13 minute read

Creatività e solidarietà: libri, poesie, racconti

46 | Società Solidale | N. 3 / 2020

CREATIVITÀ E SOLIDARIETÀ CREATIVITÀ E SOLIDARIETÀ: LIBRI, POESIE, RACCONTI

Advertisement

Sulle pagine di Società Solidale diamo spazio alla creatività della solidarietà. Pubblichiamo poesie, segnalazioni di libri, racconti inviati dai volontari o che trattino temi relativi al non profit. Su questo numero la fiaba di Fiorenza, presidente dell’associazione Fate gli gnomi.

I CONTABILI DELLE FOGLIE

Un fiume pulito e ricco di acque divideva fra loro due regni, entrambi belli, rigogliosi e verdi di prati e di boschi. Governavano i regni due sovrani orgogliosi delle loro terre prospere e fertili. I re erano amanti della pace e avevano consolidato fra di loro dei buoni rapporti. Ma re Bard si era innamorato della quercia di re Silvan e ne era invidioso. Perché si può competere sulla ricchezza di un castello, sull’abilità nel costruire un ponte o sulla magnificenza di una festa, ma come si può andare alla pari con una quercia, che ha bisogno di secoli per diventare immensa e possente? Collocata al centro di un prato proprio davanti al castello, la quercia di re Silvan era ammirata e famosa. Mai si era vista, a memoria d’uomo, una pianta così così grande e spesso il re ospitava sotto le sue fronde banchetti per i nobili, ma anche balli e canti del popolo. Quando Bard veniva in visita, Silvan non mancava mai di accompagnarlo a cavallo e di fermarsi presso la quercia, fingendo di non notare la sofferenza di Bard, che tanto ci pativa. Bard aveva uno scudiero che gli era gradito, un ragazzo bruno e intelligente, attento a tutto e di modi educati. A volte il re parlava un po’ con lui, perché era tanto saggio da dargli anche qualche consiglio, essendo dotato di un buon senso popolano e semplice che spesso a corte mancava. Il ragazzo si chiamava Carl e nessuno come lui poteva dire al re se sarebbe piovuto il giorno dopo oppure no ed altre cose alquanto utili da sapere. Un mattino il re si lasciò scappare un sospiro e manifestò a Carl il suo dispiacere: «Che cosa darei per avere una quercia grande come quella di re Silvan!» disse. Carl aveva modi pacati ma cervello veloce e gli vennero in mente subito due cose: che in realtà Bard una quercia così grande ce l’aveva e che lui avrebbe saputo bene che cosa chiedere al re in cambio di questa quercia, ma si trattava di un dono talmente grande che era da pazzi chiederlo. Carl si era innamorato della figlia minore del re e non riusciva a togliersela dalla testa. La ragazza aveva lunghe trecce rosse e lo scudiero aveva incominciato ad ornare i cavalli con trecce simili, alla coda e alla criniera. Il re aveva gradito la cosa e non sospettava che Carl

