L'Eco del Bosco. Il giallo del pangolino giallo

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i peli di gatto




A Francy con amore, ovunque tu sia Giovanni

L’Eco del Bosco. Il giallo del pangolino giallo Scritto da Marco Iosa Illustrato da Giovanni Nori

Prima edizione: ottobre 2019 Copyright © 2019 Camelozampa ISBN 9788899842581 Tutti i diritti riservati www.camelozampa.com

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Marco Iosa

L’ECO DEL BOSCO IL GIALLO DEL PANGOLINO GIALLO illustrazioni di Giovanni Nori



Io, autore di questo libro, giuro solennemente che tutti i personaggi di questa storia esistono davvero, nella realtà o nella fantasia, e chi lo nega è un ladro o è una spia.



Il bello, il bullo e il cattivo Era una notte buia e tempestosa, ma qualcosa non quadrava. Forse era il cerchio. Forse il fatto che non fosse notte, bensì le 9 della mattina e fuori ci fosse un sole che spaccava le pietre. Buuum, buuum! «Cos’è tutto questo rumore?!» gridò Lina Gallina aprendo la finestra. «Mi scusi signora» disse il sole, «ero qui che mi annoiavo, così mi son messo a spaccare un po’ di pietre…» «Ma non si può! Già mio marito Lallo il Gallo mi ha svegliata alle 5 urlando chicchirichiiiiiii! Peraltro tutte le mattine mi sveglia così! Sai cosa vuol dire dormire con un gallo nel letto?! Quindi ora smettila con queste pietre! Se no ti tiro una secchiata d’acqua». Il sole si annuvolò di vergogna. Driiiiin, driiiin! «Ancora? Ma oggi non si può stare in pace!» Lina alzò la cornetta e rispose: «Coccod’è?»

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«Sono io, Lina, sono Rino Tommaso». Era lui: Rino Tommaso, il direttore del famoso giornale L’Eco del Bosco. Era il suo capo. Lina Gallina era la sua segretaria. «Chiamami Lupo!» disse Rino. «Ok, signor Lupo». «Ma cosa dici?». «Ti chiamo Lupo. Ma non è un nome strano per un rinoceronte? È come se Cappuccetto Rosso indossasse un cappuccio blu o se Biancaneve avesse i capelli neri…» «Biancaneve ha i capelli neri… Ma chi se ne importa! Chiamami Lupo al telefono!» «Siamo al telefono e io ti chiamo Cupo Lapo, no, volevo dire ti chiamo Pupo Luca, no, ti chiamo Lupo… capo». «Ma no! Devi chiamare Lupo al telefono, Lupo della famosa coppia Lupo e Polly». «Capito, non ho capo… No scusa, volevo dire, capo, non ho capito» disse Lina, «chi sono questi polli adesso? Perché io ho due nipotini polli, i figli di mia sorella, ma non hanno ancora il telefono. Uno si chiama Vercingetorige, è un gallo, e l’altro si chiama Cesare. Stanno sempre a litigare…» «Liiiiiiiiiiiina!» urlò il rinoceronte. «Non menare il can per l’aia…»

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«Direttore, non mi permetterei mai di menare un cane! Sono cose che non si fanno. Io sono animalista e sono contraria alle pellicce. Infatti odio le volpi. Sai, sono una gallina... Le volpi dovrebbero fare un altro tipo di dieta, più verdura: una bella insalatina non è meglio, dico io? Mais, ci vorrebbe il mais. E invece le volpi odiano il mais. Mai dire mais a una volpe. Ecco, casomais menerei una volpe, le farei dire ahia, ma non menerei mai un cane. Il cane è il miglior amico delle galline, perché caccia via le volpi. Anche se io, essendo animalista, sono contraria alla caccia. E anche alla pesca. Preferisco l’albicocca». Rino sbuffò. Da quando la sua segretaria Lella Gazzella si era licenziata per andare a vendere frigoriferi al Polo Nord, lui aveva una nuova

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segretaria, Lina Gallina, che faceva un pasticcio dietro l’altro. Alla fine, il direttore chiamò da solo Lupo e Polly. Non fu facile, perché i tasti del telefono sono piccoli per la zampa cicciona di un rinoceronte. Ma non fateglielo notare: i rinoceronti sono tremendamente permalosi. Poco dopo, la più strana coppia di giornalisti mai vista nella redazione di un giornale arrivò nell’ufficio del direttore. Polly era una giovane reporter, una pecora, assunta l’anno prima, a cui Lupo aveva insegnato molto di quel mestiere, malgrado all’inizio non fosse proprio contento dell’accoppiata. Erano tornati da poco a lavorare insieme alla rubrica Stranimali, casi strani tra gli animali, perché i lettori dell’Eco del Bosco avevano chiesto a gran voce che i loro giornalisti preferiti continuassero a fare coppia. «Lupo, Polly, ho bisogno di voi e non solo come giornalisti. È un caso molto particolare». «Abbiamo visto elefanti ballerini, puzzole

