problemi possano essere trovate risposte adeguate e convincenti; ma è anche opportuno sottolineare il fatto che tali soluzioni richiedono comunque una forte assunzione di responsabilità nei confronti della documentazione digitale, volontà e strategie concertate a livello internazionale che attualmente non è ancora possibile vedere espresse se non in termini di progetti. Le esperienze si susseguono, i programmi e le iniziative procedono con intensità, secondo un percorso empirico di approssimazione ad una nuova normalità dei quadri di riferimento operativi, per tutte le discipline umanistiche e specificamente per la ricerca storica; ma sarebbe azzardato sostenere che tale percorso si sia già tradotto in una realtà concreta e stabile, pienamente sostitutiva della strumentazione tradizionale. Se le perplessità stanno comunque progressivamente venendo meno, soprattutto di fronte alla possibilità di utilizzare edizioni digitali di documenti che mantengono comunque una loro realtà fisica in qualche biblioteca o in qualche archivio; e se da questo punto di vista si aprono solo problemi di quantità di documentazione disponibile e di strategie filologico-informatiche di digitalizzazione, la questione fondamentale dell’affidabilità del documento digitale torna con forte evidenza a proposito della pubblicazione dei risultati della ricerca e della possibilità, per gli storici, di passare risolutamente della carta alla rete. Sin dagli inizi del web, in effetti, la percezione di un orizzonte affascinante di possibilità nuove che si aprivano alla comunicazione, allo scambio di informazioni ed esperienze tra studiosi, alla trasmissione dei risultati della ricerca, è stata chiara, determinando l’avvio di molte iniziative. In realtà si trattava di un orizzonte che ancora prima del web la realtà di Internet aveva aperto, e verso il quale soprattutto il versante delle scienze “dure” (matematiche, fisiche, naturali) aveva investito energie ed interesse. Ma è soprattutto in seguito all’affermazione del web e della dimensione ipertestuale che è il suo connotato distintivo, che anche sul versante delle discipline umanistiche l’attrazione di questa nuova dimensione della comunicazione è stata forte. 46. Le ragioni possono essere richiamate sinteticamente, senza insistere ulteriormente nell’illustrazione di

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aspetti che sono ampiamente noti e sui quali c’è ormai una letteratura critica fin troppo abbondante[1]. L’uso della rete per la pubblicazione dei risultati della ricerca consente innanzitutto una rapidità incomparabilmente maggiore rispetto ai tempi mediamente lunghi -a volte insopportabilmente lunghidella pubblicazione cartacea; aspetto delicato, evidentemente, soprattutto per quelle discipline (le scienze del mondo fisico, la medicina etc.) per le quali la rapidità della comunicazione dei risultati della ricerca o delle nuove scoperte risulta fondamentale; e non è un caso che siano questi i settori che per primi e con maggiore decisione si sono mossi nell’utilizzazione sistematica della rete, rispetto alle discipline umanistiche per le quali, in ultima analisi, la rapidità della pubblicazione è meno decisiva. In secondo luogo, per il documento pubblicato in rete si aprono possibilità di diffusione incomparabilmente più ampie rispetto a quanto è possibile per i volumi stampati. Inoltre, attraverso la pubblicazione sul web è consentita un’aggiornabilità e una modificabilità pressoché illimitata dei risultati della ricerca, una loro estensibilità (in termini di aggiornamenti bibliografici, di integrazione con documenti e testi, o con appendici multimediali, che difficilmente possono trovare spazio nelle pubblicazioni cartacee); ed ancora, un’interattività con gli autori, e l’apertura di tribune di discussione e di forum su temi specifici, collegati a particolari contributi. Infine, la pubblicazione sul web consente un contenimento sostanziale dei costi di produzione tipografica e dei costi relativi alla gestione (conservazione e accesso) di libri e riviste cartacee; problemi che, a fronte di una crescita dei costi di abbonamento alle riviste e dei problemi della loro gestione da un punto di vista bibliotecario, trovano sul versante dell’elettronica e della telematica possibilità di soluzione particolarmente efficaci. Sono aspetti e temi noti, sui quali la discussione è avviata da tempo, e che ormai possono essere considerati come un dato acquisito. Ciononostante la transizione dal cartaceo al digitale per la pubblicazione delle ricerche non è avvenuta in tempi così rapidi come l’evidenza degli elementi sopra richiamati sembrava suggerire; ed ancora ci muoviamo in una fase di transizione, di adattamento e di lento adeguamento verso una dimensione nei confronti della quale l’ambito umanistico continua a nutrire sospetti. E’ un fatto che la parte assolutamente maggioritaria della storiografia contemporanea, al pari della ricerca storico-letteraria e dell’edizione di testi, continui ad essere prodotta ed utilizzata in base alle forme della pubblicazione proprie dell’universo tipografico. Ed è un fatto che non può non sollevare interrogativi, in parte coincidenti con quanto osservato a proposito delle fonti della ricerca storica riprodotte in rete, in parte diversi, che meritano di essere evidenziati. 47. Un peso certamente rilevante, in questo contesto, hanno i problemi che investono il rapporto tra attività scientifica e produzione editoriale, e le difficoltà in gran parte comprensibili che inducono gli editori ad assumere atteggiamenti cauti, se non di vero e proprio freno, nei confronti degli sviluppi sollecitati dalla comunicazione telematica. E’ d’altra parte evidente che il ruolo dell’editore come strumento essenziale della comunicazione culturale nell’era tipografica risulta fortemente ridimensionato nel contesto della comunicazione telematica. In questo contesto infatti non risulta più necessaria una funzione specifica che renda possibile l’incontro tra autori e lettori ( che può avvenire direttamente attraverso la rete ); e diviene pertanto fortemente discutibile l’intera architettura normativa che la regola, e che garantisce agli editori, proprio in virtù di questa funzione -indispensabile nell’era tipografica,

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non più tale nell’era telematica-, una serie di diritti, giuridici ed economici. E’ un problema che si presenta non solo per la produzione libraria, ma che investe tutti quegli ambiti per i quali la rete va assumendo il ruolo di canale primario di comunicazione culturale (la produzione musicale per esempio, che è attualmente al centro di polemiche accese) e per il quale la volontà di riprodurre e di riaffermare rigidamente i riferimenti normativi tradizionali non appare convincente, né dal punto di vista della legittimità né dal punto di vista della difendibilità. Ciò non significa che debbano essere considerati inutili o superati tutti quegli elementi di filtro e di garanzia di qualità che in parte significativa sono sempre stati svolti dagli editori. Ma è anche chiaro che tale funzione potrà essere svolta direttamente, forse in termini più convincenti, dalle comunità scientifiche, dai contesti disciplinari, da nuove espressioni di interessi e di linguaggi che vanno sorgendo nella rete. Ad esse può essere direttamente demandata quella funzione di selezione e di orientamento che senza poter più essere radicalmente penalizzante per gli autori (che potranno sempre trovare il modo di pubblicare il loro lavoro in rete, senza incontrare quegli ostacoli, economici o d’altro tipo, che spesso chiudono la strada della pubblicazione cartacea), potrà tuttavia fornire ai fruitori, attraverso chiare assunzione di responsabilità, uno strumento di orientamento che, come si diceva all’inizio, può risultare di grande importanza per la costruzione ordinata dell’edificio delle risorse presenti sul web. 48. Chi userà la rete potrà sapere in questo modo a quale tipologia di lavori potrà accedere visitando un certo sito, scegliere e valutare di conseguenza. Questa funzione, e la pubblicazione di lavori all’interno di siti selezionati, potranno certamente consentire una transizione delle competenze e del ruolo degli editori tradizionali nel nuovo contesto comunicativo (in un quadro di editoria on-demand, per esempio[2]); ma comporteranno certamente, su questo versante, riassestamenti, riconversioni e trasformazioni di strategie operative rilevanti. Ma, appunto, non è solo il ruolo dell’editore tradizionale che è posto in discussione, bensì l’intera cornice normativa che regola, sul versante della ricerca umanistica, la pubblicazione e la legittimazione giuridica dell’autorità sui lavori pubblicati. La stessa nozione di copyright risulta difficilmente difendibile, in termini legali ed economici, dove la riproducibilità dell’oggetto digitale ed il suo movimento attraverso la rete costituiscono aspetti intrinseci della comunicazione sul web; assai più difficile da difendere rispetto alla stessa riproduzione fotomeccanica, con la quale gli editori manifestano tuttora chiare difficoltà di convivenza. Riprodurre per la rete l’identica nozione di copyright propria della realtà tipografica è quasi un nonsense ed è sistematicamente fonte di incongruenze e complicazioni; ma la formulazione di una nozione di copyright adeguata ai caratteri propri della comunicazione in rete, e che consenta una remunerazione del lavoro, dell’investimento di risorse e di energie, e delle funzioni svolte nel processo di produzione e di comunicazione dell’oggetto culturale digitale, non è di semplice soluzione[3]. Analoghe difficoltà valgono per la nozione di diritto d’autore, soprattutto di fronte a opere, com’è il caso dei lavori multimediali, per le quali le diverse componenti operative non sono distinguibili con chiarezza[4]. Ed infine, ciò che risulta più rilevante dal punto di vista delle pubblicazioni accademiche, che esprimono la componente fondamentale della ricerca storica, problemi simili permangono per quanto riguarda la disciplina giuridica del deposito legale.

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49. E’ sulla base del deposito legale delle pubblicazioni che si stabilisce, com’è noto, la legittimazione della paternità di un determinato lavoro e la possibilità di utilizzarlo a fini curriculari, concorsuali e professionali. La varietà della disciplina del deposito legale delle pubblicazioni nei diversi Paesi non altera il dato uniforme di una differenza sostanziale, dal punto di vista normativo, tra la pubblicazione elettronica e la pubblicazione cartacea. Ed è certamente la debolezza di un chiaro quadro di riferimento normativo che, dal punto di vista soprattutto dell’editoria accademica umanistica, ostacola la transizione decisa verso la pubblicazione elettronica, anche di fronte alle possibilità assai più ampie e suggestive che l’edizione elettronica può fornire. Si fa spesso riferimento al problema di una mentalità e di una consuetudine nella pratica della ricerca e della comunicazione storica che fanno fatica ad adeguarsi ai mutamenti che si impongono nella transizione dal cartaceo al digitale; e si tende a vederne la soluzione in un progressivo -più o meno lento a seconda dei contesti, ma comunque inevitabile- processo di adattamento della prassi tradizionale che regola la ricerca e la pubblicazione alle nuove tecnologie; tecnologie la cui evoluzione è certamente rapida, forse troppo rapida, rispetto ai tempi fisiologici di assorbimento, in termini di comportamenti e di attitudini, nel quadro tradizionale delle discipline storiche. Ciò è in parte vero, ma in parte rischia di sottovalutare, proponendo uno scenario di transizione generazionale, quegli aspetti giuridici e normativi che hanno invece una grande rilevanza e sulla base dei quali si vanno sempre componendo i riferimenti generali di una cultura collettiva e di una mentalità. D’altra parte, che non si tratti semplicemente di una questione generazionale lo dimostra il fatto che proprio la generazione più giovane di studiosi diffida della sola pubblicazione elettronica e, di fronte alla possibilità di pubblicare un proprio lavoro nella collana di un editore celebre, accoglie con maggior favore questa prospettiva, che è certamente più remunerativa, allo stato attuale delle cose, in termini di prestigio, di riconoscimento accademico, di carriera. 50. Esistono dunque dei problemi specifici, tecnici e soprattutto normativi che devono essere affrontati e risolti perché il passaggio dal cartaceo al digitale avvenga in modo deciso. Varie soluzioni, da questo punto di vista, possono essere proposte e sono concretamente allo studio in diversi Paesi[5]. E’ possibile pensare, per esempio, all’individuazione di alcuni server istituzionali, attivati presso biblioteche, centri di ricerca o istituzioni universitarie, a cui possa essere attribuita quella funzione tecnica e giuridica di garanzia del deposito legale delle pubblicazioni elettroniche; ciò non impedirà agli autori la modificazione, l’aggiornamento e anche la trasformazione del proprio lavoro -mantenendo per esso quel carattere di cantiere aperto che costituisce una delle peculiarità della comunicazione telematica- ma consentirà di farlo con una datazione esatta degli interventi o una presentazione di versioni diverse, mutate nel tempo, di un testo. Ciò permetterebbe da un lato una migliore salvaguardia del documento, rispetto alla disseminazione incontrollata dei documenti sul web, dall’altro la sua storicizzazione e la sua utilizzabilità ai fini della ricerca, soprattutto in relazione alla verificabilità dei riferimenti e delle citazioni[6] da documenti non più fluttuanti nel web e soggetti a spostamenti incontrollabili. E se questo fosse realizzato seguendo procedure condivise e sulla base di standard, sarebbe un importante passo verso quella memoria collettiva della ricerca, costantemente accessibile sul web, che costituisce una delle prospettive più suggestive per lo sviluppo futuro della pratica storiografica[7]. Tutto questo, come abbiamo ricordato in precedenza, non comporta necessariamente la fine del supporto

