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CALCIo2000 L’enciclopedia del calcio diretto da Fabrizio Ponciroli

n.193 gennaio 2014

Le verità di Paulinho

“Devo ringraziare Vidigal…”

pag.18

serie B

d’agostino, fede bianconera

Portieri nella leggenda

Boranga, l’eterno

pag.24

pag.32

Esclusiva JOAQUIN

“La Fiorentina è il mio Barcellona”pag.8

Speciale Sport USA

“Tutti a caccia di Re James” pag.36 pag.50 pag.52

pag.58

Gerd Muller, il Tiranno Confessioni da Campione I ricordi di Mazzola Dove sono finiti bisonte hubner Miti del calcio



di Fabrizio Ponciroli

editoriale

è ARRIVATO IL TIKI TAKA... CALCIo2000 L’enciclopedia del calcio diretto da Fabrizio Ponciroli

Esclusiva JOAQUIN

n.193 gennaio 2014

“La Fiorentina è il mio Barcellona”pag.8

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è poco da dire, in Spagna sanno come giocare la palla… Basta osservare il gioco del Barcellona per rendersi conto della bontà dei piedi dei calciatori spagnoli. Fiorentina e Napoli hanno deciso di rischiare, provando a portarsi a casa diversi “tecnici” iberici. Devo ammetterlo, visto i precedenti (gli spagnoli non hanno quasi mai fatto bene in Italia, penso al mio vecchio idolo De La Pena), non ero ottimista ed, invece, anche grazie a Montella, uno che adora il calcio champagne, e a Benitez (di scuola spagnola), LE vErItà dI pAULINhO “dEvO rINgrAzIArE vIdIgAL…” pag.18 i risultati sono stati entusiasmanti. A Joaquin, stella iberica della Viola, abbiamo formulato tanti quesiti, in particolare su questa “invasione” spagnola… Vi consiglio di darci un’occhiata… Così come vale la pena gustarvi l’intervista a Paulinho. Che fosse un giocatore importante lo sapevo da tempo, che fosse SErIE B pag.24 d’AgOStINO, fEdE BIANcONErA tanto divertente è stata una sorpresa. Questo è un numero ricco amici, si spazia dall’eterno Boranga alle confidenze di Mazzola, passando per Tovalieri, Hubner, D’Agostino e tante curiosità storiche. Visto l’arrivo delle Feste, mi sembrava doveroso un numero all’altezza… Ma ora passiamo all’attualità. Lo confesso, sono preoccupato. Dopo un inizio confortante, sono affiorante, anpOrtIErI NELLA LEggENdA pag.32 BOrANgA, L’EtErNO cora una volta, le polemiche di sempre. Siamo sempre in attesa che il governo (con la “g” minuscola appositamente) si svegli sulla questione “legge stadi” (ora hanno detto che a gennaio si farà, stiamo a vedere) e le contestazioni dei tifosi (anzi, imbecilli) proliferano. Sorvolo sul caso Nocerina (sempre convinto SpEcIALE SpOrt USA pag.58 che le pene siano troppo leggere) ma mi soffermo sulla recente contestazione “tUttI A cAccIA dI rE JAmES” dei tifosi del Milan. “Avete infangato la nostra storia” si leggeva su uno strigErd mULLEr, IL tIrANNO scione della Curva. Scusate, ma scherziamo? Se il Milan è diventato un nome I rIcOrdI dI mAzzOLA BISONtE hUBNEr altisonante nel mondo è stato grazie proprio a questa dirigenza. A tutti capita di avere annate negative ma questo nessuno lo accetta, in Italia ovviamente. Eh sì, perché all’estero, c’è chi, sotto 0-3 in casa e con un’eliminazione sicura dall’Europa (leggi Celtic) applaude i propri giocatori comunque. Dal punto di vista della sportività e del tifo, siamo dei trogloditi. Attenzione, so bene che non siamo tutti così ma fa male vedere sempre le solite scene di follia. Tutti hanno diritto di fischiare la propria squadra, nessuno deve andare oltre, o meglio, nessuno dovrebbe andare oltre… Lo ripeto, sono preoccupato… pag.36

mItI dEL cALcIO

pag.50

cONfESSIONI dA cAmpIONE

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dOvE SONO fINItI

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sommario193 serie A

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serie a

La bocca del leone di Fabrizio Ponciroli Intervista Esclusiva Joaquin di Leonardo Batistini e Irene Calonaci Intervista Esclusiva Paulinho di Fabrizio Ponciroli Scuola Calcio De Ceglie di Fabrizio Ponciroli

altri campionati italia 24 Serie B – D’Agostino di Stefano Benetazzo 28 Rubrica LegaPro - Pro Vercelli di Gabriele Cantella 30 Rubrica Serie D – Triestina di Carlo Tagliagambe

il calcio racconta 32 Una leggenda per ruolo - Boranga di Francesco Scabar 36 I miti del calcio - Muller di Luca Gandini 40 Accade a Gennaio di Simone Quesiti 42 Speciale Champions League di Gabriele Porri 48 A un passo dalla gloria - Tovalieri di Alfonso Scinti Roger 50 Confessioni del campione - Mazzola di C. Tagliagambe e G. Cantella 52 Dove sono finiti? Hubner di Pierfrancesco Trocchi 54 Top 11 – Australia di Antonio Vespasiano

esteri 58 64 68 72 76

Speciale NBA di Thomas Saccani Spagna - Il Caso Casillas Inghilterra - Il Miracolo dei Saints Germania - Il ‘ricercato’ d’Europa! Francia - Galletti a cresta alta

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Registrazione del Tribunale di Milano n.362 del 21/06/97

Direttore Responsabile Alfonso Giambelli Direttore Editoriale Fabrizio Ponciroli redazione@calcio2000.it Responsabile Iniziative Speciali Riccardo Fiorina rfiorina@calcio2000.it Caporedattore Sergio Stanco redazione@calcio2000.it Redazione Tania Esposito redazione@calcio2000.it Giancarlo Boschi Hanno collaborato Daniele Chiti, Renato Maisani, Antonio Longo, Deborah Bassi, Luca Gandini, Alvise Cagnazzo, Gianpiero Versace, Luca Manes, Flavio Sirna, Paolo Mandarà, Stefano De Martino, Antonio Giusto, Nicola Pagano, Eleonora Ronchetti, Simone Grassi, Gianluigi Bagnulo, Antonio Vespasiano, Matteo Perri, Francesco Del Vecchio, Antonio Modaffari, Gabriele Porri, Paolo Camedda, Alessandro Basile, Francesco Schirru, Pasquale Romano, Elvio Gnecco, Dario Lisi, Francesco Ippolito, Roberto Zerbini, Andrea Rosati, Silvia Saccani, Lorenzo Stillitano, Riccardo Cavassi, Antonello Schiavello, Alfonso Scinti Roger, Elmar Bergonzini, Alessandro Casaglia, Simone Quesiti, Pierfrancesco Trocchi, Stefano Benetazzo, Nicolò Bonazzi, Gianni Bellini, Francesco Scabar, Daniele Berrone, Irene Calonaci, Simone Beltrambini, Gabriele Cantella Realizzazione Grafica Francesca Crespi Fotografie Agenzia fotografica Liverani Statistiche ACTION GROUP srl Concessionaria esclusiva per la pubblicità ACTION GROUP srl Via Londonio 22 2O154 Milano Tel. 02.345.38.338 Cell. 338.900.53.33 e-mail: media@calcio2000.it

Numero chiuso il 30 novembre 2013 Il prossimo numero sarà in edicola il

15 gennaio 2014

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Per scriverci – media@calcio2000.it

JUVE SU TUTTE

Ciao Fabrizio nel rinnovarti i complimenti per il giornale (bellissima in particolare la rubrica “dove sono finiti”) ti chiedo una cosa dopo aver letto il tuo ultimo editoriale. Davvero pensi che sia un campionato incerto? Per me è già vinto per evidente mancanza di concorrenza ancora dalla Juventus. L’anno scorso c’era la favoletta del Napoli quest’anno le meteore si chiamano ancora Napoli e Roma. Finché qualcuno non si decide a spendere sul mercato lo scudetto sarà sempre bianconero. Infatti caso strano l’ultima, prima della Juve, a vincer il tricolore è stata il Milan quando aveva Ibra, Thiago Silva ecc... Ciao Alessandro, mail firmata Ciao Ale, comprendo le tue ragioni ma io resto della mia idea. La Juventus, non dimenticarlo, ha anche impegni in Europa (Champions o Europa League che sarà) e questo, alla lunga, potrebbe incidere, soprattutto nei confronti della Roma, concentrata solo sul campionato. Il Napoli mi piace molto. Magari non sarà ancora pronto per vincere ma mi pare ancor più determinato dell’anno passato. Personalmente non credo che la differenza la facciano i soldi spesi. La Juventus ha una fame pazzesca, anche in giocatori come Peluso o Padoin, non proprio delle stelle del calcio assolute… Comunque credo ancora che sarà un campionato incerto. Vedremo…

MISTERO MUTU

Buongiorno Direttore, che bello leggere il suo giornale. Sarò uno all’antica ma mi piace molto di più avere il giornale in mano e quindi continuerò a comprarlo. Senta, le chiedo una cosa, magari mi aiuta. Da buon tifoso della Viola mi stavo chiedendo

consigli per la console

Football Manager 2014, è la versione più ricca di funzionalità e tecnicamente avanzata nella storia della serie. Beneficiando di oltre 1.000 miglioramenti e innovazioni rispetto al suo più recente predecessore, FM 2014 è la più realistica simulazione manageriale di calcio che sia mai stata sviluppata. Da provare… NBA 2K14 è il più venduto e più votato videogame sulla NBA. Quest’anno per la prima volta nella sua storia, il franchise si arricchisce con la presenza di 14 Team della Turkish Airlines Euroleague, tra cui EA7 Emporio Armani Milano e Montepaschi Siena. Il gioco sarà disponibile dal 4 Ottobre per PlayStation®3, Xbox 360®, PC e successivamente anche per PlayStation®4 e Xbox One®. WWE 2K14 porta tutto lo spettacolo del leggendario mondo del Wrestling direttamente in un videogioco! Il roster di lottatori comprenderà non solo i campioni della lega, ma anche i grandi wrestler del passato come Hulk Hogan e Ultimate Warrior, per mettere in scena avvincenti ed entusiasmanti incontri all’ultima mossa. Il titolo sarà disponibile dal 1°Novembre per PlayStation®3 e Xbox 360®.

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di Fabrizio Ponciroli

dove fosse finito Mutu? So che era in Francia ma non ho più saputo nulla, non ne parla più nessuno. A me piaceva, quando era in giornata, poteva anche vincerti la partita. Peccato non fosse continuo ma era gagliardo… Leo, mail firmata Caro Leo, grazie per i complimenti. Mutu è vivo e vegeto. Recentemente, via Twitter, ha fatto sapere che, a gennaio, tornerà a giocare in Romania, lasciando l’Ajaccio (club francese in cui milita dall’agosto del 2012). Andrà a giocare nelle fila del Petrolul, compagine de massimo campionato rumeno. Guarda, io ho una teoria su Mutu: con i mezzi tecnici di cui è in possesso, ha deluso e non poco… Io lo ricordo, giovanissimo, all’Inter. In allenamento faceva cose pazzesche ma è sempre stato indolente e con troppe distrazioni per diventare un gran giocatore. Uno dei tanti che poteva farcela ma che si è perso per strada…

be partire. Secondo lei quanto può valere il suo cartellino? Secondo me almeno 50 milioni di euro o sono troppi? Gioca come un fuoriclasse ed è giovanissimo, 50 milioni li vale, no? Il problema è chi prendi poi con quei soldi. Non vedo in giro tanti Pogba. Marco, mail firmata Caro Marco, Pogba è un Top player, non ci sono dubbi a tal proposito. Ogni volta che lo vedo in campo, ringrazio i dirigenti della Juventus per averlo strappato alla concorrenza. L’ennesima dimostrazione che, anche a parametro zero, si possono fare grandi acquisti. Guarda, in prospettiva, Pogba può diventare il nuovo Bale (valutato 100 milioni di euro). Ha un talento smisurato e una personalità difficilmente riscontrabile in altri giocatori. Non sarà facile trattenerlo, anche se, ad onor del vero, la Juventus gli ha fatto firmare un contratto sino al 2016, quindi è abbastanza tutelata. Chi prenderei al posto di Pogba? Pogba, non vedo alternative…

AL VOLO…

Direttore, milanista infuriato. Mi dice al volo chi manderebbe via a gennaio tra i giocatori e chi prenderebbe? Sono curioso di avere il suo parere… Franco, mail firmata Al volo. Terrei quelli che ho e cercherei un difensore centrale di valore, da affiancare a Zapata, Mexes e Bonera. Vero che arriva Rami ma uno forte serve. Ricordo che c’è Terry in scadenza di contratto con il Chelsea… Giocherei con l’albero di Natale, con Honda e Kakà dietro a Balotelli (Pazzini e Matri le alternative). Più al volo di così…

riceviamo e pubblichiamo ARRETRATI

QUANTO VALE POGBA?

Egregio Direttore, spero che possa pubblicare questa mail. Sono un tifoso juventino e mi sto divertendo a vedere tutti quanti rosicare per Pogba. Lo abbiamo preso a zero e ora tutti lo vogliono. Io spero che la Juventus lo tenga ma ho paura che potreb-

Salve sono un edicolante. Un mio cliente mi ha chiesto se riuscivo a procurargli degli arretrati della Vs rivista Calcio2000. I numeri sarebbero: 43, 183, 184, 185, 186, 187, 188, 189, 190, 191. La mia rivendita è la n. 116 F.lli Ormea snc e si appoggia al Distributore Locale ADG RAGALZI & C - Sanremo (IM). Vi prego di rispondermi per poter dare delle spiegazioni al mio cliente ed evitare una brutta figura Carlo, mail firmata So che questo è un problema per tanti ma, purtroppo, non abbiamo arretrati… Sto cercando di trovare una soluzione ma, al momento, non è ho…. Portate pazienza…

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intervista - Joaquin Sanchez Gonzalo

di Leonardo Batistini e Irene Calonaci

La Spagna a Firenze Joaquin è un pezzo della comunità spagnola che si sta creando nel capoluogo toscano. E la Fiorentina di Montella assomiglia al Barcellona…

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rrivato a Firenze sottotraccia, Joaquin Sanchez Gonzalo in poche settimane ha conquistato la stima di Vincenzo Montella e l’affetto dei tifosi viola. L’esterno spagnolo ha realizzato il primo goal in maglia viola in casa contro la Juventus in una gara che rimarrà negli annali dei supporter gigliati (da 0-2 a 4-2 con gol decisivo proprio del laterale spagnolo, appunto). I suoi punti di forza in campo sono la velocità ed il dribbling, ma durante l’intervista abbiamo capito che anche la sua capacità di fare gruppo è importante per la squadra. Grandissima 8 calcio2000 gen 2014

esperienza e tecnica al servizio della squadra: e se la Fiorentina di oggi è un piccolo Barcellona, parte del merito è anche suo, di Borja Valero e compagnia. Il resto ce lo mette un tecnico giovane, sfrontato e all’avanguardia come Montella, che chiede alla squadra un calcio propositivo e offensivo come raramente siamo abituati a vedere sui nostri campi. Di tutto questo parliamo con Joaquin. Iniziamo col chiederti come ti stai trovando a Firenze dopo tanti anni nel calcio spagnolo… “Mi trovo molto bene a Firenze, ho passato il periodo di adattamento e

adesso mi sono ambientato in città e nella squadra. Con la Fiorentina stiamo attraversando un periodo positivo e giochiamo molto bene, ricordando un po’ il modo di giocare spagnolo”. A proposito di gioco, come ti trovi con i moduli di Montella? “Giocare con la difesa a cinque per me risulta difficoltoso, invece col 4-3-3 che abbiamo adottato ultimamente mi posso esprimere al meglio. Il mister ci prepara molto a livello tattico durante gli allenamenti per poi lasciarci liberi di creare in fase di attacco durante la partita. Il gioco di Montella è bellissimo, noi giocatori ci divertiamo molto


e di conseguenza anche il pubblico gradisce. Il gioco di Montella credo sia l’idea vincente per il calcio del futuro”. Ci dici qualcosa in più di Montella? “È un allenatore che conosce tutto del pallone, è fenomenale e ripeto che la sua idea di calcio è quella del futuro. Lui ci carica mentalmente ma ci prepara anche tatticamente con una filosofia votata all’attacco. Non è facile gestire un gruppo così numeroso ma lui ci riesce, per fortuna ci sono anche tante partite quest’anno a dargli una mano e ci sarà spazio per tutti (ride ndr)”. Hai segnato un goal decisivo nell’incredibile rimonta con la Juventus, cosa hai provato in quel momento? “Non era facile far goal eh!! Quando mi è arrivata la palla ho sentito il peso di tutto lo stadio addosso, una sensazione incredibile. Poi ho visto la rete gonfiarsi e sono esploso di gioia. Con la Juve ho vissuto i cinque minuti più intensi della mia carriera, loro non ci stavano capendo niente e noi ne abbiamo approfittato alla grande”. Il tuo soprannome in Spagna è Toreador?

L’Andalusia nel cuore

Joaquin, nella Liga, ha indossato le casacche di Betis, Valencia e Malaga

di Carlo Tagliagambe

Joaquín Sánchez Rodríguez è nato nel sud della Spagna nel 1981, terzo di otto fratelli. Da sempre orgoglioso delle proprie radici andaluse, da piccolo sognava di diventare un famoso torero: a spingerlo verso il pallone è stato uno zio (scomparso nel 2002) soprannominato ‘El Chino’, che Joaquin considera un vero e proprio mentore. Dopo essersi messo in evidenza nella cantera del Betis Siviglia, squadra per la quale faceva il tifo fin da bambino, esordisce in prima squadra nella stagione 2000-01, diventando subito un titolare fisso della formazione bianco-verde. Dopo sei stagioni ad altissimi livelli (che gli valgono la convocazione in nazionale per i mondiali del 2002 e del 2006 e la vittoria di una Coppa del Re), sente però l’esigenza di cambiare aria: i rapporti con la presidenza del club si fanno pesanti, e il giocatore annuncia pubblicamente la rottura, sebbene sia prigioniero di una clausola da 120 milioni di euro che ne rende proibitivo l’ingaggio. Alla fine, dopo una lunga trattativa, è il Valencia a spuntarla: bastano 25 milioni, e Joaquin diventa un pipistrello, risultando l’acquisto più caro della storia del club. Le cinque stagioni con i Taronges (segnate dalla vittoria di un’altra Coppa del Re) sono però caratterizzate da un rendimento altalenante: lontano da casa, il puledro di razza sembra aver smarrito le sue caratteristiche sgroppate sulla fascia, finendo per spazientire i tifosi che lo avevano accolto tra gli squilli di tromba. Persa la maglia da titolare, e con essa il posto in nazionale, Joaquin sceglie quindi di riabbracciare la sua Andalusia sposando l’ambizioso progetto del Malaga e dello sceicco Nasser: l’aria di casa porta buone prestazioni e bel gioco, che gli consentono di ritagliarsi un ruolo importante tra i Boquenores, in rampa di lancio sia nella Liga che in Champions League. Quindi, l’ennesima sfida della sua carriera: innamoratosi della città di Firenze e della Fiorentina di Montella, sceglie di portare la sua esperienza e il suo ritrovato entusiasmo in un campionato tatticamente difficile (e tradizionalmente ostile agli spagnoli) come la serie A. È qui che Joaquin conta di intonare il suo canto del cigno…

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Intervista - Joaquin Sanchez Gonzalo

“Esulto facendo il Torero perché mi piace quest’arte e da qui nasce il mio soprannome. Credo che il Torero sia il mestiere più bello al mondo. Io mi sento sempre Torero in campo, ho tanti amici che fanno questa professione. La Corrida è una cosa che mi manca molto in Italia, meno male che tra poco ci saranno le vacanze e potrò tornare nella mia città ad assaporarmi questo spettacolo”. Parlando di futuro invece, che progetti hai? “Con precisione non saprei, per il momento posso dire di volermi concen-

trare sulla Fiorentina. Può darsi anche che torni a finire la carriera in Spagna, però qui ho tre ani di contratto e quando finirà ne avrò 35… Inizio ad essere vecchiotto per il calcio ma spero di fare come Ambrosini che nonostante i suoi 36 anni continua a giocare alla grande”. Ci dai un giudizio sui tuoi compagni Borja Valero e Pepito Rossi che già avevi conosciuto da avversari quando giocavi in Spagna? “Borja è il numero uno in assoluto, un radar a centrocampo. Mi ricordavo di lui quando giocava nel Villareal ed era

Tra i tanti spagnoli visti in Italia, come non citare De La Pena, il Piccolo Buddha della Lazio

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bravissimo, non ha avuto problemi ad adattarsi anche nel campionato italiano. Cerca sempre il pallone e lo gioca con facilità. Rossi ha recuperato a pieno dai duri infortuni che lo hanno colpito mentre militava in Spagna ed è un attaccante fortissimo, come tecnica non ha niente da invidiare a nessuno in Europa”. Gomez invece quanto vi è mancato? “Gomez è un altro fenomeno del calcio, con lui il modo di giocare è diverso e magari anche la mia abilità nei cross può essere sfruttata meglio con lui in campo. E’ stato davvero un peccato il suo infortunio”. Un compagno con cui hai potuto legare fin da subito isto che parla la tua solita lingua è Cuadrado, cosa ne pensi di lui? “È un grandissimo giocatore, anche se a volte pecca di egoismo e tende ad alzare poco la testa, ma spesso grazie a questo riusciamo a creare superiorità numerica. A Firenze può esprimersi al meglio, deve ancora fare esperienza ma si diverte molto a giocare qui e si vede. Ha tutte le potenzialità per diventare un campione assoluto”. Un altro spagnolo in Italia invece è Benitez... “Lui ha sempre avuto una mentalità italiana e conosce bene la lingua, è molto attento alla fase difensiva e ce ne siamo accorti quando abbiamo affrontato il Napoli. Loro hanno difeso per 90’ ed alla fine hanno strappato i tre punti con due grandi giocate. Comunque sta lavorando bene pure lui ed ha una squadra molto forte e solida a disposizione”. La Fiorentina in Europa come la vedi? “Credo che stiamo facendo molto bene e puntiamo ad arrivare in fondo anche se sappiamo che non sarà facile, in Europa League ci sono troppe partite da giocare. Per fortuna abbiamo una rosa abbastanza lunga ed attrezzata”. Ed in campionato invece dove potete arrivare? “L’obiettivo ovviamente è quello di stare più in alto possibile, diciamo tra le prime cinque. Dobbiamo pensare partita dopo partita e cercare di vin-


la spagna a firenze Talento inarrestabile, Joaquin ha nel dribbling la sua dote migliore

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Intervista - Joaquin Sanchez Gonzalo

cerne il maggior numero. Per adesso abbiamo dimostrato forza e personalità vincendo gare importanti come quelle col Milan e la Juventus”. Per quanto riguarda la lotta allo scudetto invece, chi vedi come favorita? “Juventus e Napoli sono le squadre più forti sulla carta, però non si può mai sapere. La Roma sta giocando molto bene ma come rosa è un po’ inferiore e non so se riuscirà a tenere questo ritmo. Poi ci siamo anche noi a voler dire la nostra ma è sempre molto difficile fare previsioni di questo tipo”. Si dice che come modo di giocare la Fiorentina ricordi un po’ il Barcel-

lona, sei d’accordo? “La squadra di Martino ha qualche giocatore in più di noi che porterei volentieri a Firenze (ride ndr). Noi abbiamo un gioco simile anche se sviluppato a modo nostro, siamo votati all’attacco e teniamo molto il possesso palla. Sono davvero convinto che questo è il calcio del futuro. Non ci possiamo sicuramente paragonare col Barça come obiettivi e risultati ma possiamo fare bene anche noi”. In vista dei Mondiali, cosa ne pensi della Nazionale italiana e di quella spagnola? “La Spagna probabilmente è la favorita in assoluto, ma anche l’Italia è soli-

da e nelle competizioni importanti non sbaglia quasi mai. Io non credo di poter tornare in Nazionale, mentre Borja Valero ha buone possibilità anche se a centrocampo la concorrenza è molta. È capitato in un periodo sbagliato. Giuseppe Rossi invece credo avrà il suo spazio con gli azzurri”. Cosa ne pensi degli arbitri italiani, spesso oggetto di polemica? “Le polemiche sugli arbitri ci sono anche in Spagna. Una domenica vedo un arbitro bravo e la settimana dopo uno pessimo. Credo però che il loro non sia un mestiere facile, devono prendere decisioni complicate in pochi secondi. A volte non ci capiamo molto neanche

SPAGNA E ITALIA: ODIO E AMORE Gli spagnoli e la Serie A, un binomio non sempre vincente. Fenomeni in patria, assai meno fenomenali in Italia, dove raramente sono riusciti a imprimere una traccia profonda del loro passaggio. E pensare che la storia dei calciatori spagnoli nel nostro campionato era cominciata col piede giusto. Il piede, e che piede, era quello del grande Luisito Suarez, approdato nell’estate del ‘61, in quella che di lì a poco sarebbe diventata la Grande Inter. Giunto dal Barcellona, per l’allora cifra monstre di 25 milioni di pesetas, circa 300 milioni delle vecchie lire, con cui il club blaugrana finanziò la costruzione di un nuovo anello del Camp Nou, Luisito ritrovò a Milano Helenio Herrera, già suo allenatore ai tempi del Barca, che da mezzala lo convertì in regista davanti alla difesa, consegnandolo alla storia come uno dei più raffinati interpreti del ruolo di tutti i tempi. All’Inter Suarez arrivò da Pallone d’Oro, primo e finora unico spagnolo ad aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento ideato e promosso da France Football. Nelle sue nove stagioni in maglia nerazzurra, il numero 10 originario di La Coruna, vinse la bellezza di tre scudetti, due Coppe dei Campioni e altrettante Coppe Intercontinentali, prima di chiudere alla Samp una carriera semplicemente straordinaria. Un anno dopo Suarez, sbarcò in Serie A pure Luis Del Sol, ma alla Juventus, che riuscì a strapparlo al Real Madrid dei fenomeni Di Stefano, Puskas e Gento, soffiandolo ai cugini granata, impossibilitati a concludere l’affare per mancanza di liquidi. Con le merengues Del Sol aveva conquistato due campionati, una coppa del re, ma soprattutto una Coppa Campioni e una Intercontinentale, mentre in otto stagioni di militanza bianconera conquisterà uno scudetto e una Coppa Italia, per poi passare alla Roma e infine fare ritorno al Betis, club nel quale aveva cominciato la sua avventura tra i professionisti. Se Suarez era il cervello della sontuosa Inter del Mago Herrera, Del Sol, ribattezzato dal suo ex compagno di squadra Di Stefano “il postino del gioco”, diventò in breve tempo il perno della Juve operaia dell’altro Herrera, Heriberto, il sergente, profeta del “movimiento”. Complice la chiusura delle frontiere, la specie calciatori spagnoli in Italia si estinse definitivamente fino a fine anni ’80, inizio anni ‘90, quando prima la Samp portò in Liguria Victor Munoz (prelevandolo dal Barcellona, due stagioni in blucerchiato per lui) e poi il Toro acquistò Martin Vasquez, uno dei cinque componenti di quella che rimase negli annali come la “Quinta del Buitre”, il quintetto di fenomeni, guidato dall’avvoltoio Emilio Butragueno, che tutta Europa invidiava al Real Madrid nel decennio ‘80. Comincia forse proprio con Vasquez la parabola discendente degli spagnoli nel nostro campionato, che toccherà il suo punto più basso a cavallo fra il tramonto del ventesimo secolo e gli albori del terzo millennio, quando una vera e propria ondata di bidoni iberici si abbatterà sulla Serie A. Ad aprire le danze, Ivan Helguera, oggetto misterioso nella Roma 1997/98 con appena 9 presenze all’attivo, poi divenuto famoso e vincente nel Real dei galacticos Zidane, Figo e Raul. Nella stagione successiva, l’ambiziosa Lazio di Sergio Cragnotti portò nella Capitale il “Piccolo Buddha” Ivan de la Pena, prelevandolo dal Barcellona per la modica, si fa per dire, cifra di 30 miliardi di lire. Campione in blaugrana, bidone in biancoceleste, non ci furono vie di mezzo. Dopo appena un anno a Roma, per “il pelato” ebbe inizio un lungo girovagare in prestito che lo condusse infine di nuovo a Barcellona, ma stavolta all’Espanyol. Archiviato l’infelice capitolo de la Pena, la

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la spagna a firenze

Classe 1981, lo spagnolo Joaquin ha segnato la sua prima rete in Italia contro la Juventus

Lazio ci ricascò ancora, devolvendo “in beneficenza” al Valencia, la modesta sommetta di 89 miliardi di vecchie lire, in cambio dell’impalpabile fantasma di Mendieta, perché il Mendieta vero, in carne ed ossa, a Roma non arrivò mai, almeno a giudicare dalle mirabolanti imprese per le quali il centrocampista basco era divenuto celebre in patria. Se il detto latino “nemo profeta in patria” si rivela spesso veritiero, non si può dire lo sia altrettanto nel caso dei calciatori spagnoli, al contrario, quasi sempre profeti in patria, quasi mai fuori. Non fanno eccezione gli attaccanti Josè Mari e Javi Moreno, entrambi acquistati dal Milan tra il ‘92 e il 2001, il primo proveniente dall’Atletico Madrid, il secondo, protagonista nell’Alaves dei miracoli, che sfiorò uno storico trionfo in Coppa UEFA, sconfitto in finale più dalla cattiva sorte che dal Liverpool di Owen e Fowler. Per Josè Mari il ragguardevole bottino di ben 5 reti in due stagioni con la casacca rossonera, mentre fece di gran lunga meglio Javi Moreno, che di gol ne realizzò 2, ma in un solo anno, numeri da rapace dell’area di rigore. Persino un fuoriclasse del calibro di Pep Guardiola incontrò non poche difficoltà al suo arrivo in Italia, dopo un Cursus Honoris di tutto rispetto in blaugrana, difficoltà che non gli consentirono di imporsi nella Roma di Fabio Capello, costringendolo a migrare a Brescia, dove quella vecchia volpe di Carletto Mazzone riuscì a restituirgli lo smalto dei tempi migliori. Quasi nessuno, immaginiamo, si ricorderà delle meteore Portillo e Tristan, transitati fugacemente uno a Firenze, l’altro a Livorno, senza che anima viva avesse fatto in tempo ad accorgersene. Così come anima viva non si è accorta del passaggio di Victor Ruiz dal Napoli e di Didàc Vila al Milan un paio di stagioni or sono. Centrale difensivo il primo, terzino il secondo, entrambi entrati a far parte di diritto della Flop 11 dei calciatori spagnoli in Italia. Tra i titolari inamovibili di questa formazione tutt’altro che ideale non possiamo non includere i due ex romanisti Josè Angel e Bojan Krkic, tutti e due fortissimamente voluti dallo spagnolo Luigi Enrico, al secolo Luis Enrique, nella sua unica, sciagurata stagione sulla panchina della Roma, al termine della quale Angel fu immediatamente rimpatriato, mentre Bojan ceduto al Milan, dove riuscì nell’impresa, in verità per niente semplice, di fare peggio di quanto visto in giallorosso. Il resto è storia di oggi, da Borja Valero a Joaquin, da Albiol a Callejon, fino a Llorente. L’ex Villareal, alla sua seconda stagione nella Fiorentina, sta ripetendo quanto di buono ha mostrato l’anno passato, confermandosi centrocampista dalla classe cristallina e dal tocco di palla felpato, capace di trovare sempre il compagno meglio piazzato con la giocata giusta al momento giusto e anche di finalizzare la manovra offensiva sfruttando la sua proverbiale abilità negli inserimenti. Positivo anche l’impatto in viola di Joaquin, già idolo della Fiesole, dopo il gol-vittoria contro la Juventus. Juventus che ha trovato nell’ex bilbaista Llorente quell’ariete che mancava in un parco attaccanti ricco di seconde punte e fantasisti, ma orfano di un vero nueve dai tempi di re David Trezeguet. Azzeccati si sono fin qui rivelati pure gli acquisti di Albiol e Callejon da parte dell’ambizioso Napoli di Aurelio De Laurentiis. Il primo ha sigillato la difesa partenopea, affinando partita dopo partita l’intesa col compagno di reparto Britos, il secondo, già 6 gol in questo campionato, sembra la spalla ideale per il Pipita Higuain, l’uomo giusto per lanciare a rete l’argentino. Gli spagnoli e la Serie A, un binomio oggi finalmente vincente.

