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dmc

nº.2 del 2014 - Anno 27

direttore Ugo Canonici

Direct Marketing Marketing Comunicazione d’impresa DM & Comunicazione Organo d’informazione del Club C3

&

Marketing

Come irrobustire i volantini

Poste Italiane S.p.A. Sped in a.p. - d.l. 353/2003 conv. l. 46/2004. art1.c.1 - LO/MI - Trimestrale

Comunicazione

Non è facile insegnare

Palestra di palestra Progetti in jeans

Comunicazione

Expo: raccontiamo anche il bello



Sommario

Le uscite di dm&c • n.1 marzo • n.2 giugno • n.3 settembre • n.4 dicembre

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Anno 27 - no 2 del 2014

EDITORIALE

Papa Francesco: è marketing? di Ugo Canonici

LA NOTA

Ice-breaker di Guido Montacchini

COMUNICAZIONE 8 11 16 20 26 28 30

La ricchezza dell’identità di Grazia De Benedetti Non è facile insegnare di Ugo Clima Alla ricerca di fiducia e rispetto di Ugo Perugini Connessi all’infinito di Pier Giorgio Cozzi La creatività al centro di Marco Guarino Ci facciamo un selfie di Elena Muoio I congressi associativi di Gabriella Ghigi

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CREATIVITÀ & INNOVAZIONE 22 Il coraggio di rischiare di Sarah Canonici

MARKETING

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14 Come irrobustire i volantini di Antonello Vilardi 18 Proximity Marketing di Axel Lo Guzzo 24 Twirling: uno sport minore di Maurizio Quarta

COMUNICAZIONE CON I CANi 35 Come i bambini di Davide Canonici

RUBRICHE 33 Informalibri 34 Fatti & Persone 36 Club dell’Osso

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PENSIERO LIBERO 38 Emozioni e progetti di Alessandro Lucchini

I temi trattati Direct Marketing una strategia di marketing che utilizza la comunicazione, con strumenti interattivi, verso un pubblico mirato per ottenere risposte misurabili

Marketing tutte le attività che vengono svolte per giungere alla vendita dei prodotti/servizi offerti (dalla ricerca, alle indagini di mercato, alla post vendita)

Comunicazione d’Impresa utilizza in modo integrato gli strumenti della comunicazione per far conoscere al mercato l’offerta e determinarne il posizionamento

I partner di questo numero: pag. 40

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dmc Direct Marketing Marketing Comunicazione d’impresa

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www.dmcmagazine.it Seguendo il passo dei tempi è nato dmcmagazine.it , il sito che si pone come punto di riferimento per tutti coloro che operano nel campo del marketing e della comunicazione di impresa. Una “agorà” nella quale ritrovarsi quotidianamente per essere aggiornati sulle ultime novità, per essere informati sulle linee e le tendenze.

La rivista dm&c, leader dal 1987, prosegue la sua opera di divulgazione della cultura del settore, appoggiandosi maggiormente sugli strumenti che la tecnologia mette a disposizione. Continua ad essere stampata, in un numero limitato di copie, e viene distribuita, nella sua versione digitale, con una news letter ad oltre 20.000 nominativi selezionati. Coloro che desiderano ricevere gratuitamente dm&c nella versione digitale possono inviare la propria mail a redazione@dmcmagazine.it o andarla a consultare sul sito www.dmcmagazine.it


Editoriale

Papa Francesco: è marketing? Ugo Canonici

Non c’è dubbio che in un solo anno Papa Bergoglio ha fatto cose che per millenni non si sono viste. E la maggior parte di queste cose ha riscosso il massimo consenso da parte dei suoi interlocutori. Io non ho la presunzione di dare valutazioni. Ma solo mi voglio fermare su una considerazione. Molti di quelli che si definiscono “intellettualoni” dicono che il Papa fa quello che fa non perché siano cose che gli vengono naturali, ma perché segue le regole del marketing (sottintendendo che “è furbo” e cerca di ottenere una immagine positiva e quindi una accettazione pressoché unanime). Io non sono d’accordo ma non è questo il punto. Mi soffermo solo a considerare che, certe persone che hanno disconosciuto per anni la necessità di conoscere il marketing, come strumento o filosofia per ottenere dei risultati positivi sul mercato, che a mala pena sanno riconoscere cosa è uno strumento del marketing, oggi fanno un “endorsement” (come dicono loro) proprio del marketing. Io, e tanti come me, ci siamo sgolati per anni per spiegare e convincere che non è solo importante fare un buon prodotto, ma è altrettanto indispensabile fare una buona comunicazione, creare una immagine positiva, un buon posizionamento, realizzare studi e ricerche, analisi delle necessità e comprensione della concorrenza e così via. Ma lo scetticismo (o l’ignoranza) di tanti manager non acculturati su questi temi da nessuno (non dall’università, non dalla pratica del lavoro quotidiano, non da onesti insegnanti) bloccava ogni nostra accalorata perorazione. “In questo momento abbiamo altre priorità, i budget sono limitati, in passato non abbiamo avuto grandi risultati” erano le obiezioni più ricorrenti. “E poi questo marketing è una cosa americana. Noi siamo diversi.” Adesso ne riconoscono l’esistenza ma lo vogliono usare con una valenza denigratoria. Come se fosse solo un astuto gioco di comunicazione. Allora “pontifico” anch’io ancora per una volta :”se il prodotto non è buono persino il marketing può fare ben poco”. Ormai al fumo negli occhi non soccombe più nessuno. E così, lasciatemi dire che, tra i tanti meriti che riconosco a Papa Francesco, ne aggiungo un altro piccolo piccolo: quello di essere riuscito a portare alla ribalta (magari senza volerlo) cosa può fare il marketing. Chi prima non ne parlava adesso ne parla, chi non lo conosceva comincia a chiedersi se non valga la pena di capirne qualcosa. Non necessariamente nelle cose della religione, ma magari con qualche accostamento logico, per le cose del lavoro (“se funziona lì perché non potrebbe...”). Potrebbe quasi sembrare un miracolo. Grazie Papa Francesco, io e i miei colleghi te ne siamo grati.

ugo_canonici@cleis.it

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La Nota Guido Montacchini

Potrebbe sembrare facile e banale realizzare giochi-rompighiaccio in ambito professionale in un contesto di formazione. Ma è proprio così ?

Anche per questo bisogna saper seguire delle regole

Ice-breaker Le immagini rappresentano momenti di MusicActionXperience, l’arte del team building di Massimiliano Palmetti.

- Che imbarazzo! Ero stato invitato ad un evento formativo in Germania. I partecipanti, manager e non, una cinquantina in tutto, arrivavano da tutta Europa ed un paio di loro anche dalla lontana Cina. I docenti, o formatori – per usare un termine più contemporaneo – erano invece americani. Rompere il ghiaccio

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Si inizia con un esercizio per rompere il ghiaccio e facilitare la conoscenza reciproca tra i partecipanti. Sui tavoli erano allineate strisce di nastro adesivo di egual misura con le quali siamo stati incaricati di realizzare un anello di circa 8-10 centimetri di diametro, mantenendo la parte adesiva verso l’esterno. Realizzato l’a-

nello, è stato chiesto di applicarlo, udite udite, alla punta del naso come prolunga del naso stesso. Quindi, a coppie, è iniziato il duello: mani dietro la schiena, naso contro naso, vinceva chi riusciva a “rubare” la prolunga dell’avversario, rimanendo quindi con l’anello della controparte attaccato al proprio, saldamente attaccato a sua volta al naso. Chi aveva perso, veniva escluso dalla battaglia. Vi assicuro che non ho fatto grandi sforzi per cercare la vittoria, pur di togliermi in fretta dal ring e limitare le inutili intrusioni nel mio spazio fisico vitale. Ha vinto una donna I duelli proseguivano e le proboscidi dei vincitori si allungavano sempre più, appropriandosi degli anelli di chi intanto veniva escluso, come una sorta di sfoggio di virilità che per fortuna ha portato alla vittoria una donna, risparmiando così ogni eventuale ulteriore allusione. I formatori sono sembrati molto divertiti e qualche partecipante, per compiacerli, ha mostrato un sorriso.


I due finalisti hanno dato libero sfogo alla loro competitività riuscendo a portare il livello della sfida alla sua astratta essenza, incuranti del ridicolo oggetto. Oggi però, almeno dentro di sé, ringraziano che non siano state scattate fotografie a documentare quella parte dell’evento. Ice-breaker – come dite già Voi in italiano? - (espressione un po’ snob che vuol simulare una gran padronanza della lingua inglese) - Ah, già: rompighiaccio -. Preciso, non vorrei essere frainteso, sono un sostenitore convinto degli esercizi o giochi rompighiaccio in ambito professionale in un contesto di formazione o per particolari riunioni; la loro attenta pianificazione però meno appartiene alla nostra cultura di improvvisatori. Partire dagli obiettivi Occorre, ritengo, partire dagli obiettivi che ci si propone per questa attività; genericamente lo scopo è comunque quello di creare un clima più rilassato ed informale per un evento sì professionale ma sviluppato in situazione diversa dalla quotidianità dell’ufficio. Al fianco di questo obiettivo condiviso si possono poi meglio identificare obiettivi più specifici quali ad esempio favorire la presentazione reciproca in un gruppo di persone che si incontrano per la prima volta, introdurre l’argomento dell’incontro

e stimolare la riflessione su alcuni suoi aspetti specifici, creare uno spirito di team (in modo più soft rispetto ad un team building strutturato), stimolare la riflessione sui concetti di comunicazione ed apprendimento, “spezzare” il ritmo serrato di una presentazione particolarmente impegnativa. L’esercizio o gioco dovrebbe quindi essere progettato e preparato tenendo ben presente quale di questi è lo scopo specifico in affiancamento a quello generico. Occorre inoltre tenere in considerazione il numero di partecipanti previsti e degli spazi a disposizione. Esercizi diversi Esercizi diversi possono essere combinati ed alternati nella giornata coprendo di volta in volta obiettivi diversi e complementari. Ed ecco allora che l’esercizio rompighiaccio può non limitarsi al puro giochino da oratorio, seppur indubbiamente soddisfi l’obiettivo primario di stabilire un clima informale, e il formatore è facilitato nel conquistarsi una più solida credibilità. E’ così che il semplice disegnare, seguendo le istruzioni del collega, figure geometriche su di un foglio bianco può offrire utili spunti per dimostrare quali siano le difficoltà di una comunicazione interpersonale efficace mentre passarsi una pallina da tennis di mano in mano sempre più rapidamente può essere un interessante esempio per introdurre alcuni aspetti sul tema del miglioramento continuo. Tre regole Vale tutto; solo 3 regole semplici: evitare argomenti eccessivamente personali o che possano in generale imbarazzare le persone, essere veloci (al massimo 10 minuti), coinvolgere tutti senza forzature.