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cartaceo e la morte del libro, in quanto la riproducibilità dell’oggetto digitale su supporti di varia natura e formato è una possibilità ovvia, e resa già agevole da una tecnologia di riproduzione meccanica che consente il downloading di testi dalla rete e l’immediata produzione di un volume più o meno elegantemente rilegato[8]. Ciò che invece muta è la gerarchia nella logica della pubblicazione, e l’affermazione della pubblicazione elettronica come forma primaria e fondamentale di pubblicazione, rispetto alla quale quella cartacea viene ad assumere il carattere di semplice derivato, la cui forma e la cui struttura, incluso il fatto di corrispondere all’intero documento o a una sua parte, possono variare in relazione agli interessi di chi intende utilizzarla. Se questo derivato cartaceo sia destinato a rimanere, o se sia presto sostituito da altre forme di supporto portatile, e in che tempi, non è dato dirlo né mi pare costituisca un problema di grande interesse. Attualmente libri e documenti cartacei mantengono una loro indubbia utilità ed una serie di vantaggi che ancora non sono sostituiti dalla tecnologia telematica. D’altra parte, fino a non molto tempo fa si poteva ancora sostenere che un libro aveva rispetto al computer il vantaggio enorme di essere trasportabile e manipolabile; oggi questa argomentazione è già divenuta debole, di fronte agli e-books[9] e agli orizzonti recenti dalla tecnologia degli schermi che consente spessori che si avvicinano alla carta, per cui il “libro universale”, o il “giornale universale”, aggiornabile con tutte i testi che ci si possono procurare in rete, e trasportabile come un libro tascabile o come un quotidiano, se proprio siamo affezionati a quelle forme, rischia di non costituire più una fantasia. Se e quando carta e libri scompariranno dall’uso corrente e saranno relegati all’anti-quariato o ai depositi di conservazione e tutela del patrimonio culturale, sarà perché non se ne sentirà più la necessità e perché la cultura collettiva si sarà orientata verso altri strumenti, senza che lamentazioni o rimpianti sul mondo della carta che abbiamo perduto abbiano più grande senso. 51. Se dunque è di una diversa gerarchia nella logica della pubblicazione che si tratta, e se il documento elettronico deve assumere un ruolo primario, ribaltando sostanzialmente la realtà adesso prevalente per cui è il documento elettronico a costituire un’appendice, un derivato, rispetto al documento cartaceo giuridicamente riconosciuto, un passaggio fondamentale è inevitabilmente costituito dalla soluzione di quei problemi normativi ai quali talvolta viene attribuita rilevanza secondaria ma che hanno tuttavia un peso notevole nel mantenere un atteggiamento di distanza e di perplessità verso la pubblicazione elettronica. Si tratta di un ordine complesso di problemi la cui soluzione non dipenderà solo da una discussione teorica o giuridica ma anche dalla spinta che deriva dalle realizzazioni concrete che, anche sul versante dell’editoria elettronica umanistica, sono già disponibili alla comunità degli studiosi. Soprattutto l’ambito delle riviste è fortemente investito dalle opportunità offerte dalla comunicazione telematica. Problemi di costi di produzione e di gestione bibliotecaria, oltre a potenzialità assai più forti, sul versante telematico, dal punto di vista della ricerca e della comunicazione dei documenti, stanno determinando una forte spinta verso la transizione dal cartaceo al digitale. Molte sono le riviste puramente elettroniche (senza cioè che abbiano un corrispondente cartaceo) sorte negli ultimi anni[10], ed importanti sono anche gli esempi di edizione parallela, tale cioè da salvare, da un lato, le esigenze proprie dell’editoria tradizionale, ma da consentire dall’altro alla comunità degli studiosi le possibilità di fruizione consentite dalle nuove tecnologie telematiche. L’esempio di JSTOR credo sia, da

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questo punto di vista, particolarmente significativo[11]. Sulla base di un accordo stipulato con i responsabili delle singole testate, al programma JSTOR è consentita l’archiviazione elettronica di un numero rilevante di importanti riviste umanistiche allo scadere di un termine temporale prefissato (moving wall), definito generalmente in cinque anni. Dopo cinque anni di esistenza cartacea, che salva diritti, interessi, investimenti dell’editoria tradizionale, i numeri delle riviste transitano dunque verso il digitale e consentono ad ogni biblioteca l’accesso full-text alla rivista, risolvendo brillantemente problemi di spazio e di costi nella gestione del materiale librario e consentendo anche a piccole e nuove biblioteche di dotarsi rapidamente di un patrimonio documentario rilevante. La digitalizzazione in formato-testo ed in formato-immagine combinati consente poi l’interrogabilità e l’uso del documento elettronico secondo tutte le potenzialità consentite da tale procedura di archiviazione, e, al tempo stesso, il rispetto dell’integrità formale della pagina, importante per un documento che ha già avuto una prima edizione cartacea. Tutto ciò non è gratuito, naturalmente, ma è legittimo ritenere che l’investimento, da parte di un’istituzione bibliotecaria, per l’accesso ad una banca dati di questo tipo, risulti economicamente e scientificamente più vantaggioso rispetto al possesso di molte decine di metri lineari di volumi cartacei. E’ un esempio tipico di una realtà di transizione, utile per dimostrare come anche in questa fase, e nonostante tutte le incertezze e le perplessità che caratterizzano il rapporto tra discipline umanistiche e reti, realizzazioni concrete e di utilità indiscutibile possano essere compiute, senza che si debba attendere la risoluzione di tutti i problemi -normativi, tecnici, gestionali- per cominciare a produrre risultati; e ritenendo che proprio dalle realizzazioni concrete possano derivare stimoli importanti e idee utili alla soluzione di problemi più generali. Altre importanti iniziative avviate in questa direzione, anche fuori dall’ambito statunitense, mostrano come quest’ordine di esperienze vada incontro a esigenze concrete e sia destinato a svilupparsi considerevolmente nei prossimi anni[12]; e sarebbe auspicabile che, in questa prospettiva, un’attenzione particolare fosse rivolta al patrimonio meno recente delle riviste storiche, erudite, letterarie, correntemente intese come minori, che più facilmente sfuggono alle principali iniziative di indicizzazione ma che rappresentano per la ricerca storica un ambito di notevole interesse. 52. Non è questa la sede per offrire indicazioni sul tipo di strategia che sarebbe opportuno seguire per arrivare alla realizzazione di progetti che richiedono certamente un notevole investimento di lavoro, ma dai quali è anche possibile -considerando l’esempio di JSTOR- avere un ritorno economico interessante, che può consentire (ad un ente pubblico, per esempio) di consolidare, ampliare e potenziare il quadro progettuale iniziale. Sta di fatto che, per uno studioso, poter accedere direttamente, tramite un terminale della rete universitaria o tramite Internet, alla collezione degli articoli di un centinaio di riviste umanistiche integralmente digitalizzate, come consente il progetto MUSE della Johns Hopkins University[13]; e poter operare sull’intero corpus testuale con diverse modalità di interrogazione, rappresenta un’opportunità di fronte alla quale scetticismi e perplessità sono destinati a svanire immediatamente. L’ utilizzazione in rete delle banche dati testuali pubblicate su CDRom, sulla base di contratti e modalità di abbonamento diversificate; e la possibilità di accedervi all’interno delle diverse sedi universitarie e da postazioni autonome, costituiscono una linea operativa già ben avviate in moltissime istituzioni universitarie europee (oltre ad essere già solidamente consolidata negli Stati Uniti), sulla cui utilità non ci

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sono molte ragioni di dubitare. Più rari sono gli esempi di un’editoria elettronica orientata alle monografie e a quegli studi che tradizionalmente si traducono in libri. Anche su questo versante, tuttavia, alcune iniziative già avviate e una serie di progetti[14] mostrano che, nonostante le difficoltà e le incertezze normative che permangono, una forte spinta all’evoluzione dell’editoria accademica in questa direzione esiste. Soprattutto l’incremento dei costi delle pubblicazioni tradizionali, insieme alla necessità, particolarmente pressante in sistemi accademici come quello statunitense, di pubblicare per poter coltivare aspirazioni di stabilità professionale e di carriera, ha indotto anche autorevoli rappresentanti della cultura storica statunitense a sostenere con vigore la strategia dell’editoria elettronica[15]. Penso che anche in altri contesti istituzionali e culturali la scelta di avviare programmi sistematici di editoria elettronica fruibile in rete, una volta affrontati e risolti quei problemi normativi che rischiano di costituire uno scoglio su cui sono destinati ad infrangersi progetti importanti ed energie brillanti, dovrebbe essere seguita con decisione. 53. Se pensiamo al fatto che una parte ingentissima dei finanziamenti per la ricerca in ambito umanistico è obbligata a seguire il percorso che porta alla pubblicazione cartacea; e se pensiamo ad una dotazione per la ricerca che spesso non è adeguata ad un suo soddisfacente sviluppo, possiamo facilmente cogliere molti dei vantaggi che potrebbero derivare da un’editoria accademica elettronica intesa come autentico sostitutivo dell’editoria cartacea. Molte risorse sarebbero in questo modo dirottate dal percorso editoriale tradizionale -che l’editoria elettronica potrebbe sostituire con un contenimento rilevante dei costiall’incremento di finanziamento per lo sviluppo concreto delle ricerche e per il sostegno di nuove generazioni di studiosi. Meno volumi cartacei, in altri termini, e più borse e assegni di ricerca, più laboratori e maggiori disponibilità finanziarie per lo svolgimento dei progetti; ma anche una maggiore possibilità di divulgazione di lavori (tesi di laurea e di dottorato, per esempio) per i quali la pubblicazione cartacea risulta spesso difficilmente sostenibile finanziariamente, ma che non infrequentemente (soprattutto nella tradizione universitaria italiana) presentano aspetti di notevolmente interessanti e talora importanti (per la trascrizione di inediti, per esempio, o per l’illustrazione di fonti poco note) e che non meritano pertanto di essere abbandonati negli armadi polverosi di istituti e dipartimenti, destinandoli all’oblio. Una collezione digitale di tesi non è un obiettivo impossibile (gli stessi candidati potrebbero essere sollecitati a trasmettere un loro testo elettronico oltre che uno stampato) e richiede solo una definizione di regole, di sistemi di sicurezza, e di tecniche di conservazione e di gestione, a fronte di vantaggi indiscutibili. Anche su questo versante sono già disponibili progetti ed esempi interessanti[16], ma sarebbe certamente importante -e probabilmente è indispensabile- che su questo obiettivo si sviluppassero a livello nazionale programmi solidi e coordinati, sia per l’avvio di una prassi di deposito elettronico di tesi e dissertazioni, sia per il recupero del più antico patrimonio documentario, spesso dimenticato ma talvolta di non trascurabile interesse.

