Calcio2000 194

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CALCIo2000 L’enciclopedia del calcio

diretto da Fabrizio Ponciroli

n.194 febbraio 2014

Speciale brasiliani della Roma

Da Adriano a Zago…

Le verità di Antonini

pag.12

“Sogno la chiamata di Prandelli”

pag.18

Racconti di sport

pag.48

Un campione di nome Poggi

Esclusiva MAICON

“Scambierei il Triplete con il Mondiale”

pag.8

In edicola il nuovo Calciatori 2013-2014 griffato pag.22

serie b Exploit Trapani, ecco Mancosu…

pag.34

Miti del calcio

pag.40

Milla, anima del Camerun Speciale Coppa Campioni 1960/61 La prima del Benfica


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editoriale

di Fabrizio Ponciroli

CHE SIA L’ANNO

GIUSTO I CALCIo2000 L’enciclopedia del calcio

diretto da Fabrizio Ponciroli

n.194 febbraio 2014

Esclusiva MAICON

“Scambierei il Triplete con il Mondiale”

pag.8

l 2013 lo abbiamo salutato. Un anno complicato, non nascondiamoci… Ora abbiamo dato il ben arrivato al 2014. L’augurio è che sia l’anno giusto. Personalmente spero che vi riservi grosse soddisfazioni e tanti sorrisi, di quelli ne abbiamo un gran bisogno. Ovviamente c’è la questione sportiva, quella che ci sta maggiormente a cuore. In campionato, nonostante una Juventus formato “piglio tutto”, ci stiamo divertendo. A Roma, sponda giallorossa, l’entusiasmo è evidente. Merito dei boys di Garcia, un gruppo vero, unito, solido. spECIALE brAsILIANI dELLA rOMA pag.12 dA AdrIANO A ZAgO… Anche a Firenze e Napoli si stanno impegnando e, ne sono certo, Milano non resterà in disparte. L’Europa ci ha dato, almeno io la penso così, una grossa chance. In Champions, è vero, siamo nelle mani del Milan, l’unico club “europeo” che abbiamo ma, in Europa League, abbiamo quattro assi da LE vErItà dI ANtONINI “sOgNO LA ChIAMAtA dI prANdELLI” pag.18 giocarci, ovvero Juventus, Fiorentina, Napoli e Lazio, ognuna con velleità di vittoria. L’Europa League non l’abbiamo mai vinta, sarà pure un trofeo secondario, ma vincerlo non sarebbe male. Anche per arrivare, al grande evento del 2014, ossia il Mondiale, con i muscoli ben gonfi. In Brasile tutti si aspettando la nazionale di casa Campione, anche Maicon, l’uomo rACCONtI dI spOrt pag.48 uN CAMpIONE dI NOME pOggI copertina del mese, c’è l’ha ribadito. Ecco, riuscire a modificare l’ordine naturale delle cose non sarebbe affatto male. Nei momenti di crisi, leggi 2006, la nostra Nazionale sa come sbocciare, quindi in Brasile potremmo, ancora una volta, lasciare tutti a bocca aperta, Brasile compreso. Ecco, vinIN EdICOLA IL NuOvO CALCIAtOrI cere il Mondiale farebbe del 2014 l’anno giusto, quello da conservare nella 2013-2014 grIffAtO memoria nel cassetto delle annate doc. Io ci credo, credo che la fortuna, in ExpLOIt trApANI, ECCO MANCOsu… generale, sia in debito con noi italiani e, il 2014, potrebbe essere il momento MILLA, ANIMA dEL CAMEruN LA prIMA dEL bENfICA opportuno per riscuotere, non solo a livello sportivo… Come sempre mi sono dilungato. Solo il tempo per ringraziarvi sempre del grande appoggio e per “invitarvi” a collezionare l’album Calciatori 2013-14 della Panini. Gli anni passano ma alcune tradizioni resistono, come, per fortuna, l’album Panini… Ci sarebbe anche da lanciare i tanti contenuti del mese ma vi lascio alla lettura, faccio prima. Buon 2014, in ritardo ma con la convinzione che ci si possa divertire tutti insieme. Ce lo meritiamo…

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sErIE b

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MItI dEL CALCIO

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spECIALE COppA CAMpIONI 1960/61

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sommario194 serie A

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serie a

La bocca del leone di Fabrizio Ponciroli Intervista Esclusiva Maicon di Fabrizio Ponciroli Speciale Brasiliani di Daniele Berrone Intervista Esclusiva Antonini di Carlo Tagliagambe

altri campionati italia 22 Serie B – Mancosu di Sergio Stanco 26 Rubrica LegaPro - Perugia di Gabriele Cantella 28 Rubrica Serie D – Santhià di Carlo Tagliagambe

il calcio racconta 30 Una leggenda per ruolo - Destro di Samuele Mei 34 I miti del calcio - Milla di Luca Gandini 38 Accade a Febbraio di Simone Quesiti 40 Speciale Champions League di Gabriele Porri 46 A un passo dalla gloria - Orlandini di Alfonso Scinti Roger 48 Confessioni del campione - Poggi di Antonello Schiavello 52 Dove sono finiti? Piras di Paolo Camedda 54 Top 11 – Galles di Antonio Vespasiano

esteri 58 60 62 66 70 74

Speciale Calcio Argentino di Thomas Saccani Speciale Gaby Milito di Thomas Saccani Spagna - La Barca Affonda Inghilterra - Devils all’Inferno Germania - Non solo Bayern... Francia - Monaco, l’ultimo paradiso

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calcio2000

Registrazione del Tribunale di Milano n.362 del 21/06/97

Direttore Responsabile Alfonso Giambelli Direttore Editoriale Fabrizio Ponciroli redazione@calcio2000.it Responsabile Iniziative Speciali Riccardo Fiorina rfiorina@calcio2000.it Caporedattore Sergio Stanco redazione@calcio2000.it Redazione Tania Esposito redazione@calcio2000.it Giancarlo Boschi Hanno collaborato Daniele Chiti, Renato Maisani, Antonio Longo, Deborah Bassi, Luca Gandini, Alvise Cagnazzo, Gianpiero Versace, Luca Manes, Flavio Sirna, Paolo Mandarà, Stefano De Martino, Antonio Giusto, Nicola Pagano, Eleonora Ronchetti, Simone Grassi, Gianluigi Bagnulo, Antonio Vespasiano, Matteo Perri, Francesco Del Vecchio, Antonio Modaffari, Gabriele Porri, Paolo Camedda, Alessandro Basile, Francesco Schirru, Pasquale Romano, Elvio Gnecco, Dario Lisi, Francesco Ippolito, Roberto Zerbini, Andrea Rosati, Silvia Saccani, Lorenzo Stillitano, Riccardo Cavassi, Antonello Schiavello, Alfonso Scinti Roger, Elmar Bergonzini, Alessandro Casaglia, Simone Quesiti, Pierfrancesco Trocchi, Stefano Benetazzo, Nicolò Bonazzi, Gianni Bellini, Francesco Scabar, Daniele Berrone, Irene Calonaci, Simone Beltrambini, Gabriele Cantella Realizzazione Grafica Francesca Crespi Fotografie Agenzia fotografica Liverani Statistiche ACTION GROUP srl Concessionaria esclusiva per la pubblicità ACTION GROUP srl Via Londonio 22 2O154 Milano Tel. 02.345.38.338 Cell. 338.900.53.33 e-mail: media@calcio2000.it

editore Action Group s.r.l. Via Londonio, 22 20154 Milano Tel: 02 345.38.338 Fax: 02 34.93.76.91

Numero chiuso il 30 dicembre 2013 Il prossimo numero sarà in edicola il

15 febbraio 2014

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Per scriverci – media@calcio2000.it

TIKI TAKA CHE BARBA…

Buongiorno Direttore, ho una riflessione che vorrei condividere con lei. Seguo spesso la Liga e credo di sapere riconoscere il bel calcio da quello noioso. Per me il Barcellona pratica un calcio noioso. Tutti stanno a parlare di questo tiki taka, di come avvolge gli avversari, di qua e di là ma a me sembra un gioco noioso, un continuo passarsi la palla, senza concludere nulla. Con i giocatori che hanno, potrebbero vincere a man bassa giocando in qualsiasi altro modo, non penso che il tiki taka sia l’unico modello da seguire. E poi, onestamente, quando vanno sotto, con questa continua rete di passaggi si fa fatica a recuperare in fretta. Sono sicuro che mi risponderà, magari sul giornale. Complimenti per la schiettezza con cui affronta ogni tematica. Giulio, mail firmata Caro Giulio, ammetto, sin da subito, che non sono un sostenitore del tanto decantato tiki taka ma, altrettanto sinceramente, non me la sento di condividere il tuo pensiero. All’apparenza non sarà un gioco illuminante ma, in quanto ad efficacia, fatico a trovare qualcosa di similare. Il Barcellona non ti avvolge, attende solamente il momento propizio per colpirti. Quella rete di passaggi orizzontali è pensata solamente per trovare lo spazio giusto per l’inserimento in area che spezza le certezze difensive degli avversari. E, aggiungo, non credo che il Barça possa giocare in maniera diversa. Quei giocatori nascono con il tiki taka e, se ci pensi bene, chi si deve inserire non sempre riesce ad amalgamarsi al meglio (leggi Ibra). Non mi fa impazzire ma il gioco del Barça è funzionale all’anima blaugrana e, poi, è vincente…

LA TOP 11 AD OGGI

Gentile Redazione, sono un blogger e vorrei da voi la Top 11 della Serie A ad oggi, quella delle prime 17 giornate di campionato. Colgo l’occasione per ringraziarvi dell’eventuale risposta… Filippo, mail firmata Caro Filippo ti ho già risposto via mail ma ritengo corretto condividere la mia Top 11 con il resto dei lettori di Calcio2000. Eccola: Top 11 Calcio2000 (4-3-3) - Reina (Napoli); Nagatomo (Inter), Benatia (Roma), Barzagli (Juventus), Maicon (Roma); Pogba (Juventus), Pjanic (Roma), Cerci (Torino); Tevez (Juventus) Higuain (Napoli), Rossi (Fiorentina). Beh, una squadra un po’ a trazione anteriore ma non potevo lasciare fuori certa gente…

A ME BENITEZ PIACE…

Egregio Ponciroli, anche se parla poco del mio Napoli, devo dire che Calcio2000 è sempre piacevole da leggere. Da quando ha aumentato le pagine sulla storia e gli aneddoti del calcio, è ancora più completo. Le scrivo perché sono piuttosto arrabbiato. Sono un fedelissimo del Napoli, il mio vero amore. Sa bene che noi abbiamo Napoli nel cuore ma certi giornalisti proprio no. C’è un sacco di gente che si permette di giudicare l’operato di Benitez senza sapere di che sta parlando. Siamo usciti dalla Champions con 12 punti, in campionato stiamo facendo bene, perché si continua a dire che Benitez non va bene? Lei che ne pensa? Mimmo, mail firmata

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di Fabrizio Ponciroli

Caro Mimmo, io sono pienamente d’accordo con lei. Il Napoli di Benitez è una signora squadra e, non dimentichiamocelo, il progetto è appena iniziato. Se non fosse per questa Juve dal passo da marziani e una sfiga colossale in Champions, il lavoro di Benitez verrebbe osannato. Il problema di noi italiani è che pensiamo solo ed unicamente al risultato. Meglio vincere con un autogol al 93’, dopo aver giocato malissimo che dominare una partita, giocare un gran calcio e magari perdere per un, appunto, autogol. È la nostra cultura, difficile non farci i conti. Comunque sia, il tecnico spagnolo è, oltre ad un grande stratega del gioco, anche un vincente e sono convinto che lascerà il segno anche a Napoli, zittendo tutti i critici…

giovane, ha talento e si è innamorato, non ci vedo nulla di negativo. Il vero problema è che ha deciso, insieme alla sua nuova compagna, di farne un affare di stato. Questi continui cinguettii hanno reso questa storia d’amore di dominio pubblico. Ma, caro Federico, non starei a preoccuparmi più di tanto. All’Inter c’è Mazzarri, uno che sa mettere in riga i giocatori ed Icardi non farà eccezione. Adriano ha avuto altri problemi, più legati all’uso di alcolici, qui, in fin dei conti, parliamo d’amore o così pare…

MA STO PALLONE D’ORO?

Direttore, sono giorni che continuo a sentir parlare tutti su sto maledetto Pallone d’Oro. Messi, Cristiano Ronaldo, Ribery, tutti sono certi di averlo vinto. Lei che ne sa più di me, chi lo vincerà? PS Quando mi metterà un bel romanista in copertina? Fitroma67, mail firmata Due cose: ricordati di scrivere il tuo nome la prossima volta e, come avrai visto, c’è Maicon in cover… Venendo al discorso Pallone d’Oro, ecco quello che penso in proposito. Il calcio è un gioco di squadra, sempre complicato capire chi sia il migliore, visto che molto dipende dai compagni che hai al fianco e dalla squadra in cui giochi. Per me Messi, centimetro per centimetro, resta il migliore in assoluto, anche del Cristiano Ronaldo dell’ultimo periodo. Milito, nell’anno del Triplete, non l’ha vinto e credo che neppure Ribery riuscirà a portarselo a casa. Io dico Cristiano Ronaldo, farebbe comodo a tutti se lo vincesse lui, in particolare ai tanti sponsor che lo sostengono da tempo… Oggi è il 27 dicembre, quando leggerai questa risposta si saprà già chi se lo aggiudicato… Magari ci ho preso, magari no, resta il fatto che non amo particolarmente questo riconoscimento…

COME BUTTARSI VIA…

Direttore Ponciroli, sono tifoso dell’Inter e pensavo che Icardi potesse diventare il nuovo Milito. Dopo un brillante inizio, ecco che il ragazzo si perde andando dietro a sta Wanda che, me lo lasci dire, non mi sembra neanche sta gran cosa. Perché all’Inter non sanno mai gestire i propri giocatori? Questo fa la fine di Adriano, se lo ricorda? Federico, mail firmata “Questo fa la fine di Adriano” è da applausi… Federico, la vita privata dei calciatori, per fortuna, è affar loro. Icardi è

CARI CALCIATORI

Direttore, ha visto che è uscito il nuovo album dei Calciatori? Come sempre le chiedo un parere da collezionista? Ho notato che una raccolta davvero lunghissima… Stefano, mail firmata Ciao Stefano, ovviamente album già acquistato e completato entro la fine dell’anno… Ogni anno mi dico che la Panini non può fare meglio eppure, sempre, mi sbaglio. 822 figurine, più tutte le special, un bell’impegno ma, ragazzi, che album. Personalmente sono rimasto stupito dalla doppia pagina dedicata alle figurine sportive ispirate ai personaggi di Topolino, davvero spettacolare. Ormai i Calciatori sono un appuntamento imprescindibile e sempre emozionante. Poi, Gabriele, quest’anno ci va di lusso, visto che ci sono anche i Mondiali…

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intervista - Maicon Douglas Sisenando

di Fabrizio Ponciroli

maicon si gioca il triplete

Grande protagonista nella Roma, sogna di conquistare il Mondiale con il suo amato Brasile…

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i giocatori come Maicon, ammettiamolo, ce ne sono pochi in circolazione. All’Inter se lo ricordano bene. Lui è stato uno dei grandi protagonisti delle tante vittorie della Beneamata, Triplete in testa. Passato al City, sembrava essersi perso ma, rientrato nel Bel Paese, nell’accogliente Capitale, è tornato a svolgere il suo mestiere di incursore al meglio. Roma ma non solo. Maicon ha in mente il Mondiale. Si gioca in Brasile e lui sarà in campo, con la casacca verdeoro, per trascinare 8 calcio2000 feb 2014

la sua amata Nazionale al trionfo che tutti attendono. Calcio2000 lo ha intervistato, in esclusiva, durante un evento al Nike Store, in via del Corso, a Roma, in cui è stata svelata la nuova, strepitosa, maglia del suo amato Brasile… Innanzitutto grazie per averci concesso questa intervista… Partiamo dal passato: ricordi ancora la tua prima volta con la maglia del Brasile? “Sì, mi ricordo è stata una partita di qualificazione per il Mondiale 2006, la partita contro il Paraguay e sicura-

mente quel giorno lì non lo dimenticherò mai”. Hai vinto due Copa America e due Confederations, a quale trofeo sei più legato? “Si tratta di Nazionale, sono trofei importanti però sicuramente la Coppa America del 2004 è stato un trofeo importante per la mia carriera”. Che ne pensi del sorteggio? Avversarie alla portata del Brasile? “Trattandosi di un Mondiale non bisogna guardare il sorteggio ma prepararsi e studiare la nazionale che affronti


Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini

maicon nelle figurine panini

e poi fare bene, poi trattandosi di una competizione mondiale bisogna giocare con molto impegno”. L’ultima volta che sei stato in Brasile, si respirava già l’aria dei Mondiali? C’è già grande attesa? “Sì, sì certo, l’ultima volta che sono andato là era durante la Confederation Cup e già si pensava al Mondiale”. Giocare in casa è un vantaggio o si rischia l’eccessiva responsabilità e dunque di essere schiacciati dalla pressione? “Ma no, il vantaggio bisogna averlo in campo, bisogna mettere la testa giusta per affrontare ogni partita”. In Brasile non tutti sembrano contenti dell’arrivo dei Mondiali. Ci sono tante persone arrabbiate per la questione stadi, tu che ne pensi? “Noi pensiamo a fare il nostro, il nostro è sicuramente andare con la nazionale e fare bene perchè così possiamo cambiare qualcosa”. Potessi scegliere: vorresti incontra-

Il rapporto tra Maicon e la nazionale brasiliana è di lunga data e con diversi successi

re l’Italia? In che turno e perché? “Ma certo è sempre un piacere giocare con l’Italia perché è una grandissima nazionale e anche quattro volte campione del mondo quindi sarebbe bello giocare contro l’Italia al Mondiale”. Che finale sogni?

“Io sogno di andare in finale (ride, ndr) poi chiunque affrontiamo va bene”. Brasile escluso, quali sono le tue favorite per il Mondiale? “Il Brasile non va mai escluso, deve andare sempre fino in fondo però se succede possiamo vedere una bella Argentina in finale”. Chi sarà secondo te il giocatore rivelazione? “Neymar, ha tutto per essere l’uomo di questo Mondiale. Ha un talento pazzesco, classe purissima”… Potessi rubare un giocatore all’Italia, chi toglieresti? “Thiago Motta, lo conosco bene, è uno che sa il fatto suo e sa orchestrare al meglio il gioco. Uno decisamente pericoloso…” Fossi in Prandelli, De Sanctis lo porteresti ai Mondiali? “Ma si, De Sanctis è un gran portiere, gran compagno e per quello che sta facendo penso che lo merita”. Di Totti che ci dici, uno così come lo

nato per correre

Sin dalle giovanili, nelle fila del Gremio, il Colosso (uno dei suoi soprannomi) è sempre stato abilissimo sulla fascia. Noto per essere uno dei laterali destri più forti al mondo, Maicon, dopo essersi fatto notare nelle fila del Monaco (dal 2001 al 2004), ha sperimentato il calcio europeo accettando l’offerta del club francese del Monaco. Due stagioni in Ligue1, prima del passaggio, nell’estate del 2006 (per una cifra vicina ai sei milioni di euro) all’Inter. È con la casacca nerazzurra che Maicon diventa un campionissimo. Sin dalla sua prima stagione a Milano, è titolare inamovibile. Con Mourinho in panchina, raggiunge l’apoteosi, conquistando, da assoluto protagonista, il Triplete. Nell’Inter gioca sei stagioni, con un totale di 248 partite e 20 gol all’attivo. Nell’agosto del 2012 si trasferisce in Premier League. A 31 anni suonati, non viene ritenuto più all’altezza del nuovo ciclo nerazzurro. Con i Citizens le cose non vanno benissimo. Tra infortuni e poca fiducia nei propri mezzi, Maicon si perde per strada. Lo scorso luglio, Sabatini decide di dargli una seconda chance, chiamandolo a Roma. Sceglie di indossare nuovamente la casacca numero 13 e decide di dimostrare a tutti che Maicon è ancora uno dei laterali più forti al mondo. Detto, fatto. La Roma di Garcia, con lui in campo, vola. Il Colosso torna a spingere come ai bei tempi, tornando anche a festeggiare il gol (contro la Fiorentina). Doveva chiamarsi Michael in onore dell’attore Michael Douglas ma anche da Maicon (errore all’anagrafe) è un bell’andare…

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Intervista - Maicon Douglas Sisenando

vedi al Mondiale? Troppo vecchio, largo ai giovani? “Ma no, penso che l’età non conta nulla, Totti non ha mai smesso di far vedere le sue qualità, quindi è un giocatore importante”. Neymar, Messi, Ronaldo, Ribery, Robben, Pirlo: chi sarà la stella e perché? “Secondo me Neymar, lo ripeto, ha tutto per far bene…”

Tu che lo conosci bene: Mario Balotelli può arrivare a quei livelli? Cosa gli manca? “Mario è un grandissimo giocatore, con grandissime qualità, se mette la testa a posto sicuramente diventerà un grande campione”. Hai giocato con tanti campioni nella nazionale brasiliana… Di quelli che non ci sono più, chi aveva le doti tecniche migliori?

Grande festa al Nike Store di Roma per l’asso del Brasile e della Roma Maicon

Terzino grazie a… In pochi lo sanno ma Maicon, se non fosse stato per una persona, avrebbe giocato a centrocampo. L’aneddoto è stato svelato dallo stesso Maicon, tre anni fa, proprio a Calcio2000. Siamo andati a riprendere quello stralcio di intervista per ricordare come, a volte, i consigli di un padre possono cambiare il corso di una carriera. “Assolutamente no. Giocavo a centrocampo, ero un centrocampista. Non pensavo di poter giocare da esterno destro di difesa, e se sono arrivato a farlo, e anche in maniera discreta, lo devo a mio padre. Prima di entrare nel mondo del calcio che conta, giocavo nel Criciuma, una squadra brasiliana allenata proprio da mio padre. Durante una gara, s’infortunò il nostro terzino destro, mio papà mi chiamò e mi disse: “Gioca tu da laterale, so che puoi dare molto e che puoi farcela”. Mi impegnai in un ruolo non mio e con grande stupore mi trovai a mio agio, tanto che l’allenatore mi schierò, da quel momento, sempre e solo in quella posizione. Forse, e sottolineo forse, ci ha visto lungo. Grazie papà”. Beh, decisamene grazie… Alla luce di quanto ha fatto e sta facendo da esterno di difesa, l’intuizione del padre vale quanto quella di Ancelotti quando decise di mettere Pirlo davanti alla difesa al Milan…

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Una maglia per vincere… Il Brasile sogna di vincere i Mondiali di casa, la Nike pure... Nike, infatti, è lo sponsor che ha realizzato la speciale maglia da gioco per la nazionale verdeoro. Presentata a Rio de Janeiro, la divisa combina innovazione, elementi di design che richiamano la cultura e la tradizione con la sostenibilità ambientale. Una maglia speciale per una squadra speciale… All’avanguardia per traspirabilità e comfort e con un occhio importante alla sostenibilità aziendale, la divisa ha fatto la felicità di tutti, in particolare di Neymar, uno degli assi del Brasile: “Indossare la ‘amarelinha’ è un onore per me e i miei compagni di squadra. Il Brasile è un posto davvero speciale per giocare a calcio e vogliamo giocare bene e vincere per il nostro Paese. Questa divisa ci aiuterà a farlo grazie alla tecnologia e all’ispirazione che ci offre”. Una maglia speciale per un’impresa speciale…

“Per me chi è stato unico è Ronaldo, un fenomeno. Inimitabile, unico in tutti i sensi…” Hai vinto tutto, cosa ti regalerai in caso di vittoria del Mondiale? “Ma niente, dopo che vinci il Mondiale non devi regalarti più niente (ride, ndr). Diciamo che sarei a posto così…” Un’ultima domanda: Totti ti parla mai del Mondiale vinto? Scambieresti il Triplete con il suo Mondiale? “È dura però il Mondiale è importante, e si lo cambierei; il Triplete per il Mondiale”. Per sua fortuna, in caso di successo del Mondiale, non dovrà separarsi da quel Triplete che ha fatto la storia dell’Inter. Certo è che, dovesse portarsi a casa anche la Coppa del Mondo, la bacheca di Maicon sarebbe completa e invidiata da tutti, Totti compreso…


MAICON SI GIOCA IL TRIPLETE CARTA D’IDENTITà Nome: ........................................... Maicon Douglas Sisenando Nomignolo: ................................ Maicon Luogo e data di nascita:.....Criciuma (BRA), 26/07/1981 Ruolo: ............................................. Difensore Squadra attuale: ................... Roma Numero di maglia: .............. 13 Squadre precedenti: ......... Criciuma, Cruzeiro, Monaco Esordio in Serie A: ................. 09/09/2006 (Fiorentina-Inter 2-3) Prima rete in Serie A: ......... 28/01/2007 (Sampdoria-Inter 0-2) Palmares: .................................... 1 Coppa del Brasile, 1 Campionato Brasiliano, 2 Campionati Mineiro, 2 Copa Sul-Minas, 4 Scudetti, 3 Supercoppa Italiana, 2 Coppa Italia, 1 Champions League, 1 Coppa del Mondo per club, 2 Coppa America, 2 Confederations Cup

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speciale - brasiliani a roma

di Daniele Berrone

A ROMA SI BALLA LA SAMBA

Da Cerezo a Mancini passando per Aldair e Cafù, tanti i campioni verderoro che hanno vestito la maglia giallorossa

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uando si pensa al Brasile viene immediatamente in mente il futbol bailado, la tecnica sublime, il bel gioco ed un sole che ti accarezza la pelle. A circa ottomila chilometri di distanza sorge una delle città più belle del mondo, culla della cultura classica e madre della più grande civiltà della storia: Roma. Nella capitale del Bel Paese i calciatori brasiliani hanno da sempre trovato uno dei luoghi migliori in cui esprimersi, in cui trovare una seconda casa. Apri-fila del movimento è stato un attaccante di Rio de Janeiro, Dino da Costa, approdato in giallorosso nel 1955 e ben presto divenuto un idolo dei tifosi. Capace di 12 calcio2000 feb 2014

segnare 12 reti in 9 derby con la Lazio, è tutt’oggi il più prolifico cannoniere della stracittadina romana, al pari di Marco Del Vecchio e Francesco Totti. Dopo di lui Josè da Silva, Da Costa Jair e quel Benedicto Sormani capace di incantare in campo e condurre la squadra dalla panchina una volta ritiratosi. Quando penso al binomio Roma-Brasile, è però impossibile non pensare immediatamente a Paulo Roberto Falcao e Toninho Cerezo, campioni capaci di fare la storia del calcio e del club capitolino. Falcao è stato una colonna della società dell’allora presidente Dino Viola, un leader, in campo e fuori. Arrivare ad esser apostrofato come il “divino” o “l’ottavo

re di Roma” è un’onorificenza che la tifoseria della Sud ha concesso ad un solo altro uomo, un certo Francesco Totti. Il “baffuto” Toninho Cerezo è stato invece simbolo della voglia di vincere, tanto da sacrificare le proprie vacanze pur di giocare (e decidere) la finale di Coppa Italia contro la Sampdoria, squadra con cui giocherà e vincerà negli anni avvenire. Da sempre fra i campioni della Seleçao e la Roma si è stretto un forte legame, che nel corso degli ultimi vent’anni è stato di luci ed ombre, successi e tonfi. Simbolo di questo rapporto sono certamente due difensori, che con il loro carisma e le loro giocate hanno segnato indelebilmente la storia del club. I tifo-


Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini

i brasiliani della roma nelle figurine panini

si della “Lupa” avranno già capito di chi sto parlando, Aldair Nascimento do Santos e Marco Evangelista de Moraes. Aldair, approdato alla Roma nel lontano 1990 dal Benfica, è stato uno stopper fantastico, che faceva dell’eleganza e della concretezza i suoi punti di forza. Marcatore implacabile a dispetto della sua velocità non proprio memorabile, Aldair sapeva come pochi essere nel posto giusto al momento giusto, frapporre il suo corpo e le sue lunghe leve alla propria porta, per chiuderla a doppia mandata. Soprannominato dai tifosi “Pluto”, il difensore brasiliano ha saputo guadagnarsi l’affetto ed il rispetto della piazza, tanto da portare al braccio la fascia di capitano per molti anni. Marco Evangelista de Moraes, o più semplicemente Cafu, è stato per il Brasile e per la Roma un’istituzione, un pezzo di storia. Ancor prima di essere un terzino formidabile, Cafu è stato un esempio in campo e fuori. Sempre gentile e sorridente, ha incarnato i giusti valori che un campione dello sport deve avere. La gioia nel fare il proprio lavoro, nell’allenarsi e nel far fronte a successi e sconfitte, sono le qualità che tutti i grandi sportivi dovrebbero avere. In campo Cafu era un’ira di Dio, solcava la fascia con impressionante regolarità ed era sempre pronto, tanto in difesa quanto in attacco. Il soprannome “Pendolino” descrive perfettamente le capacità del terzino destro più forte degli ultimi vent’anni, abile tanto nel ripiegare quanto nell’offendere, sempre pronto a farsi in quattro per i compagni e l’ultimo a mollare. Il suo palmarès, fatto di trionfi in ogni continente e squadra, parla da solo. Franco Sensi aveva un debole per i brasiliani, nel corso della sua presidenza non solo Aldair e Cafu, ma molti altri carioca hanno avuto il privilegio di vestire la maglia giallorossa. Alcuni hanno ripagato la fiducia, altri hanno deluso amaramente. Pensiamo ad

esempio agli ultimi quindici anni, il periodo più sudamericano nella storia del club. Sono approdati a Roma, nell’ordine, Paulo Sergio, Zago, Fabio Junior, Emerson, Assunçao, Lima, Mancini, Cicinho, Doni, Taddei, Julio Baptista e Adriano, fino ad arrivare ai più recenti Marquinhos, Castan e Maicon. Quasi tutti giocatori di un certo livello, ognuno dei quali ha avuto una storia particolare. Come Paulo Sergio, attaccante rapido e prolifico acquistato dai tedeschi del Bayer Leverkusen, con cui i Sensi faranno sempre ottimi affari. Campione del Mondo nel 1994, Paulo Sergio griffa 24 reti in due anni e saluta la piazza romana per andare a chiudere la carriera in Germania, al Bayern Monaco. Prima di andarsene, lascia a tutti un indelebile ricordo nel perentorio 5-0 contro il Milan. Un goal memorabile, fantastico, in cui salta con irridente semplicità Costacurta e batte Sebastiano Rossi con un potente destro incrociato. Perso Paulo Sergio, i capitolini decidono di puntare ancora su un attaccante della Seleçao, acquistando a peso d’oro quello che in patria viene soprannominato “il nuovo Ronaldo”. Fabio Junior arriva dunque in giallorosso per 30 miliardi di lire e colleziona una sequela di magre figure che fanno ben presto capire al mondo intero che l’unica cosa in comune con il numero 9 dell’Inter è il taglio di capelli. La sua esperienza romana dura la miseria di 16 spezzoni di partita, sufficienti per far esultare la Sud nel momento del suo commiato. Diversa fortuna ebbero Carlos Zago, Emerson e Marcos Assunçao, grandi in campo e idoli della piazza per quello storico Scudetto nel 2001. Zago era un difensore duro e ruvido come pochi, capace di formare con Aldair e Samuel una linea difensiva tutta sudamericana, l’unica che nel corso della sua storia Fabio Capello ha schierato a tre. Zago non aveva la classe di Samuel

o la visione di gioco di Aldair, ma era il perfetto “mastino” che ogni squadra vorrebbe. Davanti a lui giostrava Emerson, approdato a Roma nuovamente dal Bayer Leverkusen. Il numero 8 è stato uno dei perni della squadra di Capello, un valore aggiunto. Abile tanto in fase di possesso quanto in ripiegamento, Emerson ha deciso con le sue giocate più di una partita, giustificando i 22 milioni di dollari versati nelle casse della squadra delle “aspirine”. Dinamico e sempre concentrato, Emerson è stato il faro del centrocampo di Capello, affiancato ora da Tommasi, ora dal connazionale Assunçao. Approdato a Roma l’anno prima dello Scudetto, Assunçao non è stato un titolare inamovibile della mediana giallorossa, ma ha entusiasmato la gente come pochi. Aveva una visione di gioco notevole e calciava le punizioni in maniera divina. Specialista dai 25 metri, calciava di forza o precisione indif-