pensasse in realtà solo alle trecce di sua figlia. Dopo la confidenza del re, Carl si prese un po’ di tempo per riflettere. Poi disse: «Maestà, scusate il mio parlare, ma veramente voi dareste qualunque cosa in cambio di una quercia come quella di re Silvan?». «Qualunque cosa che io potessi dare!» rispose il re. «Maestà, io posso darvi questa quercia, ma il dono che vorrei chiedere in cambio è talmente grande e al di sopra di ogni giusta ragionevolezza che le mie labbra non osano esprimerlo». Il re rimase sbalordito. Guardò il ragazzo e disse: «Che storia è mai questa? Come puoi tu darmi una quercia e che cosa vorresti in cambio?». Carl arrossì: «Maestà, la quercia è già vostra, da sempre, ma solo io conosco il luogo in cui si trova. Ed è vostro da sempre il dono che, se potessi osare, il mio cuore impudente vorrebbe chiedere». Il re era senza parole dallo stupore. Infine disse: «Dunque nel mio regno c’è una quercia grande come quella di re Silvan,? E tu sai dove si trova? Voglio andarla a vedere subito, e onorerò la mia parola, dandoti in cambio quello che vorrai». Partirono e Carl condusse il re lontano, verso un luogo in cui la vegetazione selvatica aveva da tempo reso un bosco inaccessibile. Lì giunti, non si riuscì però ad entrare perché i rami e le spine strappavano i vestiti e ferivano i cavalli. Re Bard dovette frenare la sua impazienza e tornarono sul posto il giorno dopo, con alcuni uomini che aprirono loro un sentiero. Dopo ore di attesa, di lavoro e di lento procedere, riuscirono finalmente a raggiungere la quercia e per il re fu come raggiungere il suo cuore, la cosa più sognata. Al centro di una radura si ergeva la quercia più maestosa, più massiccia e imponente che si potesse immaginare. «Questa è più grande di quella di re Silvan!» esclamò il re che pareva impazzito dalla gioia e si era al momento dimenticato di quello che avrebbe potuto chiedere Carl in cambio. Nei giorni seguenti a corte e in tutto il regno non si parlò di altro che della quercia. La gente del popolo si recò a vederla, il re trascinò sul posto tutti i ministri e i cortigiani e chiunque gli capitasse a tiro e tutti affermarono che la quercia era più grande di quella di re Silvan. Bard era felice, e ancora non gli veniva in mente che avrebbe dovuto fare un dono a Carl. Se ne ricordò un mattino, vedendo che il ragazzo pareva triste e immerso nei suoi pensieri. Gli tornò in mente la sua promessa e rise, siccome era molto di buon umore: «Ragazzo, cosa temevi, che mi fossi dimenticato che ti devo qualcosa? Dimmi su dunque, che cosa vuoi?». Carl si sentì avvampare e non riusciva a rispondere: «Maestà, non oso chiedere...». «Basta! Ti ordino di parlare e di chiedermi quello che vuoi!». «Maestà, io oso avere in mente una sola cosa da tempo ed è vostra figlia Carlotta» sbottò finalmente Carl Fu il re adesso a sentirsi avvampare: «Mia figlia! Tu...mia figlia?». La cosa era troppo enorme, inaudita. La mano gli corse istintivamente alla spada e Carl arretrò, spaventato. Fu un momento che parve eterno, poi il re si calmò e riuscì a pensare. Aveva avuto cinque figlie. Una l’aveva sposata al re di Francia, l’altra al re di Spagna, la terza al principe di Turlandia, la quarta al sultano dell’ Impero dell’ Asia. La minore non l’aveva ancora chiesta nessuno e non era una gran bellezza. Ma...una cosa simile, si poteva fare? Il re era vedovo e non avrebbe neppure dovuto consultarsi con la regina. Alla fine disse: «Manterrò la mia parola e avrai mia figlia, ma a due condizioni: che mia figlia sia contenta e che la mia quercia sia ufficialmente dichiarata da tutti più grande di quella di re Silvan! Intanto ti nomino marchese, così se dovrai sposare la principessa non sarà una cosa disonorevole per nessuno». Così Carl fu nominato marchese e gli fu assegnata una tenuta con una fattoria e dei campi, la tenuta di Pratobello. La notizia della quercia arrivò alle orecchie di re Silvan che non ne fu contento e non gli giunse inaspettato l’invito di re Bard che lo pregava gentilmente di onorarlo della sua presenza per un banchetto. Ci andò, con tutta la sua corte, e già sapeva come sarebbe andata a finire. Erano gli ultimi giorni di maggio, il cielo era azzurro, la natura incantevole con la sua magnificenza di erbe e di fiori, e re Bard aggregò tutti i suoi ospiti in una carovana per andare a vedere la sua quercia. Quando re Silvan la vide ci rimase male e disse: «Caro Bard,