[1] Per un aggiornamento bibliografico sui problemi dell'editoria elettronica scientifica, vedi in particolare

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Bailey, C.W., Jr., 1996-2000. Un accurato repertorio di risorse è presente nello stesso sito curato da Bailey, < http://info.lib.uh.edu/sepb/sepr.htm >. Vedi anche, tra le numerose riviste che si occupano dell'argomento JEP - The Journal of Electronic Publishing, < http://www.press.umich.edu/jep > e D-Lib Magazine, < http://www.dlib.org/dlib/september00/09contents.html > collegata a D-Lib Forum, < http://www.dlib.org/ >. [2] Vedi, per esempio, il servizio Books on demand della società Bell & Howell, < http://wwwlib.umi.com/bod >. Vedi anche Universal Publishers, < http://www.upublish.com/upb01a.htm > e DocuNetworks, < http://www.docunetworks.com/ >. Vedi, anche, con riferimento all'esperienza e ai progetti delle edizioni Bibliopolis, Sakoun, 1999. [3] Per un aggiornamento sui problemi relativi al copyright, vedi il sito dell' European Copyright User Platform, < http://www.eblida.org/ecup/ >. Vedi anche il repertorio di siti curato da AIB. Il mondo delle biblioteche in rete. Copyright, < http://www.aib.it/aib/lis/lpi08.htm > e, ivi, De Robbio e Brancatisano. [4] Vedi Liscia, 1998 [1 e 2]. [5] Vedi The Legal Deposit of Electronic Publications, 1997; Oppenheim, 1997; Bergamin, 1999. Per un quadro dei progetti in corso, vedi PADI, Preserving Acces to Digital Information, < http://www.nla.gov.au /padi/ >, le iniziative della British Library < http://www.bl.uk/diglib/dlp/overview.html >, e, per l'Italia, il progetto EDEN della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, < http://www.bncf.firenze.sbn.it/progetti /Eden/home.htm >, che ha l'obiettivo di "produrre una sezione apposita della Bibliografia Nazionale Italiana denominata «BNI-Documenti elettronici»". La legge italiana non include ancora le publicazioni on-line nella cornice del deposito legale ( vedi, a questo proposito, < http://www.aib.it/aib/cen /dl3610.htm >); ciononostante un'iniziative recente, promossa dalla Firenze University Press < http://epress.unifi.it/ > e dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, definisce i termini di un accordo per il "deposito legale volontario delle pubblicazioni elettroniche edite dalla Firenze University Press" < http://epress.unifi.it/accordo.htm > e costituisce pertanto un significativo passo avanti rispetto ai termini della legislazione vigente. [6] Vedi in particolare Basic Columbia Guide of OnLine Style (CGOS), < http://www.columbia.edu/cu/cup /cgos/idx_basic.html > > e H-Net. A brief citation guide for internet sources in history and the humanities, < http://www2.h-net.msu.edu/about/citation >. Per una lista di risorse utili vedi Indispensable Writing Resources. A Complete Collection of Writing Essentials, < http://www.quintcareers.com/writing/writeref.html > e IFLANET, Citation Guides for Electronic Documents, < http://www.ifla.org/I/training/citation/citing.htm >. Vedi inoltre Ridi, 1995. [7] Alla problema della definizione di standard di accesso all'informazione digitale è rivolta l'attenzione della recente Open Archives Initiative, < http://www.openarchives.org/ >. [8] Vedi per esempio il sito della InstaBook Corporation, < http://instabook-corporation.com/ >. [9] Con il termine e-book si fa riferimento ad un particolare formato del documento elettronico che consente la lettura, la scrittura (la possibilità per esempio di inserire appunti e annotazioni) e soprattutto la trasportabilità su dispositivi hardware leggeri e di piccolo formato. L'utilizzazione dei documenti offerti

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come e-books è possibile mediante software specifici, quali MS Reader (distribuito gratuitamente). Vedi in particolare, su questa tematica, l' Open eBook Forum < http://www.openebook.com/ >, che ha definito le specifiche di codifica per il formato elettronico degli e-books , basate su HTML e XML, < http://www.openebook.com/specification.htm >; la definizione di questo formato come standard per gli e-books è tuttora contesa, in particolare, dal formato PDF della Adobe. Per una valutazione attenta di questa problematica vedi il capitolo "E-Book" ini Calvo, Ciotti, Roncaglia, Zela, 2001. Per un esempio interessante, in ambito italiano, dell'evoluzione delle esperienze relative agli e-books vedi Evolutionbook < http://www.evolutionbook.com/ > . Nello stesso sito è presente un repertorio di indirizzi utili per seguire l'evoluzione degli e-books < http://www.evolutionbook.com/Links/Siti_ebook.htm>. [10] Vedi Bailey, 1996-2000. [11] Vedi JSTOR, Journal Storage, < http://www.jstor.org/ >. [12] Vedi in particolare, sul versante europeo, Ingenta.com. The Global Research Gateway, < http://www.ingenta.com/ >, una delle più importanti iniziative di diffusione elettronica di letteratura periodica. [13] Vedi Project MUSE, < http://muse.jhu.edu/muse.html >. [14] Vedi The History E-Book Project, diretto dalla American Council for Learned Societies, < http://www.historyebook.org/ >. Tra le iniziative di edizione elettronica on-line di ricerche storiche recenti, relativamente ad un'ambito specifico di interesse, vedi il progetto LIBRO, The Library of Iberian Resources OnLine, < http://libro.uca.edu/ >. [15] Vedi Darnton, 1999. [16] Vedi in particolare il progetto NDLDT, Networked Digital Library of Theses and Dissertations, < http://www.ndltd.org/ >, ricco di informazioni e links utili su tesi e dissertazioni on-line, collegato alla ETD, Electronic Thesis and Dissertation Initiative, < http://etd.vt.edu/ >; dal sito della NDLDT esso è possibile accedere anche ai progetti universitari europei in questo ambito e ad altre iniziative editoriali collegate, quali Academic Dissertation Publishers,< http://www.dissertation.com/ > e Diplomarbeiten Agentur, < http://www.diplomica.com/welcome.html >. Molte istituzioni collegate al progetto NDLDT hanno già aderito alla Open Archives Initiative. Vedi anche il Workshop on an international project of electronic dissemination of thesis and dissertations, (UNESCO, Paris 27- 28 September 1999), < http://firewall.unesco.org/webworld/etd/index.html > Per un quadro relativo alla situazione francese, ed un panormana delle altre iniziative nazionali, vedi Lapeutrec, 1999; per la Gran Bretagna, vedi University Theses On-line Group (UTOG) < http://www.cranfield.ac.uk/cils/library/utog/ >.

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Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione Rolando Minuti R.Minuti, " Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione ", Cromohs, 6 (2001): 1-75 < URL: http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html >

Indice II.2. Nuovi modelli di scrittura storica 54. Abbiamo richiamato in precedenza le titubanze che permangono nei confronti della pubblicazione elettronica dei risultati della ricerca, con riferimento all’instabilità del documento digitale rispetto al documento cartaceo. Vi è tuttavia un altro versante di dubbi, particolarmente forti sul fronte della tradizione storiografica, che riguarda non tanto la stabilità del documento elettronico quanto l’ipertestualità che è propria della comunicazione sul web, e che investe le possibilità di sviluppo di una storiografia digitale. Ciò che risulta importante, da questo punto di vista, non sono tanto gli aspetti tecnici e normativi che riguardano la sicurezza, la stabilità e la durata nel tempo di un documento, quanto i modi e le forme della costruzione del lavoro storiografico, la scrittura, l’organizzazione dell’argomentazione e lo stile; ed infine la dimensione non necessariamente chiusa, individuale e lineare del discorso storico tradizionalmente inteso, ma potenzialmente aperta, suscettibile di estensioni che possono uscire dal controllo diretto del singolo autore e cedere verso la dimensione del lavoro collettivo e progressivo, in cui l’individualità ed il ruolo dell’autore singolo possono smarrirsi. Sono aspetti tipici del problema dell’ipertestualità applicata alla comunicazione sul web, su cui un’ampia letteratura teorica è ormai disponibile[1]. E sono aspetti che ancora una volta determinano perplessità, in quanto pongono in seria discussione le forme tradizionali della scrittura e della comunicazione del discorso storico, e rivelano la possibilità di una dimensione complessiva della storiografia profondamente diversa dai caratteri che le sono stati propri lungo l’intero arco della cultura moderna. Il fatto che la maggior parte delle iniziative di editoria elettronica accademica, in ambito umanistico tenda a riprodurre la forma e la struttura tipica dei lavori destinati alla pubblicazione cartacea -nel rapporto tra testo e note, nelle citazioni, nei riferimenti bibliografici, nella presentazione di appendici e apparati- può essere registrato come caratteristico di una fase di transizione e come espressione o di un tentativo di mediare un passaggio che può risultare troppo brusco, o anche come difficoltà di cogliere pienamente le possibilità che la comunicazione telematica offre. 55. La stessa distinzione tra rivista, monografia, libro, consolidata nel contesto dell’edizione cartacea, rischia di risultare forzata se applicata meccanicamente alla pubblicazione in rete. Per rivista, ad esempio,