Tra i tanti brasiliani arrivati a Roma, Aldair ha un posto speciale nel cuore del popolo giallorosso

calcio2000 13 feb 2014


speciale - brasiliani a roma

ferentemente, scavalcando la barriera e gonfiando la rete in più di un’occasione. Per rinforzare il reparto di centrocampo, l’anno dopo il tricolore, Capello chiede un brasiliano atipico. Niente piedi buoni o visione di gioco, ma tanta corsa e grinta. Lima era il classico calciatore che il tecnico di Pieris sa apprezzare. Senza fronzoli e con la voglia di lottare su tutti i palloni, Lima è entrato a piccoli passi nella storia del club giallorosso, lasciando un bel ricordo di sé. Come un gladiatore dell’antica Roma, Lima non contemplava la possibilità di arrendersi o togliere la gamba, uno spirito encomiabile che lo porterà a giocare oltre i 40 anni. Gli anni di Spalletti, poco dopo l’ebbrezza tricolore, vedono una Roma molto attiva nel mercato brasiliano, con giocatori in entrata ed in uscita ad ogni sessione di mercato. Praticamente ogni zona del campo ha il suo carioca, ad iniziare dalla porta. Donièber Alexander Marangon, o per meglio dire Doni, arriva a Trigoria in sordina con i crismi del vice Curci. In men che non si dica l’estremo difensore di Jundiaì si conquista il posto da titolare e non lo molla per diversi anni, venendo anzi affiancato dal connazionale Jùlio Sèrgio nella stagione successiva. La retroguardia viene puntellata con due laterali, approdati rispettivamente via Siena e Real Madrid. Rodrigo Taddei, jolly di fascia esploso nella squadra toscana, viene acquistato nell’estate del 2005 a parametro zero. Forse non si tratta di un fuoriclasse, ma la generosità dell’esterno di San Paolo è fondamentale per Spalletti, che fa di Taddei uno dei perni della sua squadra. Da par suo il brasiliano ripaga la fiducia con goal pesanti, come quello al Santiago Bernabeu negli ottavi di Champions League, e con giocate strabilianti. Celebre il numero che lui stesso ha ribattezzato “Aurelio” in onore del suo massaggiatore, esibito durante una delle notti europee sul campo ateniese dell’Olympiakos. Per un cursore che ha fatto la storia, uno che non ha lasciato alcuna traccia. Cicero Joao de Cèzare, meglio noto come Cicinho, viene acquistato per 9 milioni di euro dal Real Madrid. Presentato in pompa magna, il naziona14 calcio2000 feb 2014

A ROMA SI BALLA LA SAMBA

le verdeoro dev’essere il fuoriclasse che puntella la difesa, che le conferisce qualità. La storia insegna invece che il terzino paulista è stato un vero flop sulle rive del Tevere, restando a libro paga fino all’ultimo giorno del suo pluriennale contratto. A centrocampo, per raccogliere le pesanti eredità dei predecessori, arriva in un freddo giorno dell’inverno 2002 un talentuoso ragazzo di Belo Horizonte. Esploso nell’Atlètico Mineiro, Amantino Macini strega gli osservatori romani, che lo acquistano e lo parcheggiano sei mesi a Venezia, in Serie B. Qui trova diverse difficoltà di ambientamento, con mister Gregucci che lo fa sedere in panchina con sconcertante regolarità. Spalletti lo vuole comunque valutare e in estate viene riportato alla base, dove impressiona con la sua rapidità, i suoi dribbling e quel genio carioca che ti conquista. L’amore fra Mancini e la Roma deflagra in tutta la sua forza, fino ad esplodere con un goal di tacco nel derby con la Lazio. Il Brasile è la patria degli attaccanti, tanto quelli di classe quanto quelli di potenza. La prima scommessa giallorossa per il reparto avanzato arriva ancora da Madrid. Jùlio Baptista, centravanti soprannominato “la bestia” per il suo fisico corpulento e la sua potenza atletica devastante. Esploso nel Sevilla, con il Real Madrid ha vissuto periodi di luci ed ombre e arriva a Trigoria con

l’entusiasmo di chi è pronto a spaccare il mondo. La voglia c’è, l’impegno anche, la fortuna meno. Baptista giocherà 57 partite in 3 stagioni, siglando 12 reti, una delle quali con una rovesciata d’altri tempi per vincere in zona Cesarini contro un Torino mai domo. Per affiancarlo, nell’estate di qualche anno fa, la scommessa. Adriano Leite Ribeiro, scaricato dall’Inter solo un anno prima, ha fatto faville in patria con la maglia del Flamengo. La Roma fiuta l’affare e ingaggia il panzer di Rio, con la speranza di fare l’affare. La speranza si tramuta ben presto in un incubo, con Adriano che si presenta in condizioni imbarazzanti. Demotivato, triste e completamente fuori forma, l’ex enfant prodige nerazzurro colleziona la miseria di 5 apparizioni, lasciando la città con l’immediata rescissione del contratto, per giusta causa. Le recenti esperienze negative non hanno scoraggiato la Roma, che con la nuova proprietà statunitense è tornata ad investire sul mercato carioca. L’anno scorso è arrivato a Trigoria Castan, centrale difensivo di grande affidamento e continuità. In estate è stato invece acquistato quello che può esser considerato ancora oggi uno dei terzini più forti del mondo, Maicon. Con gli osservatori di mercato ben attenti sui giovani talenti, la feijoada potrebbe ben presto sostituire l’amatriciana in quel di Roma.

Non è bastato l’impegno a Baptista per lasciare il segno in quel di Trigoria


di Antonio Longo

SULLO SCAFFALE DI CALCIO2000 Titolo: Alla ricerca del calcio perduto Autore: Nicola Calzaretta Editore: GoalBook Nostalgia del calcio che fu. Quello degli anni Settanta ed Ottanta, quello dei due punti a partita, quello delle partite giocate tutte in contemporanea la domenica pomeriggio, quello delle maglie dal numero uno al numero undici. Il libro riporta a galla ricordi, aneddoti, emozioni, andando a scavare nell’album della memoria. In ordine rigorosamente alfabetico, vengono riportate le interviste effettuate dall’autore a numerosi icone del calcio italiano e pubblicate, periodicamente, all’interno della rubrica “Amarcord” della storica rivista “Guerin Sportivo”. Si comincia con Demetrio Albertini, si prosegue con Enrico Albertosi e Giancarlo Antognoni, per andare avanti, solo per citarne alcuni, con Franco Baresi, Antonio Cabrini, Bruno Conti, Luciano Moggi, Roberto Pruzzo, Stefano Tacconi, Marco Tardelli, Gianluca Vialli, Dino Zoff e tanti altri ancora. Personaggi dentro e fuori il rettangolo di gioco, fuoriclasse che hanno infiammato i cuori di milioni di tifosi e che sono rimasti, in maniera indelebile, nell’immaginario collettivo, nell’Olimpo del calcio nostrano e non solo.

Titolo: Fiorentina Story Autore: Paolo Mugnai Editore: Edizioni della Sera Una passione lunga quasi novant’anni connotata da un unico colore: quello viola. E’

forte e radicato il legame che crea un connubio inscindibile tra la città di Firenze e la formazione gigliata. Tra successi e discese agli inferi, tra gioie ed altrettanti delusioni, l’autore ripercorre le tappe fondamentali della storia della Fiorentina, cominciando dagli albori per giungere sino a nostri giorni. Immagini, flashback, aneddoti, personaggi che tornano prepotentemente a galla per fare rivivere, nei cuori e nelle menti dei tifosi, emozioni e sussulti solo in apparenza sopiti. Gli scudetti e le Coppa Italia conquistati, la retrocessione in serie B, il fallimento della società, il rischio di morire corso da Antognoni, le vicende di Calciopoli: il film della memoria è ricco di accadimenti che attendono solo di essere rinverditi, nel bene o nel male.

Titolo: Gli anni del re Autore: Stefano Discreti Editore: Ultra Sport Una Coppa Intercontinentale (a Tokyo, contro l’Argentinos Juniors), una Coppa dei Campioni (contro il Liverpool nella tragica serata dello stadio Heysel), una Coppa delle Coppe (contro il Porto), una Supercoppa Europea (ancora contro il Liverpool) e due scudetti (nelle stagioni 1983/84 e 1985/86): tutti trofei vinti nell’arco di cinque anni. Il quinquennio d’oro della Juventus, guidata in panchina

dal tecnico Giovanni Trapattoni, in mezzo al campo poteva contare sul determinante contributo di “Le roi” Michel Platini, uno dei fuoriclasse più osannati della storia del calcio mondiale. L’autore celebra i successi del team bianconero che nel primo scorcio degli anni Ottanta ha dettato legge in Italia e in Europa. Un’entusiasmante ed appassionante cavalcata, raccontata anche attraverso i contributi di alcuni juventini doc e splendide immagini che ritraggono i campioni del tempo. Prefazione affidata al giornalista Roberto Beccantini.

Titolo: Totteide Autore: Franco Costantini Editore: Imprimatur Tra fantasia e realtà, tra storia e leggenda, tra i banchi di scuola tutti hanno studiato ed apprezzato le gesta dei grandi eroi dei poemi epici. Al pari di Achille o di Ulisse, l’autore dedica a Francesco Totti versi intrisi di ammirazione, passione, vero e proprio culto. “Er pupone”, il capitano, il condottiero di mille battaglie colorate di giallo e di rosso è entrato a buon diritto nella leggenda del calcio italiano ed internazionale di tutti i tempi, capitolino in particolare, regalando nei decenni goal ed emozioni. L’autore, sulla falsariga del solco tracciato dal “maestro” Gianni Brera, celebra un autentico eroe dei nostri giorni, esaltando, tra il serio e il faceto, vittorie, magie, reti da applausi. Endecasillabi organizzati in quartine, quasi 1.800 versi, numerose note a piè di pagine per illustrare e spiegare meglio il significato di termini e figure retoriche, un prologo e dieci “canti”: il mito Totti viene osannato anche in questo modo.

calcio2000 15 feb 2014


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intervista - luca antonini

di Carlo Tagliagambe

“Genoa, portami al Mondiale!” Dopo l’esperienza al Milan, Antonini sta volando con il Grifone e il sogno si chiama Brasile…

“C

on quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, che abbiamo noi prima di andare a Genova” cantava Paolo Conte nel 1975 ben incarnando lo stato d’animo che assale i forestieri in visita alla città della Lanterna. Luca Antonini Genova la conosceva già, avendo militato per una stagione tra le fila della Sampdoria, ma ora, dopo aver girato l’Italia e vinto uno scudetto con la maglia del Milan, ha incrociato nuovamente le sue ombre con la città Superba, questa volta da giocatore del Grifone: cambiato il punto di vista, non muta certo l’amore che il terzino rossoblù nutre per la sua nuova città, lo stesso che ha ispirato i versi del celebre cantautore… Luca, partiamo dal principio: prima di approdare al Milan hai fatto tanta ‘gavetta’ nelle serie minori, cosa hai imparato da queste esperienze? 18 calcio2000 feb 2014

“Sono cresciuto tanto, sia come calciatore, che come uomo. Nel corso degli anni ho arricchito la mia esperienza calcistica giocando in piazze e categorie diverse, ma ho anche trovato l’equilibrio personale costruendo la mia famiglia, che mi ha sempre seguito e sostenuto”. Che sensazione è stata per te, cresciuto nelle giovanili del Milan, tornare a Milanello da protagonista? “È stata un’emozione particolare: era il 2008/09 e il Milan mi aveva richiamato alla base dopo una stagione in prestito ad Empoli. Quell’anno Cafu e Serginho avevano dato l’addio al calcio e i rossoneri avevano scelto me per sostituirli…” Balotelli dice che indossare la maglia per la quale hai sempre fatto il tifo, ti fa rendere di più: tu che l’esperienza l’hai provata, sei d’accordo? “È vero, il rossonero mi ha accompa-

gnato nei miei undici anni di settore giovanile e posso confermare che, quando ho esordito da professionista, ero doppiamente motivato a fare bene, sia come calciatore… che come tifoso!” È stato difficile imporsi in rossoblù per te che hai militato anche nella Samp? “No, perché l’annata alla Sampdoria (2003/04, ndr) la considero un’esperienza negativa: ero giovane e ho giocato davvero poche partite in blucerchiato, quindi non c’è stato nessun problema con i miei nuovi tifosi che, anzi, mi hanno accolto alla grande…” Che emozione è segnare in un derby così sentito come quello della Lanterna? “È stata un’emozione bellissima, anche perché arricchita da una serie di coincidenze incredibili: ero un ex, all’esordio con la maglia del Genoa, nel derby dei


Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini

120 anni della società terminato con un secco 3-0. È un qualcosa che porterò sempre con me, e la mia esultanza sotto la Nord è la fotografia più bella di quella partita…” In cosa il derby della Lanterna è simile a quello della Madonnina e in cosa è diverso? Quale preferisci? “Credo che il derby di Genova sia molto più sentito per un semplice motivo: qui si tifa o per il Genoa, o per la Samp, mentre a Milano la mappatura del tifo è più variegata, basti pensare ai tanti ti-

fosi juventini presenti in Lombardia… Ecco perché la stracittadina genovese è più emozionante sotto l’aspetto del tifo”. Sei subito entrato nel cuore dei tifosi rossoblù: quanto è importante per te il loro supporto? “È fondamentale sapere che il pubblico mi vuole bene e apprezza le mie qualità e l’impegno che metto in campo. Ora mi sento davvero apprezzato: se a Milano ero uno dei tanti qui a Genova i tifosi mi hanno subito fatto sentire im-

La rete nel derby della Lanterna è stata un’emozione unica per Antonini

SI È FATTO DA SOLO…

antonini nelle figurine panini

portante”. In che rapporti eri (e sei rimasto) invece con quelli del Milan? “Buoni rapporti, anche se mi è un po’ dispiaciuto il fatto di non aver ricevuto quanto sento di aver dato per la maglia rossonera”. Liverani ti schierava da terzino, mentre Gasperini adesso ti impiega come difensore puro… Come sta andando? “Nella nuova posizione mi trovo a meraviglia: il mister mi sta insegnando tanto e io mi sento già più maturo, avendo ampliato il mio bagaglio tecnico-tattico con questa nuova esperienza”. Qual è il consiglio che ti ripete sempre Gasperini? “La sua parola d’ordine è ‘osare’: secondo lui è meglio sbagliare rischiando

di Gabriele Cantella

Luca Antonini, meneghino classe 1982, muove i primi passi da calciatore nelle giovanili del Milan, lui, da sempre tifoso rossonero. Con la Primavera del Diavolo conquista l’edizione 2001 del Torneo di Viareggio, contribuendo in prima persona al trionfo della propria squadra con un gol nella finale vinta 3-1 a spese del Vitoria. Nella stagione successiva viene spedito a farsi le ossa al Prato, che quell’anno centra la promozione dall’allora C2 alla C1. Nel 2002/2003 arrivano un nuovo prestito, Ancona, e una nuova promozione, stavolta dalla B alla A. L’anno seguente Antonini approda alla Samp, che rileva la metà del suo cartellino, ma per lui in blucerchiato non c’è abbastanza spazio e così, dopo solo 7 presenze e un gol, si trasferisce al Modena, in Serie B, prima di passare al Pescara nel gennaio del 2005. Terminata la parentesi abruzzese, comincia quella Toscana, che lo vede peregrinare tra Arezzo, Siena ed Empoli. Con gli azzurri Antonini fa il suo esordio nelle coppe europee, segnatamente nella partita di Coppa UEFA contro lo Zurigo, esordio bagnato dal gol del momentaneo 2-0 su calcio di rigore. Le ottime prestazioni offerte a Empoli convincono il Milan a riportarlo alla casa madre. L’8 dicembre 2009 Antonini debutta in Champions League, l’avversario è ancora una volta lo Zurigo, mentre il 15 maggio 2010, nel giorno della sua centesima presenza in Serie A, arriva il primo gol in maglia rossonera, nel 3-0 casalingo rifilato alla Juventus. In cinque anni al Milan Antonini totalizza 111 presenze (un gol) e vince uno scudetto e una Supercoppa italiana, prima di passare, il 31 agosto di quest’anno, al Genoa, in cambio di Valter Birsa, che fa quindi il percorso inverso. Antonini vanta anche una convocazione nella Nazionale maggiore, in occasione dell’amichevole Italia-Costa d’Avorio del 10 agosto 2010.

calcio2000 19 feb 2014


intervista - luca antonini

qualcosa, che limitarci ad eseguire il compitino…” Tu, quando hai scelto il Genoa, che obiettivi personali ti sei posto? “Io mi sento un calciatore forte e, dopo gli ultimi tre anni al Milan, avevo bisogno di tornare protagonista, giocare e divertirmi”. Nel Genoa stai avendo l’opportunità di giocare con continuità e lo stai facendo bene: speri di riuscire a convincere Prandelli a portarti in Brasile? “Io ci spero eccome, anche perché la nazionale l’ho già assaporata senza però aver esordito sul campo: ora punto sulla mia capacità di ricoprire più ruoli

ANTONINI, IL SOCIAL… di Gabriele Cantella Luca Antonini è un calciatore moderno, un ragazzo dei nostri tempi, i tempi di Twitter e Facebook. Il difensore del Genoa è infatti presente su entrambi i social network citati, che costituiscono per lui un mezzo per interagire coi propri tifosi, per condividere con loro i suoi pensieri, i suoi stati d’animo, la sua quotidianità. Twitter e Facebook, ma anche Instagram, diventano un modo per conoscere l’uomo Antonini e la sua vita al di fuori del campo. Nel rapporto di Antonini con i social network fondamentale è il ruolo giocato dalla moglie Benedetta, che cura l’aspetto comunicativo del numero 3 del Grifone. Per chi volesse seguire Antonini su Twitter: @OfficialAnto_77. Per coloro che invece fossero interessati a visitare il suo sito ufficiale: www.lucaantonini77.it. Ricordiamo che anche la società Genoa è presente su Twitter: @GenoaCFC. Il Grifone dispone pure di un sito web attraverso il quale vengono divulgate ufficialmente tutte le notizie relative alla squadra e al club: www. genoacfc.it.

20 calcio2000 feb 2014

“Genoa, portami al Mondiale!”

per staccare un biglietto per il Brasile e dimostrare di meritare la maglia azzurra…” Il 6 agosto 2010 sei stato convocato per la gara contro la Costa D’Avorio, senza però scendere in campo: che sensazioni hai provato? “Un grande senso di orgoglio all’idea di rappresentare il mio paese e di far parte di una ‘selezione’ di soli 23 giocatori: la convocazione è il coronamento delle buone prestazioni con la maglia del club, e quindi rappresenta una soddisfazione doppia”. Il sogno che ti piacerebbe realizzare per la tua carriera? “Non ho dubbi: partecipare ad un mondiale con la maglia azzurra…” Quando hai iniziato a giocare a calcio? Dove? “Ho iniziato a sei anni nel Borgolombardo, la squadra del mio paese. Ci allenavamo due o tre volte a settimana e giocavamo i tornei: è lì che mi sono innamorato del calcio…” Il tuo idolo quando eri bambino e la tua squadra del cuore? “Tifavo naturalmente Milan e tra i miei idoli c’è Gianluca Zambrotta, anche perché a lui mi accomuna una ‘metamorfosi’ dal punto di vista tattico: abbiamo iniziato entrambi da esterni di centrocampo per poi diventare, nel corso della carriera, terzini nei quattro di difesa. Da lui ho imparato tanto nei tre anni in cui abbiamo giocato insieme nel Milan”. Il momento più bello che hai vissuto…da tifoso! “Sicuramente la finale di Champions League a Manchester contro la Juventus del 2003!” Sappiamo che fai grande uso dei social network, in particolare di Twitter: è un modo per sentirti più vicino ai tifosi? “Sì, mi piace condividere i miei stati d’animo prima e dopo le partite con i tifosi, renderli partecipi delle mie emozioni. Devo dire che in questo mi aiuta molto mia moglie Benedetta, che si occupa personalmente del mio sito e dei miei profili sui social con ottimi risultati…”

Antonini ha girovagato per tutta la Penisola, qui lo vediamo in maglia Modena

Cosa fai nel tuo tempo libero? “Nulla di particolare: mi piace stare a casa con mia moglie e goderci insieme le nostre due bambine Sofia Vittoria e Viola Maria”. Vialli diceva di amare Genova perché poteva aprire le finestre e vedere il mare… Tu che rapporto hai con la tua nuova città? “Ha ragione Gianluca! Passare da Milano a Genova è stato un cambiamento felice, anche a livello di qualità della vita… Milano offre tantissimo, però è una città un po’ fredda nei rapporti umani: qui a Genova, in pochi mesi, sono già riuscito a costruire una rete di amicizie davvero solide e importanti”. Non c’è spazio per i rimpianti per uno come Luca Antonini, che riparte da Genova per ritrovare quella serenità che forse gli è mancata nell’ultimo periodo in rossonero: ora che ha ritrovato se stesso a suon di buone prestazioni, l’obiettivo del numero 3 rossoblù è uno soltanto: convincere Prandelli a schiudergli le porte della nazionale. E, di questo passo, non è detto che non possa coronare il suo sogno…


CI SIAMO, ECCO CALCIATORI PANINI 2013-2014 Tempo scaduto, è giunto il momento della vera, unica, grande collezione di calcio… Per il 53° anno consecutivo Panini propone la collezione per eccellenza, Calciatori!!! La collezione è sempre più ricca: 865 figurine, 104 delle quali con materiali o trattamenti speciali, da collezionare tutte nello splendido album di 128 pagine. La copertina si ispira alla collezione 1970-71 e vuole essere un omaggio, oltre che alle singole squadre, alla Nazionale in vista del Mondiale 2014. Anche questa collezione Calciatori, oltre ad ospitare tutte le star del nostro calcio, è un’incredibile miniera di dati, statistiche e curiosità, che ti consentono di non perdere alcuna informazione utile e di avere, sempre di più, tutto il calcio nelle tue mani! SEZIONE SERIE A TIM. Importante novità per questa edizione: l’esclusivo spazio dedicato ad inizio album ai simboli, i trofei e ai palloni ufficiali della Serie A TIM, della TIM Cup e della Supercoppa Italiana TIM! 7 figurine metallizzate ed inedite… LE SQUADRE DELLA SERIE A TIM. Ben 4 pagine dedicate ad ogni squadra di Serie A, con dettagliate informazioni legate al club (presenti anche i profili Facebook e Twitter). Tradizio-

nale ed immancabile, poi, lo spazio riservato alle figurine di aggiornamento per i nuovi titolari e gli acquisti del mercato di Gennaio. Da urlo il numero di figu, ben 29 per ogni squadra! Lo scudetto ufficiale del club è realizzato quest’anno su una figurina ad “effetto stoffa”. La squadra schierata è un puzzle di 6 figurine con tanto di immagini della tifoseria! L’allenatore è ritratto per la prima volta a mezzobusto. Presente anche la figurina della Primavera… LE SQUADRE DELLA SERIE A. Le figurine dei calciatori, oltre alla tradizionale foto a mezzobusto, sono presenti moltissime informazioni sul giocatore, così da rendere la figurina una vera e propria “carta d’identità” calcistica. Troviamo in particolare: nome e cognome, luogo e data di nascita, peso e altezza, nazionalità, numero di maglia e trofei vinti, oltre al ruolo e alla squadra di appartenenza. E, novità di quest’anno, l’indirizzo Twitter di ogni giocatore! LE SQUADRE DELLA SERIE B EUROBET. Decisamente rinnovate ed arricchite le pagine dedicate alle squadre di Serie B, che riportano le informazioni e l’organico societario, la prima divisa ufficiale e il palmares. Tra le figurine per la prima volta in assoluto nella storia dell’album Calciatori è presente, raffigurato a mezzobusto, anche l’allenatore. GLI ALTRI CAMPIONATI. Sempre ricche le pagine della LEGA PRO, che contengono il Logo Ufficiale della Lega e il pallone ufficiale. Per la PRIMA DIVISIONE ospitano le figurine delle squadre schierate e degli scudetti, per la SECONDA DIVISIONE gli scudetti. Anche nelle pagine LEGA PRO trovano spazio delle curiosità ad hoc. Le pagine dedicate

alla LND-SERIE D contengono la presentazione di tutte le squadre partecipanti e i loghi ufficiali della Lega e della competizione. Immancabile anche la sezione dedicata alla SERIE A FEMMINILE.

LE SEZIONI SPECIALI

IL FILM DEL CAMPIONATO La corsa d’inverno e Lo sprint scudetto... anche per la Serie B Eurobet! TOPOLINO GOL 20 Figurine dedicate alle squadre di Serie A, rappresentate in stile Disney! DERBY – HISTORY REMIX Lo spettacolo e l’emozione del Gol! In collaborazione con Sky Sport HD. ARBITRI AIA Le figurine dei fischietti di Serie A e B. ESSERE CALCIATORI Interessantissima sezione di approfondimento sui gesti tecnici, in collaborazione con il Campione del Mondo Gianluca Zambrotta.

LA FANTASTICA INIZIATIVA A PREMI

“Panini Premia La Scuola” Con l’operazione “Panini premia la scuola”, le bustine vuote potranno essere raccolte da studenti e famiglie, per permettere al proprio Istituto Scolastico di ricevere gratuitamente materiali e attrezzature didattiche e sportive! calcio2000 21 feb 2014


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serie B - Matteo Mancosu

di Sergio Stanco

Sulle orme del Bisonte

Intervista esclusiva a Matteo Mancosu, attaccante del Trapani autore di un inizio di stagione scintillante…

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uella di Matteo Mancosu è una storia d’altri tempi, di quelle belle da raccontare: esordio in Serie B, a 29 anni, dopo tanta (troppa?) gavetta nelle serie inferiori. Sempre in Sardegna, terra natia amata alla follia (tanto da tenerlo legato all’isola e, forse, rallentarne la carriera), fino a 25 anni, quando la fidanzata lo spinge sul “continente”. Qualche difficoltà iniziale, poi l’escalation: Latina, Vigor Lamezia, Trapani, Serie B, Capocannoniere. Così veloce da non riuscire neanche a stare al passo, tanto che, se cercate su internet, non esiste neanche la sua pagina di “Wikipedia”. Un caso più unico che raro per un professionista. Troverete, invece, 22 calcio2000 feb 2014

quella di Marco Mancosu, il fratellino minore di Matteo (25 anni), che ha esordito in A (col Cagliari ad Ascoli) a 18 anni ed è pure andato in gol. Ora Marco, cui avevano pronosticato un grande futuro, è a Benevento in Lega Pro, mentre Matteo, che a quei tempi si barcamenava nel campionato dilettanti sardo, gioca a San Siro in Coppa Italia e sogna di ripercorrere le orme di un bisonte... Matteo, partiamo da questo inizio folgorante di stagione: te l’aspettavi? “Sinceramente no, anche perché in carriera non mi era mai capitato. È stata una sorpresa positiva anche per me”. Tu ti sei dato una spiegazione di questo exploit?

“Credo che tutto dipenda dall’ambiente, dal fatto di essere in una squadra che gioca insieme da tanto tempo ed è sostenuta da una società molto attenta. Anche se io sono arrivato qui solo l’anno scorso, ora è già come se fossi a casa”. Ho letto recentemente una dichiarazione del tuo procuratore: “Matteo oggi vale 26 milioni”. Che effetto ti fa? “Non scherziamo, era una battuta. So benissimo di non valere certe cifre, quelle sono valutazioni che meritano solo i fuoriclasse”. Ma il capocannoniere della Serie B non può non avere la pagina Wikipedia… “Hai ragione (ride, ndr), cercherò di


fare ancora meglio così qualcuno forse si deciderà a farmela. Magari se arrivo in Serie A è più facile… (ride, ndr)”. Non sei geloso che tuo fratello Marco ce l’ha e tu no? “Tra fratelli non esiste gelosia. E poi lui in Serie A ha già giocato e ha pure segnato! Dunque lui se l’è meritata (ride, ndr)”. All’inizio a Marco avevano pronosticato una grande carriera, mentre tu giocavi nelle serie inferiori. Ora lui è in Lega Pro e tu sei capocannoniere di B: il calcio è strano… “È vero, ma è altrettanto vero che ti concede sempre una seconda opportunità. Quando avevo 25 anni io giocavo in C2, dunque Marco è già più avanti e ha tutto il tempo di tornare nelle categorie che merita. E sono certo che ci riuscirà, perché è un ragazzo serio”. Tu, invece, ti sei dato una spiegazione sul perché sei “arrivato” così tardi? “Ogni calciatore ha il suo processo di maturazione, forse il mio è stato un po’ più lento. Poi, credo di aver in qualche modo pagato il mio legame con la Sardegna: amo la mia terra perché si sta benissimo e noi sardi siamo piuttosto restii ad abbandonarla. Forse, mi fossi deciso prima a tentare il grande salto, sarebbe andata diversamente. E pensare che è stato quasi un caso…”. In che senso? “Nel senso che sono stato spinto dalla mia fidanzata o, meglio, dal fatto che lei dovesse andare a Londra a fare un tirocinio in ospedale. A quel punto mi son detto che potevo provarci anche io…”.