N. 3 / 2020 | Società Solidale | 47

si potrebbe dire che le nostre due querce paiono quasi gemelle, ma la mia è certamente più grande!». Re Bard si oscurò, ribattendo: “Questo ancora non si sa, chi lo può dire, non le abbiamo ancora messe a confronto». Al nuovo scudiero del re scappò da ridere e nascose la faccia fingendo un colpo di tosse, pensando a come si potesse fare a mettere a confronto due querce lontane fra di loro. «Alla base del tronco la mia misura tre uomini con le braccia allargate e un cavallo... », insistette re Sivan. «A parte che il cavallo non conta», disse re Bard, «la base del tronco non è tutto, bisogna considerare l’altezza, l’ampiezza della chioma, il numero e la grandezza dei rami...». Allo scudiero scappava sempre da ridere e dovette allontanarsi fingendo ancora di tossire. I due re, con l’appoggio delle rispettive corti, arrivarono alla conclusione che le due querce si dovessero misurare in qualche modo per stabilire una volta per tutte e di fronte al mondo quale fosse la più grande. Sul modo di misurarle non se ne veniva a capo. I sovrani si erano infervorati e stavano perdendo il lume della ragione. Qualche ministro propose di convocare degli esperti e di lasciar fare a loro una valutazione. Ma chi erano questi esperti? Forse chi doveva acquistare un albero per farne una nave, o una casa, o legname da rivendere, e doveva decidere il prezzo da offrire in base al presunto volume dell’albero? Forse loro. E nei giorni seguenti non si perse tempo e fu convocato addirittura il capomastro di un cantiere navale, che fu fatto venire da un regno abbastanza lontano che si affacciava sul mare, a spese equamente divise tra i due contendenti e sicuramente non di parte. Il capomastro si studiò ben bene le due querce, con i due re ansiosamente al seguito. Alla fine concluse: «Difficile dire. Una valutazione esatta è impossibile. I due alberi paiono quasi gemelli e forse hanno la stessa età. Per poter dire con sicurezza quale sia il più poderoso, bisogna abbatterli, vedere così quanti anni hanno e poi pesare il legname. Solo così si potrà dire». A questo punto, la ragionevolezza se n’era andata da un pezzo dall’animo dei due regnanti e concordarono

