Rivista arti marziali cintura nera budo international 277

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"Il tempo può avere parti laboriosi, ma non abortisce mai”. Lamennais

L

a vita è una costante riconversione. Ci trasformiamo in qualcosa che si sta continuamente riconvertendo in un'altra cosa e paradossalmente continuiamo a essere gli stessi. Le nostre cellule cambiano totalmente in sette anni e in sette giorni il nostro sangue si rinnova completamente, ma se nasciamo, per esempio, testardi, continueremo a essere testardi, sfumature a parte, accomodamenti e adattamenti, eccetto tutto quello che volete. Esiste una radice profonda nelle nostre nature che non è equidistante, né equilibrata, una tendenza a scegliere che apre alcune porte e ne chiude altre, tutto ha un prezzo, la cosa perfetta o non esiste, o è sempre stata lì. Adattarsi a una regola morale, a un modello, per migliore che sia sulla carta, è una misura spuria o per lo meno suicida, sempre castratrice e decisamente traumatica. Non dobbiamo quindi tentare il cambiamento, la trasformazione? Non ho detto io questo. Se la vita è qualcosa, è un processo di cambiamento e questo cambiamento deve avere un faro, una bussola, un Nord. Il problema sorge quando il cambiamento non appare dall’interno verso l’esterno, o quando il modello non risponde alla tua natura, bensì a quella di un altro. Questo, e non altro, è il problema essenziale dell'insegnare, il problema della Maestria. L’Occidente semplificò questa questione mediante la spersonalizzazione dell'apprendistato. Si studiano tecniche, bisogna attenersi al piano di studi; la centralità non sta nella persona, bensì nelle materie. Uno può essere un perfetto bastardo e tuttavia essere un magnifico ingegnere aeronautico. È normale che ci sia tanta brutta gente lì fuori... Insegnarci a essere persone è difficile perché ognuno parte da luoghi diversi, ognuno è quel fiocco di neve che ha cristallizzato in modo unico. Tutti siamo H2O, ma mentre manteniamo la nostra forma solida, siamo indiscutibilmente differenti. In generale l'Oriente, mantiene qui una discrezionalità più che lodevole e dimostra una saggezza secolare. L'apprendimento è di ogni chi, il Maestro è più un esempio che deve essere letto da ciascuno. Forse per questo l'insegnamento, incluso la tecnica, è tanto silenzioso in Oriente. La verbalizzazione, specialmente delle questioni più personali, è stata in pratica esiliata, non per negligenza, bensì per convinzione che porta più di cattivo che di buono. Però amici, la globalizzazione è materia sensibile e i miscugli non danno sempre i frutti migliori, ma a volte anche i peggiori ... Nel pot-pourri dei nostri tempi, in non poche occasioni i miscugli escono

“Dovremmo usare il passato come trampolino e non come sofà”. MacMillan

come nella battuta di Einstein e Marilyn. Einstein: "S’immagini se esce al contrario: con la mia bellezza e la sua intelligenza". Sono comunque un percorso di non ritorno, quello che dovrebbe raddoppiare la nostra attenzione a questo punto. Ogni tentativo di liquidare la questione con quello che qualsiasi tempo passato fu migliore, è condannato al fallimento, perché Eraclito già lo disse chiaramente, e perché alla peggio adesso il fiume scende dall’alto, inquinato. Ho visto come molti insegnanti, spesso influenzati dalla migliore delle intenzioni, sono preda di questa particolare confusione dei tempi del mondo alla rovescia. Altri ancora, e non pochi, si è visto come hanno fatto di questa confusione il miglior sotterfugio per il conseguimento dell'abuso e tirannia, dando luogo alla proiezione di patologie personali e settarie. Maestri di Arti Marziali che intonando il canto della scimmia maschio, lesionano i loro alunni nelle loro manifestazioni di onnipotenza, o che influenzati dalla sempre falsa aura di superiorità morale, umiliano i loro alunni in pubblico, trattandoli come se arringassero le loro truppe davanti ad una battaglia di vita o di morte, semplicemente perché si alzarono col piede sbagliato, o perché nel momento sbagliato, si aprì quella ciste purulenta che stavano coltivando con coraggio nella loro incontaminata superiorità. Davanti a questo paradigma bisogna necessariamente ritornare sempre ai classici, il "conosci" te stesso è l'unico vaccino che a metà funziona per queste malattie. Ognuno con le proprie patologie e una volta sottomesso a questo principio, si fa molto più tollerante e gentile con quelle degli altri, perché una volta vista la pagliuzza nel proprio occhio, uno si fa più tollerante e gentile con quella altrui. In altro modo, l'ostracismo psichico e sociale sono l'unica conseguenza possibile. La compassione che in questo modo si genera, nasce così dalle nostre deficienze, non dalla nostra superiorità morale e quindi è effettiva e di lunga distanza. L'altra è forzata e frequentemente mostrerà il pennacchio, perché si può tenere una bandiera per molto tempo, ma un albero, (... il naturale) si tiene da solo. Riconvertirsi non è un’opzione, è un comando della natura, non appendiamo medaglie per ciò. Le medaglie o i premi arriveranno, o no, frutto di come lo facciamo e di quello che facciamo. Nulla si può azzeccare in questi processi senza contare sulle nostre nature personali, perché un melo darà sempre mele... La convergenza di tradizioni e modernità non è un fenomeno nuovo. Ogni evoluzione si basa in modo o nell’altro su un tradimento dei modelli prevalenti e accettati a piè pari nel loro momento. Sposare entrambi i mondi non solo è Traduzione: Chiara Bertelli