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Comunicazione Grazia De Benedetti

Milano attualizza il “racconto di sé” andando a cogliere l’importante occasione di Expo 2015 per rinforzare la sua immagine pubblica

Costruire un brand della città per valorizzarne la storia

La ricchezza dell’identità

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- Che cos’è oggi Milano? Quale immagine comunica? A Expo 2015, ingolfata di problemi, va dato atto d’aver indotto la città a un lavoro di ricerca e progetto sulla propria identità. L’idea è nata dalla nuova amministrazione di Palazzo Marino e non è solo un logo. E’ un modo per ripensare la città e raccontarla, liberandola dagli stereotipi e scoprendola nelle sue attuali ricchezze. Negli ultimi anni, le città ospitanti grandi eventi globali hanno riflettuto su come queste occasioni permettano di raccontare se stesse. L’esperienza di Torino per le Olimpiadi invernali 2006 ha dimostrato che questa narrazione può essere sfruttata, se ben presidiata, per andare oltre l’evento, così da rendere la comunità e il mondo al di fuori, consapevoli dei cambiamenti strutturali intervenuti nel territorio, nell’economia, nell’assetto urbanistico, nel valorizzare le proprie vocazioni. Costruire un brand della città signifi-

ca rievocare i suoi molteplici percorsi identitari, ovvero valorizzarne la storia e far emergere il patrimonio simbolico in evoluzione. E non solo questo: la costruzione si basa anche su come la città viene percepita da chi ci abita o la frequenta e sul tipo di immagine che essa trasmette a chi entra in contatto con lei. Il Progetto Su queste linee si è mossa Milano per progettare il suo brand. Obiettivo: stimolare e ampliare il dibattito pubblico intorno alle vocazioni della città, per far scaturire un nuovo racconto, storie costruite nella mescolanza (inventate a tavolino da qualche potere non funzionano), che non duri solo per l’Expo, tanto per far colpo. Alla base del progetto il rapporto tra l’identità della città e la proiezione della sua immagine, una spinta dal locale al globale, che accende di con-


La ricerca

tinuo nuove connessioni. L’avventura inizia nel luglio 2012, quando un seminario, alla presenza del sindaco Giuliano Pisapia, dà vita al Comitato Brand Milano: tredici tra professionisti ed esponenti di discipline che intersecano il tema del patrimonio simbolico cittadino si assumono, con impegno volontario, la progettazione e la regia degli eventi. Presidente è Stefano Rolando, docente di Teoria e tecniche della comunicazione pubblica all’Università Iulm di Milano. Nel 2013 l’Assessorato al Turismo, Commercio, Marketing e Attività produttive promuove una convenzione con la Triennale di Milano per un programma articolato in ricerche, mostre, eventi culturali e un forum. Spiega Rolando: -Abbiamo concepito il lavoro del Comitato con Expo come traino, ma guardando a più lunga prospettiva. Tema: il racconto cambiato della città. Il brand è sintesi del patrimonio simbolico, quindi coglie cicli lunghi. Ho provato a individuare almeno sette racconti modificati, dall’Expo del 1906 a oggi. Expo2015, in quanto finestra internazionale, spinge a revisionare e cogliere, se c’è, il nuovo ciclo. Se non si sbaglia nell’individuare i nuovi caratteri, ciò dovrebbe avere senso anche dopo Expo-. Dopo due anni di cantiere, il progetto, attuate le proposte, ha una prima conclusione, che richiede l’intervento di mediatori focalizzati all’interesse pubblico. Una seconda dovrà costruire alleanze tra i decisori di politica, impresa, cultura e società, per convalidare il cambiamento. Gli eventi Per far lievitare dibattito e consapevolezza, preparazione culturale, civile e sociale a Expo, il progetto è partito da ricerche di opinione, svolte da Ipsos, su come vive Milano chi vi abita o vi lavora; sulla percezione d’immagine da parte di Italiani e cittadini del mondo e sulla posizione

della città nei ranking internazionali di city image and reputation. Secondo atto la mostra Identità Milano in Triennale, progettata da Michele De Lucchi: l’evoluzione della città e cosa essa rappresenta oggi nell’immaginario collettivo attraverso 14 temi e 200 nomi: da Leonardo da Vinci ai luoghi simbolo, dai balletti scaligeri alle periferie. Un buon successo L’esposizione ha riscosso un buon successo e l’auspicio che possa diventare permanente, invece di durare pochi mesi. Naturale prosecuzione della mostra, Il teatro scende in piazza ha animato la città per sette giorni, in sette piazze con sette torri sceniche. Un racconto a più voci, che mescola storie volti, passioni, Futurismo e Munari, le Cinque Giornate e i film “milanesi”, e Strehler, Fontana, la guerra, lo sport, Dario Fo: 23 brevi spettacoli tra danza, musica, azioni sceniche, creati apposta per l’evento, per essere solo assaggiati dai passanti o gustati l’uno dopo l’altro. La sfida è stata raccolta dalle scuole civiche di Milano, con Massimo Navone, direttore artistico e un cast misto per arti ed età, giovani a cui dare visibilità e artisti affermati. Per esaltare l’incrocio di sguardi diversi, un premio al miglior video sulle performance. Step successivo il forum internazionale, previsto per settembre 2014. Un riscatto per la nostra cultura, -il gigante su cui noi italiani siamo come nani- dice Renzo Piano. -Una cultura antica che ci ha regalato la capacità di cogliere la complessità delle cose. Si tratta di un capitale enorme che va conservato e alimentato-.

La rilevazione IPSOS sui cittadini che frequentano Milano (residenti, pendolari, city users) e su coloro che la percepiscono, in Italia e nel mondo, mostra i primi piuttosto esigenti e critici. All’esterno il giudizio è più morbido, la città è riconosciuta nei suoi caratteri identitari forti (centralità del lavoro, creatività, crocevia di incontri). A tutti ora non basta più la “qualità della produzione”, la tensione è verso la qualità della vita. Una creatività non più limitata al lusso, ma estesa ai tanti campi, ricerca, innovazione, tecnologia, salute, sostenibilità, in cui i laboratori “ingegnosi e operosi” si esprimono.

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La storia siete voi - Primo social exhibition Altri tasselli all’immagine di Milano. Da giugno a metà settembre, la mostra La Nebbiosa - La storia siete voi offre ai Milanesi la possibilità di diventare i protagonisti di una condivisione fotografica collettiva, la prima social exhibition della città. Nella mostra, ospitata al Museo del Risorgimento, si possono esporre le proprie fotografie scattate a Milano e dintorni tra il 1950 e il 1965. Ricordi personali, le vecchie fotografie sono anche la testimonianza di memorie, avvenimenti, quartieri, di una Milano che non esiste più o che oggi appare molto diversa.

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Media poco attenti

Un dialogo da migliorare

Malgrado questa ricchezza, i media hanno dato poco risalto al progetto. Il rapporto è stato difficile, -commenta Rolando -soprattutto perché quotidiani, Ttg e Gr fanno il loro mestiere quando stanno sulla notizia, ma non sono molto capaci di stare sul racconto delle trasformazioni: la formula un po’ perversa “bad news is news”. Si interessavano al logo della città, anche se si è spiegato all’infinito che non era quello lo scopo, che lo storytelling di una città è cosa più complessa e argomentata (urbanistica, musei, spazi culturali, dècor, oltre alla comunicazione). Il risultato è stato di scrivere su marginalità e non su alcune cose belle. Nessun giornale è riuscito a dire cosa conteneva la piccola ma densa mostra in Triennale. Lo ha fatto Fabio Pizzul con un video di cinque minuti in rete, per i ragazzi. Efficacissimo. Ma, nella logica dei media, questa è una “non notizia”-.

Difficile prevedere i futuri sviluppi del Brand Milano: -Dipende dal negoziato che potrà esserci tra i soggetti istituzionali e gli stakeholders. -dice Rolando. -Per ora è un dialogo stentato. Anche perché i media non sono riusciti a fluidificarlo. Ma è possibile che migliori. Questo è lo scopo vero: migliorare il dibattito pubblico sulla materia e produrre nuove percezioni identitarie interne, capace di generare una immagine della città più conforme alla sua mission, sempre pendolare tra tradizione e competitività-. -Milano ha tanti nuclei. -afferma il vicesindaco De Cesaris. -Per un po’ si era chiusa, ma ora si sta esprimendo con le sue diverse anime, che andranno a costruire la sua identità viva. In parte locale, in parte globale, meticcia e complicata, Milano, una delle città europee in tensione e alla prova, metafora più che mai dell’Italia, oggi è chiamata a discutere del proprio futuro.


Comunicazione Ugo Clima*

Anche la migliore descrizione di una semplice operazione non basta a renderla realizzabile. Tutto quello che sappiamo lo abbiamo appreso con grandi sforzi

“Dire” non basta. Oltre alle nozioni serve la fase esecutiva

Non è facile insegnare scorso - Lo numero abbiamo trattato un argomento di notevole importanza: come è difficile far crescere i propri collaboratori e come il “trucco” sia sapere le cose e soprattutto saperle trasferire. L’ a r t i c o l o si concludeva con la descrizione di come realizzare un nodo: il “nodo dell’elettricista” (vedi box). Se la lettura del pre-

Un nodo famoso Questo nodo divenne famoso come il “nodo dell’elettricista” e permise una delle prime applicazioni dei principi del TWI. Consisteva nel prendere uno spezzone di filo elettrico bipolare a dieci centimetri dalla fine e con la mano destra svolgerne i due capi a forma di V. Prendere il capo di destra e girarlo nel senso delle lancette dell’orologio fino a formare un occhiello. Prendere il capo di sinistra, tirarlo verso di sé, passarlo sotto il capo di destra, infilarlo nell’occhiello, unire i due capi, tirarli verso l’alto ed il nodo era fatto. Ad un approccio idealistico, appariva del tutto evidente che un ordine preceduto da una descrizione così precisa non avrebbe potuto ottenere che una obbedienza immediata ed efficace. Chi volesse sperimentarlo, può cimentarsi, anche osservando il nodo rappresentato qui sotto. Ma chi ne dubitasse, avrebbe ragione, perché avrebbe la prova che dire non basta, anche se con molta precisione e che non basta nemmeno mostrare, anche se il “guarda e fa’ come fa lui” crea l’illusione di aver fatto tutto ciò che serve per comandare e delegare.

cedente articolo ha invogliato qualcuno a tentare la realizzazione del “nodo dell’elettricista”, può aver facilitato alcune scoperte. La prima delle quali è che anche la migliore descrizione di una semplice operazione non basta a renderla realizzabile.

*Presidente Mercurio Misura

Cose complicate Figuriamoci quando vogliamo ottenere dagli

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Comunicazione

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altri le cose infinitamente più complicate che spesso pretendiamo. Se qualcuno non fosse stato in grado di realizzare il nodo, capirebbe perché la gran parte degli sforzi educativi praticati nella vita reale, fondati quasi esclusivamente sulla parola, sono destinati al fallimento e che tutto ciò che sappiamo lo abbiamo appreso, salvo poche luminose eccezioni, con grandi sforzi e “nonostante” chi ce lo ha insegnato. In realtà il “nodo dell’elettricista”

doveva capitare proprio a me?”.

divenne importante e famoso perché permise al gruppo di lavoro del TWI (Training Within Industry) di codificare il decalogo da rispettare, quando si vuole insegnare qualcosa a qualcuno, sia a livello individuale che in gruppo. Dovrebbe essere intuitivo che DIRE non basta, ma quante volte, dopo avere spiegato cosa fare, ci limitiamo a chiedere “sono stato chiaro”? Hai capito bene? E allora vai e colpisci. E solo quando torna malconcio, ca-

una tappa di avanzamento del lavoro, e in Punto chiave ciò che facilita o pregiudica il successo nel compimento della fase. Accettando il fatto che in un qualsiasi processo d’apprendimento gli aspetti tecnici e oggettivi, oggi si direbbe “nozionistici”, e gli aspetti psicologici e soggettivi sono talmente intrecciati, che è perfino sbagliato cercare di separarli. Abbiamo già detto che è inutile cercare d’insegnare qualcosa a qualcu-

piamo che non aveva capito. E allora, la spiegazione che ci diamo è semplice: “il ragazzo non è all’altezza, essere intelligenti non è obbligatorio per nessuno, ma uno così

no non disponibile ad apprenderla. Ma questa disposizione raramente è spontanea. Tutti vogliamo imparare, ma a nessuno piace “essere imparato”.