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intendiamo comunemente un contenitore periodico di elaborati coerente dal punto di vista tematico o disciplinare ed omogeneo dal punto di vista quantitativo, nel senso che generalmente una rivista include contributi -ricerche, studi, rassegne o interventi critici- più brevi rispetto alla ricerca monografica di un libro, tranne casi eccezionali. Con la rete, se i termini e le esigenze di coerenza contenutistica e disciplinare permangono -e dovrebbero anzi risultare rafforzati-, tutti gli altri vincoli, soprattutto dal punto di vista della cadenza temporale di pubblicazione, delle dimensioni e dell’articolazione interna dei singoli contributi, possono non avere molto senso. La semplice datazione dei singoli contributi accolti in questo nuovo tipo di contenitore può sostituire la periodicità vincolata alla pubblicazione di un certo numero di volumi per anno, e l’organizzazione interna può strutturarsi secondo aree tematiche suscettibili di variazioni e di crescita diversificate. Aree di discussione aperta, aree di dibattito specialistico legate a specifici contributi, aree di approfondimento tematico (con l’inte-grazione di testi e di documenti) sollecitate dalla particolare rilevanza di alcuni argomenti, sono aspetti che la natura stessa della pubblicazione elettronica sollecita e che possono assumere dimensioni e spessore molto più liberi rispetto ai vincoli stabiliti dall’edizione cartacea; soprattutto, possono costituire ambiti permanenti di approfondimento e di integrazione, da parte dei singoli autori e di coloro che con essi vogliono collaborare o discutere. In altri termini, il termine rivista, applicata alla comunicazione telematica, non costituisce altro che un residuo lessicale, utile forse solo per stabilire un maggiore senso di familiarità con le consuetudini, radicate nella tradizione, della pubblicazione, ma che sostanzialmente non si riferisce ad altro che ad un sito specialistico, la cui ricchezza ed il cui sviluppo dipenderanno dalla capacità di gestione degli organizzatori e dall’interesse mostrato per esso dalla comunità[2]. Se d’altra parte la rivista tradizionalmente intesa si presentava come il luogo privilegiato della presentazione dei nuovi contributi della ricerca e delle discussioni ad essi relative, la rete può evidenziare e rendere molto più incisivo questo carattere, una volta liberatici dall’esigenza di conformità rispetto alla tradizione cartacea. 56. Parallelamente, come una rivista è sollecitata dalla rete a trasformarsi in un sito di ricerca e di dibattito -inclusivo di interventi brevi e di ricerche vastissime, per la cui distinzione è sufficiente, se ritenuto necessario, distinguere aree specifiche all’interno del sito-, così gli autori sono fortemente sollecitati a trasformarsi da scrittori di storia in autori di siti storici, pensando ai propri lavori come destinati in primo luogo alla pubblicazione in rete; ciò che comporta strategie di elaborazione e di composizione del tutto diverse da quelle proprie dei lavori destinati alla pubblicazione cartacea. E’ un passaggio che tutti coloro che abbiamo un’esperienza anche minimale con il web in relazione alle proprie ricerche, possono percepire agevolmente. La possibilità, ad esempio, di integrare il proprio testo con documenti, apparati, riferimenti ad altre ricerche, attraverso la tecnica di link che è ormai resa di facilità elementare da tutti i più correnti programmi di elaborazione di testo, si manifesta con evidenza; la possibilità di introdurre estensioni multimediali integrate al documento testuale -immagini, filmati, brani musicali- determinano possibilità impraticabili o solo moderatamente utilizzabili (nel caso delle immagini) nell’ambito dell’editoria tradizionale, ed un’estensione forte della libertà di espressione dello storico. Una massa di documentazione ingestibile dal punto di vista tipografico risulta in questo modo integrata, a

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livelli di lettura e di consultazione scanditi dall’autore del sito storico, ed è offerta alla conoscenza e all’uso di altri studiosi; e tutto questo, in virtù dei costi contenuti dell’edizione elettronica, apre possibilità di pubblicazione che la realtà editoriale tradizionale deve evidentemente sacrificare. E’ uno scenario certamente suggestivo ed affascinante, che già alcuni storici contemporanei, com’è il caso di Robert Darnton, hanno individuato con chiarezza e proposto alla comunità degli storici accademici[3], ma che, innegabilmente, è anche produttivo di prospettive e di scenari che suscitano inquietudine. L’equilibrio e l’ordine proprio della scrittura di un saggio storico -gerarchicamente strutturato intorno ad un discorso e ad un’argomentazione che esprimono la posizione dell’autore, e corroborato da elementi di verifica che, soprattutto nelle note e talvolta nelle appendici e negli apparati, danno prova del suo spessore scientifico- tendono sicuramente a disarticolarsi. Intorno all’evoluzione della funzione delle note, per esempio, come ha ben illustrato A.Grafton[4], si è andato costruendo un aspetto importante dello stile storiografico nell’età moderna, e del carattere peculiare della sua scientificità; un aspetto segnato anche da un equilibrio, nella pagina e nel testo, che scandisce diversi gradi di lettura gestiti e regolati dalla volontà dell’autore e dalle sue scelte. Con l’ipertesto, la fine del vincolo spaziale determinato dalla pagina e dal volume, e la stessa libertà di sviluppare sostanzialmente senza limiti precostituiti ogni elemento secondario o accessorio dell’argomentazione, ogni aspetto relativo all’illustrazione delle prove documentarie, allo stato della ricerca in corso, all’indicazione di tracce di indagine subordinate rispetto all’argomento principale -e per questo tradizionalmente ricondotte a cenni e brevi riferimenti, e allo spazio più ridotto della nota- tende potenzialmente a rompere questo equilibrio. Alla gerarchia tende a subentrare un complesso parallelismo di discorsi, il cui sviluppo, data la possibilità di modifica e aggiornamento consentita dalla rete, può non avere termine e non avere limiti; quei limiti che in precedenza erano dettati anche dai caratteri propri della pagina e del libro stampati e dallo stile e dall’ordine argomentativo sviluppatisi intorno ad essi. Le ricerche possono proporsi infine come cantiere di lavoro e restare eternamente aperte, o produrre una stratificazione molto densa di nuove versioni, integrazioni e sviluppi per le quali la chiusura e la conclusione possono eternamente restare sullo sfondo. 57. La transizione dalla scrittura testuale, ordinata e gerarchizzata dal punto di vista formale e logico, alla scrittura ipertestuale, come è stato ampiamente illustrato da G. Landow[5] ed altri teorici della letteratura che hanno riflettuto sul problema dell’ipertestualità, non propone una semplice amplificazione di possibilità chiuse o difficilmente attuabili con la scrittura tradizionale (dal punto di vista per esempio dell’integrazione documentaria e della modificabilità), ma una riconfigurazione radicale del ruolo dell’autore e del rapporto di autorità che si pone tra autore e lettore, il quale, in virtù della destrutturazione dell’edificio testuale e del movimento interno attraverso i link, costruisce sistematicamente il proprio testo e partecipa in maniera diretta alla sua definizione. La convergenza stretta tra le possibilità di costruzione del documento elettronico attraverso l’uso delle nuove tecniche di scrittura e di comunicazione in rete, e le teorie linguistiche e letterarie post-strutturaliste è stata più volte sottolineata; ciò può indurre a ritenere che anche dal punto di vista dell’evoluzione della storiografia questo aspetto rappresenti una sorta di esito inevitabile, e l’affermazione, sancita dalla diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione, della fine dell’autore e dell’autorità con il trionfo di una frammentazione, ricomponibile all’infinito, in base alla quale non si

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accede più ad un documento, ma semplicemente si entra, attraverso un porta, un link, in un docuverso, plastico ed in perenne trasformazione, dove sovrapposizione, contaminazione e intreccio stabiliscono una logica in cui l’autore non trova più una collocazione definita. Inevitabilmente, di fronte a questo orizzonte di possibilità, le posizioni tendono fortemente ad irrigidirsi, a manifestare forti imbarazzi, e a non rendere agevole il processo di transizione di pratiche e forme di organizzazione e comunicazione del discorso storico, proprie della comunità degli storici complessivamente intesa, verso una nuova normalità condivisa. L’impressione, non del tutto fondata come vedremo, che l’uso della rete come mezzo fondamentale, sostitutivo della carta, per la conduzione della ricerca e la pubblicazione dei suoi risultati, determini l’adesione necessaria ai postulati delle teorie post-strutturaliste e della cultura che genericamente è identificata come post-modernista, è un esito che per molti storici risulta disturbante e che determina un arretramento complessivo di fronte alla rete e alle nuove tecnologie; e, ancora una volta, scetticismo. 58. Sul versante storiografico -o, più precisamente, sul piano del dibattito relativo a teorie e metodologie della storia- la destabilizzazione post-modernista dell’autorità dello storico, che è andata sviluppandosi con un non casuale parallelismo con lo sviluppo delle reti e della comunicazione sul web, ha fortemente amplificato la riduzione della storiografia alla dimensione linguistica e retorica, con un sostanziale ridimensionamento dei suoi parametri di scientificità, spesso sbrigativamente ricondotti ad una tradizione positivista assunta come sinonimo di una nozione di cultura storica moderna genericamente intesa. Dove la possibilità di giungere a spiegazioni causali del divenire storico si rivela sistematicamente illusoria, dove la realtà risulta un obiettivo sostanzialmente inattingibile, il carattere di costruzione artificiale proprio della rappresentazione storica, ed il suo ancoramento a strumenti lessicali, linguistici e retorici -variabili e mutevoli nel tempo- ne risulta inevitabilmente esaltato[6]. E’ un dibattito complesso, che non intendiamo affatto banalizzare e che merita certamente di essere seguito con attenzione soprattutto per le ricadute che un tale orientamento, diffuso nella cultura collettiva attraverso varie forme di mediazione, può avere sulla consapevolezza dell’importanza di una coscienza critica della realtà, passata e presente, che rischia di risultarne gravemente alterata. Anche se lo sviluppo di questi problemi esce dai limiti di questo intervento e non è possibile seguirlo in modo approfondito, credo che quanto ha scritto L. Stone[7] a proposito del rapporto tra post-modernismo e storiografia, possa essere assunto come un punto di riferimento di grande equilibrio e di grande sensatezza empirica. Come, alla fine degli anni ‘70, Stone era intervenuto, con un saggio divenuto celebre, sulle derive positivistiche legate all’uso dei computer nella storia e sulla quantificazione in storia, riproponendo l’importanza della dimensione narrativa[8]; così, al principio degli anni ‘90, si è trovato ad arginare la riduzione della storiografia al solo racconto, alla sola dimensione narrativa. Soprattutto in un breve saggio del ‘92, insieme al riconoscimento dell’apporto che il linguistic turn può dare per l’affinamento di tecniche e di problemi propri della scrittura storica, Stone ha inteso ribadire, con chiarezza non disgiunta da una punta di ironia, alcuni termini essenziali di un mestiere e di una pratica che è da sempre problematica e che non è riconducibile ai termini di un rude positivismo (come deriva da molte ricostruzioni post-moderniste); ma che ciononostante assume come soglia discriminante il fatto che tra realtà e finzione esiste una differenza sostanziale, e che gli scopi e i problemi della storiografia sono quelli di

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mantenerla chiara, con tutti i limiti e con tutte le difficoltà proprie di un sapere per il quale non è possibile far riferimento a fenomeni ripetibili[9]. 59. La corrosione dell’autorità e della linearità del testo, sviluppata sul piano teorico dalle diverse correnti post-strutturaliste, ha pertanto trovato nella teoria e nella pratica degli ipertesti un’espressione diretta, esaltando i termini della frammentazione, dell’incontrollabilità di un ordine argomentativo voluto dall’autore, della funzione del lettore come autore di propri percorsi all’interno di una struttura aperta ed in grado come tale di assumere un’ autorità forte. Tra il linguistic turn derivante dall’approccio analitico di teorici quali White o Ricoeur[10], che tende a ridurre a livello ideologico o retorico l’unità, il senso e la coerenza della narrazione storica; e la natura degli ipertesti, che offre la possibilità concreta di realizzare percorsi non lineari e di ridurre il discorso storico ad un contesto frammentario e liberamente ricomponibile, si stabilisce dunque un nesso forte -che per la maggior parte degli storici di mestiere, legati in vario modo a postulati di scientificità, verificabilità e autorità che definiscono la ragion d’essere del loro sapere, del loro lavoro e della loro funzione civile di intellettuali- costituisce certamente una realtà inquietante. Sono allora opportune alcune precisazioni che possono contribuire a leggere questo scenario dell’evoluzione del rapporto tra storiografia e reti in termini meno apocalittici di quanto potrebbe a prima vista apparire; e a sollecitare quelle soluzioni empiriche e tecniche in grado di ricondurlo entro una dimensione di responsabilità e di controllabilità che non è automaticamente esclusa dalla natura della rete. Abbiamo sottolineato più volte, in questi cenni sui nuovi scenari della scrittura storica connessi all’ipertestualità e alla rete, la dimensione della possibilità, perché, è bene rimarcarlo, tutto quanto rientra nell’ampio contesto delle potenzialità non corrisponde affatto o immediatamente ad una necessità imposta dalla rete. Nella rete lo abbiamo detto, posso essere riprodotte, come nella maggior parte dei casi avviene, forme di organizzazione del discorso storico che sono identiche a quelle proprie della tradizione tipografica; la multimedialità e la presentazione di vasti apparati documentari possono non alterare minimamente la struttura del discorso, ed anche il rapporto tra testo e note, che l’autore intende mantenere. Ed in concreto, la parte assolutamente più rilevante dei contributi di ricerca storica presenti in rete che possono essere considerati qualitativamente significativi non fa altro che riprodurre in forma elettronica testi che hanno un carattere ipertestuale molto debole e che possono essere direttamente stampati riproducendo copie identiche ad una versione tipografica. Il carattere chiuso e internamente gerarchizzato del discorso storico può rimanere tale, ed avere come tale una stabilità e una permanenza nel tempo mediate dalla strumentazione tecnologica. 60. Il problema non è dunque dato dalla possibilità di conservare, anche nel passaggio alla rete, forma e ordine proprie di un testo e di un’argomentazione lineare tradizionalmente proprie della scrittura storica; ma di capire se e come l’ipertestualità sia gestibile in modo da non produrre frammentazione e disintegrazione dell’autore e del testo: che alcuni intendono come avvio concreto di un processo affascinante di evoluzione verso l’autore collettivo; altri, non a torto, come rischio di alterazione di quei connotati di verificabilità e di aderenza ad una base documentaria gestita dalla responsabilità e della