Alfredo Tucci è Managing Director BUDO INTERNATIONAL PUBLISHING CO. e-mail: budo@budointernational.com

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pertinente, bensì indispensabile affinché qualcosa di nuovo veda la luce, affinché la storia cammini, e il vero Universale rimanga. Tutti siamo parenti dei nostri predecessori, e per tanto che molte volte nella vita uno faccia cavolate disattendendo le loro voci, è anche questo nostro obbligo trasgressivo; spesso il tempo darà loro la giusta ragione che avevano, perché mentre e paradossalmente, quasi tutto è inventato, o almeno tutto, quando noi diventiamo vecchi, somigliamo ai nostri vecchi. Tutti con gli anni ci facciamo conservatori... vogliamo conservare i capelli, vogliamo conservare la forza, vogliamo conservare la voglia di conservare... Il lavoro di ogni generazione, di ogni tempo, è riconvertirsi, che lo voglia o no il nostalgico e, a partire da ciò che siamo e da dove siamo, che lo voglia o no il libertario, il sognatore utopico. Tuttavia non valgono tutti gli amalgami e i miscugli, in chimica come nella vita devono essere fatti con accortezza; però nuove leghe più efficienti sono sempre possibili e naturalmente necessarie, perché il cammino del tempo è verso avanti, e il cambiamento, la riconversione, non sono in modo alcuno opzionali. Le cose non sono per sempre, o almeno non sono per sempre uguali, in ogni caso stancano se non c’è allegria, come dice Woody Allen "L'eternità diventa lunga, soprattutto alla fine”.




Cinque motivi per scegliere l’Eskrima

Questo mese cominciamo una serie appassionante, nella quale i migliori istruttori del mondo risponderanno a una domanda diretta: Dacci 5 motivi per scegliere la tua Arte Marziale! Questo mese contiamo su due figure di livello mondiale nei loro rispettivi stili: Guro David Gould, un grande dell’Eskrima e Evan Pantazi, oggi come oggi il personaggio piÚ rilevante del Kyusho.


Kyusho L’Eskrima è una delle Arti Marziali disponibili più versatili e adattabili, per coloro che al giorno d’oggi sono alla ricerca dell’efficacia nel combattimento. Oltre alle abilità a mani nude, si può sviluppare una grande destrezza nel maneggio di un infinità di armi occasionali, perché, nel caso sia necessario, si possa far fronte a qualsiasi minaccia che sorga senza preavviso.


Cinque motivi per scegliere l’Eskrima

A mio avviso, i cinque motivi per scegliere l’Arte dell’Eskrima sono: 1) Si acquisiscono capacità in tempo reale, che possono essere usate allo stesso modo sia contro una minaccia a mano nuda, che contro un aggressore armato. 2) La capacità di utilizzare le nozioni con qualsiasi oggetto che possa essere raccolto da terra e impugnato dalla mano di un individuo nei momenti di necessità. 3) Le altre Arti Marziali sembra che rispondano solo alle esigenze dei giovani e diventano ogni giorno più difficili per le persone più anziane, poiché le innumerevoli limitazioni si fanno evidenti quando invecchiamo e ci indeboliamo. L’età avanzata accresce le capacità nell’Eskrima, non le diminuisce. 4) Le armi sono grandi equilibratori di fronte a svariati opponenti. 5) Dal momento che in sempre più paesi le armi da fuoco sono illegali, Eskrima permette di proteggere la propria vita ed integrità fisica con qualsiasi oggetto sia accessibile, che sia un coltello, una forchetta, una matita, un cacciavite, un martello, un mattone, o un machete, tra gli altri numerosi elementi comuni che si trovano facilmente nell’immediato circondario. Onestamente, tutto ciò che possiede il potenziale per trasformarsi in un arma, non può essere illegale, poiché l’arma non è ciò che si prolunga dalla mano, ma la mente che manovra e maneggia tale strumento di distruzione, a prescindere da quale esso sia. Io rappresento il Sistema Lameco Eskrima secondo quanto tramandato dal mio insegnante, Punong Guro Edgar G. Sulite. Lui ha insegnato con l’intenzione di formare dei combattenti, invece che dei semplici allievi. Sentiva che il Lameco Eskrima era un’Arte da combattimento e che il suo compito come insegnante era stimolare i suoi discepoli a trasformarsi in combattenti efficaci, ottenendo che fossero coscienti e meglio preparati per affrontare qualsiasi sfida e minaccia si presentasse loro. Una volta acquisita tale capacità, l’obbiettivo era dunque raffinare le nostre abilità per essere più effettivi, non tanto attraverso l’aggiunta quotidiana di elementi, bensì mediante l’esatto contrario, ovvero il togliere ciò che non funzionava. Per assimilare meglio cosa aveva funzionato bene e affinarlo tramite la pulizia delle qualità più basilari, che risultano le più efficaci nella loro qualità, non nella loro quantità. Il Lameco Eskrima non è un’Arte basata specificatamente sulle armi, piuttosto si tratta di un’Arte da combattimento che utilizza qualsiasi oggetto che possa essere impugnato dalla mano umana rendendola un’arma – o anche il non avere nulla in mano – e quindi tradurre tale conoscenza nel combattimento corpo a corpo. La nostra mente è l’arma e non l’oggetto che maneggiamo.