Il neopromosso Trapani si sta divertendo molto, soprattutto grazie ai tanti gol di Mancosu

Trapani, che passione… Chi l’avrebbe mai detto? Dopo una vita trascorsa nelle leghe minori e una serie infinita di fallimenti, il Trapani ha raggiunto il gotha del calcio, partecipando alla Serie B, ovvero l’anticamera del massimo campionato italiano. Una soddisfazione enorme per la società (rifondata nel 2002) e per l’intera città che sta seguendo con grande passione le imprese dei propri beniamini. Come se non bastasse, l’esordio dei granata nel campionato cadetto, a Padova, ha portato anche una storica vittoria. Insomma, una “prima volta” in Serie B che fa ben sperare per il futuro di una società ambiziosa e trascinata da un pubblico da Serie A. Il libro dei record vuole essere riscritto, lo si avverte tra le vie della città. C’è chi sogna un nuovo Barraco, massimo goleador del Trapani, con 74 reti in sei stagioni o chi di avere un nuovo Nazionale che abbia indossato la maglia dei granata (ad oggi ci sono riusciti Materazzi, Parisi e Terlizzi, tutti con un passato a Trapani). Insomma, a Trapani c’è tanta voglia di fare la storia. Mancosu, da questo punto di vista, sta regalando davvero delle grandi soddisfazioni…

calcio2000 23 feb 2014


serie b - Matteo Mancosu

Dunque se oggi sei capocannoniere di B lo devi a lei? “Un po’ sì, ma non diciamoglielo se no si monta la testa (ride, ndr)”. Dalla Sardegna a Latina: com’è stato l’impatto? “Non semplicissimo, perché come dicevo prima noi sardi siamo molto legati alle nostre abitudini. Poi, all’inizio non è che giocassi molto. Nella seconda parte di stagione, invece, ho iniziato a giocare con più continuità, fare anche qualche gol e tutto è filato liscio”. Da Latina alla Vigor: in Calabria com’è andata? “A Lamezia mi son trovato subito benissimo, giocavo e segnavo e un attaccante non può chiedere di più. Mi dispiace solo che l’esperienza non si sia conclusa con la promozione in Prima Divisione (sconfitta ai play off, ndr), un successo che i tifosi e tutto l’ambiente si sarebbero meritati”. Poi, lo sbarco in Sicilia, un campionato incredibile e la promozione in Serie B… “È stata una cavalcata indimenticabile, il gol promozione, quello del 4-3 a Cremona lo ricorderò per tutta la vita. È stata l’emozione più grande della mia carriera, perché l’ambiente era incredibile: i tifosi ci tenevano tanto dopo la delusione dell’anno precedente (sconfitta in finale play-off contro il Lanciano, ndr)”. E adesso, per te, il sogno continua: esordio in B da capocannoniere… “Sì, è vero, ma non mi monto la testa. So che questo campionato è difficilissimo e pieno di insidie, quindi mi godo il

L’altro Mancosu

Sulle orme del Bisonte

Dopo tanti anni di difficoltà, la tifoseria del Trapani si sta divertendo nel suo primo anno di B

momento ma senza fare voli pindarici”. Qual è l’obiettivo del Trapani e il tuo in particolare: “Quello di squadra è la permanenza nella categoria, il mio è quello di arrotondare il bottino di gol. Di solito un attaccante punta sempre ad andare in doppia cifra, ma visto che ci sono già arrivato, voglio andare oltre”. La tua storia mi ricorda quella di Dario “Bisonte” Hubner: anche lui ci aveva messo un po’ ad arrivare nel grande calcio, ma poi si era tolto la soddisfazione di diventare capocannoniere in A col Piacenza… “è un grande onore essere paragonato a lui, che tra l’altro è un attaccante che seguivo molto perché io adoro tutti i bomber, li studio per carpire loro i segreti. Aveva un’ottima progressione e un gran tiro, due caratteristiche che anche io cerco di sfruttare”. Il tuo idolo invece chi era? “Inzaghi, perché era il prototipo del bomber. Pur non essendo particolarmente dotato tecnicamente, faceva

sempre gol, in ogni modo”. Il sogno che vorresti ancora realizzare? “Tutti i giocatori sognano un giorno di giocare in Serie A e questo vale anche per me. Quando siamo andati a giocare a San Siro contro l’Inter e siamo andati in campo a fare la ricognizione prima della partita (Coppa Italia, ndr), mi sembrava di essere in un videogioco, è stata un’emozione pazzesca. Chiunque giochi al calcio vuole vivere certe esperienze”. Di te, tra l’altro, si parla in chiave Cagliari: per te che hai lottato così tanto per affermarti e che sei così legato alla tua terra, deve essere una soddisfazione doppia… “Ovviamente fa piacere, ma non ci penso minimamente, anche perché non credo che il Cagliari, con tutti gli attaccanti forti che ha, possa essere interessato ad uno come me. Io voglio solo fare bene col Trapani, poi si vedrà”. Determinato, testardo e umile. Chi non lo vorrebbe un attaccante così?

Marco Mancosu è il fratello di Matteo, ha 25 anni e gioca nel Benevento, in Lega Pro. Lui, però, ha già realizzato il sogno di suo fratello maggiore, perché la maglia del Cagliari l’ha già indossata. Anzi, nel settore giovanile del club di Cellino ci è proprio cresciuto. E si è tolto anche la soddisfazione di esultare con la maglia rossoblù addosso, lui che non è neanche attaccante (gioca come centrocampista): è successo proprio all’esordio, nell’ultima gara del campionato 2006-2007 disputata ad Ascoli. Da quel momento, però, ha cominciato a girovagare proprio come Matteo (Rimini, Empoli, Siracusa) fino ad arrivare a Benevento, dove hanno creduto in lui, acquistandolo a titolo definitivo. Da lì, ora, anche Marco vuole spiccare il volo e, chissà, magari riguadagnarsi la maglia del Cagliari: “Per noi sardi – ci ha detto Matteo durante l’intervista – quella maglia significa tanto, tantissimo, e tutti prima o poi vorremmo indossarla. Come sarebbe un Cagliari di soli sardi? Sarebbe una grande squadra a cui, di certo, non mancherebbe l’attaccamento alla maglia”. E in quel Cagliari i fratelli Mancosu ci starebbero alla grande…

24 calcio2000 feb 2014


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calcio2000 25 feb 2014

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LP

lega pro - perugia

di Gabriele Cantella

I NUOVI GRIFONI A Perugia c’è tanta voglia di tornare grandi, la Serie B è il primo passo…

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al Perugia dei miracoli, imbattuto ma secondo al termine del campionato di Serie A 1978/79, con Castagner in panchina e Bagni in mediana, a quello di Serse Cosmi e Fabio Grosso, che conquistò la Coppa Intertoto nell’estate del 2003, i Grifoni umbri sono entrati di diritto nella mitologia del calcio italiano (il Grifone è per l’appunto figura mitologica) e ne fanno parte ancora oggi, dopo due fallimenti e la perdita del titolo sportivo. La nuova società, denominata Associazione Calcistica Perugia Calcio, militante in Lega Pro 1a Divisione, si affida adesso all’esperienza d’un capitano di lungo corso, quale Gianluca Comotto e al 26 calcio2000 feb 2014

giovane rampante Umberto Eusepi, per centrare una promozione in Serie B che da queste parti manca da tanto, troppo tempo. Gianluca, dopo una carriera ricca di soddisfazioni in Serie A, che ti ha visto militare in squadre del calibro di Fiorentina e Torino, hai deciso di ripartire dalla Lega Pro e da Perugia, perche? “È stata una scelta dettata dalla mia voglia di nuove sfide, dal mio bisogno di nuovi stimoli. In estate ho avuto parecchie richieste da club di Serie B, ma ho deciso di accettare la missione di provare a riportare una squadra blasonata e di grandi tradizioni come il Perugia nel posto che le compete”.

Che ambiente hai trovato in Umbria? “Ho trovato un ambiente che ha grande voglia di rivalsa, desideroso di tornare laddove la storia e le tradizioni di questo club impongono”. Perugia è da sempre una piazza calcisticamente importante, che vive però ormai da alcuni anni una realtà non in linea con un passato così glorioso... Da capitano senti urgente la necessità di riportare questo club nel posto che gli spetta? “La sento come un’urgenza assoluta, ma non sarà semplice perché quello di Lega Pro è un campionato particolare in cui ci sono almeno 4-5 squadre costruite per vincere”.


Com’è stato l’impatto con la Lega Pro per un calciatore come te, abituato a ben altri palco-scenici? “Non facile, anche per il tipo di calcio che viene giocato in questa categoria, che è totalmente diverso da quello che si gioca in Serie A e B. C’erano campi che non avevo mai calcato prima d’ora, ma anche queste esperienze fanno parte del bagaglio di un calciatore”. Soddisfatto della stagione tua e della squadra fino a questo momento? Vi aspettavate di trovarvi in testa a questo punto della stagione o siete sorpresi? “L’inizio non è stato facile, ma era abbastanza preventivabile, dal momento che siamo una squadra nuova, che ha pure cambiato allenatore ancor prima che avesse inizio il campionato. Adesso stiamo andando forte e non dobbiamo mollare, perché abbiamo sempre addosso il fiato delle inseguitrici. Sono sorpreso per la rapidità con cui siamo riusciti a conquistare la vetta della classifica, ma ero certo che saremmo riusciti a venir fuori da quel momento di difficoltà iniziale. Ora abbiamo la serenità che ci deriva dall’essere in testa, ma pure la pressione di dover giocare ogni domenica da capolista”. L’obiettivo è la Serie B? “È l’obiettivo dichiarato da inizio stagione, ma le rivali non mancano e sono tutte molto agguerrite. Per raggiungere questo traguardo dovremo ancora migliorare, la nostra è una squadra giovane ed io, da capitano e giocatore d’esperienza, ho a cuore la crescita di questi ragazzi e mi auguro che nel loro futuro possa esserci una carriera ricca di soddisfazioni. La gioia più grande per me sareb-be quella di riuscire, insieme a loro, a riportare il Perugia in Serie B”. Chiuderai a Perugia? “Assolutamente sì. Se, facendo i dovuti scongiuri, vinceremo il campionato, avrò ancora un anno di contratto e poi appenderò le scarpette al chiodo, ben felice di chiudere qui la mia carriera. Dal momento in cui ho firmato per il Perugia, la mia intenzione è sempre stata questa”.

IL NUOVO CHE AVANZA... A SUON DI GOL!

Faccia a faccia con Eusepi, un bomber di cui sentiremo parlare a lungo… Umberto, un lungo peregrinare hai finalmente trovato la tua dimensione a Perugia... Cosa è cambiato rispetto alle tue precedenti esperienze? “Dopo l’esperienza della passata stagione tra Varese e Vercelli, negativa dal punto di vista realiz-zativo perché di gol ne sono arrivati pochi, ma comunque positiva dal momento che ho avuto la possibilità di giocare in Serie B, sono approdato quest’anno a Perugia, dove sono stati bravi a sfruttare il mio potenziale nella maniera migliore. Grazie al mister e ad una squadra ben organizzata sto riuscendo a esprimere le mie doti, non soltanto di goleador, ma anche di giocatore al servizio dei compagni”. Hai già realizzato diversi gol, punti al titolo di capocannoniere? “Purtroppo non mi hanno assegnato quello contro il Gubbio (ride ndr). Detto questo, punto decisamente a laurearmi capocannoniere, ma il mio obiettivo primario è quello di vincere il campionato col Perugia. Non mi importa granché di mettere a segno 20 gol, 18 oppure 16, piuttosto preferisco realizzarne 13 e conquistare la promozione in Serie B, che è ciò che più conta per tutti noi, per i tifosi, per una piazza che merita ben altri palcoscenici”. Ti aspettavi un inizio così o sei stupito di te stesso? “Stupito no, ma guardando la media gol in rapporto alle gare giocate, considerando che sono stato fuori tre partite, devo ammettere di essere davvero soddisfatto. Forse non mi aspettavo così tanti gol a questo punto della stagione, ma, ero sicuro che almeno 5-6 reti da inizio stagione a dicembre li avrei senz’altro garantiti. La differenza tra questa stagione e le mie precedenti è probabilmente il fatto che quasi mai mi era capitato, tranne a Carpi di giocare un intero campionato con la stessa maglia, mentre qui invece sto avendo questa possibilità. Avevo bisogno di un’esperienza importante in una piazza importante come Perugia”. Dove vuole arrivare Umberto Eusepi? Il sogno è la Serie A? “Io vorrei arrivare innanzitutto in Serie B con questa maglia il prossimo anno, è questo il mio obiettivo a breve termine. Poi, nell’arco d’un paio d’anni mi auguro di poter approdare in Serie A, il mio sogno è quello. Sto lavorando per raggiungere questo traguardo, ma devo prima salire una serie di gradini, di cui il primo è conquistare la promozione col Perugia, il resto si vedrà”.

Eusepi festeggia uno dei suoi tanti gol in questo folgorante inizio di stagione dei Grifoni.

calcio2000 27 feb 2014


D

serie D - santhià

di Carlo Tagliagambe

IL SANTHIà RICOMINCIA DA TRE Il d.g. Mezza, il d.s. Bolla e mister Villa sono gli uomini scelti dal presidente Cuomo per il nuovo corso…

I

l 2013 rappresenta l’anno zero della storia ultracentenaria del Santhià Calcio. Una tabula rasa arrivata dopo un ciclo vincente durato quattro anni che ha visto la società granata, allora allenata dall’ex juventino Giovanni Koetting, superare lo scoglio del campionato di eccellenza per varcare finalmente i cancelli della serie D: un grande traguardo a coronamento di un progetto che ha radici solide e che si è sviluppato nel tempo grazie alla tenacia e alla programmazione del presidente Giuseppe Cuomo e del direttore generale Pier Antonio Mezza. “Ventisei anni fa –racconta il Dg a Calcio2000 - io e il presidente abbiamo preso in mano il Santhià sull’orlo del fallimento e abbiamo iniziato una ricostruzione che, nel tempo, ci ha dato grosse soddisfazioni”. Un sogno 28 calcio2000 feb 2014

partito da lontano, dalla seconda categoria, che con il passare del tempo ha portato i granata ad una scalata vertiginosa che li ha visti, nel 2005, vincere il campionato di Promozione e approdare in Eccellenza a distanza di 38 anni dall’ultima volta (era il 1967). L’impresa che schiuderà le porte del calcio che conta alla formazione piemontese reca in calce la firma di un allenatore che, sportivamente parlando, la città di Santhià considera il suo eroe: quel Fabio Pairotto che, scomparso tragicamente nel 2006 a causa di un mare incurabile, dà il nome all’impianto cittadino e vive tuttora nella memoria di tutti i santhiatesi. Dal 2006 in poi, la storia calcistica dei granata è stata un climax ascendente che li ha portati a raggiungere lo storico traguardo della Serie D, sfiorando in un paio di occa-

sioni il grande salto in Seconda Divisione, sfumato all’ultimo solo nel marasma dei play-off. Poi, proprio sul più bello, ecco arrivare il ‘funesto’ anno 2013, quello del ridimensionamento. “Dopo anni a grandi livelli – spiega Mezza - sono venuti a mancare alcuni interventi economici esterni necessari per mantenere la squadra al vertice del campionato. Quindi, complice la difficile situazione economica generale, la società si è trovata costretta a ridurre gli investimenti e a razionalizzare le spese: ora ripartiamo, con fiducia, dai nostri giovani e puntiamo alla permanenza in Serie D”. Una rivoluzione 2.0 imperniata sui prodotti del settore giovanile: l’età media della rosa del Santhià si aggira tra i 21 e i 22 anni, tra le più basse della categoria. Quasi un paradosso per la società più vecchia


del calcio dilettantistico piemontese, fondata nel lontano 1903, ormai 110 anni orsono, in questa fetta di Pianura padana bagnata dalle risaie che si distende, quasi in segno di sottomissione, ai piedi di sua Maestà il Monte Rosa. Una maglia che trasuda di storia, quella granata, e che richiama ogni domenica allo stadio un discreto numero di tifosi, compreso tra le 100 e le 200 unità, che aspettano ogni anno il derby con il Borgosesia per dare sfogo a un po’ di sano campanilismo. Derby che, quest’anno, è coinciso con l’addio al tecnico Nisticò, scelto come pioniere del nuovo corso santhiatese, ma poi durato solo 12 partite sulla panchina granata. “La colpa dell’inizio di campionato negativo non è tutta del tecnico –spiega Mezza - anche perché nel mercato di dicembre abbiamo cambiato gran parte dei giocatori…”. Mercato che è saldamente nelle mani di Alec Bolla, giovane direttore sportivo fresco di diploma a Coverciano e con un passato di tutto rispetto da calciatore, che ha condotto le trattative portando alla corte del neo allenatore Pietro Villa (fino a qualche settimana fa allenatore dei portieri) una serie di giovani con prospettive davvero interessanti. “La nostra strategia – confessa Bolla - è stata quella di puntare su giovani calciatori che avessero fame e voglia di lottare su ogni pallo-

ne, che sono qualità indispensabili per centrare il traguardo della salvezza. Prima di concludere le trattative, ho guardato negli occhi ognuno di questi ragazzi per capire se avevano la giusta motivazione per accettare questa sfida, sicuramente non semplice. Tutti mi hanno dimostrato quella voglia di crescere che serve tanto a loro per mettersi in mostra, quanto al Santhià per uscire da una situazione di classifica difficile. Parlandoci, ho chiaramente detto loro che, a questi livelli, bisogna essere prima grandi uomini che calciatori: si può sbagliare in campo e non succede niente, l’importante è non commettere errori che possano compromettere la vita e i rapporti umani, che sono le cose più preziose. Oltre all’aspetto calcistico, quello che mi interessa trasmettere ai ragazzi è il prestare attenzione al lato umano, costruendo la propria personalità, dentro e fuori dal campo”. E a Santhià c’è tutto per crescere e maturare, sotto tutti i punti di vista. “La società granata – continua il ds - è una vera e propria famiglia, fondata sul rispetto delle persone, sulla lealtà e sulla corret-

tezza nei rapporti: ecco perché, dopo la mia esperienza al Villalvernia, ho subito capito che il Santhià sarebbe stato un passo davvero importante per la mia carriera”. Chi, alla sua carriera ha già dato una piccola ‘svolta’ è mister Pietro Villa che, dopo una vita passata a fare il secondo (lo ricordiamo a Novara con Frosio e alla Pro Patria con Scanziani) o l’allenatore dei portieri, ha scelto di rimettersi in gioco prendendo in mano la prima squadra a stagione in corso: “Ho accettato subito di buon grado la proposta della dirigenza, perché sento di poter mettere la mia esperienza, anche di calciatore (negli anni 70’ ha giocato tra la Serie B e la Serie A difendendo le porte di Vigevano, Foggia, Parma e Novara ndr) al servizio di questi giovani ragazzi”. È quindi Villa l’uomo scelto per centrare il traguardo della salvezza: “Sarà una battaglia durissima, la squadra è cambiata molto nel corso del mercato e deve ancora assumere un assetto tattico definitivo, a partire dal modulo che deve meglio adattarsi alle caratteristiche dei giocatori. Credo però ci siano le condizioni per lavorare bene e far crescere questi ragazzi, garantendo anche un futuro alla società”. Futuro che non potrà certo prescindere dal glorioso passato di una squadra che è un pezzo di storia del calcio piemontese.

calcio2000 29 feb 2014


Una leggenda per ruolo - flavio destro

di Samuele Mei

Per la rubrica di “Una leggenda per ruolo”, parliamo di un numero 2 vero, di quelli che sapevano cosa fare in campo…

Destro, di nome e di fatto...

F

ebbraio è il mese numero 2 dell’anno e il “2”, nella numerazione classica del calcio, indica il terzino fluidificante destro. Destro di nome e di fatto è la “leggenda del ruolo” di questo mese. Non stiamo parlando di Mattia, attaccante della Roma appena rientrato dall’infortunio, ma di Flavio (papà di Mattia), roccioso e affidabilissimo terzino destro dell’Ascoli dei miracoli, tra il 1986 e il 1990. Flavio Destro era quello che nelle formazioni dell’Ascoli anni ‘80 trovavi sull’album Panini: veniva dopo il portiere. In quel calcio d’altri tempi, i numeri erano dall’1 all’11 e il numero due rappresentava appunto il terzino destro, con il tre il terzino sinistro e così via fino all’undici, che rappresentava l’ala sinistra. Signor Destro, vorrei sapere la sua definizione del ruolo classico di terzino destro, il numero 2: come lo interpretava e come è cambiato nel tempo? “Attualmente il ruolo classico del numero 2 non c’è più. Il terzino di oggi ha poco a che fare con quello di vent’anni fa. Il terzino destro era chiamato esclusivamente alla fase difensiva ed era forzatamente poco propenso ad attaccare. Era un po’ sacrificato in fase di copertura e aveva rare occasioni per proporsi nella metà campo avversaria. Erano richieste attenzione, concentrazione e affidabilità...Oggi c’è molto più movimento, ci sono le sovrapposizioni e si marca a zona”. Prima di ripercorrere le tappe prin-

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cipali della sua carriera, ci parli dei suoi ricordi d’infanzia legati al calcio. Com’è nata la passione per questo splendido gioco? “Giocare a calcio è il sogno di ogni bambino. Appena potevo mi mettevo a rincorrere il pallone, bastava una porta improvvisata e cominciavamo a giocare... poi ho iniziato a frequentare l’oratorio e ho capito che giocare a pallone era la mia grande passione”. Lei, che è nativo di Rivoli, ha trascorso la sua “adolescenza” calcistica nelle giovanili del Torino. Che cosa ricorda di quegli anni? “Ho avuto la fortuna di crescere nelle giovanili del Torino dagli 11 ai 19 anni. Dico la fortuna perché in quel periodo il vivaio del Torino era molto quotato, uno dei migliori in circolazione. Non solo dal punto di vista calcistico e tecnico, ma anche dal punto di vista umano. C’erano dei grandi educatori che insegnavano prima i valori della vita, poi quelli del calcio”. Nei primi anni Ottanta, lasciata la casa madre Torino, ha fatto le sue prime esperienze girando alcune squadre del Sud Italia (Reggina e Catanzaro) nelle categorie minori tra C e B. Ci può raccontare qualche fatto curioso o qualche aneddoto di quel periodo? “Il passaggio da un settore giovanile ad una prima squadra è davvero complicato. A quel tempo ogni anno il Torino mandava due o tre giocatori a fare esperienza in squadre minori. Un salto immenso per quanto riguarda visibili-


tà e pressione. Mi ricordo l’esordio in prima squadra alla Reggina in Serie C, con tutto il pubblico che ci sosteneva e pretendeva chissà cosa da noi. Era tutto così diverso rispetto alle giovanili del Toro dove veniva poca gente a vederci e tutto sommato il risultato contava poco. C’era un grado di responsabilità molto più alto e questo incideva molto anche sull’atteggiamento da tenere in campo”. Arriviamo così agli anni più splendenti della sua carriera, quelli passati ad Ascoli, dove ha militato dal 1985 al 1990 collezionando più di 100 partite in Serie A. Che cosa mi dice a riguardo? “La prima annata all’Ascoli fu stupenda. In Serie B con il grande Boskov. Siamo stati sempre primi in classifica e abbiamo vinto il campionato alla grande. Eravamo una grande squadra, con un grande allenatore e un presidente fantastico, l’indimenticato Costantino Rozzi. Poi arrivò l’anno successivo l’esordio in Serie A contro il Milan, che fu davvero ricco di soddisfazioni. Infatti vincemmo subito a Milano, con quell’1-0 divenuto giustamente famoso...” E così nacque il mito dell’Ascoli “ammazzagrandi”... “Sì, diciamo che ci siamo presi le nostre soddisfazioni, vincendo molte partite in casa, al Del Duca, ma anche qualche partita fuori. Ci siamo fatti rispettare insomma...” Ci dica qualcosa della sua predilizione per il Milan, al quale ha segnato un goal in Coppa Italia e uno in Serie A... “Ricordo il goal che feci al Milan in Coppa Italia la sera di San Valentino del 1988. Fu davvero sorprendente perché io ero un marcatore deputato a contenere le punte del Milan. Le occasioni per “sganciarsi” erano davvero poche, poteva capitare una o due volte a partita, magari su calcio d’angolo o su rimessa laterale. Quella volta intercettai un pallone a centrocampo, saltai Costacurta e mi inventai un incredibile pallonetto, credo da 30 metri”. Tornando al ruolo di terzino destro, lei accennava prima a quanto sia

Chi è Flavio Destro è nato a Rivoli il 28 agosto 1962. Calcisticamente è cresciuto nelle giovanili del Torino esordendo tra i professionisti nella stagione 1981-82 con la maglia della Reggina. L’esordio in Serie A arrivò invece nella stagione 198687 dopo la grandiosa promozione conquistata l’anno precedente dall’Ascoli. Con la maglia della “Regina delle Marche” Flavio Destro ha trascorso gli anni più splendenti della sua carriera. Lasciato l’Ascoli giocò nel Pescara (1990-91), nel Cesena (1991-1993) e nell’Empoli (1993-94). Negli ultimi anni ha intrapreso anche la carriera di allenatore, prima al Montichiari (2008), quindi come secondo di Lerda al Crotone (2009-10) e al Torino (2010-11). È il padre di Mattia, attuale giocatore della Roma. Nel complesso Flavio Destro ha giocato oltre cento partite in Serie A con la maglia dell’Ascoli. Ha militato inoltre in Serie B nelle file del Catanzaro, del Pescara e del Cesena.

cambiato negli ultimi 20 anni. Non pensa che sia andata persa un po’ quella concentrazione e quella “ferocia” agonistica con cui i marcatori “curavano” gli attaccanti? “Come dicevo, il ruolo è molto cambiato. O almeno è mutata l’interpretazione del ruolo alla luce dei nuovi schemi. Oggi i fluidificanti sanno impostare, lanciarsi in profondità e hanno spesso grandi qualità tecniche. D’altra parte dal punto di vista difensivo si è

persa la concentrazione classica del marcatore... anche perché ormai si tende sempre più a occupare gli spazi e a curare a zona”. Da ottimo difensore qual è stato, secondo lei chi può essere considerato il miglior difensore italiano degli ultimi 30 anni? “Nella mia generazione ci sono stati molti difensori forti. Se faccio un elenco rischio di dimenticarne qualcuno: comunque tra i migliori io metto Mal-

Flavio è il padre di Mattia, attuale attaccante in forza alla Roma, lui fa l’attaccante

calcio2000 31 feb 2014


Una leggenda per ruolo - flavio destro

dini e Nesta. E poi come non citare il grande Franco Baresi. E Beppe Bergomi? La scuola italiana ha sempre sfornato ottimi difensori”. Trattando di attualità, secondo lei chi è il miglior terzino della Serie A? “È difficile dirlo, sicuramente negli ultimi anni trovare dei terzini forti è un compito difficile perché si tratta di un ruolo molto delicato da interpretare... io penso che De Sciglio del Milan abbia tutte le potenzialità per fare un ottima carriera. Certo non bisogna fare paragoni troppo pesanti con i grandi campioni del passato. Come difensori vedo molto bene il blocco della Juve, formato da Chiellini, Bonucci e Barzagli... inoltre mi ha molto impressionato il centrale della Roma Benatia. Arrivato dall’Udinese, ha subito trovato gli accorgimenti giusti per blindare la difesa della Roma”. Qual è stato l’allenatore più importante della sua carriera? “Devo dire che ho imparato qualcosa da ogni allenatore che ho avuto. Ma Carlo Mazzone e Boskov avevano qualcosa in più, non solo sul piano tattico-calcistico, ma nella loro capacità di proporsi come leader carismatici”. Anche lei, una volta appese le scarpe al chiodo, ha provato a intraprendere la carriera di allenatore, ricoprendo il ruolo di secondo di Lerda al Crotone e al Torino. Quali sono le sue idee tattiche? Ha un modulo di riferimento? “Un allenatore deve avere prima di tutto la disponibilità del gruppo e dei giocatori di qualità. Con i giocatori giusti io credo che il 4-4-2 sia il sistema migliore per occupare tutti gli spazi. Fermo restando che ci vuole duttilità e intelligenza”. Tra il 1986 e il 1990 con l’Ascoli lei ha giocato contro i più grandi campioni dell’epoca quali Maradona, Van Basten, Gullit, Vialli etc. Qual è stato l’attaccante più difficile da marcare? “C’è l’imbarazzo della scelta. Se parliamo di attaccanti puri, le confesso che Van Basten è quello che mi ha impressionato di più, sia per fisico sia per

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Destro, di nome e di fatto…

tecnica”. Se pensiamo alle vicende delle ultime ore, non possiamo non parlare della brutta situazione finanziaria in cui versa l’Ascoli Calcio. Vorrei un suo pensiero a riguardo, da ex capitano della “Regina delle Marche”... “Un vero peccato... la giornata di ieri (16 dicembre) è stata molto triste per noi che viviamo ad Ascoli e per me che ho giocato tanti anni con la maglia bianconera e sono legato affettivemnte all’ambiente. Si stringe il cuore a vedere quello che è successo, ma bisogna avere la forza e trovare la voglia di riprendere...”. Ha mai pensato, da grande difensore, che suo figlio Mattia potesse di-

ventare un grande attaccante? “Sono gli scherzi della vita. Sin da bambino Mattia quando giocava si metteva là davanti cercando di fare goal. Si vedeva che aveva delle caratteristiche offensive. Che arrivasse in Serie A nessuno poteva immaginarlo e neanche sperarlo... ma sono cose che bisogna vivere gradualmente, anno dopo anno, senza pressioni troppo grosse”. Non sono molte le famiglie che possono vantare padre e figlio in Serie A. I Destro hanno uno speciale DNA legato al calcio... “Beh, è una grande soddisfazione. Sia io, sia lui, abbiamo avuto la fortuna di fare ciò che ci piace di più nella vita, quanto c’è di più bello”.

Destro ha legato la sua carriera soprattutto all’Ascoli, con cui ha giocato dal 1985 al 1990


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miti del calcio - roger milla

di Luca Gandini

È pieno di colore e passione il calcio di Roger Milla, il Leone Indomabile del Camerun.

