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Alberto Breschi

Introduzione Un progetto che nasce da lontano

Alberto Breschi

Nel 2005 veniva pubblicato da parte della società Firenze Parcheggi s.p.a. il bando per il Concorso Internazionale di un nuovo edificio in piazza Annigoni a Firenze. Il bando, abbastanza complesso e articolato, prevedeva non solo di redigere un progetto per uffici ma, poiché l’area era collocata ai margini del complesso monumentale di santa Verdiana, utilizzato dall’Università degli Studi di Firenze per la facoltà di Architettura, andavano indicate anche le modalità per un nuovo accesso al plesso didattico e inoltre, all’interno della piazza, prevedere la realizzazione del nuovo mercatino antiquario che al momento si trovava in piazza dei Ciompi. La storia di questo progetto potrebbe cominciare da questa data con la partecipazione a quel concorso, ma in realtà le tematiche affrontate erano nate da una riflessione su Firenze che si era formata fin dagli anni settanta in cui, laureato da poco, mi trovavo coinvolto con alcuni amici1 a immaginare scenari ed esiti alternativi per la mia città. Fu certamente un periodo in cui forte era la scoperta e l’entusiasmo per la disciplina architettonica, e fu in quel frangente che si formò in me quell’atteggiamento propositivo e quella disposizione a un pensiero sempre altro rispetto alle norme e ai comportamenti usuali che anche in seguito, con maggior consapevolezza critica e meno intento provocatorio, avrebbe segnato il mio percorso di docente universitario e di impegno professionale. Nel ritornare con la mente a quelle esperienze ha significato ritrovare l’inizio di questa storia. La Firenze della mia formazione universitaria era, a partire dagli anni Sessanta, ancora la città in cui si erano da poco diffusi i pensieri di padre Balducci e del parroco di Barbiana, con messaggi di una cultura della solidarietà, della tolleranza e soprattutto con pensieri di un cambiamento che si avvertiva imminente. Una città dove ancora persisteva l’eco delle utopie di La Pira e in cui la politica si ancorava agli ideali universali della pace e della giustizia espressi in un passato non troppo recente da uomini come Aldo e Nello Rosselli e Piero Calamandrei con idee che si ibridarono e amplificarono con quelle più cosmopolite del Sessantotto, movimento che mi coinvolse mentre stavo concludendo l’esperienza universitaria. Allora la città mi appariva vivace e piena di risorse a cui poter attingere.

pagina a fronte Schema assonometrico con i nuovi inserimenti del Mercato antiquario e dell’edificio polivalente. Progetto presentato al Concorso del 2006.

1 Il gruppo Zziggurat nasceva a Firenze, nel 1968 e si occupava dell’architettura come “evento globale”, ossia come sistema di comunicazione e campo di espressione multimediale e pluridisciplinare, teso a una continua sperimentazione contenutistica e espressiva di tipo critico-innovativo che lo collocava nel panorama di quel movimento di avanguardia architettonica costituito dall’Architettura Radicale.

1969 Space Electronic, spazio culturale e innovativo, ideato e progettato dal gruppo radicale 9999 (Fabrizio Fiumi, Paolo Caldini e Paolo Galli, Giorgio Birelli).