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Intervista - Joaquin Sanchez Gonzalo

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A Firenze gli spagnoli rendono al massimo, basti pensare a Borja Valero

noi dopo aver rivisto l’episodio in tv, immaginatevi in campo”. A proposito di Tv, cosa ne pensi della moviola in campo? La metteresti nel calcio? “Decisamente no, il calcio è bello così e sono sempre stato contrario alla moviola. Gli errori arbitrali fanno parte del calcio e ci dobbiamo convivere tutti. Non penso sia giusto nemmeno tornare sulle decisioni già prese dall’arbitro anche se sbagliate”. Parlando un po’ della tua vita privata, cosa ti manca maggiormente della Spagna? “Rispetto all’Andalusia qui si vive molto diversamente, c’è meno allegria e divertimento però si sta bene. Firenze è una città bellissima e mol14 calcio2000 gen 2014

to turistica non c’è niente che non mi piaccia. I tifosi sono molto passionali, e questo fa piacere a qualsiasi giocatore. Vivo qui con mia moglie i miei due figli e spesso mi vengono a trovare i miei familiari. Della Spagna mi manca soprattutto il mare e la Corrida”. Hai degli Hobbies, oltre al calcio ovviamente? “Al di fuori degli allenamenti preferisco giocare a tennis e adoro molto dormire, mi piace passeggiare in centro con i figli ed i tifosi sono molto rispettosi, mi riconoscono ma sono molto tranquilli. In Andalusia invece è un po’ più complicato andare in città perché i tifosi ti fermano costantemente per foto ed autografi”. Giochi ai videogames? Sapevi che a

PES qualche anno fa weri il giocatore più forte sulla fascia? “Non mi sono mai piaciuti, anche da piccolo ho sempre preferito uscire e giocare a calcio in strada con gli amici. Però sapevo che in molti si litigavano per prendermi in squadra alla play station perché mi avevano fatto molto veloce (ride ndr)”. Veloce ai videogiochi, ma anche in campo. Concreto e concentrato sull’oggi, ma già con un occhio al “calcio del futuro”. Lo ha ripetuto più e più volte durante l’intervista: questa Fiorentina gioca un calcio all’avanguardia e Montella è un grande, grandissimo tecnico. Questa squadra, dunque, ha grandi obiettivi e non pensate che ci rinunci tanto facilmente…


di Fabrizio Gerolla

Brasile ai Mondiali 2014, Bayern in Champions, e Juventus in Italia

Squadra di casa favorita in Coppa del Mondo, solo Germania in Europa e bianconeri ancora favoriti per il tricolore Completato il quadro delle 32 squadre partecipanti alla Coppa del Mondo di calcio del prossimo anno in Brasile, Bet1128 ha aperto le scommesse sulla nazionale che conquisterà il titolo. In pole position ci sono proprio i brasiliani quotati a 4.50 davanti alla Germania (6,50) e all’Argentina (7,25) vincitrice del proprio gruppo di qualificazione. Segue la Spagna (campione del mondo e d’Europa in carica) a 8,00. Cammino difficile per l’Italia: la vittoria degli azzurri si gioca a 25,00, un valore che al momento li vedrebbe quindi fuori dal podio Mondiale. Quote più alte per tutte le altre squadre comprese Uruguay (28), Portogallo e Francia (32), Cile (40) e Russia (110). Nella massima competizione Europea per Club le quote confermano i campioni in carica del Bayern Monaco. Secondo Bet1128 la Coppa dalle grandi orecchie finirà anche quest’anno nella mani della squadra tedesca, favorita in lavagna a 3,50. Seguono Barcellona a 5.50 e Real Madrid a 6,50. Al quarto posto troviamo il Chelsea a 15,00, seguito dal Paris St Germain e Manchester City a 17,00. Poca fiducia nelle italiane: Juventus (25,00), Napoli (50,00) e Milan (65,00). Davanti ci sono Arsenal (18,00), Manchester Utd (20,00) e Borussia Dortmund (22,00). Scommesse aperte anche sugli Europei 2016. I quotisti di bet1128 questa volta puntano sul calcio tedesco. La Germania è infatti favorita e supera nelle quote la Spagna: la nazionale tedesca è bancata 4.75 mentre un altro successo della nazionale spagnola vale 5.25. I quotisti credono poco in un successo della nazionale azzurra, sconfitta nella finale del 2012 dalla Spagna. L’italia è, infatti, bancata a 10,50 preceduta in lavagna da Belgio e Francia offerte a 10,00. Nel campionato italiano invece la Juventus sembra sempre la favorita per conquistare il terzo scudetto consecutivo dell’era Conte. Bianconeri quotati a 1,37 seguiti dalla Roma a 4,25, Napoli a 10,00 e Inter a 25.00. Sembrano invece lontani i tempi in cui il Milan dominava il palcoscenico in Italia e nel mondo con i rossoneri bancati a 750,00 per la conquista dello scudetto.

ANTEPOST SERIE A ITALIA Vincente Champions League Juventus 1,37 Roma 4,25 Napoli 10,00 Inter 25,00 Milan 750 Lazio 1000

Vincente Coppa del Mondo 2014

Vincente euro 2016 Germany 4,75 Spain 5,25 Belgium 10,00 France 10,00 Italy 10,50 England 13,00 Netherlands 15,00 Portugal 18,00 Russia 27,00 Croatia 50,00 Turkey 75,00 Denmark 80,00 Switzerland 100,00 Czech Republic 100,00 Sweden 100,00 Serbia 100,00 Bosnia & Herz. 150,00 Ukraine 150,00 Greece 150,00 Poland 150,00 Norway 200,00 Ireland 200,00 Hungary 300,00 Romania 500,00 Scotland 500,00 Wales 1000,00

Brazil 4,50 Germany 6,50 Argentina 7,25 Spain 8,00 Belgium 18,00 Holland 22,00 England 25,00 Italy 25,00 Colombia 28,00 Uruguay 28,00 Portugal 32,00 France 32,00 Chile 40,00 Russia 110,00 Switzerland 150,00 Japan 150,00 Ghana 150,00 Mexico 175,00 Croatia 175,00 USA 175,00 Ivory Coast 200,00 Ecuador 225,00 Bosnia & Herzeg. 250,00 Greece 275,00 Nigeria 300,00 Cameroon 350,00 South Korea 450,00 Australia 500,00 Honduras 1000,00 Costa Rica 1000,00 Iran 1000,00 Algeria 1000,00

Bayern Munich 3,50 FC Barcelona 5,50 Real Madrid 6,00 Atl.Madrid 15,00 Paris St Germain 15,00 Borussia Dortmund 15,00 Chelsea FC 15,00 Manchester Utd 17,00 Manchester City 17,00 Arsenal FC 18,00 Juventus Turin 25,00 Milan 50,00 SSC Napoli 100,00 Bayer Leverkusen 150,00 FC Shakhtar D. 150,00 FC Porto 150,00 Zenit St. Peters. 250,00 Galatasaray I. 300,00 FC Schalke 04 300,00 Benfica Lisbon 300,00 Olympiacos FC 400,00 FC Basel 400,00 Ajax Amsterdam 500,00

(Le quote sono soggette a variazione)


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intervista - Paulo Sérgio Betanin

di Fabrizio Ponciroli

IN MACCHINA CON VIDIGAL...

La Serie A se l’è conquistata con fatica ma ora Paulinho se la sta godendo alla grande…

L’

Italia è sempre stato il suo sogno, la Serie A l’ha raggiunta dopo tante fatiche, a conferma che, nel calcio, il sacrificio paga ancora. Paulinho, stella del Livorno, è oggi uno degli attaccanti più interessanti in circolazione. Il popolo amaranto lo ama alla follia, conscio che, grazie ai suoi gol, tutto è possibile. Calcio2000 ha voluto conoscerlo meglio, per capire chi è veramente Paulo Sérgio Betanin, per tutti Paulinho… Allora Paulinho, iniziamo col tornare a quando eri un bambino… Hai sempre voluto fare l’attaccante o hai sperimentato altri ruoli? “No, ho sempre giocato in avanti, di18 calcio2000 gen 2014

ciamo che, sin da piccolo, mi interessava segnare più gol possibili”. Chi è stato il tuo idolo da piccolo? “Guarda, mi piaceva tantissimo Romario (nazionale brasiliano, stella del Barcellona anni ’90 ndr). Un attaccante pazzesco, mi piaceva davvero un sacco, poi anche Ronaldo, il Fenomeno che faceva cose incredibili in campo”. Si racconta che sei sbarcato in Italia grazie a Branco, l’ex del Genoa… Ci racconti come è andata veramente? “Beh, sì, Branco è parte della storia. Allora, è andata così: Branco, a quei tempi, allenava l’Under 20 brasiliana. Nel 2004, mentre mi trovavo in Colombia, mi è arrivata la proposta del Livorno. Io non capivo nulla di italiano e allora

lui, che invece l’italiano lo conosceva, mi ha aiutato a capire cosa c’era scritto nel contratto, mi ha spiegato tutto insomma (ride ndr). Mi ha dato tanti consigli sul campionato italiano e, poi, conosceva personalmente Spinelli, mi ha detto che tipo era….”. Così, a soli 18 anni, sei arrivato nel Bel Paese. Che ricordi del tuo arrivo? Sarà stata dura per te… “A dire il vero, avevo già fatto un paio di provini prima in Italia. Li avevo fatti per conoscere meglio le abitudini e le usanze del Paese. Per questo, sei mesi prima, ero venuto in Italia a fare esperienza. Comunque, quando sono arrivato, non è stato semplice. Più che altro, sentivo la mancanza degli amici,


dei famigliari. Mi sentivo solo, pensa che non avevo neanche la macchina per andare agli allenamenti…”. E come te la sei cavata? “Beh, il passaggio in macchina lo scroccavo a Vidigal (ex del Livorno ndr). Era lui che mi scarrozzava in giro… Per il resto, poco alla volta, ho cominciato a trovare la mia dimensione”. Che ricordi del tuo esordio in A? Contro la Fiorentina, alla tua prima stagione in Serie A e giovanissimo… “Guarda, il campionato italiano è seguitissimo in Brasile. Non so adesso, ma ai miei tempi tutti impazzivano per la Serie A. Esordire così giovane è stato bellissimo, incredibile. Giocare in Serie A, il massimo, un’emozione fortissima” Poi, dopo tre anni nel Livorno, nell’estate del 2007, sei andato a giocare a Grosseto… Come mai? Esperienza positiva o hai perso tempo? “No, no, mi è servita tantissimo quell’esperienza. Li ho avuto Pioli come allenatore che mi ha insegnato tanto. È stata un’esperienza davvero importante e poi ho preso per la prima volta un treno…”. No, aspetta spiegaci bene… “(ride ndr) Sì, per andare a Grosseto ho preso il treno e per me è stata la prima volta. In Brasile non ce ne sono e

quindi è stata una novità assoluta per me…”. Conclusa la parentesi a Grosseto, sei tornato al Livorno ma ci sei rimasto poco, visto che poi sei finito ad indossare la casacca del Sorrento… “A Livorno non riuscivo a trovare spazio, ero in un momento difficile. Nessuno sembrava voler scommettere su di me. Poi è arrivato il Sorrento che è stata una delle poche squadre che ha creduto in me. Ho trovato gente affettuosa che mi ha permesso di ritrovarmi come giocatore. È stato importantissimo per me” Due anni a Sorrento (e 40 gol), dopo di che sei tornato, nuovamente, a Livorno e, finalmente, si è visto il vero Paulinho… “Non è stato tutto rose e fiori. Per giocare, direi che giocavo ma, inizialmente, il gol non arrivava e, lo sai, la gente vuole i risultati. Per fortuna, con il passare del tempo, sono arrivati anche i gol (13 totali nella stagione 2011/12 ndr) e tutto è andato per il meglio” Di reti ne hai segnate diverse, quale è Il gol che ricordi con più piacere ad oggi? “Domanda difficile… Guarda, non c’è niente di più emozionante del segnare sotto la curva. Direi che il gol contro l’Empoli, nei play-off, è stato bellissimo. Una rete importantissima che ci ha

Il Sorrento è stato fondamentale nella crescita di Paulinho, in particolare Simonelli

grazie a branco Non fosse stato per Branco, esterno difensivo brasiliano che tanto bene ha fatto con la maglia del Genoa (dal 1990 al 1993, 71 presenze e 8 reti), Paulinho, molto probabilmente, non avrebbe conosciuto la Serie A. Il Campione del Mondo 1994 è stato colui che ha consigliato a Paulinho di accettare l’offerta del Livorno. Un consiglio seguito da Paulinho che, a 18 anni, è diventato un giocatore amaranto. Tra lo scetticismo generale, il giovane attaccante si è regalato tre stagioni, nella massima serie, con il Livorno, collezionando 35 presenze totali e infilando anche due reti (la sua prima in Serie A è arrivata il 12/11/2006, contro il Catania). Ma, prima di trovare spazio con continuità a Livorno, Paulinho ha dovuto farsi le ossa altrove. Grosseto e Sorrento nella sua carriera, due esperienze che gli hanno permesso di crescere come uomo e come giocatore. Poi, nel 2011, il ritorno in pianta stabile a Livorno. Dopo i 15 gol della prima annata (13 in campionato), il brasiliano ha esagerato nella stagione 2012/13, quella del ritorno del club di Spinelli in Serie A, segnando la bellezza di 23 reti, compresa quella contro l’Empoli che ha dato il via alla festa promozione. Nel corso dell’ultima estate, in tanti hanno provato a strappare Paulinho al Livorno ma il patron Spinelli ha tenuto duro, sicuro che, uno come lui, avrebbe fatto la differenza anche in Serie A. L’inizio è stato fantastico, con già 5 reti all’attivo: “In doppia cifra? Vediamo come va…”, si nasconde Paulinho ma l’impressione è che la salvezza dei labronici passi proprio dai piedi del brasliano che si faceva accompagnare agli allenamenti da Vidigal…

calcio2000 19 gen 2014


intervista - Paulo Sérgio Betanin

in macchina con vidigal...

paulinho nelle figurine panini

Dopo tanta gavetta, Paulinho è ora uno degli attaccanti più interessanti della Serie A

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20 calcio2000 gen 2014

permesso di tornare in Serie A, una di quelle che ti ricorderai per sempre”. Hai avuto tanti allenatori, a chi devi dire grazie più di altri? “Simonelli, mio allenatore a Sorrento, è stato fondamentale. Mi ha fatto capire come bisognava giocare in Serie C, come dovevo comportarmi. Poi, ovviamente Nicola. Non lo conoscevo ma è fantastico lavorare con lui. Abbiamo raggiunto traguardi incredibili insieme”. Non ti chiedo di mercato ma se un giorno dovessi lasciare l’Italia, che campionato ti piacerebbe provare all’estero? “Diciamo che il campionato spagnolo mi piace parecchio ma quello italiano mi affascina davvero tanto. Come ti dicevo, lo guardavo in tv in Brasile, ho sempre sognato di giocare qui. Comunque la Liga non mi dispiacerebbe, li si gioca tanto la palla e a me piace avere la palla tra i piedi”. Insomma, questa Serie A non è tanto malaccio come tutti la dipingono, non credi? “No, no, il campionato italiano è difficilissimo, super equilibrato. La differenza tra Serie A e Serie B è notevole. Per fare bene in Serie A, da squadra neopromossa, devi avere un grande equilibrio”. Sembri un ragazzo molto equilibrato, sia in campo che fuori… “Sì, in effetti sono molto tranquillo, mi piace fare cose semplici, niente di che…”. Un piatto italiano di cui ti sei innamorato e un film che ti ha divertito? “Ah, la pasta al pomodoro, come viene cucinata in Italia è da paura… Benvenuti al Sud, mi ha fatto ridere un sacco”. Chi ride meno sono le difese avversarie che se lo trovano di fronte. Paulinho è uno di quegli attaccanti che, se ti distrai un attimo, ti fregano… Per uno come lui, obbligato a tanti sacrifici per agguantare il grande palcoscenico della Serie A, segnare è l’unica maniera per restare al vertice. Nessun dubbio che abbia tutte le carte in regola per riuscirci…



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speciale centro giovani calciatori aosta

di Fabrizio Ponciroli

IL SOGNO DI GIULIO (E PAOLO)

Il progetto Centro Giovani Calciatori Aosta, nato nel 2OO4, conta oggi quasi 2OO iscritti, merito della famiglia De Ceglie…

L

ui è Giulio De Ceglie. Un nome noto. Ex allenatore di categoria, Giulio è il padre di Paolo, giocatore in forza alla Juventus. Ma Giulio è anche molto altro. E’ il titolare di una società che “gestisce” tanti giovani campioncini in era. Dal 2004, il lungimirante e determinato Giulio ha, infatti, deciso di realizzare un proprio personale progetto, denominato Centro Giovani Calciatori Aosta. Una sorta di scuola per giovani calciatori che, dopo dieci anni di vita, conta ora quasi 200 iscritti e, soprattutto, si distingue dalle altre realtà per avere un proprio stile personale, vero, sincero e professionale: “Io ho sempre fatto l’allenatore –ci confida Giulio De Ceglie- Poi ho deciso di puntare sui 22 calcio2000 gen 2014

giovani, ho voluto realizzare una scuola calcio. Volevo fare una cosa tutta mia e quindi mi sono buttato e, per fortuna, non è stato un buco nell’acqua. Nel 2004 siamo partiti con qualche ragazzino piccolo, ora siamo tantissimi e mi fa un certo effetto vedere alcuni di quei piccoli ragazzi del 2004 ancora con noi. Sono cresciuti insieme a noi, non c’è soddisfazione più grande”. Vero, verissimo. Il Centro Giovani Calciatori Aosta è, ad oggi, la società calcistica più grande della città. Sotto il nome De Ceglie, la società cresce di anno in anno, confermandosi un progetto vincente e affidabile: “Beh, è stata davvero una scelta famigliare. Pensate che Paolo (ora alla Juventus ndr), a 15/16 anni faceva l’allenatore qui…”. L’im-

portanza di Paolo, in questo progetto, è notevole. Da sempre convinto della bontà dell’operazione, l’esterno bianconero, nonché figlio di Giulio, partecipa alla vita della società: “Prima ha fatto l’istruttore, poi si è buttato sulla sua carriera, ora ci aiuta molto, in particolare dal punto di vista finanziario. Lui adora questo progetto e, avesse più tempo, farebbe anche di più. Penso che quello che fa Paolo sia una cosa bella e spero vivamente che altri giocatori di Serie A, un giorno, capiscano che aiutare centri come il nostro è anche un gesto di riconoscimento verso chi, per primo, ha creduto nelle loro capacità. In pochi, quando sono arrivati, ovvero quando diventano famosi e importanti, si ricordano da dove sono venuti. Ba-


sta anche poco, ma almeno quel poco andrebbe fatto, almeno secondo il mio modesto parere”. Giulio ha una passione sfrenata per il suo lavoro: “Adoro vedere i giovani bimbi di 4/5 anni che si cimentano con i primi calci ad un pallone e vederli poi crescere, di anno in anno, e diventare dei ragazzi formati e giocatori completi. Credo che tutto questo abbia anche una valenza sociale importante. In fin dei conti, diamo a questi ragazzi la possibilità di divertirsi e, da un certo punto di vista, di mettersi in gioco e avere un luogo di ritrovo, dove condividere emozioni ed esperienze. Lo ripeto, vedo crescere questi ragazzi ed è una gioia immensa. Paolo? Beh, lui non l’ho mai allenato volutamente (Ride ndr). E’ andato presto nelle giovanili della Juventus e poi ha fatto il corso che tutti conoscono. Ma la passione che ci mette, beh quella un po’ l’ha presa da me, almeno credo…”. Dopo 10 anni di lavoro, Giulio si gode il successo ma guarda al futuro con grande fiducia: “Ora festeggiamo i 10 anni ma spero tanto che il tutto prosegua a lungo. Questa società ha fatto dei passi da giganti ma ha ancora tanta strada da fare dinanzi a sé. Se non toccherà a me, magari sarà poi Paolo a portare avanti il tutto. Io mi auguro almeno di portare una squadra in Eccellenza, sarebbe un grandissimo traguardo, so-

Giulio De Ceglie, il padre fondatore del Centro Giovani Calciatori Aosta

Oggi sono quasi 200 gli iscritti al Centro Giovani Calciatori Aosta della famiglia De Ceglie

In 10 anni di vita, il Centro Giovani Calciatori Aosta ha visto crescere tantissimi giovani calciatori

prattutto per chi ha cominciato da zero, come nel nostro caso…”. Insomma, un sogno diventato realtà ma che, in futuro, potrà regalare ancora tante soddisfazioni alla famiglia De Ceglie e a tutti quei ragazzi che vorranno sposare il progetto Centro Giovani Calciatori Aosta. PAOLO PUNTA ALL’ESTERO “Il mio sogno è portare il nostro format all’estero, magari in America, Paese in cui il calcio è in continua espansione”. Parole di Paolo De Ceglie. Il difensore della Juventus è parte attiva del progetto Centro Giovani Calciatori Aosta: “Mio padre voleva fare una cosa nostra e io ho accettato con entusiasmo. Siamo partiti con una decina di ragazzi, tra l’altro in una zona non facile e ora ci ritroviamo a gestirne quasi 200, a dimostrazione che il progetto funzio-

na”. Una società sana, alla quale Paolo crede ciecamente: “Mio padre ci mette tempo e impegno, così come le altre persone della famiglia che ci lavorano. Io faccio del mio meglio, dando una mano quando e come posso. E’ bello lavorare insieme su questo progetto. Io e mio padre abbiamo la stessa passione, ci confrontiamo spesso su tutto e discutiamo su cosa sia meglio per la crescita del nostro progetto. Come detto, spero di portare questo format all’estero, sono convinto che possa funzionare. Abbiamo un nostro stile, qualcosa che rende la nostra società unica e sono convinto che possa funzionare ovunque. Se ci siamo riusciti ad Aosta, perché non dovremmo farcela in altri Paesi?”. Come dargli torto? In fin dei conti, quando c’è la passione, il lavoro diventa una passeggiata di salute… calcio2000 23 gen 2014


B

serie B - gaetano d’agostino

di Stefano Benetazzo

Fede bianconera

Con la palla tra i piedi, è sempre stato decisivo. Lui è D’Agostino…

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a regia dell’esperto Gaetano D’Agostino sta contribuendo a riportare il Siena nelle parti alte della classifica. L’abbiamo intervistato in Esclusiva per Calcio2000. Uno specialista dei calci di punizione con il desiderio di chiudere la carriera a Siena, non prima di essersi tolto qualche soddisfazione con la maglia bianconera come la promozione nella massima serie, la fortuna di fare il lavoro da sempre sognato, il tifo per l’Italia ai prossimi Mondiali e i nuovi progetti. Passato, presente e futuro di Gaetano D’Agostino, centrocampista e punto fermo del Siena, che si è confidato in esclusiva per Calcio2000. 24 calcio2000 gen 2014

Gaetano, sei nato e cresciuto a Palermo: i primi passi nel mondo del calcio non potevano che cominciare proprio con i rosanero, seppur l’esordio in Serie A l’hai fatto con la Roma. “Il mio sogno era quello di giocare nel Palermo, in quel periodo militante nella vecchia Serie C1, poi a 12 anni mi ha comprato la Roma e mi son trasferito nella Capitale. Non ho esordito nella massima serie con la maglia del Palermo proprio perché sono andato via giovanissimo”. Nelle giovanili del Palermo hai realizzato il record di gol, ben 100 in un solo anno: la tua carriera non poteva iniziare meglio! “Giocavo attaccante, ero il più grande e

avevo un gran tiro, quando avevo la palla tra i piedi tiravo sempre quindi i gol arrivavano facilmente”. Rosanero che hai affrontato quest’anno in Serie B: che effetto ti ha fatto vedere il Palermo retrocesso? Cosa non ha funzionato lo scorso anno? “C’erano talmente tanti problemi sia a Pescara che a Siena che non ho avuto modo di seguire il Palermo con costanza; mi dispiace perché è la mia città, perché è una grande piazza, ma alcune volte le retrocessioni fanno bene per ripartire”. Quando hai capito che il calcio poteva diventare un lavoro a tutti gli effetti? “Quando ho firmato il primo contratto con la Roma, a sedici anni. Prima pen-


savo solo a divertirmi seppur l’impegno non è mai venuto meno”. Hai giocato in molte squadre prima di approdare al Siena: con i bianconeri hai trovato la tua collocazione ideale? Pensi di rimanerci fino al termine della tua carriera? “Sì, mi piacerebbe, vorrei terminare proprio a Siena la mia carriera e togliermi qualche soddisfazione con questi colori”. Sei arrivato al Siena dopo aver militato nella Fiorentina: è stato duro il passaggio da una realtà all’altra, vista la rivalità che esiste tra le due tifoserie? “Anche se non ce l’avevano con me, i tifosi me l’hanno sottolineato spesso, era una rivalità normale visto che arrivavo dalla Fiorentina ma credo che Firenze abbia una sua storia e Siena un’altra; mi hanno comunque subito fatto capire quanto Siena sia fondamentale, sia calcisticamente che nello stile di vita”. Il tuo primo anno al Siena è stata anche la prima stagione in Serie A per Giuseppe Sannino, allenatore che ti ha utilizzato molto. Cosa puoi dire di lui, dopo la non felice esperienza di Palermo e l’esonero al Chievo? “Assieme a lui abbiamo fatto un grande campionato, poi a Palermo non è facile per nessuno e con il Chievo non gli è andata bene, d’altronde non è facile arrivare in una squadra che gioca per dieci anni allo stesso modo e proporre dei cambiamenti. A Siena c’erano giocatori

importanti, senza nulla togliere agli altri, abbiamo segnato molto tutti quanti e incassato poche reti, pur non essendo Mister Sannino un allenatore molto propenso all’attacco”. Nel corso della tua carriera hai avuto molti allenatori, a quale sei più affezionato? E perché? “Sono molto affezionato a Mister Pasquale Marino perché è l’allenatore che ho avuto più di tutti gli altri (i due sono stati assieme a Udine, ndr)”. Avevi lasciato i bianconeri a gennaio in Serie A per ritrovarli dopo pochi mesi in Serie B: è stata dura ripartire tra i cadetti, viste anche le difficoltà del club e la penalizzazione? “C’era delusione in città ma quello che è successo in estate ci ha fatto capire quanto è importante questa squadra, ovviamente vale per coloro che sono rimasti, e quindi ogni domenica stiamo lottando con tutte le nostre forze per onorare al meglio la maglia bianconera”. Qual è il vostro obiettivo per la stagione in corso? “Scendere in campo ogni domenica giocando al meglio per cercare di ottenere i tre punti, toglierci delle soddisfazioni ed eliminare il gap in classifica, dopodiché perché non pensare in grande!?!. L’importante però è quello di pensare giornata per giornata, perché il campionato di Serie B è veramente tosto”. Qual è il tuo giudizio su Mister Mario Beretta? Com’è il rapporto con lui?

