Compost 05

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Intro Redazione Matteo Casari Daniele Guasco Simone Madrau Matteo Marsano Giulio Olivieri Cesare Pezzoni Anna Positano Collaboratori El Pelandro Marco Giorcelli Davide Carlotta Queirazza Grafica e Impaginazione Matteo Casari Contatti http://compost.disorderdrama.org compost@disorderdrama.org Compost c/o Matteo Casari C.P.1009 16121 Genova Pubblicazione NON periodica, amatoriale, destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza. Questa pubblicazione è una produzione Disorder Drama. Un sincero ringraziamento al collettivo del Laboratorio Sociale Occupato Autogestito Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui. Se interessati a collaborare, con parole o disegni, scrivete a ddrama@disorderdrama.org Il prossimo numero lo troverete in giro a metà Dicembre 2007 Arrivederci a CMPST #6 - [12.2007] 2 CMPST #5[11.2007]

Is This Genova? Viviamo in una città che è cambiata molto. Viviamo in una città che è cambiata molto, poco. Non “moltopoco” ma “molto-virgola-poco”. Viviamo in una città che è cambiata molto (quantitativo), poco (qualitativo). Il problema principale è che noi siamo sempre gli stessi. Nel senso di uguali a noi stessi. Anzi a ben vedere il problema principale è che i Genovesi sono sempre gli stessi: da diverse generazioni. Non c’è stato molto ricambio. È risaputo che siamo una delle città più vecchie in uno degli stati più vecchi del mondo. E cosa se ne può fare del rock’n roll con tutta la sua urgenza primordiale e adolescenziale, una città del genere? Inoltre i giovani sporcano e puzzano, ma chi ce lo fa fare? Prendi il più bel locale di Genova, caccia i giovani, mettici un’enorme specchiera e fai del liscio, cazzo, fai del lisco. Sicuramente una volta Genova era diversa. La storia ha memoria e si ricorda di una Genova che senza imbarazzo avremmo potuto definire dinamica. Ho avuto paura a scriverlo ma l’ho scritto: dinamica. Senz’altro dinamica era la sua economia, varco del motore di sviluppo di un’Italia allora al centro del mondo occidentale per l’esplosione che l’aveva investita: il Grande Boom. Poi è arrivata la stagnazione, con il suo tepore conservativo, che ha fatto fuori metà della classe dirigente e intimorito l’altra metà che si è così arroccata sulla sua economia senza più coraggio. Poi Genova però si è fatta bella e qualcosa di buono ha combinato, ma resta quest’aria pesante a togliere fiato a chi ha entusiasmi. Per parlare di Genova, Compost non ha potuto escludere quelli che da qui sono andati via, né quelli che da fuori sono arrivati, per caso o forse perché hanno intuito

le potenzialità di una città che del pionierismo ha fatto una bandiera che poi ha messo in bacheca. Appesa in salotto forse, tanto per mostrare la sua esistenza in un passato di cui siamo figli un po’ illegittimi. Tutte queste persone, e chi scrive e chi legge, sono Genova nel senso più autentico. Chi è andato altrove per cercare quel dinamismo che ci raccontano i libri di storia, chi è arrivato per riscoprirlo in questo contesto così diverso, chi resta perché non si rassegna, chi sgomita ancora. Compost, penso, nasce anche dalla voglia rabbiosa di una certa comunità culturale “militante” che senza timore vi dice: “porca puttana, non lo vedi che sono una risorsa?” Genova vista da qui non potrà mai essere rose e fiori, ma non tanto come tributo allo sport cittadino – il mugugno, quanto per il nostro modo di considerare la nostra città come una materia prima, da manipolare, maneggiare, ritoccare, migliorare. Del mugugno ci portiamo dietro l’incapacità un po’ nevrotica di essere appagati dalla contemplazione dell’immagine edulcorata e di facciata che la nostra città propone di se stessa. La cosa che più mi piace di Genova sono i suoi cantieri. Averla vista cambiare tanto e sperare che non si fermi mai. Compost è uno dei suoi cantieri, ai miei occhi di innamorato le sue interviste sono dialoghi platonici sul mondo che verrà. Quando rinsavisco le sue interviste restano uno stimolo a darsi da fare. Diamoci da fare. Cesare Pezzoni Le foto di copertina di questo numero sono di Alessandro Falcone - Zena011 http://flickr.com/photos/zena011/


METRODORA BOX CRITICAL WINE 07 Questo numero è stato reso possibile dalle offerte raccolte dalle seguenti realtà:

Metrodora mette in vetrina la musica genovese. La scena musicale indipendente genovese è da tempo attiva e produttiva. Siti web e riviste di settore parlano in modo entusiasta dei dischi prodotti in città. E’ con l’obiettivo di valorizzare questa scena che l’associazione culturale Metrodora, in collaborazione con il Milk Club, ha ideato una bacheca interamente dedicata ai cd prodotti dalle band genovesi. Sarà ubicata all’interno del Milk, il rock club più alternativo della città e darà la possibilità a tutti gli appassionati di musica di scoprire ed acquistare gli album prodotti sotto la Lanterna. Nuove produzioni ma anche dischi meno recenti e vere rarità. Alcuni nomi: Meganoidi, Vanessa Van Basten, Bobby Soul, Blown Paper Bags, The Banshee, Lo-Fi Sucks, Raza de Odio, Ila, Marco Fuori, Marti, Enroco, Cut Of Mica e molti altri. La bacheca verrà inaugurata sabato 10 Novembre alle ore 23:00 al Milk Club.

DISORDERDRAMA

Le date del mese Mi rendo conto possa sembrare inutile e stupido per Disorderd Drama supportare una propria produzione con uno spazio pubblicitario. Ma trovo anche poco oculato pensare che tutti abbiano capito che tutti i Giovedì combiniamo sempre qualcosa al Laboratorio Sociale Buridda. Dalle 2130 avrete la possibilità di vedere: 15/11 Haram (USA) + Violent Breakfast (ITA) + June Miller (ITA) 22/11 Crevecoeur (FRA) + Dresda (ITA) + Still Leven (ITA) 29/11 Speedy Peones (ITA) + Rocktone Rebel (ITA) + Motorcycle Irene (ITA) 6/12 Amy Denio (USA) + Fuzz Orchestra (ITA) + Calomito (ITA) + Varusclis (ITA)

Comunicazioni ed eventi

Evento/ Invito al consumo critico e consapevole. Sabato 10 e domenica 11 novembre 2007 gli spazi e le aule del Laboratorio sociale Buridda (ex facoltà di Economia e commercio) di Via Bertani 1 (Genova) diventeranno per due giorni un grande cortile coperto dove poter incontrare e conoscere i “Particolari”, così definiti da Luigi Veronelli, e assaggiare i loro prodotti unici. Saranno 60 i piccoli (grandi!) produttori di vino & gli agricoltori rispettosi della t/Terra presenti per due giorni in città. Un’occasione unica per facilitare un rapporto diretto di fiducia, conoscenza e trasparenza dei prezzi tra il piccolo produttore e il cittadino-consumatore frastornato e a volte ingannato dalla pubblicità commerciale. Sabato 10 dalle 2130 Aparecidos (Genova - Buenos Aires) myspace.com/ aparecidos Barrique (Alessandria) myspace.com/barrique Cinnamomo (Genova) myspace.com/cinnamomo Domenica 11 dalle 1730 Davide Arneodo, Marta Mattalia (Cuneo) myspace. com/davidearneodo Marcella Garuzzo (Genova) myspace.com/marcellagaruzzo

CROSSOVER

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Mostra d’arte contemporanea Si svolgerà presso la Palazzina Santa Maria, in Via Del Porto Antico, dietro il Millo dove si è già tenuta la parte indoor a cura di Eves di Art Street Art, una mostra d’arte contemporanea dal 1 al 23 Dicembre, ingresso gratuito tutti i giorni dalle 1600 alle 1900. Una decina di artisti di nazionalità varia (tra cui Daniele De Battè, già ospite di Compost) esporranno le proprie opere e lo spazio sarà utilizzato anche per sonorizzazioni e eventi live di musica elettronica.

News Apriamo un nuovo spazio con le news e le uscite di questo periodo. Alla Sala Sivori, fino al 18 Novembre c’è la mostra Percorsi Magici, una collettiva dove troverete anche foto della nostra Anna Positano. Sala Sivori – Salita Santa Caterina 12r – Genova www.percorsimagici.net info@percorsimagici.net È uscito il ventiduesimo disco per Marsiglia Records, i genovesi St.Ride pubblicano in Creative Commons la loro nuova fatica, disponibile in CDR ai concerti dDRAMA e scaricabile gratuitamente dal sito! °M°022 St.Ride - Se Sto Qui Nevica http://www.marsigliarecords.it Rocktone Rebel goes to NYC. Amedeo sbarca in America e suona nella tana newyorchese della scena a 8bit locale. Complimenti! È uscita anche la compilation dei Remix dei Dirty Actions, trovate tutte le info sul loro myspace. 23 interpreti per 21 nuove versioni dei classici del gruppo. Tra i genovesi, Blown Paper Bags, Eat The Rabbit, Rocktone Rebel, Astronaughty, Esmen, Tarick1, Mazzola, Atelier Noveau, Bobby Soul e Pivio. Posters Parade Scade il 31 Dicembre il concorso organizzato da In Your Eyes Ezine per disegnatori di poster musicali scrivete a simone@iyezine.com per maggiori info. Il progetto Genovatune è stato premiato in occasione del premio biennale per il miglior contenuto in formato digitale denominato eContent Award Italy 2007, curato ed organizzato dalla Fondazione Politecnico di Milano e Medici Framework, nel quadro del World Summit Award. 3 CMPST #5[11.2007]


Smesciarsi “Per fortuna ci sono le eccezioni, che mi consentono di pensare “non sto facendo questo per niente”.“ voLùmia / VOLUMIcriminali Intervista con Renato Campanini e Luciano Zambito di Matteo Marsano

PAMELA ANDERSON VIENE AI NOSTRI CONCERTI

voLùmia è un Arci che conta un centinaio di iscritti, ma che vede nelle persone di Renato Campanini e Luciano Zambito, chitarra e batteria dei VOLUMIcriminali, il proprio cardine. voLùmia è anche una sala prove a pochi tornanti dalla stazione di Genova Principe, luogo in cui il sottoscritto ha lasciato un bel malloppo di ricordi adolescenziali, quando ancora non si chiamava in questo modo e neppure assomigliava troppo allo spazio curato ed accogliente che è oggi. voLùmia è infine un associazione riconosciuta senza fini di lucro, che organizza eventi e promuove musica a Genova dal 2005. La parola a Luciano e Renato allora, per questa lunga chiacchierata-sfogo domenicale (o contro-sfogo, se è vero che a Genova si mugugna troppo) che tocca alcuni dei temi più controversi e discussi, sui forum telematici come nella vita di tutti i giorni: l’atteggiamento del pubblico genovese, il rapporto musica-istituzioni, i locali, i gestori. E che rende conto delle difficoltà e delle contraddizioni incontrate da chi, come i ragazzi di voLùmia, la musica cittadina vorrebbe curarla e sostenerla. Ma anche delle loro piccole e grandi soddisfazioni. Allora, ammetto di essere un “neofita” di voLùmia. La vostra è una sala prove, ma anche un associazione culturale che organizza eventi live. Quali sono i requisiti sulla base dei quali scegliete i gruppi? Avete dei generi di riferimento? (azzardo, sulla base del sound dei Volumi: alternative, crossover, musica “pesa” in generale?) Parlatemi un po’ degli eventi passati e di quelli in programma, riuscite a mantenere una cadenza regolare? Renato: voLùmia all’inizio è nata come 4 CMPST #5[11.2007]

associazione musicale legalmente riconosciuta per regolarizzare la sala prove che avevamo preso in gestione. La sala è nata con l’idea di offrire ad un territorio difficile (il Lagaccio), e soprattutto ai ragazzi che vi abitano, un servizio alternativo che fosse culturalmente più produttivo del bar sotto casa, e a dei prezzi molto più accessibili delle sale prove che si possono trovare in giro. Dopo sette anni di gestione non posso dire di aver salvato nessuno dalla strada, né tantomeno di aver in qualche modo

migliorato questo quartiere. Il fatto stesso di aver rischiato seriamente, e di rischiare tuttora il linciaggio ogni volta che vengo qua da la misura di quanto la popolazione sia mediamente ottusa; per fortuna ci sono le eccezioni, che mi consentono di pensare “non sto facendo questo per niente”. Attualmente la sala offre spazio a diverse band, e molte altre ne hanno usufruito in passato, nell’iter naturale di un gruppo che passa dalla sala in affitto ad una propria.Col tempo le cose si sono evolute. Non so dire


Smesciarsi eventi live: col Terra Di Nessuno, col Buridda, con la Sinistra Giovanile alla Festa dell’Unità, con la Madeleine (pace all’anima sua). Devo fare il mio ringraziamento più sincero a Luciano della ZetaTi che ci ha sempre aiutato in queste circostanze, nonché a Jonny Noiser, ma per altri motivi. Per ora la nostra idea è quella di offrire una data voLùmia in giro per Genova una volta al mese, sia dal vivo che come dj-set: il 2 novembre siamo al Brixton di Alassio a mettere la musica, il 16 la metteremo al Little Italy e il 15 dicembre abbiamo in calendario una data con Gandhi’s Gunn e Viola Riot al Buridda.

VOLUMIcriminali Live neanche quando, perché, o se mai avessimo pianificato di organizzare eventi live. Un dato di fatto è che ci proviamo, e ci riusciamo sempre più spesso. Non abbiamo criteri esclusivi per far suonare le band, chiaro che esistendo già una rete di relazioni (VOLUMIcriminali, 2 novembre) è più facile per noi far suonare generi più “pesi”, ma non mancano altri gruppi decisamente più soft (Valentina Amandolese, Marcofuori, Palconudo, ecc.) tantomeno abbiamo preferenze verso gruppi cover o originali. E’ chiaro che all’esterno voLùmia possa sembrare “metallùmia” ma non è così. In passato abbiamo collaborato con enti e istituzioni per

Si può forse dire che voLùmia sia un’associazione che segue gli artisti in tutte le fasi del percorso: la sala prove, la registrazione e il concerto. Parlando di quest’ultimo momento, cosa mi potete dire della situazione locali a Genova? La questione e annosa e spinosa, anche pensando agli ultimi sviluppi, quali le scene viste di recente al New Ghost… R: Non è che seguiamo tutti i nostri gruppi in tutte queste fasi, semplicemente offriamo le nostre capacità maturate sul campo, per poter venire incontro ad altri musicisti conoscendo già le loro esigenze. Per quanto poi riguarda il problema dei locali, secondo me si può ridurre semplicemente a chi li gestisce: ci sono locali che funzionano da dio sotto questo punto di vista come il Checkmate, altri che hanno deluso pesantemente le aspettative come il Ghost, ed altri dai quali non ci si aspetta più niente come il Bulldog. Dobbiamo superare i lutti del Fitzcarraldo e della Madeleine, passando dalla fase del mugugno a quella del mettersi a “fare”. I centri sociali accolgono chiunque abbia idee in tal senso, ma questo non può succedere solo lì. Quel ch’è invece successo al New Ghost è molto semplice: il padrone, programmando un dj-set house dopo il concerto organizzato da 2nd

Skin ha voluto fare due serate in una. Chi se l’è preso in quel posto sono stati gli Stalker ed il pubblico (oltre alla povera Claudia). C’è anche da dire che esiste una certa forma di discriminazione tra la musica suonata e quella da discoteca. Posso farti l’esempio concreto di quello che succedeva di solito alla Festa dell’Unità… Luciano: Noi facevamo i concerti e a mezzanotte e zerouno c’era la security che ti diceva: “Dovete smettere” e ti toglieva la corrente. Poi perché esco all’una e mezza e vedo che c’è la gente che balla? Perché, a livello culturale, quel tipo di attività e di musica ha un riconoscimento ufficiale e degli spazi che rendono, questo modo di vivere la vita non ce l’ha, e personalmente non capisco proprio come mai. Io mi sparavo dei fine settimana da giovedì a domenica a Milano, e proprio “non riuscivi ad andare a dormire”: beccavi un concerto gratis là, qualcos’altro da un’altra parte, ti spostavi ecc. Sarà banale, ma probabilmente in questo scenario pesa anche il fatto che Genova è una delle città più vecchie d’Europa, e i pochi giovani preferisco aggregarsi a quel tipo di intrattenimento più massivo e di fondo più stupido offerto dalle discoteche e simili… L: Sì certo; e questo non lo diciamo noi per lamentarci, ma è un dato statisticamente comprovato. R: Però è anche vero che esiste uno “zoccolo duro” di, chiamala, subcultura (che secondo me è cultura nel vero senso della parola: “sub” semmai perché viene spesso e volentieri schiacciata da quel tipo di intrattenimento di cui parlavamo prima) a Genova, città che ha un livello di “fermento culturale” incredibile: pensa solo all’Illegal Arts che fanno al Buridda, alla quantità immensa di gruppi che esistono… A proposito, qualcuno mi diceva che, ol5 CMPST #5[11.2007]


Smesciarsi “Abbiamo messo la musica che si sente al Milk e niente. Imbullonati. Così abbiamo iniziato a mettere la roba che piace a noi e amen.“ tre al primato di “città più vecchia d’Italia”, Genova deterrebbe quello di essere una delle città italiane con più gruppi musicali. Suona piuttosto assurdo, a fronte delle mille difficoltà che, come tanti altri, avete detto di aver incontrato per farli suonare, quei gruppi… R: C’è da dire che noi conosciamo e frequentiamo soprattutto gente che suona, perciò è facile, facendo una statistica mentale, concludere che la stragrande maggioranza dei “giovani” suona. Però, anche in senso assoluto, cercando di estendere la cosa alla totalità della popolazione giovanile genovese, il risultato non cambia di molto: di persone che suonano ce ne sono veramente tante. Mi sono reso conto che, rispetto anche ad altre realtà – ti parlo dell’hinterland milanese, o alla provincia di qualche altra città italiana- a Genova c’è, percentualmente, molta più gente che suona, che fa cultura, ma che rimane purtroppo schiacciata da quei meccanismi di cui parlavamo poco fa. Manca sicuramente qualsiasi riconoscimento istituzionale, questo è chiaro… R: Forse la presa per il culo più geniale da parte delle istituzioni ce l’abbiamo al porto antico: il Comune ha raccolto con dei mega-sondaggi l’esigenza dei giovani di avere più spazi per la musica, e che cosa ha fatto? Delle sale prove. Come se non ce ne fossero di sfitte. C’è un problema di linguaggio… Noi abbiamo organizzato alcune date qui, per la manifestazione “Oregina e Lagaccio in Festa”, in collaborazione con la Circoscrizione (Centro-Est, che ora per la cronaca è quella di Aldo Siri – vedremo il prossima anno come gira) e il Comune di 6 CMPST #5[11.2007]