‘Utopie radicali’ a cura di Pino Brugellis, Gianni Pettena, Alberto Salvadori. Ed. Quodlibet habitat 2018. Catalogo della mostra in Palazzo Strozzi a Firenze nel 2018 che presenta le opere degli architetti radicali fiorentini a più di mezzo secolo di distanza dai loro esordi. Nati in un secondo momento di crisi, in un periodo segnato, a Firenze, dalla tragica alluvione del 1966, e caratterizzato, in tutta Italia, da forti tensioni politiche e sociali ma anche da un grande rinnovamento artistico e linguistico, i lavori di Archizoom, Remo Buti, 9999, Gianni Pettena, Superstudio, UFO, Zziggurat sono oggi presenti nei principali musei del mondo. Gli scritti, disegni e i progetti dei sette protagonisti godono infatti tuttora di una capillare diffusione, e hanno influenzato già più di una generazione di architetti, storici, designer e artisti in moltissimi paesi. È in quegli anni che Firenze sposta i suoi interessi culturali dalla letteratura alle arti visive con linee di ricerca che, specie nelle nuove generazioni nate all’interno della contestazione, sostituirono le attitudini artistiche tradizionali: innanzi tutto la pop art ma anche l’arte povera, la pittura analitica e concettuale, gli environments2. Di pari passo, ricerche avanzate in campo di elaborazione dell’immagine, cinematografico, teatrale e musicale completavano un quadro di fermenti e contaminazioni che furono il terreno più adatto a nutrire anche la fantasia e la formazione di chi avrebbe voluto un’altra Firenze, alternativa rispetto a quella cristallizzata nelle immagini da copertina e propagandata per il turismo; un’altra Firenze che fu capace di produrre quegli “angeli del fango” che contribuirono a salvare il patrimonio violato dall’alluvione e che sono la dimostrazione che questa città possedeva anche un’anima giovanile vitale e disinteressata. Per l’architettura, si consolidava il lavoro di gruppo che, nato all’interno dell’occupazione della Facoltà, diventava lo strumento di un rinnovamento nel campo della ricerca e della critica architettonica. Nascevano i primi esempi di sperimentazione alternativa che produssero quel clima culturale, quella situazione di “anti design” e di “anti-architettura” che sarà poi definita “architettura radicale”. 3 Lo Space Electronic, locale recuperato nel centro storico e inaugurato nel 1969, era l’icona del movimento, il luogo dell’incontro e delle esperienze più disparate, in un mix di attività ludiche e artistiche; non a caso viene usato l’interno di un edificio preesistente completamente svuotato e risolto con pochi elementi solidi e strutture leggere sospese, a evidenziare la dinamica e la suggestione di spazi alternativi secondo le linee della ricerca radicale in netta contrapposizione con una pratica del recupero ancora vincolata a norme e prassi più adatti al mantenimento dello status quo che al rinnovamento.4 Di quel periodo, le esperienze importanti che posso richiamare a ispirazione del progetto presentato al concorso del 2006 sono la partecipazione nel 1972 al Concorso nazionale di idee indetto dal Comune di Firenze per la sistemazione dell’area comprendente la Fortezza da Basso e l’area destinata a palazzo di Giustizia a Firenze,5

2 Lara Vinca Masini – “Itinerari per Firenze” Guide de l’Espresso 1981. Artisti come Alberto Moretti, Giuseppe Chiari, Mauro Mariotti, Luciano Bartolini, Maurizio e Massimo Nannucci, Lo Vergine trovano spazio in alcune gallerie di punta tra cui si distingue “Schema” che in quegli anni presenta operatori di tutto il mondo facendo respirare alla città un’atmosfera internazionale. Nascono spazi alternativi, come il “Centro proposte” e “Zona”, autogestiti e fuori dalle regole istituzionali, peraltro in forte ritardo dal punto di vista culturale, istituiti nei primi anni settanta su iniziativa diretta di alcuni artisti per la documentazione di esperienze internazionali e per offrire spazio alle situazioni emergenti all’interno della città. 3 Il movimento radicale si sviluppa in Europa negli anni ‘60, in contrapposizione alle tematiche del Funzionalismo, volto a una vera e propria ricerca architettonica d’avanguardia legata all’utopia. Figure importanti nella formazione del gruppo Zziggurat sono l’artista Giuseppe Chiari (Fluxus), Umberto Eco, docente di semiologia, gli storici dell’architettura Leonardo Benevolo e Giovanni Koenig, i docenti Leonardo Ricci e Leonardo Savioli. 4 Lo Space Elettronic rimaneva aperto giorno e notte cambiando destinazione d’uso a seconda dell’ora: la mattina e il pomeriggio era un luogo di studio, un’aula di progettazione e sperimentazione sia per il Gruppo 9999, sia per studenti della facoltà di Architettura che preparavano esami; la sera ospitava concerti dal vivo, jam session, installazioni di gonfiabili, ecc. Il locale divenne presto noto nel panorama culturale della città per i continui happening e forum di rilievo internazionale; era considerato luogo d’elezione per l’avanguardia nell’ambito della musica e del teatro. Oltre alla musica e al teatro la programmazione offriva contaminazioni fra diversi linguaggi in continuo scambio tra una dimensione dell’architettura utopica, concettuale e le arti visive, insieme al cinema, la danza, la cultura dei media, la body art, i cartoons, la video art, la Pop Art, l’arte povera. Alla fine del 1969 ospitò Dario Fo, Julian Beck e Judith Malina (Living Theatre). 5 Firenze: troppo tardi per essere salvata? in Casabella n.382. Il ruolo del centro storico nella progettazione a scala territoriale in una proposta di Alberto Breschi, Giuseppe Cruciani Fabozzi, Marco Dezzi Bardeschi, Roberto Pecchioli, Silvano Salvatori; Remo Buti (modello), Massimo Becattini (fotografia), Gaetano di Benedetto (ricerca storica), Gigi Gavini e Carlo Maltese (grafica)- Partecipazione al “Concorso nazionale di idee per la sistemazione dell’area comprendente la Fortezza da Basso e l’area destinata a palazzo di Giustizia”.

e nel 1973 la partecipazione al Concorso internazionale A.D.I., “La città come ambiente significante”.6 A queste si aggiunge, dal 1972 fino al 1978, uno studio e un progetto impegnativo che riguardava il complesso di sant’ Orsola nel quartiere di san Lorenzo a Firenze per la realizzazione di un Centro di servizi e di attrezzature culturali e ricreative per l’Università e la città.7 La partecipazione al concorso del 1972 nacque dall’incontro del gruppo Zziggurat con Giuseppe Cruciani Fabozzi e Marco Dezzi Bardeschi con il progetto “Florence, too late to be saved?” dove confluirono, e si scontrarono integrandosi, gli studi di carattere storico-critico con le nostre esperienze più radicali. Questo connubio abbastanza inconsueto ci permise di immaginare Firenze da un punto di vista assolutamente alternativo alle politiche conservative dell’urbanistica di quel periodo. In particolare di fronte alla percezione di un centro storico alienato e cristallizzato negli usi, ne contrapponemmo, provocatoriamente, come era nella prassi di quel periodo, uno più vitale in cui storia, memoria e progetto coesistevano per un uso della città libera da ogni condizionamento di carattere normativo e funzionale. Fu presentato dunque un progetto che voleva essere “… un atto di sfiducia di un certo realismo che, fatto di compromessi di altri compromessi finisce regolarmente per avallare lo ‘status quo’ …. ritenendo che la diffusione di una descrizione di urbanistica alternativa potesse conseguire un grado di realtà e concretezza progettuale (almeno come catalizzatore nelle coscienze di desideri e rivendicazioni) … ” . La proposta prevedeva di ricostruire le nuove mura nel ricordo dell’immagine settecentesca di Firenze dello Zocchi, all’interno di un territorio segnato dalla centuriazione romana, nuove mura in cui concentrare ogni funzione direzionale e preservare così l’interno come una nuova “ città proibita”, in gran parte rappresentata dagli antichi insediamenti religiosi di cui si rivendica non solo la loro liberazione da ogni funzione incongrua ma anche la loro riammissione nel circuito urbano finalmente disponibile a ogni utilizzazione alternativa.

… Le alienazioni dei beni ecclesiastici e in particolare dei complessi conventuali dentro la città operate dalle riforme leopoldine (1785), dalla gestione napoleonica (1808) e dal nuovo stato unitario (1865), hanno dato esito a un ‘blocco’ di cospicue parti del tessuto e delle emergenze urbane rivendicandone, attraverso la mediazione dell’autorità statale, l’uso alla collettività. In effetti l’inserimento di precise tipologie (caserme, scuole, carceri, ospedali, etc…,) e l’avocazione quindi a funzioni proprie delle istituzioni della ‘società civile’, nel momento in cui preservava tali episodi nella loro dimensione di contenitori pur degradandone e dissacrandone le strutture interne, scorporava tali ‘preesistenze’ dall’ambiente contiguo cui si riferivano, alienandole alla fruizione quotidiana della popolazione dei quartieri e della città.

Il progetto era chiaramente una provocazione volta a trasmettere un messaggio forte con-

6 La città come ambiente significante, A.D.I. Concorso internazionale 1973 -1° premio ex-equo. A. Breschi, A. Bagnoli, A. Bigi, G. Bigotti, F. Ferrari, M. Tozzi. In Casabella 372 e Domus 554. Il destino della città contemporanea si gioca fra le polarità contrapposte della perdita di sé nella naturalizzazione artificiale di realtà che si produce come giungla d’asfalto. 7 Una proposta per il recupero di funzioni urbane nel centro storico, Giovanni Bacciardi, Alberto Breschi, Carlo Clemente, Roberto Pecchioli, Edizioni CLUSF Cooperativa Editrice Universitaria Firenze, 1973.

1972 Concorso nazionale di idee indetto dal Comune di Firenze per la sistemazione dell’area comprendente la Fortezza da Basso e l’area destinata a palazzo di Giustizia a Firenze.

‘La città di foglie’ da: 1973 “LA CITTÀ COME AMBIENTE SIGNIFICANTE”. A.D.I. Concorso internazionale.

1973 “Una proposta per il recupero di funzioni urbane nel centro storico“, Edizioni CLUSF Firenze, Giovanni Bacciardi, Alberto Breschi, Carlo Clemente, Roberto Pecchioli.

Da: Florence too late to be saved? Concorso nazionale di idee, 1973. Progetto di Alberto Breschi, Marco Dezzi Bardeschi, Giuseppe Cruciani, Roberto Pecchioli. L’area compresa fra il Mugnone ed il viale Spartaco Lavagnini, cioè la spina di edifici prevista dal Poggi a correre dalla Fortezza a piazza della Libertà a Firenze, viene interamente demolita per dar luogo ad un segmento delle nuove “mura” di contenimento e di drenaggio. Tale fascia è costituita dalla “collina” naturale-artificiale in cui, limitatamente alla porzione esterna, trovano posto due tipi di attrezzature: A - una griglia tecnologica polifunzionale (supporto fisso di spazi variabili) denuncia verso la città esterna il “fuori scala” nel senso della continuità orizzontale dell’intervento ed è destinata a drenare l’afflusso dalla conurbazione e ad alloggiare temporaneamente tutte le attività di servizio espulse dal centro.

G.Zocchi. Elaborazione su ‘veduta’ di Firenze dal convento dei Cappuccini di Montughi, 1758 AMFC. sistente nell’ipotizzare interventi di rivitalizzazione attraverso la liberazione di importanti complessi storici, con la loro dismissione da funzioni incongrue e superate (l’ex Manifattura Tabacchi di sant’ Orsola, le strutture carcerarie di santa Teresa, santa Verdiana e delle Murate) e destinandoli gradualmente ad altre che andavano da quelle più organiche e strutturali quali le sedi universitarie, fino a quelle attività ancora da definire ma lasciate all’interpretazione di movimenti giovanili per una libera espressione di creatività (arte, spettacolo, etc.). Da questa esperienza nacque il mio interesse per le grandi potenzialità del recupero dei grandi complessi conventuali reinterpretandone innovativamente spazi e utilizzazioni. Con il progetto vincitore presentato con il gruppo Zziggurat al Concorso internazionale del 1973 “la città come ambiente significante” promosso dall’A.D.I., fu possibile portare avanti una lettura ancora più radicale della città con la proposta di una visione del Centro Storico come sorta di parco naturale, contrapposto all’informe città metropolitana delle aree periferiche. Il punto di partenza era che la Firenze che lo Zocchi ci mostrava ai margini di una campagna ancora segnata, nel suo ordine cartesiano, dalla griglia territoriale romana, non esisteva più e la struttura fisica del territorio della piana, da Firenze a Prato fino a Pistoia, compresi i centri storici minori, fino alle pendici collinari dove si avvertivano i primi segni di erosione, veniva sostituita da una nuova natura, una diversa dimensione che alterava i rapporti e dava nuovi significati alle relazioni tra le parti: il continuum ininterrotto dell’area metropolitana.Nella convinzione del gruppo tale processo avrebbe finito per tradurre l’eccezione in regola geomorfologica e determinato la saldatura dei nuclei urbani, dando luogo a una configurazione di tipo “alluvionale”, secondo direttrici che avrebbero lambito, pur con diversa aggressività, le colline circostanti. Ma è proprio questa nuova e opprimente configurazione che riassegnava ai centri storici una diversa identificazione e, per paradosso, recuperava loro proprio ciò che avevano perduto: la riconoscibilità. Essi ci sarebbero apparsi non più come pieni, ovvero punti singolari di “accumulazione” artificiale, bensì come vuoti, come “isole” disperse all’interno della conurbazione indifferenziata, la cui controforma appariva in definitiva come un paesaggio di terre emerse da una superficie alluvionale. Nel corpo ininterrotto della non-città, nella “marea di cemento” che satura lo spazio, occorre allora tornare a “tracciare”, e in alcuni casi non solo concettualmente, un “perimetro” come delle dighe con cui contenere l’invadenza iconoclasta delle periferie. I nuovi perimetri potevano racchiudere “parchi” di riequilibrio storico e “parchi” di riequilibrio ecologico. Questi ci apparivano come complessi monumentali, “architettonici” o “naturali”, secondo le vecchie categorie, “boschi sacri” isolati dal contesto indifferenziato e contrapposti dialetticamente a esso. Le nuove “isoipse” del territorio risultavano composte in definitiva dall’insieme dei perimetri dei parchi; le quote massime di questo sistema semantico e ambientale, si avevano in corrispondenza delle sedimentazioni storiche, autentiche cittadelle della “memoria collettiva” come elementi la cui complessità li aveva preservati dalla completa metabolizzazione da parte della città totale, e da cui era possibile partire per la “ricolonizzazione” dell’ambiente circostante.