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competenza dello storico, che costituiscono il fondamento e la ragione del suo mestiere. Il problema è di capire, in altri termini, se, rinunciando alla semplice riproduzione elettronica dei modelli formali tipografici, che è sempre aperta ma che non consente di sfruttare adeguatamente le potenzialità consentite da un nuovo mezzo -per il quale i termini di pagina, libro, volume, rivista assumono un valore inevitabilmente anacronistico-, sia possibile mantenere l’ordine e la coerenza che consentono di non annegare nel docuverso, di salvare individualità e autorità e di produrre forme di lavoro collettivo che risultino organizzate e strutturate. La domanda, e la risposta possibile, possono risultare ovvie per chi abbia una qualche esperienza di scrittura e di organizzazione di siti, ma possono non risultare tali per molti studiosi che si avvicinano con imbarazzo e perplessità alla realtà della rete. Un primo fondamentale elemento che occorre richiamare è che la scelta di costruire un ipertesto non costituisce affatto, di per sé, l’abbandono al dominio della casualità e l’attribuzione ad ogni utilizzatore della libertà di operare una costruzione radicalmente libera di propri percorsi e di propri testi. Un ipertesto richiede al contrario una progettualità ed una regia molto più forti, e più complesse, rispetto all’organizzazione di un discorso lineare, di un libro; che si traducono in possibilità di percorsi che risultano molteplici ma preordinate da parte di chi organizza la strategia di consultazione dell’ipertesto e che escludono, a meno che non sia coscientemente voluto dall’autore, la perdita della direzione e del senso, abbandonate alla libertà dell’utilizzatore. Non è affatto vero che da un punto qualsiasi di un CdRom o di un sito, per esempio, si possa arrivare a ricomporre in totale libertà ed immediatezza il proprio percorso di lettura; da questo punto di vista l’operazione di sfogliare le pagine di un libro stampato offre addirittura maggiore rapidità e libertà di ricomposizione di propri percorsi testuali, secondo un procedimento che la critica post-strutturalista ha più volte evidenziato[11] rispetto ad un CdRom, la cui consultazione è vincolata a mappe, collegamenti e indici che costituiscono la parte rigida della sua architettura. 61. Tanto nella costruzione di un CdRom quanto, a maggior ragione, nell’organizzazione di un sito web, la strategia e la logica nell’ordinamento e nell’accesso alle varie sezioni, nei criteri di consultazione e di interrogazione, nei legami interni ed esterni costituiscono un aspetto di grande rilevanza, in cui si esprimono l’ordine e la coerenza pensate dall’autore/regista. Questo certamente richiede una consapevolezza diretta da parte di un autore, che non possono essere immediatamente delegate all’informatico nella stessa misura in cui si affidava il manoscritto o il dattiloscritto al tipografo; richiede un’estensione di quell’alfabetizzazione informatica che, già consolidata con l’uso dei word processor, dovrà estendersi anche ai software di costruzione e gestione degli ipertesti destinati alla rete, perché, senza per questo divenire informatici, si capisca se e come ciò che si intende costruire può essere realizzato in forma di ipertesto. L’evoluzione rapida del software e lo sviluppo di procedure sempre più user friendly renderà certamente questo passaggio sempre più agevole, com’è stato in passato per i word processor o per i database, ma è bene aver chiaro che esso, nel processo di evoluzione dallo storico autore di testi allo storico autore di siti, non è di trascurabile rilevanza se si vuole che la consapevolezza e l’autorità rimangano come elementi qualificanti della comunicazione in rete anche in ambito umanistico. L’elemento fondamentale, ed il punto delicato nell’organizzazione di un documento destinato alla rete o di un complesso di documenti (testo di base, commenti, note, materiali vari, bibliografia etc.) organizzati in un sito, è dato dalla natura del link. Come il link rappresenta l’anima dell’ipertestualità del web, così nei

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criteri di costruzione dei link all’interno di un documento ipertestuale si condensano la maggior parte degli aspetti problematici relativi al suo ordine e alla sua coerenza. Un link può essere semplicemente un rimando interno ad una nota, o ad una parte del testo, o ad un altro documento presente nello stesso sito; ciò esprime quella che possiamo definire un’ ipertestualità debole, che non determina particolari problemi di strategia e di controllo. I problemi nascono invece nel momento in cui si intende attuare un’ipertestualità forte, e rinviare cioè ad altri documenti, o parti di documenti, o siti, presenti sul web. E’ a questo punto, e solo a questo punto, mi pare, che i termini di autorità, individualità, responsabilità vengono messi in discussione. Con il rinvio, all’interno di un mio testo, ad un altro testo elettronico presente altrove, realizzato e gestito da altri, e sul quale non ho responsabilità né controllo, attuo concretamente quella disarticolazione dell’autorità a cui prima si accennava. Pensiamo ad esempio al caso di una citazione, in nota o nel testo stesso di uno documento, di un passo tratto da un documento elettronico presente altrove. Nel momento in cui decido di non trascrivere il passo ma di rinviare ad esso tramite un puntatore, ho costruito un oggetto che ha due componenti, l’una delle quali non è più inglobata e integrata nel mio testo, ma continua ad avere una vita propria; posso anche pensare che nel corso del tempo si trasformi (che a quello stesso puntatore, che identifica un luogo nel web, corrisponda un altro oggetto), che svanisca, che non corrisponda più in altri termini al contenuto che ho inteso includere nel mio testo, il quale inevitabilmente perde di senso. 62. E’ una possibilità paradossale e “apocalittica” solo fino ad un certo punto. Già adesso molti riferimenti a documenti sul web, presenti in sitografie o nel corpo stesso di documenti, presentano la necessità di aggiornamenti e revisioni continue per non incorrere nella drammatica schermata “document not found” e nella necessità da parte del lettore di affannose ricerche di documenti che si sono persi nella rete, per varie ragioni. E’ certamente un problema per il quale, nello studio in corso sugli standard del linguaggio del web, possono essere intraviste soluzioni; con il passaggio probabile dall’HTML all’XML come linguaggio di comunicazione della rete, la possibilità di seguire gli URL nei loro spostamenti attraverso stili di marcatura di nuova concezione sarà probabilmente possibil[12]; ma al momento in cui queste pagine sono scritte si tratta di sperimentazioni e ricerche che ancora non si sono concretizzate nella corrente realtà del web, sempre solidamente ancorato all’HTML e ai suoi aggiornamenti. E, d’altra parte, anche la possibilità di seguire i documenti nei loro percorsi non rappresenta una sicurezza sulla loro stabilità ed inalterabilità, che sono legate alla natura del documento elettronico, alla sua diversità rispetto alla fissità riproducibile propria dell’universo tipografico, e per la quale valgono le considerazioni e le possibilità di soluzione in precedenza indicate[13]. Quanto maggiore è pertanto il grado di ipertestualità forte propria di un documento destinato alla comunicazione in rete, tanto minore, inevitabilmente, è il suo grado di controllabilità e di mantenimento dell’autorità e dell’individualità di un testo. Finché si organizzano e si strutturano siti anche complessi mediante un reticolo di rimandi interni, e si stabilisce al loro interno un’ipertestualità che esprime la progettualità ed il criterio d’ordine dell’autore o degli autori, non si aprono problemi particolari di controllo al di là di un diverso modo di costruire l’ordine dell’argomentazione e di attuare l’integrazione tra discorso e strumenti di verificabilità; ma nel caso in cui si intenda costruire un ipertesto utilizzando documenti e

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banche dati variamente dislocate nel web, i problemi che abbiamo ricordato sono destinati a manifestarsi vistosamente. 63. Essere consapevoli di questo fatto -oltre ad attendere, dall’evoluzione della tecnologia informatica e dall’adozione di norme giuridiche sul deposito dei documenti elettronici, soluzioni convincenti e stabili- non significa dover arretrare di fronte alle possibilità offerte dall’ipertestualità e riprodurre meccanicamente e un po’ ottusamente le forme della pubblicazione cartacea, ma semplicemente essere indotti alla cautela. Già quella che abbiamo definito ipertestualità debole apre in maniera molto ampia l’ambito delle possibilità praticabili senza particolari problemi in ambito storiografico; e già essa consente la sperimentazione di forme di argomentazione e di strutturazione del discorso (nel rapporto tra testo, note, apparati documentari, per esempio) che determinano un stile ed un ordine diversi rispetto alle forme tradizionali di storiografia. Le possibilità e gli arricchimenti possono essere numerosi, e variamenti intesi dai diversi contesti disciplinari umanistici, ed il fatto che siano ancora limitatamente praticati e che siano ancora lontani dal costituire una nuova normalità della comunicazione può certamente derivare dal fatto che ad essere percepiti immediatamente siano solo i rischi di quell’ipertestualità forte cui abbiamo fatto cenno, che invece può essere contenuta e controllata, rinviando una sua più sistematica applicazione al momento in cui i quadri di riferimento, tecnologici e normativi, della comunicazione scientifica sul web appaiano più certi. La distinzione tra aree dell’ipertesto vincolate ad una rete di relazioni interne ed aree aperte all’esterno, alla dimensione collaborativa e interattiva di lettori e commentatori (mediante tribune di discussione collegate o connessioni a mailing-list o newsgroup esterni), alla modificabilità e allo sviluppo dei percorsi di lettura e di consultazione non più ricondotti ad una responsabilità e ad una decisione, fa parte della tecnica e della logica di costruzione di un ipertesto, che spettano all’autore e non sono inevitabilmente perduti nel momento in cui intende passare da un testo destinato alla pubblicazione cartacea ad un ipertesto destinato alla rete. 64. Lo stesso vale per la possibilità di coordinamento e di organizzazione di un lavoro di équipe intorno ad oggetti di ricerca traducibili in formato ipertestuale[14]. La specializzazione della storiografia contemporanea e la moltiplicazione dei contributi su aspetti e temi che fino a non molti anni fa costituivano ambiti estremamente specialistici di attenzione, è un fatto noto, che determina non solo problemi di controllo seri relativi a quello che una volta era definito “lo stato della questione”, all’evoluzione della ricerca e alla bibliografia, ma anche una nuova e più urgente necessità di coordinamento e di informazione. La dilatazione del discorso storico in ambito accademico e le difficoltà di controllo che ne derivano hanno alimentato fortemente l’accentuazione dei termini di indeterminatezza e di frammentazione che costituiscono uno dei punti rilevanti dell’approccio post-modernista alla storiografia. Da questo punto di vista la rete può apparire, con la facilità di pubblicazione che consente, niente più che la manifestazione clamorosa di un’incontrollabilità del discorso, anche in ambito storiografico, che si presenta come inevitabile e che rende concrete le ipotesi e le teorie variamente collegate all’approccio post-modernista, inducendo gli storici più legati alla tradizione del mestiere alla rassegnazione, al ritiro in una sorta di riserva indiana fatta di antiche pratiche e linguaggi collaudati, e sostanzialmente alla chiusura. La stessa maggiore facilità dell’accesso all’informazione, unita alle tecniche