48 | Società Solidale | N. 3 / 2020

rabbiosamente: bisogna abbattere, e allora abbattiamo! Lo scudiero non rise più, angosciato, torvo torvo, appena finito il suo servizio andò a trovare il marchese di Pratobello, cioè Carl, che era suo amico e che non si era affatto montato la testa con il suo marchesato. Gli riferì la faccenda e Carl ne fu alquanto turbato. C’era con lui la madre, già anziana, contadina che aveva vissuto fra i pascoli e i campi e conosceva il valore delle cose. «I potenti non sanno amministrare i doni di Dio», disse la donna. «Pensano solo a se stessi e distruggono con noncuranza quello che la terra ha impiegato secoli a realizzare. Carl, figlio mio, tu hai sempre avuto una testa fine e il re ti stima. Vai dunque a parlargli, fatti venire in mente qualcosa!». Carl andò dal re, pensando e pensando finché un’idea gli venne, alquanto bislacca e strana, ma sarebbe perlomeno servita a prendere tempo, in attesa che ai sovrani tornasse la ragione. Il marchese si presentò al re e gli disse: «Maestà, abbattere le querce è un peccato! Io vi chiedo di ascoltare l’idea che mi è venuta, che potrebbe piacervi e forse risolvere la cosa». Il re gli disse di parlare e Carl proseguì: «Arriverà l’autunno e le querce perderanno le foglie. Ad una ad una cadranno al suolo. Se un gruppo di contabili fosse sempre presente sul posto, se riuscissero a contarle tutte, alle fine la pianta che ne avrà perse di più potrà sicuramente essere considerata la più grande, non si può sbagliare». L’idea era talmente folle che al re piacque. Piacque pure a re Silvan e i due si trovarono d’accordo. I contabili dovevano essere stranieri, imparziali, e ci fu tempo fino all’autunno per cercarli e convocarli, a spese equamente divise tra i due sovrani. Vennero in tanti, perché ce ne volevano parecchi. Si fecero le cose per bene. Ogni contabile aveva, intorno all’albero, un suo pezzo di suolo ben delimitato e doveva contare, con l’aiuto di un ragazzino che faceva da supporto, le foglie che cadevano nel suo pezzo. Quando l’autunno incominciò a spogliare le piante i contabili furono al lavoro ed erano sette per ogni albero, seduti ad un tavolino, con la penna d’oca e un librone. Naturalmente le foglie cadono anche di notte e questo complicava le cose. I più anziani lavoravano di giorno, i più giovani, con la vista più acuta, erano in servizio di notte. Sette contabili giovani davano il cambio ai sette più anziani, quando il sole volgeva al tramonto. Per avere illuminazione, c’erano uomini che reggevano ovunque torce e accendevano piccoli falò, mentre le donne portavano da mangiare e da bere. Insomma, fu un lavoro collettivo che non procedeva male e, per quanto assurdo, sembrava poter dare un buon risultato. Fu lungo, estenuante, faticoso per tutti, tranne che per le querce che dolcemente, senza alcuna premura, persero le loro foglie secondo i loro ritmi naturali e l’aiuto del vento che, per fortuna, non soffiò mai troppo forte. Il tempo asciutto rese la faccenda possibile, ma un giorno Carl si presentò al re Bard e gli disse: “Fra tre giorni pioverà” e il re sapeva che, se lo diceva lui, era sicuro. «Come faremo?», si lamentò il re. «Contare le foglie sotto la pioggia, e specialmente di notte, sarà impossibile. Si spegneranno le torce, come faremo?». Carl si era già preparato la risposta da dare al sovrano, in quanto aveva previsto la domanda. Disse: «Maestà, facciamo tessere delle tele, che saranno come le reti dei pescatori. Lasceranno passare l’acqua e tratterranno le foglie. Saranno posizionate attorno agli alberi ad una certa distanza da terra e dovrebbero essere efficaci». Così fu fatto, e allora tutte le donne a tessere, veloci. Intanto un messaggero portava a re Silvan le notizia e il re accoglieva la proposta e si adeguava facendo tessere a sua volta delle reti. Piovve per due giorni e poi tornò il sereno. Le foglie sulle reti furono scrupolosamente contate e non se perse una. Si tornò a contare con i contabili. Per fortuna il lavoro ormai volgeva al termine, i rami erano quasi spogli. Gli ultimi giorni furono estenuanti e la tensione cresceva. Chi avrebbe vinto la gara, e con quali conseguenze? Naturalmente Carl sperava nella vittoria di Bard, per poter sposare la principessa, se lei l’avesse voluto, ma non era affatto sicuro di come sarebbero andate le cose. Silvan annunciò di aver finito la conta. Due giorni dopo, anche Bard. Si riunirono tutti nel castello di re Bard. I contabili chiesero tempo per trasformare in cifre tutti i segni di vario tipo che avevano sui loro fogli. Ci vollero ancora giorni e dovettero inventarsi dei numeri nuovi, siccome non ne conoscevano abbastanza. Si misero d’accordo e inventarono “il fascione”. Finalmente, nella massima tensione possibile, davanti ai due re e alle loro corti, i rappresentanti dei due gruppi di contabili delle foglie diedero i loro numeri. La quercia di re Bard: un fascione e tredicimila e otto foglie. La quercia di re Silvan: un fascione e tredicimila e nove foglie. A re Bard si fermò il respiro, tutti vociarono, re Silvan esultò. Re Bard si rizzò sul trono e strillò: “Noi non accetteremo di perdere per una foglia! Sarà guerra, la decideremo con le armi!” «No!» esclamò Carl facendosi avanti. «Ho qualcosa da dire! Stamattina sono passato sotto la nostra quercia e ho visto che su uno dei rami più alti, lassù in cima, c’è appesa ancora una foglia!”». Ci fu gran trambusto, corsero tutti a vedere e si, lassù, appena visibile tra i rami, era rimasta appesa una foglia. Carl respirò di sollievo: che cosa sarebbe successo se il vento l’avesse staccata prima che potessero vederla? Una guerra? Una guerra per una foglia? A questo punto non c’erano dubbi sull’assoluta parità del verdetto. Le querce erano davvero gemelle, identiche nel numero di foglie. I re si calmarono, ognuno si ritirò a casa sua e fu come se nulla fosse successo. Salve le querce, salva la gente, e la principessa? Carl non ci sperava più, finché un giorno, e si era ormai in inverno e la neve copriva la terra, re Bard lo mandò a chiamare e gli disse: «Ho parlato con mia figlia e mi ha detto che è contenta. Questa primavera vi sposerete con la mia benedizione. Sono rinsavito, ho riflettuto e ho capito che le due querce gemelle sono un dono del cielo, che ci vuole fra di noi tutti fratelli. Mia figlia non potrebbe avere marito migliore di te, che hai sempre dimostrato sagacia e buon senso e inoltre sai quando pioverà e non è il caso di preparare banchetti all’aperto». Carl si inginocchiò, felice, ed esclamò: «Lunga vita al re, lunga vita alle querce!». Fiorenza Adriano Fate gli gnomi

This article is from: