ETTY HILLESUM, “CUORE PENSANTE”

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1 INTERVENTO DELLA CLASSE VF DELL’ITC ”L. STURZO” DI BAGHERIA AL CONVEGNO “DONNE E MADONNE” (03.05.13) ETTY HILLESUM, “CUORE PENSANTE” Per presentare qui la figura di Etty Hillesum (Middelburg, Paesi Bassi 1914 - Auschwitz 1943), e la testimonianza che ci ha lasciato della Shoah, vogliamo partire dalla tormentata vicenda che ha portato alla pubblicazione dei suoi scritti, il Diario e le Lettere. Soltanto alla fine degli anni ottanta, quindi dopo circa quaranta anni dalla fine della Shoah il pubblico ha potuto conoscerli, studiarli ed apprezzarli. Dalla fine del 2012 il lettore italiano finalmente può leggere nella propria lingua, integralmente il Diario. Mentre altre narrazioni della Shoah, pubblicate già subito dopo la seconda guerra mondiale, hanno descritto la mostruosità del nazismo, come totalmente opposta alla innocenza degli altri, quindi distinguendo con nettezza vittime e carnefici, Etty Hillesum ci ha fornito un quadro più inquietante e interrogante, invitandoci a prendere consapevolezza che il seme del male è presente anche dentro l’animo degli innocenti; e che questo seme cresce, fiorisce e da frutti con tanta naturalezza: Il marciume che c'è negli altri c'è anche in noi, continuavo a predicare: e non vedo nessun'altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza prima aver fatto la nostra parte dentro di noi. E' l'unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove. Ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitale Se è così non si può non riflettere sui meccanismi che possono spingere uomini “normali” a incarnare il male nelle più varie circostanze della vita, delle volte in maniera insospettabile: in questo senso, il male riguarda anche noi, tutti noi. Il più sottile inganno del male ci porta a pensare invece che si tratti di qualcosa estraneo, lontano e mostruoso; con Etty ci addoloriamo per il male compiuto dai nazisti – un male di cui lei stessa è stata vittima e la cui portata non è in discussione , ma ci addoloriamo anche per la facilità con la quale lo stesso male ha presa su di noi. E’ facilmente comprensibile che un punto di vista così inquietante come quello di Etty Hillesum risultasse inaccettabile, per molti, quando le ferite lasciate dal nazismo e dalla lotta contro il nazismo erano ancora aperte e dolorose. E’ comprensibile che altre narrazioni più nette della Shoah, che tracciano una linea di demarcazione ben precisa fra bene e male, fra buoni e cattivi, abbiano avuto più fortuna, all’indomani della guerra, rispetto al Diario di Etty Hillesum: pensiamo, ad esempio, al Diario di Anna Franck, in cui Anna ha descritto un mostro, il nazismo, che è altro da noi. Queste due prospettive sulla Shoah, nel corso della seconda metà del 900 sono state attraversate dalla riflessione di un’altra ebrea, Hannah Arendt. In un primo tempo, poco dopo la fine della guerra, la Arendt ha fornito un’immagine della barbarie nazista come “male radicale”, assoluto, fuori da ogni logica, imperdonabile. In particolare ne Le origini del totalitarismo, del 1951, la Arendt ha analizzato il nazismo – e lo stalinismo - “dall’esterno”, come se innocenti e colpevoli si fossero spartiti il mondo. Ma la stessa Arendt, riflettendo di nuovo sulla Shoah a più di dieci anni di distanza dal suo lavoro sul totalitarismo, in occasione del processo Eichmann (ne La banalità del male, del 1963), ha indagato la genesi del male “dall’interno”, a partire dall’apparente “normalità” di un uomo come Eichmann, mettendo in guardia appunto dalla “banalità del male”, che può