Le isole erano i centri storici di Firenze, Prato, Pistoia come anche i centri storici minori, e il loro futuro si sarebbe giocato tra due destini opposti: o “parchi museo” devitalizzati e mera rappresentazione teatrale, a volte grottesca a volte tragica, oppure ancora struttura pulsante di vita capace di irradiare al suo esterno valori identitari di innovazione in cui si sarebbero potuti riconoscere gli abitanti della piana. Specialmente Firenze,“corpo unitario”, espressione di una sovrapposizione di tessuti e organismi, di tipi e controtipi, come un organismo architettonico fornito di durata e significato, con monumenti che avrebbero avuto il ruolo di nuclei generatori dello spazio urbano. Questo principio di metamorfosi della forma urbana, prodotto dell’accumulo di modificazioni, completamenti, ampliamenti o riduzioni di alcune significative permanenze, si radica nella “memoria collettiva” degli abitanti che finiscono per identificarsi con la forma stessa della città che assume, nel suo insieme, il significato e il valore di un’opera d’arte alla base del senso di appartenenza e partecipazione.8 Nel 1973, e fino al 1978, ebbi occasione di lavorare al progetto di recupero del complesso di sant’Orsola. Con quell’esperienza mi fu possibile una metodologia di intervento per il centro storico che non lasciasse alle politiche della sola conservazione il destino della città, politiche che, nel mantenere integra la fisicità delle sue componenti (case e palazzi), niente avrebbero potuto contro la corruzione dei contenuti seguita al dilagare del turismo di massa e con le nefaste conseguenze. Consapevoli che quel progetto di riconversione avesse le potenzialità di innescare un processo di rigenerazione urbana per l’intero centro storico della città, allargammo lo studio all’intero comparto dell’area oltrarno fino alla cerchia dei viali, e inserimmo il progetto in un’ipotesi che

8 I centri storici di Firenze, Prato, Pistoia ma anche piccoli enclave dei comuni minori sono forme difficili che rifiutano l’assorbimento nel circostante funzionalismo della città caotica e si prestano ad operazioni di recinzione da cui partire per un processo di “neo-urbanizzazione” dell’ambiente. Per questi la proposta è di svuotarli di tutte le attività istituzionali. In una città deserta infatti si ricrea il “silenzio”, supporto essenziale di ogni comunicazione L’abolizione delle attività fisse di qualsiasi genere, che avranno ormai saturato lo spazio esterno, renderà per contrasto queste oasi luoghi desiderabili e frequentati più di ogni altro. D’altra parte i moventi di tale desiderabilità non possono catalogarsi se non come negativo delle repulsioni generate dalla città esterna. non si tratterà quindi né di integrazione funzionale, né di complementarietà. si tratterà di luoghi “contrapposti”; luoghi per i quali la logica esterna non prevede spazio né tempo: non luoghi dove si va la domenica, ma dove si scappa.

La città di foglie - dalla “Città come ambiente significante” Concorso internazionale ADI, 1973. Progetto di A. Breschi, A. Bagnoli, A.Bigi, G.Bigozzi, F.Ferrari, M.Tozzi. Il destino della città contemporanea si gioca fra le polarità contrapposte della perdita di sé nella naturalizzazione artificiale di realtà che si produce come “giungla di asfalto”, “selva di grattacieli”, “marea di cemento” e quella della propria rifondazione come rintracciamento di un limite perimetrale di attrezzature come nuove mura attorno al proprio nucleo storico investito da natura vera, quale atto di re-identificazione antropica dello spazio per l’avvio di un processo di neo-urbanizzazione dell’ambiente. Se la giungla che ha coperto il pianeta è di asfalto, in mezzo ad essa può sorgere una città di foglie.