Cosa bisognerebbe fare Ma se DIRE non basta, cosa bisognerà fare d’altro? Mettere in pratica ciò che la scienza della didattica ha scoperto nei secoli e che il TWI ha saputo sintetizzare con efficacia unica, applicandosi a se stesso: lo ha fatto, suddividendo il processo d’apprendimento in FASI e PUNTI CHIAVE, intendendo per Fase


Mettere a proprio agio La prima fase che il TWI impone di superare è quindi quella di mettere a proprio agio il collaboratore. Chi si sarebbe interessato al nodo dell’elettricista se non gli fosse stata spiegata origine e ragion d’essere? Come si può immaginare di riuscire a fare qualsiasi cosa senza prima vederla fare? E chi potrebbe apprendere qualcosa in situazione di stress o di conflitto con il suo capo? La seconda fase è di presentare l’operazione da eseguire. S’intende che la posizione conve-

niente è tanto fisica che psicologica. Pensate a quando un nuovo collaboratore viene affiancato ad un collega, che non riesce a nascondere il fastidio di avere qualcuno alle spalle, che lo costringe a lavorare e vede pure come lo fa. La fase esecutiva Si giunge quindi alla fase esecutiva: non c’è apprendimento senza partecipazione attiva. Non si raggiunge il “saper fare” senza fare. Non c’è modo di sapere se uno ha capito, se non verificare che ha capito. Infatti, capire è cosa molto diversa dal credere di aver capito. E infine, l’ultima fase: non abbandonare il collaboratore a se stesso, non lasciarlo solo, soprattutto se il compito è complesso, difficile o pericoloso. Spesso, per dire a qualcuno che ha sbagliato tutto, si aspetta che abbia finito tutto. Certo, la vita sarebbe più semplice e

gradevole, se il TWI fosse applicato più spesso, sia nella comunicazione gerarchica che in quella sociale. Istruzioni comprensibili L’IKEA avrebbe meno “suicidi” sulla coscienza e un call center meno sollecitato, se le istruzioni per il montaggio delle sue assi fossero più adeguate alle scarse capacità di far da sé degli italiani. Un numero incalcolabile di supposte non sarebbero state assunte per via orale, o dolorosamente introdotte nel posto giusto ma chiuse nella loro confezione di plastica; molti servizi di assistenza tecnica vivrebbe-

ro una vita meno amara se i clienti che protestano per un apparecchio inefficiente, avessero infilato la spina nella presa di corrente. Quanti elettrodomestici sarebbero ancora in piena efficienza, se le istruzioni per l’uso in dotazione fossero state rese più facilmente comprensibili all’utente?


Marketing Antonello Vilardi

Al volantino non si può rinunciare ma richiede azioni efficaci di rafforzamento che ne rinvigoriscano l’effetto a beneficio di distributori e consumatori Nella Grande Distribuzione Organizzata

Come irrobustire i volantini - Periodicamente la Grande Distribuzione Organizzata offre ai propri clienti, per mezzo del “volantino”, la possibilità di usufruire di sconti: la realizzazione dello scopo ovviamente implica costi, che sono tanto più gravosi quanto meno portano i ritorni attesi. I risultati attesi riguardano essenzialmente: 1. la generazione di traffico nei punti vendita; 2. l’occasione di lasciarsi apprezzare come posto in cui fare la spesa sistematicamente; 3. l’opportunità di proporre e vendere il resto del proprio assortimento, quello non in offerta. Marketing fuori o dentro

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Negli ultimi tempi i tre punti evidenziati si concretizzano con fatica e ci si inizia a chiedere se la causa risieda nel modo in cui prende forma il marketing “out of store” (quello fuori dai negozi per attirare l’attenzione dei consumatori) o invece nel modo in cui viene interpretato il marketing “in store” (quello interno ai negozi per accompagnare le esperienze di acquisto). Indubbiamente le aziende commerciali nel pubblicare il proprio volan-

tino, sia per forma che per contenuti, tendono tutte a somigliarsi, per la qual cosa i consumatori paiono ora complessivamente meno sensibili ai piani di marketing “out of store”. Al volantino tuttavia non si può rinunziare. Interessi in gioco Troppi e rilevanti sono gli interessi in gioco: l’esigenza dei commercianti a mantenersi visibili, la necessità dell’industria ad avere un comodo canale di sfogo alla produzione, la richiesta dei consumatori ad avere informazioni su prezzi ed assortimenti. Per dare maggiore robustezza al volantino non resta che migliorare le iniziative di marketing “in store”. In tal senso, un metodo recentemente teorizzato è il PromoMerchandising Complementare (dal libro omonimo pubblicato da Bonfirraro Editore nel Gennaio del 2014), che combina la Promozione in corso e il Merchandising sul punto vendita secondo logiche di uso complementare, secondo quella verità incontestabile che ogni prodotto serve al consumatore in concorso con altri, per esaudire la prestazione di cui ha necessità. La spesa è questo!


Sfogliando il volume Ecco due parti molto significativa del volume. …il legame che unisce promozione e assortimento continuativo, delineando attività di PromoMerchandising, consiste nel nesso complementare ricavabile tra le referenze secondo la destinazione d’uso, nell’integrazione reciproca che le rende idonee ad assolvere, assieme, una prestazione completa e immediata a beneficio del consumatore; …in sintesi, i vantaggi ora considerati si coagulano nei seguenti risultati a beneficio del marchio distributivo e più specificamente dell’insegna: 1. profitto ed elevazione dello scontrino medio; 2. incremento delle vendite sul marchio proprio; 3. visibilità sul territorio dell’azienda commerciale; 4. fidelizzazione; 5. partnership silenziosa, ma efficace tra industria di marca e distribuzione; 6. compensazioni e risparmi sulle spese di marketing; 7. emissioni di immagini di convenienza; 8. produttività dello spazio; 9. amplificazione degli effetti di un unico evento promozionale. Attenzione ai limiti Vi sono, ad ogni modo, limiti di cui è bene essere consapevoli. 1. E’ determinante ponderare attentamente la misura con cui accompagnare il brand distributivo al brand industriale promozionato. Sono necessarie analisi accurate e si profila, in caso di errate valutazioni, il rischio di “overstock” (eccesso di giacenza) su comparti non connessi alla promozione; 2. come indesiderato effetto di quanto assunto al punto 1, l’eventuale “overstock” su merci di private label generalmente è più difficile da smaltire rispetto a quello su referenze

a marchio industriale e conosciuto. Inoltre se la scadenza (alimentare) o l’obsolescenza (non alimentare) sono in agguato, aleggiano complicazioni supplementari; 3. la volontà di utilizzare lo spazio promozionale per concentrare offerta e continuativo, pur legate da nessi complementari e nello spirito di favorire la soddisfazione completa e immediata di un bisogno complesso, se male interpretata dall’utenza, può causare spiacevoli derive di immagine; 4. lo “sfuso”, la merce disimballata di private label, necessaria agli allestimenti, può generare fastidiosi oneri di magazzinaggio; 5. il negozio che intenda assecondare simili tattiche di promo merchandising deve disporre dello spazio necessario ed in carenza dello stesso affrontare con lucida consapevolezza il rischio delle conseguenze di scelte inadeguate; 6. il promomerchandising veicolato da stimoli complementari e connessi al brand distributivo può agire compiutamente solo in presenza di assortimento ampio, profondo e modernamente strutturato. Controindicazioni Vi sono sei oneste controindicazioni, ma anche e soprattutto nove obiettivi importanti e abbondantemente alla portata. Essi significano prosperità del business per il distributore e concreta soddisfazione per il cliente. Al volantino non si può rinunciare ormai, ma esso richiede azioni efficaci di rafforzamento che ne rinvigoriscano gli effetti, che portino salutari rimedi a beneficio di distributori e consumatori: le soluzioni veramente vincenti sono solo quelle che portano l’utile di tutte le parti in causa!

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Comunicazione Ugo Perugini

Le imprese che al mondo hanno più successo sono quelle che hanno saputo creare un rapporto di armonia alto e stabile tra dipendenti e dirigenti

Qualche domanda per un auto-esame

Alla ricerca di fiducia e rispetto

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- Non è sempre piacevole conoscere la verità. Ma certe volte è necessario. La trasmissione televisiva “Boss in incognito” (vedi riquadro) è un sistema che permette al responsabile dell’azienda di verificare direttamente che cosa i suoi collaboratori pensano di lui e come lavorano. Naturalmente, al di là dello spettacolo, questa esigenza è molto sentita da parte del management. Alcuni dati di una recente indagine statistica proveniente dagli Usa (Gallup) rilevano come quasi il 50 per cento dei collaboratori non abbia fiducia nel proprio leader, sia insoddisfatto del lavoro che fa e svolga la sua attività senza impegnarsi eccessivamente. Insomma, l’impressione prevalente è che il collante della fiducia tra datori di lavoro e lavoratori si stia sempre più allentando. E la cosa è particolarmente preoccupante, anche perché, le imprese che al mondo hanno più successo sono invece proprio quelle che sono riuscite a creare un rapporto di armonia molto alto e stabile tra dipendenti e dirigenti. Un’armonia che, guarda caso, si riversa positivamente sui clienti che, a loro volta, mostrano livelli di soddi-

sfazione e fidelizzazione elevatissimi. E’ facile capire come tutto sia intrecciato e collegato. Le agenzie investigative Ma esiste un altro segnale piuttosto preoccupante che individua un forte calo della fiducia tra datori di lavoro e lavoratori. Sempre più spesso gli imprenditori ricorrono alle agenzie investigative per indagare sul comportamento dei propri collaboratori. Questo fenomeno negli ultimi tempi sembra sia andato aumentando in Italia molto significativamente, superando nettamente il tradizionale settore delle indagini matrimoniali. Ma quando ciò accade significa che siamo di fronte a una situazione già largamente deteriorata: è evidente che esistono concreti sospetti di un comportamento infedele dei propri collaboratori, che possono nascondere possibili illeciti e violazioni di vario tipo. Arrivare a questo punto significa che il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore si è ormai disgregato e non vi è alcuna intenzione di recuperarlo ma solo di punire eventuali responsabili.


Nessuno nega che in certi casi sia opportuno e necessario mostrare il “pugno di ferro”. Non condividiamo però le considerazioni di certi manager che considerano interventi del genere, un sistema educativo o, perlomeno, dissuasivo, nei confronti di tutti i collaboratori. Una azienda che si regge sul principio della forza e dell’autorità (attraverso ricompense e punizioni) per favorire comportamenti virtuosi e scoraggiare quelli devianti, e, per farlo, è costretta ad applicare controlli assillanti e vigilanza continua, favorisce lo sviluppo di un clima che, anziché essere collaborativo, diventa tanto oppressivo da risultare col tempo sempre più difficile da gestire. Riflettiamoci. Quando intervenire? Se hai un’azienda, di qualsiasi dimensione essa sia, e vuoi guadagnare fiducia e rispetto, è arrivato perciò il momento di sottoporti a una specie di esame di coscienza, rispondendo ad alcune domande su questo argomento. Qual è la tua reputazione in azienda? a) Sei credibile? Le informazioni che diffondi sono sempre controllate e rispondenti al vero? Non ti è mai successo di fare dichiarazioni di intenti o adottare strategie aziendali che in qualche modo sono state poi smentite dai fatti? b) Hai sempre mantenuto vivo il rapporto con i tuoi collaboratori ? Sei sicuro che conoscano con esattezza quali sono gli obiettivi aziendali e le linee guida principali che hai stabilito? Cerchi di dialogare con loro soprattutto quando sollevano problemi o mostrano insoddisfazione? Ogni feedback negativo, come dovresti sapere bene, va verificato e deve consentire di rilevare eventuali aree di criticità al fine di poterle risolvere e migliorare. c) Di fronte a importanti cambiamenti organizzativi o strategici nell’azienda, ti sei limitato a fare un discorso generale “coram populo”,

oppure hai anche voluto verificare direttamente, o attraverso i tuoi più stretti collaboratori, se sono state colte fino in fondo le ragioni reali che hanno condizionato la tua scelta? Il modo corretto per consolidare la stima e il rispetto nei confronti dei collaboratori è farli sentire partecipi e coinvolti il più possibile. d) Sai cosa pensano i tuoi collaboratori del lavoro che svolgono? Pensi che lo svolgano con piacere e che ritengano di essere apprezzati nel modo giusto? e) Qual è il loro rapporto con l’attività che svolgono? Si sentono sufficientemente responsabilizzati? La loro professionalità e affidabilità dipende molto dal modo in cui interpretano quotidianamente il proprio ruolo. Insomma, in certi casi, un esame di coscienza è necessario, presuppone capacità autocritiche e anche una certa dose di umiltà, ma in genere se svolto con serietà e onestà porta a risultati più che positivi. Capi in incognito Un programma tv che sta avendo un certo successo, oltre che negli Usa, anche in molti altri Paesi europei si chiama “Undercover Boss”, cioè capi in incognito. Il meccanismo è piuttosto semplice. Il leader di un’azienda si traveste ed entra a far parte sotto mentite spoglie della sua stessa impresa come collaboratore di basso livello per scoprire “dall’interno” cosa pensano di lui, dell’azienda, del lavoro e come vengono trattati i clienti. Siamo convinti che un’esperienza del genere potrebbe essere molto utile a certi manager italiani, spesso troppo pieni di sé, per capire come i loro collaboratori lavorano, quali sono i loro reali principi, se la mission dell’impresa viene ben interpretata, se c’è condivisione, passione, partecipazione, oltre a capire quello che essi pensano sul serio del proprio management.

