CLIC-HE' #48 SEQUENZA | LUGLIO 2022

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SEQUENZA

Luglio 2022


Contaldo Responsabile area temi Paolo Sabrina Ingrassia Redattrice area temi Responsabile area recensioni Diego Cicionesi Giulia Sgherri Sandro Bini Alberto Ianiro Paolo

Contaldo

Editore Progetto grafico

Immagine di copertina

Photoeditor Comunicazione Webmaster Grafica Web

Associazione Culturale Deaphoto Niccolò Vonci

Silvia Vespasiani


005 Introduzione alle immagini 006 Photonovel 020 Superficiali, incostanti e relativamente in-differenti 036 Ti ricordi quando... 050 Pneuma 064 Notturno

078 Francesco Jodice Dagli anni ‘90 ad oggi

Paolo Contaldo Alessandro Comandini

Annamaria Di Giacomo Marco Lorini

Silvia Vespasiani Silvia Barp

Davide Tatti


INTRODUZIONE ALLE IMMAGINI


Bianco e nero si inseguono. Nascondono l’uno all’altro le proprie consistenze. Prezioso e delicato il lavoro di Annamaria.

Marco sovrappone. Il passato riempie e ripopola architetture e luoghi della memoria. Capace e potente. Pneuma di Silvia V. costringe lo sguardo. Obbligo alla ripetizione. Respiro e scatto.

Visione notturna. Sequenza immobile di spazi vuoti. Silvia B. sa ben raccontare come la notte sia il luogo differente, altra dimensione.

PAOLO CONTALDO

Da leggere e ascoltare la notte di Alessandro. Puoi sentirne la voce.


PHOTONOVEL 006


ALESSNDRO COMANDINI

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“Una sera” è una “photonovel”, un breve racconto per immagini, il cui stile si ispira a quello dei fotoromanzi degli anni Sessanta e Settanta, periodo nel quale questa forma di letteratura popolare conobbe un successo senza precedenti nella storia dell’editoria. Una storia breve, romantica e cruda al tempo stesso. Da leggere e guardare, al buio.

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Bio:

Ha iniziato a fotografare alle soglie dell’adolescenza, con una Kodak Retinette, e non ha più smesso. Il racconto, la narrazione per immagini, sono una costante nei suoi progetti, nei quali spesso compare come protagonista di storie surreali. L’identità, il tempo, la trasformazione della percezione di sé sono al centro della sua ricerca fotografica. Ispirandosi agli stilemi del fotoromanzo, nei suoi ultimi lavori si diverte ad imbastire brevi racconti fotografici.

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SUPERFICIALI INCOSTANTI E RELATIVAMENTE IN-DIFFERENTI 020


ANNAMARIA DI GIACOMO

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Una serie, un racconto, nato nella mente. Silhouette/impronte di forme/superfici, riflesse/ proiettate, in grado di evocare/creare un intervallo/ un tempo di sospensione/silenzio. Il bianco e nero che cancellano, che disegnano immagini astratte, non volutamente, ma essenziali, in un gioco di simmetrie. Il bianco e il nero, da intendersi anche come i due estremi dello spazio d’azione del suono (Kandinskij - Lo spirituale nell’arte): il bianco tende a dissolvere le risonanze, il nero ad accentuarle sino a raggiungere l’inaudibilità. Si tratta di una riflessione fotografica, che tenta di mostrare il visibile attraverso l’invisibile, della ricerca di luce nel buio, del niente nel troppo. In un gioco enigmatico tra luce e ombra, si palesano vuoti e pieni, nei cui interstizi si immettono spazi sincopati di silenzio e di rumore: l’obiettivo è come rivolto verso l’interno e non verso l’esterno… che diventa quasi un pretesto. Questo lavoro, inquieto, ispirato e necessario, nasce di getto, dopo diverso tempo, vestendosi di una funzione catartica, sinaptica, in cui l’atto di fotografare diventa qualcosa di assoluto, una pratica meditativa che genera scenari rarefatti, silenziosi ed evanescenti, fatti di giochi di rimandi e suggestioni. Nella trama del montaggio visivo catene di figure, unite da sottili corrispondenze, invitano a ricercare in un altrove, oltre limite del rettangolo, tracce di un tempo dilatato. Il bianco (il vuoto, il silenzio) isola ed evidenzia le superfici, come un rallentamento del flusso delle immagini fino al nulla o al contrario come un’accelerazione fino all’annientamento di ogni rappresentazione. Questi scatti che sembrano rimpiangere l’assenza dell’immagine/referente in questo caso ne sottolineano l’inefficacia. 023


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BIO:

Annamaria Di Giacomo vive e lavora a Firenze. Si è formata all’Accademia di Belle Arti di Catania, ma soprattutto ha colto le occasioni di confronto con artisti già interpreti della contemporaneità, nell’ambito di workshop e cantieri d’arte. Dal 2000 ha iniziato le sue esperienze espositive in ambito pubblico e privato, principalmente in rassegne dedicate ai giovani artisti. Nel 2009 ha raccolto riconoscimenti che le hanno permesso di essere presente anche in realtà espositive di ampio respiro. La sua ricerca, sensibile al disegno e all’installazione, attraversa principalmente la fotografia, il video, la videoambientazione. Ha all’attivo diverse esperienze come freelance di: fotografia, video, grafica pubblicitaria ed editoriale. Attualmente insegna Discipline Grafico-Pubblicitarie e Audiovisive e Multimediali presso il Liceo Artistico Porta Romana di Firenze, dopo aver maturato diverse esperienze didattiche in vari livelli e gradi scolastici, tra cui quello accademico (Cultrice della materia per Videoarte presso l’Accademia di Belle Arti di Catania).

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TI RICORDI QUANDO... 036


MARCO LORINI

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Ci sono racconti del passato che rimangono dormienti nella mente ma basta una frase per riportane alla luce piccoli flash. È il caso di una frase di mia madre: “Ti ricordi quando con il babbo e la nonna Teresa siamo venuti a trovarti in colonia? E te, mentre si stava andando via, attaccato al cancello, chiedevi: portami a casa, nonna!”. Di colpo tornano a mente labili ricordi del periodo estivo passato in colonia negli anni ‘60: lo stato d’animo non particolarmente positivo, i momenti della giornata, le attività svolte, gli ambienti frequentati. Tutto ciò ha dato stimolo a voler ricordare fotograficamente le due settimane di colonia estiva.

Il progetto si pone l’obiettivo, tramite scatti realizzati nella struttura che a suo tempo era adibita a colonia estiva e a fotografie d’archivio ritrovate in rete o da parenti e amici, di riportare in vita una storia sociale oltre che personale. Il complesso nelle fotografie, sito sul litorale toscano, a nord di Livorno, ospitava le colonie per i figli dei ferrovieri, poteva ospitare 1500 bambini ed è un chiaro esempio di razionalismo architettonico. Un servizio sociale che, con il raggiunto benessere nella seconda metà del 900, ha perso buona parte della sua importanza. Attualmente è parzialmente ristrutturato e adibito ad appartamenti.

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Bio:

Borgo San Lorenzo (1957). Fotografo dalla fine degli anni 70 iniziando con una fotocamera Nikon FM e finalizzando gli scatti in camera oscura. Dal 2011, avvicinandomi ad un circolo fotografico, ho iniziato a fotografare in modo più consapevole e negli ultimi anni prediligendo fotografia a progetto. Ho partecipato a vari workshop sulla progettazione fotografica, creatività, postproduzione.

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PNEUMA 050


SILVIA VESPASIANI

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Inspiriamo ed espiriamo 12 volte al minuto per 1440 minuti, cioè circa 18000 volte al giorno. Nel respiro la modulazione dell’aria è inarrestabile così come gli innumerevoli movimenti degli occhi che scandiscono il permanere in un luogo negli infiniti passaggi temporali. PNEUMA è stato realizzato dal 25 marzo 2020 al 03 giugno 2020, per una durata complessiva di 70 giorni, durante la prima quarantena nazionale disposta dal Governo italiano a causa della diffusione del Covid-19. Il lavoro si compone di 39 parti. Ogni parte raccoglie una sequenza di 18 fotografie, ordinate dall’alto in basso e scattate nell’arco di una giornata, circa ogni ora. In ogni sequenza si osserva ciò che accade nell’area antistante all’ingresso del condominio. Le persone e gli oggetti in transito vengono registrati pedissequamente, giorno dopo giorno, attraverso un punto di vista zenitale. Il lavoro fotografico restituisce una condizione di presenza costante, una dimensione di necessità ineluttabile che ci impedisce di sottrarci al quotidiano, nonostante tutto, così come è impossibile sottrarsi al respiro continuo e alla ciclicità della luce. La mancanza di prospettiva, la ripetizione ostinata dello stesso campo e l’assenza di interventi di sviluppo digitale sono i tre dispositivi fondamentali su cui si costruisce tutta la serie facendo emergere l’utilizzo della fotografia come azione di presenza e non come strumento di contemplazione.

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Bio:

Silvia Vespasiani approfondisce l’uso della fotografia durante gli studi universitari. È architetto e phd in Conoscenza e Progetto delle Forme dell’Insediamento. A Barcellona dal 1996 e poi in Italia dal 2004, svolge incarichi professionali affiancando la fotografia ad altri strumenti del progetto urbano. Dal 2020 è membro del collettivo Omma. Attualmente svolge indagini indipendenti sulle relazioni tra processi antropici e paesaggio abitato contemporaneo in cui sperimenta la fotografia come strumento di ricerca documentaria. Pubblicazioni recenti:

Vistamare (Quinlan, 2018), libro fotografico con testo di Roberta Valtorta.

Città Stagionali. Rigenerazione urbana oltre il turismo (FrancoAngeli, 2014). Esposizioni recenti:

Pneuma, lavoro nato da una riflessione condivisa con Omma sulla quarantena. Esposto dal 27/11/2021 al 09/01/2022 presso la galleria Istanti – Fotografia e Cultura di Perugia At Check. Il lavoro dei tecnici nella manutenzione delle apparecchiature elettromedicali è stato realizzato durante i turni di controllo che i tecnici del Servizio di Bioingegneria e Ingegneria Clinica dell’Azienda Ospedaliera S. Maria della Misericordia di Perugia svolgono sulle macchine elettromedicali. Il lavoro è stato realizzato per il laboratorio condotto da William Guerrieri nell’ambito della ricerca JOBS, Nuove forme e spazi del lavoro. Esposto dal 23/10/2021 al 09/01/2022 presso Linea di Confine L’Ospitale di Rubiera (RE)

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NOTTURNO 064


SILVIA BARP

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Il progetto fotografico nasce dall’esigenza di indagare la sensazione di solitudine, spesso straniante, che avviene durante le ore notturne, momento in cui i luoghi si allontanano dalla presenza umana abbracciando l’assenza. Da immaginazione e desiderio, a sensazione reale e definita, a fotografia. Il percorso concettuale ha attraversato le vie della città di Verona e di Brescia soffermandosi sui luoghi che più sono stati in grado di trasmettere un’alta carica emotiva perturbante e straniante: i luoghi più affollati durante le ore diurne.

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BIO:

Silvia Barp, nata il 2 marzo 1999, a Verona. Percorso formativo:

Accademia di Belle Arti “L.A.B.A.” (BS) - laurea triennale in Fotografia.

Accademia di Belle Arti di Brera (MI) - biennio di Fotografia in corso. Esposizioni:

2019 - partecipazione al Brescia Photo Festival (BS), tema “Donne”. 2021 - partecipazione Brescia Photo Festival (BS), tema “Patrimoni”.

2021 - partecipazione alla 7° Biennale dei Giovani Fotografi Italiani a Bibbiena (AR), tema “IN VIAGGIO: tragitti del corpo, percorsi della mente”. 2022 - parteciperò al festival Grenze Arsenali Fotografici (VR), tema “Falsch”.

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TREND DEADLINE 15 SETTEMBRE 076


Invia un servizio composto da un minimo di 5 a un massimo di 15 immagini* con titolo, breve testo di presentazione, liberatoria e bio dell’autore a temi@clic-he.it *Formato Jpeg Lato Lungo 2500 Pixel

Andamento Corso Evoluzione

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FRANCESCO JODICE DAGLI ANNI ‘90 AD OGGI 078


DAVIDE TATTI

Francesco Jodice, con la pubblicazione del volume The Complete Works, ripercorre dalla metà degli anni Novanta a oggi il suo lavoro di fotografo e intellettuale che bilancia l’attenzione verso i temi sociali e culturali da una parte, dall’altra gli aspetti formali dei medium adoperati (fotografia, installazione, video, fumetto, videogioco), con il termine medio costituito dal pubblico che intende coinvolgere. Per quanto la fotografia e le pratiche visive di Jodice possano rientrare nell’ambito di un’estetica realista, anche quando fa un montaggio di opere altrui o ricuce frammenti di fantascienza, Jodice mostra i limiti della

veridicità, la tendenza insita alla manipolazione che si palesa anche nelle forme più descrittive dell’immagine. Jodice usa, abbandona e riprende i vari medium, senza subirne però la fascinazione, anzi ne prende una distanza critica, mostrando come le rappresentazioni dei fatti, possano portare anche a delle distorsioni conoscitive. Con l’edizione di Complete Works, si evidenzia come Jodice abbia preferito un approccio multidisciplinare e collaborativo, ai lavori realizzati in prima persona affianca il montaggio, tanto che il ruolo autoriale si assottiglia a favore di quello collettivo e del pubblico coinvolto. All’artista 079


spetta perciò una funzione di raccordo, la capacità di stabilire connessioni nella triangolazione tra i temi, i medium e l’attribuzione dei significati. Per mantenere una sorta di parallelismo tra edizione a stampa e installazione multimediale, il volume Complete works è strutturato in sistemi di sequenze, percorribili e leggibili a colpo d’occhio come in una mostra, dove i testi paralleli alle immagini insieme ricostruiscono il progetto intellettuale a cui appartengono.

Gli anni Novanta, che per Jodice hanno segnato il passaggio dagli studi in architettura alla professione di fotografo, sono considerabili un momento di recupero della fotografia documentaria. Riconoscendo la valenza etica ed estetica del “documento”, si sposta l’obiettivo delle pratiche e delle ricerche in fotografia, come suggerisce William Guerrieri, tanto da «considerare il fotografico come indagine e non come rappresentazione, così come la scrittura è interrogazione 080

prima, molto prima, di essere discorso o romanzo»1. Nella seconda metà degli anni Novanta si consolida l’interesse per i luoghi omogenei e privi di identità specifica, rinominati come nonluoghi, in contrapposizione al paesaggio connotato storicamente. Questo focus sulla standardizzazione diviene «l’inevitabile punto di partenza per l’analisi dei fenomeni della globalizzazione, che determineranno i grandi processi di trasformazione e di omologazione dei territori»2. A questo rinnovamento aderiscono autori come Olivo Barbieri, Paola De Pietri, Paola Di Bello, Vincenzo Castella, Marina Ballo Charmet, Francesco Jodice, Walter Niedermayr, Giovanni Zaffagnini, Marco Zanta e lo stesso William Guerrieri; il quale riconosce a Francesco Jodice la capacità di individuare il «senso di disappartenenza che le persone vivono nelle grandi aree urbane, come nel progetto Cartoline dagli altri spazi del 1998. Se i processi di “derealizzazione”, che


accompagnano l’esperienza quotidiana di chi vive nelle grandi metropoli, sono già al centro dell’interesse di questo autore, (…) non vi è dubbio che in questo caso la fotografia assuma un ruolo diverso, meno incerta nella sua funzione di definire una trasformazione su scala planetaria»3. Le nuove pratiche, provenienti dalla coscienza della globalizzazione, vennero messe appunto, tra gli altri, dal Multyplicity agenzia di ricerca per il territorio, a cui

parteciparono nei primi anni del 2000 architetti tra cui Stefano Boeri, ingegneri, cartografi, sociologi, fotografi, tra cui Francesco Jodice. Malgrado l’orientamento tecnico l’agenzia fu inserita anche in Documenta 11 nel 2002: «In quegli anni con Multiplicity venivamo invitati con una certa frequenza nello scenario dell’arte contemporanea, eppure eravamo sostanzialmente estranei a quel mondo»4. Il collettivo assunse come tratto distintivo la perdita di 081


autorialità tradizionale, la fotografia venne immessa in flussi continui di informazioni e immagini, sul modello di un ideale atlante eclettico 082

multimediale.

Durante la prima presentazione italiana di The Complete Works, avvenuta alla Triennale di Milano, interviene Stefano


raccolta di indizi: «questa indiziaria è una delle grandi capacità di Francesco, una capacità di lavorare insieme nel confine tra visibile e invisibile, (…). C’è sempre un invito ad andare oltre quello che semplicemente si rappresenta nell’immagine bidimensionale, si danno sempre degli indizi». Ricordando un’esperienza didattica avvenuta a Tokio nel 2002, Boeri traccia una definizione dello stile frontale ma ambiguo in Jodice: «Francesco fu capace allora di lavorare fra gli spazi vuoti tra le case, tra le cose e tra i corpi, e di trattare i corpi come tratta gli edifici, e di trattare gli edifici come tratta gli spazi vuoti, di dare una fortissima individualità ai soggetti che incornicia nel capo visivo»5.

Boeri, che avendo condiviso varie esperienze con Francesco Jodice, definisce la sua fotografia come un’attività conoscitiva fondata sulla

Nel dibattito, Marco Scotini riprende l’argomento del saggio inserito nel volume: L’immagine probatoria e il suo doppio. Scotini sposta la produzione di Franceso Jodice oltre le ricerche fotografiche sui contesti urbani e il paesaggio antropizzato, per collocarla in un ambito più pertinente all’arte contemporanea. Con un

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cambiamento epistemologico Jodice sottrae alla fotografia l’atto di comprovare la realtà, per renderla invece produttrice di nuove realtà virtuali, credute tali perché verosimili. «Rivedendo tutto il lavoro di Francesco, queste tracce ci sono fin da Cartoline da altri spazi del 1998, (…) che si aprono con le figure fantasmatiche dentro la piazza del Centro Direzionale di Napoli: l’apparizione delle gemelline da Shining di Kubrik (…). Già queste fotografie introducono un perturbante che Francesco non ha mai perso, c’è sempre una foto dentro la foto. (…) La fotografia che non è più probatoria della realtà, 084

ma è produttrice di realtà (…). Le immagini dei luoghi sono già un doppio, qualcosa di non familiare (…) Francesco, non faceva altro che costruire un artificio su quella realtà, che presumevamo fosse registrata da lui, come quando Walter Benjamin fece dire a Bertolt Brecht che le immagini delle officine Krupp non dicono niente delle stesse; quindi, c’è bisogno di un artificio che allora Brecht vede nel fotomontaggio, nel surrealismo». L’intervento di Francesco Zanot verte sulla molteplicità delle forme adoperate da Jodice e sulla capacità di gestire l’accumulazione del materiale d’archivio: «La fotografia nel tuo lavoro è costituita da una sorta di deposito, di precipitato, di una serie di azioni che si sono svolte (…) e fanno parte del processo ideativo (…). L’accumulazione serve per parlare di fenomeni collettivi, per farlo bisogna gestire la quantità, la formazione di una massa (…) L’accumulazione mette in tensione ordine e disordine (…)».