“La mia difficoltà, a parte con Mister Marino con il quale mi confidavo molto, è sempre stato il rapporto umano, vale a dire parlare di molte cose al di fuori degli argomenti calcistici: con Mister Beretta è possibile, si può parlare di tutto e fare battute sempre nel rispetto del lavoro e dei ruoli. È una persona schietta”. Quali sono le squadre che secondo te approderanno nella massima serie? “Il Lanciano non credo, penso il Palermo per la struttura ma se dovessi guardare anche il potenziale dico il Siena e lo Spezia, poi c’è il Cesena che è una squadra molto quadrata, senza dimenticare l’Empoli e il Varese; sarà una lotta tra queste squadre”. Parlando delle tue qualità, tra le tante una riguarda i calci di punizione, per certi versi simili a quelli che calcia Andrea Pirlo: ti ispiri a qualcuno in particolare? “No perché ognuno ha la sua specialità, il suo piede e un numero diverso: io ho il 43, diverso da quello degli altri, l’impatto e il metodo di calciare con il pallone inevitabilmente sono differenti da calciatore a calciatore. Si può copiare la rincorsa, studiare il metodo ma l’impatto non si può emulare”. Quali sono le peculiarità per calciare in modo perfetto una punizione, cosa occorre nello specifico? “Occorre stare al passo con i tempi, sembra banale come risposta ma è la pura verità, i palloni non sono più quelli

gli azzurri di serie B Sono tredici i calciatori attualmente militanti in Serie B che hanno fatto parte del giro della Nazionale maggiore, nessuno dei quali però ha mai messo a segno una rete, sia in gare ufficiali che in amichevoli. Una presenza per Christian Terlizzi (Trapani), Giuseppe Mascara (Pescara) e Alessandro Rosina (Siena); due gettoni invece per Massimo Maccarone (Empoli), Andrea Caracciolo (Brescia) e per il portiere del Pescara Ivan Pelizzoli. A quota tre c’è Tommaso Rocchi, sotto contratto con il Padova. Luciano Zauri del Pescara e Gaetano D’Agostino si sono fermati a cinque presenze mentre a sei troviamo David Di Michele, punto fermo della Reggina. Il calciatore che vanta più presenze, otto in totale, è Manuele Blasi, in forza al Varese, il cui esordio coincise con quello dell’allora C.T. Marcello Lippi in Nazionale, il 18 Agosto del 2004 in IslandaItalia 2-0. Fabiano Santacroce (Padova) e Stefano Morrone del Latina invece sono stati convocati rispettivamente due e una volta, ma senza mai scendere in campo. Il primo, nato in Brasile da padre italiano e madre brasiliana, era stato chiamato da Marcello Lippi per il doppio impegno di qualificazione ai Mondiali del 2010 mentre Morrone aveva ricevuto la convocazione da Roberto Donadoni per l’amichevole contro la Croazia, persa per 2-0. Lippi e Donadoni sono coloro che hanno convocato più giocatori della Serie B, ma non va dimenticato Giovanni Trapattoni, che chiamò Maccarone nel 2002 per gli impegni contro l’Inghilterra e il Galles.

calcio2000 25 gen 2014


serie b - gaetano d’agostino

di una volta: prima i vari Baggio, Zola e Pirlo erano alcuni dei pochi specialisti in circolazione, ora tutti sono in grado di tirare le punizioni in quanto il pallone è un vero palloncino, il peso è sempre lo stesso ma è cambiato il materiale con il quale sono realizzati”. Ai tempi delle giovanili della Roma eri considerato come il nuovo Totti: che effetto ti fa vederlo ancora calcare i campi da calcio? “Per giocare così in un calcio ultra veloce, dove ci sono giocatori molto fisici e rapidi, vuol dire che sta veramente bene fisicamente, è senza dubbio una spanna sopra gli altri”. Ripensi ancora ai treni Juventus e Real Madrid, squadre che ti avevano fortemente cercato in passato? Hai qualche rammarico? “Non sono rammaricato, ormai fa parte del passato anche se l’ho pagato. Io ringrazio Dio per poter continuare ad allenarmi e a giocare a calcio a 31 anni, che non è una cosa scontata. Mi sento fortunato a fare il lavoro che ho sempre voluto, per di più in una città prestigiosa come Siena”. Sogni un posto tra i convocati ai prossimi Mondiali in Brasile? “Onestamente no, vivo di sogni concreti. Non credo sia fattibile perché in Nazionale sono già forti così, perché gioco in Serie B e perché Mister Prandelli ha altre idee. Ovviamente tifo Italia ma la mia ambizione è quella di togliermi delle soddisfazioni con il Siena”. Una delle ultime belle scoperte risponde al nome di Niccolò Giannetti, attaccante classe 1991 e tuo compagno al Siena; cosa pensi di lui? Dove può arrivare? “Se lavora bene come sta facendo, date le qualità atletiche che possiede, può arrivare veramente a grandi livelli, è un ragazzo serio che si impegna molto e che sta facendo gol. Per questo spero che possa arrivare in alto”. Allenamenti, partite e trasferte occupano gran parte del tuo tempo: ti rimane spazio per altre attività? “Ho una scuola calcio a Firenze dallo scorso mese di settembre di cui sono contento perché sta andando bene, inol26 calcio2000 gen 2014

fede bianconera

D’Agostino è uno dei 13 giocatori di Serie B che hanno indossato la casacca della Nazionale

tre frequento una Onlus che si chiama “Fede Speranza Amore” e anche in questo caso sono molto contento per aver intrapreso il cammino della fede. A 31 anni devi ovviamente avere delle priorità, e se dovessi metterle in fila direi che le mie riguardano Dio, la famiglia, i bambini e il lavoro, gli amici e la scuola calcio”. Sai già cosa farai una volta appesi gli scarpini al chiodo? “Vorrei girare il mondo, scoprire nuovi talenti, dedicarmi alla mia scuola cal-

cio e parlare di Dio, una volta smesso di giocare il mio futuro lo vedo così. Mi piacerebbe dedicarmi molto ai bambini, dando una speranza a talenti di paesi lontani che non potrebbero mai emergere se nessuno li va mai a prendere”. Idee chiare, sincerità, ambizioni e concretezza sono gli aspetti che emergono dalla chiacchierata con Gaetano D’Agostino, grande calciatore e grande uomo, circondato dall’amore di una splendida famiglia e dalla fede in Dio.


game onor game over

all in or nothing

adidas.com/worldcup

calcio2000 27 gen 2014

Š 2013 adidas AG. adidas, the 3-Bars logo and the 3-Stripes mark are registered trademarks of the adidas Group.


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lega pro - pro vercelli

di Gabriele Cantella

Leoni bianchi Questo mese Calcio2OOO va in visita a Vercelli per incontrare il mister e il capitano della Pro

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uando la Juventus non aveva ancora vinto il suo secondo scudetto, la Pro Vercelli ne aveva già conquistati sette, di cui tre consecutivi. In quegli anni i Leoni, potevano vantare, tra le proprie fila, fuoriclasse del calibro di Viri Rosetta, poi diventato colonna della Juve del quinquennio ‘30-’35, e del grande Silvio Piola, ancora oggi il bomber più prolifico di sempre in Serie A. Tempi lontani, di cui rimane un ricordo dolce-amaro, che si scontra con l’attualità di un campionato di Lega Pro. Nonostante questo, le bianche casacche continuano ad esercitare un fascino al quale neanche Calcio2000 ha saputo resistere. Nella cornice di uno 28 calcio2000 gen 2014

stadio storico, il “Piola”, abbiamo infatti intervistato in esclusiva il tecnico della Pro, Cristiano Scazzola e il capitano, Alessandro Ranellucci. Mister, un grande avvio per la Pro Vercelli, prima in classifica e ancora imbattuta... “Siamo partiti col piede giusto, ma il campionato è ancora lungo. Ad ogni modo, penso ci siano tutti i presupposti per continuare a far bene e toglierci delle belle soddisfazioni”. Vi aspettavate una partenza così o avete bruciato le tappe? “Ci aspettavamo di far bene fin dall’inizio, perché negli occhi dei ragazzi che erano qui anche l’anno scorso ho visto da subito una grande voglia di

rivalsa, mentre i nuovi acquisti che sono arrivati in estate hanno immediatamente acquisito la consapevolezza di essere approdati in una società importante, con un passato glorioso alle spalle. Questo ci ha sicuramente dato una spinta in più”. Dove può arrivare questa squadra? Puntate alla promozione diretta in B? “Il nostro obiettivo è senz’altro la promozione in B, anche perché, grazie all’allargamento dei playoff, ci saranno maggiori possibilità per tutte le squadre. Ci giocheremo le nostre carte, cercando di fare del nostro meglio per raggiungere questo traguardo”. Lei è stato catapultato dalla panchi-


na della Primavera a quella della prima squadra, come ha vissuto questo salto? “Mi sono trovato molto bene l’anno scorso sulla panchina della Primavera, è stata una bella esperienza, che mi ha reso più semplice l’impatto con la prima squadra, dal momento che conoscevo già la società, l’ambiente e i tifosi. Inoltre, ho la fortuna di avere un gruppo di ragazzi davvero splendidi che mi stanno dando tanto”. Cosa significa per lei sedere sulla panchina di un club che ha vinto 7 scudetti? “Quando entri in questo stadio e vedi la foto di Piola, capisci già che la Pro Vercelli è una società speciale, ricca di storia, con un passato glorioso alle spalle. Perciò, senza nulla togliere ad altri club, allenare una squadra del genere dà una soddisfazione particolare. Le bianche casacche, al di là del fatto che a Vercelli manchi la Serie A da troppo tempo, continuano ad esercitare un grande richiamo”. Come si vive il calcio a Vercelli? Il pubblico è il vostro 12esimo uomo? “Il pubblico è sempre molto vicino alla squadra, assiste agli allenamenti ed anche se la capienza del nostro stadio è limitata, i tifosi si fanno sentire, sostengono i ragazzi e ci seguono con calore anche in trasferta”. Quali sono le rivali più temibili? “La Cremonese penso sia la squadra più attrezzata per il salto di categoria, poi ci sono anche Vicenza, Entella e Albinoleffe che possono lottare per il massimo traguardo”. Lei è abituato a lavorare con i giovani, lo ha fatto nella Primavera e sta continuando a farlo, con ottimi risultati anche in prima squadra, pensa che puntare su di loro sia la strada che il nostro calcio deve seguire per venire fuori dalla crisi? “Credo sia la strada giusta, è chiaro poi che bisogna avere a disposizione dei giovani validi e di prospettiva, ma se si hanno e sono pronti, è corretto dar loro la possibilità di giocare”. C’è un allenatore in particolare a cui si ispira?

L’eccellente difesa della Pro Vercelli è guidata dal capitano di mille battaglie Ranellucci

“Io penso sia giusto avere le proprie idee, ma ci sono tanti bravi allenatori e si può prendere qualcosa di buono da ognuno di loro”. Mister Scazzola ci lascia e va a prepararsi per dirigere l’allenamento pomeridiano. Continuiamo la nostra chiacchierata con capitan Ranellucci, leader della difesa meno battuta del torneo. Alessandro, cosa significa per te essere il capitano e il simbolo di un club glorioso e ricco di storia come la Pro Vercelli? “Per me è una grande soddisfazione. Sono qui ormai da quattro anni e penso di aver dato molto alla società, alla città e di aver ricevuto altrettanto in cambio. Quest’anno mi è stata affidata la fascia da capitano e di questo sono profondamente orgoglioso, ma anche consapevole di avere adesso una responsabilità maggiore”. È più un peso quella fascia al braccio oppure è una forza che ti carica? “Non la sento assolutamente come un peso, ma anzi come una forza da trasmettere anche ai miei compagni, soprattutto ai nuovi arrivati. Con tutto il rispetto per gli altri club, giocare per la Pro Vercelli non è la stessa cosa che giocare altrove, quindi, a maggior ra-

gione se sei il capitano, devi rimboccarti le maniche e dare il massimo in ogni partita”. Tu sei uno dei giocatori maggiormente esperti e carismatici della rosa, ti senti un esempio per i tuoi compagni più giovani? “Non so se io sia un esempio, perché a trent’anni penso di poter imparare ancora anch’io dagli altri, ma sicuramente cerco di trasmettere valori importanti ai miei compagni più giovani”. Sei soddisfatto del tuo rendimento e del contributo che stai dando ai successi della squadra o pensi di poter ancora migliorare? “Penso di poter e dover far meglio, devo dare di più, perché non è mai abbastanza. Bisogna leggere e gestire meglio le partite, impegnarsi maggiormente e la dimostrazione è la gara contro il Pavia, che sulla carta poteva sembrare facile e invece si è rivelata più dura del previsto”. Pensi a un futuro a Vercelli dopo che avrai appeso le scarpette al chiodo? “In questo momento non ci penso, sono concentrato sulla prossima gara contro il Venezia e sulla stagione in corso. Poi, a fine campionato, faremo il punto della situazione con la società e decideremo insieme il da farsi”. Tanto dalle parole del mister, quanto da quelle del capitano, si percepisce la determinazione quasi rabbiosa di una squadra, di una società, di una città che vuole tornare dove per tradizione, storia e palmares la Pro merita di stare. Da tanto, troppo tempo, infatti, se si eccettua la fugace e sfortunata parentesi della scorsa stagione in Serie B, a Vercelli non si respira l’atmosfera del grande calcio, quell’atmosfera che le cannonate detonanti di Piola e le prepotenti cavalcate di Rosetta rendevano, ogni domenica, elettrica, eccitante. Di Silvio e Virginio, oggi, rimane solo il ricordo, il presente sono Cristiano Scazzola e Alessandro Ranellucci, leader, uno in panchina, l’altro in campo, di un gruppo di giovani Leoni, che con le bianche casacche indosso vogliono tornare a ruggire, fieri, feroci, come e più d’un tempo. calcio2000 29 gen 2014


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serie D - triestina

di Carlo Tagliagambe

Una nuova Bora Approfondimento sulla Triestina, nobile decaduta in Serie D con tanta voglia di tornare ai fasti di un tempo.

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o son lontan de ti, Trieste mia, me sento un gran dolor” recita una famosa canzone popolare triestina, ben descrivendo quel fascino magnetico che la città giuliana esercita sui suoi abitanti. Lo sa bene un bomber sempreverde come Denis Godeas, che al richiamo della città della Bora ha ceduto per ben cinque volte, tornando al servizio dell’alabardo anche nel momento più difficile, in serie D. Ed è proprio il fascino di una panchina che trasuda storia e grandi successi ad aver convinto un allenatore giovane ma con le idee chiare come Fabio Rossitto ad accettare la sfida di riportare il calcio che conta dalle parti della Venezia Giulia. Calcio2000 li ha incontrati per parlare delle aspettative della nuova Triestina, riemersa dalle ceneri del fallimento 30 calcio2000 gen 2014

della vecchia Unione… Mister Rossitto, dopo tanti anni di studio nelle giovanili e la panchina del Pordenone, ora ecco la sfida di Trieste: cosa pensa di poter dare a questa squadra? “Spero di poter dare tutto quello che ho imparato in tanti anni di calcio: la determinazione, la fame e la voglia di combattere ad ogni partita. Ai ragazzi voglio trasmettere la mia passione e l’amore per questo lavoro: quando sono arrivato ho trovato una situazione difficile, ma ne stiamo uscendo attraverso il lavoro e tanta fatica”. Quali sono gli obiettivi stagionali? “Viste le difficoltà che ho riscontrato nella fase iniziale del mio incarico, l’obiettivo stagionale non può che essere la salvezza. Poi, grazie al lavoro quotidiano, al momento le cose sembrano

essere migliorate, anche se preferisco tenere un profilo basso e pensare a lavorare piuttosto che fare proclami”. Come si lavora in una piazza importante come Trieste? “Trieste è una piazza particolare, che non esito a definire ‘da serie A’, visto l’ambiente e il calore della tifoseria. La nostra gente sta partecipando con entusiasmo a questo nuovo progetto e questo non può che essere un vantaggio, vista la categoria. Noi dobbiamo solo pensare ad onorare questa maglia gloriosa”. Quanto pesa lavorare sulla panchina che fu di Nereo Rocco? “Non lo considero tanto un peso, quanto piuttosto un onore! Sono orgoglioso di poter sedere sulla panchina che fu di un monumento del calcio mondiale…” Come gioca la sua Triestina?


Credit photo: www.unionetriestina2012.com - Matteo Nedok

“È una squadra ‘camaleontica’, che cambia spesso pelle. Dall’inizio della stagione ho scelto di alternare spesso il sistema di gioco, in modo da dare imprevedibilità alla manovra: ho giocato con il 4-3-3 o il 3-5-2, a seconda delle partite. Questo perché nel calcio di oggi non si può fossilizzarsi sui moduli: bisogna sempre cercare di cambiare ed innovare per avere un vantaggio sull’avversario”. Dei tanti grandi allenatori che ha avuto da calciatore, quale considera il suo maestro? “Ho avuto la fortuna di essere allenato da tecnici quali Zaccheroni, Spalletti, Trapattoni e Fedele, solo per fare qualche nome. Ho cercato di fare tesoro degli insegnamenti di ognuno di loro, costruendo a poco a poco la mia proposta di calcio, che è proprio un mix delle loro idee tattiche”. In attacco può contare su un bomber di razza come Godeas: è lui l’arma in più di questa Triestina? “Denis è un giocatore importantissimo, ma è soprattutto un ragazzo perbene, educato e disponibile, che ha fatto di tutto per ritornare a Trieste. È un elemento fondamentale, tanto in campo, quanto nello spogliatoio: la sua positività e la sua voglia di lavorare sono un esempio importante per i nostri giovani”. Passiamo, dunque, al bomber: cosa significa la maglia alabardata per Denis Godeas? “Significa tanto. A Trieste sono cresciuto calcisticamente e ho trovato anche il mio habitat naturale: qui sono davvero felice, sia a livello lavorativo

che a livello personale. Sono tornato tante volte proprio per il meraviglioso feeling che si è creato con la città e con i tifosi, a cui mi legano ricordi bellissimi”. Che effetto ti fa stare davanti a Rocco nella classifica dei marcatori giuliani di tutti i tempi, secondo solo a De Falco, ormai sempre più vicino? “È una bella soddisfazione, anche se sono paragoni che è meglio non guardare, visto che si parla di personaggi che hanno fatto la storia del calcio. In questo momento penso poco ai record, lo farò quando avrò smesso di giocare: solo allora tirerò le somme della mia carriera sportiva. Il mio solo pensiero è allenarmi e fare bene la domenica…” È la tua quinta esperienza alabardata: cosa sente di poter dare questa volta? “Dopo 21 anni di carriera ho deciso di scendere di categoria pur di indossare ancora questa maglia e credo di aver fatto la scelta giusta. Sento di poter dare

il mio contributo alla causa, mettendo la mia esperienza e il mio entusiasmo a disposizione dei compagni più giovani. Poi, mi sento davvero bene, sia dal punto di vista atletico che mentale: ho ancora tanta voglia di giocare”. Quali sono gli obiettivi stagionali e futuri della Triestina? “Questo, viste le difficoltà iniziali, sarà un anno di transizione. È chiaro però che la Triestina debba puntare, nel breve periodo, a riprendersi il ruolo che le compete all’interno del calcio italiano. La serie D non è che una tappa di un percorso ad ampio respiro. I presupposti per compiere il tanto atteso salto di qualità ci sono tutti, ora dobbiamo solo lavorare: la parola passa quindi al campo…”. Qual è il suo rapporto con Mister Rossitto: vi conoscevate già? “Sì, ci conoscevamo già da calciatori perché abbiamo lo stesso procuratore (Claudio Vagheggi, ndr) e avevamo già instaurato un buon rapporto. Come allenatore rispecchia le stesse qualità che dimostrava sul campo: grande grinta, grande motivazione e tanta voglia di fare. Come è arrivato a Trieste, si è subito messo a completa disposizione del gruppo, portando quella scossa che ci serviva”. In chiusura le chiedo il gol che ricorda con maggior affetto dei tanti in maglia alabardata…“Non ho dubbi: la doppietta che ho realizzato nello spareggio contro il Vicenza valido per la permanenza in Serie B. Era la stagione 2004/05 e l’allenatore era Tesser, persona a cui sono molto legato...”.

calcio2000 31 gen 2014


Una leggenda per ruolo - Lamberto Boranga

di Francesco Scabar

Ogni mese dedichiamo un servizio ad un personaggio del passato e costruiamo la squadra virtuale dei miti del calcio

Portiere per Sempre

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ennaio è il mese numero 1 dell’anno e 1 significa portiere per chi, come noi, ama ancora il calcio tradizionale. Il numero 1 per eccellenza è Lamberto Boranga… Ci sono calciatori, bravi, di carisma, professionisti esemplari. E, poi, ci sono i Miti, quelli che restano nella memoria. Ecco, Lamberto Boranga, 71 anni, ancora tesserato e a tempo perso portiere, fa certamente parte di quest’ultima categoria. Non potevamo non dedicare il numero 1 della nostra nuova rubrica al decano, e forse al più originale, dei portieri della nostra storia calcistica. Wikipedia scrive: “Lamberto Boranga (Foligno, 30 ottobre 1942) è un calciatore italiano, portiere del Papiano.” Qual è il segreto della longevità calcistica di Lamberto Boranga? “Io sono ancora tesserato con loro ma in questo momento faccio solo il medico e ogni tanto faccio qualche partita, una tantum: ormai con il Papiano non c’entro più quasi niente, ci sto solo per amicizia e spirito goliardico. Sono tesserato, ma sono troppo impegnato dal mio lavoro e purtroppo non riesco più ad allenami col gruppo. Mi alleno per conto mio alla mattina, ma se non ti alleni col gruppo nel calcio non puoi giocare”. Sul web, in occasione del trofeo per il centenario del Parma, ha fatto il giro del mondo un suo incredibile volo sotto l’incrocio su un colpo di testa di Asprilla... “Una partita la faccio volentieri, però non c’ho più la capacità di integrarmi

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in un gruppo, posso fare due partite ma non ho più la continuità e poi come faccio? La mattina m’alleno e poi lavoro fino alla sera facendo le otto e mezza, nove e mezza o addirittura le dieci, undici in certi casi... Quindi se non hai la continuità con la squadra come fai a pretendere di giocare alla mia età?”. Lei vanta numerosi primati italiani in atletica leggera, categoria master, nelle specialità salto in alto e salto triplo. Ci racconti di questa sua seconda passione... “Ne ho tante di passioni... Adesso vado a nuotare perché c’ho un ginocchio che è stato appena operato e devo fare tera-

pie di riabilitazione. Io sono uno che è sempre molto attratto dalla parte agonistica dello sport”. Veniamo agli inizi, come si è appassionato del gioco del calcio? “Ho giocato a calcio praticamente da sempre, fin da quattro anni: mio fratello, che era più grande di me, mi tirava il pallone e io mi mettevo in porta e paravo; ero un po’ costretto a giocare in porta dato che eravamo solo in due... Dopo, piano piano, ho fatto un anno di collegio ai Salesiani e lì ho incominciato a capire che il ruolo mio era stare in porta. Prima a me piaceva giocare in attacco, come tutti ma è naturale. In collegio siccome


Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini

fuori ero un fenomeno, gli altri erano scarsi e facevo la differenza disfacendo tutti alle partite, allora m’hanno messo in porta... Lì comunque ho capito che quello era il ruolo più congeniale per me”. Iniziamo ora a ripercorrere le principali tappe della sua carriera: dopo un lustro a Perugia, a ventiquattro anni arriva la chiamata della Fiorentina e di conseguenza anche l’esordio in Serie A al fianco di gente come Hamrin, Albertosi, De Sisti. Che ricordi ha di quella stagione? “Ho disputato ben cinque anni a Perugia, dai diciotto ai ventitré anni, poi fui acquistato dalla Fiorentina e giocai delle partite di campionato perché si fece male Albertosi, che era il titolare, in quell’anno giocai soprattutto in Coppa delle Coppe. Poi hanno capito che studiavo e che ero un portiere che aveva bisogno delle verifiche sul campo, così mi mandarono in prestito a Reggio Emilia”. Dopo Firenze alcune stagioni interlocutorie con Reggiana (dal 1967 al 1969 e dal 1970 al 1973) e Brescia (1969/70). Intanto in quegli anni consegue la sua prima laurea in biologia… “Io prima mi sono laureato in biologia nel 1967, quando giocavo con la Reggiana, poi andai un anno in prestito in A con il Brescia, dato che retrocedemmo ritornai a Reggio Emilia. Quando passai al Cesena nel 1973 m’iscrissi a medicina e mi laureai per la seconda volta nel 1977”. Gli anni migliori però Boranga li passa a Cesena che in Romagna disputa tre stagioni strepitose, come mai si è affermato nel calcio che conta così tardivamente? “Io in realtà in Serie A mi ero già affermato fin ai tempi di Brescia, purtroppo a causa dello studio ero sempre in prestito e in comproprietà, ed essendo studente non ero una persona eccessivamente credibile nell’ambiente calcistico”. I calciatori laureati sono mosche bianche nel mondo del calcio? “Sì, decisamente”.

Boranga, una carriera infinita Lamberto Boranga è nato a Foligno il 30 ottobre 1942. Calcisticamente è cresciuto nel settore giovanile del Perugia esordendo nei professionisti nel corso della stagione 1961/62. Nel 1966/67 arrivò l’esordio nella massima serie con la casacca della Fiorentina mentre dal 1967 al 1973 Boranga vestì la maglia della Reggiana con una breve parentesi nel corso della stagione 1969/70 con il Brescia. Dopo Reggio Emilia il portiere umbro disputò tre grandi stagioni a Cesena, una a Varese e per finire un intenso biennio a Parma. Ma la carriera di Boranga non finì qui: diventato medico, dal 1980 al 1983 giocò sette partite con il Foligno. Negli anni Novanta, nel corso della stagione 1992/93, va registrata anche una presenza con il Bastardo, club dilettantistico umbro di cui Boranga era medico sociale. Nel 2009/10 Boranga decise di scendere in campo con l’Ammeto, club di Seconda Categoria, disputando quattro match. Dal 2011 ad oggi ha giocato ben quarantanove partite con il Papiano, club per il quale è ancora tesserato.

A giugno un sondaggio della Gazzetta dello Sport mostrò che nella rosa dell’Under 21 che partecipò agli Europei di questo giugno addirittura un terzo dei giovani calciatori azzurri possiedono solo il diploma di terza media... “Ma è normale, se tornassi indietro avrei dato più allo Sport che allo studio, però io sono stato sempre uno che voleva raggiungere certi scopi. Il mio obiettivo primario era quello di laurearmi anche in medicina Inizialmente presi questa cosa un po’ alla lontana, ma alla fine posso dire di avercela fatta. Io sono fatto così: quando mi pongo un obiettivo devo raggiungerlo a tutti i costi”. Dopo un anno a Varese (1977/78) Lamberto Boranga chiude nel calcio professionistico con un buon biennio a Parma segnato da una storica promozione in B. Alcuni ricordi parmigiani? “A Parma ero già più medico che portiere... Non è che mi son molto applicato, lavoravo già in ospedale e non è che c’avevo messo tutto quell’impegno nell’attività agonistica. Ho comunque fatto due stagioni belle ottenendo pure una promozione in Serie B, Parma era una piazza già importante che era preparata già allora per fare la Serie A: si vedeva, si sentiva l’ambiente, la gente riempiva sempre il Tardini, c’era un bel pubblico

boranga nelle figurine panini

sempre rumoroso e caloroso. Infatti due anni dopo arrivò Tanzi e iniziò un’altra storia. Dopo Parma decisi di tornare a casa perché trovai lavoro a Perugia, volevo guadagnare dei soldi. Potevo stare a Parma a fare l’universitario ma mi barcamenavo troppo, io volevo guadagnare: ero abituato ad avere soldi e mi piaceva spenderli…”. Divenuto medico ha fatto scalpore una sua netta presa di posizione nei confronti della cocaina, secondo lei è un problema così diffuso nel calcio e nel mondo dello sport? “Io non ho fatto nessuna crociata, so benissimo che nel mondo dello Sport gira la cocaina, anche perché me ne ero accorto, ho visto e conosciuto di persona alcune situazioni ed è la cosa più pericolosa che ci possa essere. Noi comunque siamo una società di dopati: chi fuma, chi beve il caffè, chi fa le tre

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Una leggenda per ruolo - lamberto boranga

di notte, chi corre dalle tre alle cinque ore al giorno…Sì, anche la corsa è una droga perché secerne delle sostanze che stimolano il benessere psicofisico di una persona”. I calciatori di oggi sono molto omologati (creste, tatuaggi, orecchini…) e banali nelle dichiarazioni e negli atteggiamenti, questa omologazione c’era anche ai suoi tempi oppure è una cosa che è peggiorata negli ultimi vent’anni? “C’era anche ai miei tempi, a noi ci piacevano prima di tutto le donne e poi le macchine, anche adesso è la stessa cosa: magari i modelli sono cambiati, allora la Porche era il massimo mentre adesso ci sono Ferrari, Lamborghini. Il mestiere di calciatore è anche questo, ti rimane, ti sega. Io personalmente sono rimasto un po’ calciatore: è la parte preponderante della tua personalità, è una cosa geneticamente che ti rimane impressa”. Vede delle differenze tra l’interpretazione del ruolo di portiere tra i suoi tempi ed oggi? Una volta il portiere doveva essere matto, folle mentre oggi va di moda il portiere costruito… “Il ruolo è cambiato tecnicamente perché ci sono delle regole diverse, si gioca più con i piedi però fondamentalmente il ruolo è rimasto lo stesso. Io ero alto un metro e ottantuno, per me è sbagliato puntare su portieri esageratamente alti, una statura attorno all’uno ottantasetteottantotto va bene, basta e avanza. Però, se fossi stato alto uno e ottantasette adesso, senza esagerare, potrei tranquillamente giocare ancora in Serie A, con uno e ottantuno non c’è la faccio… Gli attaccanti sono tutti alti, tu puoi essere reattivo, con i piedi e con le gambe, con le cosce quanto ti pare ma saltare sopra ad uno alto uno e novantaquattro non ce la fai. Il ruolo è diventato più fisico, si para diversamente rispetto a un tempo ma, grosso modo, il fine giustifica sempre i mezzi”. Chiudiamo con tre domande flash, la prima: il portiere italiano più forte degli ultimi cinquant’anni? “Albertosi, perché è stato il mio maestro, dal punto di vista tecnico ho imparato

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molto da lui. A Perugia non avevo occasione di avere un preparatore dei portieri e facevamo gli allenamenti po’ così, in poche parole l’allenatore titolare aveva anche il compito di preparare i portieri. A Firenze ho fatto il salto di qualità, ho trovato un allenatore dei portieri e in più l’aiuto tecnico tangibile di Albertosi. Io ero un portiere che fisicamente era già ben messo, facevo delle prestazioni atletiche straordinarie, dovevo solo migliorare in tecnica, cosa che ho fatto”. La seconda, qual è stato l’allenatore più importante nella sua carriera di calciatore? “Marchioro, ne ho avuti diversi ma lui è stato quello che ha interpretato la mia personalità, capito il mio carattere e mi ha valorizzato per quello che ero. Con Marchioro facemmo un campionato straordinario e arrivammo sesti finendo in UEFA. Inoltre era un tecnico inno-

portiere per sempre

vativo: giocava già a zona e per l’epoca era una novità, in più era un motivatore straordinario, era una sorta di Mourinho per intenderci. Peccato perché è stato un allenatore un po’ incompreso, soprattutto al Milan”. La terza e ultima, l’avversario più pericoloso... “A me gli attaccanti non facevano paura, pensavo solo a distruggerli sia moralmente che fisicamente! Ai miei tempi c’erano Bettega, Savoldi, Riva, Boninsegna, tutta questa gente che erano una sorta di Ibrahimovic solo un po’ più bassi, erano per intenderci attaccanti fisici ma anche tecnici e soprattutto cattivi. Io cercavo di distruggerli in tutte le maniere, anche dal punto di vista psicologico, con Chinaglia c’ho avuto anche delle storie ma tutto sommato, una volta che si rientrava negli spogliatoi finita la partita si riprendeva la vita normale”.