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Marketing Axel Lo Guzzo

Comunichiamo si! ...ma in modo personalizzato. Dove si vuol informare di qualche cosa in uno spazio determinato, limitato e nelle vicinanze

Il marketing territoriale non è il marketing di prossimità

“Proximity Marketing” - Vi siete mai chiesti perché alcuni brand hanno il potere di influenzare i vostri comportamenti? E come riescano a stimolare le vostre decisioni d’acquisto in modo così rapido? Se rivolgiamo per un momento lo sguardo al passato, ci accorgiamo che tutto questo risultava molto difficile, o per lo meno, i vari brands erano in grado di svolgere una raccolta dati ma solo in pochi, causa gli alti costi, riuscivano a trasformali in una comunicazione mirata.

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prossimità ha la finalità di informare, creando un collegamento con il potenziale cliente che si trova nelle strette vicinanze di un determinato dispositivo di emissione. Una teoria di marketing che ha l’obiettivo di avvicinare il prodotto ai consumatori per stimolarli agli aquisti. E’ cosi’ che risulta possibile proporre qualcosa di specifico, un vantaggio, una promozione, un particolare sconto, oppure semplicemente informare sui servizi o eventi in funzione in prossimità di dove ci si trova.

Cosa è cambiato

Qualche esempio

Che cosa è cambiato rispetto al passato? Semplice, la tecnologia a disposizione! Oggi grazie al proximity marketing, che si avvale dell’utilizzo di nuove tecnologie ed attraverso la prossimità sociale è possibile proporre qualcosa di veramente mirato; una tecnica promozionale volta a selezionare la propria clientela sulla base di fattori quali quello visivo e mobile. Erroneamente confuso con il marketing territoriale, il marketing di

Trovandosi, ad esempio, al cinema e’ possibile ricevere sul proprio smartphone informazioni sulla programmazione mensile dei film, trailer; in un centro commerciale, è possibile ricevere buoni sconto, presentazioni di nuovi prodotti e ricevere inviti da parte di bar e ristoranti per recarsi a una degustazione nelle immediate vicinanze a dove ci si trova. Le applicazioni e i settori commerciali d’impiego sono moltissimi, dove c’è un servizio, un prodotto


un’informazione, insomma, dove si vuole comunicare qualcosa in un determinato spazio limitato, le tecniche di proximity marketing vengono in aiuto. L’inizio della rivoluzione La rivoluzione del marketing di prossimità ha inizio qualche anno fa grazie allo sviluppo di tre fattori fondamentali, l’avvento e la facile fruizione delle mappe satellitari su internet, la diffusione degli smartphone, e altri dispositivi che permettono la connessione in mobilità da parte degli utenti e l’utilizzo sempre più massiccio dei social network. Strumenti quali ad esempio Facebook, Linkedin, MySpace, Twitter, tra i piu’ diffusi, danno la possibilità di generere nuove forme promozionali e di comunicazione. Una nuova realtà sociale, quella dei social network, che silenziosamente han fatto il loro ingresso nelle nostre abitudini quotidiane e che senza di essa risulta ormai difficile immaginare un possibile futuro relazionale nel contesto sociale, con ricadute sostanziali anche sull’economia locale. Il legame che unisce il social ed il proximity è conseguenza di un aumento del modo di interagire; si comunica via social media e ci si relaziona con tutto quello che si ha a disposizione.

Si scambiano opinioni, emozioni, soddisfazioni, insoddisfazioni e questo avviene in modo indipendente dallo spazio, del tempo che portato inevitabilmente ad una realizzazione di un ricavo per i brands coinvolti e sempre presenti nei nostri dispositivi elettronici. Spazi fisici e virtuali E cosi’ con la geo-localizzaizone che si serve degli smartphone, tablet per veicolare le emozioni e condividere le informazioni sui brands, si riescono a connettere gli spazi fisici con quelli virtuali, azzerando il tempo di attesa; dare subito al cliente quello di cui ha bisogno è l’inevitabile prerogativa da seguire per la crezione del famoso e tanto sospirato ricavo da parte degli esercenti, che si trovano li, esattamente nelle loro vicinanze. I servizi di geo-localizzazione sono uno degli inevitabili sviluppi dell’internet mobile, sia per gli utenti finali sia per le aziende. Ma in questo scenario un altro soggetto entra in gioco, quello dei social media quale mediatore imparziale degli interessi di entranbe le parti ma che in vista delle nuove opportunità offerte dal proximity marketing lo vede sempre più cambiare la sua natura originale verso la ricerca di quel modello volto ad ottenere profitto.

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Comunicazione Pier Giorgio Cozzi

Dal mantenere vivo per l’eternità il dialogo tra antenati e posteri, alla possibilità di realizzare il viaggio virtuale con un compagno di viaggio digitale. Aiuto !

Qualche esempio di cose che sembrerebbero irrealizzabili ma che forse, invece...

Connessi all’infinito - “Quando la maggior parte di una società è stupida, allora la prevalenza del cretino diventa dominante ed inguaribile”. Parola di Carlo M. Cipolla, l’indimenticato storico dell’economia di Berkley autore dell’ineffabile trattato “Le leggi fondamentali della stupidità umana”. Sarà questo il destino del sito Eterni.me, dei signori Marius Ursache, Nicolas Lee, Rida Benjelloun che l’hanno inventato e delle oltre 18 mila persone già in lista d’attesa (il servizio partirà nel 2016) per ottenere un “accesso anticipato” al sito che dovrebbe introdurre al “social” per l’eternità? Non ci credete? Eppure è allo studio un software che resuscita la personalità dei defunti. Mantenere un dialogo

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Come? Sulla base delle tracce che essi hanno lasciato dietro di sé nel loro percorso terreno. Obiettivo? Mantenere vivo per omnia saecula saeculorum il dialogo con i posteri, immaginiamo discendenti ma forse anche no, solo curiosi

dell’app. Questa, per altro, è la sorte, ne siamo consapevoli o no, della nostra messaggistica “social” già adesso. La nuova applicazione su Internet non farà che specializzare tramite avatar ciò che già succede: dare una patente di eternità alla nostra produzione comunicativa, quale ne sia il contenuto. Lasciare una traccia Lasciamo una traccia. Il dilemma è se siamo interessati o no a questa prospettiva. La fila d’attesa di poter entrare in Eterni.me sembrerebbe propendere per il primo corno del dilemma. Personalmente, non avendo capacità artistiche di alcun tipo, non sono interessato a trasmettere per l’avvenire infinito altro di me che le mie azioni di una vita e i principî che le hanno governate, un figlio educato a conoscerli e se possibile metterli in pratica a sua volta e avanti così disce(nde) ndo con eventuali nipoti. Mi terrorizza infatti la possibilità che, in un futuro temporalmente imprevedibile le c…ate cosmiche


commesse dalla maggior parte di noi abitanti di questo pianeta che chiamiamo Terra abbiano a perseguitarci implacabilmente e contro la nostra volontà. La quarta legge della stupidità Memoria indelebile della nostra incapacità a comprendere appieno il valore della “Quarta legge fondamentale della stupidità umana”, quella che recita: “ Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. Dimenticano costantemente che in qualsiasi momento, e in qualsiasi circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore”. Giacché siamo in tema di Web, internet e tecnologie varie, confesso che non m’è di conforto neppure quell’altra notizia, quella che riguarda il turismo virtuale. Sentite qua: tra dieci anni sarà possibile andare in vacanza stando comodamente seduti sul proprio divano? È quanto ha indagato Skyscanner, in collaborazione con l’azienda inglese di ricerca The Future Laboratory, che ha stilato un rapporto su ‘Il Futuro del Viaggio nel 2024’, diviso in tre sezioni, dall’ideazione del viaggio fino alla destinazione finale prescelta. Compagno di viaggio digitale Secondo il rapporto, avremo tutti il ‘Compagno di Viaggio Digitale’, un amico virtuale che usa l’intelligenza artificiale per suggerire e prenotare i viaggi per TOM (‘Traveller Of Millennium’). I viaggi non saranno sostituiti dalla realtà virtuale ma quest’ultima consentirà ai turisti la possibilità di ‘provare prima di acquistare un viaggio’. I turisti potranno vedere i luoghi, sentire i suoni e perfino percepire il paesaggio scelto (allora, perché dopo andarci?). Il futuro inoltre sarà legato all’evo-

luzione degli strumenti tecnologici fino a ottenere un dispositivo mobile cosi piccolo da stare all’interno di una lente a contatto. Questo dispositivo permetterà di effettuare traduzioni immediate, abbattendo così le barriere linguistiche e la necessità di imparare un glossario di viaggio. Nella prima parte, il rapporto descrive come aumenterà la personalizzazione nel processo decisionale della scelta di un viaggio, grazie all’utilizzo di ricerche semantiche e dei Big Data, e quale sarà l’impatto delle tecnologie emergenti, come la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale sulla pianificazione e la prenotazione di un viaggio. Sono inoltre analizzati gli strumenti tecnologici offerti da Google, Samsung, Sony e Apple e sono descritte le loro evoluzioni per diventare dei ‘Compagni di Viaggio Digitali’ indispensabili. Le due successive sezioni si focalizzeranno sul viaggiare e sulle destinazioni e saranno disponibili nei prossimi mesi. Lasciatemi rimpiangere Consentitemi di rimpiangere i tempi in cui era addirittura possibile “viaggiare” in Malesia leggendo di Sandokan e dei suoi pirati, per esempio. O fare whalewatching affidandoci al capitano Achab. Meglio ancora: provar nostalgia di quando potevamo scegliere noi mete itinerari e il compagno di viaggio dei nostri tour reali, affidandoci a sentimenti e a emozioni. Non a un device elettronico. Ad maiora.

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Creatività & Innovazione Sarah Canonici*

La creatività non è solo la parte preliminare dell’innovazione. E’ una faccenda a sé stante. Un’idea è creativa se rompe una regola esistente e la migliora

Creare e innovare appartengono a diversi livelli logici

Il coraggio di rischiare * Sarah Canonici Direttore Operativo di Cleis Comunicazione, promozione, servizi per l’impresa; una società che lavora con particolare attenzione alla creatività e all’innovazione. www.cleis.it sarah_canonici@cleis.it

- Produzione industriale in calo, pochi investimenti nella ricerca, scarsa attitudine all’innovazione dei prodotti e dei processi produttivi: l’Italia ristagna in un sistema economico superato che non ha ancora trasformato se stesso. Sono molti coloro che pensano di avere le “formule magiche”, le soluzioni che, se applicate, mettono tutte le cose a posto. Una delle più utilizzate, negli ultimi tempi, è “bisogna essere innovativi e creativi”. Che, detta così sembra che abbia una propria validità. Ma poi quando ne vai a parlare in concreto ti accorgi che molto spesso i tuoi interlocutori non è che abbiano le idee così chiare. E allora mi sembra giusto dare qualche cenno sul concetto. Non per fare un trattato accademico, ma solo navigando qua e là nel web, per cercare di rendere più consuete e comprensibili queste affermazioni. Idea creativa e innovazione

