Le cronache di Harris Burdick

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straordinari autori raccontano

L e Cronache

di Harris Burdick

C hris Van A llsburg con un’introduzione di Lemony Snicket

traduzione di Giuseppe Iacobaci


Per Peter Wenders, ancora

Le cronache di Harris Burdick © 2012 Editrice Il Castoro

viale Abruzzi 72 - 20131 - Milano info@castoro-on-line.it www.castoro-on-line.it Traduzione di Giuseppe Iacobaci

Pubblicato per la prima volta nel 2011 da Houghton Mifflin Books for Children, un marchio di Houghton Mifflin Harcourt Publishing Company con il titolo The Chronicles of Harris Burdick. Titoli originali: Archie Smith, Boy Wonder (Tabitha King), Under the Rug (Jon Scieszka), A Strange Day in July (Sherman Alexie), Missing in Venice (Gregory Maguire), Another Place, Another Time (Cory Doctorow), Uninvited Guests (Jules Feiffer), The Harp (Linda Sue Park), Mr. Linden’s Library (Walter Dean Myers), The Seven Chairs (Lois Lowry), The Third-Floor Bedroom (Kate DiCamillo), Just Desert (M.T. Anderson), Captain Tory (Louis Sachar), Oscar and Alphonse (Chris Van Allsburg), The House on Maple Street (Stephen King) Copyright testi © 2011 Lemony Snicket, Tabitha King, Jon Scieszka, Sherman Alexie, Gregory Maguire, Cory Doctorow, Jules Feiffer, Linda Sue Park, Walter Dean Myers, Lois Lowry, Kate DiCamillo, M.T. Anderson, Louis Sachar, Chris Van Allsburg Copyright illustrazioni © 1984 Chris Van Allsburg La casa in Maple Street © 1993 Stephen King. Ripubblicato con il permesso di Scribner, una divisione di Simon & Schuster, Inc., da Nightmares & Dreamscapes di Stephen King. Tutti i diritti riservati.

Testo scritto in carattere Centaur MT. Design del libro di Sheila Smallwood ISBN 978-88-8033-643-3 Stampato in Italia da Grafiche AZ - Verona


Indice Introduzione —Lemony Snicket  iv Il ragazzo meraviglia —Tabitha King  1 Sotto il tappeto —Jon Scieszka  11 Una strana giornata di luglio —Sherman Alexie  19 Smarrito a Venezia —Gregory Maguire  35 Un altro luogo, un altro tempo —Cory Doctorow  53 Ospiti inattesi —Jules Feiffer  71 L’arpa —Linda Sue Park  81 La biblioteca del signor Linden —Walter Dean Myers  103 Le sette sedie —Lois Lowry  119 La camera al terzo piano —Kate DiCamillo  135 La giusta punizione —M. T. Anderson

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Capitan Tory —Louis Sachar  167 Oscar e Alphonse (La congettura Farkas) —Chris Van Allsburg

179

La casa in Maple Street —Stephen King  191 Introduzione originale a The Mysteries of Harris Burdick

—Chris Van Allsburg  222 Gli autori 224


Introduzione di Lemony Snicket

Esiste un autore più misterioso di Harris Burdick? La modestia m’impedisce di rispondere a questa domanda retorica, ma sta di fatto che Harris Burdick ha gettato una lunga e strana ombra sul mondo della letteratura, non diversamente dall’uomo illuminato dalla luna e nascosto fra i rami di un albero che proprio la notte scorsa guardava fisso attraverso la finestra tenendo in mano un raro e sinistro oggetto, dal quale si proiettava una lunga e strana ombra verso il muro della tua cameretta. Quella di Harris Burdick è una storia che tutti conoscono, benché siano ben poche le cose che si possono davvero conoscere di lui. Più di venticinque anni fa, un uomo chiamato Peter Wenders ricevette la visita di uno sconosciuto che si presentò con il nome di Harris Burdick, il quale gli lasciò quattordici disegni affascinanti accompagnati da didascalie altrettanto se non ancor più affascinanti, promettendo di far ritorno il giorno dopo con altre illustrazioni e dei racconti a essi collegate. Ma il signor Wenders non lo rivide mai più, e per anni i lettori si sono dati a instancabili elucubrazioni sull’opera di Burdick, espressione che significa “hanno guardato i disegni, hanno letto le didascalie, e hanno cercato di immaginarsi come potessero essere i racconti”. Ne è venuta fuori così un’enorme collezione di storie, prodotta da lettori di tutto il globo, che hanno immaginato dei mondi dei quali il signor Burdick non ci aveva dato altro che una fugace visione. Ho sempre avuto una teoria sulla sparizione del signor Burdick però, benché io non abbia mai avuto il coraggio di condividerla fino a oggi. A me è parso che il misterioso autore si nascondesse... ma non nei luoghi dove la gente si nasconde di solito, sotto un letto o dietro i cappotti nel guardaroba o nel bel mezzo di un prato coperto da un lenzuolo color verde erba. Il signor Burdick dev’essersi mimetizzato in mezzo alla coorte dei suoi pari, espressione che significa “gente che lavora nel suo stesso ramo d’attività”. Anziché dare altre sue creazioni al signor Wenders, Burdick potrebbe aver distribuito i propri racconti, nel corso di molti anni, a suoi colleghi nel mondo della letteratura. Magari glieli ha dati in dono per ringraziarli di avergli permesso di rintanarsi a casa loro. O magari li ha nascosti nelle loro stanze degli ospiti sperando che non venissero mai trovati. Comunque sia andata, ho sempre sperato che il resto delle opere del signor Burdick


potesse emergere in superficie, ma i misteri del signor Burdick – che sarà ormai molto vecchio, o parecchio defunto, o entrambe le cose – non hanno mai trovato soluzione. Questo libro, dunque, desta dei sospetti. Le storie che trovate qui raccolte potrebbero anche essere state scritte, come tanti altri racconti scritti per i disegni di Burdick, come il tentativo di azzardare una ricostruzione, operato da autori attirati dalle stupefacenti immagini e didascalie di Burdick. Ma io sono persuaso che si tratti delle vere storie scritte da Harris Burdick, e donate da questi a vari autori che adesso millantano di averle scritte loro. Non ho prove per dimostrare la veridicità di questo sospetto, ma quando ho interrogato gli autori coinvolti, nessuna delle loro risposte mi ha smosso in alcun modo dai miei convincimenti. Sherman Alexie mi ha detto che non erano affari miei. Jules Feiffer mi ha detto che non erano cose che mi riguardavano. Lois Lowry mi ha detto che non aveva mai sentito nulla di così ridicolo in vita sua. Louis Sachar mi ha detto di aver sentito qualcosa di parimenti ridicolo, ma parecchio tempo fa. Kate DiCamillo mi ha detto di rivolgermi al suo avvocato. M.T. Anderson mi ha detto di parlare col suo medico. Tabitha King mi ha detto di parlare con suo marito. Stephen King mi ha detto di parlare con sua moglie. Cory Doctorow mi ha detto che avrei dovuto chiedere a Walter Dean Myers, che mi ha detto di andare a importunare Linda Sue Park, la quale mi ha diretto a Gregory Maguire, il quale mi ha detto di avere un messaggio speciale da parte di Chris Van Allsburg, e il messaggio diceva di togliermi dai piedi e lasciarlo in pace e smetterla di parlare di Harris Burdick. Infine, Jon Scieszka mi ha detto che sarebbe stato felice di rispondere alla mie domande, mi ha invitato ad accomodarmi e gustare un po’ di gelato, e poi dopo una lunga pausa è scappato dalla finestra lasciandomi da solo con quello che si è invece rivelato essere un sorbetto. Può darsi che non abbia importanza. Può darsi che queste storie siano state scritte da Harris Burdick, oppure no. Comunque stiano le cose, i misteri di Harris Burdick non finiscono, e se aprite questo libro probabilmente ne resterete avvinti anche voi. Mentre rileggerete i racconti, guarderete le immagini, e mediterete sui misteri di Harris Burdick, finirete per ritrovarvi in un mistero che unisce fra loro moltissimi autori e lettori in una meraviglia tale da lasciare senza fiato.


Il ragazzo meraviglia Una vocina chiese: «È lui dunque?».




IL RAGAZZO MERAVIGLIA

Tabitha King

A rchie strinse gli occhi al bagliore del sole e impugnò forte il manico della mazza. Tirò giù il caschetto per prendersi quel minimo di ombra che la visiera poteva offrirgli. Con la sfortuna che aveva, la palla sarebbe arrivata dritta dal sole, che pareva essersi piazzato proprio dietro la spalla del tozzo piccolo lanciatore. Sentiva i palmi delle mani bagnati e scivolosi sul frassino liscio della mazza. Il sudore e il prurito sulla cute sotto il caschetto. Il lanciatore era più basso di lui. Lo erano tutti. Altra sfortuna, era il ragazzino più alto di tutto il campionato. Strano vantaggio, per loro: gli bastava fare un tiro basso e la palla sarebbe arrivata in un punto irraggiungibile della sua zona di battuta. Pensò a Luke in Guerre stellari, che brandiva la sua spada laser da cavaliere jedi contro una minuscola sfera di luce. Fece un respiro profondo e attese. Dietro di lui, il ricevitore si irrigidiva. Non ancora, si disse Archie, stringendo la presa, e poi pensò: adesso, e il suo braccio arretrò proprio mentre una minuscola sfera di luce sbucava dritta dal sole. La palla incontrò la sua mazza con un glorioso CRACK! e schizzò indietro, roteando, di nuovo verso il bagliore.


tabitha king

La seguì ancora con lo sguardo mentre la mazza gli cascava di mano e mentre scattava, le punte delle sue Converse All Star che scavavano nella terra. Non c’era niente da guardare; la bimba era andata. Raggiunse la prima base, guardando bene per esser certo di toccarla col piede, ma poi non riuscì a fare a meno di alzare ancora gli occhi verso il punto dove la palla era scomparsa mentre correva e toccava le basi. Correva abbastanza rapido da sentirsi il cuore martellare in petto, e sentiva la gente dirgli di rallentare – avrebbe potuto camminare, volendo –, ma non si fa così, te la giochi sempre al massimo, e così correva ancora, toccando ogni base con attenzione e gettandosi infine sulla casa base, perché nessuno potesse mettere in dubbio che era sua. L’allenatore, che era un po’ idiota, lo afferrò e lo abbracciò e gli diede delle pacche sulla schiena, gridando: «L’hai mandata sulla luna!». Lo gridò tre o quattro volte, casomai non l’avessero sentito bene la prima. Archie non aveva bisogno che glielo dicesse l’allenatore cos’aveva fatto. Lui era Archie Smith, il Ragazzo Meraviglia. Lo chiamava così sua madre. Ed eccola, che saltava su e giù per inneggiare al figlio. Di certo in quel momento sorrideva troppo e sembrava sciocco, perciò si sforzava di trattenersi, ma senza risultato. «E allora? Che importa quel che fai?» Che importava, se qualcuno rideva di lui perché sembrava sciocco. «E allora? Che importa quel che fai?», diceva sempre così, sua madre. «E allora? Che importa quel che fai?» Quando Archie, meravigliato, le aveva chiesto il perché di quella frase, e perché la ripetesse in così tante occasioni, lei gli aveva spiegato che era un brano, So What degli Anti-nowhere League, che a suo padre piaceva tanto, specie la cover dei Metallica. Più tardi, quella sera, mentre sprimacciava il cuscino, fece scorrere di nuovo nella mente le immagini del suo fuori campo. Sentiva la partita nel 2

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il ragazzo meraviglia

parco a due isolati a ovest. C’era la luna piena; non avevano neppure bisogno dei faretti. C’era qualcosa di splendido e magico in quell’idea: baseball al chiaro della luna. Era una partita dei grandi, operai dell’imbottigliamento contro agenti di polizia fuori servizio. La mamma gli aveva permesso di assistere a tre inning ma poi era dovuto tornare a casa e andare a letto, perché l’indomani c’erano le lezioni di sostegno estive. La sua solita sfortuna: gli allievi del corso integrativo di sostegno, lui e un pugno di altri tontoloni che dovevano andare a scuola per tutto l’anno perché erano ultrastupidi. Se non altro poteva andare a scuola a piedi anziché prendere il bus giallo o indossare un casco tutto il tempo come un paio dei suoi compagni. Sua madre diceva che non era stupido, che frequentava i corsi di sostegno perché era disclessico. Adesso sapeva come si scriveva, ma continuava a pensare a quella parola nella maniera in cui aveva creduto di sentirla la prima volta. Aveva un calendario da tavolo con su scritta in grossi caratteri una parola diversa da imparare ogni giorno, ed era una cosa fichissima, ma lui fingeva di detestarla, così, tanto per ingannare la mamma perché era una tosta ed era difficile fregarla. Gli piaceva guardare le partite dei grandi. Imprecavano e gridavano l’uno contro l’altro e c’era un odore spumeggiante di birra nell’aria. Si domandò se l’enorme luna sarebbe mai scesa dietro alle spalle del lanciatore così che la palla sembrasse provenire dritta dritta da lì. Era di un bel bianco candido, non giallo rovente come il sole, perciò la palla magari si sarebbe mossa lenta e liscia come la panna quando la montava sua madre. Magari sarebbe stata gelida al tatto, dal momento che veniva dalla luna attraversando lo spazio profondo della notte, senza il calore del sole a farla schizzar via come sospinta da una mazza fatta di fuoco.[....................] H

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