Boranga, ancora oggi, è pronto a scendere in campo, la sua passione non ha età


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miti del calcio - Gerd Müller

di Luca Gandini

Ecco Gerd Müller, sempre in agguato, sempre infallibile. Guai a perderlo di vista un solo istante...

IL TIRANNO DEL GOL

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ra che ha fatto pace con se stesso, dopo gli anni bui dell’alcolismo e della depressione, ora che i capelli sono sempre più grigi e la settantina lì dietro l’angolo, anche uno come lui, abituato a guardare avanti, a puntare dritto verso la porta, potrà finalmente fermarsi e ripensare a ciò che fu. Quanti ricordi rievoca il nome di Gerd Müller, il braccio armato del

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calcio tedesco campione di tutto negli anni ‘70, l’incubo di ogni portiere, il simbolo, se vogliamo, di una generazione abituata a stringere i denti dopo la tragedia della guerra. Nacque proprio in quel 1945 in cui la Germania era stata sconfitta e Berlino spartita tra le potenze vincitrici, con la “cortina di ferro” pronta a calare sull’Europa. Ai ragazzini come Gerd restò il pallone e poco altro per dimenticare le incertez-

ze e le amarezze della vita quotidiana. Capigliatura folta e corvina, fisico tarchiato e sgraziato nei movimenti, aveva ben poco da spartire con i lineamenti teutonici di molti dei suoi compagni di battaglia, ma quella voglia di non arrendersi mai, di migliorare giorno dopo giorno attraverso il lavoro e la fatica, rispecchiava alla perfezione l’indomabile indole germanica. Sapeva di non essere un campione, il


giovane Müller, ma proprio grazie alla forza di volontà era riuscito ad affinare uno stile di gioco personalissimo, in cui la rapidità d’esecuzione e la capacità di leggere in anticipo i movimenti giusti, divennero tratti distintivi del suo repertorio. Pochi attaccanti, nella storia del calcio, hanno saputo avvicinarsi a lui in quanto a senso del gol ed astuzia; in molti hanno tentato di imitarlo; nessuno è mai riuscito ad oscurarlo. IL... SOLLEVATORE DI PESI “E io che me ne faccio di un sollevatore di pesi?”. La battuta, tra il serio e il faceto, fu dell’allenatore jugoslavo Zlatko Čajkovski il giorno dell’acquisto di Gerd Müller da parte del Bayern Monaco. Eravamo nel 1964 e il giovane attaccante, nonostante le caterve di gol messe a segno con il modesto TSV 1861 Nördlingen, sembrò non riscuotere la giusta considerazione. Del resto, a prima vista, così tozzo e all’apparenza impacciato, a tutto poteva far pensare tranne che all’uomo capace di risollevare le sorti di un Bayern che, in quel periodo, navigava nei bassifondi della Serie B tedesca. E invece bastò un niente perché il “sollevatore di pesi” si trasformasse nella più letale macchina da gol in circolazione. Subito al primo anno, aiutò i bavaresi nella risalita in massima divisione, componendo, con il portiere Sepp Maier e il mediano Franz Beckenbauer, la spina dorsale di una compagine che di lì a poco avrebbe messo in riga l’Europa. Il primo squillo lo si udì nel 1966/67, quando il Bayern conquistò la Coppa delle Coppe anche grazie alle 8 perle del suo centravanti, dando il via ad un dominio internazionale destinato a durare per buona parte del decennio successivo. Ma di questo parleremo dopo, perché intanto, nel 1970, c’era da affrontare il Mondiale del Messico. Müller, che ormai della Nazionale era diventato un punto fermo, fu una delle principali attrazioni del torneo, laureandosi capocannoniere con 10 gol, meglio perfino di stelle del calibro

L’apoteosi per Muller è arrivata con la conquista della Coppa del Mondo 1974

di Gigi Riva, Pelé e Bobby Charlton. Non vinse il titolo, ma si tolse il lusso di firmare alcune delle più esaltanti pagine di quel Mundial. Innanzitutto la clamorosa rimonta sui rivali inglesi nei quarti di finale (da 0-2 a 3-2 con la sua spaccata volante a suggellare l’incontro) e poi spaventando e non poco l’Italia nella supersfida dell’Azteca, dove la sua immancabile doppietta non riuscì comunque a ribaltare il 4-3 strappato con le unghie e con i denti dagli Azzurri. A fine anno si aggiudicò il Pallone d’Oro e così, anche al più irriducibile dei suoi detrattori, cominciò a sorgere il sospetto che il sollevatore di pesi stesse per lasciare posto ad un insaziabile... sollevatore di trofei. DER BOMBER ALL’ATTACCO L’appuntamento con la gloria, per la Germania, era solo rimandato. In occasione dell’Europeo 1972, la Nationalmannschaft si riscattò della par-

ziale delusione messicana e andò a cogliere un meritato successo. Gerd salì in cattedra nei quarti di finale, schiantando ancora una volta l’Inghilterra con un diabolico guizzo che ammutolì Wembley. Poi, in semifinale di fronte al Belgio organizzatore, realizzò altri due capolavori (uno in elevazione, l’altro bruciando sul tempo il difensore avversario) che consentirono ai tedeschi di affrontare l’Unione Sovietica in una finale senza storia. Fu infatti ancora una volta il centrattacco bavarese a mettere a segno la doppietta che tagliò le gambe all’Armata Rossa in un non ancora tristemente famoso stadio Heysel. L’Europa parlava ormai tedesco, visto che, a livello di club, il Bayern stava per aprire il suo memorabile ciclo. Tutto iniziò nel 1973/74, con il primo dei suoi 3 trionfi consecutivi in Coppa dei Campioni. Nonostante la strenua resistenza dell’Atlético Madrid in finale, “Der

calcio2000 37 gen 2014


il tiranno del gol

Miti del calcio - Gerd Müller

Bomber” Müller si rivelò il giustiziere di sempre, realizzando due splendidi gol (il primo dopo uno stop al volo concluso con un destro all’incrocio, il secondo su pregevole pallonetto) che lo aiutarono tra l’altro a laurearsi capocannoniere della manifestazione. Attaccante micidiale, abile nello stretto e opportunista come un rapace, Gerd Müller aveva la dote, per certi versi inimitabile, di sapere intuire prima degli altri il momento giusto per colpire. Nella finale di Champions dell’anno dopo, vinta con il Leeds, fu proprio il suo solito golletto sporco a mettere al sicuro il risultato dopo l’1-0 del compagno Franz Roth. La stagione successiva arrivò il tris, anche se, nell’atto conclusivo contro il Saint-Étienne, il buon Müller restò sorprendentemente a secco. Polveri bagnate? Macché. A novembre, sotto la neve, la sua zampata vincente contro il Cruzeiro fu determinante ai fini del trionfo in Coppa Intercontinentale, il trofeo che chiudeva nel migliore dei modi l’irripetibile filotto bavarese. PROFETA IN PATRIA Il momento più sublime della sua carriera fu con tutta probabilità il Mondiale del 1974. La sua Germania ospitava la manifestazione e godeva dei favori del pronostico, tuttavia le grandi prestazioni offerte dalla Nazionale olandese lasciarono a bocca aperta un po’ tutti. Johan Cruijff e compagni, dall’alto del loro “Calcio Totale”, erano approdati alla finalissima vincendo 5 partite su 6 (e attenzione, umiliando Uruguay, Brasile e Argentina, mica carneadi qualunque), segnando 14 gol e subendone solo 2. La Germania Ovest, al contrario, aveva sofferto: era uscita sconfitta nel derby con i cugini dell’Est e la sua proposta di gioco non era certo stata brillante come quella dei Tulipani. Strada facendo aveva però trovato in Gerd Müller il solito prezioso frangiflutti, specialmente nella sfida contro la Polonia che valeva un posto per la

38 calcio2000 gen 2014

rath e Uli Höness iniziarono a saltare l’uomo con regolarità, poi pensò Paul Breitner a trasformare il rigore del pareggio. Non era finita. Verso lo scadere del primo tempo, proprio il nostro Müller prese in pugno la situazione, e, con un guizzo che racchiuse il meglio del proprio repertorio, trovò lo spiraglio giusto per il vantaggio. Fu il gol della vittoria. La Germania si coprì di gloria e Gerd decise che quella sarebbe stata la sua ultima presenza in Nazionale. Impossibile riuscire a fare meglio di così.

Nel corso della storia, pochi hanno avuto l’istinto del gol del grande Muller

finale. Appaiate a pari punti, le rivali si diedero battaglia nel pantano di Francoforte e, solo alla mezz’ora della ripresa, i tedeschi seppero far valere la legge del più forte proprio grazie a “Der Bomber”, micidiale a sfruttare l’unico spiraglio concessogli dai polacchi. Nell’atto conclusivo di Monaco di Baviera, i padroni di casa erano sicuri che nulla avrebbe potuto ostacolare la loro scalata alla vetta del mondo. 11 cuori che battevano allo stesso ritmo, 11 menti proiettate verso un unico obiettivo. Nemmeno l’avvio micidiale dell’Olanda, con il vantaggio di Johan Neeskens dopo poco più di un minuto, riuscì a piegare l’orgoglio di Franz Beckenbauer e compagni. Via via che i minuti trascorrevano, i tedeschi si riorganizzarono e cominciarono ad imporre il proprio gioco. Dietro, Berti Vogts e Katsche Schwarzenbeck divennero più insuperabili delle colonne d’Ercole; a metà campo, Wolfgang Ove-

“GERD, IL KAISER SEI TU” Continuò a giocare con il Bayern per altre 5 stagioni, nelle quali non mancarono i trionfi (come abbiamo visto) e i gol. Tanti, tantissimi. Si parla di 365 reti in 427 partite di Bundesliga e 62 centri nelle competizioni UEFA. A fine carriera, andò a rimpinguare il suo già faraonico conto in banca con l’avventura nella NASL americana, tappa più o meno obbligata per tutti i vecchi draghi del calcio internazionale. Non fu un caso che, nel Fort Lauderdale Strikers, si ritrovò a far coppia d’attacco con quel mattacchione di George Best, uno che, se solo avesse avuto la metà della costanza del nostro Gerd, chissà dove sarebbe potuto arrivare. Come Best, anche Müller, chiusa la carriera, ebbe comunque un periodo difficile. Prigioniero del suo ingombrante passato, cadde in depressione e affogò nell’alcool le sue malinconie. Ebbe però la fortuna di contare su amici veri: Uli Höness, Sepp Maier, Paul Breitner, Franz Beckenbauer e tutti i suoi vecchi compagni di ventura, che lo aiutarono a ritrovare la serenità smarrita. Oggi collabora attivamente nello staff tecnico del Bayern Monaco, perché in fondo, come disse una volta Kaiser Franz: “Se il Bayern Monaco è diventato tutto quello che è diventato, tutto il merito è di Gerd Müller”. E poi chi l’ha detto che nel calcio amicizia e riconoscenza sono valori che non esistono più?


calcio2000 39 gen 2014


accadde a... - gennaio 1954

di Simone Quesiti

La Domenica Sportiva, l’ultimo bacio prima della buona notte, calcisticamente parlando…

SESSANTA ANNI DI GOL

O

ggi che le televisioni ci propongono gli highlights delle partite per svariate ore, senza interruzione, non è poi così grave se ce la perdiamo. Dopo un’abbuffata può risultare indigesta persino la classica ciliegina sulla torta. Ma una volta non c’era altro, dopo giornate di gol immaginati con i racconti dei radiocronisti del tempo. E allora quando iniziava la Domenica Sportiva, così formale e così perbene, era come ricevere l’ultimo bacio della mamma prima di andare a dormire. 40 calcio2000 gen 2014

LA NASCITA DI UN MITO È il 3 gennaio 1954, quando, dopo varie puntate sperimentali, debutta ufficialmente la Domenica Sportiva, la storica trasmissione che ha cresciuto generazioni di appassionati di calcio. Lo stesso giorno nasce anche la Rai e guai a pensare che sia un caso. Evidenzia, se ce ne fosse bisogno, il connubio fra il pallone e la televisione, allora solo accennato, e che avrebbe contraddistinto un’intera epoca. La Domenica Sportiva cominciava non prima delle 23 e rigorosamente sul primo canale. Dopo essere sopravvissuti ai fratelli Karama-

zov, a Frecce Nere e ai grandi attori del tempo, da Gazzolo a Pagliai, da Stoppa a Lupo, dopo giornate di totale buio informativo, finalmente i gol tenevano compagnia agli stoici telespettatori. Al contrario di oggi, dove varie trasmissioni ci offrono in tempo reale i risultati delle partite del pomeriggio, allora si ingannava il tempo con A come agricoltura, Vangelo vivo o Settevoci. E chi sopravviveva alla noia, non era scontato che venisse premiato. Capitava spesso, infatti, che i filmati delle partite non fossero più di tre o quattro, ossia quelli che arrivavano dagli stadi


più vicini a Milano, sede storica della trasmissione. E gli altri? Rimandati al giorno dopo, all’interno del programma Lunedì sport. Ora invece ci fanno vedere tutto, grazie alle decine di telecamere sguinzagliate ovunque per lo stadio, persino negli spogliatoi. Approfondimenti, spogliatoi, anticipazioni? Nulla di tutto questo. Le inquadrature erano fisse, le azioni mostrate a spizzichi e bocconi ma soprattutto nessun replay. E qualora scappasse qualche segnatura? La scappatoia era rappresentata dalla frase di rito: “Azione così rapida da aver sorpreso anche il nostro operatore”. Nonostante ciò, quel poco risultava sufficiente e il calcio piaceva proprio per questo, per buona pace dei telespettatori, molto meno esigenti e impazienti di quelli contemporanei. LA METAMORFOSI Ma ciò che desterebbe più scalpore ai telespettatori di oggi sarebbe certamente la durata e l’originaria modalità di conduzione. La trasmissione durava a mala pena un’ora e non aveva conduttori in studio. Inizialmente era perciò solo una rubrica di filmati commentati dagli speaker, per lo più asettici e tranquillizzanti, a tal punto che la schedina veniva sillabata con la solennità di un rito. Quando undici anni più tardi la Domenica Sportiva si trasformò da rubrica a programma e si decise di affidare la conduzione a un giornalista, non mancarono le polemiche: i salottini inventati da Enzo Tortora, storico presentatore della trasmissione dal 1965 al 1969, vennero ritenuti fin da subito troppo spregiudicati. In realtà era solo una scusa per liberarsi del grande giornalista, reo di aver detto in diretta che la Rai è un jet guidato da un gruppo di boy scout che si divertono a giocare con i comandi. Allora la verità faceva male e costava caro. I PRESENTATORI Al tempo, la notorietà della trasmissione era tale che chi conduceva la Domenica Sportiva diventava oggetto di numerosi tentativi di imitazione, più della Settimana Enigmistica. Quando

Un trio leggendario, formato da Stagno, Sassi e Ciotti

la conduzione fu affidata, dal 1970 al 1974, ad Alfredo Pigna, Alighiero Noschese si presentò a Canzonissima con una pigna vera. Erano personaggi veri, autentici, tra i pochi che al tempo andavano sugli schermi. Oggi vedi uno al bar che pontifica di pallone e un mese dopo lo trovi in uno dei tanti teatrini delle tv minori. Facile, troppo facile rimpiangere i vari Tito Stagno, i De Zan, i Paolo Frajese e persino Gianni Minà. Così rassicuranti, senza l’assillo dello share, mai un’impennata o una polemica. DIVERGENZE STORICHE Ai tempi dunque non si parlava di annunci shock, bombe di mercato o di processi, semmai di squadre che portavano in porto il risultato, di calciatori chiamati a produrre il massimo sforzo e di allenatori che tenevano in pugno la situazione. Se una squadra era stata avvantaggiata dalle scelte arbitrali, l’altra non aveva certo demeritato. Non esistevano papere dei portieri, ma interventi non del tutto impeccabili. Come potevano trovare spazio gli incubi nella notte dei telespettatori? Era semplicemente inconcepibile che qual-

cuno potesse parlare male di qualcun altro. Ma alla Domenica Sportiva si devono anche formidabili innovazioni. Dalla profanazione del tempio sacro (ben sei le donne alla conduzione, tra cui Paola Ferrari, attuale presentatrice) all’infallibilità arbitrale con l’introduzione della moviola, apparsa per la prima volta in trasmissione il 22 ottobre 1967, quando lo strumento dimostrò come il pallone del pareggio di Rivera nel derby non avesse mai varcato la linea di porta. Vitaletti, torna indietro con le immagini, ordinava Carlo Sassi. Era un tentativo, sia pure pallido, di insegnare il regolamento ai tifosi. Dogmi che spesso creavano caos, come quello che se si tocca la palla non è fallo, e poco importa se c’è frattura o no della gamba avversaria. Fedele specchio della realtà, la Domenica Sportiva ha saputo adeguarsi in fretta ai cambiamenti di costume e di linguaggio operati dalla società, finendo addirittura col precorrere i tempi, grazie al genio di Beppe Viola. Al termine di un noiosissimo Inter-Milan, stupì tutti facendo rivedere le immagini del derby di andata, molto più avvincente. Almeno, si andava a letto tranquilli. calcio2000 41 gen 2014


SPECIALE COPPA CAMPIONI 1959/196O

di Gabriele Porri

Davanti a 127.OOO persone, i blancos infilano la quinta Coppa Campioni consecutiva…

IL REAL CALA IL POKERISSIMO

Q

uattro su quattro per i blancos mentre la Vecchia Signora sprofonda al Prater di Vienna…Le prime quattro edizioni della Coppa Campioni hanno visto altrettante vittorie del Real Madrid, che in finale ha sempre affrontato una francese o un’italiana. Da due anni, però, il pericolo per i Blancos sembra essere interno: dopo l’Atletico, che aveva portato il Real allo spareggio in semifinale l’anno precedente, stavolta c’è il Barcellona campione di Spagna. È squadra ricca di talento, con gli ungheresi Kubala (naturalizzato spagnolo), Kocsis e Czibor a suonare il violino insieme al galiziano Luis Suarez. Tutti guidati da un tecnico argentino che ha spezzato con Atletico e Barça l’egemonia madridista: Helenio Herrera, che è anche selezionatore della Spagna. Al Real, tornato a Reims Raymond Kopa, resiste la classe del trio Di Stefano, Gento e Puskas, nonostante gli anni. Tra i nuovi spicca l’ala brasiliana Canario, e c’è il cambio in panchina: Luis Carniglia ora allena la Fiorentina e Bernabeu si affida al 59enne paraguayano Fleitas, alla prima esperienza in Europa dopo avere guidato la nazionale del suo Paese e il Flamengo. Tra le favorite del torneo il Milan, che è tornato a vincere in patria dopo un solo anno di digiuno, grazie al ventenne José Altafini, italo-brasiliano soprannominato “Mazzola” per la somiglianza con Valentino; i Rangers galvanizzati dal fatto che si giocherà la finale a Glasgow, il Wolverhampton che ha vinto il campionato per il se-

condo anno di fila e il Nizza. Il sorteggio si svolge a Cernobbio, quattro squadre oltre al Real saltano il turno preliminare, in cui spiccano RangersAnderlecht e Olympiakos-Milan. I greci sono all’esordio dopo la rinuncia col Besiktas dell’anno precedente: ma dopo un buon 2-2 al Pireo, perdono 3-1 a San Siro con tripletta di Danova. I Rangers, dal canto loro, rifilano un perentorio 7-2 ai campioni del Belgio mentre il Nizza fatica più del previsto con lo Shamrock Rovers. Stupisce la Jeunesse d’Esch, che rifila cinque reti al Lodz, mentre non si vede all’opera, vista la rinuncia del Kuopio, l’Eintracht Francoforte. Composta da giocatori locali, la squadra dell’Assia ha vinto il titolo in finale contro i Kickers Offenbach in un campionato ancora

Tutte le statistiche della Champions 42 calcio2000 su www.soccerdataweb.it gen 2014

non a girone unico. Il Barcellona non fatica a sconfiggere il CDNA Sofia, passano tra le altre, Stella Rossa Bratislava, Wolverhampton e Wiener SK. Il clou degli ottavi non può che essere Milan-Barcellona. A San Siro ci vuole meno di un quarto d’ora per capire chi passerà: dopo 11’ va in gol Verges con la complicità di Ghezzi, al 15’ è Suarez a raddoppiare con un diagonale. La reazione del Milan si riduce a un palo di Grillo e un rigore mancato da Liedholm nella ripresa. Il ritorno è una formalità: 5-1 per i Blaugrana. Tutto facile anche per i Blancos, che trovano in sorte i campioni lussemburghesi e passeggiano al Bernabeu, 7-0. La Jeunesse ha la soddisfazione di passare due volte in vantaggio al ri-


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Semifinali EINTRACHT FR.-RANGERS GLASGOW 6-1 (1-1)

RANGERS GLASGOW-EINTRACHT FR. 3-6 (1-3)

Eintracht Fr. Egon Loy Hermann Höfer Hans Weilbächer Hans-Walter Eigenbrodt Friedel Lutz Dieter Stinka Richard Kress Dieter Lindner Erwin Stein Alfred Pfaff (Cap.) Erich Meier CT: Paul Osswald

Rangers Glasgow George Niven Eric Caldow (Cap.) John Little Harold Davis William Paterson William Stevenson Alexander Scott John Mc Millan James Millar David Wilson Samuel Baird CT: James Scotland Symon

Rangers Glasgow George Niven Eric Caldow (Cap.) John Little Samuel Baird William Paterson William Stevenson Alexander Scott John Mc Millan Maxwell Murray James Millar David Wilson CT: James Scotland Symon

Eintracht Fr. Egon Loy Friedel Lutz Hermann Höfer Hans Weilbächer Hans-Walter Eigenbrodt Dieter Stinka Richard Kress Dieter Lindner Erwin Stein Alfred Pfaff (Cap.) Erich Meier CT: Paul Osswald

Mercoledì 13 aprile 1960, ore 20 - FRANCOFORTE (Waldstadion) Arbitro: Kurt LIEDBERG (SWE) - Spettatori: 75.069 Reti: 29’ Stinka, 30’ Rig. Caldow, 51’-55’ Pfaff, 73’-84’ Lindner, 87’ Stein Note: 8’ Rig. sbagliato da Kress (Fuori)

Giovedì 5 maggio 1960, ore 19:30 - GLASGOW (Ibrox Park) Arbitro: Bertil LÖÖW (SWE) - Spettatori: 68.578

BARCELLONA-REAL MADRID 1-3 (0-1)

REAL MADRID-BARCELLONA 3-1 (2-1)

Barcellona Antonio Ramallets (Cap.) Isidro Flotats Rodri Sigfrido Gracia Martin Verges Enrique Gensana Eulogio Martinez Sandor Kocsis Evaristo Luis Coll Luis Suarez CT: Helenio Herrera

Real Madrid Rogelio Dominguez Marquitos José Emilio Santamaria Pachin Antonio Ruiz José Maria Vidal Jesus Herrera Luis Del Sol Alfredo Di Stefano (Cap.) Ferenc Puskas Francisco Gento CT: Miguel Muñoz

Real Madrid Rogelio Dominguez Miche Marquitos Pachin José Maria Vidal Antonio Ruiz Canario Luis Del Sol Alfredo Di Stefano (Cap.) Ferenc Puskas Francisco Gento CT: Miguel Muñoz

Mercoledì 27 aprile 1960, ore 20:30 - BARCELLONA (Nou Camp) Arbitro: Arthur ELLIS (ENG) - Spettatori: 80.000 Reti: 25’-75’ Puskas, 68’ Gento, 89’ Kocsis

torno, ma poi soccombe 5-2. Fa scalpore la vittoria pesante dell’Eintracht sui semifinalisti dell’anno prima, lo Young Boys. I Rangers stavolta faticano, ma eliminano la Stella Rossa Bratislava, mentre gli omonimi di Belgrado subiscono la cocente sconfitta dei Wolves, finalmente competitivi per la fase finale. Si aggiungono alle magnifiche otto Wiener SK, Sparta Rotterdam e Nizza, le ultime due, vincenti allo spareggio rispettivamente su Göteborg e Fenerbahçe. I quarti di finale vedono ancora una volta la squadra di Helenio Herrera affrontare un sorteggio complicato, stavolta l’avversario è il Wolverhampton. Ma al Camp Nou è 4-0: apre e chiude Ramon Villaverde, l’uruguayano ex compagno di Di Stefano al Millonarios. In mezzo, i gol di Kubala ed Evaristo. In Inghilterra, Sandor Kocsis dà spettacolo e i Blaugrana vincono 5-2, umiliando gli inglesi. A tenere alta la bandiera del calcio britannico sono i Rangers, che ottengono la

Reti: 8’ Lindner, 12’-53 Mc Millan, 20’-88 Pfaff, 27’ Kress, 65’-69’ Meier, 73’ Wilson

Barcellona Antonio Ramallets Juan Segarra (Cap.) Rodri Sigfrido Gracia Isidro Flotats Enrique Gensana Luis Coll Sandor Kocsis Eulogio Martinez Ramon Villaverde Luis Suarez CT: Helenio Herrera

Giovedì 21 aprile 1960, ore 20:30 - MADRID (Stadio “Santiago Bernabeu”) Arbitro: Reginald LEAFE (ENG) - Spettatori: 120.000 Reti: 17’-84’ Di Stefano, 28’ Puskas, 37’ Martinez

finale REAL MADRID-EINTRACHT FR. 7-3 (2-1) Real Madrid Rogelio Dominguez Marquitos Pachin José Maria Vidal José Emilio Santamaria José Maria Zarraga (Cap.) Canario Luis Del Sol Alfredo Di Stefano Ferenc Puskas Francisco Gento CT: Miguel Muñoz

Eintracht Fr. Egon Loy Friedel Lutz Hermann Höfer Hans Weilbächer Hans-Walter Eigenbrodt Dieter Stinka Richard Kress Dieter Lindner Erwin Stein Alfred Pfaff (Cap.) Erich Meier CT: Paul Osswald

Mercoledì 18 maggio 1960, ore 19:30 - GLASGOW (Hampden Park) Arbitro: John Alexander MOWATT (SCO) - Spettatori: 127.621 Reti: 18’ Kress, 27’-30’-73’ Di Stefano, 46’Rig.-56’ Rig.-60’-71’ Puskas, 72’ -75’ Stein

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calcio2000 43 gen 2014


speciale coppa campioni 1959/196O IL REAL CALA IL POKERISSIMO COPPA CAMPIONI 1959/60

REAL MADRID

coppa campioni 1959/60 - real madrid Giocatore

Data Nascita

Naz

Ruolo

Presenze

Reti

Rogelio DOMINGUEZ

09.03.1931

ARG

Portiere

7

-10

MARQUITOS (Marcos Alonso Imaz)

16.04.1933

ESP

Difensore

6

0

José Emilio SANTAMARIA

31.07.1929

ESP

Difensore

6

0

José Maria VIDAL

06.05.1935

ESP

Difensore

6

1

MICHE (Miguel García Martín)

19.05.1935

ESP

Difensore

3

0

PACHIN (Enrique Perez Diaz)

28.12.1938

ESP

Difensore

3

0

José Maria ZARRAGA

15.08.1930

ESP

Difensore

3

0

Rafael LESMES

09.11.1926

ESP

Difensore

1

0

PANTALEON (Manuel Quevedo)

11.04.1937

ESP

Difensore

1

0

Jesus HERRERA

10.05.1939

ESP

Centrocampista

5

3

Antonio RUIZ

31.01.1937

ESP

Centrocampista

4

0

Luis DEL SOL

06.04.1935

ESP

Centrocampista

3

0

Enrique MATEOS

15.07.1934

ESP

Centrocampista

3

3

Juan SANTISTEBAN

08.12.1936

ESP

Centrocampista

2

0

José Garcia PEPILLO

10.07.1933

ESP

Centrocampista

1

1

José Hector RIAL

14.10.1928

ESP

Centrocampista

1

1

Ferenc PUSKAS

02.04.1927

HUN

Attaccante

7

12

Alfredo DI STEFANO

04.07.1926

ESP

Attaccante

6

8

Francisco GENTO

21.10.1933

ESP

Attaccante

6

2

CANARIO (Darcy Silveira dos Santos)

24.05.1934

BRA

Attaccante

3

0

Manuel Agustin FLEITAS SOLICH

30.12.1901

BRA

Allenatore

4

Miguel MUÑOZ

19.01.1922

ESP

Allenatore

3

classifica cannonieri CLASSIFICA MARCATORI Giocatore Ferenc PUSKAS (Real Madrid)

Reti Ogni

Rig.

Rig. Falliti N° %

Max Reti

Partite Giocate N° Minuti Titol.