Genova. A parte il fatto che il bando dello scorso anno aveva l’aspetto di un concorso d’appalto – era lo stesso tipo di bando di concorso, quindi ti lascio immaginare le menate burocratiche – per la data che abbiamo invece organizzato due anni fa ai Giardini Malinverni, all’aperto, con Zero Reset, Charlie 5 e VOLUMIcriminali avevamo un permesso, firmato dal vigile, fino a mezzanotte e mezza. Bene: quel concerto è stato interrotta a mezzanotte in punto, quando sul palco erano appena saliti i Charlie 5, da un vigile che sventolava lo stesso permesso – il protocollo era identico – ma con l’orario cambiato. Come se questa pantomima non bastasse, è iniziata a scendere gente dalle case vicine: gente sclerata che urlava di smettere. E tutto questo con un gruppo come i Charlie 5 che a mio avviso non fa “stra”-metal. Ma a questo punto probabilmente basta una chitarra acustica ed un cajon per suscitare le ire popolari. Pensate al concerto ai Trogoli nella notte delle Tall Ship Nights, interrotto in malo modo da un residente che aveva addirittura detto di preferire gli spacciatori a Marcella Garuzzo, perché più silenziosi… L: Sì, e se pensi che a quel concerto dovevano suonare anche i Palconudo (altro gruppo in cui suona Luciano, N.d.A.), sarebbe bastato un colpo di rullante durante il soundcheck per farci bandire per sempre dalla provincia di Genova…(risate) Anche qui mi sento di sottolineare il problema demografico: con così tanti anziani basta davvero poco perché qualcuno di questi si senta in diritto di rompere le uova nel paniere. L: Sono d’accordo, ma ti faccio una controdomanda: se fossimo stati 100, 150 persone, chi avrebbe avuto ragione alla fine dei conti? Perché suoniamo in tanti, siamo

tutti bravi musicisti, ma quanti vanno a sentire gli altri che suonano? Se lì ci fossero stati tutti quelli che si lamentano che a Genova non c’è un cazzo da fare, che i locali chiudono presto, che non puoi fare le cover dei Depeche Mode perché non ci sono spazi, se insomma tutti avessero dimostrato l’esistenza di quella realtà con la loro presenza, sono convinto che per quanti vecchi potranno mai scendere, per quanti sbirri potranno incazzarsi, quel concerto sarebbe giunto a normale conclusione. Se al contrario “devo” andare tutta la sera a bere in giro, e non me ne frega nulla di ascoltare gli altri gruppi perché “non sto suonando io” , è chiaro che viene meno quel rapporto di sostegno fra i gruppi che è giusto e necessario. “Casino” per “casino”, chi è andato a dire di abbassare i volumi a Max Pezzali o a Tiziano Ferro durante la Notte Bianca (risate)? Credo nessuno. Perché era pieno di gente. E non credo proprio che il live di Marcella fosse privo di regolare permesso (ovviamente ne era provvisto, ed è stato interrotto con una mezzora buona d’anticipo, N.d.A.). R: Senza contare che, volendo essere legalisti a tutti i costi, se qualcuno si prendesse la briga di misurare i decibel, non solo un concerto acustico, ma anche (esagerando) questa semplice conversazione risulterebbe al di sopra della norma consentita. Basta davvero un colpo di rullante per superare i 100 db. L: …come del resto succederebbe nella totalità dei bar e dei locali. Sempre parlando di date, a settembre avete organizzato alcuni concerti alla Festa dell’Unità. Volete parlarci di quest’esperienza? Impressioni, consigli, eventuali mugugni…? L: La Festa dell’Unità è stata tragica, un’esperienza che ha messo a dura prova il nostro credito nei cellulari oltre che sistema


Smesciarsi nervoso (risate). Perché quando qualcuno ti chiede: prenditi queste 5 date, riempile con due gruppi, non vogliamo musica rock ma principalmente jazz, fusion ecc., e tu ti attivi per dare un risultato; e una sera vai là e scopri che ti hanno messo il gruppo metal nella tua serata, e un’altra volta ti dicono: lascia stare che stasera facciamo suonare i nostri gruppi che suonano punk-hardcore o viking metal (risate); e poi ancora ti dicono: abbiamo coperto il palco come ci avete chiesto, quasi come non andasse da sé visto che la pioggia di settembre non è una realtà sconosciuta ai più, e non ha senso esporre la gente al rischio di prendersi la 2 e 20... noi VOLUMIcriminali non siamo riusciti a suonare per 2 anni di seguito perché pioveva a dirotto. Garantiscono la presenza della strumentazione e poi arrivi lì e scopri che non c’è nulla. Ma la cosa che mi ha fatto più incazzare è stato il fatto che per ottenere una sbarra alzata per scaricare e caricare gli strumenti con la macchina ci abbiamo messo più tempo che a montare la batteria. Detto questo, è stata comunque un’esperienza che ci ha dato delle soddisfazioni. R: E’ già un paio d’anni che collaboriamo con la Festa dell’Unità. Quando ti interfacci con persone che non hanno la più pallida idea di cosa vuol dire suonare, sia la Festa dell’Unità, sia il New Ghost, ti trovi nella situazione paradossale di avere un “capo” che in quel momento ti sta dando lavoro ma che in realtà non sa un cazzo di queste cose. Ok, abbiamo parlato di scena, dei doveri di pubblico, musicisti, gestori e… vigili. Molta della scena finisce e prolifera su Internet. Come vi rapportate con questo mezzo?

“Ti trovi nella situazione paradossale di avere un “capo” che in quel momento ti sta dando lavoro ma che in realtà non sa un cazzo di queste cose“

Quanto lo considerate utile per rafforzare una scena fatta di persone e non di profili MySpace (vi ricordo che la guerra al Web 2.0 è ormai uno dei classici di CMPST, almeno quanto “Guarda che la Valle ha un negozio” per voLùmia, se non ho capito male)? Che reazioni avete di fronte a quello spam che ha lo scopo molto poco nascosto far figurare ogni evento come imperdibile ed ultimativo? R: Internet in effetti è un po’ una “pialla”: ci può essere il concerto “della madonnna” non segnalato sulla rete, così come il concerto un po’ insignificante propinato a suon di spam dal gruppetto che si fa pure incensare dall’amico sul proprio Myspace. C’è però da dire che il Web 2.0 – che rimane una cosa integrativa, non potendo assolutamente sostituire le dinamiche della vita reale – da un certo punto di vista aiuta: se esistono già delle relazioni, magari non così approfondite, fra i diversi gruppi e le diverse realtà, attraverso questo sistema è possibile conoscersi un po’ di più e ottenere contatti più facilmente. Ovvio che poi non ci si può basare solo su quello, né tantomeno sul numero di amicizie virtuali che magari quel gruppetto è passato mesi a richiedere. L: …Pamela Anderson viene ai nostri concerti! (risate) Sì: di certo questo tipo di networking è tanto più utile quanto riesce poi a concretizzarsi in incontri vis a vis, e a non limitarsi ad uno scambio reciproco di complimenti telematici. Incontri come quello al quale ha partecipato voLùmia insieme ad altre realtà che supportano la musica nel capoluogo e non, quali Genovatune, Disorderdrama, Metrodora e Onde Sonore qualche mese fa. L’idea sembrava quella di riunire sotto un unico ombrellone associativo tutte queste sigle, di unire gli sforzi a fronte di finalità ed obiettivi comuni. Cosa potete dirci di quest’incontro?

L: L’idea era quella di vederci a cadenza fissa, settimanalmente. Siamo al secondo incontro, e in una fase propositiva, di analisi dei problemi. Del tipo: noi abbiamo sempre questi o quei problemi durante i live, chi di voi non c’è l’ha? Bene: se l’intoppo è l’impianto mi prestate l’impianto, se noi riusciamo a pagare le locandine la metà di quello che le pagate voi vi diamo una mano, ecc. R: Stiamo cercando per adesso di concretizzare i punti comuni. Finora la cosa è molto programmatica. Ci vorrà sicuramente del tempo. L: Tornando ad Internet, devo ammettere che ci sta sicuramente aiutando in questa fase progettuale. Pensa al numero di sms da inviare ogni volta che si organizza una data: quei 5e di ricarica ti devono andare giù (risate). E poi ha permesso di incontrarsi a gente che organizza ad Arenzano, gente che organizza a Principe, Sestri… aiuta ma in un certo senso distrae: certi scambi che, se fatti una stanza avrebbero la durata di 5 minuti, con la differita dell’email possono andare avanti anche per due giorni – a volte anche per questioni ininfluenti come il “nome” del progetto. E che invece in quel contesto sembrano vitali. R: Sì, il web produce anche questo tipo di distorsioni. Che mi dite invece dei VOLUMIcriminali? State producendo, siete in procinto di registrare? Demo, promo o altro che bolle in pentola? R: Stiamo registrano in maniera casalinga i pezzi che probabilmente hai sentito su Myspace. Il risultato non ci dispiace, la qualità è decente, apprezzabile. Ovviamente non da Nadir Studio, ma il rapporto qualitàprezzo è tutto dalla nostra parte. Tutto molto casalingo, come si diceva, con il portatile. Tre brani fino ad ora, stiamo lavorando ad un quarto. Impariamo facendo. Mi sono 7 CMPST #5[11.2007]


Smesciarsi ritrovato a rimixare i pezzi già registrati dopo aver finito l’ultimo pezzo, grazie alle competenze acquisite nel mentre. Ok, direi che è tutto. Se voi ragazzi volete aggiungere qualcosa… L: Beh, l’ultima “scimmia” sulla quale siamo impegnati è appunto quella di spingere tanto la musica che si produce a Genova, attraverso dei dj-set rock che diano al possibilità alla gente di andare nel locale sapendo che non sarà costretta a ballare YMCA o la sigla di Lupin. Vorremmo veramente che la gente potesse, com’è già successo con nostra grande meraviglia ed orgoglio, ballare sopra il pezzo dei 2 Novembre o scuotere la testa con il pezzo dei Vanessa Van Basten. Proporre a persone a digiuno delle realtà nostrane questa musica potrebbe essere un modo per avvicinarle, incuriosirle, fino a fare in modo che ti chiedano il nome del gruppo, il disco e quant’altro… R: Guarda, era quello che avremmo sperato anche noi, ma abbiamo riscontrato una certa rigidità mentale nel pubblico, del tipo: se non conosco l’artista non ci posso sballare. Sembra che questo dipenda strettamente dal tasso alcolico nel sangue (risate). La gente arrivava e voleva sentire Anastacia. Abbiamo messo la musica che si sente al Milk e niente. Imbullonati. Così abbiamo iniziato a mettere la roba che piace a noi e amen. L: Il problema è che quella gente arriva nei locali per le 11. La gente che invece godeva con il rock nostrano ti arriva all’una e mezza. Il problema è che non ho il cliente giusto. Non riesco ad andare a prendere il metallaro a casa. Ecco, io non capisco perché “più tardi esco, più figo sono”. Se vuoi fare tardi ok, ma poi non puoi lamentarti che non c’è niente da fare a Genova perché la tua digestione ti impedisce di uscire ad un ora decente (risate). Noi dalle 10 a mezzanotte mettiamo dischi per noi stessi. 8 CMPST #5[11.2007]

Luciano - Foto di Alessandro Falcone R: …Poi dall’una e mezza bisogna versare il sangue. Ed è la stessa cosa che succede per certi versi ai live. L: Spesso i gruppi non vogliono suonare per primi ai concerti perché sanno che a quell’ora non c’è nessuno. Come dire: non mangia nessuno perché nessuno ha ancora apparecchiato. E cazzo, apparecchia! Intanto mangiamo due grissini, no? (risate). E se poi il problema è che dopo mezzanotte non puoi fare casino… mi sembra chiaro che in fondo è tutto ricorsivo. La soluzione del problema la individui molto facilmente: fai delle serate che iniziano alle 9, la gente di abitua ad uscire a quell’ora, alle 10 inizia il concerto e a mezzanotte tutti a casa, ma

se il concerto inizia alle 11 e mezza, capisci bene che è il classico gatto che si morde la coda. Però vediamo anche che una comunicazione con l’orario preciso riesce a sortire il suo effetto. R: La dimostrazione di questo è stata ieri sera, al concerto in Buridda. Abbiamo detto: ragazzi, suoniamo per primi perché abbiamo dei problemi col lavoro, venite prima sennò ci vedete smontare. C’era gente dalle 9 e mezza/10, ed era pieno. Più info sulle attività dei VOLUMIcriminali su http://www.volumicriminali.net http://www.myspace.com/volumi


Produzioni “Per a s s urdo il fa t to di es sere cos ì chiu s i dona alla scena un’originalità unica al mondo. “ Varusclis / Taxi-Driver Intervista con Massimo Perasso / Maso di Cesare Pezzoni

GENOVA CHE LAVORA Si può rischiare di essere superficiali se si tenta di inserire le variegate attività di Maso, tutte in un’intervista relativamente breve: Come riuscire a parlare (a) di un’etichetta, (b) di un paio di gruppi, (c) di un magazine seguito anche (soprattutto?) da fuori città, (d) di una serie di concerti organizzati (e) in un posto nuovo, in poche righe cercando di dare alla conversazione una parvenza di senso compiuto? Senza contare che visto che non siamo soliti fare interviste promozionali, il fine della nostra chiacchierata è sostanzialmente un confronto sulla realtà genovese e su come questa è collegata o scollegata alla realtà nazionale o - perché no? - a quella internazionale. A questo va poi aggiunto che un passaggio sulla questione Mike Watt From Pedro è d’obbligo (“intervista pure Maso, così spingi ancora la cosa di Mike Watt” …mi sfottono in redazione). L’impresa può sembrare ardita se si punta a fare tutto senza rassegnarsi alla banalità.In alcuni casi però, nei rari casi in cui le persone finiscono per mettere gran parte di se stessi in tutto quello che fanno, riuscire in interviste di questo tipo è piuttosto automatico. Questi sono i casi in cui una personalità di fondo si declina in quattro, cinque o anche venti o trenta modi: cambia il contesto cambiano i modi di operare, cambiano gli strumenti, ma c’è una radice visibile e riconoscibile in ognuna di queste operazioni. Una di queste persone è senz’altro Maso, fulgido esempio di come la de-

dizione alla causa comune non sia in contrapposizione con l’esigenza individuale, come persone o come gruppi o come organizzazioni. Al contrario quella stessa urgenza che spinge un ragazzo a suonare “rock” (so che è una parola poco di moda ma resta l’archetipo di tutto quello che siamo, o almeno che sono io), spinge le persone come Maso a intraprendere percorsi diversi, seguendo l’istinto che suggerisce di combinare qualcosa, darsi da fare, magari anche lasciare il segno. La cosa che emerge dall’intervista che state per leggere e su cui vorrei che concentrasse la vostra attenzione è proprio questa. La sottile distanza, che resta tuttavia umanamente impercorribile, che c’è tra una forma di volontariato “pro bono”, mossa da altruismo e bene-

volenza, e una partecipazione diversa, dettata dalla voglia di mettere noi stessi nelle cose che ci circondano essenzialmente perché è innanzitutto una nostra esigenza. Taxi Driver, Varusclis, Schism, ZenArcade, le serate al nuovo Checkmate. Certe mie ex mi hanno mollato per molto meno: Ci stai un attimo fermo? Perché dovrei? Si dice sempre che trovare un lavoro al giorno d’oggi sia impossibile, io ho risolto inventandomene cinque o sei! Il problema è che mi sono auto assunto come tirocinante e soldi non ne vedo! Ok, la prima domanda era giusto per rompere il ghiaccio, però è tutto vero: oltre all’attività musicale, all’informazione “di settore” e alla nuova realtà di concerti al Checkmate, hai già fermato una pagina di myspace per entrare nel fantastico mondo della produzione musicale. In tutto quello cha abbiamo da dirci, inizierei con questo. Parlaci di ZenArcade: idee, progetti, immediati scenari futuri… L’idea di aprire un’etichetta mi è venuta pensando che nessuno avrebbe mai pubblicato i dischi dei Varusclis, ma allo stesso tempo sapendo che in città (come avviene in ogni parte del 9 CMPST #5[11.2007]


Produzioni gli ascoltatori.

Varusclis \ Maso - foto di Anna Positano mondo) ci sono realtà a cui basterebbe un minimo di visibilità per far parlare di sé. Mi sono chiesto: ma perché non pompare per bene Vanessa VanBasten, Christopher Walken, 2Novembre, Demetra Sine Die, Ricochet, Gandhi’s Gunn, Unsolved Problems Of Noise, Stalker o perché non far notare ad un certo tipo di pubblico che i Meganoidi sono cambiati o perché non ristampare tutto il catalogo dei Cardosanto? Sono cresciuto con etichette come Dischord, SST, SubPop, K, Kill Rock Stars, Man’s Ruin e tutt’oggi seguo ogni uscita Relapse, Neurot, Hydrahead con curiosità. Spesso mi affeziono più ad una label che ad una band: un gruppo al massimo confeziona due capolavori, un’etichetta può arrivare anche a cento! Sono però consapevole che i dischi ora non li compri più nessuno per tanti, troppi motivi.. Il formato mp3 è orribile e dovrebbe rimanere gratis. La mia utopia sarebbe far uscire vinili con dentro il CD masterizzato. Solo che certe cose è dura farle capire alla SIAE e io vorrei rimanerne alla larga. Per cui la prima uscita sarà una compilation distribuita con licenza Creative Commons: fatene quello che volete ma ascoltate queste band! In sintesi non vogliamo arricchire noi, nè le band ma solo le orecchie de10 CMPST #5[11.2007]

In tutti i tuoi gruppi e in tutte le cose che combini emerge un taglio musicale abbastanza preciso. O meglio, non si tratta di una specifica nicchia ma una precisa area sì. Quali sono i confini di quest’area e quanto è vasta nel contesto della scena genovese? I miei confini si chiamano Melvins e sono in realtà piuttosto vasti. Questa band mi ha insegnato quanto può essere seria la musica pur mantenendo un profilo grottesco e di grossolana ricerca, e dopo vent’anni di musica continuano a sorprendermi ad ogni nuova uscita.. Adoro tutto ciò che può essere ricondotto a questa filosofia: musica non scontata e sorprendente. A Genova poche band suonano come qualcun’altra di famosa: nessuno cerca il ritornello facile e il paragone immediato, probabilmente verrebbe sbeffeggiato e perderebbe credibilità. Per assurdo il fatto di essere così chiusi dona alla scena un’originalità unica al mondo. Accanto a realtà connotate territorialmente ma trasversali di genere come Metrodora o Genovatune, spuntano ora nuove realtà come la tua o 2nd Skin che vanno ad affiancare la ormai storica Disorderdrama nella rappresentazione di un’area musicale, un preciso punto di vista, quasi un genere. Il punto di vista tra le due cose è necessariamente un po’ diverso: in un caso c’è una volontà di rappresentazione globale, nell’altro lo sviluppo di una Scena in senso più ortodosso, con scambi relativi anche alla fattispecie del contenuto musicale e non solo a una “social catena”. Quali sono i motivi di una scelta piuttosto che dell’altra? Hai mai avuto la tentazione di accedere a un pubblico “generalista” ?