Francesco Jodice ripercorre i presupposti fondativi dagli anni Novanta, che consistevano nell’abbandono dell’approccio monodisciplinare a favore di quello multidisciplinare: «sentivo il bisogno di confrontarmi con l’eredità della scuola del paesaggio italiano, ma stavano intervenendo una serie di metamorfosi culturali, sociali, geopolitiche, religiose, tanto che nel mio lavoro la fotografia non poteva essere a sé stante, doveva sporcarsi. Da questo punto di vista la forza di Multiplicity, che noi chiamavamo agenzia di investigazioni territoriali, era un gioco a cui partecipavano figure di alto profilo, pronte a mettere in discussione i propri strumenti, perché quegli strumenti rinchiusi nel proprio ambito, non riuscivano più a raccogliere le tracce del territorio (…). Già da quando inizio a lavorare nel 1996, non

era più possibile avere fede nei codici; infatti, chiunque di quella generazione sia rimasto fedele all’arte, all’architettura, alla fotografia, abbia fatto grande fatica, chi invece ha creato una costellazione complessa di mescolanze, se ne sia avvantaggiato».

Un tentativo di ricostruzione antologica viene fatto da Joice già nel 2016 con una mostra presso Camera di Torino da titolo “Panorama”, il termine fa riferimento, come dice Eleonora Roaro6 «alla potenzialità onnicomprensiva del vedere, 085


dell’osservazione, e non tanto al soggetto dell’immagine. Non è ciò che osserviamo ma tutte le potenzialità cognitive, il possibile raggiungimento di un certo grado di consapevolezza con una visione totale e corale, che si completa come un mosaico». Lo spostamento di asse che Jodice persegue, gli permette di accantonare l’obiettivo del prodotto finale, per concentrarsi invece sul processo conoscitivo e ideativo. L’uso dei materiali che non sono di propria paternità o realizzati con dei collettivi, favorisce una pratica 086

curatoriale, a cui interessa più l’ampiezza del tema che l’impronta soggettiva.

Un tema ampio e a cui Jodice ha dato interesse nel lungo periodo è quello del declino della cultura occidentale, confluito poi nel progetto West, avviato nel 2014 di cui è prevista una conclusione nel 2023. Il progetto ripercorre «il sorgere e il declino del secolo americano, indagando le origini della crisi attuale del modello liberista e più in generale dell’Occidente, in un arco di tempo compreso


tra l’inizio della Gold Rush nel 1848, e il fallimento della Lehman Brothers nel 2008. West si compone di tre lunghi viaggi attraverso alcuni degli stati dove ebbe luogo la corsa all’oro».7 Il modello del grande accentramento abitativo e ricettivo, inadeguato alle proprie funzioni, è l’argomento affrontato da Jodice nel progetto Falansterio, esposto a Palazzo Barberini di Roma nel 2021. La sequenza di immagini è realizzata, durante il lockdown del 2020, da fotografie satellitari, che Jodice ha acquisito e rielaborato. Compare il Colosseo, seguito da complessi abitativi di dimensioni molto estese, come il Corviale di Roma, il Quadrilatero di Trieste, le Vele di Napoli, il Gallaratese di Milano e lo ZEN di Palermo. La crisi delle democrazie e del concetto di progresso storico è un argomento che Jodice inserisce nel film Rivoluzioni, esposto da febbraio di quest’anno. Le immagini che

si alternano, provenienti da un montaggio di materiali d’archivio, vanno da quelle di galassie a pellicole anni ‘30 e ‘80. Jodice propone una sospensione del giudizio sul materiale audiovisivo prodotto dalla nostra cultura, essendo giunti ad un’assenza di aspettative per il futuro, proprio dopo la condivisione delle conoscenze e le politiche democratiche. Come dice Jodice «era necessario per suggerire che la Storia è in una fase di stallo, se non terminata, e che tutto ciò che ci accade è un loop, una replica di brani di vite già vissute tra fiction e realtà». 8 La formazione della coscienza civile e politica in un contesto urbano, è un altro nucleo progettuale che ha accompagnato Jodice, anche recentemente nel 2019. In un ambiente pubblico è stata realizzata l’installazione Qui, che consisteva in una sequenza fotografica, posta intorno al cantiere sul lato est della stazione Rogoredo. La fotografia è un ritratto degli abitanti del quartiere, chiamati a partecipare attivamente.