Giungla d’afalto. L’area metropolitana, di Firenze-Prato-Pistoia.

‘Un’isola all’interno della marea di cemento’. Il centro storico di Firenze circondato e presidiato dalle ‘nuove mura’.

Progetto di trasformazione del complesso di Sant’ Orsola, da: Una proposta per il recupero di funzioni urbane nel centro storico, Edizioni CLUSF Firenze, 1973.

collocava il recupero del manufatto ottocentesco in un progetto più esteso a livello urbano facendo intereagire vecchio e nuovo in una metamorfosi tendente all’affermazione di un segno innovativo nella forma e nei contenuti. Questo era il tema urbanistico e architettonico, concept del progetto, che anche anni dopo, nel 2005 venne, ripreso per la partecipazione al concorso internazionale per piazza Annigoni. La proposta di allora individuava un disegno organico per una porzione significativa del centro storico in cui si collocavano le potenzialità espresse da strade e piazze, grandi contenitori storici, vuoti urbani e giardini. Un dato importante che riguarda l’organizzazione dei vuoti interni agli edifici emerge con chiarezza osservando i due sistemi di sant’Orsola - piazza del Mercato - mercato di San Lorenzo e il grande isolato di santa Maria Nuova - piazza Brunelleschi - santa Maria degli Angeli. Questi due sistemi rilevanti per i valori storici-monumentali e per l’attuale destinazione pubblica (commerciale, universitaria, ospedaliera) sono le testate di un semicerchio formato dalla successione straordinaria di chiostri, piazze e cortili interni.

Questo grande arco parte dal vasto isolato che comprende i chiostri e i cortili dell’ospedale di santa Maria Nuova, dei Dipartimenti della Facoltà di Lettere e della Biblioteca Umanistica, racchiude con la “stecca” di via del Castellaccio, piazza Brunelleschi, si attesta al Centro Linguistico della Rotonda brunelleschiana e si congiunge verso il Duomo sul tracciato della penultima cerchia di mura; l’arco continua, attraverso la breve via dei Fibbiai, in piazza della santissima Annunziata con i porticati ed i chiostri dello Spedale degli Innocenti e della Chiesa della Santissima Annunziata, per via della Sapienza (oggi via Battisti), si immette in piazza san Marco a sua volta circondata da edifici che racchiudono chiostri e sistemi di chiostri.

Tavola di sintesi Tratta da: Una proposta per il recupero di funzioni urbane nel centro storico, Edizioni CLUSF Firenze, 1973 I sistemi sant’Orsola - Mercato S. Lorenzo (A) con l’isolato di santa Maria Nuova (B) costituiscono le testate dell’arco formato dalla distribuzione dei Tavola di sintesichiostri intorno alle piazza san Marco e santissima Annunziata Sistema delle piazze alberate I sistemi S.Orsola - Mercato S. Lorenzo (A) con ottocentesche: piazza Indipendenza - l’isolato di S. Maria Nuova (B) costituiscono le piazza D’Azeglio. testate dell’arco formato dalla distribuzione Sistema dei giardini che ha come testate dei chiostri intorno alle piazza S.Marco e SS. il giardino della Vasca della Fortezza da AnnunziataBasso (1) e piazzale Donatello (2) Semi triangolo formato da: via Faenza, Sistema delle piazze alberate ottocentesche: Borgo Albizi - via Pietrapiana e via piazza Indipendenza-piazza D’Azeglio Guelfa-Alfani-Pilastri; quest’ultime assicurano il collegamento con i due punti forti a scala urbana: Fortezza da Sistema dei giardini che ha come testate il Basso (a) e piazza Beccaria. giardino della Vasca della Fortezza da Basso (1) e Piazzale Donatello (2) Collegamento dell’area di studio con il “terzo punto forte”: Piazza della Libertà-Parterre

Viali

Semi triangolo formato da: via Faenza, Borgo Albizi-via Pietrapiana e via Guelfa-Alfani-Pilastri; quest’ultime assicurano il collegamento con i due punti forti a scala urbana: Fortezza da Basso (a) e piazza Beccaria (c)

Proseguendo per via degli Arazzieri con il grande chiostro di santa Apollonia, l’arco si ricongiunge, per via santa Reparata, al complesso di sant’Orsola con il chiostro cinquecentesco e il grande cortile dell’orologio AMATA-breschi 8-29.indd 17e finalmente si riattesta verso il Duomo attraverso i cortili interni della stecca residenziale di via Taddea e il sistema esterno/interno del Mercato di san Lorenzo. Le due grandi piazze alberate ottocentesche di Firenze interne ai viali (piazza Indipendenza e piazza d’Azeglio) esaltano ulteriormente la simmetria dell’impianto urbanistico e hanno un collegamento viario diretto che, in posizione mediana, si incerniera sull’arco descritto, nel sistema costituito da piazza san Marco e piazza santissima Annunziata. L’insieme dei grandi giardini della Gherardesca, dei Borghesi e dei Semplici, comprendendo anche il giardino di san Clemente e quello retrostante dello Spedale degli Innocenti, si raccoglie intorno ai due assi viari di via Lamarmora e via Capponi che garantiscono un collegamento diretto con “l’arco dei chiostri e delle piazze” completando il disegno del sistema urbanistico.9

Conseguentemente la proposta architettonica scaturita da questa impostazione urbanistica non fu un progetto ex-novo, ma un progetto di trasformazione per restituire alla città non solo un organismo di rilevanza storica ma anche la continuità della sua crescita storica

…. In questo senso la creazione di una nuova spazialità o meglio la trasfigurazione dello spazio esistente, non è fine a se stessa ma è volta ad aderire (o anche a suscitare) alla crescita di quei momenti organizzativi preminenti nella vita della città e portatori di concezioni culturali aperte e innovative, che non troverebbero adeguata espressione altrimenti. …

9 Giovanni Bacciardi, Alberto Breschi, Carlo Clemente, Roberto Pecchioli – Una proposta per il recupero di funzioni urbane nel centro storico, Edizioni CLUSF Cooperativa Editrice Universitaria Firenze, 1973.

Modello per la partecipazione al concorso internazionale del 2006. Vista sull’edificio a margine di santa Verdiana.

Negli anni a seguire ambedue le proposte, quella urbanistica e quella architettonica, sono state prese a riferimento concettuale per studi e progetti10 che hanno permesso di approfondire le tematiche del recupero in generale nei rapporti con il contesto. Il progetto presentato al Concorso del 2006 fa propri questi assunti teorici e pur non essendo, del tutto un progetto di recupero, affronta il tema del ‘nuovo’ come parte integrante del contesto (il complesso conventuale di santa Verdiana, la piazza e i box di largo Annigoni, l’edificio de La Nazione) inserito in un processo di metamorfosi permanente. I due assunti metodologici che derivano da quelle esperienze, sono riassumibili nel riuso della preesistenza come riconversione innovativa, e nel coinvolgimento con il tessuto contestuale come relazione di interscambio. Il primo sanziona la convinzione che il ‘riuso’ debba essere perseguito esclusivamente secondo i procedimenti del restauro conservativo, ma debba prevedere anche una molteplicità di modalità d’intervento - ri-

10 Il testo Amata Citta’ di Alberto Breschi con contributi vari, pubblicato nel 2010 raccoglie progetti del sottoscritto e collaboratori che comprende anche parte di una ricerca finanziata dal Comune di Firenze nel 2008 “Il recupero del Centro Storico fra innovazione e conservazione: progetti pilota di attrezzature collettive per strutture integrate di residenza e servizi” (12).Il testo raccoglie anche parte della Convenzione di ricerca “Un parco tematico della residenza a Firenze” 1998/99 - tra il Comune di Firenze e il Dipartimento INDACO del Politecnico di Milano – prof. Andrea Branzi e arch. Barbara Camocini – e Dipartimento di Progettazione della Facoltà di Architettura di Firenze – prof. Alberto Breschi e arch. Giovanni Todesca. Era intenzione dell’Amministrazione dare luogo a una nuova fase della politica urbana dedicata allo sviluppo dell’Accoglienza da parte della città; “Accoglienza”destinata non soltanto al turismo e ai residenti, ma a chiunque, per motivi di lavoro o privati, fosse interessato ad abitare (provvisoriamente o a lungo) a Firenze. Da queste considerazioni è nata un' iniziativa che si inquadra nelle linee generali del nuovo Piano Strutturale e che per le sue componenti immobiliari, politiche e sociali, è destinata a rinnovare la forma (e soprattutto le funzioni interne) della città; si tratta infatti di un programma che non prevede nuove edificazioni, ma piuttosto una politica organica di recupero e ri-funzionalizzazione di spazi interni esistenti, quali: recupero di grandi contenitori storici dismessi (o in via di dismissione) che si trovano nel centro storico di Firenze, destinati a ospitare nuove funzioni miste, tra le quali la residenza; • recupero di alcune fabbriche abbandonate destinate a essere trasformate in nuovi spazi di residenza (anche per artisti); • trasformazione di strutture terziarie dismesse da destinare a nuove tipologie di residenza; ristrutturazione di vecchi quartieri popolari che necessitano di nuove tipologie residenziali e di nuovi servizi connessi.

pristino, consolidamento, ristrutturazione, demolizione, ricostruzione - che riconfigurino la spazialità del luogo reinterpretandone i valori originari e la sua storia, per coinvolgerla in una effettiva rivitalizzazione, oltre la museificazione semplicistica o cosmesi epidermiche. Il secondo nasce dalla convinzione che nella città non esistono singoli oggetti di architettura, ma tessuti appunto, relazioni, vincoli dialettici: ogni progetto di architettura - nuova o di riuso - è sempre un progetto di morfologia dell’architettura che consiste, competitivamente, nell’esaltazione, anche linguistica, delle sue parti costitutive e delle loro relazioni: è insomma l’esaltazione del ‘rapporto’ tra gli elementi, del carattere complesso, ‘urbano’ dell’architettura, anche quando si tratti di un singolo edificio o si concentri nel ‘vuoto’ di un puro contenitore. Oggi questo approccio è importante proprio per città come Firenze, percepita solo come città-museo, luogo in cui l’attività umana risulta paradossalmente contratta. L’impossibilità di usare, di abitare, di fare esperienza ha il suo luogo topico nel museo e la museificazione del mondo pare oggi una condizione acquisita. Il Museo si identifica con l’intera città – così Venezia e Firenze dichiarate dall’ Unesco patrimonio dell’umanità – e non designa un luogo o uno spazio fisico determinato, ma drammaticamente “la dimensione separata in cui si trasferisce ciò che un tempo era sentito come vero e decisivo, ora non più”.11 Una città con una marcata impronta storica, dunque Firenze, non è soltanto le sue pietre, i palazzi prestigiosi o le chiese straordinarie, e neppure soltanto la sua storia, ma anche e soprattutto la comunità che la abita, la possiede e ne ha cura, che ne custodisce la memoria e il significato e pensa quel significato costantemente aggiornato all’epoca attuale. Amare questa città (anche in relazione alla dimensione metropolitana) significa sentirne la comunità e concepire una contemporaneità contestualizzata, un oggi plausibile, contraddittorio proprio perché plausibile. Firenze è un luogo da vivere e accrescere di opportunità relazionali e le sue architetture sono le occasioni , anche espressive, che le rendono possibili. La Firenze che vorrei è quella che in molti avremmo in mente: una città “umana” sia per i residenti che per i turisti, una città economicamente plurale e variata, non consegnata soltanto alla motilità pendolare e al commercio minuto e bancarellaro; una città che affianchi alla natura espositiva, all’andamento precario e giornaliero, anche una natura produttiva di servizi, incentivando l’insediamento e la residenza. La Firenze del domani si dilaterà certamente in un’area metropolitana sempre più vasta e il centro storico la rappresenterà per intero soltanto se, come “città d’arte’’, riconosciuta “eccezionale” dal mondo intero, saprà far sopravvivere al suo interno una città dinamica nella forma e vivibile per i suoi abitanti.

11 Giorgio Agamben – “Profanazioni” Edizioni Nottetempo, Roma 2005.

2006/2011 Dal concorso internazionale alla progettazione

Alberto Breschi, Guido Ferrara. Nicola Ferrara, Barbara Lami, Eva Parigi, Giovanni Todesca, Matteo Zetti

•Progetto 1° classificato al concorso internazionale •Il luogo del progetto, piazza Ghiberti e le aree limitrofe •Dal progetto preliminare al progetto definitivo del nuovo mercatino antiquario •Dal progetto preliminare al progetto definitivo dell’edificio a margine di santa Verdiana