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Perché un’idea possa essere considerata creativa, deve essere

tale non solo da rompere una regola esistente, ma da originare una regola nuova, e migliore. La creatività crea, appunto, regole nuove. E che funzionano. Non è solo la parte preliminare dell’innovazione. E’ una faccenda a sé stante. D’altra parte, creatività e innovazione sono non solo due momenti rilevanti, differenti e successivi uno all’altro all’interno del processo di sviluppo, ma appartengono a diversi livelli logici. L’innovazione è un fenomeno economico e sociale. Coinvolge la collettività. Chiede investimenti, infrastrutture, politiche dedicate. E il coraggio di rischiare. Ha una fortissima componente progettuale, può essere pianificata ed è frutto di una specifica strategia imprenditoriale. La creatività è un fatto mentale e individuale. Riguarda i singoli, o gruppi di singoli che cooperano. Chiede flessibilità, competenze, talento, focalizzazione. E una tenacia fuori dal comune. E’ per molti versi incontrollabile e dipende anche dal caso. La si può


favorire ma non pianificare. Per cultura, esperienza, formazione un bravo imprenditore può facilmente capire le logiche dell’innovazione, e governarle pianificando tempi e investimenti. Quelle della creatività sono per alcuni aspetti incontrollabili, e questo può essere molto irritante. Senza contare che i gruppi creativi possono essere davvero complicati da gestire e orientare, finalizzandone le attività senza che si perda in originalità di pensiero. Caratteristiche in comune Le imprese fortemente orientate alla creatività sembrano avere in comune alcune caratteristiche peculiari: un ambiente informale, piacevole, accudente ma altamente sfidante per i singoli, sistemi d’incentivazione non basati sul puro incremento retributivo, tempo e ascolto a disposizione di chi ha una buona idea. Le persone creative non hanno bisogno di essere spinte a lavorare. Di solito, anzi, tendono a lavorare troppo e ad essere perfezioniste, quasi al di là di ogni ragionevolezza. Apprezzano il fatto di avere rispetto, reputazione e opportunità, e di appartenere a un’organizzazione che a sua volta ha una reputazione eccellente, molto più del puro incentivo economico. Non devono sentirsi costrette entro schemi di pensiero e procedure troppo rigide ma hanno bisogno che siano chiari gli obiettivi e gli standard di qualità. Hanno spesso un’alta sensibilità sociale, e si possono sentire gratificate dal fatto di sapere che il loro lavoro e la loro dedizione possono in qualche modo, contribuire a cambiare il mondo, migliorandolo. Come nascono nelle aziende idee e innovazione, come è possibile farle crescere e gestirle? Più sofisticati sono i prodotti più importante risulta l’area ricerca e sviluppo, la sua organizzazione, l’autorevolezza di

cui gode. Un tema sul quale gli studi teorici e accademici sono continui, mentre le aziende non sempre sono disposte ad aprire le porte e rivelare le proprie realtà. Alcune grandi aziende europee, tutte di gran successo, sono state intervistate nei loro headquarter e hanno raccontato le proprie strategie di creatività e le tecniche che utilizzano. La catena della creatività Si scopre che le idee nascono dal singolo, dalle beautiful minds, ma per realizzarsi devono passare attraverso i gruppi creativi, il clima aziendale, le città, le nazioni, costruendo una vera e propria “catena della creatività”. Piani retributivi, programmazione delle carriere, formazione, tolleranza, comunicazione interna, tutti fattori che le aziende devono saper utilizzare. Da questa comparazione internazionale come si raffronta l’”azienda Italia”, quali sono le nostre luci e le ombre, quali azioni dobbiamo intraprendere per risalire la china e guadagnare posizioni? Una necessità assoluta per un Paese come il nostro che non dispone di materie prime e che deve soprattutto contare sull’intelligenza e lo spirito di innovazione delle proprie risorse umane. L’innovazione non è una fase “naturale” dello sviluppo, ma ha bisogno di una cornice politicoamministrativa decisa ad investire nei settori strategici. Semplificare i concetti Insomma, pur cercando di semplificare i concetti mi rendo conto che stiamo parlando di cose complesse e quindi mi risulta difficile concludere. Mi faccio aiutare da Marcel Proust : “La vera scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel vederli con nuovi occhi.”

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Marketing Maurizio Quarta

Passione, etica e “effetto Italia” gli ingredienti di un mix che guarda lontano in uno sport che non è ancora molto noto ma che ha ben chiari i valori dell’operare in team

Quali leve di marketing per il decollo di una nuova disciplina sportiva

Twirling: uno sport minore - In Italia sono tante le discipline sportive cosiddette “minori”, se non addirittura “povere”: non hanno alle spalle ricche federazioni, i media se ne ricordano solo in occasione di prestigiose vittorie internazionali (quasi esclusivamente olimpiche), si reggono sull’entusiasmo e sulla passione dei praticanti e su tanto volontariato. Il twirling, poi, sembra essere ancora più minore: non è ancora disciplina olimpica e si porta dietro un atavico problema di identità e di farsi capire e raccontare come sport. Ma cos’è ?

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Se infatti parliamo di lotta libera o greco romana, più o meno tutti le identificano. Chi pratica il twirling invece deve ancora riferirsi ad altre identità sportive: in diverse occasioni l’ho sentito descrivere come “ginnastica ritmica col bastone” piuttosto che “majorette in versione sportiva”. C’è del vero in entrambe le cose, sia dal punto di vista tecnico che storico: per farla breve, diciamo che il twirling è un insieme di ginnastica, danza, musi-

ca. Le recenti finali dei campionati italiani di categoria svoltesi a Montegrotto Terme, hanno una volta di più confermato il potenziale di questo sport: palazzetto dello sport gremito in ogni ordine di posti (un migliaio di persone circa), un grande entusiasmo e soprattutto una grande “freschezza”. A guardare i dettagli, c’era ben poco di minore, a partire dai costumi degli atleti, alle coreografie e ai contenuti tecnici. Unico neo, che riprenderemo più avanti: minima la componente di atleti maschi. Il twirling è tendenzialmente sport di giovanissimi, soprattutto di giovanissime: in questo contesto, dove lo sport assume anche un importante ruolo formativo del carattere e della personalità, canalizzare entusiasmo e passione nei giusti modi è quasi una priorità, facendo giustamente assumere grande rilevanza all’aspetto etico e comportamentale, Non a caso la Federazione Italiana (FITW) è stata la prima ad aver siglato un accordo ufficiale di sponsorizzazione etica con il Panathlon, associazione non governativa, vero e proprio “club service” (si intuisce la


matrice rotariana) con finalità etiche e culturali che si propone di approfondire, divulgare e difendere i valori dello sport, inteso come strumento di formazione e di valorizzazione della persona e come veicolo di solidarietà tra gli uomini ed i popoli. Valori condivisi L’impegno etico non vale solo per gli atleti, ma per tutti coloro che operano nel mondo del twirling, siano essi dirigenti, tecnici o giudici. Qualche piccolo fatto a sostegno: l’entusiasmo e il trasporto con cui gli atleti interpretano l’inno nazionale, piuttosto che lo stesso menu alla cena conviviale tra sportivi e dirigenti. Altro elemento che la Federazione sta utilizzando per far conoscere la disciplina ad un pubblico sempre più ampio è il Team Italia, la nostra nazionale maggiore, che si presta con grande disponibilità ad esibirsi in occasione delle diverse manifestazioni. E i risultati non mancano: ovunque si registra una grande empatia con il pubblico, ovazioni, ole e tifo quasi da stadio, grande emozione. Soprattutto, riprendendo il tema etico, va sottolineato come i componenti del Team, da grandi individualità tecniche, abbiano accettato e saputo trasformarsi in una vera e propria squadra “capace di esaltarsi ed esaltare”. Le sfide future C’è chi dice, non del tutto a torto, che le Federazioni si “pesano”: ovvero, al salto di qualità è necessario affiancare un significativo salto di quantità In questo senso, la Federazione ha ancora di fronte a sé alcune grandi sfide da affrontare e gestire. La prima sfida, sulla quale in realtà la Federazione nazionale ha poca influenza, è legata al riconoscimento olimpico della disciplina. Il percorso è ancora lungo: il momen-

to decisivo arriverà nel 2018, quando le due attuali Federazioni Mondiali si uniranno raggiungendo così il tetto dei 40 Stati aderenti, che permetterà automaticamente l’ingresso nello Sport Accord e il conseguente riconoscimento del twirling da parte del CIO. Il passo successivo prevede richiesta di inserimento tra gli sport olimpici anche solo come disciplina dimostrativa nelle successive Olimpiadi estive. La Federazione Italiana è parte attiva nel processo e sta da mesi lavorando al processo di unificazione (solo la FITW è riconosciuta dal CONI). La seconda sfida è l’allargamento della base dei praticanti. Ad oggi la Federazione conta su 3000 tesserati e 100 società, per un totale di circa 2100 atleti, di cui solo il 2-3% maschi. Dal confronto con alcuni dei paesi più significativi emergono grandi spazi di crescita: • In Francia registriamo circa 10.000 atleti, con una percentuale maschile che supera il 10%. • In Giappone, dove esistono anche Campus universitari in stile USA per il twirling, si registrano 30.000 unità, con oltre il 15% di maschi. C’è spazio per crescere... Un’altra sfida “quantitativa” emerge da una veloce analisi sociografica dei praticanti: oggi il twirling appare assente dalle grandi città e sembra avere un suo bacino naturale nei contesti del cosiddetto hinterland. Il Team Italia, supportato da un’adeguata e coerente campagna di marketing, potrebbe rappresentare una buona chiave di ingresso. Per uno sport “minore”, puntare però indiscriminatamente alla crescita quantitativa può snaturarne le valenze positive di base, a meno che non si sappia comunque continuare sulla strada sin qui seguita, capace di far convivere una elevata spettacolarità con una dimensione di fondo umana e un’anima fortemente popolare.

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Comunicazione Marco Guarino *

Il social media marketing senza toccare i principi generali del marketing deve cercare di raggiungere il maggior numero possibile di utenti in target

Per le piccole e medie aziende italiane

La creatività al centro *Social media manager di AT Media

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- il social media marketing , uno strumento efficace per ridurre l’investimento pubblicitario e comunicare in modo creativo, immediato ed efficiente con il cliente. Per le piccole e medie imprese italiane. “Marco Guarino, social media manager in At Media” La creatività al centro della comunicazione. Parliamo di social media marketing. Volendo spiegare in breve il social media marketing, possiamo definirlo come quel processo di promozione di prodotti, servizi o marchi che utilizza le piattaforme social media come Facebook, Twitter, Pinterest,

Youtube o Linkedin. La scelta di una piattaforma piuttosto che un’altra varia in base al target al quale l’azienda si rivolge. I principi generali del marketing rimangono invariati, si cercherà di colpire il maggior numero di utenti in target. Quello che varia è la personalizzazione della strategia di vendita per ogni piattaforma. Il social media marketing si basa quindi sui principi del tradizionale modo di fare marketing, al quale sono state aggiunte delle dinamiche di interazione cliente-azienda, molto limitate nella precedente versione.


Il rapporto delle aziende italiane con i social network Il rapporto delle aziende italiane con i social network non è idilliaco. La percentuale di aziende che compie azioni di social media marketing si attesta sul 33%. Di queste il 58% sono grandi aziende, soltanto l’11% sono piccole e medie imprese. Questi dati mostrano una sorta di arretratezza nazionale nell’accettare questa nuova forma di comunicazione, e nell’avere compreso il cambiamento di comunicazione tra azienda e cliente che questo nuovo modo di fare marketing implica. Una vera e propria opportunità non sfruttata, viste sia le potenzialità di raggiungimento del target (provate ad esempio a pensare ad un’azienda che vende tramite e-commerce, e quindi su scala nazionale), sia per i costi davvero contenuti, soprattutto se paragonato alle tradizionali forme pubblicitarie. Condivisione di contenuti Un coinvolgimento spontaneo e una condivisione di contenuti che, attraverso la creatività, genera un senso di appartenenza degli utenti che garantisce un aumento della riconoscibilità del brand. Il social media marketing mette al centro le relazioni tra le persone e la loro fidelizzazione. Strategie personalizzate, accompagnate da un buon posizionamento sui motori di ricerca, facilitano l’individuazione da parte dei potenziali clienti e migliorano le possibilità di contatto, incrementando di conseguenza, le opportunità di business. Il percorso In genere si parte dall’analisi di quello che è il brief del cliente, si prova a capire il posizionamento attuale, le opportunità di mercato che possono essere sfruttate al meglio e le piattaforme più adatte alle sue esigenze,

definendo una strategia che, tramite un’idea creativa e una qualità grafica che differenziano, crea una strategia vincente per ciascun canale, e di conseguenza promuovono il brand. Si forniscono al cliente delle guide personalizzate che lo dotano degli strumenti idonei per approcciarsi nel migliore dei modi a questo nuovo mondo, accompagnate da piani editoriali creati ad hoc, e da una assistenza telefonica costante. È nella creazione delle campagne promozionali che l’impegno è massimo. Immagini emozionali e copy creativi, permettono di attrarre l’attenzione degli utenti e li spingono a diventare fan della pagina. Campagne ads, landing e coupon capaci di accrescere il coinvolgimento del consumatore, facendo leva sulla partecipazione attiva. La comunicazione globale Nell’era della comunicazione globale, un brand non può permettersi di non essere sui social network e di non avere una strategia adeguata. Il social media marketing è oggi più che mai un’occasione sia per farsi conoscere da un nuovo pubblico che per mantenere i rapporti con i clienti, per tenerli informati sulle offerte, sulle novità e le iniziative del brand stesso. Bisogna innovare, farsi trovare pronti e non opporre resistenza al cambiamento. AT MEDIA S.r.l è una start up che si occupa di web marketing, social media marketing e comunicazione, che l’imprenditore Antonio Testa dirige verso il nuovo modello di marketing rivolto alle piccole e medie imprese italiane, al fine di ottimizzare e ridurre l’investimento pubblicitario offrendo una comunicazione immediata, efficace e strategica che garantisca un ritorno immediato sull’investimento.