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«Abbiamo ritratto delle persone invitandole poi a vedersi a riscoprirsi ritratti all’interno della mostra il giorno dell’inaugurazione. Abbiamo coinvolto piccole entità locali, (…) collaborato con un liceo di quartiere (…) e selezionato un gruppo di ragazzi che sono diventati nostri assistenti, di fatto hanno ragionato con noi (…) su che cosa vuol dire oggi approcciare un paesaggio sociale, come incontrarlo, come ricombinare gli elementi dell’osservazione, in parallelo agli elementi di trasformazione di una società. Tutto questo è diventato un evento collaborativo, se vogliamo anche collusivo (…). Non avrei

nessun interesse a guardare l’architettura se non in funzione della riappropriazione da parte della comunità, per cui per me lo spazio non è mai solo luogo fisico, ma uno spazio dell’uso e anche dell’abuso (…) Per me la pratica dell’arte come poetica civile è da un lato la descrizione di alcuni mutamenti, dall’atro l’intenzione che il racconto dei mutamenti coinvolga lo spettatore, coinvolga anche civilmente, politicamente nel senso alto del termine, magari anche in modo conflittuale»9. La pratica delle arti visive, che non si esaurisce nell’atto produttivo, assume con Jodice una valenza anche pedagogica, perché cerca di orientare lo sguardo del pubblico ad una maggiore consapevolezza sociale e politica. Francesco Jodice dagli anni Novanta si è dimostrato attento osservatore dei fenomeni sociali su scala globale, ma negli ultimi tre anni le spinte alla globalizzazione economica danno

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segnali di decrescita, si consolidano fenomeni di deglobalizzazione, che tendono a far diventare regionali le politiche e le economie, anche a causa della pandemia da Covid 19 e ora con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il principio «della massima convenienza», specifico del sistema globale, «viene sostituito da quello dell’autosufficienza», come spiega Maurizio Ricci10. Il sistema delle comunicazioni ha reagito alle due forze opposte, collocando in digitale una parte sempre maggiore delle esperienze dirette, tanto che l’abitudine alle pratiche sociali e al lavoro con strumenti digitali e globali, ci porta a ricercare la globalizzazione anche laddove la realtà sociale e politica si restringe in ambiti più regionali. Francesco Jodice ha calato parte dei progetti in uno spazio virtuale, come nella “visita guidata” ad un videogioco dal titolo Happy Together del giugno 2020; individua così nei rapporti interpersonali e con gli spazi una preponderante modalità ludica, densa di

attrazioni e manipolativa, che gratifica nell’immediato, ma pone l’ambito reale come un contesto che si impoverisce di significati.

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Note 1 Wiliam Guerrieri, L’attualità del documentario. In: Luogo e identità nella fotografia italiana contemporanea, a cura di Roberta Valtorta. Torino, Einaudi 2013; pag. 193 – 256

7 WEST, di Francesco Jodice, A cura di Matteo Balduzzi e Francesco Zanot. Museo di fotografia contemporanea, comunicato stampa, 17 febbraio 2022.

2 Wiliam Guerrieri, ibidem, pag. 8 Francesco Jodice. 204 Rivoluzioni. Video installazione. 3 Wiliam Guerrieri, ibidem, pag. Base Progetti per l’arte. Firenze, 19 febbraio 2022, 212 comunicato stampa. 4 Smentire la storiografia. Una 9 Video intervista a Francesco conversazione con Stefano Boeri di Cristiano Seganfreddo Jodice, Open House Milano, pubblicato il 4 ottobre 2021, e Gea Politi, FlashArt, 15 Youtube. giugno 2020 10 Maurizio Ricci, Il tempo 5 Francesco Jodice, The della deglobalizzazione, in: Il Complite Works, Silvana Editoriale, 2021. Presentazione diario del lavoro, 30 maggio 2022. del Volume presso Triennale di Milano, 26 aprile 2022. Interventi di Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano; Francesco Jodice, artista; Marco Scotini, curatore; Francesco Zanot, curatore. 6 Eleonora Roaro. Research For Knowledge / Intervista a Francesco Jodice, Doppiozero, 22 luglio 2016 090


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