Ogni tanto mi pongo la domanda. La risposta è immediata: per ottenere un pubblico generalista dovrei mettere meno me stesso in quello che faccio e perderebbe tutto il senso, ma ancora di più il divertimento. Genovatune è generalista per necessità mentre ogni mia “attività” viene da una mia precisa necessità espressiva, non da un progetto studiato a tavolino. Certamente c’è il sogno che emerga una scena e un’interesse verso sonorità vicine ai miei gusti. In fondo concerti stoner, grunge, alternative o postcore da quanto tempo non se ne vedono a Genova? Anzi, si sono mai visti? Eppure grazie alle serate che organizzo al Checkmate, o a SecondSkin o DisorderDrama si riesce finalmente a vedere nella nostra città qualcosa di non stereotipato pur dovendosi confrontare costantemente contro la carenza di spazi, l’ignoranza delle istituzioni e l’incompetenza dei media. In tutto questo si dice spesso che a Genova il pubblico è poi relativamente esiguo a causa del classico deficit demografico ormai decennale, e forse anche per l’incapacità dell’Università di attirare studenti da fuori città. Come evitare il rischio di litigarsi le briciole? La sovrapposizione è accaduta di recente quando al Checkmate hanno suonato gli El Thule e al New Ghost i Vanessa Van Basten. Per entrambi la serata a livello di pubblico è stato un successo e mi metto dalla parte di chi si sarà trovato indeciso su dove andare. Quanto l’abbiamo sognato? Purtroppo è vero che ai concerti si vedono sempre gli stessi visi e mi preoccupa la mancanza di un cambio generazionale, ma forse è ancora presto. Ma è un problema che non mi pongo: in Italia si organizzano concerti in luoghi


Produzioni ignoti come Cervia, Mezzago, Biella; se proponi un buon concerto la gente verrà. Per ora nessuno può permettersi di portare a Genova nomi ”grandi” così come manca il locale che stia a metà tra il Checkmate e il LogoLoco. Mancano i posti più che il pubblico…o semplicemente il pubblico va costruito, coccolato ed educato. Sarebbe bello che Genova entrasse nella geografia dei luoghi dove vedere la musica piuttosto che elemosinare il dayoff e puntare alla solita gente. Portare pubblico da Milano, Torino o anche semplicemente dal basso Piemonte non dovrebbe essere fantascienza ma come noi giriamo l’Italia per concerti penso che possa farlo anche chi vive fuori dalla Liguria. Parliamo del Checkmate: Come sono andate le prime serate? Quali sono i problemi e quali le idee per il futuro? Il Checkmate ha avuto un impatto devastante sulle nostre vite. Nel giro di un mese il locale è diventato un riferimento cittadino, ed è come vivere in un sogno. La risposta ai concerti è stata ottima, sia da parte del pubblico che delle band che si sono esibite. I problemi sono i soliti di ogni locale che fa musica: budget ristretti, scontri col vicinato di età media piuttosto alta, difficoltà a pubblicizzare degnamente le serate arrivando. Riguardo al rapporto con il vicinato speriamo di non finire come tanti spazi in cui si proponevano concerti, le cui vicende sono note a tutti. E’ geniale come un locale come il Liquid disturbi il sonno di molti da anni ma se fai musica dal vivo riescono a trovare subito il modo per farti chiudere! I progetti per il futuro sono tanti: dall’istituire uno spazio per il jazz, all’organizzazione di spettacoli di cabaret e teatro. Per quanto mi riguarda far suonare band da ogni par-

te del mondo e creare una credibilità in cui, anche se nessuno la band che suona, verrà comunque a vederla. Il locale è una realtà “storica” per la zona Foce-Tommaseo, ma largamente fuori dai giri tradizionali dei Genovesi, anche per la sua lontananza al Centro Storico, cuore della famigerata quanto stereotipa “movida” genovese. Come mai questa scelta? Pensate che presenti qualche vantaggio o qualche convenienza? Fuori dal Centro Storico costa decisamente meno!! Tutto qui. E comunque non sono del tutto convinto che un locale di musica live in centro possa funzionare. Basta guardare nelle altre città: i concerti sono tutti in periferia; quante volte ci siamo persi per andare a vedere i concerti a Torino? Prossimi appuntamenti? Nel mese di Novembre faremo suonare I/O, i riformati Pitch più un po’ di band genovesi. Ma il calendario è in via di definizione costante. Vi consiglio di tenere d’occhio il myspace del locale (www. myspace.com/checkmateclub) Taxi Driver per me è rimasto per diverso tempo una specie di oggetto misterioso: dall’esterno mi è difficile capire quanto sia radicata in città, quali persone raggiunga. Quali sono le idee con cui siete partiti e quali le vie di sviluppo di questo magazine? Taxi Driver nasce 7 anni fa dalla mia esigenza di scrivere di musica. Mi è servito per fare pratica sognando di scrivere in testate musicali come Rumore, Blow Up, Il Mucchio. Poi è pian pianino cresciuto ed è diventato esso stesso un magazine credibile e seguito quotidianamente da migliaia di persone. Le vie

di sviluppo sono costanti, così come è costante lo sviluppo del web. Pur mantenendo un approccio grafico piuttosto grezzo e fuori moda il portale ha al suo interno alcune caratteristiche al passo con i tempi, aggiornamenti quotidiani e un forum popolato da gente sparsa per l’Italia. Taxi Driver con Genova ha un rapporto strano. Diciamo che molti lo conoscono e lo rispettano ma spesso non è associato alla mia persona, allo stesso modo non ha nessun segno di genovesità al suo interno. E’ ZenArcade il mio tributo a Genova, non Taxi Driver… Come diavolo vi è venuta in mente l’idea dei Calendari? Quanto ci hai messo a convincere Shizu (batterista dei Varusclis in cui Maso suona, NdR)? Funzionano? Il calendario è nato per gioco. Con Shizu scherzavo sempre che doveva fare la modella finchè non ho deciso che se ci credevo così tanto dovevo farle io la proposta di diventare la ragazza immagine del sito. Mi piace questa cosa delle diverse anime: Shizu suona la batteria in un gruppo super alternativo, fa i calendari come le veline, ha scritto una tesi sui Dredg e ha ovviamente una vita piuttosto normale… Non ci ho messo tanto a convincerla: come tutte le ragazze ha una buona componente vanitosa, ma ne è valsa la pena visto che il calendario è diventato in poco tempo un piccolo oggetto di culto. Indirettamente siamo arrivati al duo di cui fai parte, i Varusclis. Atipici per diversi motivi: una ragazza carina alla batteria che picchia come un fabbro, un bassista con un grosso amplificatore, tanta matematica e niente più. Il concerto a cui ho assistito io (al Buridda), mi era sembrato riuscito e prometten11 CMPST #5[11.2007]


Produzioni te, e aveva colpito più di una persona. Che ne sarà dei Varusclis? Solo un side project? I Varusclis sono il mio gruppo e lo saranno sempre. L’unica band in cui sono libero di esprimermi come credo, senza dover spiegare dove voglio arrivare e il perché. In una band normale il ruolo del bassista è diverso, ma soprattutto devi rapportarti con personalità “melodiche” come voce e chitarra. Nei Varusclis convivono i tempi dispari come l’ ignoranza. L’ispirazione viene da band come Zu, Cardosanto, Stinking Lizaveta, Om, oltre ovviamente ai Melvins. Che rabbia sapere che attualmente hanno in formazione un’altra band basso e batteria: i Big Business. Il futuro è a tinte fosche: Shizu si è trasferita in Friuli e provare è sempre più difficile. Ma il 6 Dicembre suoneremo al Buridda con Fuzz Orchestra mentre per Aprile, se tutto va bene, suoneremo con gli Stinking Lizaveta al Checkmate. In progetto ci sono comunque registrazioni e tour, come una band normale. Se non riusciremo a fare un disco è praticamente certo un 7” su ZenArcade Records. Come bassista militi anche negli Schism, devoti a un suono granitico e articolato, in odore di Tool. Siete un gruppo pubblicato e attivo da diverso tempo. Prospettive? Purtroppo le prospettive sono poche. La band si è sciolta da un paio di mesi per divergenze personali. Era un bel progetto e ci siamo tolti le nostre soddisfazioni, ma ormai abbiamo tutti voltato pagina. Tramite gli Schism ho capito come si deve lavorare in una band, ponendosi obiettivi costanti e lavorando al meglio senza trascurare nessuna componente. Dalla strumentazione al modo di proporsi dal vivo e con le eti12 CMPST #5[11.2007]

chette, passando per la continua ricerca sonora. Abbiamo un disco registrato in modo professionale da Frank Andiver e un contratto con Rising Works ma resta ancora da vedere se la pubblicazione postuma possa avere un senso. In ogni caso l’esperienza è servita a tutti per crescere e capire certi meccanismi discografici. I Varusclis e i Cartavetro (il mio gruppo, NdR) condividono il grande onore di essere stati pubblicati nella trasmissione di Mike Watt, attuale bassista degli Stooges e fondatore degli indimenticati Minutemen. In verità tra di noi siamo piuttosto diversi…Papà Mike è un pazzo o abbiamo davvero qualcosa in comune? Quando mi è successo di essere pubblicato mi sono interrogato spesso su quali erano i motivi del suo interessamento, anche per una responsabilità che in qualche modo mi sono sentito addosso. Te lo sei chiesto anche tu? Che risposta ti sei dato? Mi piace pensare che i Varusclis abbiano qualche punto in comune con i Minutemen, in realtà quando Mike mi ha scritto “I will play some of your music on my next watt from pedro show” ho perso conoscenza e ancora oggi non mi capacito di come uno dei miei eroi musicali si sia entusiasmato della mia musica… guardando le cose realisticamente penso che se Mike Watt ha passato due band genovesi vuol dire che siamo noi a sottovalutarci terribilmente.. e vabbè, si, lui è pazzo: ha suonato pure in un disco di Kelly Clarkson! Il prossimo tour europeo di Mr. Watt, passerà dal Checkmate? Il mio sogno è un concerto dei Dos (il progetto a due bassi condiviso con la sua ex moglie ed ex Black Flag Kira

Roessler) con spalla Cartavetro e Varusclis. E il Checkmate potrebbe essere il posto giusto! (Da oggi è anche il mio sogno…fighissimi i Dos ! NdR) Noi Genovesi dell’ambiente sappiamo che Genova ha una certa immagine esterna e una serie di problemi meno visibili interni. Quali sono i veri pregi e quali i veri difetti di questo ambiente musicale? Genova desta curiosità dall’esterno. Come noi non riusciamo ad uscirne molti non riescono ad entrarci, pur volendo. E’ un territorio ostile ma affascinante. Fermenti musicali ci sono sempre stati e lo dico conoscendo bene il resto dell’Italia: in generale qua si ascolta musica assai migliore tra le band esordienti. Manca chi ha il coraggio di investire, di spendere soldi per registrare un album come dio comanda e girare l’Italia a promuoverlo. Lo stanno facendo i Vanessa Van Basten, speriamo che servano d’esempio. Ma se persino le band non hanno coraggio ad investire su loro stesse come può farlo qualcun’altro? Tre cose da fare per migliorale la situazione musicale a Genova: Aprire una radio e dividerci la programmazione fra tutte le varie realtà, anche le più strane. Credere in quello che si fa mantenendo umiltà e curiosità. Registrare decentemente un disco e suonare ovunque conoscendo realtà, scambiando pareri e contatti. Ma la


Produzioni possono che servire per migliorare la situazione e sapendo che dietro a queste realtà ci sono ragazzi e non speculatori sono ottimista sul miglioramento costante delle proposte.

Varusclis / Shizu - foto di Anna Positano cosa più difficile è educare i giovani facendogli capire cosa succede nel resto del mondo e di conseguenza attuarlo e migliorarlo. Nell’associazionismo (formale e informale) musicale genovese finiscono per crearsi sovrapposizioni, come è normale che sia: i Vanessa Van Basten finiscono per essere in serate di 2nd Skin come di Disorderdrama e Metrodora, gli stessi Varusclis e Schism sono apparsi in serate diverse. Questo porta a pensare non a tante nicchie ma a una serie di aree dai confini sfumati inseriti in un continuum dove non ci sono molti ostacoli a dividere le persone. Ciononostante spesso sembra difficile che le diverse realtà comunichino tra di loro. E’ davvero così? Se sì, come evitarlo? Personalmente comunico molto bene con tutte le realtà e sarebbe stupido il contrario. Vanessa Van Basten e Varusclis sono nomi che difficilmente possono essere catalogati, mentre i Blown Paper Bags o Rocktone Rebel difficilmente li vedrei in una serata 2nd Skin così come i Nerve ad una serata DisorderDrama. Ma l’importante è che tutti lavorino bene con serietà senza farsi menate su cosa suona chi. Competizione e dialogo non

Questa è una realtà che finisce per premiare le realtà di confine che riescono a raccogliere pubblico da diverse parti: questa situazione poco fluida non finirà per disincentivare le scelte radicali in fatto di suoni fin dai primi passi nella scena? Non credo. Gli Ur esisterebbero comunque, piuttosto la girerei al contrario: speriamo che premiare le realtà di confine faccia sparire cover band, rock blues da balera e pop rock alla Ligabue. In che misura la disorganizzazione o organizzazione di una scena musicale può influire sul cammino di un gruppo in termini non solo di successo, ma anche di qualità oggettiva, secondo te? Una scena musicale crea curiosità e credibilità. 2Novembre, Gandhi’s Gunn, Temple Of Deimos e Christopher Walken sono nomi che messi assieme danno l’idea di una scena. Organizziamo un bel festival stoner e invitiamo giornalisti da ogni parte del mondo, ovviamente non prima che questi ragazzi abbiano fatto un disco, un EP o un 7”: a quel punto si parlerà di scena stoner genovese come una nuova “wave” imperdibile. Ma non è necessaria una scena per uscire dalla città. Gli Ex-Otago, i Vanessa Van Basten, o i Meganoidi o il nostro tentativo con gli Schism hanno dimostrato che l’unico modo è non trascurare nessun dettaglio del proprio progetto. Ciò non vuol dire vendersi ma proporsi con credibilità. Spesso parlo con band che vogliono suonare fuori Genova con

all’attivo un demo registrato in presa diretta, o che non sanno a chi far ascoltare la propria musica e non ha senso. Deve cambiare la mentalità da saletta: ok divertirsi ma un minimo di intelligenza nel muoversi ci vuole. Da sempre, ma soprattutto ultimamente, si sente parlare di “indie” come di uno stile musicale preciso più che di un approccio trasversale ai generi. In questo senso, legato al contenuto, tu sei in larga misura fuori da questo settore. D’altra parte non c’è dubbio che la tua sia una realtà indipendente e militante. Questa confusione tra etica ed estetica, non finisce in qualche misura per rendere difficile il dialogo? Come definisci la tua posizione? Mi sono sempre sentito “indie” anche se oggi il termine vuol dire frangia, maglia a righe, tastierini e vocine stonate. Indie per me vuol dire Fugazi, Minutemen, Black Flag: ovvero una filosofia di vita che ti permette di non accettare compromessi, di portare avanti la tua idea anche se tutti remano contro, non farsi influenzare da mode e delusioni, di mantenere la musica in primo piano. Esistono musicisti “indie” in ogni genere. Indie è un modo di essere non una catalogazione musicale. Ultima domanda: non sarebbe bello avere del tempo libero? Certo. Potrei aprire il mio negozio di dischi, stampare magliette, fare il dj radiofonico e ascoltare ancora più musica! http://www.taxi-driver.it http://www.myspace.com/varusclis http://www.zenarcade.it 13 CMPST #5[11.2007]


Export “Già sentivo che sarebbe valsa la pena fare cappuccini pur di poter essere libero di dedicarmi alla nostra musica, e così ho fatto.“ Brutopop/Assalti Frontali/Mikoto Intervista con Fabio Chinca / Glasnost di Matteo Casari

TIRAMOLLA COL DO-RAG Cercando di entrare sulla palla di quello che succede in città nel periodo di uscita del numero di CMPST, iniziamo con due interviste dedicate a due eventi in arrivo in questo autunno 2007. Il primo di Dicembre al Terra di Nessuno si fermerà la carovana hip-hop del Pass The Mic, tra i protagonisti gli Assalti Frontali, con la presenza genuinamente genovese di Glasnost. Un po’ di storia, che, qui a Compost, siamo ancora senza i box laterali biografici. Nome, età, professione, origini... Genovese? Di dove? Da quanto sei andato via? Romano? Che fai lì? Torni spesso? Mi chiamo Fabio Chinca aka Glasnost. Sono nato a Genova nel 1965, il 4 di giugno.Sono cresciuto a Genova dalle parti di piazza Sturla per poi trasferirmi a Bogliasco che avevo 6 anni. Ho studiato al liceo artistico Nicolò Barabino, poi grafica a milano e nell’ottantasette mi sono trasferito a Roma dove ho studiato cinema d’animazione al centro sperimentale di cinematografia. Se ti è capitato di volare Alitalia e hai fatto caso alle animazioni che spiegano ai passeggeri come salvarsi in caso di cazzi amari, sono in parte opera mia, tanto per farti capire quali sbocchi fantastici offrisse il mercato ai giovani animatori. Lavoro a cottimo, zero contratti, un mazzo tanto per due lire puzzolenti... 14 CMPST #5[11.2007]

Quando mi sono trovato seduto ad un tavolo luminoso ad animare Tiramolla ho capito che era tempo di scappare. Ho incontrato quelli che sarebbero poi diventati i Brutopop dopo un mese che mi ero trasferito nella capitale, quindi, all’epoca della fuga dai cartoni, già sentivo che sarebbe valsa la pena fare cappuccini pur di poter essere libero di dedicarmi alla nostra musica, e così ho fatto. Poi per qualche anno ho lavorato nel più bel negozio di dischi di roma che si chiamava Disfunzioni Musicali, che ora sembra essere fallito. Oggi mi barcameno tra musica, grafica e lavoro nelle scuole elementari in qualità di operatore interculturale. Torno a Genova quando posso il che vuol dire 2 o 3 volte all’ anno ed ogni volta mi sembra di amarla un pò di più. I segnali di una pura genovesità traspaiono spesso dalle tue cose. Ogni volta che suoni a

Genova con gli Assalti Frontali non manchi mai di sottolineare il tuo giocare in casa. Vero. Non so che mi piglia è più forte di me. L’ ultima volta, poi, abbiamo suonato sotto la lanterna, non so se mi spiego. Com’è nato il passaggio sul palco da “backing band” (tra virgolette e con tutto il rispetto) a crew di Militant-A? Tu e Paul G ora siete perfettamente integrati nel live con i vostri interventi e i vostri spazi. Si è trattato di un passaggio naturale. come saprai Brutopop ha collaborato con Militant-a sin dai tempi dell’Onda Rossa Posse. Il nostro rapporto avanza a cicli, quindi, non si può mai dire, magari tra qualche tempo potremmo ritrovarci a suonare ancora insieme. Comunque, dopo il tour di HSL abbiamo sentito l’ esigenza di prendere direzioni distinte, anche perchè per i bruti il ruolo di backing band risulta un pò angusto alla lunga. Forse il disco Conflitto ed il relativo tour hanno rappresentato la migliore sintesi delle nostre sensibilità che sono diverse. A volte la diversità rappresenta una ricchezza a volte un limite. Pol ed io, abbiamo scelto di mantenere un ruolo attivo su entrambi i fronti e siamo felici così.