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di composizione dei testi propri dei word processor o degli editor per i testi destinati al web, è spesso evidenziato, paradossalmente, come indice di una dimensione in cui la produzione testuale si riduce a niente più che ad un processo, ancorché evoluto, di cut and paste, di assemblaggio rapido di elementi sui quali la possibilità di verifica diviene impraticabile, e, in ultima analisi, neppure richiesta; come se al superamento degli ostacoli tecnici nella comunicazione e nella scrittura a cui le nuove tecnologie hanno contribuito, ed alla stessa maggiore libertà ed efficacia nell’organizzazione e nello svolgimento del lavoro da esse consentite, fossero imputabili le responsabilità di una cattiva qualità e di un basso livello che proprio la costrizione ai tempi lunghi, alle stesure ripetute, alle difficoltà di accesso ai materiali avrebbero scongiurato. E’ una contestazione che anche all’inizio della diffusione di fotocopie e microfilm fu manifestata e che ora è ripresa con vigore a proposito della comunicazione elettronica. 65. In realtà tutto questo non costituisce affatto un esito inevitabile, né imputabile alle tecniche di costruzione e di comunicazione dei risultati della ricerca consentite dagli strumenti elettronici e dalla rete. Rispetto alla sovrabbondanza reale della letteratura storiografica contemporanea la rete offre al contrario strumenti di controllo e di verifica che, se adeguatamente utilizzati, si rivelano assai più efficaci -lo abbiamo accennato a proposito di bibliografie e cataloghi- rispetto agli strumenti tradizionali; strumenti che consentono di rispondere all’esigenza di distinguere ciò che è qualitativamente significativo per la ricerca da ciò che è ripetitivo o ridondante. Che non sia più possibile, ormai, distinguere tra questi due ordini di valori, e che la rilevanza del discorso storiografico in ambito contemporaneo sia riducibile ai livelli della persuasione, della diffusione, della retorica letteraria, non è affatto confermato o accentuato dalla natura della rete. Certamente i problemi della specializzazione della ricerca e della dilatazione della letteratura storiografica permarranno; non solo, ed è un fatto noto, è pressoché impossibile per ogni storico contemporaneo, anche per i maggiori, spaziare dai problemi relativi al mondo antico alla contemporaneità con l’ambizione di fornire contributi di ricerca e di riflessione originali -come poteva avvenire ancora intorno alla metà del secolo scorso-, ma anche nell’ambito di periodizzazioni più circoscritte la delimitazione degli ambiti di ricerca si rivela ormai inevitabile. Ma anche in questa dimensione necessariamente più specialistica rispetto al passato, le possibilità di valutazione e di controllo non risultano affatto sfumate, ma al contrario troveranno nella rete importanti, forse indispensabili, possibilità di potenziamento. La rete si rivela da questo punto di vista esser proprio la dimensione che consente di superare il disorientamento di fronte all’apparente incontrollabilità, e di ricomporre -in uno scenario necessariamente riconfigurato- i termini di una coerenza del discorso storico che non è altro, in ultima analisi, che approccio critico, basato su materiali identificabili e verificabili, alla realtà. Che la realtà sia, in termini assoluti, inattingibile; e che la verità dello storico sia sempre una verità parziale e discutibile, è un fatto innegabile, ed è quanto costituisce la problematicità ed il fascino del mestiere; ma che tale problematicità non determini necessariamente un esito scettico, e che la rete non lo favorisca inevitabilmente, mi pare un dato altrettanto chiaro.

[1] Un riferimento "classico", a questo proposito, è Landow, 1997. Per un panorama bibliografico

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sull'argomento, vedi Hypertext Resources, < http://www.eastgate.com/Hypertext.html >, in particolare Hypertext Resources in Print, < http://www.eastgate.com/hypertext/Sources.html >. [2] Vedi, a proposito di questo processo di transizione, l'esempio particolarmente interessante di Reti medievali, < http://www.retimedievali.it/ >. [3] Robert Darnton ha offerto un esempio interessante di un nuovo modo di scrivere storia con la versione ipertestuale e multimediale del saggio "An Early Information Society: News and the Media in Eighteenth-Century Paris"; vedi Darnton, 2000. Per seguire gli sviluppi delle applicazioni multimediali alla storia, vedi The Journal for MultiMedia history, < http://www.albany.edu/jmmh/ >. [4] Vedi Grafton, 1997. [5] Vedi Landow, 1997. [6] Per una rassegna dei diversi contributi al dibattito, vedi Jenkins, 1997. [7] Vedi Stone, 1991 e 1992. [8] Vedi Stone, 1979. [9] "My only objection is when they declare not that truth is unknowable, but that there is no reality out there which is anything but a subjective creation of the historian; in other words that it is language that creates meaning which in turn creates our image of the real. This destroys the difference between fact and fiction", etc. (Stone, 1992, p.194). Vedi anche, a questo proposito, Zagorin, 1990 e 1999. La linea post-modernista è sostenuta con particolare vigore da F.R.Ankersmit (vedi Ankersmit, 1989, 1990 e Ankersmit et Kellner, 1995). I documenti principali del dibattito sono raccolti in Jenkins, 1997. [10] Vedi Ricoeur, 1983-85; White, 1973 e 1986. [11] Vedi Barthes, 1970. [12] Per gli sviluppi di XML vedi < http://www.w3.org/XML >. Sulla base di questo linguaggio vanno definendosi ulteriori specifiche; in particolare, per quanto riguarda lo sviluppo di un nuovo standard relativo ai links ipertestuali, ossia l' Extensible Linking Language (XLL), e le due parti fondamentali di cui si compone (Xlink e Xpointer), vedi < http://www.w3.org./TR/xlink > e < http://www.w3.org /TR/WD-xptr >. [13] Vedi I.3. [14] Vedi, a questo proposito, l'interessante progetto HyperNietzsche, in D'Iorio, 2000.

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Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione Rolando Minuti R.Minuti, " Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione ", Cromohs, 6 (2001): 1-75 < URL: http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html >

Indice II.3 Comunità virtuali e insegnamento della storia 66. Intorno al tema dell’uso criticamente responsabile della rete vengono dunque ad addensarsi problemi che, a partire dalle forme della pubblicazione e dai nuovi scenari della scrittura storica e della sua valutazione, si estendono immediatamente all’identificazione della comunità che regola la produzione storiografica, gli orientamenti della ricerca e l’insegnamento delle discipline storiche. Per tradizione tutto questo spetta fondamentalmente alle istituzioni universitarie; e le strutture accademiche sono evidentemente le prime, con vario ritmo e diversi gradi di impegno nei diversi contesti culturali (il primato statunitense anche da questo punto di vista è innegabile), ad essere coinvolte nel processo complesso di adeguamento ai nuovi scenari determinati da Internet; è in ambito universitario che, sistematicamente, le principali iniziative, sperimentazioni, attuazioni di progetti avvengono. Ma le forme del rapporto tra realtà accademica e nuovi scenari della comunicazione risultano meno lineari e naturali di quanto potrebbe a prima vista apparire, e non solo dal punto di vista, sui cui abbiamo posto l’accento, delle difficoltà ad accettare le nuove dimensioni del rapporto col documento, della pubblicazione, della scrittura storica. Ciò che risulta particolarmente evidente nella diffusione dell’uso di Internet anche in ambito storiografico è infatti l’articolazione, molto più forte rispetto agli strumenti tradizionali, della dimensione partecipativa, dello scambio di esperienze e di informazioni, e della collaborazione di comunità di studiosi a oggetti di ricerca e temi di discussione condivisi. Al di là delle nuove forme di pubblicazione dei risultati della ricerca che la rete rende possibili, e sulle quali ci siamo soffermati, la rete consente forme diverse e molto efficaci di scambio e coordinamento del lavoro, che possono consolidarsi come nuove comunità, parallele, integrate, ma non necessariamente interne o subordinate rispetto ai contesti di appartenenza propri della realtà accademica consolidata[1]. 67. Lo sviluppo delle mailing list[2] costituisce da questo punto di vista un fenomeno particolarmente interessante, e l’indice di un processo di evoluzione delle nozioni stesse di comunità scientifica ed di appartenenza disciplinare che meritano di essere colti. A differenza della libertà cumulativa che caratterizza la crescita delle informazioni disponibili sui newsgroup e che rende maggiori, al di là dell’efficacia che essi possono avere per ambiti specifici di

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interesse, il disorientamento e l’eterogeneità qualitativa, le mailing list consentono una regìa e una disciplina che possono essere intese come prototipo di una comunità di interessi in grado di evolversi da tribuna di scambio di informazioni a équipe di lavoro, suscettibile (in relazione a finanziamenti, supporti organizzativi pubblici o privati, etc.) di produrre programmi e risultati che tradizionalmente sono propri, o dovrebbero essere propri, di istituti e dipartimenti universitari; e la diffusione dell’uso della posta elettronica in ambito accademico umanistico, che è avvenuta in termini più rapidi e meno problematici rispetto all’accettazione delle nuove forme di pubblicazione elettronica in rete, può far ritenere possibile questa evoluzione. Ma una diversa forma di comunità di interessi di studio e di ricerca (storica, nel caso specifico), configurata sulla base dell’uso delle risorse telematiche, a forte dilatazione geografica ma anche molto omogenea dal punto di vista degli oggetti e degli obiettivi, determina inevitabilmente anche un diverso ordine di responsabilità interne, una distribuzione di ruoli, nonché criteri di riconoscimento e di valutazione del lavoro dei singoli componenti, significativamente diversi rispetto ai meccanismi e alle liturgie che caratterizzano, un po’ dovunque, la realtà accademica tradizionale. Ed è egualmente chiaro che un’evoluzione seria in questo senso, che stabilisca una consapevole continuità tra linee operative consolidate in ambito accademico, logiche e pratiche di appartenenza tipiche dei diversi contesti disciplinari, e la nuova dimensione reticolare ed internazionale propria del web, rende necessaria una forte assunzione di responsabilità istituzionale e l’avvio di sperimentazioni verso quelli che potranno divenire centri, dipartimenti e istituti virtuali, se si vuole evitare un possibile consolidamento di sfere parallele, e far sì che questo processo produca i risultati complessivamente più efficaci[3]. 68. E’ il contesto relazionale proprio del mondo accademico che, in altri termini, risulta suscettibile di trasformazione -al di là del rapporto che può stabilirsi tra discipline umanistiche, singolarmente o complessivamente intese, ed informatica- ad essere ormai entrato nel quadro della programmazione delle attività didattiche universitarie con riferimento, nel caso italiano, al quadro normativo della recente riforma universitaria[4]. Da questo punto di vista, la nozione di R-technologies (tecnologie relazionali), coniata da teorici della new-economy[5] per identificare quel complesso di tecnologie informatiche e telematiche che consentono di controllare e gestire comunità di interessi dal punto di vista economico -prevedendo le modalità più efficaci per il soddisfacimento dei bisogni tipici di una comunità identificata sulla base di interessi e aspettative specifiche- ci sembra ricca di implicazioni interessanti anche per quanto riguarda la vita delle comunità scientifico-accademiche. Anche se è legittimo interrogarsi sugli effetti potenzialmente negativi dell’uso delle “tecnologie relazionali” nel quadro socio-economico che caratterizza l’“era dell’accesso” -dove, come ha illustrato J. Rifkin[6], l’intera esperienza di vita di un individuo è suscettibile di essere trasformata in bene commerciabile-, si può tuttavia ritenere che una gestione delle tecnologie relazionali -orientata verso obiettivi che non siano la parcellizzazione economica delle esperienze di vita ai fini di un loro sfruttamento economico- sia possibile e possa avere esiti positivi, dal punto di vista, per esempio, della costituzione di nuovi vincoli di appartenenza, della valorizzazione di esperienze culturali condivise, del superamento delle emarginazioni e della conservazione della diversità culturale, in generale di una più diffusa consapevolezza civile. Ancora una volta, proprio sull’uso responsabile delle tecnologie, che investe istituzioni e soggetti