12

53'

1

1

50,0

4

7

630

7

Alfredo DI STEFANO (Real Madrid)

8

68'

0

0

0,0

3

6

540

6

Ladislav KUBALA (Barcellona)

6

45'

2

0

0,0

3

3

270

3

Ove OHLSSON (IFK Göteborg)

6

60'

0

0

0,0

5

4

360

4

Jacques FOIX (Nizza)

5

126'

0

0

0,0

2

7

630

7

Sandor KOCSIS (Barcellona)

5

54'

0

0

0,0

4

3

270

3

Erwin STEIN (Eintracht Fr.)

5

108'

0

0

0,0

2

6

540

6

semifinale allo spareggio di Higbury (prima partita nella storia della competizione giocatasi a Londra), 3-2 contro lo Sparta Rotterdam. Il Real subisce la dura legge di Victor Nuremberg, che porta il Nizza da 0-2 a 3-2 all’Estade du Ray, ma al ritorno può permettersi anche di sbagliare un rigore con Puskas e vince 4-0. Completa il quadro delle semifinaliste l’Eintracht, che fatica non poco a

sbarazzarsi del Wiener SK. Diverso il pesante trattamento che i tedeschi riservano ai Rangers in semifinale. L’equilibrio dura soltanto nel primo tempo della gara di andata, un gol per parte e il rigore mandato fuori da Kress. Nella ripresa, cinque reti mandano in tripudio gli 80.000 del Waldstadion. Per il ritorno, tifosi e stampa scozzesi chiedono il miracolo, ma segna subito Lindner. Il pari è opera

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di McMillan, ma poi l’Eintracht dilaga tra gli applausi e chiude il secondo “set”, 6-3 dopo il 6-1 dell’andata. In Spagna, intanto, si consuma un duello su più fronti tra Real e Barcellona, che coinvolge anche un valzer di allenatori. A cinque giornate dal termine del campionato, il Real è a +2, ma il Barça vince lo scontro diretto 3-1 e le due giungono a braccetto fino alla fine, coi catalani che



speciale coppa campioni 1959/196O

vinceranno il titolo per il quoziente reti. Quando si gioca l’andata della semifinale, il campionato è già finito e il Real ha esonerato Fleitas, in panchina l’ex capitano Miguel Muñoz. Dall’altra parte nasce un caso, con Herrera che esclude Czibor e Kubala per una questione di premi. La scelta non paga e il Real rende al Barça il 3-1 di un mese prima, con due gol annullati ai catalani. Anche il ritorno vede Puskas mattatore, a segno due volte, Gento completa l’opera e Kocsis limita di nuovo il passivo a 3-1. La doppia sconfitta nel derby ispanico costa la panchina a HH, che per 45 milioni sarà chiamato da Angelo Moratti a fare grande l’Inter. Il Barcellona che, caso più unico che raro a quei tempi, quell’anno disputa due competizioni, si aggiudica la Coppa delle Fiere (che è biennale), battendo il Birmingham, con in panchina Enric Rabassa e, ovviamente, Kubala e Czibor reintegrati. Intanto, a Hampden Park si consuma

46 calcio2000 gen 2014

IL REAL CALA IL POKERISSIMO

Gento, uno degli eroi del super Real Madrid di fine anni ‘50

l’ultimo atto di una Coppa Campioni spettacolare, davanti a oltre 127.000 spettatori. Hampden è il campo della storica squadra del Queens Park, in cui nel 1959-60 ha militato un giovane di cui parleremo molto in futuro: Alex Ferguson. Tornando alla finale, l’Eintracht è un po’ l’oggetto misterioso, come disse Di Stefano in un’intervista. Il Real è favorito, ma va sotto col gol di Kress. È in quel momento che gli spagnoli si scuotono e mettono in campo tutta la loro classe, finendo avanti 3-1 all’intervallo. Il rigore inventato dall’arbitro Mowatt, come ammetterà poi lo stesso Puskas che lo realizza, taglia le gambe ai tedeschi. Lo stesso Puskas ne segna altri due e detiene ancora il record di 4 reti in una finale. Alla fine è 7-3 e il pubblico scozzese, deliziato, applaude un gioco che ha reso la finale del 1960 la partita del secolo, almeno per il calcio di club.


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a un passo dalla gloria - Sandro Tovalieri

di Alfonso Scinti Roger

Tovalieri, un grande attaccante che aveva tutto per entrare nel gotha del calcio, peccato solo per…

I RIMPIANTI DEL COBRA

L

a Roma che nel febbraio del 1983 si aggiudica il torneo di Viareggio vanta tra le sue giovani stelle Paolino Baldieri, Fabrizio Di Mauro, Ubaldo Righetti e, soprattutto, Giuseppe Giannini e Sandro Tovalieri. Se il “principe” Giannini rappresenta la mente di quella magnifica covata di grandi speranze, il “cobra” Tovalieri ne è il braccio armato. Centravanti classe 1965, ancora sedicenne siede in panchina con il n. 16 quando la prima squadra, prossima a vincere il tricolore ’82-’83, regola in casa (2-0) il Genoa. Prestato in B al Pescara per la stagione seguente, ne diventa titolare pressoché inamovibile (35 presenze e 10 reti), formando con Vittorio Cozzella un tandem avanzato di tutto rispetto e costringendo al ruolo di rincalzo Stefano Rebonato, di quasi tre anni meno giovane di lui. La stoffa c’è, ma la dirigenza giallorossa lo relega ancora in cadetteria, stavolta ad Arezzo, per un altro campionato di maturazione, insieme al già compagno di primavera Di Mauro. Trascina i toscani verso la salvezza a suon di reti (10 in 34 gare) e, in quella annata, prova l’orgoglio d’indossare in due partite la maglia azzurra dell’under 21, alle spalle dei nuovi “gemelli del gol” Roberto Mancini e Gianluca Vialli. Stavolta non può mancare il rientro alla base romanista, reduce da un deprimente settimo posto. L’anno ’85’86 è passato alla storia come quello della grande occasione perduta, con la truppa di Eriksson piegata nel testa a testa con la Juventus al penultimo atto,

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a causa della impronosticabile disfatta interna (1-2) col derelitto Lecce: Tovalieri esordisce finalmente in A alla prima giornata, da titolare contro l’Atalanta (2-1), segna il primo gol a Napoli (1-1) alla quarta e si ripete subito dopo, in casa col Torino (2-0). Centra di nuovo il bersaglio al quattordicesimo turno (3-0 esterno, proprio a Lecce), ma poi smarrisce la via della rete. Scivola in panchina e, alla fine, anche se sopravanza perfino Ciccio Graziani per il numero di partite disputate (22 contro 14), deve ancora dimostrare di valere ai

massimi livelli, sebbene avesse contribuito decisamente alla conquista della Coppa Italia da capocannoniere giallorosso con 8 gol. Merita, comunque, una prova d’appello per restare in A e l’Avellino rappresenta per lui l’occasione giusta, ma anche stavolta non convince del tutto, se viene impiegato solo 20 volte e, soprattutto, va a segno in appena 3 occasioni, una all’ultimo atto contro la sua Roma. Inevitabilmente ridiscende in B, tornando All’Arezzo, col quale retrocede al termine di un’annata disgraziata


anche sul versante personale (17 incontri giocati e 4 segnature). Resta in C1, sempre con gli amaranto, per altre due stagioni, durante le quali s’infortuna al legamento crociato, viene utilizzato 41 volte e segna 16 reti, di cui ben 15 nella seconda annata. Il “cobra” sa ancora mordere e, così, riguadagna la B accasandosi ad Ancona e, dopo una prima stagione all’altezza del proprio talento (’89-’90, 13 marcature in 35 partite), centra alla seconda la promozione in A, per quanto il suo rendimento personale accusi una flessione (36 presenze e 9 gol). Pur avendo conquistato la massima serie sul campo, Tovalieri non viene confermato dalla dirigenza marchigiana – che rifonda il settore offensivo con il “condor “ Massimo Agostini, Nicola Caccia ed “el ratòn”, l’argentino Sergio Zarate – e nel mercato settembrino viene ingaggiato dal Bari appena retrocesso in B. I “galletti” ambiscono a risalire e per questo, oltre al “cobra”, puntano sul brasilero João Paulo e su Igor Protti. Con quest’ultimo Tovalieri compone una coppia di frombolieri letale, capace di trascinare nel giro di un biennio la compagine dei fratelli Matarrese nella massima divisione. Il “cobra” contribuisce alla grande con 23 centri complessivi, di cui 14 nell’anno dell’agognata risalita. La stagione 1994-1995 rappresenta il suo autentico capolavoro, se è vero che i pugliesi si salvano in tutta tranquillità e Sandro stabilisce il suo record personale in fatto di marcature (17), affiancando nella speciale graduatoria dei tiratori scelti predatori “doc” come Marco Simone, Beppe Signori e Gianluca Vialli, mentre mangiano la polvere dietro di lui altri bomber di razza come Enrico Chiesa (14) e Pierluigi Casiraghi (12). A questo punto lo scenario muta ancora e Tovalieri tenta una nuova avventura (’95-’96), affascinato dal progetto dell’Atalanta, neopromossa in A. Gli orobici, guidati da quell’impareggiabile valorizzatore di promesse che è Emiliano Monsonico, centrano senza patemi la salvezza,

Da professionista, in carriera, Tovalieri ha segnato 140 reti

esibendo in vetrina ragazzi di grande prospettiva come i prodotti del vivaio Mimmo Morfeo e Chicco Pisani (poi deceduto prematuramente in un incidente automobilistico), nonché un rampante Christian Vieri, tutti in grado di contendere il ruolo da titolare a Sandro, che disputa 30 gare su 34, ma soffre la concorrenza tanto che il suo bottino finale di segnature (solo 6 di fronte alla 11 di Morfeo ed alle 8 di Vieri) cala decisamente. La sensazione che la sua carriera si avvii ormai al declino sembra acquistare consistenza nel campionato successivo, sempre in A ed alla Reggiana, dove il “cobra” vivacchia fino a gennaio (11 volte in campo e solo 4 gol), salvo ridestarsi dal letargo proprio in inverno, quando durante il mercato di riparazione è ingaggiato dal malmesso Cagliari. La missione è di quelle impossibili, ed infatti non riesce, sebbene il buon Sandro ci metta molto del suo per non far retrocedere gli isolani: vìola in 12 occasioni la rete avversaria e, così, per-

mette ai rossoblu di disputare lo spareggio col Piacenza, perso poi per 3-1, col punto della bandiera messo a segno proprio da lui. L’altalena delle maglie prosegue nel ’97-’98, iniziato in A con la Sampdoria, proseguito in B col Perugia (9 partite e 3 reti con i blucerchiati, 25 e 10 con i “grifoni”) e terminato con l’ennesima promozione. Non basta per fermare il vagabondaggio del “cobra”, che seguita a mutar pelle: dopo 4 match col Perugia, resta in Umbria ma nel mercato supplementare ridiscende in B, a Terni (20,1), prima di chiudere con un malinconico ritorno a Reggio Emilia (C1). La storia di Tovalieri assomiglia ad lunga serie di occasioni perse, sia per inesperienza – si pensi alla chance in maglia romanista ed a quella in terra avellinese – che per scelte tutt’altro che felici, come dimostra la parentesi bergamasca. E forse è così, sebbene ciò non basti a cancellare dalla memoria degli amanti del football il ricordo dei tanti morsi del “cobra”.

calcio2000 49 gen 2014


LE CONFESSIONI DEL CAMPIONE - mazzola

di C. Tagliagambe e G. Cantella

“Io interista doc e quella volta che rischiai di finire alla Juve…”

NATO PER L’INTER…

P

ochi giocatori, nella storia del calcio, hanno saputo legare il proprio nome ai colori di una squadra senza mai tradirli: è il caso di Sandro Mazzola, che del nerazzurro della sua maglia ha fatto una professione di fede… Calcio2000 lo ha incontrato per parlare della ‘sua’ Inter e di quella volta che seppe resistere alle lusinghe di una Vecchia Signora… Se Herrera avesse allenato ai giorni nostri, che tipo di allenatore o quale allenatore sarebbe? “Senz’altro Mourinho. Il Mago partiva da un concetto molto semplice: prima

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ti alleno la testa, poi le gambe, Mou altrettanto. Comunque, a parte l’attenzione al lato psicologico, il portoghese è anche molto bravo ad allenare ed è un esempio di grande allenatore di calcio e sottolineo di calcio”. Oggi nell’Inter c’è un grande capitano, Javier Zanetti... Ritrova in lui qualcosa del ‘suo’ capitano, Giacinto Facchetti? “Direi senz’altro la correttezza. Javier è un giocatore che mette in campo tutto quel che ha, che lotta su ogni pallone, ma cerca sempre di farlo in modo leale, così come Giacinto”. 28/4/63, Juventus-Inter 0-1, gol di

Mazzola... “Era la partita-scudetto: eravamo in ritiro a Como. Quella mattina, Herrera ci buttò giù dal letto alle 7:30, e partimmo alla volta di una destinazione a noi sconosciuta. Armando Picchi chiese quindi lumi al Mago e lui rispose che gli juventini avrebbero potuto drogarci e che per questo aveva deciso di ‘proteggerci’. Ci fermammo quindi a Greggio in un motel che si trovava sull’autostrada, e poi raggiungemmo lo stadio. Aveva visto la squadra impaurita e così s’inventò un modo per farci ritrovare la concentrazione. Era semplicemente un fenomeno”.


Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini

27/5/64, altra data storica nella sua carriera: Inter-Real Madrid 3-1, finale di Coppa dei Campioni... Lei raccontò che dopo il gol dell’1-0, esultò come se la partita fosse già finita, ma, a quel punto, Suarez le disse: “Guarda che con questi non è mai finita”... “Fu proprio così... Era il 40’ e la gara mi sembrava già finita, perchè segnare al Real era un sogno. Da ragazzino non avevo la televisione, ma all’osteria sotto casa guardavo le partite in tv bevendo un bicchiere di spuma “Giommy” e in finale di coppa campioni c’era sempre il Real, quindi potete immaginare che gioia quel gol! Ma aveva ragione Suarez, perchè dopo il nostro 2-0, loro accorciarono le distanze e se io non avessi realizzato il 3-1, probabilmente, avrebbero pareggiato. Ricordo che nel pre-gara mi incantai a guardare Di Stefano e Luisito allora mi disse: ‘Noi andiamo a giocare la finale, tu che fai, rimani qui a guardare Alfredo? Svegliati!’”. Che cosa rappresenta per lei la famiglia Moratti? “La famiglia Moratti è una seconda famiglia per me. Ai tempi della presidenza di Angelo, il Natale non si festeggiava alla Pinetina, ma tutti a casa sua, mogli e figli compresi. Era riuscito a creare un senso di famiglia che ci coinvolgeva tutti”. Un ricordo che la lega particolarmente sia al Mago che ad Angelo Moratti… “Quando giocavo ancora con le riserve, il Mago mi vedeva mezzapunta, ma io non volevo ricoprire quel ruolo e così lui non mi faceva mai giocare e perciò ero in procinto di trasferirmi in prestito al Como. Moratti mi notò in un Bologna-Inter riserve, dove realizzai due gol e impose a Herrera di mandarmi in campo nella gara successiva. L’indomani, un mio compagno di squadra delle giovanili mi comunicò di precipitarmi a Linate, dove allora si allenava l’Inter, perchè il Mago aveva deciso di mettermi alla prova... Pensai subito ad uno scherzo, ma poi mi fion-

mazzola nelle figurine panini

Mai banale, sempre sul pezzo, Mazzola è, ancora oggi, un vero conoscitore del calcio

dai al campo, dove trovai Herrera che mi disse: ‘Se la sente de jogare a Palermo?’ ed io: ‘Sì’. ‘Sabes che a Palermo picchiano?’ ed io: ‘Sì’. ‘Sabes che se tu joga male tu non joga più e rimane aqui a fare la reserve tutto l’anno senza jogare?’ ed io: ‘Sì’. ‘Allora se cambi’. Non soltanto giocai, ma giocai bene e feci anche un assist decisivo, tanto che a fine gara il Mago venne da me dicendomi che da quel momento in poi sarei stato aggregato stabilmente alla prima squadra e che avrebbe fatto di me una grande punta... Aveva ragione lui!”. Un’immagine di suo padre, il grande Valentino Mazzola… “È come se la mia mente avesse cancellato il ricordo della tragedia di Superga, e con esso i miei primi sei anni di vita. Io sono nato due volte, una nel ‘42 (come dice la carta d’identità), l’altra nel ’49, subito dopo lo schianto. Ho pochissime memorie di mio padre, che riemergono poco a poco, specie quando vado a Torino…” Se chiude gli occhi e pensa al suo papà, che cosa vede? “Ricordo che andavo al Filadelfia con lui e avevo anche io il mio armadietto con maglietta, pantaloncini e scarpette. Poi andavo in campo con mio papà e tiravo i rigori a Bacigalupo, che mi faceva sempre segnare…” Cos’è stato e cos’è ancora oggi per lei

il Grande Torino? “Per me è una squadra-simbolo…Pensate che, quando sono stato in Brasile, ho parlato con tanta gente che ricordava ancora una tournée estiva del grande Torino, ammettendo la forza di quella squadra!” Ha mai pensato di indossare la maglia del Toro? “Sinceramente sì, pensavo di poter chiudere la carriera da granata, però i rapporti con la società non sono mai stati molto buoni… Ricordo ancora che, il primo Natale dopo la morte di mio padre, la società mi mandò un regalo. Quando lo aprii, trovai un aereo: scoppiai immediatamente in lacrime, perché tornai con la mente a Superga. Ho ‘fatto pace’ con il Torino solo quando sono tornato da dirigente: l’affetto della gente, che mi ha sempre amato, è stato decisivo…”. Un nerazzurro doc come lei, stava però per finire alla Juve, giusto? “Sì, per ben tre volte! La prima, finita l’epoca di Angelo Moratti, fui chiamato da Boniperti che aveva già un accordo con il neo presidente Fraizzoli, il quale mi dava carta bianca. La decisione era solo mia, ma era un’Inter da ricostruire e io non volevo tirarmi indietro: in fondo, i nerazzurri mi avevano dato tutto quello che avevo, non potevo tradirli!” Cosa consiglierebbe ad un giovane calciatore? “La base sono le qualità tecniche, ma senza lo spirito di sacrificio e la voglia di migliorarsi non si fa strada…L’allenamento non finisce mai, questa è la mia massima!” calcio2000 51 gen 2014


dove sono finiti?- dario hubner

di Pierfrancesco Trocchi

Faccia a faccia con Dario Hubner, un centravanti che ha sempre lasciato il segno, ovunque sia stato…

L’ORMA DEL BISONTE

N

on è cambiato nulla da quando, con il passo ciondolante, il suo pizzetto indimenticabile e i movimenti a volte poco aggraziati segnava a raffica lungo tutta la Penisola. Dario Hübner è rimasto lo stesso, icona mai paga della provincia al potere. Com’è incominciare ventenne in Interregionale e 10 anni dopo ritrovarsi in Serie A? Ci credevi? All’inizio no, il primo pensiero era il lavoro, il pallone era solo un diverti-

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mento. Il primo anno in cui andai via da casa per giocare, mi dissi: “Proviamo, poi vediamo come va”. È andata bene, mi sembra. Insomma, tra lavorare l’alluminio e giocare a calcio ho sempre preferito la prima opzione. Alla Pievigina incominciano a notarti: Pergocrema e poi Fano, dove incontri Guidolin. Com’era allora? Era giovane, ma si vedeva quanto fosse già molto preparato. All’epoca, non si lavorava molto sulla tattica, mentre

Francesco fu tra i primi ad interessarsi maniacalmente alle diverse fasi di gioco e ai movimenti in campo. Nel ‘92 vai a Cesena, dove rimani 5 anni e trovi una persona fondamentale per te, il compianto Lugaresi. Ho un ricordo meraviglioso di quell’esperienza, il presidente curava tantissimo il rapporto umano. La sua prima preoccupazione era che noi vivessimo bene a Cesena. Avrò parlato di calcio con lui al massimo due volte, le centinaia restanti riguardavano tutt’altro: un secondo padre per noi. Dopo Fano, in C1, lì vinci un’altra classifica cannonieri, questa volta in B. Finalmente, nel ‘97, arrivano il Brescia e la Serie A. Che ricordi hai di quell’Inter-Brescia, tuo esordio con tanto di rete? Vissi una nottata particolare. Non avevo sonno, come sempre, rimasi sveglio fino alle 5 anche perché quella notte avvenne l’incidente di Lady Diana, volevo informarmi. La grande emozione fu quando arrivammo a San Siro, non avevo mai visto uno stadio riempito da 85.000 persone. Pensai all’importanza della partita soltanto qualche secondo prima del calcio d’inizio, perché volevo dare il 100%, uscire dal campo senza nemmeno un grammo di forza residuo. È sempre stata la mia filosofia. Quell’anno retrocedeste, ma tornaste poco dopo in massima serie, dove trovasti come compagno Baggio. Ho avuto la fortuna di giocare con lui, ma anche la sfortuna di incontrarlo in un momento in cui soffriva di diversi


problemi fisici. Però, quando aveva la palla tra i piedi... Poteva inventare la giocata in qualsiasi momento. C’è, però, un altro giocatore che mi impressionò ancor di più. Di chi parliamo? Di Pirlo. Credo che, nonostante fosse ancora molto giovane, sia stato il giocatore più forte con cui abbia mai giocato. Era un ragazzo molto tranquillo, con tanta ambizione, sempre pronto a migliorarsi col sacrificio. Compresi da subito che sarebbe diventato un campione. Torniamo a te. Nel 2001 resti in A, ma passi al Piacenza e lì conquisti ancora la palma di capocannoniere, la più preziosa. Lo avresti mai immaginato a 35 anni? A Brescia non trovai l’intesa tattica con Baggio, faticavamo a completarci e c’erano giocatori come Tare e Toni più indicati per il gioco di Mazzone. Accettai l’offerta del Piacenza subito, entusiasta di poter lavorare con Novellino. In Emilia trovai una squadra che giocava come piaceva a me, devo ringraziare tutti i miei compagni se ho segnato 24 goal. Estate 2002: il Milan ti chiama in tournée, ma non perfeziona poi il tuo acquisto. Purtroppo, a quei tempi, chi aveva più di trent’anni non godeva di molta fiducia. Faccio un ragionamento, però: se avessi giocato nella primavera di una “big”, sarei comunque arrivato in Serie A? Sognare è bello, ma guardo con estrema concretezza alla buona sorte che ho ricevuto. Te la sei guadagnata tutta. Sì, ho fatto tantissima gavetta. Oltre al mio impegno, devo ringraziare diverse persone, però. Un’altra annata a Piacenza, poi Ancona e Perugia. Ancona si dimostrò immediatamente un ambiente difficile, anche perché, già da luglio, la paura era quella di fallire. Furono 6 mesi da dimenticare, a cui seguì un’esperienza molto bella come quella di Perugia, nonostante la retrocessione. Non mi piace fare polemica,

Hubner è stato capocannoniere della Serie A con la casacca del Piacenza

ma in quell’occasione successero cose poco chiare. Ovvero? Venne ripescato il Catania, che allora era di proprietà del figlio di Gaucci. In più, la Serie B era composta da 24 squadre, cosa che ci costrinse a giocare lo spareggio con la Fiorentina 50 giorni dopo la fine del campionato. È innaturale che una squadra rimanga ferma un tempo tanto lungo prima di due parti-

te così importanti. Uno spareggio già scritto, quasi. Dopo Perugia, Mantova in C1 e poi il ritorno tra i dilettanti. Quando capii che allenarsi ogni giorno diventava faticoso, decisi di tornare a giocare per divertimento, per cui scesi in Eccellenza. Facciamo un po’ di gossip: la famosa sigaretta di Hubner nell’intervallo. Confermi? Sì, era un errore, ma mi aiutava a scaricare la tensione. Era una specie di mio personalissimo doping (ride, ndr). Particolare come il tuo soprannome, Tatanka (“bisonte” in lingua Sioux, ndr). Me lo diedero per il mio modo di correre, per la mia forza fisica, rispecchiava un po’ il mio modo di giocare. Mi ci sono affezionato, meglio “Bisonte” di “Brocco”, no? (ride, ndr). Passiamo alla domanda canonica di questa rubrica. Conservi ancora le figurine Panini che ti ritraggono? Sì, ho avuto anche la fortuna di conoscere un collezionista che incontravo con la squadra in occasione delle trasferte ad Udine. Ci chiedeva di firmare le sue figurine, poi ci lasciava sempre la nostra. Inoltre, ho quasi tutti gli Almanacchi Panini, che di tanto in tanto sfoglio insieme a mio figlio. Dario Hübner cosa fa ora? Attualmente alleno il Royale Fiore (compagine dell’Eccellenza emiliana, ndr), perché il calcio è ciò che più mi piace fare. Come ti comporti con i ragazzi? Il mio sogno è quello di allenare ai massimi livelli, ma, avendo a che fare ora con calciatori non professionisti, do importanza all’organizzazione di gioco senza insistere con la tattica e i suoi mille schemi. Siamo alla fine. Rimpianti? No, nessuno, sono molto felice della mia carriera. Adesso si lavora duro, cercando di arrivare più in alto possibile. A piccoli passi, come sempre, con l’umiltà che lo contraddistingue. Sarà un successo, possiamo scommetterci.

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top 11 - australia

di Antonio Vespasiano

Primo Paese oceanico a centrare la fase finale di un Mondiale, i “Socceroos” sono una realtà in divenire…

IL CALCIO TRA I CANGURI

I

l calcio in Australia non è mai stato del tutto “capito” e amato da un popolo che deve buona parte della sua cultura agli inglesi, i quali l’hanno esportato in tutto il mondo ma non sono stati capaci di farlo attecchire in uno dei loro Dominion più grandi. La causa principale è stata soprattutto il terribile isolazionismo geografico che non ha permesso agli australiani di seguire e appassionarsi alle vicende di uno sport che nel resto del pianeta, invece, scriveva pagine indimenticabili ed emozionanti. C’è anche da dire che la concorrenza di altre discipline, già acquisite come “nazionali”, come il rugby, il football australiano e il cricket ne ha storicamente ostacolato la crescita. Craig Johnston, storico centrocampista del Liverpool degli anni ‘80 nonché uno dei pionieri del calcio australiano (anche se non indossò mai la maglia della Nazionale), soleva ripetere che il calcio

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sta all’Australia come il surf all’Inghilterra. Ad ogni modo è dagli anni ’60 in poi che si sono registrati i primi timidi segnali di risveglio, anche se per lunghissimo tempo il calcio si è sempre mantenuto ad un livello dilettantistico. In un Paese vasto quanto un continente e quindi con notevoli difficoltà logistiche, grande merito della crescita e dello sviluppo di questo sport va alle numerose comunità di emigranti (italiani, greci, croati, ungheresi ecc.), grazie alle quali è riuscito a sopravvivere ritagliandosi una propria nicchia. I successi australiani partono dal lontano 1974 quando la Nazionale raggiunse per la prima volta la fase finale di un Campionato del Mondo, era la prima partecipazione di un Paese oceanico ai Mondiali. Per rivedere i “Socceroos” sullo stesso palcoscenico gli australiani hanno dovuto aspettare ben trentadue anni. Per giunta la squadra di Hiddink

ai Mondiali del 2006 fece un figurone uscendo a testa alta contro l’Italia. È da allora che la Nazionale, complice anche il passaggio nella più competitiva federazione asiatica, è sempre presente ai Mondiali. Altri successi degni di nota sono le quattro vittorie in Coppa d’Oceania. Un secondo e un terzo posto alla Confederations Cup (rispettivamente del 1997 e del 2001) e un secondo posto nella Coppa d’Asia del 2011, battuta in finale dal Giappone di Zaccheroni. In ambito internazionale l’Australia può anche “vantare” il primato della vittoria col più ampio scarto di gol. L’11 aprile del 2001 infatti umiliò le Samoa Americane 31-0 in un match valido per le qualificazioni alla Coppa del Mondo del 2002. Risultato che, a onor del vero, data la modestia degli avversari, calpesta ogni principio di lealtà sportiva. LA FORMAZIONE DI SEMPRE PREMIER LEAGUE COMPILATION Genio e sregolatezza, è questa l’etichetta adatta a MARK BOSNICH. Capace di passare dalla gloria dei tre rigori parati nella semifinale di Coppa di Lega del ’94, poi vinta con l’Aston Villa ai danni del Manchester United (successo bissato nel ’96), all’infamia del saluto nazista rivolto ai tifosi del Tottenham, dalla vittoria del Campionato e dell’Intercontinentale con i Red Davils, ai litigi con Ferguson dovuti alla sua scarsa professionalità, dal premio quale miglior giocatore dell’Oceania nel ’97 (unico portiere ad averlo vinto), fino all’epilogo della squalifica per uso di


Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini

cocaina quand’era al Chelsea. Nonostante i diversi rifiuti alle convocazioni in Nazionale, era lui il portiere alle Olimpiadi del ’92 chiuse al quarto posto e nella Confederations Cup del ’97. Come secondo MARK SCHWARZER, vero e proprio highlander del calcio australiano. Professionista impeccabile, come testimoniato dalla sua lunghissima carriera in Premier League, dove ha vinto con la maglia del Middlesbrough la Coppa di Lega nel 2004 ed ha raggiunto due volte la Finale di Coppa Uefa. Le sue 109 presenze in Nazionale lo pongono al primo posto nella graduatoria dei più presenti. È passato alla storia soprattutto per i due rigori parati all’Uruguay nello spareggio per accedere ai Mondiali del 2006. A destra LUCAS NEILL difensore combattivo, abile nel corpo al corpo e nel gioco aereo. Una vita sui campi della Premier League, è stato dopo Cummings e Kewell il più giovane esordiente della Nazionale. Già olimpionico a Sidney 2000, fu Man of the match nello spareggio con l’Uruguay per accedere al Mondiale. Al centro JOE MARSTON autentico pioniere del calcio australiano. Difensore solido, ostinato, difficile da superare, ebbe il coraggio negli anni ’50 di fare un salto verso l’ignoto trasferendosi in Inghilterra dove spese buona parte della sua carriera con la maglia del Preston North End, club con il quale giocò una Finale di FA Cup e vinse un Campionato di Seconda Divisione. Autentica leggenda sportiva in Australia dov’è finito finanche su un francobollo. Il premio di MVP della Finale di A-League è la Joe Martson Medal, gratificazione questa più unica che rara. Nelle vesti di libero MILAN IVANOVIĆ, scuola serba, talento precettato dalla Stella Rossa, club che lasciò nel 1989 non dopo aver vinto due Campionati e un Coppa di Jugoslavia. La puntualità e il tempismo nelle chiusure difensive gli fecero guadare il soprannome di “Chirurgo”. In Australia formò con Alex Tobin una formidabile coppia difensiva. Con i Socceroos giocò la Confederation Cup del ’97, perdendo la finale col Brasile che, anche

Tra i migliori attaccanti della storia del calcio australiano, posto d’onore per il possente Viduka

grazie al suo apporto difensivo, era stato bloccato sullo 0-0 nella fase a gruppi. Già campione d’Oceania nel ’96, è Hall of Famer del calcio australiano. Sulla fascia sinistra STAN LAZARIDIS, terzino dalle ottime doti tecniche, bravo nel dribbling e nei cross tanto da partire sovente come centrocampista. Dopo aver giocato nel West Ham, trovò la sua dimensione al Birmingham dove conquistò una promozione in Premier League e giocò nel 2001 la Finale di Coppa di Lega, persa ai rigori contro il Liverpool. Con l’Australia conta 60 presenze, due Confederation Cup, una Olimpiade e un Mondiale. In riserva, a destra ALAN DAVIDSON. Difensore ma anche centrocampista, dopo gli inizi in Patria passò al Nottingham Forest di Brian Clough. Purtroppo due gravi infortuni alla testa e alla schiena non gli permisero di tener fede alle aspettative che il leggendario coach aveva nei suoi riguardi. Campione d’Oceania nel 1980, il suo palmares è ricco di premi individuali, come l’inclusione nella Hall of Fame del calcio australiano. 79 presenze e due gol in Nazionale con tanto di partecipazione alle Olimpiadi del 1988. Al centro NED ZELIĆ, difensore giramondo. Capitano della rappre-

sentativa olimpica che a Barcellona nel 1992 chiuse al quarto posto. Centromediano metodista post-moderno col vizietto del gol. Ha vinto un Campionato col Borussia Dortmund, giocando pure una Finale di Coppa Uefa. L’altro posto da centrale spetta a PETER WILSON, figura dominante del calcio australiano degli anni ’70. Capitano dell’Australia ai Mondiali del ’74, libero di pochi fronzoli e tanta sostanza. 65 presenze (di cui 60 da capitano, record condiviso con Neill) e 3 gol in Nazionale. A sinistra TONY VIDMAR, giocatore affidabile e versatile. Raccolse buona parte dei suoi successi con la maglia dei Glasgow Rangers i cui tifosi lo elessero ad idolo dopo uno spettacolare gol al Parma nei preliminari della Champions del ‘99. Con la Nazionale giocò le Olimpiadi del ’92, tre Confederation Cup e vinse la Coppa d’Oceania del 2004. KEWELL THE JEWEL Davanti la difesa giostrano in due. PAUL OKON elegante ed essenziale regista difensivo (capace di giocare anche come difensore centrale), dopo aver mietuto successi in Belgio (due Campionati, due Coppe Nazionali e tre Supercoppe, con tanto di premio quale

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top 11 - australia

miglior giocatore del campionato) nel ’96, anno in cui vince il premio quale miglior giocatore dell’Oceania, sbarcò alla Lazio di Zeman. Martoriato dagli infortuni, che non gli diedero mai più tregua, non riuscì a far valere appieno le sue qualità. Nazionale olimpico nel ’92 e Campione d’Oceania nel 2000. Al suo fianco JOHNNY WARREN “Captain Socceroo”, icona del cacio australiano ma soprattutto ambasciatore e portavoce dell’intero movimento. Centrocampista determinato e combattivo, 42 le sue presenze in Nazionale, membro della spedizione australiana ai Mondiali del ’74. Infinito l’elenco dei riconoscimenti che ha ricevuto, tra tutti l’intitolazione del premio per l’MVP del Campionato australiano, la Johnny Warren Medal. Il trio di mezze punte è di ottimo livello. A destra HARRY KEWELL, in assoluto il può forte e talentuoso prodotto dei Socceroos. Mancino di piede ma abituato a giocare a destra per accentrarsi e sviluppare il gioco. Idolo dei tifosi per lo spirito di sacrificio profuso in ogni gara. Velocissimo, specie negli spazi stretti, dotato di astuzia e tecnica sopraffina. Per otto anni è stato il leader del Leeds dei miracoli, trascinato, insieme a Mark Viduka, fino alle semifinali di Champions League nel 2001. Con il Liverpool ha giocato due Finali di Champions, vincendo quella del 2005

contro il Milan. “The jewel”, il gioiello, è il soprannome che meglio di tutti ne descrive il talento. Tre volte miglior giocatore dell’Oceania, in Nazionale ha giocato due Mondiali, due Coppe d’Asia e una Confederation, per un totale di 58 presenze e 17 gol. Nel ruolo di trequartista TIM CAHILL, uomo simbolo del Milwall (che dalla First Division ha trascinato fino alla Finale di FA Cup) e dell’Everton. Con i Toffees ha giocato per otto stagioni venendo incluso, nel 2006, anche nella lista dei candidati al Pallone d’Oro. Eccellente centrocampista offensivo con ottime doti realizzative. È stato il primo australiano a segnare in un Mondiale. In Nazionale conta 64 presenze e 29 gol. Ha giocato due Mondiali, due Coppe d’Asia, una Olimpiade e ha vinto la Coppa d’Oceania del 2004. A sinistra MARK BRESCIANO, il suo gol all’Uruguay nello spareggio per accedere ai Mondiali del 2006 ne ha fatto un eroe nazionale. Centrocampista in grado di ricoprire ogni posizione della mediana. La scuola italiana lo ha reso un giocatore universale, capace di abbinare qualità e quantità. Bravo nel dare imprevedibilità alla manovra, ficcante negli inserimenti senza palla, così come nel cross. Due Mondiali, una Coppa d’Asia, una Olimpiade, insomma una delle colonne della Nazionale. In riserva PAUL WADE, una carriera

australiani del mondo

Bresciano, altro centrocampista che ha lasciato il segno con la casacca dell’Australia

di Antonio Vespasiano

Provare solo a stilare un elenco di tutti gli oriundi e/o naturalizzati che hanno vestito la maglia dei Socceroos sarebbe impresa ardua, davvero troppi i giocatori figli di immigrati di ogni angolo del pianeta che, anche a distanza di due generazioni, hanno dato lustro non solo al paese che li ha ospitati, ma anche a quelle comunità nelle quali sono cresciuti, mantenendo così un forte legame con le proprie origini. Prendiamo allora in considerazione solo i più forti. Tim Cahill, per esempio, di madre samoana e padre inglese, debuttò prima nella nazionale under 20 delle Samoa Occidentali e solo nel 2004 ha preso il passaporto australiano. Foltissima è la colonia croata: Mark Viduka in testa, ma anche Bosnich, Popović, Čulina, l’ex portiere di Milan e Perugia Kalac, Zelić, Skoko e tantissimi altri. Si difende bene anche il “clan” degli italiani che va da Frank Farina a Mark Bresciano, passando per Grella, Aloisi, Valeri e addirittura Max Vieri, fratellino di Bobo, che con la maglia dei Socceroos ha giocato sei partite. Sterjovski ha origini macedoni, Lazaridis e Yankos greche così come il diciannovenne gioiellino Antonis, John Kosmina polacche, Schwarzer tedesche. Milan Ivanović è nato nell’allora Jugoslavia, salvo poi essere naturalizzato, così come Paul Wade, nato in Inghilterra, Jimmy Rooney in Scozia o Attila Abonyi nato invece in Ungheria. Insomma, il calcio in Australia ha ancora una forte impronta “straniera”, del resto squadre come il St. George Budapest, il Sydney Croatia o il Marconi Fairfield hanno da sempre rappresentato le comunità d’immigrati che hanno fatto grande questo Paese, non solo nel gioco del calcio.

56 calcio2000 gen 2014


il calcio tra i canguri

spesa interamente in Australia dove ha sempre goduto della massima considerazione (fa parte della Hall of Fame australiana). 84 presenze in Nazionale, olimpionico a Seul nel 1988 e vincitore della Coppa d’Oceania nel ’96. Largo a destra BRETT EMERTON, giocatore dell’anno in Oceania nel 2012 è uno dei pilastri della Nazionale con le sue 95 presenze. Centrocampista difensivo, bravo nell’interdizione ma anche in fase di impostazione. Veloce, creativo, bravo nel cross. Capace di ricoprire anche il ruolo di terzino destro. Capitano alle Olimpiadi di Sidney nel 2000, vincitore della Coppa Uefa col Feyenoord nel 2002 (anche se in finale era squalificato), poi nove anni con la maglia del Blackburn. Due Mondiali, due Coppe d’Asia, due Confederation e nonostante i suoi 34 anni ancora tanta voglia di cavalcare l’onda. A sinistra SCOTT CHIPPERFIELD instancabile fluidificante mancino, tutto corsa e dribbling. Colonna del Basilea dove ha vinto 7 Campionati e 6 Coppe Nazionali. Con i Socceroos ha giocato due Mondiali e due Confederation Cup. SOTTO IL SEGNO DELL’ARIETE Come centravanti MARK VIDUKA, ariete dall’inarrestabile potenza fisica. Fortissimo nel gioco aereo e nella protezione della palla. Piedi buoni e tiro esplosivo. Da giovanissimo era considerato un fenomeno e la sua carriera è ricca di successi e momenti indimenticabili. Al Leeds insieme a Kewell formava una coppia d’attacco davvero straordinaria. Memorabile il poker

LAZARIDIS BRESCIANO IVANOVIĆ

WARREN

CAHILL

BOSNICH MARSTON

VIDUKA

OKON KEWELL

NEILL

calato al Liverpool nel novembre del 2000. Il gol è sempre stato il suo mestiere, già al Celtic del resto fu votato quale miglior giocatore del campionato dopo aver segnato 27 gol in 34 partite. In Nazionale ha giocato un Mondiale, due Olimpiadi, due Confederation, e ha capitanato l’Australia nella sua prima Coppa d’Asia. In panchina l’indimenticabile FRANK FARINA, centravanti guizzante in area e freddo sotto porta. In Belgio era una macchina da gol, col Club Bruges vinse un Campionato, una Coppa Nazionale e il titolo di capocannoniere nel ’90. Passò al Bari dove non lasciò traccia. Hall of Famer del calcio australiano. A completare il reparto ATTILA ABONYI altro componente

dei Socceroos ai Mondiali del 1974. Miglior attaccante australiano negli anni’70, in Nazionale ha giocato 61 partite, segnato 25 gol, numeri questi che gli sono valsi l’inclusione nella Hall of Fame. L’ultima citazione spetta più che a Reg Date ad un altro grande interprete del calcio australiano: RAY BAARTZ. Se Harry Kewell ha avuto un predecessore questo è stato senza dubbio Baartz. Attaccante talentuoso, goleador formidabile: 211 gol in 236 presenze in campionato. Punto di riferimento dell’attacco australiano nelle qualificazioni per il Mondiale del ’74 saltato, però, a causa di un brutto infortunio in una amichevole. Ovviamente è un Hall of Famer anch’egli.

i top 11 australiani nelle figurine panini

calcio2000 57 gen 2014


NBA

speciale - nba

di Thomas Saccani

LA COMPAGNIA DELL’ANELLO Non c’è nulla come l’NBA. Se si cerca il massimo spettacolo cestistico al mondo, allora bisogna recarsi negli States…

N

BA, sono sufficienti queste tre lettere per accendere la fantasia di ogni singolo amante della pallacanestro. La massima lega cestistica americana sta, al calcio, come la Coppa del Mondo. Un torneo estenuante (82 partite all’anno, a cui vanno aggiunti i play-off, sempre al meglio delle 7 gare) ma dal fascino unico. Quest’anno tutti, ma proprio tutti, sono alla caccia di Re James e del suo anello, il simbolo della vittoria. Dopo due trionfi di fila, i Miami Heat del trio James-Wade-Bosh puntano al terzo titolo consecutivo ma, in corsa per

quell’anello, ci sono tantissime franchigie, tutte determinate a strappare il trono al Re. NON ANNOIARSI… Si sa, quando si vince, il rischio di perdere la tanto citata “fame di vittorie” è concreto. Miami è, da due anni a questa parte, un’isola felice. I titoli sono arrivati, la gente è soddisfatta e il rischio di smarrire la famelica voglia è dietro l’angolo. LeBron james, dopo anni da incompiuto, ha raggiunto la pace dei sensi ma mai sottovalutare l’anima di un vincente come il Re. La dirigenza degli Heat è

stata oculata sul mercato, confermando, in blocco, l’intero roster della passata stagione (poche le aggiunte, intrigante l’arrivo di Oden, ex promessa, e del redivivo Beasley). Una mossa astuta, volta a responsabilizzare chi ha già vinto e sa come farlo. Per coach Spoelstra il difficile sarà non far annoiare la squadra durante la regular season. Giocare 82 gare è tanta roba, soprattutto quando aspetti solo la post season e sai che il tuo vero lavoro lo farai esclusivamente quando le partite conteranno per davvero. Come se non bastasse, il ginocchio di Wade resta un’incognita e Allen ha un anno in più

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sulla carta d’identità. Ma, come detto, il Re era, resta e sarà sempre l’uomo in più… Dopo essersi portato a casa due anelli, ha imparato a giocare con la testa, diventando ancor più devastante. Sicuro al tiro dal perimetro e abile ad avvicinarsi a canestro, sfruttando l’imponente massa muscolare. Inarrestabile. Se gira lui, Miami può arrivare, ancora una volta, all’anello…

L’ULTIMO BALLO… Chi ha la forza di poter contendere agli Heat il titolo? Gli addetti ai lavoro sono combattuti, eppure c’è una franchigia che mette tutti d’accordo. Stiamo parlando dei San Antonio Spurs. L’armata di Popovich, il condottiero che, da 18 stagioni, guida gli Spurs dalla panchina, ha tutte le carte in regola per riuscire nell’impresa. Dopo aver sfiorato l’anello

Ad LA attendono con ansia il ritorno in campo di Kobe Bryant.

stipendi giocatori 2013/2014 1. Brooklyn 2. New York 3. Miami 4. Chicago 5. LA Lakers 6. Toronto 7. LA Clippers 8. Boston 9. Oklahoma City 10. Indiana 11. Washington 12. Minnesota 13. Memphis 14. Golden State 15. Dallas 16. Denver 17. New Orleans 18. Orlando 19. San Antonio 20. Detroit 21. Cleveland 22. Portland 23. Charlotte 24. Sacramento 25. Atlanta 26. Houston 27. Utah 28. Milwaukee 29. Phoenix 30. Philadelphia

$101,291,208 $86,862,927 $83,984,300 $81,900,847 $79,615,089 $73,646,358 $73,264,861 $71,631,723 $70,620,993 $70,404,336 $70,333,643 $69,216,719 $68,946,743 $68,354,860 $67,938,658 $66,675,209 $65,660,340 $63,512,853 $63,331,628 $62,387,432 $61,665,472 $61,260,350 $60,162,083 $59,385,378 $58,684,218 $57,414,095 $56,234,842 $55,857,867 $53,238,600 $45,296,260

ASPETTANDO KOBE Howard non c’è più. Superman, dopo un solo anno, ha deciso di lasciare LA per Houston, a suo dire “i Rockets sono la squadra giusta per me e per la mia voglia di vincere”. Con Nash, classe 1974, in condizioni fisiche precarie (l’età non ti regala nulla) e un Gasol sempre meno coinvolto, i Lakers sembrano destinati ad una stagione da spettatori. Tuttavia c’è un dubbio, il dubbio si chiama Kobe Bryant. Il Black Mamba, reduce da un delicatissimo infortunio al tendine d’Achille, non è tipo da arrendersi. La sua determinazione è unica e, una volta tornato in campo, potrebbe contagiare tutti, riportando i Lakers in vita. Con 35 anni suonati all’attivo e 17 logoranti stagioni alle spalle, Kobe vuole provare ad essere ancora protagonista. Il sogno di agguantare il sesto anello sembra ormai svanito (per la felicità di Jordan, fermo a sei) ma mai scommettere contro Bryant. Nel corso della sua infinita carriera si è trovato di fronte, più volte, ad ostacoli che sembravano insuperabili. C’era, ad esempio, chi diceva che, uno come lui, non avrebbe mai vinto senza O’Neal al fianco e, invece, la storia ha emesso un verdetto differente. Ora tutti credono che sia vicino al capolinea, non è da escludere che si possano sbagliare ancora… A Los Angeles lo aspettano a braccia aperte, senza di lui non è la stessa cosa…

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speciale - nba

Harden, il Barba, e Durant, due ex compagni con in comune il sogno dell’anello NBA

lo scorso anno, il trio delle meraviglie formato da Duncan, Parker e Ginobili è pronto a quello che, secondo tanti, sarà l’ultimo ballo. Anagraficamente, Duncan (1976) e Ginobili (1977) non sono più dei giovincelli e, di conseguenza, sanno che questa potrebbe essere l’ultima occasione. Parker, dal canto suo, è tornato dalla Slovenia con una medaglia d’oro (campione europeo con la sua amata Francia) che la dice lunga sulla sua classe. Inoltre, c’è un Leonard che, gara dopo gara, sta incantando tutti, dimostrando di essere pronto per diventare la quarta stella della squadra. Se poi, a tutto ciò, si aggiungono giocatori di sicuro affidamento come i vari Green, Splitter, Diaw e il nostro Belinelli, ecco che gli Spurs sono da titolo. Pericoli? L’usu-

I’M BACK

Finalmente è tornato. Dopo aver saltato l’intera stagione 2012/13, Derrick Rose, il più giovane MVP della storia NBA, ha rimesso le scarpe da gioco. Un ritorno atteso a lungo (era out, per il noto infortunio al ginocchio, dal 28 aprile 2012), soprattutto dai vertici NBA che conoscono perfettamente l’impatto del “bravo ragazzo DRose” sulle masse. In tanti, lo scorso anno, hanno criticato la sua decisione di non rientrare durante la post season. Fisicamente era pronto, eppure è rimasto a guardare. Il motivo? Non si sentiva ancora pronto mentalmente. Per fortuna, all’inizio di questa annata, l’abbiamo ritrovato ai nastri di partenza, senza nessuna titubanza, sia di natura fisica o mentale. Ma che Rose sarà? Le prime uscite sono state confortanti. Il numero 1 dei Bulls non sembra aver perso l’atletismo che lo aveva reso una stella e, fatto ancor più interessante, non pare frenato o preoccupato dai contatti in area. La sua esplosività è ancora importante. Certo, 82 gare sono tante, meglio aspettare a dare giudizi finali ma i primi segnali sono incoraggianti. Con il vero Rose in campo, Chicago può pensare di dare fastidio a chiunque, almeno sulla singola partita…

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LA COMPAGNIA DELL’ANELLO

INGAGGI DA NABABBI Chi è il giocatore che percepirà lo stipendio più faraonico quest’anno? Non scervellatevi, il nome è quello di Kobe Bryant. L’asso dei Lakers, durante la stagione 2013/14, si porterà a casa la cifra record di 30.453.000 milioni di dollari. Non proprio briciole. Alle sue spalle il tedesco Nowitzki e, colpo a sorpresa, l’ex fuoriclasse Arenas. Il buon Gilbert, nonostante non sia più un vero giocatore da tempo (più tempo passato a curarsi le martoriate ginocchia che in campo a correre), è ancora sotto contratto con gli Orlando Magic che, quest’anno, gli dovranno staccare un assegno da ben 22.346.536 milioni di dollari (non incidono sul salary cup per questioni legati al contratto con il giocatore ma sono sempre soldi per i Magic). E LeBron James? Noccioline, visto che si porterà a casa “solo” 19.067.500 milioni, gli stessi del compagno Bosh. Ecco, rispetto ai quasi due milioni, per l’esattezza, che percepirà Datome (1.750.000 per l’esattezza), sono tanti ma anche lo stipendio di Datome non è proprio da tutti, non credete? Diciamo che l’NBA non conosce la parola crisi…

LO SAPEVATE CHE…

Non c’è nessuna lega al mondo che tiene alle statistiche come l’NBA. I record, nel mondo NBA, sono la bibbia del gioco. Ancora, ad esempio, si parla dei 100 punti (non documentati dalle televisioni) di Chamberlain messi a segno, con la casacca degli allora Philadelphia Warriors, contro i NY Knicks, nella fantastica notte del 2 marzo 1962. Un record assoluto, di quelli che hanno il sapore della leggenda. Da pazzi anche i 30 assist, in singolo match, di Skiles, in maglia Orlando Magic, contro i Denver Nuggets (30 dicembre 1962) o come i 24 liberi realizzati da Nowitzki in una sola gara (17 maggio 2011) o, ancora, le 12 triple messe a referto da Bryant e Marshall. Numeri che stupiscono, come quelli di carriera. Si pensi a AbdulJabbar, il giocatore che ha segnato più punti nell’NBA (38.367), inseguito da Bryant, attualmente fermo a quota 31.617, al quarto posto assoluto. Ma, alla fine, quello che più conta sono gli anelli. Russell ne ha portati a casa 11, tutti con la casacca dei Celtics. Tantissimi se paragonati ai sei di Jordan o ai cinque di Bryant o, ancora, ai quattro di Duncan e ai due di James. Record, record e ancora record, l’NBA non ne può fare a meno…

ra dei pezzi pregiati. Se coach Popovich sarà abile a risparmiare il più possibile i suoi assi durante la regular season, allora San Antonio sarà una candidata vera per il titolo NBA 2013/14. I NUOVI, COSTOSI, NETS… 101.291.208 milioni di dollari. Questo quanto costeranno, solo per questa singola stagione, i nuovi Brooklyn Nets al magnate Prokhorov. Una cifra record alla quale vanno aggiunti ben 83.262.566 milioni di dollari di multa per aver superato il tetto salariale consentito per ogni singola franchigia (pari a 71.700.000 milioni annui). Numeri folli per un solo obiettivo: vincere l’anello. Non contento di avere nel roster gente del calibro di D.Williams (18.466.130

Dopo un solo anno ai Lakers, Howard ha deciso di accettare l’offerta degli Houston Rockets

milioni di stipendio quest’anno), J.Johnson (21.466.718 milioni) e Lopez (14.696.000), Prokhorov ha deciso di esagerare, strappando ai Celtics due icone del calibro di Garnett (11.532.000 l’ingaggio dell’ex Boston) e Pierce (15.333.334). Soldi spesi bene? Forse. Come nel calcio, anche nell’NBA vale la regola non scritta che le squadre non si fanno con le figurine. Tanti campioni con la stessa maglia non significa, automaticamente, vittoria dell’anello. Lo sanno bene i Lakers che, lo scorso anno, nonostante la presenza nel roster di stelle come Bryant, Howard, Nash e Gasol, hanno fatto una figuraccia. Prokhorov vuole vincere, ha speso l’impossibile per farcela ma non sarà una passeggiata. In panchina, poi, è stato messo Kidd, gran-

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LA COMPAGNIA DELL’ANELLO

speciale - nba

de playmaker ma alla prima esperienza da head coach… CI SIAMO ANCHE NOI… Miami, San Antonio, Brooklyn ma non solo. La lista delle franchigie NBA che puntano al titolo è lunga. Come non citare, ad esempio, OKC? Tornato a disposizione Westbrrok, i Thunder vogliono ritentare la corsa al titolo, sfuggito due anni fa, per colpa di Miami. Durant, ancora più maturo, è il valore aggiunto di una squadra che ha nell’atletismo una componente fondamentale. Occhio anche a Houston. Harden, il Barba, è ormai una delle prime 10 guardie/play della Lega. Ora c’è anche Howard, l’anello potrebbe anche diventare realtà. Bene Houston, benissimo i Clippers. Paul o CP3 che dir si voglia sa bene che, senza un anello, sarà ricordato come un grande play e non come un fuoriclasse assoluto. Jordan e Griffin sono pronti a migliorare ma, il valore aggiunto, si chiama Doc Rivers. Arrivato, da Boston (dove ha vinto il titolo NBA nel 2008), per insegnare a vincere ai Clippers, potrebbe essere l’uomo giusto per far decollare, soprattutto difensivamente, un roster da fantascienza. Altre possibili sorprese? Poche, ad essere sinceri. Chicago, con Rose, è una buona realtà, come Memphis ma, per arrivare sino in fondo, serve altro… MADE IN ITALY Rusconi ed Esposito. Chi sono? Semplice, i primi due italiani ad aver calcato i parquet NBA. Ora il Made in Italy è diventato una costante oltre oceano. Gallinari, Bargnani, Belinelli e, new entry, Datome. Quattro alfieri azzurri nel più spettacolare torneo di pallacanestro al mondo. Una bella soddisfazione. E, attenzione, tutti e quattro in franchigie in cui possono lasciare il segno. Partiamo dal Gallo. Dopo il brutto infortunio dello scorso anno, l’ex Olimpia non vede l’ora di tornare in campo con i suoi Nuggets. Insieme a Lawson, sarà l’anima

top 25 ingaggi giocatori 2013/2014 1. Kobe Bryant 2. Dirk Nowitzki 3. Gilbert Arenas 4. Amare Stoudemire 5. Carmelo Anthony 6. Joe Johnson 7. Dwight Howard 8. Pau Gasol 9. Chris Bosh 9. LeBron James 11. Kevin Durant 12. Chris Paul 13. Dwyane Wade 14. Deron Williams 15. Rudy Gay 16. Zach Randolph 17. Brandon Roy 18. Derrick Rose 19. Blake Griffin 20. Paul Pierce 21. Carlos Boozer 22. Marc Gasol 23. Brook Lopez 24. Kevin Love 24. Russell Westbrook

$30,453,000 $22,721,381 $22,346,536 $21,679,893 $21,490,000 $21,466,718 $20,513,178 $19,285,850 $19,067,500 $19,067,500 $18,773,176 $18,668,431 $18,536,000 $18,466,130 $17,888,932 $17,800,000 $17,779,458 $17,632,688 $16,402,500 $15,333,334 $15,300,000 $14,860,523 $14,694,000 $14,693,906 $14,693,906

della squadra. Una responsabilità non da poco per un giocatore che, statistiche alla mano, ha tutto per conquistarsi un posto all’All Star Game. Per Bargnani, dopo tante stagioni a soffrire a Toronto, l’occasione della vita a New York. I Knicks sono una franchigia in costruzione ma, fare bene al Madison, significa diventare qualcuno e il Mago lo sa bene. Passiamo al Beli. L’anno ai Bulls lo ha reso più forte e la chiamata degli Spurs è la conferma che, ormai, è diventato uno specialista. Può ambire all’anello, un sogno più grande anche del suo ego. Infine Datome. L’ex Roma, MVP dell’ultima regular season italiana, è stato chiamato dai Detroit Pistons. Dei veri Bad Boys, quelli che intimorivano chiunque negli anni ‘80/’90, non vi è più traccia ma per Datome è già tantissimo essere nell’NBA. Dopo i suoi primi 19 secondi in campo, Gigi, via social network, ha commentato: “Parafrasando Armstrong, pochi secondi per un giocatore NBA, un’eternità per un sardo”, a dimostrare la sua infinita voglia di giocare nel campionato delle stelle. Quattro azzurri alla conquista dell’America, non male…

LeBron James punta al terzo anello di fila con i suoi Miami Heat

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liga spagna

IL CASO

CASILLAS

Icona del calcio spagnolo, eppure costretto a guardarsi la Liga dalla panchina, Iker è un rebus irrisolvibile…

64 calcio2000 gen 2014

O

credi a San Iker o non ci credi. È come Babbo Natale, meglio credere all’incantesimo che fare il guastafeste obiettando che la notte della vigilia non passerà perché la casa non ha il camino. La profezia autoavverante di Mourinho sta lasciando scorie pesanti: “Per me Diego López è più forte di Casillas” fu l’anatema che scatenò la bufera sul plurititolato portiere di Mostolés ormai un anno fa. Cambiano gli allenatori ma quella che poteva sembrare una delle trovate di José è diventata anche una fissa di Carletto. L’unico che non lo ha scaricato è stato “il Marchese” Vicente Del Bosque, che lo ha definito “un giocatore speciale di cui bisogna avere riguardo”.

Il dono di Iker A chi gli ha dato fiducia incondizionata ha sempre restituito con gli interessi e i miracoli il bene ricevuto. Due campionati europei e un mondiale vinti in quattro anni parlano da soli. Come Buffon anche Casillas sarebbe stato meritevole del Pallone d’Oro quando era all’apice della carriera. Ma nel calcio non si vive di soli “títuli”, servono anche gli allenamenti e i nuovi stimoli. Metterlo in concorrenza con il compagno di squadra Diego López non ha certo influito negativamente sulle sue sporadiche prestazioni nelle coppe e in nazionale, condite di balzi e riflessi felini, uscite avventurose ed efficaci sui piedi dell’avversario, concentrazione assoluta. Nella prima parte di campionato


di Daniele Chiti

non ha mai avuto occasione di giocare perché Carlo Ancelotti ha preso la decisione irrevocabile di dare fiducia al portiere di Paradela, fortemente voluto da Mourinho e arrivato per 3,5 milioni di euro dal Siviglia nella sessione invernale di gennaio (quando Casillas si era da poco infortunato al polso e Adán giudicato un po’ troppo acerbo). Nello spogliatoio spaccato della fine dell’era Mou il portiere si ritrovò in netta contrapposizione con lo “Special One” e i suoi fedelissimi quando ormai guarito dall’infortunio iniziò a collezionare panchina dopo panchina nella fase calda della stagione: d’altra parte Diego López aveva sfruttato al meglio l’occasione, conquistandosi meritatamente il posto da titolare. Immusonito dallo scarso impiego e dalle débacles del Real in tutte e tre le competizioni Iker lasciò trapelare il suo malumore quando dopo l’ultima partita di campionato smentì di avere il dolore alla schiena per cui Mourinho aveva deciso di tenerlo fuori.