Nella biografia di Assalti Frontali si dice di una “predisposizione a mutare restando interni alle lotte che si sono succedute in Italia e nel mondo è stato il motore che ha permesso di trovare sempre forza e ispirazione in tutti questi anni”. Girando spesso per spazi liberati, come ti sembra il polso del movimento in Italia? Mmmh... Questa è una domanda che richiederebbe una risposta complessa e circostanziata. Sono sicuro che Militant-a saprebbe trovare parole molto più pregnanti delle mie a riguardo. Si può lottare contro qualcosa o qualcuno e si può lottare per qualcosa o a fianco di qualcuno. Si può affogare nel Mar dei Sargassi dell’ antagonismo. Ho visto spesso confondere i propri obbiettivi con la propria identità. Il mito della lotta, il culto dei morti, a volte generano mostri. Direi, comunque, che in tutti questi anni i pregi e i difetti dell’ area antagonista sono rimasti gli stessi. Ho in mente le moltissime facce e le relative storie di persone veramente genero-

se, ma anche gli scazzi endemici da cui mi sento immancabilmente lontano come da quello tra sciiti e sunniti. Il polso batte tachicardico, dal mio punto di vista, ma batte ancora e non è poco. Sarete il primo di Dicembre al CSOA Terra di Nessuno con Inoki, per il progetto Pass The Mic. Come sta andando? Avete avuto grandissima visibilità anche su media particolarmente emersi, vedi XL di Repubblica. Qual’è lo stato dell’hip-hop italiano? Solo business e mercato o c’è ancora spazio per l’impegno? Lo spazio c’è se ti sbatti per prendertelo, e non è un caso che tutti gli mcees coinvolti nel progetto siano a loro modo dei veterani. Sono cose che si costruiscono con il tempo ed ognuno trova la sua direzione il proprio balance tra business e impegno, tra forma e contenuto. Pass the mic si è dimostrata un’idea felice. Per una volta è bello ritrovarsi a condividere qualcosa con gente che diversamente non avresti modo di conoscere. Per noi che il mic ce lo passiamo, per Esa, Inoki, Colle Der Fomento, Gruff, per il BG’s Team, 3menti 3mende, Vocalamity, Truce Klan, Jimmy, Rancore e per tutti gli altri che hanno partecipato è un modo per confrontarsi, cercando di andare oltre gli stereotipi tipo “tua mamma me lo succhia”, naturalmente. Per chi è venuto ad ascoltare un modo per ampliare i propri orizzonti.Forse i rappers hanno un problema in più rispetto a chi fa musica senza preoccuparsi di essere parte di una scena particolare, mi capita di vedere pivelli ostentare brillocchi (falsi) e completini fubu (spesso tarocchi) tradendo un’ ossessione emulativa troppo buffa. In fondo anche il punk outfit viveva degli stessi stilemi, solo che all’epoca la gara era a chi

Export “Il problema dei rappers è che se non sfondano, se non giocano in serie A, non riescono a sfoggiare abbastanza completini.“ marcava più scabeccio, mentre per i b-boy$ la storia è esattamente opposta. In entrambi i casi è una lotta persa in partenza. I migliori artisti capiscono presto come vestirsi per i cazzi loro. Il problema dei rappers è che se non sfondano, se non giocano in serie A, non riescono a sfoggiare abbastanza completini. Guarda Mondo Marcio, hai idea di quanti do-rag tiene in guardaroba? Io schiumo di invidia a pensarci. Prima di questi rimescolamenti in chiave hip-hop, i Brutopop sono stati una delle migliori band italiane degli ultimi vent’anni, senza dubbio. Dalla connessione Roma-Washington, con le date in compagnia dei Fugazi e la produzione di Don Zientara, arrivando alle ultime esibizioni, in set di live bastard-pop di qualità. Cosa è successo? Che fine hanno fatto gli altri? Sentiremo ancora qualcosa targato con quel monicker? Grazie! Sono vent’anni che suoniamo assieme e ancora ci divertiamo. Abbiamo un monte di roba registrata che aspetta di vedere la luce. Vogliamo assolutamente uscire con un disco e vedrai che ce la facciamo. Al momento stiamo lavorando alla colonna sonora per “Fine Pena Mai“ un lungometraggio la cui gestazione sembra volgere al termine. Tra l’altro la colonna sonora conterrà una traccia dei Port-Royal che tu conosci bene credo. È tratto dall’autobiografia di Antonio Perrone, un malandrino salentino che ha finito per affiliarsi alla Sacra Corona Unita e conseguentemente a marcire in carcere in regime di 41 bis. I protagonisti sono Claudio 15 CMPST #5[11.2007]


Export “A metà degli anni ottanta Genova mi sembrava una ghost town, la rinascita del centro storico sarebbe arrivata molto dopo“ Santamaria e Valentina Cervi. La regia è di Davide Barletti e Lorenzo Conte dei Fluid Video Crew. Abbiamo già lavorato insieme al loro film precedente che si intitola “Italian Sud Est“ in cui parte dello score era opera nostra. Oltre ad una splendida cover di Bobo Merenda, la mia canzone preferita di Enzo Jannacci, elogio della pace e attacco alla guerra con l’inconfondibile stile naive del milanesaccio, in Bienvenidos c’è anche una versione tutta vostra di Baciccin, pezzo tradizionale genovese. Come vi è venuto in mente? Ma tu sei un esperto allora! L’idea di coverizzare Baciccin è stata mia, mi piaceva il testo più che altro. L’alcolismo è un problema che ha toccato la mia famiglia in modo doloroso e cantare questa canzone mi aiutava ad affrontare la situazione. La versione che è finita sul disco l’ho cantata mentre suonavo la batteria registrando in presa diretta. Una pazzia. Mio padre, che pure suonava la batteria nell’Orchestrina Dixieland di Capobianco a Genova, era un fan di Jannacci e il 7” con Bobo Merenda era gettonatissimo a casa nostra. Anche per me è un pezzo fantastico, una sintesi di surrealismo e satira strepitosa. Genova da fuori. Che effetto fa? Dalla città in sè ai progetti che vi si muovono. Qualcosa esce o rimane tutto a nostro uso e consumo? Più passa il tempo più Genova mi sembra meravigliosa, ma, forse, invecchiando si ten16 CMPST #5[11.2007]

de ad avere una visione più olografica delle cose. Quando decisi di andare a cercare altrove la mia strada gli amici mi misero in guardia. - Non è il posto dove ti trovi che fa la differenza, sei tu che devi costruirti le opportunità da solo.- In parte avevano ragione, in parte no. A metà degli anni ottanta Genova mi sembrava una ghost town, la rinascita del centro storico sarebbe arrivata molto dopo, mi ricordo gli U-boat tra le band dell’ epoca e poco altro. Le prime video installazioni. Una mostra di ologrammi e poco altro. Prima di partire per altri lidi io e il mio compare Alberto Valgimigli giravamo cortometraggi di animazione in Super8, andavamo a suonare nelle salette a ore di Piazza Delle Erbe, mi sembra, e sentivamo Zappa, Captain Beefheart, Tom Tom Club, un sacco di jazz, mi ricordo un concerto all’Acquasola, (ma potrei sbagliare) con Globe Unity Orchestra ed Elvin Jones in quintetto, Miles Davis ai Parchi di Nervi... Oggi mi sembra che le cose siano un pò cambiate. Genova sembra meno provinciale vista da qui, anche se devo confessare di non sapere granchè di quello che si muove nel sottobosco contemporaneo, anzi mi dai qualche dritta? Comunque se lo spessore delle band genovesi è quello di Blown Paper Bags siamo a cavallo. Mi piace la vostra roba. Grazie, ma torniamo alle tue connessioni con Genova. Cos’è Mikoto? Sigla trovata su Myspace, seguita fino al tuo, trovato connessioni con Grrrzetic e, infine, vista distribuita da Books In The Casba, la nuova piccola e coraggiosa libreria di Via Prè, di cui ha curato anche l’immagine sulle magliette. Troppe coincidenze o c’è qualche filo che corre tra Roma e Genova? Mikòto è lo sbarco di due alieni sul pianeta fashion. Hal & Glasnost in missione suicida. é

Glasnost - Play 07 - foto di Anna Positano la naturale prosecuzione di un rapporto di due grandi amici che una volta erano compagni di banco e ora vivono in città diverse: stiamo arrivando come l’ultimo maratoneta in gara... Produce tshirt e accessori vari, ma presto potrebbe produrre anche musica od altro. Con Grrrzetic stiamo preparando un libro in cui ai disegni di Hal Valgimigli io associo dei testi, un pò come il signor Bonaventura. Alcune delle nostre produzioni si trovano a Genova o in Piazza della Vittoria al Box 86 o a Books in the Casba in via pre 137 r. Immancabile la domanda sul qui e ora e sui progetti futuri. Nel prossimo futuro cercherò di gestire la mia pagina su myspace, che per il momento è vuota. Prova a vedere la mia pagina www. myspace.com/glazman ma tra un pò di tempo per ora c’è solo un video... Ho una figlia di nove mesi che spinge parecchio e poco tempo da dedicare a qualsiasi altra cosa. Più info sulle attività di Glasnost http://www.assalti-frontali.com/ http://www.myspace.com/glazman http://www.myspace.com/mikotoland


Sul Palco “I nostri spettacoli hanno un linguaggio veramente universale: aperto ad ogni lettura“

Pippo Del Bono Torna a Genova Intervista con Simone Goggiano di Marco Giorcelli

QUESTO BUIO FEROCE

Tra gli appuntamenti più importanti di questa stagione teatrale genovese, è doveroso ricordare, ancora una volta, l’appuntamento con la compagnia del noto attore, drammaturgo e regista savonese. Pippo Delbono, significativamente, rappresenta uno tra i maggiori (e tra i pochi) esponenti del nuovo teatro italiano. Avrei potuto aggiungere giovane, ma ci si sarebbe addentrati in un ginepraio praticamente inestricabile e che probabilmente affronteremo un’altra volta. Ancora controverso e tutt’altro che commerciale Questo Buio Feroce debutterà al Teatro della Corte il prossimo 8 novembre (in replica fino all’11). Anche stavolta non si tratterà di un vero e proprio copione, ma piuttosto di uno spettacolo di atmosfere, suoni e soluzioni visive, comunque dichiaratamente ispirato all’autobiografia di Harold Broadkey, lo scrittore americano scomparso di Aids nel 1996. Abbiamo fatto due chiacchiere con Simone Goggiano, uno tra i punti fermi della compagnia Delbono da oltre dieci anni a questa parte. Come e quando hai iniziato a collaborare con Pippo Delbono? Ho iniziato nel 1995 facendo un seminario di teatro con Pippo e Pepe a Loano dove avevano aperto una scuola che ora non esiste più. Poi ho chiesto di seguire la creazione di uno spettacolo della compagnia: Barboni e da allora lavoro in tutte le nuove produzioni. Come definiresti, o meglio descriveresti, il suo teatro a persone che non conoscono ancora il suo lavoro?

Non è facile descrivere il lavoro e quando mi chiedono di farlo dico che ci sono testi poetici, danze, molti cambi di costume, una bellissima colonna sonora, ma tutto questo è piuttosto limitativo, allora invito le persone a vedere lo spettacolo, così si potranno tranquillamente fare un’idea personale. Certamente si può dire che si tratti di un teatro internazionale, nel senso che insieme a Raffaello Sanzio, Piccolo Teatro, Motus, Teatro Clandestino ed Emma Dante rappresenti uno

dei pochissimi esponenti del teatro italiano all’estero. Tu che lo segui ormai da diversi anni come ti sembra siano accolti e soprattutto decodificati i vostri spettacoli fuori dall’Italia? All’estero gli spettacoli sono accolti benissimo, molto calorosamente. Naturalmente ci sono reazioni diverse, a seconda del paese in cui recitiamo. I nostri spettacoli hanno un linguaggio veramente universale: aperto ad ogni lettura, i testi sono facilmente traducibili in ogni lingua e sono recitati nella lingua del paese che ci ospita. I nostri lavori sono molto 17 CMPST #5[11.2007]


Sul Palco “Gli spettacoli vegono creati attraverso un lavoro di improvvisazione dove ognuno è libero di proporre quello che vuole“ pittorici e musicali, le parole hanno un ritmo come nelle canzoni e tutto questo toglie agli spettacoli ogni impronta di tipo psicologico e concettuale. In questo modo il pubblico è come se partecipasse ad un concerto, così vengono coinvolti tutti i sensi e non solo l’intelletto come spesso avviene in teatro. Una delle sue peculiarità è quella di scritturare talvolta attori non professionisti oppure con problemi di varia natura, come Bobò che ha passato cinquant’anni in un manicomio. Come riesce a far uscire intenzioni e personaggi lavorando con persone non avvezze o non preparate al palcoscenico? Non vorrei essere polemico, ma questa domanda è impostata male. Ti spiego perchè: è sbagliato dire “talvolta scrittura”perchè nessun componente della compagnia è mai stato scritturato nè attraverso provini nè per un idea geniale del regista. Si deve parlare di incontri avvenuti durante un complesso percorso di vita e di ricerca teatrale del regista stesso. Bobò lo abbiamo incontrato durante un seminario per attori nel manicomio di Aversa. Bobò seguiva timidamente il lavoro: Pippo un giorno lo coinvolse e lo vide danzare in perfetta armonia con la musica e se ne innamorò perchè vide in Bobò tutti i principi teatrali del lavoro dell’attore che per anni Pippo aveva studiato insieme a Pepe Robledo prima in Danimarca con l’Odin Theatret di Eugenio Barba e poi in Germania con Pina Bausch. Bobò è un vero attore e danzatore come ne esistono nella tradizione del teatro orientale. La stessa Pina Bausch ha visto Bobò negli spettacoli e se ne è innamorata per le sue straordinarie qualità attoriali. Le stesse qualità appartegono a Nelson: un barbone che abbiamo conosciuto 18 CMPST #5[11.2007]

in un teatro di Napoli e che è stato invitato a patecipare ad un seminario. Lì abbiamo scoperto che aveva una voce e una presenza scenica degna delle migliori rock star. Poi c’è Gianluca il ragazzino down: la sua lucidità in scena è esemplare e ha una perfetta coscienza del corpo, dei tempi e degli spazi. E poi possiede una trasparenza disarmante e questa è una caratteristica indispensabile e rarissima per gli attori. Come vedi queste persone sono perfettamente a loro agio in teatro: il palco è il loro elemento naturale; Bobò lavora anche al fianco di Umberto Orsini. Siamo noi, gli attori più normali che dobbiamo lavorare duro per essere all’altezza di Bobò, Nelson e Gianluca. Qual è il lavoro registico di Pippo con l’attore? Utilizza un linguaggio specifico, a seconda di chi si trova di fronte, o ha affinato un particolare esperanto teatrale comprensibile ai suoi collaboratori? Gli spettacoli vegono creati attraverso un lavoro di improvvisazione dove ognuno è libero di proporre quello che vuole: testi, musiche, costumi, danze, elementi scenografici. Il regista, senza dire una parola, osserva, annota tutto sul suo quaderno e non dà mai un giudizio nè un’indicazione, dà solo dei temi d’improvvisazione. Poi in una seconda fase, inizia il montaggio dello spettacolo, dove il regista mette insieme alcuni materiali proposti e gli attori devono essere aperti e disponibili a qualsiasi cambiamento: un pò come nel cinema, quando si tagliano e si montano le scene riprese. Sul nuovo spettacolo che porterete a Genova, Questo Buio Feroce, cosa puoi anticiparci? Non posso dire molto, anzi niente. Dovrei descriverlo dall’inzio alla fine, ma sarebbe stupido e quindi non resta che venirlo a vedere. Talvolta, viste dall’interno, determinate compagnie teatrali, come anche certe band

foto di Agence Enguerand Bernand musicali, hanno l’aspetto in tutto e per tutto, di una famiglia dove si condividono gioie, dolori, passioni e quotidianità. Anche la compagnia di Pippo Delbono, credi, possa rientrare in questa casistica? Il concetto di famiglia è un pò limitativo e bigotto. Siamo una compagnia di attori che lavorano insieme da più di dieci anni, perciò condividiamo esperienze molto forti, legate alle lunghe turnè in giro per il mondo come per esempio quella della palestina dove siamo stati ricevuti da Arafat in persona. Si tratta indubbiamente di un’esperienza molto forte e unica, ma ognuno di noi conserva in sè la pro-


Sul Palco pria personale e intima percezione . Un attore, dopo un’esperienza lavorativa di questo tipo, pensi sia pronto ad affrontare qualsiasi altra compagnia teatrale, tradizionale e non? Il nostro metodo di lavoro è molto scientifico e ha delle origini che possono partire dalla ricerca teatrale di Grotowsky il cui punto fondamentale è l’autonomia dell’attore che è in grado di avere gli strumenti per lavorare ovunque. Poi si dovrebbe vedere se uno ha voglia di lavorare anche in altre compagnie. Io ad esempio no. Cosa ne pensi del panorama teatrale italiano e soprattutto delle produzioni dei teatri stabili, per molti versi distanti dal vostro tipo di proposta? Penso che sia assolutamente naturale e sano che altre esperienze siano distanti dalla nostra: non è interessante avere dei cloni. Ogni gruppo teatrale ha la sua poetica, il proprio stile, il giudizio è nelle mani del pubblico e per questo mi piacciono i festival dove puoi confrontarti con molte compagnie . Tu non credi che i progetti che portate in giro, possano essere molte volte interpretati come semplici provocazioni o esercitazioni pseudointellettuali difficilmente comprensibili? Credo proprio di no e ti parlo per eperienza diretta. Abbiamo recitato in tutte le situazioni possibili, dai centri sociali, nelle piccole piazze del sud d’Italia fino ai grandi teatri su Le Champ Elysee a Parigi e abbiamo visto che i nostri spettacoli si prestano a vari livelli di lettura: da quelli più intellettuali tipo i critici francesi a quelli più popolari come le amiche di mia mamma che non sono mai andate a teatro. Con i nostri spettacoli non imponiamo nessun messaggio forzato: quando iniziamo

“Il te

teatro essere

deve assolutamenper tutti quanti.“

una creazione non passiamo un solo minuto a pensare a quale concetto intelettuale vogliamo tramettere. Cosa ti ha regalato l’esperienza con Pippo Delbono a livello professionale e umano? Mi sta regalando moltissimo. L’esperienza è più viva che mai ed in costante divenire. Sto lavorando con persone geniali come Bobò, ho visto tantissimi paesi del mondo come Brasile, Giappone e quasi tutte le capitali europee e poi c’è un’ amicizia profonda che mi lega a tutti i componenti della compagnia. Professionalmente il metodo di lavoro che ho appreso e che sto ancora studiando per me e bellissimo perchè rende il lavoro dell’attore un vero mestiere artistico artigianale e non lascia spazio a nessun falso trip psicologico. Se io decidessi di andare a vedere il Giulio Cesare della Raffaello Sanzio sarebbe meglio, come minimo, che prima mi leggessi il testo, per non incappare in uno spettacolo ostico nelle interpretazioni, ma soprattutto nella forma stilistica. In cosa si deve preparare il pubblico di prima di un vostro show? Non so, forse il pubblico dovrebbe semplicemente sedersi sulla poltrona e lasciarsi accompagnare in un viaggio che dura un’ora e mezza, come quando ci si addormenta, le nostre difese si abbassano ed iniziamo a sognare. Alla fine, quando ci si risveglia, forse qualcosa in noi è cambiato, forse abbiamo paura o siamo più felici, chi lo sa, ci penserà l’ intelletto, dopo, fuori dal teatro, a cercare di razionalizzare l’esperienza vissuta. Il teatro deve essere per i giovani? Il teatro deve assolutamente essere per tutti quanti. Non ce ne frega un cazzo dell’età che è una delle cose più relative della vita. Forse il teatro non dovrebbe fare diventare vecchi, ma soprattutto rivitalizzare e ringiovanire ogni persona.

foto di Agence Enguerand Bernand Un ringraziamento particolare a Simone Goggiano ed Andrea Ferraris per la disponibilità e la cortesia.

Più i n fo sulla co m p a gnia di Pippo Del Bono su ht t p ://w w w. p i p p o d e l b o n o.i t

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Cronache Vere “ Vo l e n t e o n o l e n t e l a m i a età anagrafica mi costringe ad avere anche un pa s s a to e q u i n d i d e l l e e s p e r i e n z e .“ Senpai / Blue Ice Intervista con Paolo Sala di Simone Madrau

MOOD:”FIDUCIOSO” Vent’anni di musica a Genova: un decennio diviso in più progetti e un altro a capo dei Senpai. Ce ne sarebbe abbastanza per farsi sommergere di nomi, aneddoti e ricordi. Invece Paolo Sala sembra più concentrato su questioni umane, e anche quando rievoca il suo passato in città a venire fuori è sempre il contrasto tra la sua evidente maturità e un lato più sensibile ed entusiasta. Questo non è certamente il bullo della 5°B che ti ruba la merendina davanti a scuola: è invece uno che sulla propria ragione sociale ironizza molto. E se oggi scruta le cose dai margini della scena, è nel cuore di quest’ultima che ambisce a rientrare. Prima ancora di parlare dei Senpai, partirei da Paolo Sala. Prima di quel 2000 avevi già avuto le tue brave esperienze come musicista a Genova. Correggimi se sbaglio: sempre insieme a tuo fratello Renzo. Quale è stato il vostro approccio alla scena genovese di allora? In quali gruppi avete militato? Cosa ti piace ricordare di allora? Cosa rimpiangi? In effetti è così. Volente o nolente la mia età anagrafica mi costringe ad avere anche un passato e quindi delle esperienze. Fisserei per comodità la data del mio esordio nella scena musicale al 1988, poiché le esperienze precedenti possono essere classificate come confuse velleità liceali. Il mio primo gruppo si chiamava Blue Ice e ha cominciato a suonare in giro proprio in quell’anno. Sì, Renzo era al mio fian20 CMPST #5[11.2007]

co, e suonava la tastiera. I Blue Ice sono durati fino al 1995 e costituiscono, da un certo punto di vista, il gruppo che ho considerato più ‘mio’ (Senpai esclusi). Con lo scioglimento dei Blue Ice è venuto meno anche il sodalizio con mio fratello: infatti per gli anni successivi fino al 2000 ce ne siamo andati ognuno per la sua strada. Nel frattempo sono stato batterista degli Age fino al 1997. Suonare con gli Age è stata sicuramente l’esperienza più divertente. Infine ci sono state una breve collaborazione (sempre alla batteria) con i Lo-Fi Sucks! e (al basso) con i Lula di Amerigo Verardi, e arriviamo al 1998. Il mio approccio alla scena genovese di allora? Be’... ho sempre avuto un approccio piuttosto timido, ho sempre aspettato che fossero gli altri a cercarmi. Uno dei miei peggiori difetti. La cosa che mi piace di più ricordare di quegli anni era

la quantità di tempo che potevo dedicare solo ed esclusivamente alla musica.

Venendo a Senpai: se a un ascolto superficiale la vostra proposta sa di indie-pop nel senso più genuino del termine, dopo un po’ il suffisso ‘indie’ viene meno. Dicendo questo non mi riferisco solo al fatto che, una volta che avete trovato una melodia che funziona, la portiate fino in fondo. Mi pare piuttosto che tutto il suono d’insieme insegua un respiro più ampio rispetto alla media, secondo un approccio vecchio stile anche per tanti vostri più affermati colleghi con latitudine da Glasgow in su. Certo: tra i vostri ascolti ci sono cose più moderne di quanto possa sembrare, quindi non so se questa mia percezione di Senpai vada bene per voi. Confermamelo tu. Egoisticamente parlando però mi piace pensarvi così, come uno di quei gruppi che meglio di altri sanno metterti in discussione: ti autodichiari affamato di ‘nuovo a tutti i costi’ e poi arrivano due fans di Robyn Hitchcock a rimetterti in pace con la melodia. E ti ritrovi a pensare che forse stai raccontando balle a tutti, a te stesso per primo. Be’, vedi, bisogna vedere in che modo vo-


Cronache Vere gliamo intendere questi termini: ‘pop’ è un termine che abbraccia un’infinità di cose, ma che io amo usare proprio perché onnicomprensivo: ‘indie’ sta per indipendente, e anche questo mi sta benissimo. Fare musica è per me un attività artigianale, e se è artigianale, allora non è industriale. E se non è industriale significa che è un’attività indipendente. Questo per quanto riguarda le definizioni in senso etimologico. Se invece vogliamo parlare di qualcosa che va a definire in modo più specifico un genere musicale.. Bè, questo mi mette più in difficoltà perché, sai, tutto sommato il mio modo di fare musica trascende il mio controllo. Tutto quello che faccio lo faccio seguendo il mio istinto, la mia intuizione, il mio ingegno (ammesso che abbia anche solo una di queste cose). Comunque, se quello che mi hai detto significa che i Senpai possono riconciliare l’ascoltatore anche esigente con il piacere di ascoltare ‘easy listening’ senza sentirsi in colpa.. Bè, è il miglior complimento che potessi farmi. Prego, è del tutto sentito. Tra l’altro le caratteristiche di cui sopra vi rendono anche più facilmente esportabili rispetto ad altri casi in città non meno bravi ma dal profilo più ‘out’. Eppure si dice che tu sia una specie di autarchico, dedito a fare musica solo per te stesso e i tuoi amici. C’è un fondo di verità in questo o sono le solite leggende metropolitane? E nel primo caso, davvero non c’è un briciolo di ambizione dietro il progetto Senpai? Qual è la tua filosofia in merito? Già prima ti parlavo del mio approccio timido. Ho sempre avuto difficoltà a ‘buttarmi dentro le cose’. Mi ritengo una persona che sa essere socievole ma che, alla radice, è fondamentalmente introversa. Sono un pessimo ma-

nager di me stesso: una volta, ai tempi dei Blue Ice, sono stato contattato da un gestore di un locale che aveva sentito il mio demo e voleva farmi suonare. Ebbene, mi sono lasciato scappare la frase: ‘Sai, noi non è che abbiamo tutto questo seguito! Non portiamo molta gente’. Se al tempo fosse esistito Homer Simpson avrei dovuto concludere con un: ‘D’OH!’. La verità è che faccio fatica a stare con i piedi per terra, ho un brutto rapporto con i meccanismi del mondo reale. Questo mi ha impedito quando avevo vent’anni di ‘sbattermi come un dannato’ per ottenere qualcosa di più. Adesso che ne ho 38 paradossalmente è più facile vivere la musica come ‘un sogno ad occhi aperti’. Non avendo più ambizioni ho trovato la dimensione giusta per fare esattamente quello che voglio. Musica per il mio piacere e per quello di chi vuole stare a sentirmi. Questo non toglie che i piccoli riconoscimenti mi gratifichino molto. Quindi quando arrivano sono i benvenuti. ’Senpai’ è un termine nipponico che significa: ‘compagno più grande a scuola o in ambito lavorativo’. Come molte altre persone, l’ho imparato dai manga. Sei un lettore di fumetti giapponesi anche tu o la scelta di questa ragione sociale deriva da qualcos’altro, magari da qualche aneddoto particolare? Perché proprio questa parola? Con i manga e gli anime giapponesi ho molto a che fare per via del mio lavoro, per cui alla fine ho finito con l’appassionarmi. Comunque ‘Senpai’ era una canzone che avevo scritto mi pare nel 1995, e che parlava di un amore liceale tra una ragazza di 15 anni e il suo ‘senpai’ di 17: era una canzone molto ‘shojo manga’. E’ stato Andreone, Tarick1, a suggerirmi di usare quel titolo per dare il nome alla band. Allora

mi sono inventato la storia che mi consideravo ‘senpai’ di tutti i miei amici musicisti, perché suonavo da più tempo, ma era una palla inventata per eccesso di narcisismo. Parliamo di dischi. ‘Well’ arriva nel 2001, dopo solo un anno dalla nascita del progetto. Doveroso chiederti della vostra esperienza in merito, anche considerando l’apprezzamento generale che ancora oggi riscuote il nome Loretta Records. Come siete entrati nell’etichetta e quali dinamiche e rapporti intercorrevano tra voi e gli altri nomi ‘classici’ del loro catalogo? Bene o male si trattava di un’unica cricca, considerando tuo fratello nei Salinas e tu negli

Paolo - foto di Anna Positano 21 CMPST #5[11.2007]


Cronache Vere Age. Uhmmm.. Vediamo se mi ricordo. Il nome ‘Loretta Records’ veniva da Smou, il quale aveva accettato di ‘regalarlo’ alla allora nascente etichetta gestita da Gianluca Morando dei Salinas con altre persone. In effetti sia Renzo che io eravamo soci. Ma la cosa è naufragata quasi subito per le solite ragioni per cui naufragano i progetti di tal fatta. Comunque le poche uscite Loretta sono state molto azzeccate sul piano meramente artistico, in particolar modo la compilation che vantava perfino un brano dei Calexico. Di disco in disco. 2004, ‘The Lost And Forgotten Album’. Loretta is no more e voi imboccate la strada del cd-r autoprodotto, ad oggi il primo di due. Problemi a trovare un’altra etichetta o scelta voluta? A dispetto del titolo ne esce un disco a tratti più ‘sunshine’ del precedente, almeno per i miei gusti. Voi eravate ugualmente solari in quel periodo? Scelta voluta? No. Pigrizia, innanzi tutto, e poi mancanza di tempo: entrambe spacciate per scelta voluta. Cercare un’altra etichetta significava fare tutte quelle cose che non sono capace di fare. Ci abbiamo messo un secolo a fare quel disco, ed è proprio per questo che l’abbiamo intitolato ‘Lost And Forgotten’. Inizialmente per la copertina avevamo pensato a una nostra foto truccati da novantenni decrepiti, con le barbe bianche, il bastone ecc. Quindi per me è difficile individuare un ‘mood’ dominante nel disco. E’ passato attraverso troppe fasi. Anzi, se ti devo dire la verità, a parte un paio di episodi, io lo collego a un umore abbastanza cupo. ‘The Eternal Twilight’, ‘Concrete’ ‘Far As A Star’.. Se dovessi scegliere un colore per questo album sceglierei il blu. 22 CMPST #5[11.2007]

Dal secondo al terzo disco passano altri due anni, e siamo quasi al presente. 2006, ‘The Sun And The Sea Made You Blonder’. Anche qui il pretesto per la domanda nasce dal titolo del disco: dicono che a Genova non sia mai cambiato niente, il che forse è vero in termini di attenzioni dall’alto. Ma all’interno della cosiddetta ‘scena’ di cose ne sono successe eccome. Se tu dovessi scegliere un mood su MySpace solamente guardando allo stato di cose nella vostra città, quale sceglieresti in questo preciso istante? E’ una domanda che al quinto numero di Compost è ormai più che banale ma voglio comunque rivolgertela perchè ti vedo un po’ ‘isolato’ rispetto al contesto di gruppi e ‘realtà’ [come direbbe qualcuno] che operano a Genova in questo momento. Difficile. Difficilissimo. Io amo la mia città, però è vero che la realtà che ci circonda è desolante: i locali che chiudono, la scarsa attitudine delle persone ad andare ai concerti.. Gli stimoli sono davvero pochi. E tuttavia non me la sento di mettere una ‘faccina’ triste sul mio MySpace: non ora che abbiamo trovato due abili strumentisti che suonano con noi, non ora che stiamo costruendo il progetto live e che abbiamo comunque dei piccoli riscontri positivi. Chiamami ingenuo ma a me basta che qualcuno mi scriva su MySpace ‘Mi piace la vostra musica, vorrei sentirvi dal vivo. Quando suonate?’ e già mi mette di buon umore per tutta la giornata. Per cui, tornando alla domanda, diciamo ‘fiducioso’. Raccontami un po’ di questo progetto live. Effettivamente io seguo davvero Genova solo da quest’anno ma, a parte il set con Benvegnù lo scorso luglio al Banano,

non mi è capitato di leggere annunci circa vostre date negli ultimi mesi. Sono stato disattento io o implementare questi due nuovi strumentisti gioca una parte in questo apparente non-apparire? Come sempre la colpa è del tempo che fugge. Siamo tutti pieni di impegni: il nostro approccio hobbistico ci fa fare in un anno quello che gli altri fanno in due mesi. Sembra l’altro ieri che abbiamo iniziato a provare. Sembra ieri che ho sparso la voce che ‘finalmente siamo pronti’. Tutto ha tempi immensamente dilatati. Il set con Benvegnù originariamente avremmo dovuto farlo con la band al completo. Poi per una serie di sfortunati disguidi abbiamo rimandato, e sono salito sul palco da solo. Comunque ora ci siamo. Lo ripeto da una vita... ma ci siamo. A breve una data al Milk, poi parteciperemo a Inferno. Spero tanto che una volta ‘preso il giro’ si inneschi un circolo virtuoso in questo senso. Ultima domanda: prima parlavamo di pop, di melodie, e di canzoni. Secondo te qual è una canzone pop uscita dal 2000 ad oggi che il mondo ricorderà come un ‘classico’? Visti i precedenti con Attilio dei Port-Royal questa volta metto le mani avanti e dico: vietato rispondere ‘Umbrella’ di Rihanna! Mah.. Difficile.. Quanto tempo ho? Ti dirò, per me questa può anche andare bene come risposta. Guarda, mi viene in mente ‘Matinée’ dei Franz Ferdinand ma ho l’impressione di dimenticarmi di qualcosa di molto più, come dire.. pregnante. Più info Senpai su http://www.myspace.com/senpaiband


Cronache Vere “Hanno chiuso tutto. Quel poco che c’è lo stanno togliendo tutto.“ di Giulio Olivieri

UNA CITTÀ PER SOGNARE? Rileggendo “L’Officina dei Sogni – Arte e Vita Nell’Underground” di Massimo Caccialanza, Massimiliano Di Massa e Maria Teresa Torti Tanto per gradire, beccatevi ste due citazioni: A me spaventa una cosa, devo dire la verità: hai notato che ultimamente stanno chiudendo quasi tutti i locali? Io sono convinto di un fatto: stiamo vivendo un momento politico di grande instabilità. La prima cosa che cercano di fare è quindi di bloccare i nuclei, i punti dove si discute, si parla, si anima, si comunica. E questi luoghi non sono certo le discoteche perché nelle discoteche non discute nessuno, non sono le birrerie ma sono appunto i localacci dove si suona, dove magari si fa casino [...]Hanno chiuso tutto. Quel poco che c’è lo stanno togliendo tutto. (Nolider – pg.185/186) Bisognerebbe cercare di coinvolgere la periferia. Per esempio, i locali sono quasi tutti in centro. La musica va intesa come fenoimeno sociale e politico per risolvere anche tutta una serie di problemi di socialità. Il Ponente viene sempre trascurato. Dove si nota il maggiore stato di degrado e trascuratezza, dove l’unica alternativa possibile è la discoteca, perlomeno da questo punto di vista, bisognerebbe costruire un’alternativa. (Simon Dietzche – pg.192) Sembrano scritte ieri pomeriggio-a parte quel certo tono “politico” che fa ancora taaanto anni ‘80- e invece è roba di più di dieci anni fa, del 1994, per l’esattezza (ma in realtà son state raccolte in un periodo che va dal 1991 all’estate del 1993). Sembra passata un era geologica, almeno per

quanto riguarda la città. Il centro storico è stato investito dalla movida, che via via lo ha cambiato, locali e situazioni sono nate e morte, e altre si sono evolute, sono cambiati sindaci e giunte comunali, ci sono stati grandi rivoluzioni architettoniche e un G8, occupazioni storiche e altre saltuarie, si stan riprendendo a far figli e l’età media è salita sempre di più. Insomma, qualcosa è cambiato e addirittura qualcosa è cambiato in meglio. E allora perchè due frasette apparentemente banali dell’inizio del decennio scorso ci lasciano questa sensazione di deja vù? Ma, soprattutto, da dove caspita saltano fuori? Allora, nel 1994 Costa & Nolan (casa editrice col pallino di avere in catalogo numerosi saggi sui giovani, la musica e le sottoculture, e con una collana -”I Turbamenti dell’Arte”, in cui questo libro appare- diretta da quel Germano Celant che è stato per diversi anni uno dei riferimenti principali dell’arte e della cultura cittadina) manda in stampa un agile libretto, sviluppo di una ricerca promossa dalla Provincia di Genova chiamata “Giovani, Comunicazione e Creatività”, una di quelle cose dannatamente anni ‘80 (again, ma sapete bene che non si esce vivi dagli anni ‘80, soprattutto allora che erano appena finiti), quando sembrava che il “disagio giovanile” fosse un ottimo argomento di studi, cosa peraltro vera. Il libro in questione, “L’Officina dei Sogni”, si fa notare in tutta Italia come uno dei migliori saggi in assoluto sull’argomento, grazie ad una osservazio-

ne dell’universo “underground” (termine dai tanti risvolti, qui usato nella suia accezione più ampia possibile) dal di dentro assai partecipata e all’intuizione brillante di lasciar parlare soprattutto i diretti interessati, cioè i giovani. Che magari ogni tanto la sparano grossa (è l’età...capiamoli...), ma che in linea di massima sbalordisco ancora adesso, perché buttano sul tavolo questioni e argomenti che qui e ora pesano ancora parecchio. Ma vediamo di riscostruire ad uso e consumi di quelli nati negli ‘80 (o nei ‘90) cosa caspita accadeva allora. In generale si era appena passati indenni dopo “il grande freddo” degli anni ‘80 (mica vero, in realtà: ci furono grandi evoluzioni culturali, solo che avvennero “sottoterra” e non vennero rilevate dai “potenti” radar dei grandi media: “Un Weelkend Postmoderno” di Pier Vittorio Tondelli ne è ancor oggi la prova) e si stava vivendo un momento di grandi cambiamenti politici (tangentopoli vi dice nulla?) e, soprattutto nel nestro caso, culturali: registi legati alle culture di sinistra come Salvatores e Moretti portavano folle al cinema pur parlando una lingua diversa da quella del cosiddetto gusto popolare (il primo arriverà addirittura all’Oscar); in letteratura esplode il fenomeno cyberpunk (che sarà pompato fino a rimanere praticamente svuotato di significato) grazie anche a una esaustiva antologia della Shake, casa editrice legata al CSOA Cox.18 di Milano,che si farà notare anche per il fondamentale “T.A.Z.” di Hakim Bey, e tra gli scaffali riemergono vecchi beat come Burroughs e si riscopre il situazionismo; si comincia a parlare di “club culture” anche da queste parti (per prima 23 CMPST #5[11.2007]


Cronache Vere proprio Maria Teresa Torti) e le discoteche -alcune, ovviamente non tutte- cominciano ad esser viste come qualcosa di più di semplici momenti di divertimento; “Nevermind” rimanda in classifica il rock e fa scoprire a parecchi che esiste un mondo fatto di etichette indipendenti, mentre in Italia lo shock dell’arrivo delle prime posse da Bologna e da Roma contagia l’intera scena musicale e trova una vetrina compiacente nei programmi comici di Raitre, come Tunnel e Avanzi. Ok, non pretendo che questi luoghi comuni siano una fotografia dei primi anni ‘90 (mi perdoni chi quegli anni come me li ha vissuti: son proprio luoghi comuni, che l’idea era di rendere il panorama, non di scrivere un saggio, che peraltro sarebbe stato una riscrittura dello stesso “Le Officine Dei Sogni”, e per chi volesse approfondire provi con “Marginali” di Carlo Branzaglia, su Castelvecchi, buona mappa delle culture sotterranee fino ai primi anni del decennio in corso), ma questi sono alcuni dei “rumori di fondo” che permeavano le culture sotterranee (ottimamente raccontate in tempo reale sia da “la Talpa”, inserto settimanale de Il Manifesto, che parecchio spazio diede non solo a queste realtà ma anche ai dubbi -non c’è bisogno di dirlo: soprattutto politici- che suscitavano, sia da “Rumore”, che nei primi anni era parecchio aperto alle contaminazioni tra musica e realtà underground) ivi compresa la realtà genovese, che a sua volta stava vivendo grandi cambiamenti. Il giro storico dei locali dell’epoca era più o meno collassato (strano a dirsi, in più di 250 pagine manca la voce dello Psycho, che all’epoca era stato il locale “rock” per eccellenza, ma che era finito, tramutato in un cinema porno che poi quasi dieci anni dopo divenne il cinema City) e pure le occupazioni non stavan bene dopo il crollo dell’Officina di Via Madre di Dio (presente quella chiesa che fa da ultimo limitare -andando verso il mare-ai “giardini di plastica”? Ecco, quella era l’Officina) e in attesa dell’arrivo del primo storico Zapata. Il Centro Storico -pur essendo oggi come allora il centro stesso della vita culturale- era ben lontano da esser oggetto di movide, zone intere erano centri di ritrovo per tossici, per un breve pe24 CMPST #5[11.2007]

riodo aveva lampeggiato la stella di Sampiardarena (la stagione d’oro del Coccodrillo e del Sgt. Pepper, la cui eredità è rimasta nella programmazione dell’ex cinama porno ABC, come BoaGoa prima e come Logo Loco poi) e per un pò quella di Nervi (ricordate l’Agua? E il Senor Do Bonfim?), mentre in centro si notavano le esperienze incredibili del Giustiniani e delle Cappe Rosse e i primi storici “giovedì cinquesacchi” del Nessundorma. L’Area Expò poi era all’epoca fondamentalmente una scatola vuota, malvisto da chi aveva lottato contro le speculazioni delle Colombiadi, e fondamentalmente triste e perdipiù chiuso da una cancellata la notte... Beh, l’ho fatta breve, e ci sarebbe parecchio, anzi tantissimo da dire. Qui però se volete saperne di più è inutile che proviate con Google o frughiate Wikipedia, l’unica strada possibile è quella di uscir di casa e andare a cercare chi quella stagione l’ha vissuta, e magari tra vecchie locandine, demo su cassetta (il vero media dell’epoca: economico, universale, portatile - ah, il walkmen... - e riutilizzabile fino a completa distruzione... e poi c’era quel piacere fisico, grazie a quelle custodie pimpate all’inverosimile, che un filetto mp3 non saprà mai ridare), fanzine fotocopiate e ovviamente ricordi e aneddoti a non finire finirete per farvi una parziale idea di com’era. Questa situazione si sarebbe poi rivelata di transizione -di li a poco sarebbe uscito il giro Fottitopo da una parte e le esperienze brevi ma esaltante del teatro Albatros di Rivarolo e del Palace di Quinto, solo per restare all’ambito delle serate musicali- ed è interessante vedere come l’incertezza del momento faccia emergere timori ma mai rassegnazione. Insomma, c’era molta voglia di fare, e il libro fotografa ambiti diversi tra loro come la musica (che ha inevitabilmente la parte maggiore del libro), il teatro (che peraltro avrebbe figliato una scena comica - quella ruotante ai Cavalli Marci - che avrebbe fatto scalpore... Fermo restando che il personaggio più eclettico ed interessante di quel gruppo, Andrea Ceccon, era già un protagonista vivace della scena genovese, tanto che nel libro appare più volte grazie al progetto Voci Atroci), la danza, le fanzine, il fumetto e

il cinema (più come rassegne cinematografiche che non come filmakers, comunque esistenti) che - più o meno per i fatti propri - cercano di mettere in moto degli eventi, di “svegliare” una città che sembava sul punto di addormentarsi... (Attenzione, notare come manchi all’appello la letteratura: strano, in anni in cui stavano emergendo vari cantori di gioventù più o meno cannibali, e a pensarci bene -se si escludono certi riferimenti della Campo, comunque sempre marginali e mai parte integrante della storia, come invece la Bologna di Brizzi o la Torino di Culicchia - Genova non ha mai fatto da sfondo a uno di quei libri che nel bene o nel male hanno rinfrescato le classifiche di vendita...a questo punto si può tranquillamente dichiarare il romanzo giovanile genovese non è mai realmente nato, perso forse tra i cassetti di qualche aspiranti scrittore). Certo, a leggere i nomi citati nell’elenco che chiude il libro verrebbe da dire che è tutta roba vecchia, vero? E poi ben pochi dei gruppi citati - per restare alla musica sono arrivati a vedere il nuovo decennio. Guardiamoci intorno, se oggi qualcuno avesse voglia di produrre un update del libro in questione avrebbe tonnellate di materiale nuovo a sua disposizione, tra gruppi emergenti, etichette discografiche (le grandi assenti della scena musicale di quegli anni), locali ormai affermati, siti internet che documentano giorno dopo giorno gli sviluppi della scena cittadina, un considerevle numero di situazioni occupate, una vita teatrale più vispa e una cinematografica che ha posto la città come scenografia perfetta per molti registi nazionali e non mentre si sviluppa un piccolo ma sempre più importante festival cinematografico. Per non parlar poi dell’arte, che è uscita dal ghetto invandendo i muri della città, grazie all’operato di un manipolo di autori di street art capace di essere originali in un ambito sempre più inflazionato, di un museo, quello di Villa Croce, fonte continua di stimoli culturali sempre nuovi. Tutto molto bello, tutto incredibilmente VIVO, tra le poche cose definibili tali adesso in questa città. Tutto materiale che ai tempi di quel libro non era immaginabile, e che tirerebbe fuori una mappa urbana spettacolare.


Cronache Vere Eppure sarebbe inutile. Si, assolutamente inutile. Perché il dannatissimo pregio di quell’opera è stato di porre delle domande. Tante domande, che a sentirle vien voglia di dire: “Ancora? Ma non ne avevamo già parlato?” Eppure se ce le stiamo ancora ponendo un motivo ci sarà, e forse quello vero è che a distanza di tanti anni non abbiamo ancora trovato delle risposte. Guardate solo le due citazioni che ho trascritto all’inizio e ditemi quante volte avete sentito quei discorsi, quante volte vi siete voi stessi domandati quelle cose, e provate a scommettere su quante volte ancore ve lo chiederete. Eggià, perché comunque i locali dei vicoli - e non solo, vedi il Lab. Buridda - continuano a vivere sotto la spada di Damocle di una gestione schizofrenica della circoscrizione, che cerca di bruciare il terreno intorno alle zone dello spaccio aumentando il flusso di persone nelle stesse, ma che al tempo stesso esige silenzio e tranquillità assoluta. Una schizofrenia che viene vissuta malissimo da chi prova, magari con sforzi economici non indifferenti, a rilanciare il suo angolo di città, oltre che da chi cerca uno spazio in cui esprimersi e, ovviamente, da chi cerca un posto dove andare, dove poter comunicare, incontrare altre persone, passare una serata. Così come al tempo stesso la questione delle periferie è via via scomparsa dall’agenda politica cittadina (i più grandicelli ricorderanno che ai bei tempi andati il P.C.I. aveva nel suo programma locale l’idea di “città policentrica”, proprio nel tentativo di rendere meno dipendente dal Centro Storico la città...forse non ci credevano nemmeno loro, ma almeno ne parlavano, ed è sempre meglio del deserto di adesso; e poi dicono che uno si butta nell’antipolitica...) e salvo oasi di intelligenza -il bel lavoro del teatro Cargo di Voltri, le iniziative dell’associazione Metrodora a Sestri Ponente, qualche cosa estemporanea come i Goa Boa a Campi e poco altro- la situazione è sempre quella di un’area di serie b, non a caso ben poco considerata ogni qual volta la città decide di far sfoggio di se stessa (si veda la Notte Bianca, ad esempio). Ormai li sembra prospettarsi un futuro stile midwest americano, con il centro commer-

ciale come unico punto di ritrovo, fatto di vasche sempre uguale difronte a vetrine sempre uguali, e mal che vada si va a vedere un blockbaster americano (o nazionale, tanto la qualità non cambia) e prendiamo il popcorn maxi, che lo dividiamo in quattro. Bello, vero? Eppure è così, e visto che il mercato ha trovato una soluzione, la politica -o quel che ne resta- ha pensato bene di tirare i remi in barca, fregandosene di finanziare alternative culturali valide, e limitandosi ad applaudire gli sforzi economici e organizzativi di volontari più o meno organizzati. Tutto qui? No, affatto. A Genova c’è un clima favorevole a una produzione diffusa. Il problema è il carattere poco socializzante dei genovesi, la tendenza a costituire nuclei a sé stanti che non trovano legami con altri nuclei.[...] È una città che vive un grosso fermento. Però questo fermento è il mio, il tuo, quello dell’altro e tutto rischia di finire lì (Circolo Arte e Musica, pg. 97) Ditemi cos’è cambiato? Più o meno nulla: se chi più direttamente si occupa di organizzare situazioni sa quanto sia utile confrontarsi con gli altri (fosse solo per scoprire eventuali tecniche per svicolare dai tanti problemi burocratici e/o economici), per tutti gli altri è spesso un menefreghismo diffuso verso quello che esce fuori dalla propria (micro)scena, fosse anche la propria sala prove, col risultato che “si vedono sempre le solite facce” (se avessi un euro per ogni volta che - in situazioni sempre diverse! - ho sentito sta frase...), e che magari si finiscono per creare ridicole rivalità basate sul nulla, e che spesso proprio a nulla portano... Pure queste ultime saltano fuori, verso la fine del libro, a dimostrare come in questa città tutto sembra seguire dei binari immobili, sempre gli stessi. E quindi? A questo punto tu lettore ti starai ponendo suppongo almeno due domande: – Val la pena di recuperare questo libro? – E perché dovrei leggere qualcosa che parla di una scena culturale che non ho vissuto ma che ha gli stessi problemi di quella che vivo io senza darmi uno straccio di soluzione? Beh, qualcuno disse che la storia è destinata a ripetersi due volte, la prima in tragedia, la seconda

Foto di Uliano Lucas in farsa, ma qui siamo arrivati alla quarta o quinta replica,come manco nei cinema di terza visione di lontanissima memoria, ormai a forza di ripetersi la farsa ha cominciato a sembrare a sua volta tragedia, e quindi sarebbe tosto l’ora di sospendere le proiezioni e di iniziare a lavorare a un film diverso. E magari ripassare la trama di quello precedente potrebbe venire utile, tanto per trovare dei punti di partenza quanto per evitare di commettere gli stessi errori di allora. E la soluzione...sempre che esista una soluzione vera e propria: forse la vera soluzione è continuare a cercarne una nuova sempre diversa ogni giorno, invece di aspettarne una definitiva che cada dall’alto...forse la vera soluzione è MUOVERSI senza preoccuparsi di quella che accadrà o non accadrà. “L’officina dei Sogni” è pubblicato da Costa & Nolan. Copie disponibili anche alla Libreria Buridda. 25 CMPST #5[11.2007]


Fanzine “L’erotismo è un temo sempre trattato da uomini nel fumetto, mi interessava vedere come l’avrebbe affrontato una donna.” Grrrzetic Intervista con Silvana Ghersetti di Daniele Guasco

GRRRAPHIC GALLERY Da un anno a questa parte ha base a Genova una nuova fucina artistica, la casa editrice Grrrzetic, la quale affidata alle premurose cure di Silvana propone una interessante e curiosa serie di libri a fumetti capaci però di uscire dagli schemi dando spazio quindi ad alcune personalità artistiche tanto varie quanto particolari. La scrivania incute quasi timore abbandonata com’è nell’ampio spazio in pieno centro storico genovese che ospita la base in costruzione della Grrrzetic, l’atmosfera va quasi in conflitto con la vitalità con cui questa nuova casa editrice s’è affacciata sul mercato. Partirei a parlare proprio della Grrrzetic, come è nata questa casa editrice e come pian piano si sta evolvendo? Del resto siamo già alla quinta uscita. L’idea nasce da quello che mi sarebbe sempre piaciuto fare, cioè libri, dopo una piccola autoanalisi ho capito però che negli ultimi anni avevo letto più fumetti che narrativa e quindi ho deciso di lavorare con immagini parlate, poi diciamo che la strada si è evoluta da sé Da un inizio in cui non avevo idee chiarissime, né sapevo dove andare a recuperare talenti, che era quello che mi interessava, 26 CMPST #5[11.2007]

ho provato a contattare le scuole di fumetto, ho iniziato con la scuola di Firenze che mi ha fatto fare un vero e proprio casting, ho passato lì un intero pomeriggio in cui mi han fatto vedere le opere degli allievi. Poi ho capito che forse quello che mi interessava fare però era trovare degli artisti già abituati ad altre superfici che possono essere digitali, così come l’animazione o pittori, ad esempio il libro che sta per uscire (“Deep sleep”) è di Massimo Caccia che normalmente dipinge solo su tavole 50x50 coloratissime, quindi una cosa molto lontana da quello che ha fatto sul suo libro; mi piace quindi andare a individuare questi artisti e vederli sperimentare un linguaggio differente. In effetti le opere per ora pubblicate, a parte “Strrrppit” che raccogliendo strisce è una cosa canonica, sono una visione particolare del fumetto, una rielaborazione di quello che è il fumetto classi-

co, infatti il pubblico maggiormente legato al classico probabilmente mi odia.

Quindi possiamo dire che l’evoluzione che va seguendo la Grrrzetic va a ricercare nuove forme di fumetto? Si, è proprio quello che mi piacerebbe fare. In realtà io ho progettato tre collane. Una è appunto giovani e meno giovani che abbiano sperimentato con le immagini ma che non l’hanno mai fatto su carta; poi una collana per le donne di cui per ora è uscito solo il volume “Le mille e una notte”. Mentre parliamo sfoglio i libri Grrrzetic e colpisce subito come l’erotismo de “Le mille e una notte” sceneggiato da Lo Duca e disegnato da Laura sia fortissimo, caratterizzato da una sensualità esplicita ed elegante. Un’opera molto anomala per le chine di una donna, particolare e potente. Ti fermo subito per parlare proprio di questa collana al femminile, mi sembra che inizi da premesse molto forti. Mi interessa proprio questo sguardo femminile ma non rosa confetto, un po’ alla Marjane Satrapi (l’autrice iraniana del ben


Fanzine noto “Persepolis” nda), uno sguardo forte, duro, disincantato. L’erotismo è un temo sempre trattato da uomini nel fumetto, mi interessava vedere come l’avrebbe affrontato una donna. Laura è spagnola e io questo fumetto l’ho tradotto, non è una cosa fatta esclusivamente per me, ho anche fatto fare apposta un font per questo fumetto da Francesca Biasetton. Non solo mancano fumetti erotici disegnati da donne, ma difficilmente direi che si trovano, anche tra quelli più famosi, fumetti di questo tipo dotati di buone sceneggiature. Si, infatti questo è sceneggiato dal compianto Lo Duca, scomparso nel 2004, tra i fondatori dei “Cahiers de cinéma” e grande erotologo. Passiamo al lavoro che ha inaugurato le uscite della Grrrzetic, “No clown” di Dario Arcidiacono, come è nata questa prima uscita? Come prima uscita è nata quasi per caso, perché io ho conosciuto Dario e lui aveva già fatto le tavole di questo, chiamiamolo fumetto, e le aveva fatte stampare piccoline, come un breviario, in 50 copie, per allegarle in una eventuale mostra, era rilegato in tela senza immagini in copertina, tutto verde con la scritta“No clown” dorata impressa sopra, io l’ho visto e gli ho proposto di farne un libro convenzionale, a lui è piaciuta l’idea. Poi in realtà nella collana maschile, quella generale, ci sono due fili, uno rosso che verte sulla critica sociale e uno nero più di natura surreale di cui fa parte “Kolosimov” di Saul Sa-

“Infatti il pubblico maggiormente legato al classico probabilmente mi odia.“

guatti. Arcidiacono è noto anche per la sua street art. Come vedi questo fenomeno che ormai si può quasi dire che sia di moda? Oltre alla mostra milanese lui aveva fatto anche una bellissima mostra qua a Villa Croce con il gruppo di artisti di cui faceva parte e c’era un suo Padre Pio sotto teca fatto come un distributore di finte reliquie vestito da clown. Vedo molto bene questo fenomeno, penso che molti siano veri artisti e che così abbiano modo di esibirsi per chiunque e anche gratis. Sono stata da poco a Marsiglia è ho scoperto una cosa meravigliosa: in Francia i taggeur sono molto più in auge e meno disturbati, siccome il fenomeno è molto diffuso allora molti privati, commercianti, pagano i taggeurs per fare disegni sulle saracinesche, per dire anche la banca ha chiamato degli artisti per fare questo, così non si corre il rischio di trovarsi scritte indesiderate magari pure brutte e si ha invece una bella opera, e pagano anche bene. “Kolosimov” basta sfogliarlo per venire rapiti dalle immagini nevrotiche e ipnotiche di Saul Saguatti, un lavoro strano e avvolgente, curioso nel suo immediato effetto che porta il lettore a osservare qualcosa di alieno ma noto allo stesso tempo. “Kolosimov” ha infatti un carattere più criptico, un fumetto molto particolare. Io dico sempre che Saul è un teorizzatore nato, nel senso che se gli dai una frase lui te ne fa subito una teoria, quindi questo fumetto è perfetto per lui. Diciamo che il progetto iniziale riguardava una storia delle religioni tra il serio e il faceto, aveva già individuato al-

Le Mille E Una Notte cuni grossi filoni da testi antichi, ha poi deciso però di cambiare titolo e oggetto. Abbiamo presentato “Kolosimov” a Bologna insieme ad un attore ferrarese, Leo Mantovani che è un pazzo scatenato e quindi è stata una cosa molto divertente. È andata molto bene. Scorrendo le pagine del grossissimo “Strrrippit” vengo invece colto dalla classica nostalgia dell’appena liceale che disegnava ovunque il papero Palmiro di Sauro Ciantini e che si sbellicava con le strisce del maestro 27 CMPST #5[11.2007]


Fanzine “La distribuzione italiana è una cosa penosa, monopolizzata da pochi che lavorano male chiedendo tantissimi soldi costringendo così gli editori a gonfiare i prezzi di copertina,“ zen protagonista di “Nirvana” di Roberto Totaro. Un volumone questo molto diverso dalle altre uscite Grrrzetic, ma capace di portarmi su terreni che ho conosciuto fin troppo bene. Passiamo a “Strrripit”, una operazione antologica. Come nasce questo libro? In realtà “Strrrippit” si discosta abbastanza dagli altri libri, e infatti è un fuoricollana, un esperimento. Io ho conosciuto inizialmente uno di questi autori che mi ha proposto la sua striscia, io gli dissi che non era ciò che pubblicavo e che mi interessava fare. Parlando però seppi che avevano già formato un gruppo che si chiama lastriscia.net su rete, dove erano riuniti alcuni dei talenti più giovani, emergenti, della comic strip italiana, da questa cosa è nata l’idea di fare un antologico. Poi non ho preso tutti quelli de lastriscia e ne ho aggiunti altri ed è nato questo libro di quasi un chilo. Lo trovo molto bello anche graficamente, le grafiche di tutti i tuoi volumi sono però molto curate. Normalmente le grafiche le curano dei ragazzi di Firenze che facevano un po’ di anni fa una fanzine che si chiamava “Amarcord” sul cinema di serie z, era fatta molto bene, coloratissima, super pop. Loro sono dei ragazzi sardi, miei amici, e hanno aperto uno studio di grafica ormai 7 anni fa e ho pensato subito di lavorare con loro. “Strrrippit” ha invece una storia diversa anche in questo caso, infatti il 28 CMPST #5[11.2007]

primo autore che poi sarebbe Gabriele Montingelli, quello che ha fatto Ludwig, ha curato la grafica della raccolta. Quindi “Strrrippit” ha una vita sua, totalmente fuori serie. Prima parlavamo delle serie in cui si suddivide la tua proposta editoriale, ma ne abbiamo nominate solo due, come si compone la terza? La terza collana non l’ho ancora avviata ma riguarderà grandi autori dimenticati, nel senso che mi piacerebbe fare delle ristampe di autori non più pubblicati in Italia da diciamo da oltre venti se non trent’anni. Solo forse punto troppo in alto. Mi piacerebbe ripubblicare ad esempio Buzzati. Infatti un limite del fumetto italiano, parlando in via generale, evidenziato anche da alcuni autori è la mancanza, rispetto all’estero, di antologici o comunque di cosa del passato che vengano riproposte in maniera continua alle nuove generazioni. Basta pensare a come viene riproposta facilmente l’opera di Will Eisner mentre un’opera come il texone di Magnus è ben difficile da reperire per i canali tradizionali. Questa è proprio la mia idea iniziale, il poter ritrovare alcune opere che io stessa ho apprezzato. Secondo me manca questa possibilità forse anche perché manca un po’ l’interesse, basta vedere questa moda, questo fenomeno delle graphic novel. Esattamente, si sta andando anche a perdere la qualità secondo me con questo accanimento editoriale verso la graphic novel, tanto che spuntano anche nomi quasi temibili da un punto di vista artistico. Secondo me si sta iniziando a esagerare,

va bene la storia quotidiana, va bene l’underground, ma si sta degenerando verso il nulla, verso storie personali ma povere. A me è capitato di comprare libri, spendere magari anche una bella cifra, per poi trovarmi una storia letta in mezz’ora ma che non ti lascia nulla. Non ricordo che casa editrice ma so che qualcuno sta iniziando a stampare cose antologiche in bianco e nero. Un po’ sulla scia magari degli “Essential” della Marvel, volumi da centinaia di pagine stampati come un elenco telefonico con le vecchie storie della casa delle idee. Si esattamente. Questo fenomeno delle Graphic novel secondo me sta facendo anche perdere un po’ molto del fumetto italiano classico, quello seriale, basta guardare le liste dei recenti premi fumettistici. Cosa ne pensi? Io in realtà ho rinunciato alla serie da subito, primo di tutto perché sono da solo ed una cosa molto impegnativa e quindi avrebbe richiesto maggiori risorse, poi per un problema distributivo. La distribuzione italiana è una cosa penosa, monopolizzata da pochi che lavorano male chiedendo tantissimi soldi costringendo così gli editori a gonfiare i prezzi di copertina, inoltre la distribuzione delle serie è riservata alle edicole, monopolizzate a loro volta dalle solite case editrici. La graphic no-


Fanzine “Mi sembra una escalation positiva, pian piano la gente inizia a conoscere la mia iniziativa sempre di più.“ vel ha riportato un po’ il fumetto a quello che era prima degli anni novanta, che furono la morte dei sensi per il fumetto in Italia, non uscì praticamente nulla di qualità. Diciamo che case editrici come Coconino o Black Velvet hanno dato la possibilità anche a gente come me di entrare sul mercato. Viene dato risalto anche a una proposta difficile come quella della Becco giallo, specializzata in fumetti che ripercorrono momenti di cronaca e politica, per fare un esempio di effetto positivo. Loro ad esempio danno la possibilità anche a nuove generazioni di conoscere la storia senza leggersi tomi di 600 pagine, e poi i loro autori secondo me sono molto bravi. Probabilmente non avrebbero avuto questo risalto se i loro libri fossero usciti cinque anni fa. Però abbiamo anche fenomeni negativi, come una diffusione eccessivamente numerosa e magari anche la pubblicazione di opere imperfette quando non proprio scadenti. Bisognerebbe un po’ virare, prendere un genere editoriale fruttifero e interessante e riportarlo verso la qualità come punto centrale. Trovo anomalo anche l’atteggiamento dei media verso il fumetto. Viene dato risalto solo in diversi casi e a poche cose... Il fumetto è soprattuto arte, non è sempre universalmente accettata questa cosa, in al-

cuni casi sembra dia fastidio mentre in altri fa semplicemente comodo. L’atteggiamento comune è quello. È ben consolidata ormai anche la critica fumettistica in rete, sai alla fine il più grosso critico è il lettore, si crea una specie di simbiosi. Ci sono portali fatti molto bene e ben seguiti, questo non può che essere positivo, avere più opinioni, anche per scegliere cosa leggere. Ormai sono diversi anni che si parla del fumetto italiano come di un settore in crisi. Secondo te esiste effettivamente questo problema? In Italia si parla sempre un po’ della crisi di tutto, dal caro pane alla crisi del fumetto, e questa è diventata alla fine negli anni il nostro alibi, io non credo che il fumetto italiano sia in crisi, la gente continua a leggerlo, a comprarlo, a disegnarlo e a pubblicarlo, grazie a dio. Passiamo a Genova, te sei stata molto tempo lontana dalla città, e il tuo ritorno coincide con la nascita della Grrrzetic. Come ha influenzato Genova il tuo progetto? Ho vissuto dieci anni a Firenze, non ero a New York ma comunque sentivo un po’ di nostalgia. Innanzitutto Genova mi permette di avere un tetto garantito, una situazione tranquilla per muovermi e dare anima e corpo al mio progetto senza pormi difficoltà per mangiare. Genova è la città che mi piace avere come base, non avrei aperto una libreria perché questo mi avrebbe legato troppo al territorio, così invece ho la possibilità di muovermi in tutta Italia. Genova influenza anche le mie scelte artistiche come il mio essere.

Silvana al lavoro Sono totalmente ignorante dell’attuale panorama fumettistico genovese, esiste? Com’è? Uno dei prossimi libri sarà di un autore genovese che avete ospitato anche voi su Compost nel primo numero, Cristiano Baricelli. Sarà un Atlante di Medicina Immaginaria con testi di Paolo Tedeschi, un bravissimo pittore di Piacenza che però è anche un superdotato della scrittura. Sta venendo una cosa molto bella. Genova è molto collegata col fumetto storicamente, una grande reputazione. Oggi le cose sembrano più tristi più che altro per la carenza di spazi legati al fumetto, una mancanza di interesse. Io ho preso come ufficio questo spazio per avere anche la possibilità di farci in futuro delle mostre, esposizioni sia degli autori che han pubblicato con me che di esterni comunque legati a questa forma 29 CMPST #5[11.2007]


Fanzine artistica. Ora devo scoprire se posso anche usarlo come un vero e proprio negozio. Io vado spesso a Bologna che per il fumetto è invece fucina di cose nuove, ci sono molte realtà che li sono famosissime ma che difficilmente escono, vai a chiedere a Milano e non sanno nemmeno chi siano.

alla notte bianca a Parigi ed è muto, come “Deep sleep” di Caccia. Si chiama “Mater” ed è una storia sulla maternità ma anche sul travaglio, parla di una donna relegata in una stanza e la narrazione si costruisce pian piano nelle immagini. C’è carenza invece di artiste donne, signore fatevi avanti!

Quali vorresti che fossero invece le possibili colonne sonore ai tuoi fumetti? Di sicuro delle atmosfere cupe ma allo stesso tempo dolci, il primo nome che mi viene in mente sono sicuramente i Sigur ros.

Volevo chiederti come sono stati accolti questi primi volumi. Mi sembra una escalation positiva, pian piano la gente inizia a conoscere la mia iniziativa sempre di più. La fiera di Lucca ormai prossima sarà il momento di bilancio più grande perché la casa editrice compie esattamente un anno di vita. Io sono partita con “No clown”, andando a ritirare le copie la sera prima per riuscire a fare l’anno scorso almeno gli ultimi due giorni di fiera, li ho preso i contatti con le distribuzioni. Ho ancora paura, sia ben chiaro.

Invece della musica a Genova cosa ne pensi? C’è sempre stato un gran fermento, ma si va a creare anche qua per la musica per come la conosco un effetto bolla per cui le cose tendono a uscire poco dai confini cittadini, oppure si creano effetti opposti come nel caso dei Port-royal, noti in tutta Europa ma forse troppo poco celebrati qui. Le realtà però ci sono, continuano a esserci e sono anche valide. Conosco poco i meccanismi. Torniamo alla Grrrzetic, mi hai già detto di Baricelli, quali saranno gli altri prossimi passi della casa editrice? Ho già in mente un’altra cosa di un artista milanese che si chiama Akab che vorrei far uscire come una serie, sono 120 pagine a colori e penso le divideremo, si chiama “Redux” e sono tante storie quindi probabilmente uscirà in diversi volumi. Poi ho un lavoro di un artista piemontese che però è genovese d’adozione che è Paolo Bonfiglio normalmente dedito a quadri e animazione, infatti la cosa che farà con me inizialmente era un film che è stato oltretutto proiettato 30 CMPST #5[11.2007]

Ha creato anche quindi una buona curiosità negli appassionati la tua casa editrice? Il fatto è che secondo me non abbiamo tantissime case editrici in Italia particolarmente nel genere, siamo una quarantina, e rispetto alla narrativa direi che c’è spazio per tutti. Raccogliere la curiosità degli appassionati con una proposta coraggiosa era uno degli obiettivi che sicuramente mi ponevo iniziando, è difficile collaborare, e non posso prescindere da alcuni aspetti di gusto che per ora non ho modo di condividere con altri. Faccio tutto da sola e per adesso penso sia il modo migliore di farlo. Per finire, quale pensi sia, se c’è, un metodo per avvicinare ancora più gente a un progetto così particolare, lontano dal fumetto da

Le Mille E Una Notte edicola? Magari ci fosse la ricetta per far uscire la torta bella gonfia... L’idea di una galleria più particolare potrebbe portare a uno spazio aggregativo diverso, che per ora non esiste in città, se riuscirò a farlo potrebbe aiutare. Più info sulle pubblicazioni di Grrrzetic su http://www.myspace.com/grrrzetic


Columns Indie Maphia For Dummies di Daniele Guasco Per determinate cose sono sempre stato previdente, peccato che siano normalmente delle immani cazzate. Mi spiego, sono uno di quelli che oggi, a inizio novembre mentre scrive queste righe, sta già pensando da un po’ alle varie incombenze natalizie, senza contare il fatidico dubbio moderno “dove diavolo lo passo capodanno?”, crucci da non dormirci la notte. Proprio seguendo questa abitudine qualche giorno fa ho provato a cimentarmi con una possibile lista dei migliori dischi del 2007, ho scorso un po’ di cd, di robe scritte e ascoltate, e la conclusione è una: ne sono usciti tanti di bei dischi quest’anno, anzi, è stata una delle migliori annate successive al giro di millennio, ma quanti di questi sono effettivamente degni di essere considerati “pietre miliari della MIA musica”? Ben pochi. A essere sincero mi azzarderei a contarne massimo tre (ma proprio andandoci positivamente), tre grandi dischi certo, gli unici tra tanti altri ottimi album usciti negli ultimi dieci mesi che potrei appunto collocare ipoteticamente in questa categoria, non è neanche un problema dire quali: Vic Chesnutt sicuramente, l’ultimo splendido Ronin che da gennaio entra nello stereo con una buona frequenza e sempre con grande piacere, e la scommessa The Heliocentrics. Tutti gli altri? Bellissimi cd certo, ma specchio di una proposta sempre più satura, particolarmente in ambito indie dove bastano un pc, un masterizzatore, una stampante e qualche buona idea per produrre materiale, una situazione con tantissimi lati positivi, certa ottima musica probabilmente non si ascolterebbe altrimenti, ma che va anche a portare l’ascoltatore non casuale verso un’overdose di proposte. Tutto questo senza considerare ovviamente la rete con i suoi ascolti “usa e getta” e gli hard-disk sempre pieni di musica direi quasi ornamentale, mp3 con cui cucirsi addosso un cappotto che non tiene caldo. In conclusione il punto a cui voglio arrivare è uno: non è necessario che ogni anno ci siano dieci, venti, quaranta dischi fondamentali, ne ba-

sta uno, tre sono già un eccesso; l’importante è che la musica torni ad essere realmente ascoltata e vissuta, non solo posseduta. Nothing To Shout About di Matteo Marsano I Radiohead non fanno neanche a tempo a pubblicare il loro ultimo “In Rainbows” (scaricabile ad ‘offerta libera’ dalla rete, per i pochi che lo non sapessero, e direttamente dal gruppo che per ora ha deciso di bypassare ogni sistema ‘tradizionale’ di pubblicazione e distribuzione via label) e già c’è qualcuno che preconizza la morte del compact disc in un futuro più o meno prossimo. Se a questo aggiungiamo che a leggere alcune testate musicali italiane, o magari fanzine travestite da riviste, per i più maligni tra di voi (e dire che, se non si fosse notato, qui a CMPST le fanzines piacciono molto) Thom Yorke e soci sarebbero “il gruppo più importante del mondo”, la cosa sembra assumere i toni un po’ isterici della profezia auto-avverante, tra balletti di riverenze e fantasie di salvataggio: salvataggio del rock, come al solito, da chi o cosa possiamo solo immaginarlo. E così, mentre qualcuno si lancia in nebulosissime elegie a dimostrazione della frase di cui sopra, magari ricordando al lettore di avere alcuni romanzi all’attivo e di “essere uno scrittore”, (casomai non si fosse capito, vista l’abissale pesantezza dello stile, la pedanteria terminologica e il periodare da saga vichinga…!), qualcun’altro trae da tutto questo la semplice lezione di cui si diceva prima: il supporto ottico è destinato a morire. A breve. Non vorrei a questo punto entrare nel merito del perché o del percome ciò sia destinato ad avvenire o meno, pur propendendo nettamente per la seconda ipotesi se di futuro prossimo si tratta (già l’avvento di aggeggi come iPod e lettori digitali, strettamente connessi alla fruizione di musica in formato mp3, aveva sortito effetti di ‘profetizzazione’ sugli utenti; e non a caso il termine è da gergo informatico). Mi piacerebbe invece

spendere due parole sul perché ascoltare musica attraverso un oggetto fisico e ‘reale’ come un LP o un Compact Disc sia a tutti gli effetti un esperienza diversa dal farlo con l’ausilio dell’emmepitrè. Brevemente, e a costo di suonare altrettanto pretenzioso: è il contesto, il rapporto che si intrattiene con l’oggetto-musica a fare la differenza. Sedersi sul divano per apprezzare con calma un album, godersi l’artwork e avere la possibilità di odorare la carta su cui sono stampati i testi presuppone un rapporto intimo, dialettico e quasi paritario con le persone che vi stanno dietro, i cui sforzi e dedizione sono qui rappresentati in maniera tangibile. C’è una certa sacralità in questo. Al contrario dell’ascolto ‘da computer’, che oltre a mancare di qualsiasi aspetto feticistico soggiace alla logica consumistica, dispersiva e onnivora della rete, con un enorme quantità di informazioni più o meno irrilevanti sempre a portata di mano. E’ un contesto che stimola un tipo di ascolto diverso, non distante da quello stile “soundtrack of your life” rappresentato dall’(ab)uso dei lettori digitali, suo naturale epilogo: più egocentrico, effimero e centrato sul ‘consumatore’ (che ‘sente’, ma non sempre ‘ascolta’) piuttosto che sul rapporto intercorrente tra album ed ascoltatore. “When I listen to a record/ I stare at the cover” cantava Smog: noi speriamo che si possa fare altrettanto anche in futuro This Ain’t No BBQ di Anna Positano Ho uno strano rapporto con l’arredo urbano. A partire dalle pensiline degli autobus. A Genova negli ultimi anni sono state cambiate, e ora risultano estremamente pretenziose. La gente non ha nemmeno più la necessità di portare la propria sedia da casa (grazie Mazzola) in attesa dell’autobus, perché la Cemusa (l’azienda produttrice) ha provveduto a integrare i sedili nella pensilina stessa. Grazie Cemusa! Però io da qualche anno non mi siedo più. 31 CMPST #5[11.2007]