2 sorgere ovunque, quando ci si confonde nella massa amorfa, quindi si rinuncia a pensare da sé e al dialogo con l’altro, quando ci si sottrae alla responsabilità personali. Ora, la cosa straordinaria di Etty Hillesum è che lei è giunta a una visione matura come quella della “banalità del male” invitandoci a rintracciare le radici del male anche in noi stessi, sulla base di una spiccata sensibilità personale in contemporanea agli stessi eventi, mentre viveva nel campo di Westerbork, il campo che precedeva la deportazione ad Auschwitz. Inaccettabile alla fine della guerra, quando si sentiva la necessità di esorcizzare il “male radicale” rappresentato dal nazismo, il Diario di Etty Hillesum ha conosciuto una straordinaria fortuna a partire dagli anni ottanta. I motivi di tale fortuna tardiva sono, in primo luogo, l’interesse per la sua particolarissima visione della vita e per la sua spiritualità, radicata nell’ebraismo, ma sensibile anche ad altre forme di religiosità, dal cristianesimo alle filosofie orientali; una spiritualità, che viene incontro al confuso ma sincero bisogno di senso proprio del nostro tempo. Crediamo inoltre non sia irrilevante il fatto che Etty Hillesum fosse una donna: crediamo che, nel suo modo di opporsi a una realtà fatta al di violenza e odio, al di là di differenze di superfice, si possa riconoscere il segno della sua differenza femminile, soprattutto nel senso della capacità di far ricorso alle proprie risorse interiori. Etty Hillesum ha riflettuto sul proprio coinvolgimento nell’odio e rifiuta l’odio indifferenziato verso un’intera categoria di persone – i tedeschi -, perché, se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest'unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero. Questo non significa che uno sia indulgente nei confronti di determinate tendenze, si deve ben prendere posizione, sdegnarsi per certe cose in certi momenti, provare a capire, ma quell'odio indifferenziato è la cosa peggiore che ci sia. E' una malattia dell'anima. Etty ha rifiutato l’odio indifferenziato – è stata questa la sua lotta personale contro il proprio “marciume” -, e all’odio ha opposto l’indignazione morale: per lei non si non si è trattato dunque di soccombere al male né di rassegnarsi, ma di puntare sulle proprie risorse umane ed esistenziali per contrastarne l’avanzata. Se la posizione di Etty può sembrare politicamente irrilevante, anzi distraente, va detto che c’è nell’atteggiamento della Hillesum una forma di “resistenza esistenziale”, di una resistenza cioè che non punta sulle risorse militari, economiche e tecnologiche nella lotta contro il male, piuttosto sulle proprie risorse interiori, spirituali e relazionali . Anzi bisogna dire che contro il male e l’odio, Etty si è spinta ben oltre la resistenza; ha proposto e praticato l’amore e la compassione, due attitudini verso l’altro diametralmente opposte alla violenza, all’intolleranza e al razzismo, di cui i nazisti sono manifestati campioni: A ogni nuovo crimine e orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Dopo la guerra, due correnti attraverseranno il mondo: una corrente di umanesimo e un'altra di odio’. Allora ho saputo di nuovo che avrei preso posizione contro quell'odio. Etty Hillesum ha visto chiaramente un conflitto simbolico e reale insieme fra odio, risentimento, vendetta, da una parte – sentimenti tutti centrati sull’io –, e amore e compassione, da un’altra parte, – sentimenti che invece promuovono relazione, reciproco riconoscimento, scambio. Etty è stata certamente pure capace di gesti di rottura, per cui non è in alcun modo giustificato il rimprovero di “passività”; tuttavia si dovrebbero ammirare soprattutto il suo senso di responsabilità nel non volersi salvare al prezzo della vita di qualcun altro, e la scelta di non collaborare in alcun modo con i nazisti.


3 Un’altra annotazione del Diario che può avere un significato politico è quella che Etty ha fatto a proposito delle umiliazioni che i nazisti infliggevano agli ebrei nell’Olanda occupata, come il divieto di percorrere le strade per la campagna: Per umiliare qualcuno si dev'essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell'aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei. Solo una grande forza e sicurezza interiori hanno consentito a Etty, a dispetto di una situazione così impari, di assumere, davanti a un nazista che la minacciava alla Gestapo, un atteggiamento di superiorità tale da non farsi intaccare interiormente dall’umiliazione: non si tratta di semplice ostentazione, ma di un aspetto importante di quella “resistenza esistenziale” che Etty ha concretamente praticato a partire da sé. La via scelta da Etty Hillesum non può essere connotata solo negativamente come “resistenza”, ma è quella assolutamente positiva e attiva di un magistero femminile disarmato ma alto che si oppone autorevolmente , simbolicamente e concretamente, al culto virile delle armi, della guerra e della violenza. Al termine della lunga lotta contro il “marciume”, anche il proprio, contro la violenza dell’odio, Etty ha accettato la compresenza di bene e male dentro di sé, ma senza rassegnazione, per lottare contro il male, in virtù di una profondità – il Dio salvato dentro di sé -, in cui il bene non produce che bene. Cercherò di aiutarti affinché Tu non venga distrutto dentro di me. Siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, Dio. Difendere fino all'ultimo la tua casa in noi. “Aiutare Dio” è la formula inedita, forse teologicamente poco corretta ma efficace, inventata da questa giovane donna, che, di fronte al silenzio di Dio ad Auschwitz, ha interdetto a Dio di abbandonarla, ponendolo al centro della propria attenzione; che è come dire che non è Dio responsabile; è l’uomo a portare interamente la responsabilità del male. Dunque di fronte al dilagare del male, Etty ha individuato la missione di aiutare Dio a intenerire il cuore degli uomini: “aiutare Dio” ha significa per Etty, con evidenti echi evangelici, concretamente aiutare il prossimo, nella cui miseria e sofferenza (ci è stato insegnato) si rende presente il volto di Dio. Dio abita proprio lì, nella fragilità umana esposta alla forza bruta. Salvando Dio dentro di sé e contribuendo a disseppellirlo dal cuore di altri uomini induriti dalla sofferenza, Etty ha evitato di lasciarsi andare alla disperazione di cui erano preda la maggior parte degli altri deportati; fu consapevole di portare una responsabilità pesante ma alta, un lascito da consegnare alle generazioni future: Dio dentro di sé, una scintilla divina consegnata interamente alla fragilità della creatura. La parte più profonda e ricca di me, in cui riposo, la chiamo Dio. Per Etty, come poi per altri pensatori del 900 di tradizione ebraica, Dio non è onnipotente, è anzi impotente di fronte alla prepotenza del male, la cui responsabilità grava interamente sull’uomo. E all’uomo stesso è affidato il compito di salvare Dio dentro di sé, affinché la distruzione non sia completa. Potrà sembrare questa una eresia per un pensiero attento a conservare integrità dottrinale; e lo è, tuttavia si tratta di una eresia che spinge necessariamente a una migliore comprensione di Dio e dell’uomo. Etty avrebbe voluto essere scrittrice, non testimone: iniziò a scrivere il Diario, su suggerimento del suo psicoterapeuta e amante, Julius Spier, come forma di autoterapia, e come laboratorio di


4 scrittura. Ma le circostanze le affidarono il compito di essere testimone anche scrivendo, e lei ha accettato di assolverlo: dovrei impugnare questa sottile penna stilografica come se fosse un martello e le mie parole dovrebbero essere come tante martellate, per raccontare il nostro destino e un pezzo di storia com’è ora e non è mai stata in passato - non in questa forma totalitaria, organizzata per grandi masse, estesa all'Europa intera. Dovrà pur sopravvivere qualcuno che lo possa fare. Di fronte a questa responsabilità ha avvertito il bisogno della semplicità e dell’essenzialità ricorrendo ad immagini poetiche, ma anche alla lingua del silenzio e della pulizia interiore piuttosto che all’urlo o alla rappresentazione cruda della verità dei fatti. Anche a Westerbork, cioè da un luogo di infinito non senso, dove tutto non era che bruttura estetica e morale, Etty mantiene il suo sguardo trasfigurante, capace di rifare liricamente la realtà, come quando una sera, guardando o ripensando ad una brutta baracca di deportati, ha annotato: Quella baracca talvolta al chiaro di luna, fatta d'argento e di eternità: come un giocattolino sfuggito alla mano distratta di Dio. In immagini poetiche come questa, troviamo volutamente accostate malvagità e bellezza: dove quindi la malvagità fa sentire più acutamente la preziosità delle cose belle, che lo sono tanto più quanto più sono esposte al rischio della distruzione. Ovviamente la bellezza non serve ad occultare la realtà, ma fa sentire che, accanto alla sventura, c’è altro, c’è la carezza misericordiosa del bello: l’amore per la bellezza è amore per tutte le cose veramente preziose che la cattiva sorte può distruggere. Anche a Westerbork, Etty Hillesum ha espresso dunque un indomabile attaccamento alla vita, che in lei si è fusa con la compassione per l’esistenza umana minacciata dalla sofferenza e dalla morte. Con mirabile sintonia ha scritto Viktor Frankl: “Noi che siamo stati nei campi di concentramento ricordiamo gli uomini che andavano da una baracca all’altra confortando i compagni e regalando l’ultima crosta di pane. Forse non erano molti, ma bastavano a ricordarci che tutto si può portare via a un uomo tranne una cosa: l’ultima delle libertà umane, che è quella di decidere la propria linea di comportamento in qualunque circostanza e di seguire la propria strada” Altro aspetto significativo della scrittura di Etty lo possiamo rinvenire nel suo desiderio di salvare dall’anonimato ogni singola persona, con brevi ritratti efficaci e incisivi, che ci restituiscono il tratto peculiare di individui irripetibili, a dispetto del tentativo proprio del totalitarismo nazista di distruggerlo e cancellarlo, con la morte in serie nei campi, con la cancellazione della memoria, con la riduzione di ogni persona a numero, privando la carne umana di dignità e rispetto. Etty Hillesum si è opposta con i mezzi che le hanno lasciato (il cuore, la mente e la penna), energicamente a questo tentativo mortifero, sia rappresentando i mutamenti del proprio animo nel Diario, sia ritraendo, nelle sue narrazioni di Westerbork, quante più persone possibile, ognuna con la propria singolarità. La narrazione che Etty Hillesum ci ha lasciato di Westerbork non mira a darci un resoconto oggettivo e crudo; Etty ha scelto di non indugiare sulle realtà più dure, non ha voluto fare la cronaca degli orrori come altri hanno fatto riferendo di suicidi, le crudeltà e il sadismo dei nazisti, le epidemie, ecc Non si tratta di edulcorazione della realtà, e ancor meno della ricerca di un rifugio in una dimensione da sogno. Il fatto è che per Etty non sono i fatti che contano nella vita, conta solo ciò che grazie ai fatti si diventa. Con la sua determinazione a continuare a pensare, a flettersi sulla realtà che si delineava attorno a sé, di essere il “cuore pensante della baracca”, contrariamente a quanti (molti) di fronte


