HOTEL BONBIEN di Enne Koens

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i peli di gatto




Titolo originale Hotel Bonbien Testo © 2015 by Enne Koens Illustrazioni © 2015, 2019 Katrien Holland Originally published by Uitgeverij Luitingh-Sijthoff B.V., Amsterdam All rights reserved Traduzione dal nederlandese di Olga Amagliani

Per l’edizione italiana Copyright © 2016 Camelozampa Tutti i diritti riservati www.camelozampa.com

Prima edizione italiana: maggio 2019 ISBN 9788899842550

Questa pubblicazione riflette unicamente le opinioni dell’autore e la Commissione non può essere ritenuta in alcun modo responsabile dell’uso che possa essere fatto delle informazioni ivi contenute.

Alta leggibilità Questo libro utilizza il Font EasyReading® Carattere ad alta leggibilità per tutti. Anche per chi è dislessico. www.easyreading.it


illustrazioni di Katrien Holland traduzione di Olga Amagliani



Per Silke. La vita è un’avventura, goditela.



Prologo

Questa è la storia dell’anno in cui ho avuto dieci anni. È stato l’anno più strano che abbia mai vissuto. Sono successe cose belle: le galline hanno fatto i pulcini e io sono diventata amica di mio fratello Gilles. Però sono successe anche cose meno belle: i miei genitori hanno litigato e per un pelo non è finita malissimo. Il giorno che sono caduta dall’albero, tutto è cambiato. Mi è venuta una nuova testa; insomma, più o meno. Poi ve lo spiego. E il giorno che siamo finiti con la macchina in un fosso è stato forse il peggiore di tutti i 365 giorni dell’anno in cui ho avuto dieci anni. Però è meglio che cominci dall’inizio. Questa storia inizia a Hotel Bonbien nel momento in cui ho dieci anni già da due settimane. Il nostro albergo è in Francia, sulla N19, e per me è il posto più bello del mondo. È proprio sulla strada, quindi le macchine passano vicino

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ai tavolini all’aperto. Però, se prendi il sentiero che porta verso il retro dell’albergo e poi prosegue, arrivi subito tra le colline. Erba alta, fiori gialli, uccellini, un sentierino delimitato dal filo spinato e qualche mucca marrone oltre il filo. Lì si sta in pace. Conosco l’albergo come le mie tasche. Di ogni camera so quale carta da parati c’è alle pareti, se le piastrelle del pavimento del bagno sono crepate e che vista si ha dal balcone. Hotel Bonbien fa parte di me, proprio come le mie braccia e le mie gambe. Se qualcuno mi chiedesse che odore ha, risponderei che profuma di quelle piccole mele già un po’ avvizzite. Di cornetti appena sfornati e della minestra di verdure salata che fa mia madre. Non importa dove sono; se chiudo gli occhi riesco a vedere ogni cosa. Dalle cacchette di topo nello scomparto del pane alle grandi lettere luminose sulla facciata. Sento la lavatrice che va, gli uccelli che cantano e le porte che cigolano. Vedo gli ospiti che entrano ed escono dalla porta girevole. Vedo Gilles appoggiato al piano della cucina, vestito di nero, con spesse strisce di matita nera attorno gli occhi. Vedo mia madre che impasta con le sue mani grandi. Preme e piega in due, preme e piega in due sul piano

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luccicante della cucina. Vedo mio padre alla reception: mordicchia l’estremità della matita e scrive uno scontrino. Qui sono nata e da qui non me ne voglio andare mai più.

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1 In cui stanno per cominciare le vacanze estive e la confusione in albergo aumenta

In un albergo, ogni giorno si fa colazione e ogni giorno si lavano i piatti. Ogni giorno vengono rifatti i letti e ogni notte ci si dorme di nuovo. Eppure nessun giorno è uguale all’altro, perché la gente cambia sempre. Del resto, se si hanno dei genitori come i miei, si può stare certi che nessun giorno è uguale all’altro. Adesso mia madre grida dalla cucina: «Octave, il sale!» E mio padre risponde dalla reception, senza muovere un passo verso di lei: «Il sale, il sale cosa?» «È finito, Octave, e mi sono dimenticata di ordinarlo. Senza sale non posso lavorare». Mia madre sta in cucina e mio padre alla reception. Lei prepara da mangiare e lui fa i conti. Hanno provato anche il contrario, ma non è andata per niente bene. Il fatto è che mia madre cucina delle cose buonissime. Torta ai lamponi e pain au chocolat. E mio padre ha

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pazienza con gli ospiti. «E io cosa posso farci, Hilare?» grida mio padre al di sopra delle teste degli ospiti. «Vallo a prendere!» strilla mia madre. Gli ospiti guardano turbati dalla porta della cucina alla reception, e viceversa. Aggrottano le sopracciglia. E mio padre si innervosisce. Li vede dal suo posto alla reception. Mia madre dalla cucina non vede niente e, anche se li vedesse, non gliene importerebbe nulla. Mio padre attraversa la sala da pranzo a piccoli passi e sussurra da dietro l’angolo della porta della cucina:

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«Non posso andare a prendere il sale adesso, Hilare». «Trova un modo, Octave!» grida lei di spalle. «Arrangiati». «Gilles» dice mio padre. «Non esiste» risponde Gilles. È nella pubertà. «Avanti, Gilles. Non è il momento di fare storie. Prendi la bicicletta» dice mio padre e gli ficca in mano due euro. Gilles sospira. «Perché non ho il motorino? Fa già abbastanza schifo vivere in (bip) al mondo, ma perché non mi prendete il motorino?»

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«Non ci sono soldi» dice mio padre. Dice sempre così. Gilles brontola: «Sfigati». E poi si gira. Dalle finestre della sala da pranzo lo vedo allontanarsi in bicicletta in direzione del paese. Hotel Bonbien si trova nell’est della Francia, un po’ sopra Langres. Bisogna pedalare sei chilometri per raggiungere il negozio più vicino, quindi Gilles non tornerà prima di un’ora. Gli ospiti si alzano per saldare il conto da mio padre. Poi montano in macchina e si mettono in viaggio verso… Non so verso dove. Proseguono verso sud o verso nord. «È già arrivato Gilles?» chiede mia madre. Mescola impaziente la zuppa, ma Gilles è appena partito. «No, non ancora!» risponde mio padre. «Merde» borbotta lei. Bonbien è un albergo per gente di passaggio. Non vogliono davvero stare da noi, vogliono andare da qualche altra parte, dice sempre mio padre. Ed è vero, perché la maggior parte beve solo un caffè o va in bagno. A volte si fermano a dormire per una notte. Solo se è strettamente necessario rimangono di più. Una volta è venuto un camionista con la diarrea,

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che non poteva allontanarsi più di due metri da un bagno. È rimasto addirittura tre notti e mia madre gli portava la minestra in camera. Un’altra volta è venuta una famiglia marocchina in viaggio verso Tangeri. Si erano fermati un attimo per pranzare nel parcheggio davanti all’albergo. Dal loro furgoncino sono spuntate borse piene di cose da mangiare. Un vassoio di couscous, un bottiglione con della salsa rossa, vaschette di plastica con olive e limoni. Quando sono voluti ripartire, il loro furgone non andava più. Il padre è rimasto due giorni sdraiato di schiena sotto il furgone. Ha preso in prestito da noi degli attrezzi e non ha smesso un attimo di imprecare. Nel frattempo, io ho fatto vedere il posto ai suoi bambini. Lo stagno con i pesci, la spiaggetta dove si possono mettere i piedi a mollo, le colline e i campi più in là. Siamo andati in altalena, abbiamo costruito capanne e preso ghiaccioli di nascosto dal congelatore nella rimessa. Due giorni dopo, quando sono ripartiti, ho pianto. Ero in piedi con mia madre davanti alla grande porta girevole che facevo ciao con la mano e di colpo le mie guance si sono bagnate di lacrime. «Cosa fai, piangi?» ha chiesto mia madre stupita, cercando un fazzoletto nel grembiule per

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asciugarmi le lacrime. «Bimba mia». E mi ha stretta a sé per consolarmi. Da piccola mi capitava molto più spesso. Quando degli ospiti simpatici andavano via, piangevo sempre. Adesso che ho dieci anni invece non piango più, ci ho fatto l’abitudine. La gente viene e va. Con alcuni parlo, con altri no. A volte faccio amicizia. Sono molto brava a fare amicizia e anche a dire addio. La sala delle colazioni e le camere nel frattempo si sono svuotate. Mio padre scende dalle scale. Ha rifatto i letti, spazzato i pavimenti e vuotato i cestini dell’immondizia. «Va’ un attimo a vedere in strada!» strilla mia madre dalla cucina. «A vedere cosa?» chiede mio padre. «Se arriva Gilles. Non posso continuare senza il sale». Mio padre cammina verso la strada e guarda in lontananza schermandosi gli occhi con la mano. È giugno e il sole splende forte sull’asfalto. La N19 è lunga e dritta. «Sì!» esclama mio padre indicando qualcosa. Poi torna dentro di corsa. «L’ho visto in lontananza. Vedrai che tra venti minuti arriva». «Perfetto» dice soddisfatta mia madre.

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Tra una settimana iniziano le vacanze estive. In albergo c’è già più confusione, ma mai come a luglio o agosto. Ho voglia che arrivino le vacanze, perché è quando sono più felice. Raccolgo le uova, aiuto a preparare la colazione e sparecchio i tavoli. A parte questo, non devo fare assolutamente niente.

HOTEL BONBIEN in libreria e online www.camelozampa.com

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