SOTTO IL SEGNO DEL LEONE

U

no tra i più nobili ruoli ricoperti dal calcio è il far conoscere, attraverso le imprese dei propri protagonisti, parti del nostro pianeta che, altrimenti, rimarrebbero sepolte in un oblio di stereotipi e contraddizioni. È grazie a George Weah e alle sue pro-

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dezze, ad esempio, se la Liberia ha potuto mostrare al mondo che guerra civile e miseria non sono gli unici frutti prodotti da quella terra tormentata. Oggi, se parli di Corea del Nord, non pensi tanto alle testate nucleari, alla censura o all’isolamento internazionale messo in atto dal regime di

Pyongyang, bensì alla straordinaria cavalcata della Nazionale dei cosiddetti “ridolini” al Mondiale del 1966. E che dire poi del Camerun? Un nome come tanti altri, destinato a rimanere chiuso nell’atlante, se non fosse stato per le gesta di Roger Milla, l’uomo capace di trascinare quell’angolo di


Africa in una festosa marcia di danze e colori. SCACCO A LE ROI Figlio di un ferroviere, Albert Roger Mooh Miller è nato a Yaoundé, la Capitale del Camerun, il 20 maggio 1952. Appassionato di calcio e ammiratore di Pelé, ebbe un’infanzia piuttosto movimentata a causa del lavoro del padre, chiamato a ripetuti trasferimenti. Le prime notizie del Milla (questo il suo nome d’arte) calciatore ci giungono infatti da Douala, la città più popolosa del Paese, dove, dall’età di 13 anni, iniziò a mettersi in mostra nella squadra dell’Éclair. 5 anni dopo, ecco il salto di qualità e l’approdo nel Léopard, una delle società più prestigiose del Camerun, con cui cominciò a farsi conoscere anche al di fuori dei confini nazionali, grazie a una memorabile edizione della Coppa dei Campioni d’Africa. Eravamo nel 1973 e Roger fu il principale protagonista della cavalcata dei “leopardi” interrotta solo in semifinale dagli zairesi del Vita Club. La vera gloria internazionale, il formidabile attaccante iniziò ad assaporarla qualche anno dopo, quando, con la maglia del Tonnerre di Yaoundé, conquistò la Coppa delle Coppe d’Africa nel 1975 e il premio quale miglior calciatore del continente nero nel 1976. Impossibile, a quel punto, rifiutare la chiamata dell’Europa. Nel 1977 furono i francesi del Valenciennes ad assicurarsi le prestazioni dell’asso camerunense, ma quell’avventura fu tutto tranne che positiva. Roger passò la prima stagione relegato nella squadra riserve e la seconda invischiato nella mediocrità generale del sodalizio biancorosso. Alcune beghe contrattuali e la contemporanea, allettante, offerta del Monaco, lo convinsero dunque a cambiare aria e a trasferirsi nel Principato. Anche qui, però, le cose non andarono per il meglio. Una sola stagione, pochi gol, tanti infortuni e una Coppa di Francia vinta da riserva. Troppo poco per meritarsi la riconferma. Ripartì al-

Ancora oggi, Roger Milla è considerato il più grande giocatore del Camerun

lora dal Bastia, dove, nel 1980/81, si tolse la prima vera soddisfazione europea, andando a rivincere, ma stavolta da protagonista, la Coppa nazionale contro il Saint-Étienne di un certo Michel Platini. Fu proprio Milla a siglare uno dei gol della finale con un guizzo da gazzella, sfogando poi tutta la sua gioia in un’esultanza dal sapore liberatorio. I LEONI INVINCIBILI Si avvicinava, intanto, il grande appuntamento di Spagna ‘82, il Mundial a cui la Nazionale del Camerun partecipava per la prima volta. Destino aveva voluto che la compagine africana potesse allineare un undici di tutto rispetto, trascinato non solo dalla forza d’urto di Milla, ma anche dal genio di Théophile Abega, una mezzala che ricordava un po’ Johan Cruijff per il raffinato controllo di palla a testa alta e per via del numero 14 sulla maglia, e dal talento del portiere Thomas N’Kono, Pallone d’Oro africano nel 1979. Tre fuoriclasse e tanti buoni gregari, impegnati in una lotta per emergere che andava oltre lo sport. Paese pove-

ro, con una speranza di vita di soli 53 anni e sempre sull’orlo della guerra civile, il Camerun riuscì a farsi conoscere e apprezzare grazie alla sorprendente vitalità dei suoi “Leoni Indomabili”, che prima costrinsero allo 0-0 il Perù, poi ripeterono lo stesso risultato con la ben più quotata Polonia di Zibì Boniek e infine colsero un 1-1 con i futuri campioni dell’Italia. Solo una spietata differenza-reti permise agli Azzurri di Enzo Bearzot di qualificarsi a spese dei camerunensi, ma poco importa: Roger Milla e compagni furono protagonisti della più convincente prova mai offerta da una compagine africana in 52 anni di Coppa del Mondo. Non fu un fuoco di paglia. Nel 1984, per il Camerun arrivò infatti il primo alloro continentale, con la conquista della Coppa d’Africa. Milla si accontentò di siglare un solo gol, ma utile comunque per superare i padroni di casa della Costa d’Avorio in un difficile match del primo turno. Il ruggito dei Leoni terrorizzò l’Africa in un crescendo di successi. Secondi nel 1986 alle spalle dell’Egitto, si ripresero il trono continentale 2 anni dopo in Marocco. Il

calcio2000 35 feb 2014


sotto il segno del leone

Miti del calcio - roger milla

nostro Roger, ancora una volta, non deluse, e il suo nome entrò a far parte della formazione ideale della manifestazione. NONNO INSUPERABILE Alla fine della stagione 1988/89, Milla concluse la sua ultradecennale esperienza nel campionato francese. Lo fece giocando nel Montpellier, al fianco del giovane Laurent Blanc (futura colonna della Nazionale campione del mondo) e di quel mattacchione di Carlos Valderrama, il “Gullit Biondo” colombiano. Si ritirò quindi sull’Isola della Riunione, nelle calde acque dell’Oceano Indiano, dove, tra un bagno di sole e l’altro, trovò anche il tempo per militare in una squadretta locale, il Saint-Pierroise. Il Mondiale di Italia ‘90 era ormai alle porte, ma nulla parve convincere il vecchio leone ad abbandonare quell’esilio dorato. Sinché non avvenne l’incredibile. Una telefonata del Presidente della Repubblica in persona, il fuoco sacro che riprese ad ardere nel petto et voilà: Roger Milla era pronto a tornare ad indossare l’amata casacca del Camerun. Ebbe quindi inizio, a 38 anni, il capitolo più esaltante della sua carriera. Inserita in un raggruppamento a dir poco proibitivo, con i campioni uscenti dell’Argentina, Romania e Unione Sovietica, la squadra africana, forte di alcuni reduci di Spagna ‘82 (Milla e N’Kono su tutti) e un manipolo di giovani promettenti, partì alla grandissima, sconfiggendo nella gara d’esordio Maradona e compagni nella bolgia di San Siro. Un tripudio di danze tribali, colori e orgoglio africano fecero da cornice a una delle giornate più sorprendenti che il calcio abbia mai vissuto. Milla, che in quella gara era subentrato nella ripresa senza lasciare traccia, si scatenò nell’incontro successivo con la Romania, siglando la doppietta vincente. Nemmeno un’innocua sconfitta con i sovietici tolse ai Leoni Indomabili la soddisfazione di chiudere il girone davanti a tutti. Ormai eletta come la squadra-simpatia

36 calcio2000 feb 2014

tica lezione ai maestri del calcio, procurandosi prima il rigore del pareggio e inventando poi un assist al bacio per il 2-1. Il calcio, a volte, sa però essere incredibilmente crudele e così due clamorosi errori di ingenuità dei difensori camerunensi permisero ai Bianchi di Sua Maestà di guadagnarsi e trasformare i due penalty del definitivo sorpasso. Il sogno era tramontato, ma il ricordo di quell’avventura sotto il cielo di un’estate italiana sarebbe rimasto impresso a lungo nel cuore di un’intera generazione di tifosi.

Milla ha esordito in nazionale a 26 anni e l’ha lasciata a 42 anni suonati

del Mondiale, il Camerun affrontò poi negli ottavi la Colombia, un’altra compagine pittoresca, con quei “locos” di Carlos Valderrama e René Higuita a fare il bello e cattivo tempo. Il risultato rimase inchiodato fino ai supplementari, poi salì in cattedra Roger Milla con un’altra magistrale doppietta. Indimenticabile il suo secondo gol, dopo aver rubato palla a Higuita in una delle non rare sortite offensive del portiere-clown. La fuga verso la bandierina che ne seguì, con tanto di balletto, divenne una delle immaginisimbolo del torneo. Lanciato a mille, il Camerun non aveva ancora smesso di stupire. Nei quarti c’era l’Inghilterra: una sfida più da fuori che da dentro ma non per questo da affrontare senza il coraggio di sempre. Milla partì ancora dalla panchina, da dove assistette al vantaggio inglese di David Platt. Poi, una volta entrato, diede un’auten-

L’ULTIMA IMPRESA Rientrato in Patria, più osannato di un vecchio patriarca, Roger vinse il secondo Pallone d’Oro africano della carriera, a 14 anni di distanza dal primo. Si tornò a parlare di lui nel novembre del 1993, quando, accettando l’invito dei vertici governativi, si lanciò nell’ennesima sfida. Il Mondiale di USA ‘94 bussava prepotentemente alle porte e il Camerun aveva ancora bisogno del suo campione. Gli anni passavano, ma l’entusiasmo era quello di sempre. Riprese a giocare con il Tonnerre Yaoundé, la squadra che l’aveva fatto conoscere in Europa, e poi coltivò il suo personalissimo sogno americano. Non fu un torneo memorabile, quella volta, per i Leoni, eliminati subito al primo turno. Ma il nostro Milla piazzò comunque la zampata. 28 giugno 1994, Stanford Stadium di San Francisco. La Russia stravinse 6-1, ma di chi fu l’unico gol camerunense? Il suo, quello del vecchio guerriero che, a 42 anni e 39 giorni, conquistò il record quale calciatore più anziano ad aver giocato e segnato in una partita dei Mondiali. Un primato che resiste tuttora e che chissà fra quanto tempo verrà battuto. Fu l’ultimo ruggito di una storia lunga e appassionante, con protagonista questo irriducibile figlio dell’Africa. Un personaggio autentico che, come quegli eroi delle favole, ci ha voluto insegnare che, in fondo, un leone indomabile vive nascosto nel cuore di ognuno di noi.


calcio2000 37 feb 2014


accadde a... - febbraio 1978

di Simone Quesiti

Ha scritto la storia della Juventus ma poteva essere l’idolo della Beneamata, l’incredibile storia di Platini…

MALEDETTO BLOCCO

S

ogna, il ragazzino Michel. Come tutti quelli che hanno l’età per sognare. Da bambino inventa interminabili partite di calcio nel cortile davanti al bar del nonno, a Jouef. Il locale è pieno di italiani, perché nonno è arrivato in Lorena da Agrate Conturbia, provincia profonda di Novara, in cerca di fortuna. E dall’Italia sono arrivati in tanti, all’epoca, per lavorare nelle miniere della regione. Sogna, il ragazzino Michel. Inventa sfide mondiali che naturalmente vince, perché con un po’ di fantasia si vince sempre. Il suo idolo si chiama Pelé, e in mezzo al cortile Pelé era lui, lui e nessun altro. Per questo, ogni volta che gli capi38 calcio2000 feb 2014

ta di dover firmare un pezzo di carta, si diverte a storpiare il proprio cognome. Il ragazzino Michel si trasforma, si chiama Platini e ogni volta diventa Peleatini. Destino, certo che c’entra il destino. Le origini italiane, la dannata voglia di essere calciatore, di sentirsi calciatore. Il giorno che lo chiamano in municipio, per ritirare la sua prima carta d’identità, alla voce “professione” scrive proprio così: calciatore. L’impiegato comunale gli spiega che quella non è una professione: sbagliava, eccome se sbagliava. L’INCONTRO SEGRETO Michel Platini firma il primo contratto da professionista a Nancy. Seimila

franchi al mese, più o meno un milione e duecentomila lire. Debutta in prima squadra il 3 maggio del 1973, in occasione di Nancy-Nimes, finita 3-1. I primi gol, due, arrivano un paio di settimane dopo, a Lione, dove Platini e compagni s’impongono per 4-2. Il Nancy è una specie di famiglia, a due passi da casa. E per Michel è un divertimento fare il calciatore. Ma diventa mestiere, o arte, giorno dopo giorno. Cresce, Michel Platini. A dispetto di quel fisico che proprio atletico non è, a guardarlo bene. Muscoli pochi, e contro madre natura si può fare il giusto. E allora avanti con quei piedi magici, con la classe che non si insegna e non si im-


para, per sopperire a certe carenze. L’Italia di Michel è quella dei racconti del nonno, delle vacanze estive tra i parenti di Agrate Conturbia. Il futuro è ancora meno di un’ipotesi, fino a che, in quel febbraio 1978, Mazzola e Fraizzoli stipulano un pre-accordo segreto con l’astro nascente del calcio francese… L’ATTIMO FUGGENTE Michel viene portato a casa Fraizzoli, una reggia nella parte più ricca della città milanese. Quadri di Giotto, opere di Raffaello, candelabri d’oro: cornice perfetta di quello che sarebbe potuto passare alla storia come uno dei più grandi colpi di mercato della storia. Fraizzoli chiede una bottiglia di champagne e decide di farla aprire a Michel. Quando il tappo salta, fa un rumore sordo, come un sogno evaporato, un affare mancato, un sogno sfumato. Michel ha ancora un anno di contratto col Nancy e le frontiere sono chiuse. Gli propongono perciò di versare i soldi del contratto nell’attesa della fine dell’embargo, con la promessa di ritornare a Milano non appena alle squadre italiane fosse concesso tesserare gli stranieri. Attraverso l’organizzazione di amichevoli all’estero, l’Inter avrebbe così depositato il denaro in un conto parigino intestato a Platini. Michel visita anche Appiano, dove incontra per la prima volta mister Bersellini e il suo vice Onesti. Sandro, sarà mica un nuovo acquisto, il ragazzo che ho visto? Dichiarerà in seguito Sandro Mazzola. Ragazzi, così non va. Mi portate sempre della gente impresentabile. Questo ha il sedere da sposa e i piedi piatti. Due giorni dopo, l’8 febbraio del 1978, si affrontano Italia e Francia e sono dolori per gli azzurri: Michel batte due volte Zoff su punizione, due capolavori di quelli a cui ormai ha abituato i francesi e a cui abituerà gli italiani. Uno dei due gol viene annullato, l’altro invece vale il 2-2. A casa Mazzola, il telefono non si fa attendere. Bersellini chiama subito: Sandro, quello che ha fatto gol mi sembra di conoscerlo. Anche se ha il sedere da sposa e i piedi piatti, mi pare li sappia usare.

Fenomeno bianconero, poteva diventare una stella dell’Inter

RIMPIANTI Dopo un anno, Fraizzoli, suggestionato da voci su un possibile prolungamento dell’embargo e preoccupato per il grave infortunio alla gamba destra incorso a Platini, scioglie il contratto. E così, dopo aver centrato la vittoria della coppa di Francia con il Nancy, a Platini arriva una chiamata di quelle che non si rifiutano. Michel passa al St.Etienne, vero motore del calcio transalpino. Il titolo arriva nella stagione 1980-81: il pubblico stravede per il ragazzo diventato uomo e poi campione, quello che non ha il fisico, ma non importa perché quando è laggiù, in mezzo a un campo di calcio, non si vede. Platini è una favola vivente, è il brutto anatroccolo che si infila scarpe bullonate e scende in campo per recitare la sua parte di meraviglioso cigno. Improvvisamente, però, nella vita del campione che sognava di essere Pelè, entra l’Italia. Non è più quella dei ricordi di bambino, delle vacanze estive, dei parenti lontani. È la Juventus, la signora del calcio. L’avvocato Agnelli

lo vede, lo stima, lo vuole. L’occasione, ancora una volta, è una sfida tra presente e futuro: a Parigi, il 23 febbraio 1982, Michel Platini gioca contro l’Italia la sua più bella partita con la maglia della nazionale. Vince la Francia, segna Platini, s’innamora Agnelli. Ma Michel è un uomo onesto e per correttezza, prima di firmare con i bianconeri, chiama l’Inter. “Ho dato la mia parola quattro anni fa, se mi volete sono disposto”. La risposta negativa dà il via libera a Boniperti che, a tempo di record, chiude l’operazione. Costa 148 milioni ma l’aspetto economico, per l’Avvocato, è l’ultimo dei pensieri. Lui ha scelto Platini perché Platini corrisponde esattamente alla sua idea di calcio: divertimento, essenza del gioco, naturalezza. Affronta il calcio con la stessa eleganza, la stessa felicità con cui andrebbe affrontata la vita. È già Michel Platini, unico, come tutti i fuoriclasse, diverso, nel suo modo di essere artista del pallone, così naturale da non farlo pesare, a volte nemmeno apparire. calcio2000 39 feb 2014


SPECIALE COPPA CAMPIONI 196O/1961

di Gabriele Porri

Dopo cinque successi di fila, il Real resta a guardare la finalissima di Berna…

LA PRIMA VOLTA DEL BENFICA

I

l 1960-61 è l’anno delle “prime volte” in Coppa Campioni: non vince il Real Madrid e si verifica una sorpresa in finale. È la sesta edizione e vi sono 28 squadre di 27 nazioni, per arrivare agli ottavi si disputano 12 scontri diretti, sono esentati i detentori del Real e poi, per sorteggio, Amburgo, Burnley e Panathinaikos. L’Italia è rappresentata dalla Juventus: inserita nell’urna dell’Europa dell’Est, pesca i bulgari del CDNA, vecchio nome del CSKA Sofia. L’andata è a Torino e l’inizio è piuttosto comico, poiché viene suonato l’inno reale bulgaro, quando in Bulgaria c’è la repubblica da ormai quattordici anni, coi giocatori ospiti che, già alle prime note, rompono le righe. La Juve passa nel primo tempo con Lojodice e Sivori, ma nella ripresa si ferma, sicura che il 2-0 basti al ritorno. Ci sono una serie di assenze importanti a Sofia: mancano Sivori, uno dei pochi che avrebbe potuto risolvere la situazione, Stacchini, Emoli e il portiere Vavassori. La Juve non scende praticamente in campo, però all’intervallo è sotto soltanto di un gol, su punizione di Kovachev. C’è paura negli occhi dei bianconeri e al 57’ realizza ancora Kovachev dopo una duplice deviazione di Lojodice e del portiere Romano. Il 3-0 porta la firma di Panaiotov, il 4-0 del centrattacco Zanev. Non serve a nulla il gol di Nicolè, la Juve ancora una volta esce subito per mano di una squadra non irresistibile. L’eroe di giornata è Nikola Kovachev, difensore-centrocampista che più avanti

sarà allenatore del CSKA. Il resto dei preliminari riservano una sola grossa sorpresa, l’eliminazione dell’Ajax da parte dei norvegesi del Fredrikstad, capaci di resistere in Olanda, 0-0 dopo il 4-3 in casa. Vincono con punteggi netti Barcellona, Stade Reims e Young Boys, passano anche Benfica, Ujpest, Aarhus, Malmö, Rapid Vienna, mentre Hradec Kralove e Karl-Marx-Stadt avanzano per la rinuncia dei rispettivi avversari. Oggi siamo abituati a vedere scontri diretti tra le big soltanto a partire da febbraio-marzo, ma la vecchia Coppa dei Campioni prevedeva sorteggio senza teste di serie. Ecco che agli ottavi accade quel che molti desiderano e alcuni temono: lo scontro tra le due corazzate spagnole. Il Real, che ha finora sempre vinto e il Barcellona,

Tutte le statistiche della Champions 40 calcio2000 su www.soccerdataweb.it feb 2014

antagonista catalano che ha vinto il titolo a parità di punti, per due gol in più di differenza reti proprio sul Real. Non c’è più Herrera, passato all’Inter, la panchina è occupata da Ljubisa Brocic, ex Juve. Lo slavo è il primo nella storia della Coppa a non perdere al Bernabeu, dopo 15 vittorie dei Blancos con 66 gol fatti e solo 8 subiti. Il Real parte fortissimo e trova il gol con Mateos, pareggia Suarez con una punizione dal limite. Gento alla mezzora riporta avanti i madridisti, ma è ancora il galiziano a siglare il 2-2 finale, all’87’ con un rigore contestato. Le polemiche non cessano, anzi aumentano in occasione della gara di ritorno al Camp Nou. Il Real si vede annullare tre gol, attacca, ma va sotto su azione rocambolesca da corner, rete di Verges con


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Semifinali BARCELLONA-AMBURGO 1-0 (0-0)

AMBURGO-BARCELLONA 2-1 (0-0)

Barcellona Antonio Ramallets Foncho Sigfrido Gracia Juan Segarra (Cap.) Enrique Gensana Jesus Garay Ramon Villaverde Evaristo Ladislav Kubala Luis Suarez Zoltán Czibor CT: Enrique Orizaola

Amburgo Horst Schnoor Gerhard Krug Jürgen Kurbjuhn Jürgen Werner Jochenfriz Meinke (Cap.) Peter Wulf Klaus Neisner Horst Dehn Uwe Seeler Klaus Stürmer Gert Dörfel CT: Günther Mählmann

Amburgo Horst Schnoor Gerhard Krug Jürgen Kurbjuhn Jürgen Werner Jochenfriz Meinke (Cap.) Dieter Seeler Klaus Neisner Horst Dehn Uwe Seeler Klaus Stürmer Gert Dörfel CT: Günther Mählmann

Barcellona Antonio Ramallets Foncho Enrique Gensana Sigfrido Gracia Martin Verges Juan Segarra (Cap.) Evaristo Sandor Kocsis Ladislav Kubala Luis Suarez Andres Suco CT: Enrique Orizaola

Mercoledì 12 Aprile 1961, Ore 21 - Barcellona (Stadio “Nou Camp”) Arbitro: Lucien Van Nuffel (Bel) - Spettatori: 90.000 Reti: 46’ Evaristo

Mercoledì 26 aprile 1961, ore 17:30 - AMBURGO (Stadio “Volkspark”) Arbitro: Gérard VERSYP (BEL) - Spettatori: 75.000

BENFICA-RAPID VIENNA 3-0 (2-0)

RAPID VIENNA-BENFICA 1-1 (0-0)

Benfica Alberto Costa Pereira Angelo Fernando Cruz Germano Manuel Francisco Serra José Neto José Augusto Joaquim Santana José Aguas (Cap.) Mario Coluna Domiciano Cavem CT: Bela Guttmann

Rapid Vienna Ludwig Hujer Wilhelm Zaglitsch Walter Glechner, Josef Höltl Gerhard Hanappi (Cap.) Johann Steup Paul Halla Walter Skocik Robert Dienst Rudolf Flögel Josef Bertalan CT: Robert Körner

Mercoledì 26 aprile 1961 - LISBONA (Stadio “da Luz”) Arbitro: Kevin HOWLEY (ENG) - Spettatori: 65.000 Reti: 19’ Coluna, 24’ Aguas, 61’ Cavem

Spareggio

Reti: 58’ Wulf, 68’ Seeler, 90’ Kocsis

Rapid Vienna Ludwig Hujer Wilhelm Zaglitsch Walter Glechner Josef Höltl Gerhard Hanappi (Cap.) Paul Halla Karl Gieszer Walter Skocik Robert Dienst Rudolf Flögel Josef Bertalan CT: Robert Körner

Benfica Alberto Costa Pereira Angelo Fernando Cruz Germano Antonio Saraiva José Neto José Augusto Joaquim Santana José Aguas (Cap.) Mario Coluna Domiciano Cavem CT: Bela Guttmann

Giovedì 4 maggio 1961 - VIENNA (Stadio “Prater”) Arbitro: Reginald LEAFE (ENG) - Spettatori: 63.000 Reti: 66’ Aguas, 71’ Skocik

finale

BARCELLONA-AMBURGO 1-0 (1-0)

BENFICA-BARCELLONA 3-2 (2-1)

Barcellona Antonio Ramallets Foncho Enrique Gensana Sigfrido Gracia Martin Verges Juan Segarra (Cap.) Ladislav Kubala Sandor Kocsis Evaristo Luis Suarez Zoltán Czibor CT: Enrique Orizaola

Benfica Alberto Costa Pereira Mario João Germano Angelo José Neto Fernando Cruz José Augusto Joaquim Santana José Aguas (Cap.) Mario Coluna Domiciano Cavem CT: Bela Guttmann

Amburgo Horst Schnoor Gerhard Krug Jürgen Kurbjuhn Jürgen Werner Jochenfriz Meinke (Cap.) Peter Wulf Klaus Neisner Horst Dehn Uwe Seeler Klaus Stürmer Gert Dörfel CT: Günther Mählmann

Mercoledì 3 maggio 1961, ore 17 - BRUXELLES (Stadio “Heysel”) Arbitro: Tage SØRENSEN (DEN) - Spettatori: 63.000 Reti: 42’ Evaristo

Barcellona Antonio Ramallets (Cap.) Foncho Sigfrido Gracia Martin Verges Enrique Gensana Jesus Garay Ladislav Kubala Sandor Kocsis Evaristo Luis Suarez Zoltán Czibor CT: Enrique Orizaola

(aut.)

Mercoledì 31 maggio 1961, ore 19 - BERNA (Stadio “Wankdorf”) Arbitro: Gottfried DIENST (SUI) - Spettatori: 26.732 Reti: 21’ Kocsis, 31’ Aguas, 32’ Aut. Ramallets, 55’ Coluna, 75’ Czibor

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calcio2000 41 feb 2014


speciale coppa campioni 196O/196O LA PRIMA VOLTA DEL BENFICA COPPA CAMPIONI 1960/61

BENFICA

coppa campioni 1960/61 - benfica Giocatore

Data Nascita

Naz

Ruolo

Presenze

Reti

Alberto COSTA PEREIRA

22.12.1929

POR

Portiere

9

-10

Fernando CRUZ

12.10.1940

POR

Difensore

9

0

José NETO

05.10.1935

POR

Difensore

9

0

ANGELO (Angelo Martins Gaspar)

19.04.1930

POR

Difensore

8

0

GERMANO (Germano de Figueiredo)

23.12.1932

POR

Difensore

8

0

Manuel Francisco SERRA

06.11.1935

POR

Difensore

3

0

MARIO JOÃO (Mario João Sousa Alves)

06.06.1935

POR

Difensore

2

0

Artur SANTOS

27.03.1931

POR

Difensore

1

0

Mario COLUNA

06.08.1935

POR

Centrocampista

9

2

JOSÉ AUGUSTO (José Augusto Pinto de Almeida)

13.04.1937

POR

Centrocampista

9

7

Joaquim SANTANA

22.03.1936

POR

Centrocampista

9

3

Antonio SARAIVA

13.07.1934

POR

Centrocampista

5

0

José AGUAS

09.09.1930

POR

Attaccante

9

11

Domiciano CAVEM

21.12.1932

POR

Attaccante

9

2

Bela GUTTMANN

27.03.1899

HUN

Allenatore

9

classifica cannonieri CLASSIFICA MARCATORI Giocatore José AGUAS (Benfica)

Reti Ogni

Rig.

Rig. Falliti N° %

Max Reti

Partite Giocate N° Minuti Titol.

11

74'

0

0

0,0

2

9

810

9

JOSÉ AUGUSTO (Benfica)

7

116'

1

0

0,0

2

9

810

9

EVARISTO (Barcellona)

6

150'

0

0

0,0

2

10

900

10

Uwe SEELER (Amburgo)

5

126'

0

0

0,0

2

7

630

7

Klaus STÜRMER (Amburgo)

4

158'

0

0

0,0

2

7

630

7

Luis SUAREZ (Barcellona)

4

203'

1

0

0,0

2

9

810

9

complicità di Pachin. Il Real domina, ma è il Barca a raddoppiare di testa con Evaristo, portando la folla in delirio. Al Real non resta che continuare ad attaccare a testa bassa e anche se i minuti scorrono velocemente, le occasioni non mancano. Gento colpisce la traversa e all’85’ è Canario a trasformare in gol da due passi l’assist di Del Sol. In tribuna si trema quando poi Marquitos, l’uomo che segnò il gol della vittoria nella prima edizione, tutto solo manda sopra la traversa. Agli ottavi esce a sorpresa il Reims, eliminato dal Burnley, squadra storica del Lancashire alla sua prima (e tuttora unica) partecipazione in una coppa, in virtù del

suo secondo e ultimo titolo inglese, dopo quello del 1921. Proseguono Benfica (facile sull’Ujpest), Aarhus, Rapid Vienna, Malmö, Hradec Kralove e Amburgo, che spegne i sogni di gloria dello Young Boys. Visto il lotto delle partecipanti, davvero non si capisce chi possa fermare la corsa dei catalani. Nei quarti, mentre Barcellona, Benfica e Rapid la fanno da padrone rispettivamente su Hradec Kralove, Aarhus e Malmö, la sfida più avvincente è Burnley-Amburgo. I tedeschi sono un gruppo rodato fin dalle giovanili e senza nuovi innesti da anni, con un attaccante che ne diverrà il simbolo: Uwe Seeler. Tuttavia a Burnley comincia male,

Tutte le statistiche della Champions 42 calcio2000 su www.soccerdataweb.it feb 2014

una doppietta del piccoletto terribile Pilkington e una rete di James Robson, a segno in precedenza anche col Reims, rendono le cose difficili fino al gol di Dörfel al 75’. La rimonta è così fattibile e prende piede anche grazie ai 75.000 del Volkspark. Segna subito Stürmer, raddoppia a fine tempo Seeler, di testa in tuffo. Il Burnley sembra ormai spacciato, ma trova l’1-2 con un tiro da fuori di Harris. Torna in cattedra Seeler e serve un assist per il 3-1 di Dörfel, poi segna egli stesso il gol-qualificazione. Il sorteggio delle semifinali sembra ancora una volta accoppiare le due più forti rimaste, Barcellona e Amburgo. In effetti la sfida corre sul filo dell’e-



speciale coppa campioni 196O/1961

quilibrio, rotto solo da un gol di Evaristo nello spareggio di Bruxelles. Prima le due squadre avevano vinto di misura, ognuna in casa propria, con il Barcellona che aveva agguantato il playoff a pochi secondi dalla fine. Dall’altra parte, più sbilanciato il confronto tra Benfica e Rapid. Al “Da Luz” vanno a segno Mario Coluna, ex attaccante che il “vate” Bela Guttmann ha arretrato a centrocampo e il bomber e capitano José Aguas, che con i suoi gol ha mandato avanti i lusitani, un po’ a fari spenti, con sorteggi favorevoli. Con Cavem è 3-0, ma il ritorno al Prater finisce malamente, sull’1-1 a 5’ dalla fine al Rapid è negato un rigore e la squadra abbandona il campo. La finale di Berna è così Barcellona-Benfica. Gli spagnoli sono favoritissimi, per la Coppa hanno trascurato il campionato e anche il povero Brocic ci ha rimesso la panchina, affidata al vice Orizaola. L’occasione per i catalani è unica: il grande Kubala e il por-

44 calcio2000 feb 2014

LA PRIMA VOLTA DEL BENFICA

Nonostante la presenza di una stella come Luis Suarez, il Barcellona non si portò a casa la coppa

tiere Ramallets sono vicini al ritiro, Suarez è lì lì per raggiungere Herrera all’Inter. Ma devono fare i conti con la solida squadra messa in piedi da Guttmann. L’inizio è favorevole ai Blaugrana, che passano con Kocsis di testa, ma il povero Ramallets in due minuti compie due errori fatali: al 31’ sbaglia uscita permettendo ad Aguas di segnare a porta vuota poi, forse abbagliato dal sole si scontra con Foncho e fa addirittura autogol! È un duro colpo da cui tutto il Barça fatica a riprendersi e Coluna, a inizio ripresa, segna con un tiro al volo da fuori. I catalani non si danno per vinti e segnano con Czibor quando mancano 15’, l’assedio finale tuttavia si infrange sui pali della porta di Costa Pereira, colpiti da Czibor stesso e da Kubala. Al fischio finale dello svizzero Dienst l’esultanza dei rossi di Lisbona è tanta, finalmente il titolo europeo esce dalla Spagna, pur restando confinato nella penisola iberica.


calcio2000 45 feb 2014


a un passo dalla gloria - pierluigi orlandini

di Alfonso Scinti Roger

Un predestinato, un giocatore che aveva qualcosa di speciale, ecco chi era Orlandini…

L’UOMO CHE FERMÒ IL TEMPO

Q

uella notte di un mercoledì di primavera un ragazzone ventunenne della provincia bergamasca ferma il tempo con una scudisciata di sinistro. Pierluigi “Gigio” Orlandini, cresciuto nell’Atalanta, era subentrato all’84’ a Filippo Inzaghi nella finale del campionato europeo under 21, il 20 aprile del 1994, a Montpellier, quando l’Italia di Cesare Maldini – quella che, schierava, insieme a tanti altri, elementi di sicuro avvenire come Fabio Cannavaro, Christian Panucci e Francesco Toldo – contendeva il titolo continentale al Portogallo, sfidando futuri campioni del valore di Figo, João Pinto e Rui Costa. Il regolamento prevedeva, nel caso di rete realizzata durante i tempi supplementari, che l’incontro avesse termine immediatamente e fu proprio Orlandini, al 7’ del primo tempo, a piazzare da fuori area il “golden gol” e a regalare il secondo trionfo consecutivo alla truppa azzurra. Per questo talentuoso esterno offensivo – per struttura fisica ed impeto nelle sgroppate somigliante ad un altro purosangue della fascia, anche lui “Gigio”, ovvero Gianluigi Lentini – quell’anno la vittoriosa affermazione in terra francese non costituì l’unico momento d’oro. Infatti, dopo aver assaggiato, nel corso del campionato 1990-1991 la massima serie con gli orobici ed aver sommato, con la stagione seguente, 14 presenze in maglia nerazzurra, era maturato in B con il Lecce (29 incontri disputati e 3 reti), per poi rientrare alla casa madre, proprio per il torneo ’93-’94, al termine del quale non solo, come detto, si laurea campione d’Europa, ma riesce

46 calcio2000 feb 2014


Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini e la famiglia Piras per l’invio delle foto

a tingere di rosa anche una stagione ingrigita dalla retrocessione finale. Quella squadra registrava la presenza di Paolo Montero in difesa e di Ricardo Alemão a centrocampo, ma era proprio l’attacco il vero settore forte, almeno sulla carta, con un bomber di razza come Maurizio Ganz, un tornante travolgente come Roberto Rambaudi e tre promettenti prodotti del vivaio locale, Tomas Locatelli, Mimmo Morfeo e Chicco Pisani. Orlandini, comunque, sbaraglia la concorrenza interna e in 23 apparizioni sigla 5 marcature, diventando il vicecapocannoniere atalantino dietro Ganz (9 reti). È questo il momento della svolta, la sua carriera non cambia colore, ma blasone, perché lo acquista l’Inter di Ernesto Pellegrini. All’ombra della “Madunina” Gigio, complice la perdurante assenza di Alessandro Bianchi, conquista un posto da titolare a partire dalla sesta giornata del torneo ’94-’95 e lo conserva fino alla quindicesima, poi deve accontentarsi di tanta panchina e di altre sole 4 apparizioni dall’inizio. Il consuntivo parla di 23 gare disputate e 4 reti, di cui la prima in A contro il Torino, al diciottesimo turno, realizzando un penalty per il 2-1 conclusivo. L’annata viene ricordata dai posteri, più che altro, per il passaggio di consegne dall’uscente Pellegrini a Massimo Moratti al vertice della dirigenza, mentre la prima squadra, agli ordini di Ottavio Bianchi, chiude al sesto posto, a 21 punti dalla Juventus campione d’Italia sotto la guida di Marcello Lippi. Svanita nel giro di un solo anno la speranza dell’Inter costellata di meteore come Dennis Bergkamp, Wim Jonk e Darko Pancev, si riparte col britannico Roy Hodgson in panca e l’aggiunta di un fantastico duo di esterni, il brasiliano Roberto Carlos e, soprattutto, l’argentino Javier Zanetti – arrivato come mero complemento all’ingaggio del più celebrato connazionale Sebastian Rambert, subito eclissatosi – con l’aggiunta di un pizzico di autarchia in attacco, grazie all’acquisto di Ganz. La ventata di aria nuova, comunque, non produce nessun miglioramento, anzi i nerazzurri chiudono perfino settimi e Orlandini ra-

Orlandini, nel corso della sua carriera, ha militato in tanti club, tra cui anche il Venezia

cimola in tutto giusto 7 apparizioni. Ce n’è d’avanzo per cambiare aria, Gigio tenta il rilancio a Verona (1996-1997) e, anche stavolta, come a Bergamo, vive un’ottima stagione, forse la migliore, a dispetto del declassamento degli scaligeri tra i cadetti. Con 30 presenze e 6 reti merita un’altra chance con una grande e si guadagna un posto in organico con il Parma di Carletto Ancelotti, fresco vicecampione d’Italia a due sole lunghezze dalla solita Juve del solito Lippi. Nello squadrone ducale – arricchito dalla classe di Gianluigi Buffon, Fabio Cannavaro e Lilian Thuram nelle retrovie, di Stefano Fiore sulla mediana e di Enrico Chiesa ed Hernan Crespo in avanti – ad Orlandini non restano che scampoli di partite, per un totale di sole 13 incontri. Né gli va meglio l’anno dopo, quando le occasioni in cui calca il rettangolo verde si riducono ad 11, sempre senza l’ombra di un solo gol. Eppure, il destino sembra riservargli una seconda prova d’appello, consentendogli di ritornare alla “Scala del calcio”, addirittura con il Milan neo-tricolore di Alberto Zaccheroni, al

fianco di Oliver Bierhoff, George Weah ed Andriy Shevchenko. Ciononostante, prima del mercato invernale di riparazione gioca 2 gare, una sola nell’undici base, in un rotondo 3-0 a S. Siro contro il malcapitato Venezia, proprio la squadra nella quale, con Ganz, milita per la seconda metà del campionato, disputando in totale 10 partite con il contorno di una segnatura. Non basta per evitare che anche quest’altra avventura si concluda con una nuova retrocessione. Le ultime due stagioni nella massima divisione, a Brescia e di nuovo a Bergamo (con 8 partite in due anni), rappresentano l’ultimo, malinconico capitolo di una storia personale che, quella notte di primavera del ’94 sembrava destinata a ben altro epilogo, che non quello della chiusura tra i dilettanti in Puglia. Il giovanotto di belle speranze che aveva deciso la finale di Montpellier, il calciatore che aveva fermato il tempo con una sua imparabile staffilata di sinistro non è riuscito, poi, a parare il colpo mancino del destino, che si è preso la sua rivincita fermando, in pratica, la carriera di Pierluigi a quella sera. Le occasioni di Milano (sponda prima interista e quindi milanista) e Parma sono la conferma, al rovescio, di quello che Orlandini poteva essere e non è stato, la prova in negativo di una speranza che, al tirar delle somme, è andata delusa. Il possente trequartista che aveva fatto innamorare di sé la dirigenza interista, convinta di aver intravisto in lui uno dei più promettenti interpreti del ruolo, non ha saputo esprimersi all’altezza delle attese riposte in lui dopo l’exploit con l’under 21. Per lui il tempo si è fermato quella notte, tra le grida di gioia per un trionfo che, con il passare degli anni, si è rivelato l’unica rondine di quella struggente primavera.

orlandini nelle figurine panini

calcio2000 47 feb 2014


LE CONFESSIONI DEL CAMPIONE - paolo poggi

di Antonello Schiavello

Ci sono giocatori che sono nati per restare unici, come Paolo Poggi, stella di un calcio romantico…

LA FACCIA PULITA (D’ANGELO) DEL CALCIO

“I

l campanile di Piazza San Marco si affaccia imponente in mezzo alla laguna veneziana. Lo sguardo di un tramonto si posa sulle calli e sui canali dove silenziose le gondole amoreggiano con il mare dell’alto adriatico, regalando a questa meravigliosa città un’aria dolcissima, soffice e magica, trasparente e fragile come un vetro di Murano ma forte e spessa come la genuinità dei sogni scolpiti in un sospiro”. Sant’Elena è un quartiere situato nel centro storico della splendida città veneta ed è qui, in questa culla invidiataci dal mondo che il 16 febbraio 1971 è nato Paolo Poggi. Già in tenera età, com’è naturale in quasi tutti i bambini,

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riversa la propria attenzione su un pallone, divenendone fin da subito inseparabile amico. Sui masegni (le pietre in trachite di origine vulcanica che pavimentano calli e campi di Venezia) o su spiccioli di verde presenti in città, Paolino prende confidenza sempre più con il suo amico sferico accarezzandolo educatamente con il piedino sinistro. Cresciuto, entra nel settore giovanile della squadra della sua città. Debutta con la maglia arancioneroverde in prima squadra nel corso del campionato 1989-90 (C1 girone A) sotto la guida di Antonio Pasinato prima e Giuseppe Sabadini poi, collezionando 10 presenze coronate da 2 reti. L’anno successivo segnando 6 gol in 25 presenze contribu-

isce alla promozione del suo Venezia in Serie B , anche se questo traguardo verrà conseguito grazie allo spareggio di Cesena contro il Como (2-1 per i lagunari). L’allenatore di quella trionfale cavalcata è Alberto Zaccheroni. I due si ritroveranno più avanti nell’Udinese, e saranno altre belle pagine di calcio e storia da raccontare. Il battesimo con la serie cadetta avviene il primo settembre del 1991 nella partita Lecce-Venezia. Poggi scese in campo con la maglia numero 7 ma è un’altra, la maglia numero 11, che lo contraddistinguerà in quasi tutta la carriera. Una settimana dopo contro il Messina realizza il primo dei 7 gol totali realizzati nelle 31 presenze in campionato. Sul ventenne Poggi si


moltiplicano sguardi ed attenzioni. Il Torino, muovendosi in anticipo e sborsando 5 miliardi di lire, si aggiudica la corsa e il cartellino ad aggiudicarsi le prestazioni sportive future di quel biondino dalla faccia d’angelo, anticipando sul tempo altre società interessate all’attaccante veneziano. L’esordio in Serie A è datato 22 novembre 1992, la partita: Torino-Juventus. È il 36° del secondo tempo. La Juventus ha pareggiato con Vialli da pochi minuti il gol del vantaggio granata realizzato da Sordo. Mondonico, il tecnico di quel Torino, chiama il ragazzo di Sant’Elena seduto in panchina. Lo fa scaldare e poco dopo gli regala il battesimo con il calcio che conta facendolo subentrare al posto di Silenzi. Una sfortunata autorete di Venturin due minuti oltre il 90° regalerà il successo ai bianconeri di Trapattoni “sporcando” la gioia del ragazzo di Venezia per il debutto ma avrà modo di “vendicarsi” sportivamente su altre Juventus che incontrerà in futuro. Spicciole o frammentate comparse in campo staccano i giorni dal calendario e così si arriva al 31 gennaio, il giorno del primo gol in Serie A. E che gol! 67° minuto di gioco di Ancona-Torino, Poggi scaglia un missile di sinistro da oltre 30 metri che si infila all’incrocio dei pali alla destra del portiere Nista, regalando il successo alla squadra granata. Un altro suo gol contro la Sampdoria a Marassi il 7 marzo del 1993 consegna ai granata i due punti e il terzo posto (momentaneo) in classifica. Due giorni dopo a Torino va in scena il primo atto della semifinale di coppa Italia. Il derby. Al 49° Roby Baggio su rigore porta in vantaggio i bianconeri ma 19 minuti dopo il suo ingresso in campo in sostituzione del difensore Sergio (60°), Poggi, sfruttando un preciso assist di testa di Casagrande, mette alle spalle del portiere Peruzzi il pallone dell’1-1 con una splendida volèe di sinistro. La “vendetta”personale sportiva era giunta, anche se il risultato di 1-1 ancora una volta, ipoteticamente poteva star meglio alla Juventus in quanto “ospite” in casa Toro. Il 31 marzo 1993 si disputa il derby di ritorno. Il primo tempo si

Poggi ha guidato l’attacco friulano per anni, qui è in compagnia di Muzzi

chiude con la Juventus avanti per 1-0. La ripresa vede Poggi in campo al posto di Sergio. Al ventiduenne con la maglia numero 16 bastano 7 minuti per ripagare la fiducia dell’allenatore Mondonico. Ricevuto un lancio dalla trequarti destra, Poggi di prima intenzione, coordinandosi splendidamente sferra un violento sinistro che infila Peruzzi, proprio davanti alla Maratona, il tempio del tifo granata. Molti anni dopo sia Totti in Sampdoria-Roma che Di Natale in Udinese-Chievo emuleranno quel gesto, lo stesso gol che per tecnica, coordinazio-

ne e precisione ricorderà ai tifosi del Torino quello segnato da Paolino Poggi di Venezia in quel derby del 1993. Ravanelli al 62° e un minuto dopo Pato Aguilera, fisseranno il risultato finale sul 2-2. Il Toro è in finale. La doppia finale regala tantissime emozioni e gol a catinelle (10 in totale) sorridendo alla squadra piemontese. Pur non giocando nemmeno un minuto della duplice finale contro la Roma di Boskov, Poggi entra di diritto tra i protagonisti di quello storico traguardo, la conquista della quinta Coppa Italia da parte del Club… calcio2000 49 feb 2014


LE CONFESSIONI DEL CAMPIONE - paolo poggi

la prima (ed unica) per lui. Una presenza in più rispetto all’anno prima (2221) e gli stessi gol (3) archiviano la stagione 1993-94 la seconda e ultima con la maglia granata del Torino. In estate Poggi viene ceduto in comproprietà all’Udinese, squadra appena retrocessa in Serie B. Il Club friulano verserà 1 miliardo e mezzo di lire per aggiudicarsi la metà del cartellino del giocatore. Nel capoluogo friulano Poggi trova la dimensione giusta per crescere ulteriormente come uomo ed affermarsi come calciatore. Instaura un bellissimo rapporto con la gente e la città amandola e facendosi amare senza alcuna riserva. Il primo anno a Udine (94-95) è già da ricordare: 36 presenze, 11 gol e la pronta risalita in Serie A. In estate arrivano a Udine due personaggi che contribuiranno a scrivere pagine importanti della storia dell’Udinese: Alberto Zaccheroni e Oliver Bierhoff. Nel campionato 9596 le zebrette si classificano al 10° posto centrando l’obiettivo prefissato all’inizio del torneo, una tranquilla salvezza. Bierhoff (17 gol) e Poggi (9) sono gli alfieri del duo d’attacco della squadra. Ma nella mente del tecnico di Cesenatico qualcosa incomincia a frullare quando, l’estate dopo arriva a Udine, ampiamente sponsorizzato da Zico, il brasiliano Marcio Amoroso, attaccante di mestiere. È il 1997. Nasce il tridente Poggi, Amoroso e Bierhoff, a Udine molto più famoso degli intramontabili “Gre-No-Li” di milanista memoria o del” Ma-Gi-Ca” napoletano. Una batteria d’attacco formidabile che a fine torneo totalizzerà 39 gol sui 53 complessivi della squadra. Un gioco spettacolare, per certi versi rivoluzionario e importanti vittorie spingono l’Udinese ad un onorevole 5° posto nella classifica finale. E quinto posto vuol dire…Europa! Mai l’Udinese in 100 anni di storia aveva centrato un traguardo tanto prestigioso. Il 16 settembre 1997 in Polonia, avviene il battesimo per l’Udinese in Coppa Uefa. Il Widzew Lodz vince 1-0 ma pesa un netto rigore non concesso all’Udinese. 15 giorni dopo a Udine rientrerà Poggi assente in

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FIGU INTROVABILE Nel 1997-1998 esce un mini album da completare con le figu presenti con le gomme da masticare. Una volta completato il mini album, se spedito alla casa Dolber s.p.a., si può avere in premio addirittura la maglia del campione preferito autografata. Ottima idea ma…. grandissimo problema. Le figurine di Paolo Poggi e di Sergio Volpi, allora giocatore del Bari, sono introvabili! Si scatena un putiferio incredibile, addirittura si muove “Mi manda Lubrano”. Alla fine si scopre che la tiratura delle due figurine era stata limitatissima. Un altro segno dell’unicità di Paolo Poggi…

Polonia, e la musica sarà diversa. Bierhoff dopo soli 2 minuti fa esplodere il “Friuli”, passano 5 minuti e Paolino, all’esordio in una competizione europea, trafigge nuovamente il portiere polacco. Chiuderà definitivamente i conti relativi alla qualificazione Locatelli con uno splendido gol di tacco all’89°. Dall’urna di Ginevra esce il nome dell’Ajax... La gara di andata disputatasi all’Amsterdam Arena malgrado l’enorme differenza di blasone, importanza ed esperienza in campo europeo, l’Udinese la gioca a viso aperto e limita i danni uscendone sconfitta per 1-0. Così come contro il Widzew, anche questa qualificazione si deciderà tra le mura amiche il 4 novembre 1997. È una serata fredda, umida ma le mani sono caldissime tanti sono gli applausi da riversare sul campo alla Zac-Band che produce un gioco veloce, spettacolare e carica a testa bassa. 26° minuto. Un retropassaggio di Oliseh al proprio portiere viene intercettato da Poggi che anticipandone l’uscita disperata, lo supera con un tocco felpato realizzando il gol dell’1-0. Delirio puro in campo e sugli spalti. Il sogno di Paolo era diventando realtà. Sette minuti più tardi toccherà a Bierhoff mettere il pallone alle spalle di Van Der Sar e a qualificare mo-m-e-n-t-a-n-e-a-m-e-n-t-e l’Udinese al turno successivo. Cappioli sbaglierà il possibile 3-0 che avrebbe chiuso il discorso invece…. a 10° dalla fine, Arveladze con il suo gol spegnerà, lui si definitivamente, tutti i sogni che si stavano concretizzando in quella magica

atmosfera novembrina. La gara contro l’Ajax sarà il ricordo più bello ma allo stesso tempo, più brutto del Paolo Poggi calciatore. Finita l’avventura europea la squadra friulana si rituffa anima e cuore nel campionato inanellando grandi prestazioni che la porteranno alla fine dello stesso ad uno strepitoso terzo posto nella classifica finale. È il miglior piazzamento conseguito

Un ricordo di Ajax-Udinese del nostro collaboratore Antonello, ovviamente a firma Paolo Poggi


LA FACCIA PULITA (D’ANGELO) DEL CALCIO

dall’Udinese in Serie A dopo il secondo posto ottenuto nel 1954-55... Poggi timbrerà il cartellino dei marcatori 10 volte in 31 presenze. Alla fine di quell’annata straordinaria Zaccheroni e Oliver Bierhoff salutano la compagnia e si trasferiscono a Milano sponda rossonera. Poggi in un colpo solo rimane “orfano” del maestro e del compagno che assieme ad Amoroso formavano il tridente delle meraviglie. Al posto del tecnico di Cesenatico viene chiamato Francesco Guidolin che ha una visione ben diversa di come impostare le sue squadre in campo rispetto a Zaccheroni. Poggi comunque è e rimane un elemento imprescindibile anche per l’attuale allenatore dell’Udinese. 29 presenze e 2 gol in campionato più la rete pesantissima nello spareggio (nella gara di ritorno a Torino il 31 maggio 1999) valido per la qualificazione in coppa Uefa realizzato… alla Juventus (ora il debutto in Serie A era stato abbondantemente “vendicato”). Con la fascia di capitano al braccio e sotto la guida del nuovo allenatore Gigi De Canio, Poggi comincia la sua sesta ed ultima avventura in bianconero. 14 presenze, 3 gol e poi l’addio alla maglia numero 11 dell’Udinese. Il 23 gennaio Paolo Poggi è seduto in panchina in quella che sarà la sua ultima apparizione allo stadio Friuli. In campo si danno battaglia la sua Udinese e il suo Venezia. Ma nemmeno sul risultato di 4-2 a favore della squadra di casa (il quinto gol sarà realizzato al 90°), De Canio lo mise in campo. Il giorno dopo, il paesaggio che si presentava agli occhi di Poggi era completamente diverso. Le alpi carniche avevano lasciato il posto ai 7 colli di Roma. Nella sessione di mercato invernale la Roma aveva acquistato il cartellino del “giustiziere” della Juventus per 5 miliardi più la comproprietà di Lanzaro, ed era pronta per lui la maglia numero 20 e un contratto quadriennale. Il debutto in giallorosso avviene il 30 gennaio a San Siro contro l’Inter. Poggi subentra all’84° al posto di Montella. Collezionerà altre 10 presenze con i capitolini ma quasi sempre partendo dalla

panchina. Nel gennaio 2001 dopo 6 mesi senza mai praticamente mettere piede sul terreno di gioco perchè chiuso da campioni quali Batistuta, Montella, Totti, Del Vecchio, la Roma lo cede in prestito (fino a giugno) al Bari anche se, il Treviso aveva già pronto un quadriennale pronto da fargli firmare. Con i pugliesi mette insieme 17 presenze e 4 reti di cui una decisiva al 90° con un perfetto colpo di testa, nel derby contro il Lecce il 31 marzo 2001. Ritorno a Roma, cessione al Parma e prestito al Piacenza. Ed è proprio con la maglia del Piacenza che Poggi il 2 dicembre 2001 realizza il gol più veloce della storia del calcio italiano. Stadio Artemio Franchi di Firenze. Il direttore di gara, il Sig. Cassarà di Palermo mette alla bocca il fischietto per far cominciare la partita. Il calcio d’inizio spetta alla Fiorentina. 1-2-3-4-5-6-7-8 secondi e gol del Piacenza! L’allenatore di quel Piacenza, Walter Novellino doveva ancora sedersi in panchina quando l’ex barese con uno scatto fulmineo brucia sul tempo i difensori viola e l’uscita del portiere Mareggini depositando il pallone in fondo al sacco.. Ne segnerà altri 2 nel corso della sua permanenza in quel di Piacenza entrambi nella stessa partita il 19 dicembre a…Venezia. In due minuti, 81° e 83° ribalta il risultato a favore della sua squadra portandola dal parziale 1-2 al finale 3-2. Il cuore avrà pianto ma l’onestà e la professionalità che da sempre hanno contraddistinto Poggi non erano state scalfite. A fine torneo rientra al Parma dove svolge la preparazione estiva. Lo vogliono il Piacenza, il Chievo, il Modena e addirittura al Guigamp in Francia, ma ecco il colpo di scena dettato dal cuore. Il “suo” Venezia è allo sbando. Il presidente Zamparini si era portato via tutto lasciando il glorioso Club lagunare in balia delle onde del suo stesso mare. Poggi parla con Sacchi il direttore tecnico dei parmensi e spiega le sue intenzioni di far ritorno al Club che per primo l’ha lanciato nel calcio professionistico e che ora si barcamenava nelle acque fredde della Serie B. Accettando una forte riduzione

dell’ingaggio, scendendo di categoria e rinunciando alle offerte che via via erano giunte per il suo cartellino, Poggi ottiene il benestare dal Parma e ritorna al suo primo vero amore, il Venezia. Con 36 presenze giocate sempre col cuore in mano e 8 gol spinge il vecchio leone verso una salvezza insperata alla vigilia. L’Ancona lo chiama nell’estate 2003 proponendogli un contratto biennale. Ma con l’Ancona Poggi disputerà solamente 9 partite prima di ritornare nuovamente al Venezia. Nel 2005 altra città sulla strada di Poggi, il Mantova in serie C. Nella città del Virgilio dantesco Paolo Poggi si ferma 3 anni mettendo assieme 65 presenze 17 gol , una promozione in Serie B e, sfiorando addirittura la Serie A nella doppia finale playoff dell’8 e 11 giugno 2006 contro il Torino. Gli ultimi anni di carriera terminano come è giusto che sia nella sua città. 91 partite e 15 reti in 3 campionati di Serie C con il Venezia. Appese le scarpette al chiodo, fa ritorno nel 2009 a Mantova in veste di dirigente voluto dal presidente biancorosso Lori ma, alla fine di quell’annata, la retrocessione prima e il fallimento societario poi fecero calare il sipario sulla breve carriera di dirigente del ragazzo di Venezia. Deluso da questa parentesi negativa, Poggi silenziosamente si discosta dal mondo del calcio e con la famiglia, apre un Bed and Breakfast nel cuore di Venezia. Ma l’amore per quel pallone nato da bambino e cresciuto nel corso degli anni non è facile da dimenticare. Così, assieme a Paolo Morangon decidono di mettere su una scuola calcio, la Paolo e Nik Football Camp, al lido di Venezia, regalando a tanti bambini l’opportunità di avvicinarsi al mondo del calcio seguendo e non distruggendo i loro piccoli sogni. Il successo in questo campo ha fatto sì che l’Udinese lo richiamasse al suo cascinale e gli affidasse il ruolo di coordinatore generale dell’area tecnica di Udinese Academy. E forse un giorno, quel bambino con la faccia d’angelo che giocava sui masegni fra le calli e i canali, si accorgerà di essere diventato….un grande!

calcio2000 51 feb 2014


dove sono finiti?- Gigi Piras

di Paolo Camedda

Il ricordo di una vera bandiera del calcio sardo…

l’erede di ‘Rombo di Tuono’

t

anti gol pesanti fra Serie A e Serie B e tutti con la maglia del Cagliari. Nato il 22 ottobre 1954, Gigi Piras è stato una bandiera del club sardo. “Ho iniziato a giocare a calcio nel mio paese a 12 anni, nell’Oratorio Don Orione. – racconta a Calcio2000 – A 14 anni mi prese il Selargius, poi Mario Tiddia, che ai tempi allenava la Primavera rossoblù, mi vide giocare e mi fece prendere dal Cagliari all’età di 16 anni”. È il 1971, e così ha inizio la lunga avventura di Piras con gli isolani. “Oltre a me in quella squadra c’erano giocatori che poi avrebbero fatto carriera, come il portiere Copparoni. – dice – Quegli anni furono determinanti per la mia crescita, e Tiddia per me fu un maestro oltre che un allenatore. La cosa più bella era poter affrontare il giovedì sera in partitella i grandi campioni della Prima squadra, che nel 1970 avevano vinto lo Scudetto. Per noi ragazzini era un onore giocare con gente del calibro di Riva, Domenghini, Nené, Albertosi, Tomasini…”. Le qualità di Piras emersero presto, e il suo talento venne premiato “A 17 anni, con Edmondo Fabbri in panchina, feci per la prima volta la preparazione con la Prima Squadra, l’anno seguente, il 28 aprile 1974, esordii nella massima serie. Giocavamo al Sant’Elia contro la Fiorentina, – ricorda – allora non esisteva la panchina lunga, e il mister Chiappella decise di portarmi in panchina assie-

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me al portiere di riserva Copparoni e a Dessì. Con il risultato inchiodato sullo 0-0, mi chiamò per sostituire Nenè. Dopo qualche minuto, ci fu un calcio d’angolo per il Cagliari. Riva andò sul primo palo, attirando su di sé 4 avversari, ma la palla arrivò sul secondo, dove ero posizionato io, che lasciato libero, segnai il gol della vittoria. Fu una gioia immensa, perché grazie a quella rete il Cagliari ottenne

la salvezza matematica con 3 giornate d’anticipo”. Dopo tre anni in A, nel 1975-76 il Cagliari incappò in un’annata storta e retrocesse in B appena 6 anni dopo lo Scudetto. “Successe che a gennaio, contro il Milan, a San Siro, si fece male Riva: distacco del tendine dell’adduttore della gamba destra. Saltò tutto il girone di ritorno. – spiega Piras - In panchina a Suarez subentrò Tiddia, che decise di giocarsela con 6 sardi in formazione e 6 elementi provenienti dalla Primavera. Alla fine andammo in Serie B, io comunque riuscii a segnare 4 gol, di cui 3 in una sola partita contro la Sampdoria. Avevo 21 anni, e penso che se fosse successo oggi avrei avuto una carriera assicurata…”. Riva non tornò più in campo, e la fine della carriera del mitico ‘Rombo di Tuono’ coincise con l’esplosione dell’altro Gigi, Piras. “Riva era un leader. – sottolinea il bomber di Sleargius – Giocare con lui era come partire in vantaggio, lo capivi dalla paura che leggevi negli occhi degli avversari. A me ha insegnato moltissimo”. Piras eredita sulle spalle il numero 11 del bomber di Leggiuno, ma non risente della grande responsabilità che gli viene affidata: “Non ci ho mai pensato. – dice – Nella mia vita sono stato sempre abituato a prendermi delle responsabilità. Nella mia famiglia ero il primo di 10 figli, e spesso dovevo badare io ai miei fratelli”. In Serie B Piras e Virdis diventarono un po’ ‘i gemelli del gol’ della Sardegna. “Ho potuto giocare da titolare


Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini e la famiglia Piras per l’invio delle foto

Le Vecchie Glorie del Cagliari Valeri, Bellini, Gigi Piras e Roccotelli posano con un tifoso

con continuità – ricorda Piras – Con Pietro segnavamo tanto, nel 1976-77 facemmo 38 gol in 2, solo la sfortuna ci impedì di passare agli spareggi. Nel 1978-79, senza Virdis, ceduto alla Juventus, ci piazzammo al 2° posto dopo un bel campionato e ritornammo in Serie A assieme all’Udinese”. Forte fisicamente e dotato di grande personalità, Piras riuscì a confermarsi anche nella massima serie. “Per me gli anni dal 1979 al 1983 furono quelli della consacrazione. – racconta – Giocai con attaccanti del calibro di Selvaggi, campione del Mondo a Spagna 1982, Virdis, tornato in Sardegna, e Briaschi, che poi sarebbe andato alla Juventus. I primi due anni feci 4 gol, ma la cosa più importante fu il 6° posto conquistato nel 1980-81, davvero un grande risultato per noi. Poi per due anni di seguito arrivai a quota 9 reti. Purtroppo nel 1982-83, la dirigenza decise di vendere giocatori importanti. Restammo soltanto io e Quagliozzi, e dopo un’annata sfortunata in cui dilapidammo un cospicuo vantaggio, retrocedemmo di nuovo in

Serie B”. Per il Cagliari fu l’inizio dell’inferno, con la squadra chiamata a lottare per non retrocedere in C, e Piras fu corteggiato da club importanti: “Mi volevano in tanti, – rivela la punta – avrei avuto milioni in più ma per me non c’era nulla di più importante dell’affetto e dell’amore dei tifosi sardi e così fino all’ultimo restai in rossoblù. Ancora oggi, quando giriamo la Sardegna con le Vecchie Glorie del Cagliari, è sempre un bagno di folla, e il giorno del mio compleanno mi sono commosso a vedere sulla bacheca di Facebook 1000 messaggi di auguri”.

Nel 1987 Piras giocò un brutto scherzo alla Juve: segnò infatti a Torino il gol qualificazione che portò i sardi alle semifinali di Coppa Italia. A fine anno però i rossoblù retrocessero in C e finì il lungo binomio, con il numero 11 che spese gli ultimi anni di carriera con il La Palma. “Oggi, assieme a due dei mie fratelli gestisco un’azienda a Settimo San Pietro. – racconta Piras – Fare l’allenatore mi ha comunque permesso di restare nel calcio, il mio mondo, anche se negli ultimi anni la crisi ha colpito fortemente il calcio sardo e i club sono in difficoltà”. In tutto sono stati 87 i gol di Piras col Cagliari in campionato, di cui 31 in Serie A. “Il più bello? Oltre al gol all’esordio, sicuramente quello che ho segnato a Zoff nel 1983. – dichiara – Sono stato infatti l’ultimo giocatore a batterlo prima che si ritirasse. I bianconeri rimontarono con Platini e Boniek, ma io mi tolsi quella soddisfazione”. Sugli avversari affrontati, Piras non ha dubbi: “Quello che mi metteva più in difficoltà era Collovati, perché si staccava sempre e non mi permetteva di giocare con il fisico e di attaccarlo”. A ricordare la sua avventura con il Cagliari ci pensano le figurine Panini, che lo immortalano da giovane promessa o con i baffi in età più avanzata: “Da bambino facevo la collezione, – rivela Piras – di recente poi hanno pubblicato la mia carriera sull’album, e alcuni bambini mi hanno chiesto l’autografo. Non nego che questo sia stato per me motivo di orgoglio e mi abbia fatto grande piacere”.

piras nelle figurine panini

calcio2000 53 feb 2014


top 11 - Galles

di Antonio Vespasiano

Piccolo Paese ma grande determinazione, in perfetto stile gallese…

L’IMPETO DEI DRAGONI

A

nche la federazione gallese, istituita nel lontanissimo 1876 (terza in assoluto dopo Inghilterra e Scozia), come le altre federazioni britanniche ha il posto nell’International Football Association Board, l’organo che dal 1886 ad oggi ha il compito di far rispettare ed eventualmente proporre modifiche al regolamento del gioco del calcio. E questo suo ruolo è senza dubbio l’impronta più importante lasciata dal Galles nella storia di questo sport. Ci sono voluti infatti ben 82 anni prima di vedere i Dragoni protagonisti sulle scene internazionali. Accadde ai Mondiali del 1958 quando il periodo d’oro del calcio gallese, improntato su uno stile di gioco oltremodo “british”, senza estro né romanticismo, ma più rude e proletario, partorì una discreta nidiata di stelle (da Jack Kelsey a Ronnie Burgess, da Ivor Allchurch, a Cliff Jones) tra cui quella più brillante di tutte di John Charles. Il piccolo Galles s’arrese solo ai quarti contro il Brasile di Pelé futuro campione. Dopo allora però il buio. Mai più un acuto da parte del Galles, che paga non solo le ridotte dimensioni del bacino d’utenza da cui attingere, ma anche la spietata concorrenza del rugby, vero sport nazionale. Da segnalare la bella cavalcata agli Europei del 1976 interrotta ai quarti di finale ancora una volta dai futuri campioni della manifestazione, gli jugoslavi. Il peso specifico del calcio gallese lo si può registrare prendendo atto dei do-

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dici trofei (di cui cinque in condivisione) del British Home Championship, lo storico Torneo Interbritannico che dal 1884 mette di fronte le “Home Nations”. La maggior parte di questi successi il Galles li ha ottenuti prima che fossero istituiti i Mondiali di calcio e durante il periodo di esilio dalla FIFA delle quattro federazioni britanniche (esilio costato la partecipazione alle prime tre edizioni della Coppa Rimet), senza il quale, probabilmente, anche i gallesi avrebbero potuto dire la loro in ambito internazionale. Altro storico deficit del calcio gallese è stato l’assenza di un proprio Campionato nazionale (istituito solo dalla stagione ’92-93), campionato al quale non hanno aderito - tra le altre - squadre come il Cardiff City (unico club non inglese ad aver vinto una FA Cup nel 1927), lo Swansea (che a febbraio di quest’anno ha vinto la Coppa di Lega) e il Wrexham club tra i principali promotori della rivoluzionaria scelta di ridurre a 11 il numero di giocatori per squadra. Oggi con Bale e Ramsey c’è una sottile speranza per il Galles di rinverdire i fasti d’un tempo. LA FORMAZIONE DI SEMPRE DIFENSORI D’ALTRI TEMPI È NEVILLE SOUTHALL il miglior portiere gallese di sempre. Indiscusso titolare per oltre un decennio tanto nell’Everton, club di cui è diventato una delle icone intramontabili, vincendo due Campionati, due FA Cup e la storica Coppa delle Coppe del 1985


(anno in cui fu nominato miglior giocatore del campionato inglese), con tanto di record assoluto di presenze, quanto nella Nazionale i cui pali ha difeso 93 volte (primatista assoluto). Nonostante una discreta presenza fisica, era reattivo, concentrato, fortissimo nell’uno contro uno. Come secondo “il gatto con le zampe magnetiche”, era questo il nomignolo di JACK KELSEY, uno dei grandi portieri della storia dell’Arsenal, unico club di cui ha vestito la maglia, vincendo il Campionato nel ‘52-53. Fu incluso nella rosa del London XI squadra allestita ad hoc per giocare la Coppa delle Fiere del ‘55-58 arrivando per giunta in finale ma venendo sconfitta dal Barcellona. Portiere titolare ai Mondiali del ’58, dove le sue parate tennero in gioco i gallesi fino all’1-0 di Pelè. In totale collezionò 41 presenze in Nazionale, ma avrebbero potuto essere molte di più se un infortunio non lo avesse costretto al ritiro. La maglia numero due spetta ad ALF SHERWOOD uno dei più grandi giocatori del Cardiff City. Originariamente era un’ala salvo poi affermarsi come terzino destro grazie a ritmo ed un ottimo senso di posizione. Lo chiamavano “il re della scivolata” e a detta di Stanley Matthews era l’avversario più tosto contro cui avesse giocato. Al centro un altro pezzo da novanta dell’Everton e della Nazionale, KEVIN RATCLIFFE. Nominato capitano ad appena 23 anni è stato uno dei pilastri dei Toffees con i quali ha vinto due Campionati, una Coppa d’Inghilterra ma soprattutto la Coppa delle Coppe del 1985. Difensore coriaceo ma soprattutto velocissimo. Col Galles ha collezionato 59 presenze, molte delle quali da capitano, sfiorando la qualificazione ai Mondiali del 1986. Autorevole difensore centrale, MIKE ENGLAND è stato una delle leggende del Tottenham club nel quale ha giocato oltre 300 partite tra gli anni ’60 e ’70, vincendo la Coppa d’Inghilterra del ’67, la Coppa Uefa del ’72 e perdendo in finale col Feyenoord quella del ’74. Difensore sempre

Il Galles non ha vinto nulla di importante ma è sempre stato una nazionale molto competitiva

concentrato, calmo ed imperturbabile. Vestì la maglia della Nazionale 44 volte. Laterale sinistro JOEY JONES uno dei calciatori più estroversi e “colorati” mai visto su un campo di calcio (lo chiamavano “The Clown Prince of Welsh Football”), qualità che sapeva riversare nel suo stile di gioco. Protagonista dei successi del Liverpool targato Bob Paisley, soprattutto della Coppa dei Campioni del ’77 contro il Borussia M’Gladbach. 72 le sue presenze in Nazionale. In riserva a destra PETER RODRIGUES storico capitano del Southampton nella finale di FA Cup del ’76, vinta contro il Manchester United a cinque minuti dal termine. Terzino di tempra, avventuroso ma consapevole dei suoi limiti. Col Galles raccolse 40 presenze. Impossibile non citare poi FRED KEENOR, autentica leggenda del calcio gallese. Eroe di guerra, ferito due volte sulla Somme, fu il capitano del Cardiff City nella storica vittoria della FA Cup del ’27. Prima e unica volta in cui un club non inglese se l’aggiudicava. Leadership innata, tenacia, determinazione e tanta tanta corsa. In Nazionale fu l’ispiratore delle vittorie del Galles nei British Home Championship del ’24 e del ’48. All’esterno del Cardiff City Stadium una statua ne ricorda la figura. L’altro centrale è ROY PAUL, altro grande difensore della storia del Galles. Dopo

aver trascinato lo Swansea in seconda divisione lo acquistò il Manchester City, strappandolo alla concorrenza dei Millonarios di Pedernera e Di Stefano. Capitanò i Cityzens in due finali di FA Cup vincendo quella del ’56. Difensore fisicamente prestante, duro nel gioco e nel carattere temprato negli anni giovanili in miniera. Carismatico e rispettato, dopo aver perso la finale del ’55 minacciò di menare i suoi compagni se non avessero dato il tutto per tutto per battere il Birmingham City. Chiudiamo con WALLEY BARNES giocatore eclettico, affermatosi però come terzino sinistro nell’Arsenal, club dove fu tra i protagonisti della vittoria del Campionato del ’48 e della FA Cup del ’50. 22 le sue apparizioni in Nazionale. ROMBO DI TUONO Vertice basso di una mediana davvero stellare è RON BURGESS annoverato tra le leggende del Tottenham, club col quale vinse il Campionato nel 1951 indossando la fascia di capitano, e pensare che gli Spurs lo avevano praticamente scartato. Come la maggior parte dei giocatori della sua generazione perse gli anni migliori per via della guerra, ma lo spirito gagliardo non lo abbandonò mai. Col Galles collezionò 32 presenze giocando anche nella rappresentativa della Gran Bretagna che nel

calcio2000 55 feb 2014


top 11 - galles

’47 affrontò il Resto d’Europa. Sulla destra BILLY MEREDITH prima vera superstar del calcio gallese. Ala destra funambolica, cliente scomodissimo da affrontare per ogni difensore. Talento straordinario, rapido, guizzante, con un tiro micidiale. Capace di fare la storia sia dei Citizens, con i quali ha vinto da capitano il primo trofeo della loro storia, la FA Cup del 1904, che dei Red Davils con cui ha vinto due Campionati e un’altra Coppa d’Inghilterra. Ha legato il suo nome anche alle battaglie per dar vita al primo sindacato dei giocatori. Col Galles ha raccolto 48 presenze trascinando i Dragoni al primo successo nell’Home Championship del 1907. Nato nel 1874 è ancora oggi una leggenda. Parlando di leggende sulla fascia sinistra corre ancora “la” leggenda vivente del calcio gallese RYAN GIGGS. Ala sinistra per eccellenza nel calcio degli anni ’90. Giocatore fantastico, senza rivali. Uno dei pochissimi nel ruolo capace ancora di saltare l’uomo sistematicamente, inarrestabile in progressione grazie ad un bagaglio tecnico sconfinato. Dribbling, finte, visione di gioco, tiro forte e preciso, assiste sempre in canna. Ha sempre e solo vestito la maglia del Manchester United vincendo tutto quelle che era possibile vincere e battendo ogni record. Peccato che con la Nazionale, nonostante 12 gol in 64 presenze, non sia riuscito a

made in wales

Ora allenatore, Hughes è stato un altro attaccante straordinario in maglia Galles

prender parte, almeno per una volta, ad una grande manifestazione. Ai Giochi Olimpici del 2012 ha però vestito la fascia di capitano del Regno Unito. Vertice alto del rombo spetta a GARETH

BALE Mr. 100 Milioni di Euro. Pare infatti questa la folle cifra sborsata da Florentino Pérez per strapparlo al Tottenham. Bale è senza dubbio uno dei giocatori più forti e promettenti dei nostri giorni. Talento il suo in verticale ascesa anno dopo anno. Partito come terzino la sua classe ha avuto la meglio tanto che adesso gioca in avanti, come seconda punta, come trequartista e come ala d’attacco su entrambe le fasce. Tecnica sontuosa combinata ad velocità supersonica. Elegante e raffinato nello stile di gioco, nel dribbling e nel calciare la palla. È l’uomo nuovo e la speranza del calcio gallese. Già 43 le presenze in Nazionale dove ha il primato del più giovane marcatore di sempre. Mediano di riserva MEL CHARLES, fratello di John, uno dei protagonisti della spedizione gallese ai Mondiali del ’58. Giocatore versatile e coraggioso, forse troppo all’ombra del più famoso fratello. 31 le sue presenze con i Dragoni e 6 reti di cui 4 in una stessa gara (il 4-0 sull’Irlanda del Nord nel ’62). Ha gareggiato in otto Home Championship, vincendo quelli del ’60. Indimenticabile poi TERRY MEDWIN l’ala destra volante del Tottenham che centrò il Double nel ‘61 e la FA Cup nel ’62. Anche lui membro della rappresentativa gallese ai Mondiali del ’58 dove segnò la rete decisiva nello spareggio con l’Unghe-

di Antonio Vespasiano

Il calcio gallese per quanto non certo la disciplina più seguita resta comunque una cosa seria. Indossare la maglia dei Dragoni è ancora oggi ritenuto un grande onore per ogni buon gallese che si rispetti, ecco perché sono davvero pochi, pochissimi gli atleti a cui la Federcalcio è felice di aprire le porte. Il primo calciatore gallese di colore a rappresentare il Galles fu Eddie Parris nel 1931. Il padre era nato in Canada (così come la madre) ma aveva origini giamaicane. Di padre belga così come di natali era Pat Van Den Hauwe difensore dell’Everton vincitore della Coppa delle Coppe nel 1985. Robert Earnshaw (unico giocatore capace di segnare una tripletta in ogni divisione del campionato inglese - Premiership, Prima Divisione, Seconda Divisione, Terza Divisione -, in FA Cup, in Coppa di Lega inglese e finanche in Nazionale) è nato in Zambia nel 1981 salvo poi trasferirsi in Malawi e dopo la morte del padre nel 1990 in Galles dove è stato naturalizzato, collezionando 16 gol in 58 presenze. La sfilza di giocatori inglesi che grazie ad ascendenze (più o meno lontane) gallesi hanno vestito la maglia dei Dragoni è bella lunga, il più rappresentativo di tutti però è Ryan Giggs che fino a 16 anni aveva la nazionalità inglese per via del padre, salvo poi cambiare cognome e passaporto scegliendo quelli della madre. Scelta che ha segnato un bivio nella sua carriera da calciatore. Da registrare poi i natali a stelle e strisce del portiere del West Brom Boaz Myhill, nato in California da padre americano e madre gallese.

56 calcio2000 feb 2014


l’impeto dei dragoni

ria per accedere ai quarti di finale. Ha chiuso la sua carriera in Nazionale con 30 presenze e 6 gol. Storica anche la doppietta rifilata all’Irlanda del Nord nell’Home Championship vinto nel ’60. Prima di Giggs e di Bale l’ala sinistra più forte del calcio gallese era CLIFF JONES. Velocità, tecnica, visione di gioco. Uno dei migliori e più temuti esterni della sua generazione. Protagonista col Tottenham nelle stagioni d’oro degli anni ’60, quelle del Double e della Coppa delle Coppe. Col Galles ha giocato i Mondiali del ’58, chiudendo la sua avventura in Nazionale con 59 presenze e 16 gol. Sulla trequarti IVOR ALLCHURCH il “golden boy” del calcio gallese e senza dubbio il più grande giocatore della storia dello Swansea. Talento puro, si muoveva sornione sulla trequarti, pronto ad illuminare il gioco col suo sinistro magico. Protagonista con due gol nel doppio spareggio con Israele per accedere ai Mondiali del ’58, dove ne segnò altri due. In Nazionale per lungo tempo le sue 68 presenze e i suoi 23 gol gli sono valsi i relativi primati. IL GIGANTE DEL CALCIO Il centravanti del Galles non può che essere JOHN CHARLES simbolo d’un calcio “puro” ancora lontano dalle contaminazioni dello show business. Giocatore fisicamente prestante, alto forte coraggioso come un leone. Travolgeva gli avversati come se fossero birilli, mai però in maniera scorretta, si guadagnò così il soprannome di “Gigante buono”. Alla Juve formò con Sivori una coppia stellare entrando di diritto non solo nella Storia della società bianconera ma anche in quella del nostro campionato, che lo annovera come uno dei più forti stranieri che vi abbiano giocato. Tre Scudetti, due Coppe Italia e il titolo di capocannoniere nel ’58. In Nazionale, di cui è senza dubbio il giocatore più forte e rappresentativo di sempre, è stato il cuore pulsante nell’unica partecipazione ai Campionati Mondiali. Nel ’58 infatti era lui il vero trascinatore dei Dragoni. Il suo

J. Jones giggs england

Southall

rush bale

burgess

Ratcliffe

J. Charles Meredith

Sherwood

Rush, un altro dragone doc, di quelli che sapevano come trovare la via della rete

infortunio nella gara con l’Ungheria non gli permise di giocare la gara col Brasile ed è questo il più grande “se” nella storia del calcio gallese. Compagno di reparto di Charles è IAN RUSH. Centravanti con un innato istinto per il gol, valanghe sono infatti le reti che ha realizzato nel corso della sua carriera, vissuta da protagonista soprattutto con la maglia del Liverpool (la parentesi in maglia bianconera fu solo un incidente di percorso). 380 gol in 783 gare ufficiali, Nazionale compresa, dove con 28 gol è il miglior marcatore di sem-

pre. Con i Reds ha vinto una marea di trofei. Memorabile l’annata ‘83-84 dove vinse il Treble (Campionato, Coppa di Lega e Coppa dei Campioni) con tanto di Scarpa d’Oro e premio quale miglior giocatore del Campionato Inglese. Centravanti completo, forte fisicamente e di buona tecnica, ma soprattutto opportunismo e freddezza sotto rete. Il bomber di scorta è MARK HUGHES. Finalizzatore spettacolare (memorabili le sue sforbiciate), ma anche costruttore di gioco, centravanti di manovra, grazie ad ottime capacità di palleggio. Ha legato il suo nome a club prestigiosi come il Manchester United, il Barcellona, il Bayern Monaco e il Chelsea vincendo numerosi trofei tra cui la Coppa delle Coppe del ’91 con i Red Davils ai danni del Barça grazie ad una sua doppietta. Prima di Rush era TREVOR FORD il miglior marcatore gallese di sempre, con 23 gol in 38 presenze. Centravanti dal gioco leonino, incubo per difensori e portieri avversari. Oggetto di uno dei primissimi record di trasferimento quando passò dall’Aston Villa al Sunderland. Coinvolto in uno scandalo su pagamenti in nero fu sospeso e per questo non convocato ai Mondiali del ’58.

calcio2000 57 feb 2014


S

speciale - calcio argentino

di Thomas Saccani

CAMPIONI NEL NOME DEL PAPA

Il San Lorenzo, la squadra di Papa Francesco, conquista il Torneo Inicial…

U

n segno del destino? Forse… Il San Lorenzo, il club argentino per cui fa il tifo Papa Francesco, si è aggiudicato il Torneo Inicial 2013 (ex Apertura). Per El Ciclon si tratta del 12esimo titolo della storia, il primo dopo un digiuno lungo sei anni (ultima vittoria nel Torneo Clausura 2007, con Ramon Diaz allenatore). Magari la “presenza” di Papa Francesco ha giovato… In un torneo mai così incerto, la squadra allenata da Pizzi ha conquistato il prestigioso trofeo con 33 punti finali, due in più del duo Lanus-Newell’s Old Boys (club campione con meno punti in tutta la storia del calcio argentino). Decisivo, per il 58 calcio2000 feb 2014

trionfo del San Lorenzo, il pareggio a reti inviolate, nell’ultimo turno di campionato, contro il Velez. Una marcia, quella del El Ciclon, davvero stramba. In 19 gare disputate, solo nove vittorie, con 29 gol segnati e 17 incassati. Il miglior marcatore della compagine è stato Piatti, vecchia conoscenza del calcio italiano (visto a Lecce), con “soli” otto gol a referto. Insomma, non proprio numeri esaltanti ma comunque sufficienti per sbaragliare la concorrenza, incredibilmente in affanno. Forse anche per questo, la festa dei giocatori del San Lorenzo è stata di quelle indimenticabili, con oltre due giorni di festa. Con anche il Papa che si è lasciato sfuggire un più che eloquente: “Che allegria…”.

L’eroe che non ti aspetti… Secondo diversi addetti ai lavori, l’impresa del San Lorenzo appartiene ad un solo eroe, decisamente inatteso. L’allenatore Pinzi o magari il bomber Piatti? No, assolutamente… Il vero eroe è stato Sebastián Torrico. Da sempre considerato un “numero 12”, il 33enne estremo difensore del El Ciclon è diventato, tra lo stupore generale, un vero “numero 1”. La storia di Torrico è da libro cuore. Nell’aprile del 2013 il San Lorenzo è alla caccia di un portiere per sostituire Pablo Migliore, non più ben visto dal club. La scelta cade proprio sul non più giovanissimo Torrico che, alla notizia di essere prossimo a diventare un giocatore de El Ci-


clon, va in tilt: “Oggi mi hanno detto che domani andrò a firmare le carte per essere un nuovo giocatore del San Lorenzo. Credo che si tratti di un prestito per due mesi con opzione per il futuro, non so…”. Lo sa bene il San Lorenzo che, dopo aver dato il ben servito a Migliore a maggio, si ritrova per le mani un portiere che, tra umiltà e senso del dovere, cambia la stagione della squadra di Pizzi. Ecco Pizzi. Il tecnico de El Ciclon, per la verità, voleva puntare su Alvarez ma, si sa, gli eroi impossibili, alla fine, hanno la meglio su tutto e tutti. Poi, come nelle migliori favole, ecco la parata del campionato. Nell’ultima gara di campionato, Torrico salva il risultato respingendo, con un riflesso da “numero 1” una conclusione di Allione del Velez. È la parata che vale il torneo. Torrico, a fine gara, si limita ad un “… il portiere ci sta proprio per questo, per fare la differenza nei momenti difficili del match”. Parole da eroe impossibile, un ex “numero 12” che ora si gode il suo momento da “numero 1”… Il capolavoro di Pizzi Al termine della gara con il Velez, Juan Antonio Pizzi, di professione tecnico del San Lorenzo, era davvero stravolto dalle emozioni. Vincere il Torneo Inicial è stato un vero e proprio capolavoro, giunto al termine di una cavalcata irta di ostacoli ma condotta in porto con grande saggezza: “Questa squadra aveva le virtù necessarie per vincere il titolo. A mio avviso, è stato un torneo difficile, nonostante qualcuno dica che sia stato un campionato di basso profilo”. Pizzi è lucido nell’identificare anche il momento esatto in cui la sua squadra ha capito che poteva arrivare fino in

fondo, ovvero la vittoria, alla 14esima giornata, contro il Boca (1-0 il finale): “Vincendo quella gara, ho capito che potevamo farcela e così è stato. È stata la vittoria che ci ha fatto capire che avevamo tutto per non fermarci più”. In effetti, non si sono più fermati… La rivincita di Piatti Otto gol, Ignacio Piatti è stato, numeri alla mano, il massimo goleador del San Lorenzo campione (uno in meno del suo Pereyra-Matos, migliori cannonieri del Torneo Inicial). Una bella rivincita

per il centrocampista offensivo visto in italiano con la casacca del Lecce. In Serie A, il buon Piatti non ha convinto nessuno. Nei suoi due anni nel Salento, con la casacca giallorossa, tre reti in 35 gare e tanta, troppa panchina. Rapporti difficili con De Canio, Di Francesco e Cosmi, ovvero tutti i tecnici che ha avuto a lecce. Poi, di colpo, l’incontro con Pizzi e il cambio di passo. A 28 anni, Piatti si è tolto una gran bella soddisfazione, diventando campione, da protagonista assoluto, con la casacca de El Ciclon…

Classifica Torneo Inicial 2013 pt

G

V

N

P

GF GS DR

San Lorenzo

33

19

9

6

4

29

17

30

Lanús

31

19

8

7

4

32

18

22

Vélez Sarsfield

31

19

8

7

4

24

16

18

Newell's Old Boys

31

19

8

7

4

27

21

8

Arsenal de Sarandí

30

19

7

9

3

22

19

2

Belgrano de Córdoba 29

19

8

5

6

28

20

3

Boca Juniors

29

19

8

5

6

25

24

2

Estudiantes La Plata

27

19

6

9

4

16

14

-2

Atletico Rafaela

26

18

7

5

6

24

25

-4

Rosario Central

26

19

7

5

7

22

24

-4

Gimnasia La Plata

26

19

6

8

5

21

24

-3

Tigre

25

19

7

4

8

20

21

-5

Argentinos Juniors

25

19

7

4

8

17

19

-4

Godoy Cruz de M.

24

19

6

6

7

17

17

-4

Olimpo de Bahía B.

23

19

6

5

8

19

25

-4

All Boys

22

19

5

7

7

19

19

-4

River Plate

21

19

5

6

8

12

14

-9

Quilmes

21

19

5

6

8

14

23

-18

Racing Club

16

19

4

4

11

12

24

-12

Colón de Santa Fe

12

18

3

3

12

8

24

-12

Il club dei sei anni…

Se siete amanti delle statistiche, fissatevi questa data: 2019. In quell’anno, il San Lorenzo sarà nuovamente campione. Lo dice la storia del club. El Ciclon è la squadra “dei sei anni”. Campione nel 1995, si è ripetuto nel 2001 e, sei anni più tardi, nel 2007. Guarda caso, il nuovo titolo, è giunto nel 2013. Aggiungete altri sei anni e scoprirete che, nel 2019, toccherà ancora al San Lorenzo… I giocatori attualmente in rosa nel San Lorenzo non dovranno, invece, attendere tanto per incontrare il loro primo tifoso, ovvero il Papa. Già stabilito un appuntamento per festeggiare il titolo, in attesa che ne arrivi un altro…

calcio2000 59 feb 2014


S

speciale - gabi milito

di Thomas Saccani

SI RITIRA MILITO, L’ALTRO…

A 33 anni, il fratello di Diego, bomber nerazzurro, ha detto basta…

I

l calcio è strano. Diego Milito è considerato, a tutti gli effetti, un Top player assoluto. Non fosse per qualche infortunio di troppo, il Principe sarebbe, ancora oggi, nel gotha delle punte. Eppure, conti alla mano, nella famiglia Milito, ci sarebbe un certo Gabriel che avrebbe vinto anche di più. El Mariscal, nomignolo con cui è sempre stato ribattezzato Gaby, ha, ad esempio, vinto due Champions League (con il Barça) contro l’unica affermazione di Diego. A scudetti, inoltre, siamo quattro (tre in Spagna, uno in Argentina) a due (uno in Italia, uno in Argentina) a favore del difen60 calcio2000 feb 2014

sore, eppure il Principe resta, almeno nell’immaginario collettivo, quello forte… Se n’è fatta una ragione il buon Gaby. Quando decidi di fare il difensore e hai, in famiglia, un fratello che segna gol a grappoli, devi saper convivere con la situazione. Comunque sia, Gaby, in carriera, di soddisfazioni se n’è tolte davvero parecchie. Sin dal periodo in cui giocava nelle fila dell’Independiente, ha sempre mostrato una determinazione unica, risultando uno dei difensori più difficili da superare. Nel 2003 doveva andare al Real Madrid ma i medici di allora gli negarono la gioia di indossare la

camiseta blanca, preoccupati dalle condizioni del suo ginocchio infortunato. Preoccupazioni che non sfiorano il Real Saragozza che ne fece il perno della propria retroguardia. A furia di giocare grandi partite, nel 2007, El Mariscal passa al Barcellona, il club più odiato dal Real Madrid per una cifra decisamente impegnativa, ovvero circa 19 milioni di euro. Purtroppo la dea bendata non lo asseconda. A causa di una serie infinita di infortuni, non riesce mai ad essere una colonna dei blaugrana. Vince tanto, ma da comprimario. Nel 2011 sembra pronto a vestire la casacca del Genoa, già indossata


dal fratello Diego ma decide di tornare all’amato Independiente. Fisicamente non è al meglio ma riesce, comunque, a ritagliarsi un po’ di spazio. Una stagione con i Diavoli Rossi è sufficiente. L’ULTIMA GARA Si arriva così alla gara d’addio di Gaby, in cui, almeno per una volta, le parti si sono invertite. Nella toccante notte andata in scena allo stadio Libertadores de América di Avellaneda, El Mariscal è il protagonista assoluto, nonostante la presenza del fratello Diego. Una festa alla quale partecipano tante stelle del calcio di ieri e di oggi, vecchi compagni dell’Independiente (il club a cui Gaby è più legato), come Leonardo Díaz, Juan José Serrizuela, Hernán Franco, Federico Domínguez, Hernán Fredes, Diego Castagno Suárez, Pablo Guiñazú, Federico Insúa, Daniel Montenegro e Facundo Parra e star internazionali del calibro di, oltre a Diego Milito, Nicolás Burdisso, Javier Mascherano, Javier Zanetti, Andrés D`Alessandro, Esteban Cambiasso, Maximiliano Rodríguez, Juan Sebastián Verón e Diego Forlán. Tutti presenti per tributare il loro saluto ad un difensore arcigno e di valore (se non fosse stato per l’ingombrante presenza di Diego, forse avrebbe avuto anche più fortuna). Una gara in cui la squadra dell’Independiente 2002 (campione d’Argentina, torneo Clausura) si impone con un secco 3-1 con rete di Diego? No, di Gaby, proprio per confermare l’unicità della serata. Divertente anche il siparietto in cui Gaby viene redarguito pesantemente dal direttore di gara per una brutta entrata proprio sul fratello Diego. Incoraggiante, almeno per El Mariscal, la rete del 3-1 segnata da Santiago, uno dei figli di Gaby. Magari lui avrà sorte migliore… UN ADDIO TOCCANTE “Grazie a tutti, ho vissuto una giornata incredibile. Ringrazio mio nonno che mi ha passato la passione per l’Independiente. Ringrazio anche Barcellona e Saragozza, squadre in cui ho vissuto bei momenti”. Con queste parole, un emozionatissimo Gabriel ha dato il suo

addio al calcio. Parole che, ancora una volta, hanno sottolineato la sua fede calcistica, decisamente legata all’Independiente. Con i Diavoli Rossi, il difensore ha giocato dal 1997 al 2003 e nella stagione 2011/12, vincendo il titolo del 2002, quello a cui è più legato, proprio perché arrivato indossando la casacca del suo club del cuore… SIMBOLO DELL’INDEPENDIENTE Per i tifosi dei Diavoli Rossi, El Mariscal è un simbolo. Non a caso è stato composto un vero e proprio inno a suo nome, “Sinfonía del Mariscal”, in cui traspare, in maniera evidente, il grande

cuore di Gaby Milito. Inoltre, Vicente Muglia, un giornalista di Olé, ha anche scritto un libro in suo onore, dall’inequivocabile titolo “Gabriel Milito. Historia de un Mariscal”, in cui viene ripercorsa l’intera carriera dell’argentino. E ora? Ora comincia una nuova vita per El Mariscal. Il ruolo da allenatore è sicuramente nelle sue corde (già adesso si sta dilettando ad insegnare calcio alle giovanili dell’Independiente). Per uno come Gaby, che ha dovuto superare mille ostacoli per raggiungere ogni singola meta della sua carriera, una nuova sfida da prendere di petto, come sempre…

El Mariscal ha vinto due Champions League, una in più del fratello Milito

calcio2000 61 feb 2014


liga spagna

LA BARCA AFFONDA?