5 all’orrore si rifiutarono di pensare, Etty Hillesum ha espresso l’esigenza che dai campi stessi nascessero nuovi pensieri, che dovranno portar chiarezza oltre i recinti di filo spinato, perché Non si tratta di conservare questa vita ad ogni costo, ma di come la si conserva. Se noi abbandoniamo al loro destino i duri fatti che dobbiamo irrevocabilmente affrontare - se non li ospitiamo nelle nostre teste e nei nostri cuori, per farli decantare e divenire fattori di crescita e di comprensione, allora non siamo una generazione vitale. Certo non è così semplice, e meno che mai per noi ebrei; ma se non sapremo offrire al nostro mondo impoverito del dopoguerra nient'altro che i nostri corpi salvati ad ogni costo, e non un senso nuovo delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e desolazione, allora non basterà. Come Dietrich Bonhoeffer, pastore protestante e teologo cristiano ucciso per essersi opposto al nazismo in nome della fede e di un senso dell’essere uomo alto, Etty Hillesum è riuscito a vivere intensamente il presente e insieme a pensare al futuro, alle generazioni future. Noi che la leggiamo oggi, a tanti anni di distanza, siamo colpiti dalla forza di questa giovane donna, che è riuscita a conservare intatte, nel campo di Westerbork, la sua umanità, il suo entusiasmo per la vita e la sua apertura al divino. Colpisce il fatto che la narrazione di Etty fosse tanto lontana da quella degradazione al di sotto della soglia dell’umano che altri testimoni dei campi hanno dovuto dolorosamente constatare. Forse proprio nell’ospitare e custodire Dio dentro di sé, come la parte più nascosta e vitale di se stessa, come un carico prezioso da portare in salvo oltre la catastrofe, sta il segreto per cui questa giovane donna è riuscita a non farsi degradare in alcun modo dal campo. Etty scriveva spesso di sentirsi fra le braccia della “nuda vita”, ma, a ben guardare, la sua vita non è stata mai così “nuda” quanto quella di altri testimoni della Shoah, perché al centro c’è sta una fede in Dio in grado di sostenerla fino alla fine: L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. Una verità non certo di facile apparenza, quella della presenza di Dio nell'uomo; una verità "difficile", per la quale occorreva il duplice sguardo di chi quella Presenza divina la portava, quale relazione vivente, in sé: in una lettera, Etty stessa, non senza un certa ironia, di fronte al volto degli aguzzini che caricavano il treno per Auschwitz, dirà mi sono trovata nei guai con la Parola che è il tema fondamentale della mia vita: "E Dio creò l'uomo a sua immagine”. Questa Parola ha vissuto con me una mattina difficile". Essendo riuscita a salvare un pezzetto di Dio dentro di sé, Etty è riuscita anche a preservare se stessa dalla degradazione, a non farsi intaccare interiormente dalla sventura subita: col suo eroismo femminile, ha davvero salvato Dio, lo ha portato oltre la catastrofe. Etty, nella indiscutibile fragilità della propria vita, nella esposizione agli eventi molto più grandi di lei, alla violenza e insensatezza altrui, fino alla morte fisica, ha testimoniato che nessuno ha potuto uccidere la sua anima, che è ancora oggi parlante; il vero potere fu piuttosto il suo, il potere di dare la propria vita nell'assunzione consapevole, quotidiana e appassionata di essa; nell’appropriarsi del suo destino nello stesso tempo in cui apparentemente lo subiva da mano altrui. Ho spezzato il mio corpo come fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati, e da tempo. Proprio quando la disperazione e il senso di un destino irrevocabile, il sentimento dell'assurdo, il conseguente rifiuto stesso di pensare, alla ricerca magari di rifugi e ripari psichici, erano comprensibilmente la reazione più diffusa attorno a lei, questa donna svolse nel senso più eminente, per se stessa e per i compagni di sventura, il compito intellettuale dell'umano, l'esercizio del pensiero per ridare alla disgregazione e nudità dei fatti la veste di un senso veritativo.


6 In un luogo e momento storico dove tutto parlava della morte di Dio e dell’uomo (si pensi alla domanda ricorrente nel pensiero contemporaneo quale Dio dopo Auschwitz? e all’affermazione amara di P. Levi se questo è un uomo) Etty Hillesum riscoprì in se stessa e annunciò a voce alta la verità dell'uomo come luogo della viva presenza di Dio; intuì l'intimo legame delle sorti dell'uno e dell'altro e si dette il compito di custodire, preservare, più che la propria vita fisica, il proprio nucleo interiore più profondo, il suo senso.


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