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Comunicazione Elena Muoio

In un mondo in continua evoluzione, dominato dal mobile, dove l’immagine la fa da padrone, un forte strumento di comunicazione prende vita

Una volta c’erano gli autoscatti, oggi si diventa virali

Ci facciamo un selfie! - Con l’utilizzo sempre più sfrenato dei social network, grazie anche ai nuovi device di ultima generazione si è sempre connessi ovunque. Facciamo una fotografia, ci piace un’immagine, vogliamo comunicare uno stato d’animo, cosa facciamo? Po-

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stiamo subito sui vari social network. Un selfie è semplicemente la nuova versione del vecchio autoscatto realizzato grazie ad uno smartphone o ad un tablet. È la moda del momen-

to, uno strumento di comunicazione per raccontare se stessi attraverso la rete. Grazie a una sola immagine raccontiamo l’esperienza, il momento. Un selfie da Oscar Questo strumento oltre a permettere di comunicare, condividere, rendere partecipi i nostri amici di ciò che facciamo è veloce, semplice da fare e permette di fissare l’emozione del momento. Un concerto, una vacanza, una serata tra amici diventa l’input per fissare quel momento in un’istantanea e raccontare dove siamo, con chi siamo, lo stato d’animo e soprattutto comunicare “io c’ero.” Questa mania coinvolge tutti giovani e non, gente comune e personaggi famosi che amano fotografarsi in ogni momento della vita quotidiana. Il selfie più famoso del 2014, che ha spopolato sul web è stato quello del 2 Marzo a Los Angeles alla notte degli Oscar. Durante la notte più famosa e seguita dell’anno, dove viene assegnato il premio cinematografico più importante, la conduttrice Ellen DeGeneres decide di scattare un sel-


fie con alcuni divi del cinema tra cui Brad Pitt, Angelina Jolie, Julia Roberts, Merylin Streep e tanti altri diventando un selfie unico che è entrato nell’album dei ricordi di Twitter. Subito dopo averlo pubblicato su Twitter è diventato virale, in due giorni l’immagine più twittata ben 3 milioni di volte. C’è chi dichiara che è stato frutto di un accordo tra Samsung e il network televisivo Abc e chi come Samsung smentisce, ma una cosa è certa nessuno immaginava che questo sarebbe diventato un selfie da oscar. C’è aria di selfie Non solo la gente comune e i vip amano i selfie, ma questo strumento di comunicazione è entrato a far parte dell’immenso mondo del marketing e le aziende hanno preso la palla al balzo. Il selfie è diventato persino una serie tv ancora non presente in Italia, prodotta da ABC, dal titolo “Selfie”. Racconta le disavventure della protagonista ossessionata dai social network che cerca e spera di diventare famosa attraverso questi. La NASA, invece ha invitato tutti a scattare un selfie, in occasione della giornata mondiale della Terra creando un selfie globale, 36 mila scatti per mostrare il mondo. Anche National Geographic, che allo stesso tempo istituzione scientifica, rivista e canale televisivo ha ceduto alla mania in un modo completamente diverso dove chi si fa un autoscatto non è un essere umano ma simpatici animali. Una campagna pubblicitaria per promuovere nuove immagini di animali. Il Museo di Arte Moderna di New York nel 2013, ha realizzato una mostra, dal titolo “Art in Translation: Selfi”; dove i visitatori potevano scattarsi una foto tramite un macchinario puntato su un grande specchio. Insomma questo nuovo modo di comunicare ha travolto proprio tutti.

Il cibo in uno scatto La mania del selfie si è ampliata coinvolgendo anche il cibo che di conseguenza viene pubblicizzato. Le aziende hanno saputo sfruttare questa moda tanto da crearne uno strumento di marketing. Una campagna di selfie marketing se fatta bene è in grado di coinvolgere i propri clienti e di attirarne l’attenzione di nuovi facilitata dall’immenso mondo dei social. Ciquita e Galbusera hanno avviato una campagna che si concluderà il 19 luglio, dove invitano i clienti a cercare nei negozi di frutta banane e kiwi 10 e lode, farsi una foto e caricarla sull’apposita pagina di Facebook per partecipare al concorso. Quindi, fotografarsi con il cibo in determinati contesti e luoghi e pubblicarli in rete ricevono un gran numero di like e condivisioni. Da questo è partito Nick Mollberg un consulente informatico che ha creato lo Street Food Selfie. Durante i suoi viaggi scatta fotografie con in primo piano un prodotto tipico della città che visita e in secondo piano un monumento o una struttura che caratterizza la città, in questo modo chi guarda la fotografia capisce la città in cui si trova. In un momento in cui si ricerca in maniera morbosa il cibo buono e genuino perché circondati da cibo scadente e contraffatto c’è chi ha pensato di catturare con un selfie chi produce il cibo, dando vita ai Farmer Selfie. Agricoltori che mostrano come lavorano e come producono i propri prodotti. Selfi, per tutti una parola semplice che non ha colore e non ha religione.

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Comunicazione Gabriella Ghigi

Nel congressuale la domanda associativa ha assunto maggior rilievo grazie ad una crescita costante mentre gli eventi aziendali si contraevano Il ruolo delle Associazioni nella Meeting Industry

I congressi associativi

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- All’interno della meeting industry le associazioni rappresentano da sempre un target di clientela di grande interesse per le destinazioni e per l’insieme di servizi che ruotano attorno ai congressi. Attenzione generata da molteplici fattori che riguardano sia la redditività, sia l’ampio bacino di domanda. Oltre alle associazioni più note quelle del comparto medico scientifico- ne esistono molte altre, praticamente per ogni professione e spesso più di una sullo stesso tema. Anche le religioni generano associazioni e di conseguenza congressi e così hobby e attività varie del tempo libero. L’interesse per i congressi associativi è giustificato da un insieme di fattori che li caratterizzano: partecipanti e durata superiori, una maggiore complessità del programma, con conseguente necessità di più sale e servizi, come per esempio un’esposizione collaterale, una spesa media per partecipante più elevata, tempi di programmazione più lunghi e quindi possibilità di pianificare meglio il lavoro.

Ma oltre a questi temi tradizionali la domanda associativa ha assunto ancora maggior rilievo negli ultimi anni a causa di due tendenze opposte: la sua crescita costante, mentre gli eventi aziendali registravano una forte contrazione. La meeting industry italiana, composta prevalentemente dalla domanda corporate (tra il 60 e il 70% negli anni pre-crisi) e da una bassissima internazionalizzazione (tra il 4 e il 5% negli stessi anni) è stata particolarmente colpita da questi mutamenti. Continuità e redditività Le associazioni offrono maggiore continuità e redditività rispetto alla clientela aziendale che programma i suoi eventi in base a bisogni molto contingenti, ma sono interlocutori esigenti, con processi di acquisizione lunghi, complessi, onerosi. Solo poche destinazioni italiane si erano preparate per tempo alle difficoltà generate da una forte contrazione della domanda aziendale e dalla proliferazione di nuovi competitor.


Ma il nostro Paese è pur sempre al centro dell’Europa, il continente che accoglie oltre il 50% dei congressi di associazioni internazionali, possiede una fortissima attrattiva, molti professionisti e istituzioni eccellenti nel campo della cultura, della scienza, della ricerca, della tecnologia, tutti elementi che contribuiscono ad attrarre congressi internazionali e dunque consentono ancora di migliorare la nostra posizione. I passi da fare Quali siano i passi da fare la gran parte dei nostri colleghi lo sanno bene, ma abbiamo verificato con l’esperienza che molto spesso chi ha la responsabilità delle scelte strategiche sullo sviluppo dei territori non ha consapevolezza delle potenzialità della meeting industry, di quali siano le esigenze della clientela e delle azioni da intraprendere. Abbiamo pertanto pensato di fornire un piccolo contributo ad una maggiore conoscenza di questo segmento di clientela dando voce ai protagonisti. Il mezzo è stato un sondaggio rivolto a quaranta associazioni appartenenti a diversi settori, prevalentemente italiane, ma collegate ad organizzazioni internazionali, in possesso di una visione più ampia delle necessità attuali e delle tendenze del settore. 40 associazioni intervistate Il nostro obiettivo è stata l’individuazione dei criteri di scelta dei responsabili delle associazioni e gli elementi che ne influenzano le decisioni. I professionisti che hanno risposto rappresentano associazioni che coprono quasi tutte le categorie: medicina, commercio e industria i più rappresentati, ma anche finanza, farmaceutica, ricerca, energia, formazione, religione, agricoltura, sport e tempo libero, volontariato, turismo e trasporti. Il fattore che influisce maggiormen-

te nella scelta della destinazione è la qualità del sistema di trasporti per raggiungere rapidamente e comodamente la sede del congresso. La qualità e completezza della sede congressuale, di cui si valutano spazi e attrezzature tecnologiche, viene al secondo posto, ad indicare come anche il centro congressi più moderno, completo, attrezzato, non possa essere utilizzato se non è facilmente raggiungibile. I prezzi, il tema ricorrente e martellante degli ultimi anni, vengono considerati solo in terza battuta, dopo aver verificato la raggiungibilità e la presenza di una sede adeguata. Una riconferma di quanto il budget governi le scelte, ma non a scapito del possesso dei requisiti tecnici. Al quarto posto in ordine di priorità si colloca la disponibilità di hotel adeguati per dimensione, posizione, qualità. Il supporto offerto A questo punto, verificati i requisiti fondamentali _ raggiungibilità, sede, prezzi, hotel _ le associazioni prendono in considerazione il supporto offerto dalla destinazione. La presenza di un Convention Bureau efficiente al sesto posto precede l’attrattiva della destinazione e la presenza di centri di eccellenza legati al tema del congresso. Le scelte vengono quindi effettuate in base a criteri molto tecnici e professionali e la gradevolezza dell’ambiente che circonda il centro congressi sembra non essere importante. Il ruolo di facilitatore del Convention Bureau è apprezzato, ma la sua presenza non è vincolante. Non viene tenuta in gran considerazione la reputazione congressuale della località, poiché la conoscenza legata ad esperienze precedenti figura all’ultimo posto. Abbiamo voluto approfondire il tema del supporto della destinazione, poiché frequentemente nelle gare internazionali si trovano città

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Comunicazione

Meeting Consultants è la società di Maria Gabriella Gentile e Gabriella Ghigi. Opera nella meeting industry offrendo consulenza nell’area del marketing, della formazione e dell’organizzazione.