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individuali nella realtà della comunicazione in rete, occorre porre fortemente l’accento, più che sull’inevitabilità di un percorso regolato in maniera automatica da un’evoluzione tecnica in grado di trascinare valori e principi, regole e idee, e rispetto alla quale le uniche vie possibili sono la resistenza o la rinuncia. Su questa sfida, dunque, anche la comunità che si riconosce nel quadro generale degli studi umanistici, di cui gli storici costituiscono una parte non minoritaria, è sollecitata a manifestare il proprio ruolo e la propria presenza attiva. 69. A partire dalla logica che sta alla base dell’esperienza delle mailing-list può esser colto in altri termini l’indice di un nuovo possibile orientamento organizzativo della comunicazione scientifica (e della didattica, conseguentemente); ed è intorno a questo diverso modello che l’intera struttura accademica tradizionale è chiamata a confrontarsi e a riconfigurarsi, in maniera più incisiva di quanto non sia dato verificare attualmente. Certamente la gestione ed il controllo informatico dei programmi di ricerca costituiscono un passo avanti significativo in questa direzione, come strumento di verifica degli interessi, della produttività, della complementarietà o della possibile sovrapposizione dei progetti, tradizionalmente fonte di diseconomie e di incerto equilibrio tra finanziamento e risultati concreti; è un inizio, certamente significativo anche perché ormai consolidato, di un processo di piena utilizzazione della rete come contesto normale anche nella gestione dell’attività di ricerca umanistica. I problemi che caratterizzano la vita e l’evoluzione delle mailing-list, anche relativamente ai circuiti più solidi e affermati come H-NET[7], mostrano bene come non sia facile tradurre immediatamente e spontaneamente le condizioni offerte dallo scambio di informazioni ed esperienze in rete in nuova comunità; l’eterogeneità, che si è riproposta anche a partire da un interesse specifico per gli studi storici, le difficoltà di disciplinamento, ed un eccesso -come in ogni altra esperienza sul web- di oggetti, problemi, modalità di scambio proprie del contesto culturale statunitense, sono caratteristiche anche di questa che è certamente la più significativa esperienza di gestione di mailing list di interesse storico a livello internazionale; ed una sua sostanziale incidenza sulle forme e le pratiche della storiografia tradizionalmente consolidata non si può dire che sia avvenuta in maniera significativa[8], se non per costituire una cospicua base di dati, in crescita, di materiale informativo utile a vari livelli della ricerca. D’altra parte, l’esperienza corrente ci mostra come le mailing list, insieme a notevoli risorse per l’informazione sugli studi correnti, su convegni e seminari, su progetti di ricerca (ancora con una netta prevalenza statunitense, come si accennava) sia spesso fonte di frustrazione; l’eccesso di informazione, il volume di posta che riguarda questioni banali di informazione bibliografica o di aiuto per la conduzione o l’avvio di ricerche, il dislivello qualitativo e in altri termini l’eterogeneità, determinano la necessità di ridurre presto il numero delle sottoscrizioni individuali alle liste di discussione potenzialmente interessanti, per non trovarsi quotidianamente di fronte ad una massa inutilizzabile e illeggibile, di posta, all’ansia del controllo della casella di posta sistematicamente inondata di messaggi dai quali solo una piccola percentuale risulta utile. Ma, anche in questo caso come in altri precedentemente richiamati, non è il mezzo in sé, la rete, a costituire l’ostacolo e l’inevitabile scivolamento verso un rumore informativo incontrollabile e sostanzialmente inutile, ma le sue forme di gestione e di ordinamento, che non possono fare a meno di mettere in primo piano una responsabilità scientifica e culturale non delegabile a strumenti e tecniche puramente automatici.

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70. Nell’evoluzione delle forme di coordinamento e di collaborazione realizzate intorno ad oggetti di ricerca specifici, consentita dalla comunicazione in rete, è dunque possibile individuare uno sviluppo interessante dell’attuale organizzazione accademica degli studi umanistici, che è attualmente percepibile solo ad un livello molto iniziale. Più che la tradizionale struttura accademica è probabile, da molti segnali rilevabili nella vita attuale del web, che a percorrere questa nuova strada e a proporre, nella pratica della sperimentazione e della produzione di risultati concreti, soluzioni interessanti siano quelle comunità di interessi costituitesi intorno a tematiche o ad ambiti specifici di ricerca, già da tempo solidamente presenti nella realtà culturale internazionale e che possono avere, rispetto a contesti istituzionali accademici, maggiore flessibilità, libertà e volontà di apertura verso l’innovazione; associazioni culturali, società nazionali e internazionali di studio su determinati temi di storia della cultura e delle idee, gruppi di lavoro sorti intorno a progetti di ricerca specifici e che intendono conservare e rendere stabile, nella rete, una dimensione collaborativa permanente attraverso varie forme di identificazione, costituiscono un territorio di particolare interesse e che già offre esempi significativi. Il caso di C18[9], per portare solo un esempio, di particolare interesse per chi scrive, penso possa essere segnalato come avvio di un progetto che mira a costituire un coordinamento della ricerca su un determinato settore di studi -la storia culturale dell’età dell’Illuminismo- ed, insieme, una banca dati di testi e documenti ed un sito editoriale per la pubblicazione dei risultati della ricerca. Un progetto che si è costituito a partire dalla consapevolezza del ruolo primario assunto dalla rete nella comunicazione e che si presenta conseguentemente come esempio di un orientamento nuovo nell’organizzazione delle attività di studio e di ricerca. Se il contesto accademico della ricerca è fortemente investito dalle forme di organizzazione della comunità scientifica proposte dalla realtà comunicativa della rete; ed è chiamato a dare su quest’ordine di problemi risposte efficaci e adeguate al suo ruolo istituzionale, non meno rilevante -ed anzi certamente più delicato e carico di implicazioni- è l’ordine dei problemi che riguarda il rapporto tra web e didattica della storia; un ambito di problemi a proposito del quale i fraintendimenti e le approssimazioni, non sempre inintenzionali, ci paiono particolarmente rilevanti. 71. La prima impressione di chi naviga in rete cercando informazioni utili allo studio è certamente di avere a disposizione un contenitore eccezionalmente ricco e facilmente accessibile. Repertori enciclopedici, compendi, sommari, schede cronologiche e biografiche non mancano certamente, e per la maggior parte sono offerti ad una consultazione libera. Principalmente in ambito statunitense, istituti di formazione, collegi e università abbondano di materiale didattico, soprattutto sillabi e schemi di esercitazioni, distribuiti in rete[10]. Tutto ciò costituisce certamente un patrimonio informativo importante, che la rete rende di più facile e immediata consultazione, ma non può non suscitare qualche interrogativo. Alla radice, le perplessità sono riconducibili, a mio avviso, ad uno slogan pubblicitario che non molto tempo fa era diffuso su giornali e riviste popolari. Si mostrava un adolescente dall’espressione vispa e dinamica correntemente attribuita alla dot.com generation, che si poneva questo interrogativo: la professoressa mi ha dato il compito di svolgere una ricerca sui re di Roma. All’espressione perplessa e visibilmente annoiata alla prospettiva di prendere e consultare libri per svolgere il compito, subentrava

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l’immediata soddisfazione riassunta nella risposta: mi sono collegato alla banca dati della tale enciclopedia, e con un colpo di mouse ho risolto il problema. In altri termini, questo interessante documento pubblicitario proponeva un’associazione diretta tra rete, accesso all’informazione, rapidità nella risoluzione del problema e riduzione del tempo e della fatica solitamente necessarie, a cui può essere ricondotta un’interpretazione molto diffusa del rapporto tra Internet e didattica storica. Ciò che è assente in questo quadro, e ciò che resta assente o gravemente debole nelle varie proposizioni dell’importanza di Internet diffusa dai mass-media, è la valutazione del contenuto dell’informazione, delle ragioni di una domanda e del valore dei documenti che servono per una risposta. 72. Ad una domanda semplicemente ricevuta, o subita, si offre una risposta semplicemente colta, meglio se con l’ausilio di strumenti automatici, da una repertorio preconfezionato di risposte. Tutto ciò è esattamente il contrario dell’esercizio di quella coscienza critica e dell’affinamento di quella capacità di leggere i documenti per dare risposte a problemi necessariamente mutevoli che rappresenta un nucleo ineludibile dell’esperienza propria della conoscenza storica; al di fuori del quale resta una routine, che finora poteva essere esercizio di memorizzazione acritica, e adesso, in virtù delle risorse di rete, una banale e rapida operazione di assemblaggio di frammenti informativi acriticamente ricomposti. Se l’esito inevitabile della rete fosse solo questa deriva didattica, se l’impegno nell’uso della rete a fini didattici si risolvesse in una prassi di information retrieval; e se in questo si dovesse intendere la natura effettiva dell’insegnamento e dell’apprendimento della storia mediata dalle nuove tecnologie, a patire dai livelli inferiori fino all’università, non si potrebbe non restare fortemente perplessi e mantenere un forte livello di scetticismo. Ma la rete non offre solo questa possibilità e non apre solo questa prospettiva. Chiunque abbia fatto esperienza didattica, a vari livelli e gradi di insegnamento, ha verificato, indipendentemente da una specifica formazione pedagogica o da approfondimenti di ordine teorico o metodologico, come il momento più gratificante e formativo -riconosciuto come tale da docenti e allievisia quello che nella tradizione europea si esprime nel seminario. Ed il valore fondamentale dell’attività seminariale consiste nel superamento di quella dimensione, sostanzialmente passiva, propria della lezione tradizionalmente intesa, che presuppone, da un lato, un fornitore di informazioni, o un propositore di argomentazioni ordinate, e dall’altro un recettore, che sarà portato a riferire nella maniera più precisa possibile su quanto udito, ed eventualmente sviluppato sulla base di letture autonome consigliate; un contesto nel quale, ovviamente, dispense e manuali vengono ad acquisite un ruolo importante. In un contesto seminariale ciò che risulto esaltato è invece il lavoro collettivo, i cui tempi e le cui forme si plasmano sulla natura, il livello, la sensibilità ai problemi del gruppo di lavoro, che è portato sistematicamente ad interrogarsi e a porre interrogativi sulla natura dei problemi proposti, manifestando in questo modo il proprio ruolo attivo. 73. Dal punto di vista della didattica universitaria in ambito storiografico tutto questo acquisisce un particolare valore, poiché permette -se il lavoro seminariale è correttamente inteso e non proposto come simulazione di un ciclo tradizionale di lezioni- un lavoro diretto sui documenti che stanno alla base della formulazione dei problemi. Un lavoro che consente l’affinamento critico sulla ragione dei problemi (momento essenziale della formazione di uno storico) e sulla natura dei documenti, analizzati con tecniche e procedure di contestualizzazione che risultano direttamente ed immediatamente applicate; e l’obiettivo,