I marziani si sono scoperti vulnerabili. Senza Messi (e Valdes) la sinfonia non è più gagliarda e vincente…

62 calcio2000 feb 2014

I

mprovvisamente il Barcellona si è riscoperto umano, fragile, diafano. Sono bastati gli infortuni di Lionel Messi e Victor Valdés per togliere certezze alla Máquina blaugrana, cche, nonostante l’inizio di campionato fantastico, a causa delle defezioni, è entrata in un periodo di crisi, più che di risultati di identità. Una squadra bellissima ma eterea, cristallina nella purezza del fraseggio,

maniacale nella cura del dettaglio, ossessionata dal virtuosismo, come un’orchestra di affermati solisti. Una sola stonatura può far saltare gli equilibri, specie se la stessa nasconde un larvato malcontento del suo tenore. Primo problema: su qualsiasi allenatore incombe lo spettro di Pep Guardiola e dei suoi quattro anni di ineguagliabili successi, conditi dalla bellezza di ben 14 trofei (due Champions, due


di Daniele Chiti

UN ANNO DA CRISTIANO

In attesa del premio individuale più ambito il giocatore più “chiacchierato” dopo l’imitazione da generale di Sepp Blatter ha deciso di aprire il proprio museo. Proprio così. Non so quante persone possano vantare un proprio museo a 28 anni. Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro lo ha costruito a Funchal, sull’isola di Madeira, la sua patria d’origine. Non solo! Sono state inaugurate diverse statue di cera, repliche perfette di Ronaldo, presso i musei di cera di Madame Tussaud di tutto il mondo. Accolto ovunque come una celebrità ha glissato sull’argomento Pallone d’Oro, enfatizzando l’importanza di centrare degli obiettivi di squadra, l’importanza del collettivo. “Il collettivo prima del singolo” è stato il suo mantra da più di un anno a questa parte, a testimonianza di una sorta di riconversione da Cristiano Ronaldo a semplice… Cristiano. Il suo gesto abituale di esultanza, con l’indice rivolto prima al petto e poi al terreno, sta ad indicare grosso modo: “Io sto qui”, come a dire, ho scelto il Real Madrid e voglio vincere e segnare con questa maglia, con questi compagni. Dopo l’adeguamento del contratto (18 milioni l’anno fino al 2018) e la qualificazione ai Mondiali (gran parte del merito è suo con quattro reti nel doppio spareggio contro la Svezia di Ibrahimovic) l’asso portoghese può guardare al 2013 con una certa soddisfazione, nonostante l’infortunio che lo ha tenuto fuori da fine novembre. Nell’anno solare appena concluso (anche a causa degli infortuni e del precario stato di forma della “Pulce” per buona parte dell’anno) Ronaldo ha sopravanzato Messi di più di venti reti. La ricetta del suo successo? Finita la tumultuosa era Mourinho, sotto Ancelotti CR7 ha ripreso serenamente il suo ruolo di goleador implacabile alla guida della squadra. Eletto Most Valuable Player del 2013 da parte della Liga de Fútbol Profesional (anche se Messi è stato eletto miglior giocatore e miglior attaccante), Cristiano Ronaldo nel 2013 ha messo insieme la bellezza di 57 gol con la “camiseta blanca” e 10 reti con la nazionale portoghese. Praticamente un mito vivente. Da gennaio a maggio ha realizzato 32 reti (20 in campionato, 6 in Champions, 6 in Coppa del Re), nella stagione in corso 17 reti in 14 presenze, e già 8 reti in Champions League (il suo record nella massima competizione per club, stabilito nella passata edizione, è di 12 centri). Per fare un confronto quest’anno Messi ha realizzato 25 gol da gennaio a maggio (20 gol in campionato, 3 in Champions, 2 in Coppa del Re), stabilendo peraltro un record mostruoso: 19 gare consecutivamente a segno nella Liga spagnola. Nella stagione in corso ha realizzato 14 gol (8 gol in campionato e 6 in Champions), per un totale di 39 gol nell’anno solare, più 6 reti con la maglia dell’Albiceleste. Uno score pazzesco, straordinario, imbattibile… se non stessimo parlando di Lionel Messi. E infatti era dal 2008 che non segnava così “poco”!

Mondiali per Club, due Supercoppe Europee, tre títuli di Liga, due Coppe del Re, tre Supercoppe di Spagna). Il vice di Guardiola, Tito Vilanova, è riuscito nell’impresa di riconquistare la Liga eguagliando il record di 100 punti del Real Madrid di Mourinho. L’unica pecca? Uscire umiliato dal doppio confronto con il Bayern Monaco di Jupp Heynckes in semifinale di Champions. Dopo il forfait di Tito Vilanova,

Gerardo Martino si è trovato improvvisamente alla guida di una squadra dal potenziale incredibile, con il compito di lasciare inserito il pilota automatico dosando l’innesto di Neymar e l’impiego di Messi, già alle prese con problemi fisici. Ha vinto subito la Supercoppa di Spagna ma per ora la missione è riuscita solo a metà: se i risultati gli hanno dato pienamente ragione (13 vittorie, 1 pareggio e 1 sconfitta

nelle prime 15 giornate; una vittoria agevole nel girone di Champions) gli infortuni a catena di Lionel Messi hanno guastato l’umore dello spogliatoio. Intanto l’apporto di gol dell’argentino ne è risultato logicamente diminuito. Con più spazio a disposizione gli altri attaccanti si sono sentiti più responsabilizzati, dando un contributo realizzativo superiore alle aspettative che ha parzialmente mascherato il problema: calcio2000 63 feb 2014


liga spagna da una proiezione è probabile che il Barça superi comunque la soglia dei cento gol, ma è improbabile che si avvicini ai 115 dello scorso anno. Il salto di qualità invece lo ha fatto la difesa, che sotto la guida del “Tata” Martino è diventata molto più solida rispetto allo scorso anno, statisticamente in grado di reggere il confronto con la granitica retroguardia dell’Atlético del “Cholo” Simeone. In questo “el Tata” si sta confermando un mago della tattica, capace di studiare soluzioni difensive alternative ma sempre efficaci per fronteggiare gli infortuni che hanno costellato l’inizio di stagione blaugrana. L’infortunio muscolare di Jordi Alba dopo appena tre giornate di campionato e il difficile rientro di Carles Puyol dopo un calvario di un anno (due interventi al ginocchio destro dopo la rottura del braccio nell’ottobre 2012) ha portato all’impiego sistematico di Adriano, il più presente assieme a Piqué. Gli infortuni muscolari occorsi a Dani Alves e Mascherano, trattenuti ai box per alcune settimane, hanno favorito l’impiego di uno a turno tra Bartra e Montoya, che hanno fornito un apporto costante anche in fase di costruzione della manovra, confermandosi degli ottimi rincalzi. Bene anche Victor Valdés, quanto mai determinante nella sua stagione d’addio. I DUBBI DEL CLUB DEGLI UOMINI STRAORDINARI In autunno le prime voci di un interessamento di altre società a Lionel Messi si sono rincorse come foglie nel vento, prima di venire smentite dal di-

Annata da re assoluto per l’asso del Real Madrid Cristiano Ronaldo

retto interessato. Fatto sta che qualche incomprensione con l’entourage del Barcellona c’è stata. Netta la smentita del Bayern. “Speculare sull’acquisto di Messi è assurdo; – ha spiegato il presidente del Bayern Monaco Karl Heinz Rummenigge – nessuno è disposto a pagare 250 milioni di euro per il cartellino di un calciatore” ha concluso, sviando qualsiasi indizio. Che Leo si senta profondamente legato a Pep è fatto risaputo, ma che sia disposto a rinunciare al suo status di idolo incontrastato a Barcellona per seguirlo a Monaco è improbabile. “È vero che

mi vogliono grandi club, e la cosa mi onora – ha spiegato lo stesso Leo – ma il mio sogno è di restare a Barcellona, perché ha lo stile di gioco che più mi si addice.” Discorso chiuso? Per il momento sembrerebbe di sì. Il presidente Sandro Rosell si è avventurato in lodi sperticate: “Il Pallone d’Oro lo merita Lionel Messi. Io voterei Messi per tutti e tre i gradini del podio, Xavi quarto e Iniesta quinto”. Dichiarazioni che non vanno interpretate solo in chiave antimadridista (dall’altra parte si spinge CR7) ma anche come “zuccherino” al suo campione un po’ scorato. Quando

ORA VA DI MODA IL “FALSO NUEVE” Continua la crisi dei bomber in Spagna: Hélder Postiga e Jonas si accendono ad intermittenza, Carlos Bacca e Kevin Gameiro si completano ma senza convincere: la squadra di Unai Emery è stata eliminata addirittura ai sedicesimi dalla Coppa del Re, perdendo in casa dal modesto Racing Santander. Che il motivo dei pochi gol delle prime punte sia da ricercare in un cambio di rotta radicale? Adesso i tecnici preferiscono togliere punti di riferimento alle difese, e amano giocare con il “falso nueve”, attaccanti di movimento che aprono spazi ai compagni senza avere essi stessi una spiccata propensione realizzativa. Il Barcellona in fondo ha fatto scuola: creare una linea di centrocampisti offensivi a ridosso della tre quarti avversaria può essere un

64 calcio2000 feb 2014


CR7 fece le bizze, dichiarando di essere triste (autunno 2012), di fatto destabilizzò l’ambiente merengue compromettendo fin da subito la rincorsa al titolo. Quest’anno Messi ha lasciato educatamente intendere di gradire un ulteriore ritocco all’ingaggio e la società non vuole contrariarlo. Da marzo guadagna 16 milioni a stagione, ma Neymar e Cristiano Ronaldo si sono adeguati in fretta: da indiscrezioni il brasiliano ne dovrebbe prendere addirittura 17, mentre quello di Cristiano Ronaldo è stato rinnovato a 18 milioni. Le preoccupazioni del giocatore più rappresentativo del club sono trapelate anche all’interno dello spogliatoio, la serenità del quale era già stata guastata dalle sue indisposizioni (conati di vomito prima delle partite) e dagli in-

classifica

marcatori

pt

G

V

N

P

GF GS DR

Giocatore Squadra Gol

Barcellona

46

17

15

1

1

49

12

37

Diego Costa

Atlético Madrid 19

Atlético Madrid

46

17

15

1

1

46

11

35

Ronaldo

Real Madrid

18

Real Madrid

41

17

13

2

2

49

21

28

Javi Guerra

Valladolid

11

Athletic Club

33

17

10

3

4

26

21

5

Griezmann

Real Sociedad 11

Real Sociedad

29

17

8

5

4

33

23

10

Pedro

Barcellona

Villarreal

28

17

8

4

5

27

18

9

Carlos Vela

Real Sociedad 8

Siviglia

26

17

7

5

5

32

29

3

Jonas

Valencia

8

Getafe

23

17

7

2

8

20

27

-7

Lionel Messi

Barcellona

8

Espanyol

22

17

6

4

7

22

23

-1

Carlos Bacca Siviglia

Málaga

20

17

5

5

7

19

22

-3

David Villa

Atlético Madrid 8

Valencia

20

17

6

2

9

23

29

-6

Benzema

Real Madrid

Granada CF

20

17

6

2

9

15

22

-7

Alexis Sánchez Barcellona

8

Levante

20

17

5

5

7

17

25

-8

Gareth Bale

Real Madrid

7

Elche

17

17

4

5

8

16

23

-7

Ivan Rakitic

Siviglia

7

Celta Vigo

16

17

4

4

9

21

27

-6

Cesc Fàbregas Barcellona

7

Almería

16

17

4

4

9

17

32

-15

Sergio Garciá Espanyol

7

Valladolid

15

17

3

6

8

21

29

-8

Oriol Riera

Osasuna

7

Osasuna

15

17

4

3

10

14

28

-14

Rodri

Almería

7

Rayo Vallecano

13

17

4

1

12

16

40

-24

Isco

Real Madrid

6

Betis Siviglia

10

17

2

4

11

15

36

-21

Jorge Molina Betis Siviglia

6

Classifiche aggiornate al 22/12/13

Senza Messi, il Barcellona non riesce ad essere più vincente e spettacolare come ai bei tempi

fortuni muscolari a catena. Il sospetto che il rapporto tra la dirigenza e Messi non fosse più idilliaco come prima si è fatto largo anche tra i veterani, male impressionati dal benservito ricevuto da Abidal dopo il caparbio recupero dalla malattia. Non ha certo rallegrato l’ambiente neanche l’addio di Tito Vilanova, un forte elemento di continuità con l’epoca d’oro di Guardiola. Dopo

10

8

8

| Tabellini nella Sezione Statistiche

tre mesi di vittorie il club degli uomini straordinari si è riscoperto umano, fragile, soggetto a infortuni, malattie e sconfitte. La “Pulce” nell’orecchio ce l’hanno di già… La preparazione fisica è stata approssimativa? Come arriveranno ai mondiali i nostri eroi? Perché tanti infortuni? Avranno un futuro garantito nel club? Tante domande, nessuna certezza.

modo altrettanto efficace di approvvigionarsi delle necessarie marcature. Con buona pace della libertà di cui godeva il centravanti di un tempo. Anche il Villarreal e l’Athletic stanno riuscendo nell’impresa di sopperire all’assenza di un bomber puro, distribuendo le reti tra tutti gli attaccanti, inclusi quelli di scorta. Non importa che segni Jonathan Pereira, Uche o Giovani Dos Santos, Aduriz o Iker Muniain; il motto è sempre lo stesso: tutti sono utili, nessuno indispensabile. Tante parole per dire che quest’anno le punte segnano col contagocce, con la sola eccezione del “mostro” Diego Costa, capace di chiudere l’anno solare con 19 gol in 17 presenze, regalando il primato ad un formidabile Atlético. L’eccezione che conferma la regola…

calcio2000 65 feb 2014


premier league inghilterra

DEVILS ALL’INFERNO

Dopo anni leggendari, il Manchester United non sembra più una corazzata di invincibili…

66 calcio2000 feb 2014

“S

tai guardando, David Moyes?”. Con questo coro beffardo, canzonatorio e grondante uno smisurato senso di rivincita i tifosi dell’Everton hanno “beccato” David Moyes al fischio finale del match che ha visto la loro squadra vincere all’Old Trafford dopo ben 21 anni di astinenza. Mentre i fan del Manchester United prendevano la via di casa a capo chino, chi sacramentando, chi ammutolito, noi

di Calcio2000 abbiamo avuto l’occasione di assistere dal vivo al rumoroso e prolungato festeggiamento degli oltre 3mila giunti dalla Merseyside. C’era da capirli. Se già storicamente la rivalità con i Red Devils è alquanto marcata, quest’anno, dopo il derby, questa era la partita che i Toffeemen volevano vincere a tutti i costi. Troppi ex di mezzo: quello ormai di lunga data che risponde al nome di Wayne Rooney, il già citato Moyes e l’ultimo “traditore” della lista,


di Luca Manes

gli stadi secondo gli inglesi... Mentre in Italia si discute su una normativa ad hoc che permetta di rinnovare un parco stadi a dir poco logoro, in Inghilterra, in particolare a Londra, ci si muove in maniera molto concreta. Il West Ham sta per diventare il nuovo inquilino dello stadio Olimpico. Il trasferimento è previsto nel 2017-18. A fine novembre sono cominciati i costosi (quasi 200 milioni di euro) lavori di riconversione dell’impianto, con sostanziose modifiche alla copertura che si spera siano pronte per la Coppa del Mondo di rugby del 2015, così da poter utilizzare l’impianto per quell’occasione. Intanto due club del West End sono pronti a erigere una nuova casa. L’ambizioso QPR ha ammesso di non poter ampliare il glorioso Loftus Road e ha già presentato un progetto per uno stadio da 40mila posti (contro i 19mila attuali) a Old Oak. Un’area della capitale londinese che l’amministrazione comunale intende riqualificare, per cui potrebbe essere più facile per le Super Hoops ottenere i permessi necessari. Permessi che ha già in tasca il Brentford (League One) per lasciare il romantico Griffin Park (lo stadio dei quattro pub ad ogni angolo) per un impianto avveniristico e anch’esso più capiente rispetto al predecessore a Hounslow. E poi ci sono sempre Tottenham e Chelsea, a cui rispettivamente il White Hart Lane e lo Stamford Bridge vanno ormai stretti. Gli Spurs si stanno già muovendo con decisione e non è da escludere che il loro nuovo stadio possa sorgere a pochi passi dall’attuale.

Marouane Fellaini. Tutti “omaggiati” di ululati e fischi a profusione. Per la verità, da quanto abbiamo potuto intendere dagli spalti dell’Old Trafford e scambiando due parole con i sostenitori dello United sulla via verso lo stadio, anche da queste parti Fellaini non è molto amato. “Stiamo scherzando, 27 milioni di sterline per uno che gioca come lui?”. Ci ha detto all’ennesimo passaggio sbagliato il nostro vicino di posto nella Sir Alex Ferguson Stand. Già, Sir Alex. Che la squadra sia orfana del suo carisma e del suo polso d’acciaio è indubbio, come testimonia proprio il match contro l’Everton. La fotografia perfetta della stagione molto deludente dei Diavoli Rossi e il momento della definitiva abdicazione da campioni d’Inghilterra. Abbiamo potuto gustarci solo rari sprazzi del “so-

lito” United, quello che in campo domina e nei momenti di grande spolvero ti ubriaca con le sue azioni arrembanti. Adesso le difficoltà si notano in tutti i reparti, la manovra è spesso lenta e farraginosa. Se poi anche la Dea Bendata, spesso amica in passato, volta le spalle (contro l’Everton Rooney e compagni hanno centrato due pali), allora si fa proprio notte fonda. Certo, non era campato in aria ritenere che quella 2013-14 potesse essere una campagna di transizione, ma in pochi si potevano aspettare risultati così scadenti. Colpa di un mercato fallimentare, di qualche infortunio di troppo (senza Robin Van Persie avanti è dura), di giocatori fuori ruolo e forse non all’altezza, di giovani che non stanno crescendo quanto ci si sarebbe aspettato e di veterani che iniziano a mordere il freno.

Insomma, se i vari Nemanja Vidic, Rio Ferdinand e Patrice Evra (secondo noi finora uno dei peggiori tra tutti i Red Devils) mostrano di dover fare i conti con la carta di identità, le alternative non fanno dormire sonni tranquilli. Rafael e Chris Smalling non stanno confermando quanto di buono fatto vedere da giovanissimi, Phil Jones appare un po’ perso nel bailamme di ruoli in cui è stato impiegato, e paradossalmente per lui, che nasce difensore, non di rado è sembrato rendere di più in mediana. Poi c’è il nodo gordiano del centrocampo. Serve qualcuno al posto di Tom Cleverley o Ryan Giggs (discreto ma non irresistibile il primo, splendido ma pur sempre quarantenne il secondo) capace di integrarsi e supportare Michael Carrick. Un mister X che da ormai un paio di anni non si materializza nella calcio2000 67 feb 2014


premier lEAgue inghilterra metà rossa di Manchester. Sulle fasce, punto di forza dello United del recente passato, Ashley Young e Antonio Valencia peccano di troppa incostanza, con il nazionale inglese spesso penalizzato da infortuni (e incapace di guarire dall’odiosa “sindrome del tuffatore”). Infine il mistero Wilfried Zaha, astro nascente del calcio inglese quando giocava al Crystal Palace – tanto che Ferguson lo prelevò già lo scorso gennaio –, per adesso viene impiegato con il contagocce. Anche perché, come ha palesato nei match della nazionale under 21, deve ancora capire che il calcio si gioca in 11 e ogni tanto può risultare utile passare il pallone ai compagni. Insomma, per apportare qualche significativa miglioria alla squadra lo scorso agosto sarebbero serviti altri acquisti. Invece quella del mercato estivo – e qui puntiamo senza dubbio il dito contro Moyes – è stata una gestione incerta e

IL SALUTO A FOULKES

La difficoltà per lo United è trovare sostituti all’altezza di senatori come Giggs

classifica

marcatori

pt

G

V

N

P

GF GS DR

Giocatore Squadra Gol

Liverpool

36

17

11

3

3

42

19

23

Luis Suarez

Liverpool

19

Arsenal

36

17

11

3

3

33

17

16

Agüero

Man. City

13

Manchester City 35

17

11

2

4

51

20

31

Sturridge

Liverpool

9

Chelsea

34

17

10

4

3

32

18

14

Yaya Tourè

Man. City

9

Everton

34

17

9

7

1

29

16

13

Aaron Ramsey Arsenal

8

Newcastle

30

17

9

3

5

24

22

2

Loïc Rémy

8

Tottenham

30

17

9

3

5

18

23

-5

Romelu Lukaku Everton

8

Man. United

28

17

8

4

5

28

20

8

Wayne Rooney Man. United

8

Southampton

24

17

6

6

5

22

18

4

van Persie

7

Stoke City

21

17

5

6

6

17

21

-4

Álvaro Negredo Man.City

7

Swansea City

20

17

5

5

7

23

23

0

Olivier Giroud Arsenal

7

Newcastle

Man. United

Hull City

20

17

5

5

7

14

20

-6

Jay Rodriguez Southampton 6

Aston Villa

19

17

5

4

8

17

23

-6

Eden Hazard

Chelsea

Norwich City

19

17

5

4

8

15

29

-14

Oscar

Chelsea 5

Cardiff City

17

17

4

5

8

13

25

-12

Rickie Lambert Southampton 5

W. B. Albion

16

17

3

7

7

18

23

-5

Danny Welbeck Man. United

5

West Ham

14

17

3

5

9

14

22

-8

Yoan Gouffran Newcastle

5

Crystal Palace

13

17

4

1

12

11

27

-16

Samir Nasri

Man. City

4

Fulham

13

17

4

1

12

17

34

-17

Soldado

Tottenham 4

Sunderland

10

17

2

4

11

12

30

-18

Mesut Ozil

Arsenal

Classifiche aggiornate al 23/12/13

68 calcio2000 feb 2014

| Tabellini nella Sezione Statistiche

6

4

Un minuto di applausi da parte di tutto lo stadio e la Stretford End, il covo dei tifosi più appassionati del Manchester United, che rendeva omaggio a lui e agli altri Busby Babes tirando fuori una enorme bandiera che raffigurava la mitica e sfortunata squadra allenata da Sir Matt Busby. Così prima del fischio d’inizio del match contro l’Everton il popolo dell’Old Trafford ha ricordato uno dei suoi grandi simboli del passato: Bill Foulkes. Sopravvissuto al disastro aereo di Monaco di Baviera del febbraio 1958, che costò la vita a otto suoi compagni di squadra, Foulkes fu a lungo una colonna dello United. Solido difensore centrale, era in campo in occasione dell’esordio assoluto dello United in Coppa dei Campioni, un 2-0 in casa dell’Anderlecht nel settembre del 1956. Ancor più rilevante, fu lui a segnare l’esiziale goal del 3-3 nella semifinale di ritorno del 1968 a Madrid contro il Real. Grazie a quella marcatura i Red Devils ebbero la certezza di qualificarsi per la finale, poi vinta contro il Benfica a Wembley. Foulkes era titolare anche quello storico giorno, una delle 688 presenze in 18 anni con il team dell’Old Trafford. Se ottima fu la sua carriera da calciatore (sebbene abbia indossato la maglia dell’Inghilterra solo una volta), meno brillante si rivelò il suo percorso da allenatore, che lo portò a gestire squadre minori negli Stati Uniti, in Norvegia e in Giappone. Ci ha lasciati all’età di 81 anni.


caotica. Di nomi se ne sono fatti tanti, alla fine è arrivato solo Fellaini. Uno costato una decina di milioni più di Kevin Strootman, che a un certo punto era apparso tra gli obiettivi abbordabili e che poi è stato “dimenticato” sin troppo facilmente. Fino a questo momento è quasi un eufemismo affermare che il belga di sangue marocchino abbia deluso. Pure nel match a cui abbiamo assistito ne ha imbroccate pochissime e come già accennato in tanti all’Old Trafford reputano insensata una spesa così elevata per un giocatore del suo livello. Sebbene non sia un fuoriclasse, Fellaini può essere in parte giustificato dal fatto che è uno di quelli a giocare fuori ruolo. All’Everton veniva quasi sempre schierato di supporto all’unica punta dello scacchiere di Moyes, a Manchester gli viene chiesto di piazzarsi in mezzo al campo. Il ragazzo non è un fenomeno a impostare l’azione e si vede, così come non se la cava bene sulle fasce Shinji Kawaga. Altro equivoco tattico non di poco conto, visto che a Dortmund il giapponese dava il meglio di sé dietro le punte e a Manchester appare sin troppo leggerino per fornire un contributo rilevante in una zona del rettangolo di gioco che non gli è troppo consona. Dopo ogni brutta prestazione della squadra the Chosen One, come recita uno striscione all’Old Trafford, ovvero Moyes, è stato attaccato senza pietà dai media inglese. Oltre a una serie di critiche abbastanza giuste e fondate – come quella già citata sulla conduzione del mercato estivo – i tabloid gli hanno contestato di tutto, dal non essere in grado di ruotare al meglio la rosa a disposizione, all’atteggiamento troppo sparagnino in campo fino, addirittura, all’incapacità di avere in mano lo spogliatoio. Accuse, soprattutto l’ultima, rispedite al mittente con sdegno dal diretto interessato. I suoi nuovi tifosi, invece, sembrano per la stragrande maggioranza dalla sua parte. Non si sono registrate contestazioni di sorta. “Sarebbe troppo facile dire che avremmo fatto meglio a prendere Roberto Martinez, visto quello che sta facendo di buono con l’ex squadra di Moyes. Dobbiamo avere pazienza, sostituire Sir Alex non è

facile”. Ci ha ripetuto in coro un gruppo di fedelissimi su un affollato Metrolink preso al volo vicino all’altro Old Trafford, quello dove gioca a cricket il team del Lancashire. Anche la dirigenza dello United non pare intenzionata a mettere pressione allo scozzese, tanto che gli ha fatto firmare un contratto della durata di sei anni. Tutto sommato un po’ di problemi esistevano già in precedenza. Semplicemente, nel 2012-13 sono stati quasi del tutto celati dalla sconfinata vena realizzativa di Van Persie. Altro dettaglio da non dimenticare: lo stesso Ferguson ci ha messo circa quattro anni per vincere il suo primo trofeo e altri tre per aggiudicarsi il campionato. Poi sappiamo tutti come è proseguito il suo regno... Ora però il Manchester United si ritrova per la prima volta nella sua storia recente a contemplare la possibilità molto concreta di non disputare la Champions League. Quest’anno la Premier ha ritrovato un certo equilibrio e alle solite note degli ultimissimi anni, Chelsea e Manchester City, si sono aggiunte le due vecchie conoscenze di Arsenal e Liverpool, nonché altri brutti clienti come Everton e Tottenham, che sgomitano per un posto al sole. Dal 1992-93, ovvero da quando esiste la Premier, i Red Devils non sono mai scesi al di sotto del terzo posto. Quest’anno firmerebbero per il quarto che garantisce i preliminari di Champions League.

Per tentare l’ennesima impresa, allora, bisogna ripartire dalle note liete. Non sono tantissime, ma ci sono. In primis l’esplosione del giovane talento belga, di origini kosovare, Adnan Januzaj. Con quei piedi può fare tanta strada e che sia un predestinato lo dimostra la doppietta all’esordio da titolare in Premier. Un’impresa che dalle parti dell’Old Trafford era riuscita solo a un certo Ruud Van Nistelrooy. Poi c’è il ritorno dopo oltre un anno travagliatissimo di Darren Fletcher e i lampi – ancora troppo estemporanei, però – di Danny Welbeck. Uno che se acquisisse la sapienza tattica di Wayne Rooney – a proposito, lui sì che se la sta cavando egregiamente – potrebbe conquistarsi un posto da titolare inamovibile. Per evitare possibili travagli estivi, con giocatori che in assenza della vetrina della Champions League potrebbero preferire altri lidi, tocca puntare forte sul mercato invernale. Si vocifera di un assegno di una trentina di milioni per il centrocampista dell’Athletic Bilbao Ander Herrera, di un nuovo assalto al terzino sinistro dell’Everton e della nazionale inglese Leighton Baines (un altro che costicchia, però), di ipotesi quasi da fantacalcio come l’asso del Barcellona Andres Iniesta e del giovane talento dell’Atletico Madrid Koke. Due che servirebbero, eccome, per tappare le falle a centrocampo e ridare fantasia al gioco dei Red Devils.