che offrono contributi economici e servizi gratuiti per influenzare la scelta delle associazioni, cosa che nel nostro Paese si verifica raramente. Servizi gratuiti e contributi La maggioranza dei votanti ha messo al primo posto: Contributi economici a favore dell’associazione. Una risposta scontata, che denuncia come la principale preoccupazione delle associazioni sia quella economica, rendendole più sensibili all’offerta di contributi ed altre fonti di entrata. Ma l’informazione che abbiamo trovato più interessante è la scelta di servizi gratuiti per l’associazione quale forma di supporto preferita. Anche se non è stata presa in considerazione dalla maggioranza come prima scelta, questa opzione raccoglie il maggior numero di voti in assoluto sommando la seconda e terza scelta. Si tratta di servizi come ad esempio un welcome cocktail offerto, camere gratis per i relatori, o altri analoghi, che possono ridurre i costi a carico dell’organizzazione del congresso. Quello che rende particolarmente interessante questa risposta è che mentre i contributi economici rappresentano un impegno oneroso per la destinazione, i servizi gratuiti da mettere a disposizione possono essere anche a costo zero o quasi e sono altrettanto apprezzati. Come si colloca il nostro Paese

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Considerando la tendenza alla riduzione della dimensione media degli eventi, nel nostro Paese moltissime località potrebbero essere considerate destinazioni adeguate per congressi. Numerose città possiedono un centro congressi, pensiamo alle tante strutture pubbliche come quelle di Comuni o Camere di Commercio, ai centri congressi all’interno dei quartieri fieristici e grazie all’attività turistica gli alberghi sono piuttosto

diffusi. Anche se la qualità di queste strutture congressuali e ricettive non sempre corrisponde alle esigenze della clientela business, l’adeguamento richiederebbe uno sforzo limitato. Non si può dire lo stesso per il sistema di trasporti, primo criterio di scelta, ed anello più fragile della nostra catena di offerta. Le città facilmente raggiungibili perché dotate di collegamenti aerei, autostradali e ferroviari efficienti sono veramente poche.Non possiamo che essere colpiti dalla scarsità e dalla lentezza dei collegamenti ferroviari, dalla mancanza di connessioni dirette con gli aeroporti, in città di enorme fascino, custodi di patrimoni storici e artistici immensi. Nel 2016 la città svizzera di Lugano avrà un collegamento diretto con l’aeroporto di Malpensa, da cui dista 83 km. Ma se da Varese vogliamo raggiungere Malpensa con mezzi pubblici, non troveremo treni diretti per percorrere i 36 km e saremo costretti ad utilizzare due treni, impiegando circa un’ora e mezza. Italia Convention Bureau: finalmente un segnale positivo Per ciò che riguarda l’organizzazione dell’offerta e gli incentivi per le associazioni, la nascita di nuovi convention bureau territoriali e in special modo dell’Italia Convention Bureau appena costituito il 18 giugno scorso, sono segnali che spingono all’ottimismo. Questi organismi potranno incrementare la conoscenza delle destinazioni congressuali italiane e facilitare il processo di acquisizione degli eventi, agendo anche da intermediari con gli enti pubblici. Non possiamo che augurarci che l’ attenzione di cui gode in questo momento la meeting industry italiana e il favore con cui Regioni, Enit e categorie economiche hanno salutato la nascita dell’Italia Convention Bureau, garantiscano a questo organismo la forza e l’autorevolezza necessarie.


iNFORMALIBRI EXISTENTIAL MARKETING I consumatori comprano, gli individui scelgono

di Stefano Gnasso, Paolo Iabichino - Ulrico Hoepli editori - Euro 19,90 - Pag. 177

In una società senza direzioni non possiamo più dare nuovi nomi a vecchi comportamenti. Per questo anche la comunicazione di marca è chiamata a una profonda trasformazione, se vuole continuare a mantenere la sua efficacia. Gli autori individuano un nuovo indirizzo strategico, basato sulla rilevanza di narrazioni vicine ai temi esistenziali, percepite come autentiche da interlocutori che riconoscono in queste storie il loro valore. Perché in un contesto come quello attuale i brand non possono restare impassibili di fronte alle istanze sociali, culturali ed economiche di uno scenario sempre più confuso. Questa nuova prospettiva per la comunicazione d’impresa e il marketing si delinea a partire da un’analisi del cambiamento sociale, in atto dei primi anni 90, che mette in crisi l’approccio tradizionale, orientando la strategia e creatività, per soddisfare le esigenze delle aziende, dei clienti e della società nel suo complesso. Il libro basa suo approccio innovativo sulla testimonianza di alcuni importanti esperienze di comunicazione: esempi di come su narrazioni, più che su prodotti, si vada a costruire il successo contempo-

Comunico …ergo sum Ugo Canonici

Comunico …ergo sum Se è importante saper fare, lo è altrettanto il far sapere. Utilizzando una buona comunicazione.

Prefazione di Enrico Bertolino

Deus Editore s.r.l.

Sarò Breve

raneo dei brand. Una lettura che può essere utile a tutti, ma che dovrebbe essere imprescindibile per coloro che operano nei settori del marketing e della comunicazione di impresa.

Organizzare eventi aziendali

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Scrivere. Una fatica nera.

La piccola libreria di Deus Editore www.miabbono.com/deus


Fatti & Persone

Ultima : l’Italia L’Italia ultima in Europa per capacità competitiva. A rivelarlo l’International Slim Factor Index (ISFI) messo a punto dal Centro Studi Assirm, (l’Associazione degli Istituti di ricerche di mercato, sondaggi di opinione e ricerca sociale) diretto da Alessandro Amadori, in collaborazione con Confindustria Intellect, la Federazione Italiana della Comunicazione, con l’obiettivo di descrivere in modo sintetico l’andamento economico di sei Paesi europei e, soprattutto, la loro competitività sui mercati internazionali. L’indicatore è stato calcolato per sei paesi europei: tre dalle economie più competitive (Francia, Germania e Regno Unito), e tre che invece sembrano soffrire di più questo periodo di incertezza (Italia, Portogallo e Spagna) e si è basato su quattro componenti: PIL (Gross Domestic Product) e domanda interna, Sentiment (Economic Sentiment Index), Importazioni ed Esportazioni. Secondo l’ISFI, l’Italia si posiziona all’ultimo posto con il valore più basso dell’indicatore (98,99). A dominare la classifica è invece la Gran Bretagna con un punteggio di 104,18, seguita da Germania (101,95), Francia (99,62), Portogallo (99,75) e Spagna (99,39). “Lo studio che stiamo portando avanti ci permette di mettere a disposizione di investitori, imprese e della politica, uno strumento utile ed efficace per capire e anticipare l’andamento delle economie europee.”

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Settori in ripresa Quali sono i settori dell’economia italiana potenzialmente più dinamici e capaci di intercettare la ripresa? Una indicazione proviene dal mondo del franchising, che nel 2013 ha fatto segnare un incoraggiante +0,5% del fatturato rispetto al 2012. L’ “Osservatorio Franchising Nord” ha svolto un sondaggio on line tra gli 800 franchisor italiani (le aziende che propongo l’affiliazione) e tra il

popolo dei potenziali franchisee individuando quei comparti merceologici del franchising che hanno fatto registrare maggiori aperture di punti di vendita nel 2013 e maggiore interesse da parte dei franchisee. Dai risultati del sondaggio emergono dati interessanti per individuare trend economici ed occupazionali. I franchisor hanno aperto punti vendita nel 2013 soprattutto in comparti merceologici come l’alimentare, i centri estetici, l’abbigliamento, cosmetica, le calzature ed altro. Il sondaggio tra i franchisor ha evidenziato un buon dinamismo ed una certa dose di fiducia, tanto che l’80% di essi è convinto di poter aumentare il fatturato nel 2014. I social indispensabili in azienda Offrire una combinazione più intelligente di strumenti per il social networking aziendale amplierà il potenziale del mercato globale. La necessità di migliorare la comunicazione e la collaborazione sul posto di lavoro per aumentare il coinvolgimento dei dipendenti, accelerare il processo decisionale e dare slancio alla produttività guida il mercato globale del social networking aziendale. Le organizzazioni stanno integrando significative funzionalità di collaborazione sociale nei flussi di lavoro per connettere dinamicamente le persone e le informazioni al momento opportuno, invece che basarsi unicamente sugli strumenti di collaborazione statica tradizionalmente utilizzati. Un nuovo studio di Frost & Sullivan, intitolato “Analysis of the Global Enterprise Social Networking Market”, rileva che il numero totale di iscritti alle piattaforme social aziendali aumenterà da 208 milioni nel 2013 a 535 milioni nel 2018. Attualmente, ci sono circa 2 miliardi di lavoratori nel mondo che potrebbero beneficiare di tecnologie social aziendali in numerosi settori, organizzazioni, luoghi e ruoli professionali.


Comunicazione con i Cani Davide Canonici*

Se si desidera che il nostro “amico peloso” frequenti le nostre compagnie bisogna che sappia adeguarsi alle regole di convivenza Sarebbe sbagliato non educarlo

Come i bambini “Io sono dell’idea che il cane deve poter vivere nel modo più naturale possibile. Perciò sono contrario a costringerlo a comportamenti dettati dalle regole della gente”. Questa affermazione che sembra trasudare saggezza è invece una palese sciocchezza. Correggere il comportamento, rendere capaci di reagire alle situazioni quotidiane in modo coerente e consono alla società, insomma educarlo (proprio come si fa con i figli) mette il cane in condizione di essere inserito nel contesto in cui vive il padrone (non dimentichiamo che noi abbiamo contatti con altre persone che spesso non gradiscono la troppa “libertà” dell’animale) e quindi lo rende più felice. Se un cane passeggia educatamente in mezzo alla gente è ben accetto perciò, non creando problemi, il padrone lo porterà fuori spesso e volentieri. Un cane ben educato mette in risalto un padrone altrettanto ben educato, rispettoso degli animali e del prossimo. Un cane disciplinato è un cane libero. E’ sufficiente tenere un adeguato comportamento da capo branco nel rispetto della gerarchia del gruppo, come accadrebbe fra i componenti di un branco di cani in natura. E’ di una ovvietà lapalissiana che, così come gli umani devono sottostare ad alcune fondamentali regole comportamentali per essere accettati dalla società, così anche i cani dovrebbero, nel limite delle loro caratteristiche, adattarsi alla vita dei loro padroni.

Nell’intervenire sul comportamento, non dobbiamo cercare di umanizzare il cane, dobbiamo educarlo ad avere abitudini che non interagiscano in modo negativo con coloro che ci e gli stanno intorno. Chi possiede un cane deve sapere che le correzioni sono necessarie a controllare o ad annullare alcuni comportamenti sgraditi, generati da stimoli non controllabili. Va ricordato che il cane ripropone con frequenza uno specifico comportamento, in quanto la conclusione dell’evento è piacevole e gratificante (rinforzo positivo). Volendo avviare una specifica correzione, è inutile accanirsi sull’effetto durante la sua manifestazione, è necessario invece intervenire sulla conclusione rendendola spiacevole e non gratificante (rinforzo negativo). Gli interventi devono essere decisi e convinti negli intenti, ma assolutamente non traumatici nell’esecuzione. Per ottenere dei risultati solidi nel tempo, si deve intervenire con pazienza e fermezza, senza cadere in smancerie o impugnare il bastone. Come sempre è meglio usare la testa. Spesso i risultati tardano a venire. Non bisogna scoraggiarsi. Si tratta di convincersi che ciò che si sta facendo è giusto e necessario. E poi i risultati non possono non arrivare. Un buon proprietario si può definire tale quando rispetta la libertà ed i diritti degli altri, pretende rispetto dal proprio cane tenendo conto delle sue esigenze e della sua natura.