Columns Infatti una volta, andando a prendere la focaccia sul furgone coi Redworm’s Farm, dopo il concerto, vidi una scena, ehm, curiosa. Non sono un’educanda, e nemmeno particolarmente impressionabile, però vedere una fellatio firmata Cemusa mi ha fatto un po’ schifo, ma anche ridere. Soprattutto vedendo vecchie e bambini seduti lì il giorno seguente. Più o meno per lo stesso motivo penso che limiterò la mia frequentazione dei dehor dei bar, soprattutto quello sotto casa mia; circa un mese fa, tornando a casa per mezzanotte, vedo un tipo accomodato sul gradino del dehor, e altre due gambe a fianco alle sue; niente testa. Penso: non ho bevuto! Guardo meglio: Ah, sta raccogliendo qualcosa che le è caduto! Ah, ehm, no... Meno male che aveva i capelli lunghi, va’. Comunque è molto interessante vedere come la gente adatti gli arredi urbani alle proprie esigenze. Mi rendo conto che forse non era un aneddoto adatto alla rubrica... Chissà, magari è la volta che non mangiate salsiccia. Comunque, se qualcuno ha fame ecco qua: è una ricetta da eseguire per tante persone (almeno 4), altrimenti, oltre a sbattervi in modo folle e con apprezzamento ridotto, vi mangiate questi cosi per una settimana. E alla fine stanca, ve lo assicuro. Per 4 persone, dunque, procuratevi: per la pasta 250 g di farina (integrale è meglio) 4 cucchiai di olio acqua q.b. sale per il ripieno 1/4 di cavolo un po’ di cavolfiore 2 carote 1 patata gialla grossa 1 cipolla 1 porro (non strettamente necessario, ma ci sta!) aglio olio sale 32 CMPST #5[11.2007]

Per prima cosa impastate la farina con gli altri ingredienti, in modo da ottenere un composto morbido ma non appiccicoso; metterlo in frigo per mezz’ora. Intanto lavate bene le verdure, e fatele in pezzetti piccoli, in particolare il cavolo va fatto a striscioline sottili, avendo cura di tenerle separate (hanno differenti tempi di cottura). Mettete l’olio in una padella e fate soffriggere l’aglio, poi buttatevi dentro per prima la patata e un po’ di sale. Girate spesso altrimenti si attacca! Sempre a fiamma viva, dopo qualche minuto aggiungete le carote, il cavolfiore e la cipolla, regolando di sale. Rimuovete l’aglio, se non vi piace cotto (a me fa veramente schifo!). Continuate a mescolare e aggiungete un po’ d’acqua se serve. A cottura quasi ultimata, aggiungete il cavolo e il porro tagliati molto sottili, avendo cura di aggiustare di sale. Coprite abbassando un poco la fiamma, e assaggiate. Togliete dal fuoco quando il ripieno è cotto. Accendete il forno a circa 200°, e nel frattempo stendete la pasta con un mattarello (molto sottile!) su carta da forno. Tagliate la pasta a quadati di circa 10 cm di lato e “impacchettate” il ripieno, cercando di non rompere tutto. Infornate e appena pensate siano cotti, state pur certi che non lo saranno; questo perché la verdura è umida e dentro la pasta sarà cruda. Quindi consiglio fortemente di prenderne uno, tagliarne un pezzo e assaggiarlo, dopo averlo fatto raffreddare un pochino. Rimettete l’avanzo in forno con gli altri fagottini, in modo da poterne valutare l’effettiva cottura successivamente. Mi rendo conto che è una rottura di palle questa ricetta, da fare solo se ne vale la pena. Gli ospiti che avevo a cena la settimana scorsa erano circa 25, e, visto lo sbattimento e il fatto che molti di loro potevano essere restii alla verdura, li ho obbligati ad assaggiarli senza dir loro che cosa ci fosse dentro. Ha funzionato.

An inconvenient truth ovvero anche COMPOST dà il suo contributo per rallentare il cambiamento climatico di Carlotta Queirazza Ripassino Se qualcuno di voi è già un affezionados dell’ecoangolo di compost si ricorderà che nello scorso numero si parlava del principio delle tre R nella gestione dei rifiuti, ovvero R-idurre la quantità di rifiuti prodotti, R-iutilizzare le cose prima di gettarle, R-iciclare tutto il riciclabile. Bene. Sono appena rientrata in casa dopo una piccola discussione con il fruttivendolo che voleva a tutti i costi darmi un sacchetto di plastica per un po’ d’uva e due pere che stavano comodamente nella borsa che mi porto dietro ogni giorno. Ho cercato di fargli capire che conveniva anche a lui, un sacchetto risparmiato per il prossimo cliente.. niente, considerava il mio gesto quasi offensivo, come se mi stesse offrendo un caffè e io rifiutassi sostenendo che il caffè di casa mia è molto meglio. Quindi, anche se qualcuno di mia conoscenza mi accuserebbe di essere pedante, insisterei sul primo principio, quello di ridurre, alla fonte, la quantità di rifiuti prodotti, in particolare quando si va a fare la spesa. Infatti, al di là del sacchetto di plastica, ci sono una serie di altri accorgimenti che aiutano ad evitare di tornare a casa e rendersi conto che circa un terzo di quello che abbiamo trasportato fino qui è diventato subito rifiuto. Ad esempio, se siamo al supermercato, è possibile scegliere di comprare frutta e verdura a peso invece delle confezioni già pronte, in questo modo si evitano i vassoietti di polistirolo coperti da plastica trasparente, ecc. Poi conviene acquistare frutta e verdura locale e di stagione.. qui un tasto dolente.. e se non so le stagioni della frutta e della verdura? In questo caso si può chiedere al verduraio o semplicemente guardare il prezzo, di solito quello che costa meno è di stagione (oppure andate al sito www.lifegate. it/alimentazione sulla colonna di sinistra si trova


Columns il link ‘meglio di stagione’). Oggi, sempre dallo stesso verduraio di cui sopra, ho trovato i kiwi della Nuova Zelanda.. diamine, i kiwi crescono anche nel giardino dei miei genitori a Genova Sturla.. comunque, anche affettati e formaggi si possono acquistare al banco, così si evita l’imballo sottovuoto e si può scegliere la quantità desiderata, l’inconveniente può essere che bisogna interagire con l’inserviente. Poi il latte. Quale contenitore conviene? Ebbene, dipende da quello che riuscite a farne dopo. La bottiglia di vetro è chiaramente il meglio, a volte diventa un vuoto a rendere oppure si può riciclare praticamente in tutte le città. Poi la bottiglia di plastica, anche lei può diventare un vuoto a rendere oppure può essere riciclata. Infine il contenitore di cartone spesso. Questo cartone è definito poliaccoppiato perché costituito da più materiali: in prevalenza cartoncino, rivestito da sottilissimi film in polietilene e alluminio. Anche se spesso si legge che è riciclabile, non ho ancora capito dove e come lo facciano.. lo selezionano dall’indifferenziato e portano ad uno speciale impianto? Mah, nel dubbio, lo eviterei. Ecco, da qui si potrebbe iniziare a parlare dell’analisi del ciclo di vita.. oppure, già che è iniziato il freddo, sul riscaldamento, o sull’acqua.. come si fa? Toccherà aspettare il prossimo numero. Non Sono Un Poeta di El Pelandro Parliamo di Lavoro: nonostante la mia capa sia una merda, è veramente una merda. A Steady Diet Of Mat di Matteo Casari Che poi finisce che te lo chiedi. Ma chi cavolo ce lo fa fare? Un bel mugugno d’altri tempi nel flow del sottoscritto, che parte a testa bassa e uno sfogo se lo concede anche lui. E invece no. Che tanto poi chi me lo fa fare? Cosa ci potrei guadagnare da cotal imbarbarimento?

Niente. Per cui la dieta di oggi è a base di una buona novella. Però valla a trovare. E anche interessante per giunta. Beh, tolti i riassunti di do’s e dont’s per entrare e rimanere nella cerchia degli unti da disorder drama, tolte le storie vere di miracoli di sopravvissuti, tolte le macumbe andate a buon fine rimangono solo quelle buone notizie di una volta. Quelle inaspettate richieste mattutine che, con un secondo fine per niente scontato di venire a suonare da noi, ti risvegliano dal torpore con un mix di caffeina, suoni piacevoli, e quel tanto di insperata originalità. Sono anni che dalla Francia, finalmente, arrivano anche da noi un po’ di band di carattere, fresche e assolutamente accomunate da un vicino sentire. Non vi dirò chi ma vi lascio solo con la certezza che, con la qualità, si può ancora convincere le persone ad ascoltarvi. Ingrandimenti di Marco Giorcelli Ci sono alcuni posti molto affascinanti. Sto parlando di luoghi intesi come spazi, ma obbiettivamente, non potrei nemmeno definirli tali. E’ un po’ come quando giochi con la rotella del mouse e ingrandisci un jpg fino a sgranarlo completamente: non diventa più niente di riconoscibile, o meglio, si trasforma in un’astrazione dal senso variabile. A seconda di chi lo guarda. La sopraelevata di Genova, se uno guida, inevitabilmente non permette attenzioni paesaggistiche di questo tipo, al contrario, da un terrazzo, è ipnotico osservare il flusso dei mezzi ci sfrecciano sopra. Ma non è di questo che voglio parlare, anche perché abitandoci di fronte, sarei in eccesso di imprecazioni rispetto ai complimenti. In ogni caso, attraversandola da ponente a levante è possibile osservare un particolare curioso proprio sull’ultimissimo palazzo che si incontra sulla sinistra. E’ un’abitazione isolata dalle altre, con alle spalle la fine del muraglione e che si appoggia schiettamente sulla carreggiata che dalla Foce porta a Sampierdarena. Abitare di fronte alla soprae-

levata, in quanto ad inquinamento acustico, è un’esperienza difficilmente riducibile a parole e, in questo caso, parzialmente off topic. La cosa curiosa invece è l’ultima finestra in basso a destra che è esattamente all’altezza del traffico. Nonostante questo, i condomini hanno concepito un bizzarro abuso edilizio. Hanno trasformato la finestra in un terrazzo. Lo so, detto così suona come la versione post-atomica del Cielo in una stanza. Eppure è così. Hanno preso tre grate di metallo, le hanno sbracciate in fuori facendole appoggiare direttamente sul guard rail e ci hanno messo sotto una base. Il tutto decorato da piante e fiorellini. Un poggiolino spartano, ma funzionale. I Pere Ubu, ne sono certo, ne avrebbero fatto la copertina di un album. Valide Allternative al Bricolage Culturale DIYC 2.0 risponde il Dott. Cesare Pezzoni Caro Dott. Cesare Cartavetro, leggo dal primissimo numero voi ma per il resto sono pigro e quindi leggo pochissimo. Ho sentito però parlare di un libro famoso di un tizio di Wired, il titolo è “La Coda Lunga”, so che parla di nuove tecnologie con un occhio di riguardo per la musica, me ne fa una sintesi? Ora io vorrei che i meno pigri di voi non leggessero questa domanda e anzi andassero in libreria a comprare “la Coda Lunga” che è un libro scorrevole e interessante, pur con i suoi limiti. Se proprio siete di coccio sappiate che la conoscenza è salvifica, chi non conosce è e sarà sempre in balìa di chi conosce. Tuttavia farò una sintesi strampalata ad uso rockettaronato-stanco. In pratica il libro dice che nel web c’è spazio per tutti, che gli archivi sono infiniti e che il mercato di nicchia nel suo complesso è più grosso del mercato mainstream. Se hai presente come è fatta una parabola saprai che pur avvicinandosi sempre di più agli assi la curva non li tocca mai. Internet ha accentuato questo 33 CMPST #5[11.2007]


Columns fatto e quindi si è scoperto che se il cliente è libero di scegliere quello che vuole disponendo di un catalogo infinito, quelli che faranno scelte “elitarie” nel loro complesso saranno più di quelli che ascolteranno Justin Timberlake. Una figata quindi? Boh, in parte sì. Non per gli artisti però: se è vero che sommati assieme gli artisti di nicchia vendono più di Britney è vero pure che presi singolarmente vendono pochino. In pratica è una buona notizia solo per le etichette che possono assicurarsi un grande numero di artisti a un costo irrisorio e che nel cumulare contratti incasseranno un sacco di quattrini. Poveri siamo e poveri restiamo. Non è la coda lunga a salvarci, se lo avevate sperato. Il mercato dilettantistico diventa così il primo mercato mondiale, a costi infinitamente più bassi. Se vogliamo trarne una conclusione ottimistica possiamo al limite affermare che essendoci maggiore circolazione di audience lungo tutto la curva a vantaggio dei generi di nicchia, è più facile emergere nel proprio contesto di quanto fosse qualche tempo fa. Tradurre questa popolarità in denaro rimane un’impresa, comunque. Ma non voglio scoraggiarvi, la situazione è meglio di prima. Adesso abbiamo bisogno di meno mediatori per arrivare allo stesso grado di visibilità. Quello che 15 anni fa era impensabile senza un’etichetta alle spalle ora è possibile anche senza, nonostante l’evidenza mostri come avere un’etichetta alle spalle in qualche misura sia ancora fonte di vantaggio competitivo. Inoltre c’è un altro aspetto, forse collegato in maniera un po’ più blanda ma non meno significativo: lo spalmarsi dei consumi più equamente lungo tutto l’asse della domanda a dispetto della storica concentrazione 8020 (ossia il 20% dei prodotti copre l’80% del mercato), fa sì che alcune micro-realtà integrate tra di loro rappresentino un mercato interessante. In altre parole è più giustificato oggi rispetto a ieri credere che “fare scena” possa fare la differenza. Muovendosi coralmente in un mercato un gruppo di gruppi ha più possibilità di essere ascoltato di quanta non ne avesse ieri. E questa è una buona notizia. In altre parole la lezio34 CMPST #5[11.2007]

ne che prenderei dal libro non è: c’è più trippa per tutti…questo è falso. La lezione è piuttosto: piccoli mercati integrati tra di loro sono in grado oggi come non mai di attirare un certo numero di ascoltatori, di cui una grande parte casuale. Che proporsi a blocchi di gruppi potesse essere un vantaggio lo si sapeva, ma oggi diventa un vantaggio non solo per la solidarietà interna ma anche per la visibilità esterna. Però state attenti che “la scena” non ama mai chi della scena si approfitta. Screamazenica di Simone Madrau [Anche Screamazenica è iscritta alla mailing list dello Sceriffo Lobo. E tu che aspetti, amico lettore?] Questo mese su Screamazenica è di scena la sacra triade cui tutti noi giuriamo eterna fedeltà: sesso, droga & rock’n’roll. Da leggersi con le cornina rivolte al cielo e la chioma che va su e giù. SESSO Dopo Mangoni sul MySpace di Ceanne, ecco a voi due nuove lezioni di galateo impartite da altrettanti maestri. Prendete nota, indiemaschietti from Zena. [Almeno nel primo caso ‘sesso’ è un termine forte. Eccessivo, direi. E me ne scuso. Si tratta in verità di un attestato di stima fondamentalmente disinteressato. Peròperò. Lo scorso marzo, dopo il concerto al Mù-Mù, sul MySpace degli Hermitage compare il seguente messaggio vergato da un altro partecipante alla serata.] ’Nota di merito per il bassista bionico e la graziosissima sullo sgabello, cui volentieri si perdona la parsimonia nei sorrisi’. [Alessandro Raina] [Il primo numero di Compost sarebbe uscito solo due mesi dopo quindi la citazione non vide la luce su Screamazenica. Avrei potuto tacerne eternamente. Ora però il suddetto gossip torna ad essere di scottante attualità.]

Abbracci e un saluto particolare alla ragazza al violino che è sublime. [Alessandro Raina ancora sul MySpace degli Hermitage, 11 ottobre 2007. Diamine! Parsimoniosa Paola, se vuoi replicare Screamazenica è a tua disposizione.] ’Come stai, Lisa… come stai…’ [L’inossidabile Bob Quadrelli, non pago di una serata a tu per tu con Lisa Papineau, improvvisa una featuring al microfono con la stessa durante la sua performance al Buridda.] DROGA ’I Verve dicevano che le droghe non funzionano. Bè, non sono molto d’accordo.’ [Grausamer Eisenberg aka Cruel Iron Mountains lancia la sua ‘Where You’ve Been’ su MySpace.] ’Per pochi secondi siamo stati su RaiDue, naturalmente appesi nella casa dei cattivi. In questo caso spacciatori. Il buon vecchio Alfredo dovrà rivedere la sua celebre massima.’ [Il sottoscritto in una mail girata alla redazione di Compost. Ebbene sì: durante ‘Il Capitano 2’, fiztion poliziesca della Rai ambientata a Genova, il logo di questa fanzine ha fatto capolino a sorpresa su un manifesto appeso in una casa dei vicoli non meglio identificata. Il proprietario della casa e/o il responsabile dell’idea sono pregati di farsi vivi. Non sono cose che ci cambiano la vita ma la curiosità di capire come ci siamo finiti è forte.] ROCK’N’ROLL ’Dai che questa volta non te la spacco la videocamera.’ [Nel pregare il sottoscritto e gli altri presenti di avvicinarsi al suo palco, il buon Amedeo accompagnato dai suoi Eat The Rabbit rievoca i fasti dell’ultima Rocktone-performance al Rural Indie Camp.] ’Ti nomino vice-Intortetor’. [In un buio angolo del Buridda il nostro Giulio, prossimo al trasferimento a Milano, proclama in gran segreto [ma nemmeno tanto] il suo indegno successore. Indegno anche perché, essendo il suo background sulla scena genovese assai misero, rifiuterà l’onorevole carica. Capito di chi parlo, no?] [thanks to: Daniele Guasco]


Arte

Nuvola Ravera Nasce a Genova il 3 Febbraio 1984 , dove attualmente vive e frequenta l’Accademia Ligustica di Belle Arti. Passata un‘infanzia fatta di viaggio e di cambiamenti particolari orienta le sue inclinazioni espressive in svariati sensi ricreando un po’ questa variabilità che l’ha accompagnata fin da piccola, passando in maniera altalenante da collaborazioni con musicisti tramite realizzazione di artwork, reportage fotografici,

pubblicazioni su webzine e cartacei vari, per poi avvicinarsi ad uno sviluppo di ricerca personale di indagine astratta del sé, del corpo e dell’esterno, con diversi supporti quali quello fotografico, pittorico, grafico e a volte performativo. Coinvolge volentieri nei suoi progetti conosciuti e sconosciuti creando una forte dimensione sociale e di scambio per arrivare ad un atto creativo multilaterale. http://www.flickr.com/photos/cloudwithoutclouds/ http://www.myspace.com/verycloud 35 CMPST #5[11.2007]



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