Dopo anni da dominatori, i Red Devils stanno attraversando un periodo difficile

calcio2000 69 feb 2014


bundesliga germania

NON SOLO

BAYERN… In Bundes ci sono club in rapida ascesa, come Borussia Monchengladbach e Wolfsburg…

70 calcio2000 feb 2014

L

a Bundesliga edizione 20132014 sta come sempre rispettando i pronostici di inizio anno. A contendersi il titolo, con il Bayern Monaco di Pep Guardiola nettamente favorito sulle altre, sono il Borussia Dortmund di Jurgen Klopp ed il Bayer Leverkusen di Samy Hyypia. Dietro però stanno riprendendo quota due compagini come il Borussia Monchengladbach ed il Wolfsburg,

che hanno intenzione anche nei prossimi anni di potersi inserire stabilmente in quella zona di classifica. Partiamo dalla squadra allenata dallo svizzero Lucien Favre: salito in sella nel febbraio del 2011, con l’undici in ultima posizione, l’elvetico non è solo riuscito a portare a casa quell’anno la salvezza, ma nelle successive due stagioni ha totalizzato un quarto posto valso i preliminari di Champions ed un ottavo po-


di Flavio Sirna

sto (dovuto principalmente al fatto di aver detto addio alla stella della squadra Marco Reus, passato al Borussia Dortmund). Adesso, nella stagione in corso, le cose stanno andando nuovamente per il verso giusto: sulla carta il modulo adottato è un 4-4-2, ma è facile considerarlo un 4-2-4. In porta spicca la freschezza atletica di Marc-Andre Ter Stegen, classe 1992 che molti considerano già come l’erede di Manuel Neuer e che la prossima estate sarà al centro di molte discussioni di mercato (Barcellona e Milan sembrano essere sulle sue tracce). In difesa la coppia di centrali assicura al contempo esperienza e velocità: il classe 1980 Martin Stranzl si fa ancora sentire e guida alla perfezione i movimenti del classe 1990 Toni Jantschke; sull’esterno corrono a

più non posso lo svedese Oscar Wendt ed il giovanissimo teutonico Julian Korb. Meno presente, ma tornerà sicuramente utile fino alla fine della stagione, il terzino sinistro spagnolo Alvaro Dominguez, acquistato nell’estate del 2012 dall’Atletico Madrid per la considerevole cifra di 8 milioni di euro. Capitolo centrocampo: è sicuramente il reparto più forte a disposizione di Favre. Partiamo da Patrick Herrmann: il 22enne tedesco, il cui contratto scade nel giugno del 2016, è la stella incontrastata della squadra. Oscurato in parte da Reus nelle due scorse stagioni, in questa è esploso definitivamente soprattutto grazie alla sua capacità di poter giostrare sia come ala (destra o sinistra) che come seconda punta. È chiaro che, come già detto per Ter Stegen, la

prossima estate di calciomercato sarà caldissimo per quanto lo riguarda. A fargli da contraltare sull’altra fascia è l’esperto venezuelano Juan Arango: 33 primavere già compiute, in squadra dal 2009, anzichè limitarsi a stare in attacco ed a battere magistralmente calci di punizione (nei mesi scorsi ha affermato di considerarsi più bravo persino di Cristiano Ronaldo) Arango si è trasformato in un esterno di centrocampo che macina chilometri e che assicura anche una certa qualità sia in fase di realizzazione, grazie a qualche inserimento, che in fase di appoggio alle due punte. Si torna invece ad essere giovani quando si fa riferimento ai due interni di centrocampo: in primis è d’obbligo menzionare lo svizzero Granit Xhaka. Classe 1992, acquistato dal Basilea calcio2000 71 feb 2014


bundesliga germania nell’estate del 2012, sta sorprendendo tutti per capacità sia di impostazione che di distruzione di gioco, diventando insieme a Shaqiri, approdato anch’egli in Bundesliga al Bayern Monaco, il talento svizzero del futuro (sarà protagonista anche in occasione dei prossimi mondiali brasiliani). Accanto a lui sta crescendo, in maniera altrettanto esponenziale, il tedesco del 1991 Christoph Kramer. In attacco, come se non bastasse, le cose si mettono ancora meglio: dal Friburgo è arrivato Max Kruse, che dopo aver condotto la sua ex-squadra alla qualificazione in Europa League, sta tentando di fare lo stesso a Monchengladbach con risultati altrettanto soddisfacenti. Il secondo bomber della squadra porta invece la firma di Lucien Favre: dopo averlo avuto a disposizione nelle fila dell’Hertha Berlino nel 2009 quando era allenatore dei capitolini, il tecnico ha fatto di tutto per portarlo con sè in questa sua nuova esperienza, e lui lo sta ripagando nel migliore dei modi. Il protagonista è il

brasiliano classe 1985 Raffael (Raffael Caetano de Araujo), nella scorsa stagione in prestito allo Schalke 04. A descriverla così sembrerebbe una squadra invincibile, ma il ‘secondo’ Borussia, come viene chiamato per sottolineare la differenza rispetto al Dortmund, non lo è affatto. Due infatti sono le pecche principali: l’assenza di validi elementi in panchina e soprattutto l’incapacità di aver valorizzato sino a questo momento l’acquisto più importante delle ultime tre stagioni: quel Luuk De Jong, ex-Twente, acquistato nel 2012 per la bellezza di 12 milioni di euro. Da quanto descritto, a meno che la società, come spesso ha fatto, non deciderà di smantellare e di vendere in contemporanea tutti i pezzi pregiati (l’età-media della squadra è di 25,2 anni), appare certo che anche nelle prossime stagioni il Monchengladbach potrà ritrovarsi stabilmente nelle posizioni che contano e chissà porre in essere quell’exploit che gran parte del pubblico tedesco si augura che avvenga per interrompere il

classifica

marcatori

pt

G

V

N

P

GF GS DR

Giocatore Squadra Gol

Bayern Monaco

44

16

14

2

0

42

8

34

Lewandowski B. Dortmund

B. Leverkusen

37

17

12

1

4

32

16

16

Adrian Ramos Hertha Berlino 11

B. M'Gladbach

33

17

10

3

4

35

19

16

Mandžukic

B. Monaco

B. Dortmund

32

17

10

2

5

38

20

18

Raffael

B. M’Gladbach 9

Wolfsburg

30

17

9

3

5

28

19

9

Lasogga

Amburgo

Hertha Berlino

28

17

8

4

5

27

20

7

Aubameyang B.Dortmund

9

Schalke 04

28

17

8

4

5

32

28

4

Vedad Ibisevic Stoccarda

9

Augsburg

24

17

7

3

7

21

25

-4

Stefan Kießling B. Leverkusen 9

Mainz 05

24

17

7

3

7

25

31

-6

Shinji Okazaki Mainz 05

8

Stoccarda

19

16

5

4

7

29

31

-2

Marco Reus

B. Dortmund

8

Werder Brema

19

17

5

4

8

22

37

-15

Max Kruse

B. M’Gladbach 8

Hoffenheim

18

17

4

6

7

36

38

-2

Nicolai Müller Mainz 05

8

Hannover 96

18

17

5

3

9

23

31

-8

Firmino

Hoffenheim

8

Amburgo

16

17

4

4

9

33

38

-5

Son

B.Leverkusen 7

E.Francoforte

15

17

3

6

8

20

29

-9

Kevin Volland Hoffenheim

Friburgo

14

17

3

5

9

16

31

-15

Sidney Sam

Norimberga

11

17

0

11

6

17

33

-16

Thomas Müller B. Monaco

7

Braunschweig

11

17

3

2

12

10

32

-22

Ivica Olic

7

Classifiche aggiornate al 22/12/13

72 calcio2000 feb 2014

11

10

9

7

B. Leverkusen 7

Wolfsburg

| Tabellini nella Sezione Statistiche

Sotto la sapiente guida di Lucien Favre, il Borussia Monchengladbach sta impressionando tutti

dominio ultradecennale del duo Dortmund-Bayern. E per evitare di essere continuamente chiamato il ‘secondo’ Borussia... Diverso rispetto al Monchengladbach il discorso da fare per il Wolfsburg: la squadra della Wolkswagen, dopo il titolo del 20082009 ottenuto con il guru Magath in panchina, sembrava diretta verso una stabilizzazione nelle zone alte della classifica. Ed invece le cose non sono andate per niente bene: nelle successive quattro stagioni sono arrivati come massimi risultati due ottavi posti, ai quali sono da aggiungere un quindicesimo, con una retrocessione sfiorata, ed un undicesimo. Per cercare di riportare in sesto la baracca è stato chiamato Dieter Hecking, che nelle scorse stagioni si è ben comportato sulle panchine del Norimberga e dell’Hannover, riuscendo a portare entrambe le squadre in Europa. Allenatore moderno, Hecking ha deciso di puntare sul 4-2-31 come modulo: ma oltre i suoi meriti devono essere sottolineati quelli del nuovo direttore sportivo Klaus Allofs,


che, così come fatto per anni al Werder Brema, è riuscito ad operare in maniera egregia sul mercato. Merito suo gli arrivi dal Bayern Monaco di Ivica Olic, che molti consideravano già finito, e del fortissimo centrocampista brasiliano Luiz Gustavo, bistrattato da Guardiola sin dal momento del suo arrivo in Baviera. Ma soprattutto merito suo l’essere riuscito a fare riconciliare con il club il brasiliano Diego: acquistato dalla Juventus nel 2010 per circa 16 milioni di euro, inizialmente il brasiliano, a causa dei forti contrasti con Magath, non è valso assolutamente la cifra spesa, tanto che è stato spedito in prestito all’Atletico Madrid. Al momento del suo ritorno però Allofs ha cominciato a coccolarlo per bene, assegnandogli subito la maglia numero 10 e facendolo sentire nuovamente importante. Non a caso proprio in questo periodo, abbandonate le velleità di tornare in Spagna o in Brasile, le parti stanno discutendo il rinnovo del contratto in scadenza il prossimo giugno. Ma torniamo al campo ed alla squadra che normalmente viene schierata in campo da Hecking: in porta si punta sull’esperienza del capitano Benaglio, al Wolfsburg dal 2008. In difesa Hecking è riuscito nel tentativo di far risultare ancora utile nonno Naldo (anche qui c’è lo zampino di Allofs, che lo ha strappato alla sua ex-squadra, il Werder), che fa da chioccia al giovane tedesco classe 1992

Knoche; sugli esterni fanno il loro dovere Patrick Ochs e soprattutto il classe 1992 Ricardo Rodriguez, svizzero di nazionalità ma di padre spagnolo e mamma cilena. In mezzo al campo, detto di Luiz Gustavo, vero e proprio perno, si alternano vicino a lui il promettente serbo Medojevic o il portoghese Vierinha. Il trio di trequartisti, con Diego a dominare su tutti, è invece composto dall’ex-Dortmund Perisic e dal classe 1994 Maximilian Arnold; ha deluso in parte le attese, dopo essere stato acquistato dal Friburgo, Daniel Caligiuri. L’unica punta, come già sottolineato, è il croato Olic, che dopo l’ottima esperienza al Bayern Monaco, sta ancora dimostrando di essere un giocatore coi fiocchi. Non essendo però eterno (32 anni), la società spera che possa finalmente esplodere anche la sua attuale riserva, e cioè l’olandese Bas Dost: acquistato nel 2012 dall’Hereenveen per 7 milioni di euro, non è riuscito ad ambientarsi al meglio ai ritmi ed al gioco della Bundesliga, realizzando solamente sette reti nell’anno e mezzo già trascorso. Con questi elementi e con un’età media della squadra fortemente abbassatasi (attualmente, considerando tutta la rosa, è di 26,1 anni) i Lupi possono guardare al presente ed al futuro con maggiore fiducia. Non è affatto utopistica infatti l’ipotesi di poter tornare a calcare i campi d’Europa dopo cinque anni di assenza.

Nell’ultima sfida del girone, a Marsiglia, il Borussia ha conquistato il pass per gli ottavi di Champions

Europa e Mondiale, è una Germania che tiene sempre il passo e che sogna in grande Il 2014 si prepara ad essere una stagione sempre esaltante per i colori della Germania, sia a livello di club che a livello di nazionale. Partiamo dai club: in Champions League hanno ottenuto il pass per gli ottavi di finale tutte e quattro le squadre qualificate alla fase a gironi: sul velluto il Bayern Monaco, hanno invece dovuto lottare sino all’ultima giornata il Borussia Dortmund, anche a causa del girone di ferro con Napoli ed Arsenal, lo Schalke 04 ed il Bayer Leverkusen. In vista degli ottavi di finale che si svolgeranno a febbraio le aspettative sono alte: la sfida più affascinante è sicuramente quella che vedrà i campioni d’Europa in carica contro l’Arsenal. Appare invece più abbordabile l’accoppiamento dei gialloneri di Klopp contro lo Zenit. Proibitivo per lo Schalke 04 il Real Madrid di Ancelotti, così come il Psg di Blanc per le Aspirine bavaresi. Non sarebbe comunque lo stesso male avere almeno due compagini ai quarti di finale. Le cose sono andate bene anche in Europa League: l’Eintracht Francoforte di Veh ha dominato il proprio girone ed affronterà agli ottavi di finale l’ostico Porto. È finita invece la corsa del Friburgo, che così come in campionato anche in Europa sta pagando le cessioni eccellenti di Kruse e Caligiuri. Capitolo Mondiali 2014: il sorteggio ha collocato la nazionale di Low in un girone molto complicato con Portogallo, Ghana e con gli Usa dell’ex-ct Jurgen Klinsmann. I teutonici però, come dimostrato già nel girone di qualificazione ed anche in occasione dell’amichevole di Milano a San Siro contro l’Italia di Prandelli, hanno tante frecce al loro arco. Low attende con ansia il ritorno in campo di Gomez e dovrà chiaramente stare molto attento alle scelte che verranno fatte in tema di convocazioni da qui al prossimo giugno. L’abbondanza, soprattutto per quanto riguarda il reparto avanzato (sia a livello di prime punte che a livello di trequartisti che dovranno costituire il solito terzetto dietro il perno offensivo), rischia di portare a sbagliare... calcio2000 73 feb 2014


ligue 1 francia

MONACO,

L’ULTIMO PARADISO Tasse agevolate, maggior potere d’acquisto, Rybolovlev se la gode, ora più che mai…

74 calcio2000 feb 2014

“V

ado a vivere a Montecarlo”. Con questa esclamazione, da un po’ di tempo a questa parte, si allude al desiderio di trasferirsi in uno dei più ‘reclamizzati’ paradisi fiscali, luoghi ‘fantastici’ capaci di massimizzare il denaro guadagnato. Il perché è presto detto: tassazione bassa, talvolta nulla. Soprattutto per chi non è cittadino francese. Insomma, per uno straniero riuscire a lavorare nel

Principato è come planare su una sorta di Eldorado, tra stipendi decisamente superiori alla media e, per di più, praticamente ‘netti’. La tassazione agevolata per le aziende monegasche non fa che giovare anche al Monaco. La società del russo Rybolovlev, infatti, ha un potere di acquisto decisamente più elevato rispetto agli altri club, potendo permettersi di offrire ingaggi di gran lunga superiori poiché privi di ulteriori tasse.


di Renato Maisani

A dirla tutta, le cose vanno così da parecchio tempo, ma la vicenda è tornata d’attualità una prima volta durante il faraonico calciomercato condotto dal club biancorosso in estate e poi, soprattutto, nelle ultime settimane del 2013, quando il Parlamento ha discusso l’introduzione della nuova cosiddetta ‘maxitassa’. LA ‘TASSA SUI RICCHI’ Quello di ‘maxitassa’ è un concetto che, in lungo e in largo, torna saltuariamente d’attualità nella maggior parte dei paesi democratici. Una ‘tassa sui ricchi’, come è stata più volte semplicisticamente ‘battezzata’ in Italia. O, per meglio dire, una tassa sui redditi particolarmente elevati. Dall’Inghilterra, probabilmente, arriva la definizione più centrata: “wealth tax”, vale a dire – appunto – tassa sulla ricchezza. In soldo-

ni, un’ulteriore tassa da applicare soltanto a chi dichiara un reddito parecchio cospicuo, al fine da gravare soltanto sulla fascia più opulenta della società, rimpinguando le casse dello Stato senza pesare sulle tasche dei cittadini. In India la legge esiste da più di 50 anni, in Italia l’argomento è stato tirato fuori a più riprese – mixato talvolta con l’accezione di ‘imposta patrimoniale’ – in Francia, invece, la situazione ha radici storiche davvero significative. La dicotomia ricchi-poveri, elemento cruciale della Rivoluzione del 1789, nella società francese ha lasciato strascichi ancor più evidenti di quelli presenti nelle ‘lotte di classe’ diffuse in altri Paesi europei. 200 anni dopo la celebre ‘presa della Bastiglia’, seppur con una situazione socio-politica decisamente diversa, la crisi che imperversa in Europa ha

indotto il governo Hollande ad imporre la Supertassa, un’imposta decisamente imponente, pari al 75% dell’ingaggio percepito dai lavoratori che superano una certa soglia di reddito, siano essi cittadini francesi o no. Decisione che, inevitabilmente, comporta delle conseguenze impossibili da sottovalutare anche sul piano calcistico. CALCIO IN SUBBUGLIO: PREVISTI EFFETTI DRASTICI Nell’immaginario collettivo, in Italia così come in Francia, il prototipo del ‘professionista ricco’ è proprio il calciatore. Atleti che guadagnano milioni di euro e che finiscono spesso nel mirino di moralisti - e falsi tali - quando c’è da puntare il dito contro una categoria ritenuta privilegiata. Il calcio, in realtà, muove milioni di euro e in molti paesi calcio2000 75 feb 2014


ligue 1 francia è una delle industrie più fruttuose, capaci di generare un circolo virtuoso che muove non poco l’economia e l’occupazione locale. Nonostante ciò, inevitabilmente, la ‘maxitassa’ andrebbe a ricadere anche sui calciatori e, di conseguenza, sui club. Il motivo è presto detto: l’imposta colpirà infatti la parte del reddito eccedente il milione di euro e versarla sarà un onere della società. Dunque, un club che corrisponde ad un calciatore un ingaggio annuale di 11 milioni di euro, dovrà versarne ulteriori 7.5 (cioè il 75% dei 10 milioni in ‘esubero’) allo Stato. Risultato? I club della Ligue 1 sarebbero costretti a ridurre le loro offerte economiche, riducendo così il loro potere d’acquisto e inducendo un numero sempre minore di giocatori ad accettare il trasferimento in un campionato che attualmente, denaro a parte, non offre ciò che possono offrire i principali campionati europei. A denunciare il problema che andrebbe a toccare le società calcistiche francesi ci ha pensato Frédéric Thiriez, presidente della Lega Calcio Francese, il quale ha spiegato: “La nuova tassa costerà ai club di Ligue 1 circa 82 milioni di euro complessivi. L’aumento del carico fiscale, dunque, sarebbe pari al 30% e in questo modo i club verrebbero strangolati. È un costo del lavoro delirante – ha proseguito – la Francia sarà costretta a perdere i giocatori migliori, le nostre squadre vedranno crollare la competitività in campo europeo e lo Stato, di conseguenza, perderà i suoi migliori contribuenti. È un’operazione che vedrebbe uscire tutti sconfitti”. Ragionamento che non fa una piega quello di Thiriez, ma che in alcun modo può giustificare una ‘eccezione’ alla regola (o in questo caso, alla legge). ‘Maxitassa per tutti o per nessuno’, su questo il Governo è stato molto chiaro. E di tornare indietro il Premier Hollande non vuole proprio saperne: “La supertassa sarà per due anni a carico della aziende. La necessità di aggiustare i conti pubblici – ha detto Hollande in occasione di un incontro con i rappresentanti del calcio francese – giustifica lo sforzo richiesto alle società”. 76 calcio2000 feb 2014

Anche grazie alle agevolazioni che si respirano a Montecarlo, Rybolovlev ha un potere d’acquisto assoluto

classifica

marcatori

pt

G

V

N

P

GF GS DR

Giocatore Squadra Gol

PSG

43

18

13

4

1

42

11

31

Ibrahimovic

PSG

14

Monaco

41

18

12

5

1

30

11

19

Cavani

PSG

12

Lille

39

18

12

3

3

20

6

14

Aboubakar

Lorient

10

Bordeaux

30

18

8

6

4

25

19

6

Falcao

Monaco

9

Nantes

29

18

9

2

7

23

15

8

Lacazette

Lione

9

Marsiglia

28

18

8

4

6

25

18

7

Riviere

Monaco

8

Saint-Etienne

27

17

8

3

6

25

20

5

Filip Djordjevic Nantes

8

Lorient

26

18

8

2

8

24

24

0

Darío Cvitanich Nizza

7

Stade de Reims

26

18

6

8

4

19

20

-1

Diabaté

7

Lione

24

18

6

6

6

26

25

1

Nélson Oliveira Rennes

7

Tolosa

24

18

6

6

6

20

24

-4

Gignac

Marsiglia

7

Guingamp

23

18

6

5

7

19

19

0

Nolan Roux

Lille

6

Bastia

23

18

6

5

7

21

26

-5

Gomis

Lione

6

Rennes

21

18

5

6

7

21

22

-1

Remy Cabella Montpellier

Nizza

20

18

6

2

10

15

24

-9

Hamouma

Évian

20

17

5

5

7

18

28

-10

Kevin Berigaud Évian

6

Montpellier

16

18

2

10

6

18

24

-6

Ben Yedder

Tolosa

5

Valenciennes

11

18

2

5

11

15

27

-12

Yatabaré

Guingamp

5

Ajaccio

9

18

1

6

11

12

30

-18

Foued Kadir

Rennes

5

Sochaux

8

18

1

5

12

13

38

-25

Oniangue

Stade di Reims 5

Classifiche aggiornate al 15/12/13

Bordeaux

6

Saint-Etienne 6

| Tabellini nella Sezione Statistiche


NAZIONALE, UN SORTEGGIO ‘EPICO’

Dopo aver acciuffato per i capelli la qualificazione ai Mondiali brasiliani, superando l’Ucraina nello spareggio playoff, la Francia di Didier Deschamps ha avuto la possibilità di prendere parte all’attesissimo sorteggio tenutosi il 6 dicembre a Salvador De Bahia. Sorteggio che non è stato certo esente da polemiche. I ‘Bleus’, infatti, a causa del punteggio inferiore nel Ranking Fifa tra le Nazionali europee, erano stati in un primo momento inseriti nell’urna 2, comprendente le compagini africane e le sudamericane non testa di serie. Tradotto: un girone decisamente difficile che avrebbe obbligato la squadra di Deschamps a fronteggiare una testa di serie non europea ed una tra le migliori Nazionali europee (dall’Italia all’Inghilterra, passando per Olanda e Portogallo). A sorpresa, invece, è stato deciso di effettuare un sorteggio tra tutte le 9 Nazionali non teste di serie, che ha spedito l’Italia nell’urna 2, ‘salvando’ di fatto la Francia. La fortuna, però, non si è fermata qui ed ha continuato ad aiutare i ‘galletti’, il cui girone di qualificazione è davvero più che abbordabile. Pescata la più agevole tra le teste di serie – la Svizzera – l’urna 2, della quale la Francia avrebbe appunto dovuto far parte, ha riservato a Ribery e compagni l’Ecuador, ‘Cenerentola’ della fascia. Dall’urna 3, infine, un’altra buona notizia: a completare il girone c’è l’Honduras, nazionale decisamente inferiore a Giappone o Stati Uniti, giusto per citarne alcune di quelle facenti parti della terza fascia. Insomma, quando le polemiche e le accuse complottistiche cesseranno, la Francia si ritroverà a dover fronteggiare un girone decisamente alla sua portata. Ma bisognerà fare attenzione: l’Italia versione ‘Sudafrica 2010’ insegna che non c’è nulla di scontato...

E SE CI GUADAGNASSE IL MONACO? In tale contesto si colloca l’anomalo caso del Monaco. Il club di Montecarlo, pur partecipando al campionato francese, ha sede nel Principato ed è dunque soggetto alla fiscalità prevista nel ‘regno dei Grimaldi’ e non a quella vigente in Francia. Tradotto in termini pratici, il Monaco non subirà gli effetti della supertassa. Ciò non farebbe altro che ampliare la forbice che separa già il club monegasco dagli altri club partecipanti alla Ligue 1. A Montecarlo, infatti, i

francesi – calciatori inclusi – vengono tassati del 20%, mentre gli stranieri percepiscono il loro stipendio quasi al netto, con una tassazione davvero irrisoria. Ciò non fa altro che rendere più agevole il calciomercato del Monaco e facilitarne la possibilità di presentare proposte economiche allettanti agli atleti. Al fine di evitare evidenti – ed ingiuste – disparità, la Lega Francese Professionisti vorrebbe imporre a tutti i club l’obbligo di collocare in territorio francese la sede sociale, in modo da poter così imporre a tutti le medesime condizioni. A ‘sal-

RIBERY, IBRA & GARCIA: THE BEST Anno che se ne va, premi che arrivano. Come ogni anno, in Francia, il celebre magazine ‘France Football’ ha assegnato i riconoscimenti riguardanti l’intero anno solare e dedicati a calciatori ed allenatori francesi – compresi quelli che militano all’estero – e agli stranieri che calcano i campi della Ligue 1. Il titolo di miglior allenatore è stato attribuito al tecnico della Roma Rudi Garcia che, per appena mezzo punto, ha avuto la meglio sul c.t. della Nazionale Deschamps. Al 3° posto si è piazzato Cristophe Galtier del Saint Etienne. “Non me l’aspettavo – ha dichiarato l’allenatore giallorosso – e mi sono davvero commosso non appena ho appreso la notizia”. Il titolo di ‘calciatore francese dell’anno’ è stato invece attribuito a Franck Ribery, che l’ha spuntata su Paul Pogba e Blaise Matuidi. Come miglior straniero è stato votato infine Zlatan Ibrahimovic, stella del PSG e capocannoniere dell’ultima edizione della Ligue 1.

vaguardare’ gli interessi del Monaco, però, c’è la Convenzione bilaterale franco-monegasca, stipulata nel 1963, e che disciplina la fiscalità sul territorio del Principato, riconoscendone la propria eccezionalità. Su tali basi, il ‘Conseil Costitutionnel’ ha deciso di annullare l’emendamento proposto dall’Assemblea Nazionale, mirato a obbligare anche “le società sportive professionistiche straniere affiliate a una federazione francese e che partecipano a una competizione francese” al pagamento dell’aliquota. Comunque andrà a finire, la ‘maxitassa’ non ricadrà sul Monaco. E ai monegaschi, forse, conviene quasi sperare che la legge venga presto applicata, al fine di poter recitare un ruolo da protagonisti assoluti all’interno del campionato francese. A meno che la federcalcio non dovesse decidere di estromettere il Monaco dai campionati qualora il club si rifiutasse – come detto – di trasferire in territorio francese la propria sede sociale. Ma alla FFF converrebbe davvero perdere il prestigio di un club in evidente ascesa come il Monaco per garantire una ‘competizione ad armi pari’? Nessun dubbio amletico, la risposta la diamo noi. No! calcio2000 77 feb 2014


di Elisa Palmieri

Maradona iron-man!

Psico Milito

“Grondona e Blatter sanno che da sempre gli ho fatto una certa resistenza, non mi sono mai inginocchiato davanti a nessuno. Non ho alcuna intenzione di entrare a far parte della famiglia del presidente Grondona”

“Chiudere al Racing mi piacerebbe tanto, ma per ora non mi ha contattato nessuno”... “Per me non ci sarebbe alcun problema a firmare in bianco e rimanere all’Inter ancora un’altra stagione - ha detto Milito - Qui mi trovo benissimo, mi vogliono bene e questa è la cosa più importante. Mi sento a casa mia”....

Diego Armando Maradona - Radio Pop 101 “Carlitos ha litigato sia con Bilardo che con Grondona, è questo il motivo per il quale è stato letteralmente fatto fuori dalla nazionale argentina. Vedo l’Argentina molto bene a partire dalla metà campo, il problema grosso è la difesa. Quando c’ero io mi parlavano del problema di chi far giocare di punta, adesso gioca Campagnaro...” Diego Armando Maradona - Radio Pop 101

Il fair play di Mourinho “Non auguro a Suarez un grave infortunio, ma un qualcosa di piccolo, un infortunio non grave che però lo renda indisponibile almeno per quattro giorni”. José Mourinho - SkySport

Il fair play di Platini “I conti finanziari dei club europei sono stati studiati con attenzione, saremo in grado di adottare misure che sono imperative per il benessere del calcio. Tutte queste misure non ci rendono più popolari, ma il mio obiettivo non è quello di essere popolare, bensì di essere responsabile”. Michel Platini – Ansa

Mazzarri e il bicchiere mezzo vuoto... “Non sono stato fortunatissimo, l’Inter è un club nel quale tutti i tecnici aspirano ad arrivare ma io ci sono capitato nel momento più particolare della sua storia. Forse avrei preferito un momento storico diverso (...)Io accetto qualsiasi tipo di progetto, l’importante è che ci sia chiarezza fra le parti. Se c’è chiarezza fra me, società e ambiente va tutto bene. Il progetto di una società così importante mi affascina per forza”. Walter Mazzarri – SkySport 78 calcio2000 feb 2014 78 calcio2000 feb 2014

Diego Milito – Fox Sports

La rivincita di De Sanctis “Mi prendo la mia rivincita: in tanti mi davano per finito, dicevano che volevano cacciarmi dalla Nazionale, invece adesso si parla del mio ritorno. Io però sono coerente. Decisi di lasciare la Nazionale anche per dei motivi familiari. Poi, allora, a 36 anni, stavo giocando nel Napoli e potevo fare la Champions con loro: dovevo concentrarmi. Adesso, per la Roma, è la stessa cosa. Spero che Buffon, Sirigu ed altri portieri facciano bene”. Morgan De Sanctis – Ansa

L’inganno di Honda “Il Milan ci ha ingannati. E noi non siamo abituati ad essere truffati. A luglio ho parlato con i rappresentanti del Milan, i quali mi hanno assicurato che con Honda non avevano avuto nessun contatto. Il giocatore e suo fratello mi avevano promesso che avrebbero rinnovato con noi, ma poi questo non è accaduto proprio per la corte dei rossoneri. Honda potevo venderlo all’Everton qualche mese fa, ma non ho potuto perché lui voleva soltanto il Milan. Non ho avuto scelta. Ma è nei suoi diritti scegliersi il suo nuovo club. Potrò sbagliarmi, ma credo che non giocherà molto in Italia...”. Evgeni Giner, Presidente CSKA Mosca - bobsoccer.ru

Niang vs Balotelli “A Milano negli ultimi mesi non sono riuscito ad esprimermi così come avrei voluto e l’unico desiderio che avevo, in questo momento, era cercare di tornare quello di prima ed aiutare il Montpellier a rilanciarsi grazie a me. Non viene tenuto in conto tutto il lavoro che facciamo per Balotelli, chi vede il Milan può constatare che noi esterni, ma anche la squadra nel complesso, giochiamo per lui ed è per questo che le statistiche offensive di Balotelli risaltano più di quelle degli altri attaccanti”. Mbaye Niang – La Gazzetta dello Sport


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Che la sfida abbia inizio!

26 settembre

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