* Educatore Cinofilo SIUA Tecnico Mobility dog CSSEN davidewolf73@gmail.com

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Club dell’Osso

Demetrio Minutilli

Uno degli aspetti della crisi è che è stato valorizzato il ruolo strategico degli eventi nelle dinamiche aziendali

Cambia tutto

www.clubdellosso.it clubdellosso@clubdellosso.it

Gli eventi aziendali sono cambiati E’ in atto un vero e proprio cambiamento nelle tecniche di comunicazione, nei contenuti e nel ruolo strategico degli eventi aziendali. Sicuramente la crisi ha e stà giocando un ruolo importante nell’evoluzione degli eventi aziendali. Ormai ritengo non sia più possibile creare engagement soltanto con solenni speech top down. Il protagonista è diventato il partecipante, la platea è cambiata, anche nella disposizione delle sale gli eventi hanno cambiato faccia. Il cambiamento più grosso è nel ruolo del partecipante, che diventa protagonista attivo e non più ricettore passivo. Tutto ciò è inevitabile, cambiano i contenuti, le forme e naturalmente gli obiettivi. Oggi si chiede, molto più che nel passato, che l’evento sia mirato ai risultati di business, che sia strumento per concordare obiettivi e strategie e che abbia una funzione motivazionale. Nel mix di comunicazione interna il ruolo degli eventi è cresciuto. In pompa magna

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Una volta si facevano gli incontri con la forza vendita una volta l’anno, in pompa magna. Oggi non si può aspettare un anno per incontrarli di nuovo, è diventato necessario fare queste giornate più di frequente, alcune magari senza il pernottamento che pesa tantissimo. Ovviamente la crisi ha prodotto tagli ai budget. Oggi dobbiamo tutti ingegnarci a fare di più con meno. Ma in questo senso la crisi è stata salutare: ha dimostrato che si poteva

fare. E poi ha fatto emergere l’importanza degli eventi, che si sono dimostrati l’investimento di marketing a cui si è rinunciato di meno. E’ venuto fuori il ruolo strategico degli eventi nelle dinamiche aziendali di creazione del valore. Da considerare inoltre che la meeting & event industry italiana non sempre riesce a rispondere alle nuove aspettative delle aziende. Gli eventi sono un mondo di eccezioni, di cose costruite ad hoc e questo non tutti l’hanno capito. Oggi chi organizza eventi deve essere un portatore di idee. Deve essere incontentabile nella ricerca della locatione adatta, e non solo che abbia la sala con i posti necessari. Da loro ci si aspetta una guida o una collaborazione per meglio costruire l’evento adatto a me, alla mia azienda, in quel momento della nostra storia. Non cerco soluzioni pre-confezionate. Voglio progettare con loro, dall’impostazione ai dettagli. E vorrei grande disponibilità ai cambiamenti dell’ultima ora. Spesso riusciamo a gestire gli imprevisti, ma altre volte no. Infine chiedo che mi portino idee di entertainment, soprattutto per alleggerire i contenuti tecnici dell’evento e farli arrivare meglio. Gli elementi tecnici di business devono essere intervallati da momenti di interazione, senza pesanti sessioni didattiche. E non solo, dovrebbero diventare essi stessi spettacolo. I professionisti della comunicazione e dell’edutaiment ci stanno insegnando molto e noi aziende dobbiamo essere disponibili a imparare.


dmc

Comitato scientifico Bruno Calchera Membro delegato del Tavolo del Terzo Settore della Regione Lombardia. Già Direttore U.O. della Comunicazione Istituzionale della Regione Lombardia. Giornalista. Direttore Marketing in case editrici. Consulente alla Comunicazione in Enti pubblici e privati. Impegnato in attività del Terzo Settore da più di 30 anni. Alberto Contri Attualmente presidente della Fondazione Pubblicità Progresso e DG della Lombardia Film Commission. E’ stato Vice Chairman di McCann Erickson World Group Italia, consigliere della Rai, AD di Rainet, Presidente AssAP. E’ docente di Comunicazione Sociale alla IULM. E’ Grand’Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Marzia Curone Partner di “Relata”, Agenzia di Marketing e di Comunicazione di Relazione. Presidente del settore Direct Marketing di Assocomunicazione, Coordinatore del Comitato Interassociativo Marketing Diretto. Michele Faldi Direttore dell’Alta Formazione e delle Alte Scuole dell’Università Cattolica del S. Cuore. Ha lavorato presso centri culturali ed istituti di ricerca e formazione in Italia e all’estero. Da sempre si è occupato di Higher Education. Chiara Grosselli Già responsabile del Marketing e delle Comunicazioni per l’IBM in Italia, delle Relazioni Esterne e della Fondazione IBM Italia. Collabora con diverse associazioni per sostenere l’imprenditoria femminile. Ha vinto il Premio “Marisa Bellisario”.

dmc

dm & comunicazione

Fondato nel 1987 Rivista di Direct Marketing, Marketing e Comunicazione d’Impresa Autorizzazione tribunale n° 300 del 19/04/1991 Anno 27 - n° 2 del 2014 Direzione, Redazione, Grafica, Amministrazione: Via Spallanzani 10 - Porta Venezia - 20129 Milano tel. +39.02.74.22.22.1 - fax +39.02.74.22.22.23 e-mail: redazione@dmconline.it redazione@dmcmagazine.it - www.dmcmagazine.it Direttore Responsabile: Ugo Canonici Capo Redattore: Sarah Canonici Redazione: Pier Giorgio Cozzi, Grazia De Benedetti Coordinamento Redazionale e Grafica: Davide Canonici Editore Incaricato: Bruno Calchera Collaboratori: Ugo Clima, Barbara Coralli, Vittoria A. D’Apice, Antonio Ferrandina, Axel Lo Guzzo, Antonella Lucato, Alessandro Lucchini, Marco Maglio, Domenico Matarazzo, Demetrio Minutilli, Guido Montacchini, Ugo Perugini, Maurizio Quarta, Margherita Ruggiero, Mario Silvano, Roberto Villa Pubblicità: Gestita direttamente dall’Editore (redazione@dmcmagazine.it) tel +39.02.74 22 22.1 Iscrizione ROC: 16511 Deus Editore s.r.l.: via Spallanzani, 10 - 20129 Milano - P.I. IVA 11422020153

Club C3:

Il club per chi opera nel mondo della comunicazione d’impresa, ha come missione una corretta divulgazione della cultura della comunicazione. dm&c è l’organo d’informazione del Club C3

Alessandro Lucchini Giornalista e copywriter, è autore di libri sulla comunicazione professionale. Tiene corsi di business/web writing per aziende ed enti pubblici e insegna all’università Iulm di Milano. Stampa Maurizio Nichetti Architetto, attore, sceneggiatore, regista di cinema, televisione e cartoni animati. Debutta nella regia cinematografica con RATATAPLAN a cui faranno seguito una decina di lungometraggi. Attivo anche nel teatro di prosa, nel teatro lirico e nel cinema d’animazione.

LIGURGRAF s.n.c. Via Moggia 80/G c.a.p. 16033 Lavagna (Ge) Italy Tel 0185.598342 - www.ligurgraf.it - info@ligurgraf.it Gestione abbonamenti Via Pindaro, 17, 20128 MILANO Tel. +39 022520071 Fax +39 02252007.333 info@directchannel.it

Bruno Patrito Silva Fondatore e presidente di Direct Channel - con oltre 30 anni di esperienza, maturata prima nell’ambito di prestigiose aziende leader dell’I.T. e trasformata successivamente in attività imprenditoriale.

www.directchannel.it - www.miabbono.com Mario Silvano Presidente di Silvano Consulting, società di formazione, consulenza, marketing operativo, sviluppo quadri commerciali. Dal 1961 tiene corsi in Italia e all’estero. Autore di libri su marketing e vendita.

Chi sono i 20.000 lettori di dm&c (da un’indagine del Gennaio 2013)

A QUALI AZIENDE APPARTENGONO

Roberto Vallini Già direttore della Comunicazione di AEM Milano, e vice Presidente della FERPI. Giornalista, è stato Portavoce del Presidente della Lombardia Roberto Formigoni, ha pubblicato il libro “Per una Lombardia federale”. E’ Direttore Editoriale e di informazione di Telereporter, Odeon Tv e Telecampione.

QUALE FUNZIONE HANNO IN AZIENDA

Utenti di comunicazione

67,4%

Titolari, presidenti, amministratori

19,1%

Agenzie di comunicazione e meeting planners

25,1%

Commerciali, marketing

51,8%

Associazioni professionali, Pubblica Amministrazione

7,5%

Direzione pubblicità, responsabili Rel. Est.

29,1%

Qualora non vogliate ricevere più questa pubblicazione potete inviare una mail a redazione@dmcmagazine.it, specificando nell’oggetto “cancellatemi dal data base”.


Pensiero Libero

di Alessandro Lucchini*

“Palestra di Palestra”: terminato il percorso, giovani formatori pronti ad andare in aula

Emozioni e progetti: una squadra giovane

*Alessandro Lucchini, giornalista e copywriter, Autore di libri sulla comunicazione professionale. Tiene corsi business/ web writing per aziende ed enti pubblici e insegna all’università Iulm di Milano. www.palestradellascrittura.it lucchini@msoft.it

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Recruiting 2.0. Così s’intitolava il pensiero libero del numero scorso. (LINK)Che voleva dire selezione attraverso la rete, certo. Beh, quella storia è progredita. Qui raccontiamo l’epilogo. Si tratta di Palestra di Palestra, un progetto fortemente social teso a individuare giovani formatori attraverso la rete. Nato da un video selfie di due minuti, registrato in autostrada, è diventato un programma train-the-trainer di grande qualità. 80 videopresentazioni, 30 selezionati, rimasti poi 21 a seguire la formazione. È stato un programma intenso di ricerca, condivisione, autoapprendimento. I ragazzi l’han presa molto sul serio: hanno studiato, inventato, si trovavano per provare e sperimentare cose nuove. Poi ogni volta la lezione la facevano loro e i trainer senior di Palestra della scrittura li aiutavamo a sistemare, rettificare, riflettere, potenziare. Il 7 giugno scorso, l’ultima giornata tutti insieme. Per i ragazzi è stata l’occasione per esibire il meglio di sé; per i promotori, di arrivare alla selezione con un vero e proprio esame. Erano infatti presenti alcuni importati clienti della Palestra. Non una commissione di accademici che fa domande insidiose, ma buyer di formazione, professionisti che operano in aziende ed enti pubblici, abituati a valutare e scegliere a chi affidare le loro aule. Hanno fornito in diretta feedback puntuali sul lavoro dei ragazzi, e poi, ben meditata, una valutazione più specifica su chi è già pronto per affrontare un’aula e su chi invece deve ancora allenarsi. Come in ogni squadra, infatti, ci sono personalità diverse, conoscenze diverse, stili di approccio all’aula diversi. Professionisti giovani ma già solidi ed esperti, con alcuni anni di lavoro in organizzazioni complesse,

capacità di controllo delle relazioni, buona dialettica e disinvoltura nella gestione degli imprevisti. Altri più in erba, cui serve ancora un po’ di tempo e opportunità per farsi le ossa. Da settembre, i selezionati saranno in aula con i senior per l’affiancamento: giornate di ascolto e di osservazione delle dinamiche d’aula, con un nuovo punto di vista, e con interventi progressivi nell’attività didattica. E, dal nuovo anno, pronti ad affrontare le aule in autonomia. E a rendere possibili tre nuovi progetti per Palestra della scrittura. 1)Palestra per il sociale, la collaborazione non profit con ONG, associazioni di volontariato, istituzioni che dedicano il loro tempo e le loro energie a dare aiuto a chi non può permettersi di comprarlo. 2) Palestra per le scuole: collaborazione con istituti di vario ordine e grado, per portare contenuti professionali di qualità ai ragazzi delle università, delle scuole superiori, medie, fino ai bambini delle elementari. È un contributo piccolo, ma molto appassionato, per aiutare questo straordinario Paese a coltivare le abilità che l’hanno sempre distinto nei secoli: la creatività, il ragionamento, la dialettica, la scrittura, l’estro applicato al cambiamento e al miglioramento degli ambienti e delle persone. 3) Palestra formula jeans. Nelle aziende, nelle amministrazioni pubbliche, negli ospedali, nelle organizzazioni professionali di vario tipo, può lavorare una squadra di formatori giovani e ben preparati. E, proprio perché giovani, con tariffe più accessibili rispetto alla media del mercato. Una formula jeans che permette a chi ha dovuto tagliare i programmi formativi, quindi rallentando la sviluppo e la crescita della propria cultura, di accedere finalmente a contenuti di qualità e a energie fresche e vitali.


CLEIS SOLUZIONI PER LA COMUNICAZIONE

CLEIS è una Società di Comunicazione d’impresa specializzata nell’organizzazione di Eventi aziendali CLEIS SRL - Via L.Spallanzani,10 - 20129 Milano - Tel: 02 74 22 22 1 www.cleis.it - info@cleis.it



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