Stile Casillas Ma proviamo a ricostruire la storia di un’antipatia reciproca, cresciuta proprio con il ruolo di leader ricoperto dal portiere nella Selección: un eccesso di cortesia e rispetto nei confronti degli avversari del Barcellona, ovvero gli stessi compagni di squadra e di vittorie nella Roja, lo aveva portato presto su posizioni troppo moderate e diplomatiche per piacere a José e ai calorosi tifosi merengue. Lo stile Casillas, che poi è lo stile pacato di Florentino Pérez, strideva nettamente con la guerra senza esclusione di dita negli occhi di José Mourinho. Così la decisione di escluderlo è stata interpretata come una giusta vendetta servita fredda per aver lasciato trapelare all’esterno notizie provenienti dallo spogliatoio, mai perdonata dalle frange più radicali del tifo “blanco” che da diversi mesi a questa parte contestano apertamente Casillas, additato dai compagni come “el chivato”, la talpa dello spogliatoio che filtrava le notizie ai giornalisti. Sospetti comprensibili e forse fondati anche per il

lavoro della sua fidanzata, la giornalista Sara Carbonero. CR7 e Casillas si chiarirono ma il contrasto aveva creato una frattura nello spogliatoio merengue tra i “lealisti” di Mourinho, fautori di una specie di strategia della tensione gradita dagli Ultrasur, e i “traditori”, più inclini ad un’epurazione del tecnico portoghese che alla deriva dei valori di tradizionale rispetto dell’avversario del madridismo. La polemica a distanza tra Casillas e Arbeloa sui meriti da attribuire a Mourinho non fu che la punta dell’iceberg di un malcontento generalizzato: Cristiano Ronaldo e Sergio Ramos sono stati molto più diretti di Iker nelle loro critiche. Per tutti questi motivi Casillas è ancora sotto schiaffo per parte della tifoseria, un fatto che può condizionare la libertà di scelta dell’allenatore. Nemo propheta… San Iker è amato e osannato in tutta la Spagna ma non riscuote più le simpatie della frangia più radicale del tifo “blanco”: gli “Ultrasur” preferiscono Diego calcio2000 65 gen 2014


liga spagna López e la patata bollente è finita sul tavolo di Ancelotti. Che per adottare una soluzione equanime ha istituito il trattato di Tordesillas, stabilendo che le coppe sono materia di Iker e la Liga di don Diego López. A subirne le conseguenze è stata la Juventus che in Champions si è ritrovata a dover fare i conti con i miracoli di Casillas, vedendo frustrati molti tentativi di andare a rete dai suoi interventi prodigiosi e fortunati, che hanno indotto Ancelotti a parlare apertamente del “culo di Casillas”. Allo Juventus Stadium la prestazione di San Iker è stata davvero maiuscola ed è stato il gol di un altro spagnolo con il dente avvelenato, Fernando Llorente, che ha permesso ai bianconeri di recuperare le reti di Cristiano Ronaldo e Gareth Bale. I problemi di Carlo III La grana di dover gestire l’opinione pubblica e Casillas part-time non è l’unica sulla scrivania di Re Carlo Terzo: terzo come il Real in classifica alla sosta di novembre, o come l’Universidad Carlos Tercero a Madrid, che offre corsi di laurea di varia natura a studenti giovani e ambiziosi. Se il Real Madrid è l’università del calcio le materie più difficili con un’alta percentuale di bocciature sono la difesa (sempre sotto osservazione) e l’organizzazione del gioco (di cui la squadra merengue difetta). La difesa prende troppi gol anche perché il Real

Buffon e Casillas, due dei più grandi portieri di sempre, a colloquio

66 calcio2000 gen 2014

classifica

marcatori

pt

G

V

N

P

GF GS DR

Giocatore Squadra Gol

Barcellona

37

13

12

1

0

38

8

30

Ronaldo

Real Madrid

Atletico Madrid

34

13

11

1

1

31

9

22

Diego Costa

Atletico Madrid 13

Real Madrid

31

13

10

1

2

35

17

18

Lionel Messi

Barcellona

8

Villareal

24

13

7

3

3

21

13

8

Alexis Sanchez Barcellona

8

Athletic Bilbao

23

13

7

2

4

20

18

2

Griezmann

Real Sociedad 8

Getafe

20

13

6

2

5

17

14

3

Javi Guerra

Valladolid

Real Sociedad

17

13

4

5

4

19

17

2

Rodri Almeria 7

Granada

17

13

5

2

6

11

13

-2

Ivan Rakitic

Valencia

17

13

5

2

6

17

21

-4

Karim Benzema Real Madrid

Levante

17

13

4

5

4

13

17

-4

Pedro

Barcellona 6

Siviglia

16

13

4

4

5

23

26

-3

Dos Santos

Villareal

6

Espanyol

15

13

4

3

6

13

18

-5

El Arabi

Granada

6

Elche

14

13

3

5

5

13

17

-4

Carlos Bacca

Siviglia

5

Malaga

13

13

3

4

6

15

19

-4

Jorge Molina

Betis Siviglia

5

Valladolid

12

13

2

6

5

16

20

-4

Jonas Valencia 5

Celta Vigo

12

13

3

3

7

14

18

-4

Oriol Riera

Almeria

12

13

3

3

7

15

24

-9

Cesc Fabregas Barcellona

Rayo Vallecano

12

13

4

0

9

12

30

-18

Neymar Barcellona 4

Osasuna

10

13

3

1

9

10

22

-12

Isco

Real Madrid

4

Betis

9

13

2

3

8

12

24

-12

Alex Lopez

Celta Vigo

4

Classifiche aggiornate al 10/11/13

Madrid con Diego López è un po’ più “sfortunato” che con Iker in porta. La media di reti subite a partita da Diego López è superiore ad un gol, che è esattamente quanto ha incassato mediamente Casillas in più di dieci anni di carriera e 500 presenze. Eppure al Villarreal la media di Diego López era migliore: che adesso prenda più gol per le mancanze della difesa? Effettivamente Pepe continua a giocare con grande nervosismo, risultando spesso falloso: tanti i rigori fischiati contro la “Casa Blanca”. Ancelotti ha provato a metterlo centrale con Varane e Sergio Ramos a destra ma è dura abbassare la saracinesca. Arbeloa, Carvajal e Fabio Coentrão non sono sempre irreprensibili: qualche pecca ce l’hanno e si vede. Inoltre la squadra non ha segnato quanto Barcellona e Atletico anche perché il gioco è piatto e manca un po’ di fantasia.

Siviglia

Osasuna

16

7

7 6

5 4

| Tabellini nella Sezione Statistiche

Ordine in mezzo Solo con il ritorno di Xabi Alonso il Real Madrid ha recuperato le geometrie. La sedia del regista era desolatamente vuota; finalmente Carletto si può affidare al basco (rientrato da un infortunio di tre mesi) per ristabilire le gerarchie e acquisire sicurezze. In generale è mancata la lucidità nelle partite clou: quasi che il Real avvertisse un’ansia da prestazione nelle grandi sfide (lo studente che si fa prendere dal panico prima dell’esame importante). Contro l’Atletico Madrid e a Barcellona uno come Xabi sarebbe servito come il pane… Il malconcio Illarramendi, il faticatore Khedira e il dinamico Modric non sono riusciti a dare un gran contributo in avanti, limitandosi spesso a farsi schiacciare per creare maggiori spazi nelle ripartenze e sulle fasce. Un gioco un po’ troppo “all’italiana” per i gusti del tifoso madrileno, che si è spazientito soprattutto


con Benzema, attaccante dal rendimento non sempre continuo (la concorrenza con Higuaín gli faceva bene!) e additato un po’ ingiustamente come principale problema. Per tutta risposta Ancelotti lo ha schierato ripetutamente, sacrificando addirittura Bale fino a quando non ha visto il gallese in piena forma. A chi millanta che il francese (un capriccio di Florentino Pérez costato 35 milioni di euro) giochi su precisa indicazione del presidente, don Carlo risponde che “il dialogo con la proprietà non significa imposizione dall’alto” e che “l’unico modo per aiutare un giocatore di talento è metterlo in campo”. Con il graduale inserimento di Bale e Xabi Alonso Ancelotti è passato dal 4-2-3-1 con Isco vertice alto di centrocampo e Di María largo a destra al 4-33 puro con Xabi Alonso vertice basso e Bale largo a destra. Il tutto passando dall’inutile esperimento del Camp Nou, con Sergio Ramos davanti alla difesa e Cristiano Ronaldo unica punta. Se non fosse stato per la fantasia di Isco, un vero trascinatore nelle prime giornate di campionato, o per le caterve di reti messe a segno da Cristiano Ronaldo (mai così prolifico in avvio di stagione), già diverse su assist di Bale, al tifoso merengue sarebbero rimaste poche certezze a cui appigliarsi.

BOMBER CERCASI… DISPERATAMENTE Senza Negredo e Soldado la vita è più dura per Siviglia e Valencia. L’anno scorso questi attaccanti facevano la differenza, adesso la via della rete è molto più tortuosa e il dislivello con le altre squadre si è appianato. Nonostante l’impegno e le buone prestazioni Carlos Bacca e Dorlan Pabón sono un’altra cosa: corsa, tecnica, un buon tiro non permettono di eguagliare le cifre mostruose dei loro predecessori. La squadra che più risente della mancanza di un grande bomber è comunque il Betis. Privata dei gol del prolifico Ruben Castro, infortunato e accusato di violenza sessuale, la squadra si è aggrappata all’esperto Jorge Molina, precipitando comunque all’ultimo posto in classifica. Un conto è lavorare in coppia, un conto è reggere sulle spalle tutto il peso dell’attacco. Vedi Santa Cruz al Málaga: quando era supportato da Isco e Joaquín le cose funzionavano alla grande. Adesso invece... Anche la Real Sociedad sta vivendo la crisi delle sue punte. Dopo essere partiti benissimo Carlos Vela e Seferovic hanno perso un po’ di convinzione e Agirretxe, perso il posto, è subentrato spesso dalla panchina senza ritrovare mai la consueta vena realizzativa. Solo Griezmann, che però è un attaccante esterno, ha continuato a segnare crescendo esponenzialmente. Le piccole si aggrappano con tutte le loro forze a un centravanti di mestiere: Javi Guerra del Valladolid, Oriol Riera dell’Osasuna, e poi Youssef El-Arabi del Granada, Charles del Celta Vigo, il navigato Aritz Aduriz dell’Athletic di Bilbao. Tutti onesti attaccanti, faticatori taurini, che vedono la porta più degli altri: basterà per passare alla storia?

Simpatia Carletto Ciononostante l’umanità di Carletto attira le simpatie di tutto l’ambiente, e nonostante i punti di distacco dal Barcellona e le critiche per qualche passo falso di troppo l’atmosfera durante le conferenze stampa è rilassata e completamente diversa rispetto alla gestione Mourinho.

I media spagnoli stanno imparando a conoscerlo e apprezzarlo, anche per la schiettezza con cui ammette ripensamenti e rivoluzioni tattiche, si concede la battuta scherzosa o un pizzico di commozione (come quando ha ricordato la battaglia contro la Sla di Stefano Borgonovo).

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DI ESSERE MESSI Che Liga sarebbe senza Lionel Messi? Se lo considerassimo un essere umano come tutti l’ultimo infortunio non ci stupirebbe. Ma visto che stiamo parlando di colui che a Barcellona hanno ribattezzato “el Messia” dobbiamo aprire un caso: perché Lionel Messi è stato sano come un pesce per quattro anni (saltando giusto un paio di partite per un’entrataccia di Ujfalusi) e adesso è ritornato ad infortunarsi regolarmente come nel 2007-2008? Con Pep Guardiola i metodi di allenamento erano particolarmente congeniali alla “Pulce”, che non subì nessun trauma migliorando il proprio rendimento partita dopo partita in un crescendo strepitoso, che gli ha fruttato l’unanime riconoscimento della critica e quattro Palloni d’Oro consecutivi. Quest’anno, il 2 aprile, il primo infortunio muscolare dopo tanto tempo: al bicipite femorale destro durante PSG-Barcelona. Il tutto dopo aver realizzato lo sforzo titanico di segnare in 19 gare consecutive di campionato: non avrà esagerato?! A maggio la ricaduta, subito dopo aver festeggiato la conquista del titolo al Vicente Calderón. Con l’incarico di amministrare le forze dei propri campioni, “el Tata” Martino ha cercato di dare un po’ più di riposo alla “Pulce”, costretto a fermarsi per un affaticamento alla coscia dopo la gara di Supercoppa Spagnola ad agosto. Il 28 settembre un altro infortunio al bicipite femorale destro, che lo ha tenuto fuori per tre settimane: colpo assorbito con disinvoltura dal gruppo anche grazie alla sosta imminente. Fino all’infortunio del 10 novembre al Benito Villamarín, contro il Betis. Ancora una volta il bicipite femorale, stavolta il sinistro però. Con tempi di recupero più lunghi: dalle 6 alle 8 settimane, con ritorno previsto per il 2014. Una iattura per lui e per l’allenatore, che dovrà studiare soluzioni alternative che certo non gli mancano, ma rinunciare a Messi…

calcio2000 67 gen 2014


premier league inghilterra

Il Miracolo dei Saints

Il Southampton è la squadra rivelazione di questa Premiership: scopriamone storia recente e segreti del successo…

68 calcio2000 gen 2014

O

rmai è ufficiale: a Southampton i santi hanno fatto il miracolo. No, per carità, nulla di cui informare con solerzia la Santa Sede, stiamo parlando solo di calcio e se il soprannome dell’unica squadra della costa meridionale tra le 20 della Premier è appunto Saints, la battuta salta fuori facile facile. Però è indubbio che la compagine biancorossa negli ultimi tre anni abbia raggiunto un risultato strabiliante, specialmente in un’epoca in cui i club di media e bassa caratura faticano tantissimo a ritagliarsi un posto al sole. Basti pensare che nella primavera del 2011 il Southampton celebrava il ritorno in Championship (l’e-

quivalente della nostra Serie B) dopo un paio di stagioni addirittura in League One. Il primo passo di una discesa agli inferi coincisa con una gravissima crisi finanziaria che ha rischiato di far sparire il team del St Mary’s e iniziata con la retrocessione dalla Premier nel 2005, dopo una permanenza di 27 anni nella massima serie inglese. LA RISALITA Una volta toccato il fondo, però, i Saints hanno capito che dovevano cambiare registro. D’altronde gli ultimi anni di regno dell’ex presidente Rupert Lowe erano stati all’insegna delle scelte discutibili e costose, come nominare l’allena-


di Luca Manes

tore dell’Inghilterra campione del mondo di rugby del 2003 Clive Woodward a direttore tecnico, oppure conferire l’incarico di manager a Harry Redknapp – un recentissimo passato alla guida degli arci-rivali del Portsmouth. Una serie di mosse che hanno determinato roventi contrasti con i tifosi e provocato difficoltà economiche e l’inesorabile amministrazione controllata, che in Inghilterra vuol dire automatica penalizzazione di punti in campionato. Insomma, il caos più totale, fino all’insperato avvento dell’uomo d’affari tedesco, ma con passaporto svizzero, Markus Liebherr. Uno che a Southampton ha risolto tutti i problemi esistenti. Nonostante sia prematuramente venuto a mancare nel 2010, la famiglia ha deciso di dare lo stesso continuità economica al progetto tecnico, affidando la presidenza all’italiano Nicola Cortese. Una bella porzione del bilancio è stata dedicata alle strutture e ai campi d’allenamento, nonché agli scout incaricati di scovare ragazzini prodigio. E i risultati si sono subito visti.

SALTO DOPPIO L’artefice della doppia promozione dalla League One fino alla Premier nello spazio di 12 mesi è stato Nigel Adkins, già protagonista di un altro miracolo, quello dello Scunthorpe (ricondotto in Championship dopo oltre quattro decenni di assenza). Eppure al buon Nigel lo scorso anno è stato dato il benservito, nonostante la squadra stesse conducendo un campionato dignitoso. La decisione di sostituirlo con l’ex tecnico dell’Español Mauricio Pochettino fu accolta con grande sdegno da un’abbondante fetta della tifoseria, che però si sta man mano ricredendo. Se Adkins era l’ideale per uscire dalle sabbie mobili delle serie minori, l’allenatore argentino è l’uomo che sta facendo fare l’ulteriore salto di qualità al Southampton. Anche perché, da quando è arrivato al St Mary’s, Pochettino ha un solo obiettivo: riportare la squadra in Europa (dove manca dal 2004), meglio se dalla porta principale della Champions League. A giudicare

dai risultati di questa prima parte di stagione, impreziosita dalla vittoria ad Anfield Road e dal pareggio all’Old Trafford, l’idea non è così campata in aria. La squadra ha un’impronta molto British, nonostante vari innesti stranieri. Talenti autoctoni apprezzati da Roy Hodgson, che per il doppio impegno contro Cile e Germania ha chiamato addirittura tre giocatori dei Saints: Rickie Lambert, Jay Rodriguez e Adam Lallana. DAI CAMPI AL CAMPO Il primo ha una storia pazzesca, da libro cuore. Tanto per intenderci, una decina di anni fa raccoglieva barbabietole nella Merseyside. L’incipit della carriera di LaMbert, infatti, è tutt’altro che brillante. Il Liverpool gli dà il benservito quando è solo quindicenne, qualche tempo dopo lo boccia il Blackpool, con cui racimola solo una manciata di presenze in prima squadra. Lui per un po’ si deve trovare un lavoro al di fuori del football, in un’impresa del comparcalcio2000 69 gen 2014


premier lEAgue inghilterra to agricolo. Poi si materializza il Macclesfield, il primo di una serie di team (gli altri furono Stockport County, Rochdale e Bristol Rovers) in cui Lambert si fa apprezzare dai tifosi, segnando un numero crescente di goal. Ultima fermata Southampton, che lo acquista per un milione di sterline e dove la sua esplosione va di pari passo alla rinascita della squadra, come testimonia la sua altissima media realizzativa (un goal ogni due partite). Il giorno in cui viene al mondo la sua terza figlia Roy Hodgson lo convoca in nazionale per l’amichevole celebrativa dei 150 anni della FA contro l’antico nemico scozzese. Lambert non parte tra i titolari, ma al 67esimo arriva il momento atteso da una vita. Ricky non solo esordisce con la maglia dei Leoni alla tenera età di 31 anni, ma spedisce addirittura in rete il primo pallone che tocca. È il goal del definitivo 3-2, poi bissato nel succes-

sivo match di qualificazione mondiale contro la Moldova. Nemmeno uno sceneggiatore di Hollywood avrebbe potuto scrivere una storia più assurdamente fantastica. L’IMBARAZZO DELLA SCELTA Rodriguez e Lallana sono invece meno stagionati di Lambert, in particolare l’ex attaccante del Burnley (classe 1989), che sta finalmente esplodendo dopo un inizio difficile, punteggiato da troppi sabati a scaldare la panchina. Lallana, centrocampista dalla spiccata attitudine offensiva è un prodotto dell’Academy che ha contribuito parecchio a tirar fuori il Southampton dall’inferno delle divisioni minori e ora sta rifulgendo nel paradiso della Premier. Altri ragazzi da tenere d’occhio sono James Ward-Prowse (centrocampista) e Shaw (terzino), già nel giro dell’under 21 allenata da Gareth

classifica

marcatori

pt

G

V

N

P

GF GS DR

Giocatore Squadra Gol

Arsenal

28

12

9

1

2

24

10

14

Sergio Agüero Man. City

10

Liverpool

24

12

7

3

2

24

13

11

Sturridge

Liverpool

9

Chelsea

24

12

7

3

2

21

10

11

Luis Suarez

Liverpool

9

Manchester City 22

12

7

1

4

34

12

22

Loïc Rémy

Newcastle

8

Southampton

22

12

6

4

2

15

7

8

Olivier Giroud Arsenal

7

Man. United

21

12

6

3

3

20

15

5

van Persie

7

Everton

21

12

5

6

1

17

13

4

Romelu Lukaku Everton

7

Newcastle

20

12

6

2

4

17

17

0

Aaron Ramsey Arsenal

6

Tottenham

20

12

6

2

4

9

12

-3

Wayne Rooney Man. United

6

Swansea City

15

12

4

3

5

17

16

1

Álvaro Negredo Man. City

5

W. B. Albion

15

12

3

6

3

14

14

0

Oscar

Chelsea 5

Aston Villa

15

12

4

3

5

13

14

-1

Yaya Tourè

Manc. City

5

Hull City

14

12

4

2

6

9

15

-6

Eden Hazard

Chelsea

4

Stoke City

13

12

3

4

5

12

14

-2

Benteke

Aston Villa

4

Cardiff City

13

12

3

4

5

11

17

-6

Soldado

Tottenham 4

Norwich City

11

12

3

2

7

10

23

-13

Wilfried Bony

Swansea

West Ham

10

12

2

4

6

9

14

-5

Rickie Lambert Southampton 4

Fulham

10

12

3

1

8

11

21

-10

Dzeko

Crystal Palace

7

12

2

1

9

7

21

-14

Sigurdsson Tottenham 3

Sunderland

7

12

2

1

9

8

24

-16

Lampard Chelsea 3

Classifiche aggiornate al 26/11/13

70 calcio2000 gen 2014

Man. United

Man. City

| Tabellini nella Sezione Statistiche

4

3

La squadra guidata dal tecnico Pochettino sta offrendo un calcio davvero intrigante

Southgate. Gli investimenti sul settore giovanile stanno pagando dividendi altissimi e si innestano su una tradizione recente da gourmet del football. Dal Southampton hanno spiccato il volo gente del calibro di Theo Walcott, Alex Oxlade-Chamberlain e un tale Gareth Bale. Rispetto al recente passato, quando talenti di quel calibro sono stati venduti ancora “bimbetti”, la ritrovata solidità economica permette di resistere alle offerte dei grandi calibri della Premier. Fin quando si vedrà, anche in base alla crescita dei giocatori – Ward-Prowse è ormai una certezza, Shaw ha ancora molti alti e bassi. L’ulteriore segnale che il club abbia delle ottime basi finanziarie è testimoniato dalla qualità degli acquisti sul mercato straniero. L’ITALIA CHE FATICA A dirla tutta i due “transfughi” della Serie A presi a suon di milioni dai Saints, l’ex Bologna Gaston Ramirez e Pablo Daniel Osvaldo, croce e delizia dei tifosi della Roma a stelle e strisce, non stanno lasciando un segno indelebile. Entrambi si sono ritrovati l’inaspettata concorrenza dei tre nazionali inglesi e devono ancora abituarsi ai


HODGSON BALBETTA I Tre Leoni hanno chiuso l’anno come peggio non avrebbero potuto: nei due match casalinghi contro Cile e gli storici “nemici” della Germania hanno rimediato altrettante sconfitte: 0-2 con i sudamericani e 0-1 con i teutonici (una “doppietta” in negativo che non si verificava da 36 anni). Ma se contro Sanchez e compagni Roy Hodgson ha mandato in campo parecchie riserve (compresi i due esordienti del Southampton, con Lallana che si è fatto valere più di Rodriguez), nel secondo impegno sono stati schierati quasi tutti i titolari. Preoccupano un po’ tutti i reparti, che hanno fatto registrare sensibili passi indietro dopo le belle prove negli ultimi incontri di qualificazione a Brasile 2014 contro il Montenegro e la Polonia. Forse a destare più timori è la difesa, dove la mancanza di un leader come John Terry si fa sentire, eccome. I vari Jones, Smalling, Cahill, Baines, Jagielka e Walker hanno lasciato spesso a desiderare e vanno senza dubbio rivisti – e messi “in riga” – prima della partenza per il Brasile. E poi c’è l’annoso problema del portiere. Joe Hart non è più titolare del Manchester City, sebbene Hodgson lo abbia chiamato in causa contro la Germania. Nelle retrovie scalpita Brendan Forster, estremo difensore del Celtic. L’importante sarà fare chiarezza e soprattutto evitare gli errori commessi da Fabio Capello in Sudafrica. Il tempo stringe e il lavoro da fare è ancora tanto...

ritmi forsennati della Premier. Quanto meno Osvaldo in Inghilterra non si è fatto ancora riconoscere per le sue mattate. Dubitiamo però che nel pantheon dei tifosi biancorossi possa sostituire quel fenomeno di Matt Le Tissier. A Southampton semplicemente “Le God”, tanto per rimanere in tema. Non fosse stato per qualche chilo di troppo e per una certa indolenza tipica dei geni, avrebbe potuto raggiungere vette altissime. Però al vecchio Dell, fra seconda

metà degli anni Ottanta e tutti i Novanta, faceva spesso e volentieri ammattire le difese avversarie, con un florilegio di pennellate e prodezze balistiche. Come quando si fece beffe della difesa del Manchester United e impallinò con un meraviglioso pallonetto Peter Schmeichel in un epico 6-3 inflitto ai Red Devils, oppure quando trafisse da quasi 40 metri il portiere del Blackburn Rovers, Tim Flowers. Peccato abbia giocato poco e non benissimo per i

TIGERS A CHI? Ci sono tante squadre che cambiano l’emblema, modernizzandolo, ce ne sono altre che arrivano addirittura a mutare i colori della prima maglia (il Cardiff, dal blu al rosso per far piacere al proprietario malese Vincent Tan), ma in anni recenti nessuno aveva manifestato l’intenzione di modificare il nome, come vorrebbe fare il proprietario dell’Hull City. Certo, c’era stato il caso del Wimbledon, divenuto Milton Keynes Dons, ma nella fattispecie stiamo parlando di un trasferimento in piena regola del club a quasi 100 chilometri dalla sua sede naturale. Tornando all’Hull, secondo il presidente Assem Allam il suffisso City è troppo banale e ricorrente nelle alte sfere del calcio inglese. Meglio chiamarsi Hull Tigers, approfittando dello storico soprannome della compagine dello Yorkshire. “Il nome Tigers rappresenta un simbolo di potere e ci aiuterà a farci conoscere meglio in tutto il mondo, in particolare in Asia” ha dichiarato Allam in una recente intervista rilasciata al quotidiano inglese Guardian. Sarà, ma i tifosi non ci stanno e hanno manifestato la loro opposizione al progetto del proprietario, egiziano di nascita ma di passaporto e lungo passato imprenditoriale britannico. Per ora senza successo, visto che il club, neopromosso nella massima serie inglese, è già formalmente registrato presso la Premier come Hull City Tigers e in tempi non troppo lunghi potrebbe perdere la dizione City che conserva dal 1904, anno della sua fondazione.

Tre Leoni. D’altronde la sua nazionale era il Southampton, club da cui non si è mai voluto staccare, anche quando i grandi club dimostrarono tutto il loro interessamento per assicurarsene i servigi. Altro dettaglio da non sottovalutare, era un mostro dal dischetto, con ben 48 rigori realizzati sui 49 calciati. In questo Lambert gli somiglia moltissimo, visto che al momento di andare in stampa aveva centrato un filotto di 32 penalties. IL DEMONE DELLE SCOMMESSE Anche Le Tissier, però, ha i suoi scheletri nell’armadio. Dopo essersi ritirato ha ammesso di aver pianificato una combine legata ad una scommessa da migliaia di sterline nel 1995. La truffa avrebbe coinvolto i suoi amici e un compagno di squadra durante un match contro il Wimbledon. Il gruppo aveva pianificato di piazzare migliaia di sterline sulla possibilità che la palla fosse andata in fallo laterale dopo neanche un minuto di gioco. Il tentativo di Le Tissier non riuscì visto che la palla uscì dal campo solo dopo 70 secondi di gioco, perché in precedenza un suo compagno aveva miracolosamente evitato la touche. “Non ho mai corso tanto in vita mia come quel minuto, nell’inutile tentativo di recuperare il pallone e sbatterlo fuori”, ha ammesso il ragazzo originario di Guernsey. Evviva la sincerità! calcio2000 71 gen 2014


bundesliga germania

Il ‘ricercato’ Tutti vogliono Lewandowski, attaccante del Borussia Dortmund in scadenza di contratto. Scopriamo la sua storia e quale potrebbe essere il suo futuro… 72 calcio2000 gen 2014

d’Europa!