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l’esito di un buon lavoro seminariale, dovrebbe essere quello di evidenziare tanto la verificabilità della correttezza dei problemi e delle risposte, quanto la loro innegabile relatività, e la suscettibilità, propria di ogni forma di conoscenza storica, di una diversa lettura (confortata da diversi documenti) e di una diversa relazione ad altri problemi. Tutto questo contribuisce in maniera molto incisiva alla formazione di quell’autonomia nella lettura dei documenti che la realtà, remota o vicina o contemporanea, propone; e che in senso più ampio è esercizio di intelligenza critica ed espressione di una libertà che è ben altro rispetto alla disponibilità di una memoria informativa separata ed interrogabile con tecniche di recupero automatiche. Se, come riteniamo, tra i compiti propri dell’insegnamento della storia, a tutti i livelli, non sta solo l’acquisizione di tecniche o la memorizzazione di schemi di riferimento relativi ad ambiti specifici di conoscenza, ma l’approfondimento di una coscienza critica della realtà, che deve sistematicamente produrre interrogativi su chi, perché e come si produce informazione, o si registrano eventi, o si formulano idee, allora il contesto operativo proprio del seminario è quello che consente i risultati più fruttuosi. Ed è quanto consente, anche in termini strettamente legati ad esperienze specifiche di ricerche, l’avvio di ricerche nuove, la formulazione di problemi nuovi, che non si risolvano nell’esecuzione di compiti assegnati entro sentieri fortemente arginati. Ci si può allora domandare se questa funzione, esaltata nella dimensione partecipativa che può essere individuata in un contesto seminariale (o in altre forme variamente definibili ma corrispondenti allo stesso contenuto operativo) possa essere inevitabilmente ridimensionata, o addirittura annullata, dall’impatto delle nuove tecnologie e di Internet alla didattica. Ci si può domandare se la funzione docente, che in un contesto partecipativo seminariale non si presenta come autorità indiscussa ma come livello di esperienza più avanzato, venga sostanzialmente a ridursi di valore e di significato, e se la diffusione di Internet determini inevitabilmente la sostituzione della funzione positiva del docente con sistemi automatici di controllo e di verifica di apprendimento. Direi, al contrario, che proprio individuando il valore autentico dell’insegnamento nella dimensione partecipativa che abbiamo richiamato, la rete offre opportunità particolarmente rilevanti. Pensare alla rete come ad un semplice contenitore di dispense, manuali e guide, se concretamente agevola l’accesso a questo tipo di materiali rispetto alla circolazione cartacea, mediata da editori, tipografie o copisterie, non esprime neppure in minima parte il valore potenziale della comunicazione telematica a fini didattici. 74. E’ invece intorno all’interattività, resa possibile dall’evoluzione dei sistemi di corrispondenza elettronica, dalla costituzione di servizi integrati in cui siano compresenti documenti e materiali insieme a forme di scambio diretto tra docenti e allievi -comprese aree di discussione in tempo reale-, che è possibile scorgere uno scenario nuovo della didattica distribuita, in cui la funzione del docente non solo non risulta ridimensionata, ma è chiamata al contrario (come accade nel lavoro seminariale) ad un’opera più incisiva ed assidua rispetto al quadro di riferimento tradizionale. Proprio la dimensione del lavoro seminariale, in cui ci pare di individuare la forma qualitativamente più elevata dell’insegnamento della storia, e non la riproduzione del modello tradizionale della lezione, penso possa trovare nella rete la sua più forte possibilità di applicazione ed estensione. L’impegno che comporta il mantenimento di uno scambio diretto con tutti i partecipanti ad un gruppo di

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lavoro seminariale mediante lo strumento della posta elettronica, la necessità di una maggiore disponibilità di tempo che questo comporta e che tutti coloro che hanno familiarità con la posta elettronica hanno sperimentato, possono risultare certamente assai più onerosi rispetto agli orari comunemente propri dell’attività accademica; ma tutto questo, se comporta un quadro organizzativo nuovo, che richiede un preciso impegno istituzionale oltre che un necessario adeguamento tecnico di infrastrutture, apre concretamente scenari interessanti, che in ambito umanistico, e storico in particolare, devono ancora essere sperimentati in maniera incisiva. Ed è importante, da questo punto di vista, sottolineare la forte rilevanza civile che questo scenario può assumere, contribuendo in maniera concreta a colmare il dislivello tra centri e periferie nell’accesso alla formazione e a risolvere i problemi di una distanza dai centri tradizionale di formazione che si traduce spesso in forti penalizzazioni ed in sostanziali condizioni di ineguaglianza. La sperimentazione sulla teleformazione è avviata in molti Paesi, mostra che proprio le realtà che maggiormente soffrono dal punto di vista delle distanze fisiche tra centri di formazione e periferie possono avvalersi in maniera particolarmente efficace di questa risorsa[11]. 75. Ma anche in questo caso, come per la conversione digitale della memoria storica e per l’accesso al patrimonio informativo che la rete offre, un forte squilibrio tra aree tecnologicamente avanzate ed aree in ritardo è quanto attualmente costituisce lo scenario attuale del web. Se le perplessità e gli scetticismi propri della tradizione disciplinare caratterizzano una fase di mutazione comunque avviata in contesti che in vario grado partecipano direttamente al processo di sviluppo delle nuove tecnologie, importanti aree del mondo ne sono ancora escluse; e questo può contribuire alla proposizione di modelli e di primati (incluse le forme ed i caratteri propri della ricerca e della didattica storica di determinate aree culturali attualmente dominanti) che la natura stessa della rete e la sua gestione, la sua direzione strategica e tecnica, può tradurre in nuove forme di imposizione. Evitare che ciò accada, e smentire le profezie negative che sono spesso riproposte sul dominio della rete e sui suoi esiti in termini di omologazione e riduzione della diversità culturale ad un modello uniforme, non è un problema tecnologico -in quanto proprio la tecnologia telematica offre condizioni di riequilibrio impensabili anche in un recente passatoma politico; esso comporta assunzioni di responsabilità politica nazionali e soprattutto internazionali, traducibili in programmi, progetti e risorse. Non è compito di chi scrive queste pagine affrontarlo direttamente e proporre soluzioni; ma è certamente un problema che l’intera comunità degli storici, come espressione non solo di un mestiere ma di una consapevolezza civile che la coscienza critica dello storico consente di mantenere solidamente, dovrà certamente assumere come oggetto di riflessione costante negli anni a venire, per poter offrire quel contributo di esperienza e di responsabilità attiva che è proprio della sua identità.

[1] Vedi Reinghold, 1992 e 1993. [2] Vedi CataList, the Official Catalog of Listserv Lists , < http://www.lsoft.com/catalist.html >. [3] Vedi i contributi ed i riferimenti bibliografici presenti in Calvani, 2001, e, sull'uso di internet nei

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programmi formativi, Calvani e Rotta, 2000. Vedi inoltre il progetto EuroPace. A Virtual University for Europe < http://www.europace.be/ > (in particolare il programma EPYC.The EuroPACE Learning Support Service < http://www.epyc.be/ > ) ed il repertorio Web Based Learning Resources Library (Univ. of Tennesee), < http://www.outreach.utk.edu/weblearning/ >. [4] Vedi la Classe delle lauree specialistica n.24/S, "Informatica per le discipline umanistiche", che consente al suo interno anche l'attivazione di curricula di indirizzo storico, nell'elenco delle nuove classi di laurea specialistica ( < http://www.murst.it/atti/2000/dm001128all16_30.pdf > ) che saranno attive nell'Università italiana a partire dall' A.A. 2001-2. [5] Vedi Bressand e Distler,1995. [6] Vedi Rifkin, 2000. [7] Vedi H-Net. Humanities and Social Sciences on-line, < http://h-net2.msu.edu/ >. [8] Vedi a questo proposito Andreucci, 1999. [9] Vedi C18 < http://www.c18.org/ >. [10] Vedi, per esempio, The History Guide, < http://www.pagesz.net/~stevek/index.html >. Per una lista di risorse dedicate alla didattica della storia, vedi History/Social Studies Web Site for K-12 Educators , < http://execpc.com/~dboals/boals.html >. Per una valutazione sull'uso delle nuove tecnologie per la didattica vedi Cremascoli e Gualdoni, 2000; vedi inoltre Maragliano, 2000. [11] Per un repertorio di risorse che riguardano la teledidattica in ambito storico, vedi < http://www.ukans.edu/history/VL/instruction/distance.html >. Vedi inoltre, tra le numerose esperienze avviate, i percorsi di distance learning proposti da MindEdge < http://www.mindedge-inc.com/ >; Virtual University < http://www.vu.org/ >; CyberED < http://cybered.umassd.edu/ > ; The American Memory Learning Page < http://memory.loc.gov/ammem/ndlpedu/index.html >; University College History Courses (Univ. of Minnesota) < http://www.cee.umn.edu/extc/bulletin/active/HIST.shtml > ; CyberU, < http://www.cyberu.com/home.asp > ; University of London. Distance Learning < http://www.lon.ac.uk /external/ > ; TeleEducation NB < http://teleeducation.nb.ca/ >. In Italia l'esperienza più consolidata di teledidattica universitaria è legata alle attività del Consorzio Nettuno < http://www.uninettuno.it/ >.

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237. Wynne, A., "Historical Instruction and the Internet: a Literature Review", Journal of the Association for History and Computing , v.II, n.1, april 1999, < http://www.mcel.pacificu.edu/JAHC/JAHCII1 /ARTICLESII1/Wynne/Wynnindex.html >. 238. Zagorin, P., "Historiography and postmodernism: reconsiderations", History and Theory, v.29, n.3, 1990, pp. 263-274. 239. Zagorin, P., " History, the Referent, and Narrative: Reflections on Postmodernism Now", History and Theory, v.38, n.1, 1999, pp.1-24. 240. Zorzi, A. "Medievisti nelle reti. La mutazione telematica e la pratica della ricerca storica", Quaderni medievali, 44, dicembre 1997, pp. 110-128, < http://www.storia.unifi.it/_PIM/AIM/qm1.htm >. 241. Zorzi, A., "Il medioevo di Internet. Lo stato delle risorse telematiche per gli studi medievali", Quaderni medievali, 45, giugno 1998, pp. 146-179, < http://www.storia.unifi.it/_pim/AIM /qm2.htm >. 242. Zorzi, A., "Millennio digitale. I medievisti e l'Internet alle soglie del 2000", Memoria e ricerca, n.5, gennaio-giugno 2000, pp. 199-211, < http://www.storia.unifi.it/_pim/AIM/millennio.htm >. 243. Zorzi, A., "Documenti, archivi digitali, metafonti", Archivi e computer, 3, 2000, pp.274-291. 244. Zusammenfassung des Workshop "Digitale Editionen?", Max-Planck-Instituts für Geschichte, Göttingen, 1998, < http://www.stud.uni-saarland.de/~mahahn/workshop.htm >.

* La presente bibliografia non intende essere esaustiva. Sono pertanto indicati soltanto quei lavori che hanno costituito per chi scrive un punto di riferimento diretto nello svolgimento delle riflessioni di questo saggio. I riferimenti sitografici sono aggiornati a marzo 2001. Ulteriori aggiornamenti degli indirizzi web saranno segnalati e datati.

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