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bombardiere, leoni calciatori, orsi ribelli e maiali, tanti maiali… Cosa c’è di più strano stavolta?» chiese Lupo beffardo. «Non scherzare Lupo» disse Rino con tono molto serio, «alla scuola di Animalandia è scomparso il professor Lino Pangolino. La polizia pigola nel buio». «… Pigola nel buio? Veramente si dice brancola nel buio…» «Ma qui non c’è nessun branco! Hanno mandato solo il tenente Piccione a indagare». «Lo conosco, non è uno molto sveglio…» commentò Lupo. «Il piccione tuba, non pigola» puntualizzò Polly. «Ma questo è un novellino, e non ci capisce un tubo… Comunque pare che le telecamere abbiano ripreso un ladro che entrava nella scuola e ne usciva con un sacco… Forse dentro c’era il corpo del professore! Ma alla polizia non va di indagare su questo vecchio insegnante, altrimenti non avrebbero mandato Piccione. Io invece voglio inviarvi lì come giornalisti detective. Voglio che scopriate cosa è successo davvero». «Ma noi non siamo giornalisti di cronaca nera» disse Polly. Effettivamente loro non scrivevano storie di cose brutte, ma solo di animali strambi. «Sssh, Palla di pelo» la zittì Lupo.

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«Ehi, da tempo non mi chiamavi più così!» si lamentò la pecora, «è proprio vero che il lupo perde il pelo, ma non il vizio». «Io non perdo neanche il pelo» disse Lupo. «Anzi, io non perdo mai. Andiamo subito alla scuola, Rino». Polly scorse un gesto d’intesa tra i due. Quando uscirono, guardò incuriosita Lupo. «Che vuoi?» chiese lui. «Di solito non sei così obbediente. Sembravi un cagnolino…» Lupo digrignò i denti e Polly ebbe un brivido. «Io odio i cani» disse Lupo. Lungo la strada verso la scuola, Lupo recuperò la calma e spiegò alla pecora che il professor Pangolino insegnava italiano da molti anni nella scuola Giacomo Leopardo di Animalandia. Perfino lui e Rino erano stati suoi studenti. Era stato proprio Lino Pangolino a insegnar loro come scrivere e quindi dovevano molto del loro mestiere di giornalisti a lui. Polly capì il perché di tutto quell’interesse per questo caso, così diverso da quelli di cui di solito si occupavano. «Per te sarà bello tornare nella tua vecchia scuola» disse Polly. «Ti troverai bene anche tu, pensa che prima di diventare una scuola era un ovile, un albergo per

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pecore» rispose Lupo. Quando arrivarono davanti al portone d’ingresso, Lupo si fermò. Non era certo un tipo che si lasciava andare a nostalgie e sentimentalismi, ma comunque volle fermarsi un attimo a ricordare. Quanto tempo era passato da quando era solo un cucciolo che frequentava quelle aule! La scuola gli sembrava una specie di carcere, per lui che si sentiva un animale selvaggio, che voleva semplicemente starsene nel bosco. Sognava di crescere e smettere di andare a scuola, di fare quello che voleva. Eppure ora che era cresciuto ricordava il tempo della scuola come bellissimo. Era stato il tempo dei primi amici, delle prime avventure in gruppo, delle prime litigate, delle prime fidanzatine, delle prime sconfitte e delle prime vittorie. Tutto veniva vissuto con grandi emozioni, nel bene e nel male, perché tutto era nuovo. E grazie anche al professor Pangolino aveva imparato due cose fondamentali: a stare in un branco, assieme agli altri, condividendo cose, esperienze, idee e sentimenti, e a stare da solo, ovvero a ragionare sempre con la propria testa e a decidere da solo dopo aver ascoltato e compreso gli altri. «Ahi, ahi!» si sentì da dietro un cespuglio del cortile davanti la scuola.

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Lupo si avvicinò incuriosito. Un giornalista deve prima di tutto essere curioso, figuriamoci un giornalista detective. «Sssh! Non piangere come una femminuccia! Allora, che merenda hai portato oggi? Anzi, che merenda MI hai portato oggi?» Un grosso cucciolo di tigre stava tenendo per un orecchio un cucciolo di cane. «Tutto bene qui?» chiese Lupo. Il tigrotto, sorpreso, lasciò la presa e rispose: «Sì, certo. Vero, cagnolino? Diglielo che è tutto a posto». «È tutto a posto» mugolò il cane poco convinto. Il tigrotto se ne andò e così fece il cagnolino, ma nell’altra direzione. «Ehi, ehi, non così in fretta» disse Lupo. «Da quanto tempo va avanti questa storia?» «Cosa? Quale storia?» «Questa che ti prende la merenda». «Non mi prende la merenda… Devo andare in classe, lasciami stare, non ti conosco» disse il cucciolo di cane. «Quindi a me dici di lasciarti stare, mentre a lui no? Lo dici a me perché non mi conosci? Be’, se tutti quelli che conosci sono come il tuo amico tigrotto stai messo male. Dovresti parlarne con qualcuno, sai?»