è

facile segnare in Polonia, è altrettanto facile (potrebbe pensare qualcuno che faccia un ragionamento superficiale) fare goal in Germania quando giochi con una squadra collaudata come il Borussia Dortmund. Ma non è certo facile mettere a segno quattro reti in una semifinale di Champions League contro il Real Madrid (record per la competizione internazionale). È in questo modo, ma anche in molti altri, che può essere

descritta la carriera calcistica di Robert Lewandowski, attaccante polacco del Borussia Dortmund e della nazionale. POLACCO VERO Robert, nato a Varsavia nel 1988, cresciuto calcisticamente nel Legia Varsavia e nel Znicz Pruszków, si è messo in mostra in maniera costante con la squadra del Lech Poznan, con la quale dal 2008 al 2010 ha messo a segno 32 reti in 58 partite. Ma è nel giugno del 2010


di Gabriele Cantella

che la sua carriera ha una svolta definitiva: la società tedesca allenata da Jurgen Klopp lo acquista per la cifra di 4 milioni di euro. All’inizio gioca poco, causa la presenza di Barrios come attaccante titolare; ma quando il paraguayano s’infortuna o quando non segna, l’ingresso in campo di Robert è sempre decisivo: arrivano così goal a raffica e soprattutto due campionati tedeschi consecutivi con il Borussia Dortmund. Lewandowski, inizialmente considerato semplicemente come un lungagnone d’area di rigore, dimostra di saperci fare anche con la palla al piede, ma soprattutto appare essere non solo un terminale offensivo ma anche un giocatore in grado di far salire la squadra e di poter innescare coi suoi movimenti e coi suoi passaggi gli inserimenti dei trequartisti e degli esterni del-

la squadra giallonera. Motivo per il quale cominciano, sin dal primo scudetto giallonero, quello del 2010-2011 (l’altro è del 2011-2012) ad interessarsi a lui i maggiori club europei: piace all’Arsenal di Wenger, piace al Barcellona che non ha ancora acquistato Neymar, piace alla Juventus che è da anni alla ricerca di un Top player per il reparto avanzato. Nessuna di queste però riesce ad agganciarlo in maniera definitiva: nel frattempo il suo contratto in scadenza nel giugno del 2014 con la società del Westfalen Stadion, non si capisce il motivo, non viene mai rinnovato. IL BAYERN NEL FUTURO? La società, pubblicamente, si dichiara disponibile a trovare un accordo, ma il procuratore del ragazzo, pur confer-

mando che il suo assistito sia felice a Dortmund, rinvia sempre i possibili incontri. Si arriva così alla stagione 20122013, quella che precede la scadenza del contratto: Robert, tramite il suo procuratore, rende nota la sua volontà di essere intenzionato a provare una nuova avventura, che però in un primo momento è sconosciuta. A poco a poco però il mistero si fa meno fitto. E poco prima della finale di Champions League contro il Bayern Monaco, dopo che i bavaresi hanno da poco acquistato per la cifra di 37 milioni di euro proprio dai gialloneri il talento Gotze, ecco arrivare la conferma dallo stesso club capitanato dal punto di vista dirigenziale da Rummenigge che dal 2014 il polacco farà parte del reparto avanzato che verrà messo a disposizione di Guardiola. Una calcio2000 73 gen 2014


bundesliga germania

Storie di (ex) campioni Era un buon prospetto del calcio tedesco, un ragazzo che era riuscito a guadagnarsi anche delle convocazioni nelle selezioni giovanili della Germania. Burak Karan alle luci della ribalta e agli onori che sono riservati ai calciatori ha preferito altro. Una scelta drammatica quella di un ragazzo che fino al 2008 ha calcato i campi di gioco ed è arrivato a condividere lo spogliatoio con i vari Boateng e Khedira per poi darsi alla Jihad. Burak Karan, come spiegato dal fratello in un’intervista alla Bild, era sconvolto dalle ingiustizie che il suo popolo di origine stava subendo e così ha iniziato a raccogliere fondi e si è trasferito con la moglie e i due figli di pochi mesi in Turchia e più precisamente al confine con la Siria, una delle zone più calde del mondo, lasciandosi alle spalle il calcio. Burak Karan ha perso la vita proprio vicino alla frontiera turca, ucciso durante un bombardamento delle forze lealiste ad Assad. Si trovava lì per combattere ed il suo aspetto era molto cambiato rispetto a quello dei tempi in cui faceva il calciatore. Una delle ultime fotografie lo ritrae con barba lunga, mitra in mano e maglia mimetica. Capitolo Zidan: Mohamed Zidan è uno degli attaccanti egiziani più famosi e vincenti degli ultimi dieci anni (in Germania ha fatto bene con la maglia del Dortmund), ma il suo ricordo rischia di essere offuscato da una condanna a sei anni di reclusione pervenuta in questi giorni da parte di un tribunale del suo paese. Al momento Zidan non sta giocando, ma negli ultimi tempi si è dilettato come commentatore tv per Al-Jazeera: in realtà l’ex, o presunto tale, giocatore non ha mai annunciato il suo ritiro, coinciso per adesso col semplice fatto che nessuna proposta contrattuale gli è stata avanzata al termine della sua avventura negli Emirati Arabi Uniti lo scorso gennaio. Tutto liscio, seppur insolito per un giocatore classe ‘81, fino al processo: Zidan è stato denunciato da una società immobiliare che sarebbe stata truffata con l’emissione di tre assegni irregolari, ed ora dovrà fare i conti, quando si ripresenterà in Egitto, con una sentenza di condanna. A Zidan, che al momento, secondo quanto riferiscono le autorità del suo paese, non si trova in territorio egiziano, resta comunque la possibilità di ricorrere in appello, la condanna non è infatti ancora definitiva.

conferma in tal senso, ma che successivamente verrà smentita, arriva anche dal suo procuratore Cezary Kucharski e dal diretto interessato: “È tutto molto chiaro, anche se al momento non abbiamo firmato niente poiché i due club devono ancora trovare un accordo. Robert è felice di aver trovato a Dortmund un allenatore e dei tifosi fantastici, ma non vede l’ora di trasferirsi in un nuovo club e iniziare una nuova avventura”. Appare così palese che dietro la sua volontà di non rinnovare ci sia quella di arrivare a parametro zero in Bavaria ed avere così un ingaggio da leccarsi i baffi, di gran lunga superiore a quello che percepisce in giallonero. Fa però specie il fatto che il diretto interessato, denaro a parte, voglia lasciare una squadra nella quale è protagonista assoluto e che gli permette di essere al top sia in campo nazionale che internazionale. BRACCIO DI FERRO Ma fa soprattutto specie che un club intelligente come il Dortmund, anziché vendere Lewandowski ed incassa74 calcio2000 gen 2014

classifica

marcatori

pt

G

V

N

P

GF GS DR

Giocatore Squadra Gol

Bayern Monaco

35

B. Leverkusen

31

13

11

2

0

30

7

23

Lewandowski B. Dortmund

13

10

1

2

28

14

14

Stefan Kießling B. Leverkusen 8

B. Dortmund B. M’ gladbach

28

13

9

1

3

32

14

18

Vedad Ibisevic Stoccarda

8

25

13

8

1

4

30

16

14

Mandžukic

B. Monaco

8

Wolfsburg

22

13

7

1

5

19

15

4

Lasogga

Amburgo

8

Schalke 04

21

13

6

3

4

26

26

0

Firmino

Hoffenheim

7

Mainz 05

19

13

6

1

6

20

25

-5

Adrian Ramos Hertha Berlino 7

Hertha Berlino

18

13

5

3

5

20

17

3

Nicolai Müller Mainz 05

Stoccarda

16

13

4

4

5

24

23

1

Max Kruse

B. M’Gladbach 7

FC Augsburg

16

13

5

1

7

15

23

-8

Sidney Sam

B.Leverkusen 7

Amburgo

15

13

4

3

6

29

30

-1

Marco Reus

B. Dortmund

7

Werder Brema

15

13

4

3

6

15

23

-8

Aubameyang B. Dortmund

7

Hannover 96

14

13

4

2

7

15

22

-7

Thomas Müller B.Monaco

6

Hoffenheim

13

13

3

4

6

28

30

-2

Modeste

6

E. Francoforte

11

13

2

5

6

17

24

-7

van der Vaart Amburgo

6

Friburgo

11

13

2

5

6

14

24

-10

Ivica Olic

Wolfsburg

6

Norimberga

8

13

0

8

5

13

26

-13

Raffael

B. M’Gladbach 6

E. Braunschweig

8

13

2

2

9

8

24

-16

Ádám Szalai

Schalke 04

Classifiche aggiornate al 24/11/13

Hoffenheim

| Tabellini nella Sezione Statistiche

9

7

5


con il Bayern Monaco. Mi piacerebbe in futuro poter giocare in Premier League, sono sicuro che sarebbe veramente una bella esperienza. Qualche anno fa avrei potuto giocare con il Blackburn, che mi fece un’offerta. Parlai anche con l’allenatore di allora, Sam Allardyce, ma poi pensai che per la mia crescita sarebbe stato opportuno restare a giocare con la maglia del Borussia Dortmund. Rivelerò il mio futuro il prossimo anno a gennaio, ma non c’è bisogno che qualcuno si metta più in contatto con me. Ho deciso cosa farò, semplicemente voglio avere una nuova sfida la prossima stagione nonostante sia molto molto felice al Borussia Dortmund”. Il Bayern Monaco aspetta, a braccia aperte, il forte attaccante polacco, ora al Borussia

re come minimo una cifra vicina ai 25 milioni di euro, corra invece il rischio e faccia la follia di lasciarlo partire a parametro zero. Proprio per questo motivo ad agosto sembrano cambiare le carte in tavola. Sia il procuratore di Lewandowski che il club, in questo caso rappresentato dal direttore generale Watzke, fanno sapere che le parti stanno lavorando al rinnovo del contratto, perlomeno per un altro anno, ma con l’inserimento di una clausola rescissoria. Rinnovo e clausola che consentirebbero così di ricavare un po’ di denaro in caso di cessione. Per alcuni si tratta solamente di dichiarazioni di facciata per evitare che il calciatore, già promesso sposo ad un altro club, possa diventare un bersaglio dei tifosi o possa non esprimersi al meglio in campo. Questa eventualità però non si realizza, in quanto Robert continua a fare il suo dovere e continua a restare in silenzio riguardo a quella che sarà la sua prossima squadra. Ma quando tutto sembra far presagire la firma a gennaio 2014 di un nuovo contratto con il Bayern Monaco (c’è chi parla di un ingaggio di 11 milioni di euro all’anno) ecco arrivare le dichiarazioni del diretto interessato, che ritratta quanto affermato in estate: “Da gennaio in poi potrò essere libero di firmare con qualunque altro club, ma non ho mai detto che lo farò

GRANDI ALL’ERTA Da questo momento in poi comincia la caccia al club che lo ingaggerà: si fanno molti nomi, simili a quelli paventati in passato (Arsenal, Barcellona, Real

Madrid, Chelsea), ma sono i campioni d’Europa e di tutto in carica allenati da Guardiola ad apparire come i favoriti. Un segnale in tal senso è arrivato anche ascoltando le dichiarazioni del presidente onorario del Bayern Franz Beckenbauer, espressosi con riferimento al possibile addio di Mandzukic, diventato l’erede del ceduto (alla Fiorentina) Gomez e all’arrivo proprio di Lewandowski: “Mandzukic è sicuramente un attaccante forte, ma sarebbe molto bello avere Lewandowski al Bayern Monaco. Mi piacerebbe poterlo vedere presto con la nostra maglia addosso”. A gennaio, come sottolineato dallo stesso Robert, il mistero avrà sicuramente fine. I tifosi del Dortmund sperano che coi suoi goal però Lewandowski possa regalare loro un ultimo trofeo, magari in barba ai bavaresi, che nella scorsa stagione gli hanno sottratto sia la Bundesliga che la finale di Champions League.

Klopp meglio di Pep Jurgen Klopp meglio di Pep Guardiola, è questa la sentenza emessa dai tifosi tedeschi in un sondaggio. Netta prevalenza per il tecnico giallonero, preferito al collega spagnolo nonostante quest’ultimo abbia fatto incetta di trofei. L’inchiesta lanciata da ‘Sky Deutschland’ ha fatto emergere il plebiscito in favore di Klopp, votato dal 44% degli appassionati rispetto al 16% che ha scelto Guardiola. Per il 40% dei partecipanti al sondaggio, invece, i due allenatori si equivalgono. Il dato che più balza all’occhio è che il 21% dei tifosi del Bayern ha scelto il tecnico dei ‘rivali’ anzichè propendere per il proprio timoniere. Due le componenti che hanno portato Klopp a prevalere sull’ex guida in panchina del Barcellona: il 78% lo ritiene più appassionato e il 69% lo elogia per la mentalità offensiva. Magra consolazione per Pep giunge dall’aspetto tattico, dove il 54% crede che l’allenatore dei bavaresi lo curi di più rispetto al condottiero del Borussia. Ma tra pochi giorni, i numeri sono destinati a lasciar spazio al campo. Campo, perlomeno quello tedesco, dal quale entrambe le compagini dovrebbero essere eliminate secondo uno dei guru del calcio teutonico, Felix Magath: “Bayern Monaco e Borussia Dortmund dovrebbero essere esclusi dalla Bundesliga e dovrebbero partecipare ad un campionato europeo. I club che partecipano costantemente alla Champions League ottengono introiti enormemente maggiori rispetto alle altre squadre. Per questo motivo sarebbe più idoneo creare un campionato su base europea”. Mentre sulla corsa al titolo, ecco un pronostico secco: “Il primo posto è già prenotato dal Bayern di Guardiola. Dortmund e Leverkusen si contenderanno il secondo e terzo posto, dal quarto in giù avremo delle sorprese”. Magath ha guidato il Bayern per ben tre stagioni, nel periodo che va dal 2004 al 2007, mentre l’ultima esperienza in panchina è stata quella al timone del Wolfsburg nel 2012

calcio2000 75 gen 2014


ligue 1 francia

GALLETTI

A CRESTA ALTA Anche la Francia ha agguantato il pass per i Mondiali ma quanta paura…

76 calcio2000 gen 2014

E

alla fine, sarà Mondiale. La Francia ce l’ha fatta e, non senza fatica, ha staccato il tanto anelato pass per Brasile 2014. Didier Deschamps, commissario tecnico dei ‘galletti’, ha potuto tirare un enorme sospiro di sollievo al fischio finale dell’arbitro Skomina, riponendo così nell’armadio gli scheletri di quel 17 novembre del 1993, tornati a far capolino nella mente del selezionatore transalpino. Stavolta la

sua Francia al Mondiale ci sarà, nonostante la grande paura. Ogni obiettivo raggiunto ha tutto un altro sapore se arrivato dopo il timore di non farcela e così il popolo francese ha accolto la qualificazione come un epico trionfo. E pensare che fino a qualche mese fa, i ‘galletti’ sognavano di conquistare l’accesso a Brasile 2014 senza dover nemmeno passare dai playoff, a spese della Spagna campione in carica. Un sogno durato poco ma che non


di Renato Maisani

lascia troppi rimpianti ai transalpini: alla fine è il risultato finale quello che conta e se l’obiettivo era poter urlare ‘Presenti’ all’appello pre-Mondiale, Lloris e compagni potranno farlo a gran voce. Galletti, avete fatto solo il vostro dovere... Era il 30 luglio del 2011 quando a Rio de Janeiro fu svolto il sorteggio dei gironi di qualificazione per Brasile 2014. “Ci toccherà passare ancora una volta dai playoff se vorremo andare ai Mondiali”, fu il commento più diffuso tra gli appassionati di calcio transalpini dopo il verdetto delle urne. La Francia, infatti, era stata inserita nello stesso girone della Spagna, fresca Campione d’Europa e del Mondo e praticamente impossibile da sopra-

vanzare. Allo stesso tempo, però, sarebbe stato un vero e proprio disastro non riuscire a garantire la seconda piazza tenendosi alle spalle Nazionali di livello non certo elevatissimo quali Finlandia, Georgia e Bielorussia. A dispetto delle esaltanti manifestazioni di giubilo, dunque, è doveroso ribadire come la compagine guidata da Didier Deschamps non abbia compiuto alcuna impresa straordinaria nel conquistare l’accesso ai playoff nè tanto meno a battere un’Ucraina che, a dispetto del ranking, dispone di un organico parecchio inferiore a quello dei ‘Bleus’. Piuttosto, “Monsieur Didì”, dovrà lavorare – e parecchio – per presentare ai nastri di partenza del campionato del Mondo una Nazionale in grado di poter competere con le big.

Dall’Inferno al Paradiso: la partita perfetta In apertura facevamo riferimento al 17 novembre 1993, data che pochi francesi hanno dimenticato. Quel giorno la Nazionale di Gerard Houllier si giocava l’accesso ad Usa ’94 e a Cantona e compagni sarebbe bastato un pareggio contro la Bulgaria, tra le mura amiche del ‘Parco dei Principi’, per far festa. A festeggiare, però, furono i bulgari che, guidati dal futuro Pallone d’Oro Hristo Stoichkov e trascinati dalla doppietta di Emil Kostadinov, gettarono in un incubo il movimento calcistico francese. Incubo che in tanti hanno temuto di dover rivivere al termine della gara d’andata dei playoff, quando a Kiev i goal di Zozulya e Yarmolenko sembravano aver compromesso le speranze di qualificazione della truppa di Decalcio2000 77 gen 2014


ligue 1 francia

RAVANELLI, ADDIO TRA LE POLEMICHE

Appena 12 partite e 7 punti raccolti: si è conclusa in fretta l’avventura di Fabrizio Ravanelli sulla panchina dell’Ajaccio. Chiamato in estate a rimpiazzare Alex Dupont, ‘Penna Bianca’ non è riuscito a lasciare il segno nella sua prima avventura da allenatore, riuscendo a vincere soltanto il match con il Lione e raccogliendo appena altri 4 pareggi. L’addio dell’ex attaccante della Juventus è stato reso ancor più turbolento dalle pesanti dichiarazioni rilasciate dal difensore Cedric Hengbart il quale ha così ‘salutato’ l’allenatore esonerato: “Ci consigliavano di prendere delle cose ed io sono stato tra i pochi a rifiutarmi. Ho 33 anni e dieci di carriera alle spalle, non vado ad impasticcarmi proprio adesso”. Parole al vetriolo quelle di Hengbart, con riferimento esplicito a mister Ravanelli e al preparatore atletico Ventrone. Piccata e decisa la risposta dell’ex bianconero: “Sapevo cosa medico e nutrizionista davano ai miei giocatori, erano semplici integratori alimentati, roba che si trova anche nei supermercati e che posso essere assunte da una nonna”.

schamps. Processi e ‘funerali’ avevano accompagnato i giorni di vigilia del match di ritorno, sebbene l’ottimismo non avesse mai abbandonato buona parte dei sostenitori dei ‘Bleus’. Serviva un’impresa ed impresa fu. 3-0, senza passare dai supplementari. Una partita perfetta, con rischi prossimi allo zero. Ribery e soci hanno disputato il match con addosso una inquietante ‘spada di Damocle’: subire un goal, infatti, avrebbe significato doverne realizzare almeno quattro. E scendere in campo sapendo di dover fare almeno tre reti e con il terrore che subirne una possa essere fatale, non è certo facile. Ancor meno lo è riuscire nell’intento e chiudere il match sul 3-0. ‘Chapeau’, per dirla alla francese. Rischi zero, dicevamo, e partita già in discesa al 22’ grazie alla zampata di Sakho. Sì, perché il bello del calcio è la sua imprevedibilità e a fare goal è proprio l’uomo meno atteso, un difensore mai andato a segno con la maglia della Nazionale maggiore. E che ‘decide’ di farlo proprio nel giorno più importante. Dopo ‘il difensore che non ti aspetti’, ci pensa il bomber più atteso, Karim Benzema, che sigla il 2-0 prima dell’intervallo. Agli ucraini servirebbe un goal per mettere una seria ipoteca sulla qualificazione, ma i ragazzi di Fomenko sembrano smarriti, confusi. Khacheridi si fa cacciare ad inizio ripresa, Gusev fa goal – sì - ma nella porta sbagliata. Nonostante questo, agli ex-sovietici basterebbe una rete per far festa, ma i guanti di Lloris si sporcano soltanto durante i festeggiamenti finali. Un’Ucraina brutta, a tratti irriconoscibile. Una Francia (finalmente) carica, 78 calcio2000 gen 2014

concreta, attenta, sicura di sè. Ma che ha ancora molto su cui lavorare... Missione Brasile: avanti a fari spenti Pogba, Benzema e Ribery. E poi Lloris, Sakho e Matuidi. Sono loro a comporre la spina dorsale della Francia che si appresta a prendere parte ai Mondiali. 16 anni dopo il successo targato Zinedine

Zidane, i ‘Bleus’ si presentano ai nastri di partenza dei campionati del Mondo senza i galloni da favoriti, ma con un organico imprevedibile, tanto nel bene quanto nel male. In altre circostanze i ‘galletti’ vennero inclusi nel novero dei favoriti, salvo poi sciogliersi all’inizio della manifestazione. Accadde ai Mondiali del 2002 e a quelli del 2010, ma anche ad Euro 2008, tre manifestazioni

classifica

marcatori

pt

G

V

N

P

GF GS DR

Giocatore Squadra Gol

PSG

31

13

9

4

0

27

8

19

Falcao

Monaco

9

Lille

27

13

8

3

2

15

4

11

Cavani

PSG

9

Monaco

26

13

7

5

1

21

11

10

Ibrahimovic

PSG

8

Nantes

23

13

7

2

4

19

10

9

Filip Djordjevic Nantes

8

Marsiglia

21

13

6

3

4

18

13

5

Darío Cvitanich Nizza

7

Stade de Reims

19

13

4

7

2

15

12

3

Nélson Oliveira Rennes

7

Lione

18

13

5

3

5

19

16

3

Hamouma

Guingamp

18

13

5

3

5

16

14

2

Kevin Berigaud Évian

6

Saint-Etienne

18

13

5

3

5

18

17

1

Riviere

Monaco

6

Bastia

18

13

5

3

5

15

19

-4

Lacazette

Lione

6

Rennes

17

13

4

5

4

16

13

3

Diabaté

Bordeaux

6

Bordeaux

17

13

4

5

4

16

17

-1

Yatabaré

Guingamp

5

Nizza

17

13

5

2

6

14

16

-2

Foued Kadir

Rennes

5

Évian T. G. FC

16

13

4

4

5

15

21

-6

Nolan Roux

Lille

5

Tolosa

16

13

4

4

5

11

19

-8

Remy Cabella Montpellier

5

Montpellier

14

13

2

8

3

16

17

-1

Gignac

Marsiglia

5

Lorient

11

13

3

2

8

11

23

-12

Aboubakar

Lorient

5

Valenciennes

9

13

2

3

8

11

20

-9

Bakambu

Sochaux

4

Ajaccio

8

13

1

5

7

9

19

-10

Corgnet

Saint-Etienne 4

Sochaux

7

13

1

4

8

11

24

-13

Braithwaite

Tolosa

Classifiche aggiornate al 10/11/13

Saint-Etienne 6

| Tabellini nella Sezione Statistiche

4


in occasione delle quali i francesi vennero sbattuti fuori già ai gironi eliminatori nonostante la presenza in organico di giocatori di livello assoluto: Zidane, Trezeguet, Henry, Vieira e Thuram nel 2002, Ribery, Henry, Benzema, Thuram e Gallas – tra gli altri- tra il 2008 e il 2010. Ma i risultati furono pessimi in tutte e tre le occasioni. Stavolta, a fari spenti, la Francia vanta qualche ‘fuoriclasse’ in meno, ma dispone di una squadra camaleontica, in costante crescita e capace di far soffrire chiunque, Spagna compresa. Il selezionatore sembra ormai aver scelto il modulo ideale per la sua Nazionale, un 4-3-2-1 molto vicino ad un 4-3-3, capace talvolta di trasformarsi in un 4-1-4-1. Una tattica camaleontica, ma capace di esaltare le qualità dei calciatori migliori senza pesare troppo sui gregari. Ribery libero di inventare sulla sinistra senza troppi compiti difensivi, Benzema ben supportato dagli esterni, Pogba con le spalle coperte da Cabaye e Matuidi, quest’ultimo incoraggiato al dialogo ravvicinato coi compagni senza oneri di ‘creatività’. La linea difensiva rimane il ‘tallone d’Achille’ dei ‘Bleus’ con Sakho – appena 23enne ed al suo primo Mondiale – chiamato a ricoprire il ruolo di leader al fianco del giovanissimo Varane, che continua a non convincere. Evra, disciplina permettendo, proverà a mettere a disposizione la sua esperienza sulla corsia mancina, mentre a destra Deschamps continua a preferire Debuchy a Sagna, tra mille perplessità. Allo ‘start’ dei Mondiali mancano ancora parecchi mesi, se i vari campionati europei offriranno al c.t. delle soluzioni più convincenti e gli permetteranno di mettere a posto il reparto difensivo, la Francia potrà davvero sognare in grande. #matchtruquè La teoria del sospetto, nel calcio, è alla base di ogni avvenimento calcistico. Complotti, arbitraggi ‘pilotati’, partite ‘già decise a priori’, giocatori venduti: i tifosi sono sempre più disincantati e pronti ad urlare allo scandalo con tanta, troppa frequenza. E così, memori del

Nella decisiva sfida con l’Ucraina, la Francia ha rimontato, in Patria, lo 0-2 dell’andata

celebre fallo di mano di Henry che valse alla Francia la qualificazione ai Mondiali del 2010 a scapito dell’Irlanda di Trapattoni e dalla presunta ingerenza mirata a favorire la Nazionale francese da parte di Michel Platini, tutti aspettavano da un momento all’altro il regalo ai transalpini. Prima dei sorteggi dei playoff, persino Cristiano Ronaldo si lasciò andare ad una pungente illazione: “Spero che il mio Portogallo non sia opposto alla Francia, perché dispone di tanti grandi calciatori ma soprattutto perché temo ci possano essere interessi intorno a questa squadra. E non aggiungo altro perché altrimenti verrei punito”. Parole

forti, accuse dirette e nemmeno troppo velate. Dopo il 2-0 dell’andata, in molti continuavano a dare la Francia per favorita alludendo ad un ‘goal di Platini’ e dopo il 3-0 maturato allo Stade de France è subito schizzato in alto tra le tendenze di Twitter l’hashtag #matchtruquè, con chiara allusione al successo francese, viziato da un goal in fuorigioco messo a segno da Benzema. Interessi economici, vendita dei diritti televisivi, spinta della Nike (sponsor tecnico della Francia): tante sono state le illazioni fatte in merito al match. Chi ama il calcio spera che si tratti di semplice dietrologia.

IL CUORE TENERO DI IBRA Per molti è un rude, un duro, persino un ‘cattivo’. Zlatan Ibrahimovic, in campo, è l’attaccante che nessun difensore vorrebbe mai fronteggiare, per evitare di rimediare figuracce e, perché no, anche qualche sganassone. Un azzardato accostamento a Dio prima del playoff contro il Portogallo, quell’irriverente “Il Mondiale non ha alcun senso senza di me”, dichiarato dopo l’eliminazione. Ibra è così: classe, sfrontatezza e convinzione nei propri mezzi. Lo svedese, però, a cuore aperto in occasione di un’intervista rilasciata a GQ, ha svelato anche alcuni retroscena del suo carattere: “Se non partecipo a cerimonie e manifestazioni è perché ho paura, essere su un palco mi terrorizza. Sono un timido, non ho nulla contro gli eventi. Ho soltanto ereditato una grande sensibilità da mia madre”. Sensibilità della quale hanno beneficiato anche i compagni di squadra del PSG: ognuno di loro ha infatti ricevuto in regalo da Ibrahimovic una X-Box personalizzata con il proprio numero ed il proprio cognome incise sulla console, con tanto di autografo di Zlatan. Un ‘cattivo’ soltanto all’apparenza...

calcio2000 79 gen 2014


di Elisa Palmieri

Le verità di Carletto

Figo vs Florentino Perez

“Di tutti i giocatori che ho allenato nella mia carriera lui è quello che mi ha sorpreso di più, soprattutto per la sua professionalità dentro e fuori dal campo. È molto serio e attento ai dettagli, non fa solo gol, ma motiva e aiuta i suoi compagni di squadra”.

“Arrivato ad un certo punto non ce la facevo più a restare nel Real Madrid, perché lì mi sentivo come un giocatore che il presidente non voleva per davvero. Andavo sempre in panchina senza mai ottenere una spiegazione, e questo era solo un modo per farmi del male”.

Così Ancelotti sul suo pupillo Cristiano Ronaldo – Cadena Ser

“Conosco Diego Lopez dal 2006. Dida aveva un problema nel Milan e provammo a prendere Diego che giocava nel Villareal. Mentre la cessione di Ozil è stata una scelta mia. Ho scelto Di Maria per un discorso di equilibrio di squadra. Ha meno qualità di Ozil ma io lo preferisco. Inoltre, con l’arrivo di Bale era più importante Di Maria che Ozil”. Sempre mister Ancelotti – Cadena Ser

L’11 morattiano “In porta metto Zenga, terzini Brehme e Roberto Carlos, al centro metterei Cordoba, Bergomi e Passerella. In mediana Ince e Matthaeus. In attacco sono troppi. Senza dubbio Ronaldo e Ibrahimovic. E poi per non offendere nessuno mettiamo Recoba, per il quale tutti sanno che ho una mania...”. Così l’ex patron dell’Inter Massimo Moratti – Inter Channel

De Laurentiis boccia l’Europa League “Spero in una Champions ancor più appetibile, che porti sul tavolo 5 milioni di euro, invece di uno. Penso alle prime cinque o sei squadre delle cinque nazioni più importanti d’Europa che facciano un torneo parallelo al campionato. L’Europa League, così com’è, è in contraddizione con il fair play finanziario, per il quale occorre fare un certo fatturato. Ha dei costi superiori ai ricavi perchè bisogna comunque allestire due squadre, ma non può essere finanziariamente interessante per dei club di un certo livello, ai quali sottrae soltanto energie utili per il campionato nazionale”. Aurelio De Laurentiis – L’Equipe

Luis Figo e la sua esperienza con le merengues – Grada360

Mino tifa Ibrahomovic “Se Zlatan non vince il premio, questo non farà che rafforzare l’immagine di un premio politico e corrotto. Se volete che questo premio venga preso sul serio, allora Zlatan deve vincerlo” Così Mino Raiola – Expressen

Robinho e l’amico Ricky “È vero. Sto bene, la mia forma è ormai quella ideale, sono felice perchè gioco a calcio. È poi è tornato mio fratello Ricky. Ci conosciamo da quando lui era nelle squadre giovanili del San Paolo e io in quelle del Santos (...) Io e Ricky siamo stati sempre in contatto in questi anni, non ci siamo persi di vista. Io ho fatto il possibile per riportarlo al Milan. Sono contento che sia ancora qui con noi. Rappresenta molto per noi, ha una qualità incredibile, è sempre un esempio, anche nella vita privata. Se sta bene fisicamente e torna com’era prima di andare al Real Madrid può rivincere il Pallone d’Oro”. Robinho – Il Corriere della sera Siamo certi l’amico Kakà ringrazia...

Keane vs Ferguson “Ferguson parla tanto dell’importanza della devozione allo United, ma lui non sa neanche cosa siano devozione, lealtà, amicizia. Ho parlato con lui diverse volte di lealtà, ma non sembra conoscere proprio questa parola. Parla male di giocatori come me, Beckham e altri che hanno dato anni della loro vita allo United e hanno contribuito a fargli vincere un sacco di trofei. Chissà cosa avrebbe detto di noi, se non avessimo vinto niente...”. Roy Keane – Ansa.it

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