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«Non è mio amico!» disse il cane prima di scoppiare in lacrime. «Stai tranquillo» cercò di consolarlo Polly, «noi siamo i buoni». «Se parlassi con qualcuno peggiorerei solo le cose! Quello è il figlio del comandante Tigris Siber, la tigre siberiana a capo dell’esercito del re!» Lupo ebbe un fremito a sentire quel nome. No, non un brivido, ma un fremito sì e gli si arricciò il pelo. Tigris Siber era cattivo, non un semplice bullo: era spietato e a capo di un esercito. «Non solo è il più forte della scuola, ma è anche protetto dal padre. Nessun professore gli si metterebbe contro. Non c’è nulla da fare contro di lui!» disse il cane. Lupo gli mise una zampa sulla spalla. «Come ti chiami, ragazzo?» «Alex». «Alex, sei siberiano pure tu, come quella tigre, giusto? Sei un Husky siberiano, vero?» Il cane annuì tra le lacrime. «Io invece sono un lupo. E malgrado tu sia un bellissimo cagnolino devo dirti la verità: mi stanno anticipatici i cani, perché sono troppo obbedienti e fanno quello che gli viene detto di fare. Tu hai il pelo in ordine, sei carino, ma non sai difenderti.

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Ma sai chi mi sta ancora più antipatico dei cani? I felini, perché pensano sempre di poter fare tutto quello che vogliono! Vuoi venire qui dopo la scuola? Posso insegnarti qualcosa, ma solo se lo vuoi tu». «Cosa?» «Ti insegnerò a combattere contro una tigre». «Ma sei matto?» intervenne Polly. «Credi che il problema si risolva combattendo? Così lo metti sullo stesso piano di quel bullo! Tu dovresti insegnargli il valore della pace, che ci si può spiegare a parole, non certo la violenza…» «Sai quali altri animali non sopporto oltre a cani e felini?» disse Lupo al cagnolino. «Le pecore, perché hanno sempre troppa paura». Al ragazzino scappò un sorriso tra le lacrime. «Alex, verrai dopo la scuola?» Il cane annuì e se ne andò. Polly iniziò a polemizzare sull’idea di Lupo di insegnare a quel cucciolo a combattere. Ma Lupo la liquidò: «Non c’è tempo ora, dobbiamo lavorare al caso del pangolino». Per prima cosa Lupo e Polly incontrarono la preside, la professoressa di matematica Anna Conta. Anche lei insegnava lì da molti anni, e anche lei era stata la professoressa di Rino e Lupo. Ma mentre ricordava quanto Rino fosse

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bravo anche in matematica, di Lupo non aveva un buon ricordo. «Eri proprio un ribelle! E la matematica non ti piaceva! E stavi sempre a litigare con quella tigre, come si chiamava? Quello che ora è a capo dell’esercito!» disse la professoressa, rimproverandolo come fosse ancora un suo studente. «Ehi, ecco perché hai preso a cuore la storia di quel cagnolino!» disse Polly. «Ma non è giusto che lo usi per una tua rivincita personale!» «Quale cagnolino?» chiese la preside. «Niente, niente» tagliò corto Lupo. «Lo ammetto, prof, non mi piaceva molto fare i conti…» Neanche Lupo aveva un buon ricordo di lei. Anna Conta era una anaconda e quindi, non avendo dita, faceva i conti a mente e pretendeva che tutti li facessero così. Invece è così bello avere 10 dita e 10 cifre. «Ci racconti quello che è successo al professor Pangolino» chiese Lupo. Anna Conta disse di essere molto triste. Da anni lavorava con il professore, lo stimava e gli voleva bene. Poi passò a raccontare i fatti, mostrando l’aula degli insegnanti dove tutto era successo. Disse che il professore era scomparso la settimana prima, il 24 maggio, quando, dopo

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la fine delle lezioni, tutti se ne erano andati. Lei per esempio era andata con la professoressa Rita a prendere un tè al bar vicino alla scuola. Gli studenti erano tornati a casa e verso le 7 di sera era rimasto dentro la scuola solo il professor Pangolino, in sala professori, a correggere gli ultimi compiti prima delle pagelle. Anche il custode che viveva nella scuola, il bidello Otto l’orsacchiotto, non era nell’edificio in quel momento, bensì sul retro a spazzar via delle foglie secche. «La telecamera che c’è all’ingresso ha ripreso le immagini di qualcuno incappucciato che entra furtivamente a scuola» disse, «probabilmente un ladro, visto che quel giorno è sparito un nuovissimo computer della Nespol, quella marca che per simbolo ha una nespola morsa da un lato. Forse pensava che a scuola non ci fosse più nessuno e invece, sfortunatamente, il professor Pangolino deve averlo visto e deve aver cercato di fermarlo. La polizia ha trovato qui tracce di lotta e, ahimè, di sangue. Poi sappiamo solo quello che hanno ripreso le telecamere successivamente: si vede il ladro scappar via con un sacco nero, dove forse aveva messo il computer rubato e il corpo del pangolino. Ho paura che l’abbia ucciso».

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