Cinque motivi per scegliere il Kyusho


Kyusho

All’inizio, la maggior parte della gente non lo credeva realistico, poi lo hanno visto, lo hanno provato e lo hanno accettato come tale, ora, la questione e l’unico ostacolo è cominciare a studiarlo. Tutti dobbiamo imparare per tramandarlo alle future generazioni; questo è il nostro compito nelle Arti e questi sono i “cinque motivi per imparare il Kyusho”:


Cinque motivi per scegliere il Kyusho Cinque motivi per scegliere il Kyusho Il Kyusho è il nucleo di molti stili marziali, che semplicemente non è stato tramandato per molti anni. Dopo due generazioni senza l’insegnamento del vero Budo, gli è stato consentito di portare alla luce la propria essenza. I vecchi stili originari hanno sempre attaccato le strutture anatomiche più vulnerabili del corpo nella maniera più efficace. La domanda per il lettore è: perché prendere di mira solo le strutture anatomiche più forti o tantomeno tener conto della differenza? Oggi la maggior parte degli artisti marziali dedicano decenni della loro vita alla pratica e alla ricerca della fisiologia del pugno, del calcio, della presa o della manipolazione del corpo umano, ma non alla fisiologia della funzionalità del corpo in sé. Si da poca importanza alle aree vitali, alle interazioni o alle strutture anatomiche che realizzano più efficacemente queste abilità o possono, col processo inverso, inibire la stessa funzionalità di un avversario. Queste strutture o componenti sono di per se inseparabili, ma la gran parte delle persone cercano solo la causa e non l’effetto, o come causare un effetto specifico. Le Arti Marziali non devono basarsi sulla tecnica, come quando si studia la tecnica stabilita per scenari di attacco combinato, poiché allora si corre un rischio estremo in uno scontro reale, quando l’avversario non attacca come abbiamo praticato o nella stessa modalità. Bisogna allenarsi in maniera spontanea per mirare alle vulnerabilità dell’opponente. Questo è il Kyusho. Se conosceste un punto che fosse facilmente attaccabile e provocasse una certa disfunzione nella parte interna del corpo e colpisse l’udito, la vista, il tatto, il controllo fisico, la pressione del sangue e a sua volta potesse provocare serie vertigini, amnesia, insensibilità sensoriale e ovviamente incoscienza…non vi interesserebbe? Il Kyusho è un allenamento di contatti, sia a provocare che a subire dolore e disfunzione fisico. Dovete essere in grado non soltanto di provocarlo, ma anche di riceverlo essendo coscienti e preparati a farvi fronte, allo scopo di sopravvivere in uno scontro reale. Le persone più piccole, deboli o anziane, non hanno altro rimedio che studiare Kyusho, poiché tutti gli altri stili richiedono una maggior velocità, potenza e agilità per eseguire le tecniche. Quindi, sorge di nuovo la domanda: perché il praticante assiduo, il maestro o l’esperto, non cercano una comprensione più profonda dei sistemi nervosi, muscolari, autonomini e motori del corpo? Perché si limitano a tentare di imparare la metà della totalità e non il nucleo vitale delle Arti?


Kyusho



Hwa Rang Do

Hwa Rang Do®: Scuola di Leadership Parte 1 (LA MISSIONE DELLA WORLD HWA RANG DO® ASSOCIATION) HWA RANG DO®: Un’eredità di Lealtà, instancabilmente alla ricerca della Verità, dedita al rafforzamento dell’essere umano ed al servizio dell’intera umanità Alla fine, ed essenzialmente, lo scopo ultimo e più grande di tutti è migliorare il mondo! Noi, praticanti di Hwa Rang Do®, tendiamo verso questo scopo attraverso la massimizzazione del nostro potenziale umano, al fine di accrescere il nostro ideale di umanità attraverso un rigoroso addestramento di corpo, mente e spirito nell’ambito della pratica dell’antica Arte Marziale e di Guarigione del Hwa Rang Do®, “La Via dei Giovani Cavalieri”. In conseguenza di tale visione abbiamo trasformato la nostra struttura direttiva e federazione internazionale, la World Hwa Rang Do® Association (WHRDA), in un’organizzazione umanitaria senza fini di lucro che si impegna a rafforzare il mondo una persona alla volta. Siamo quindi una scuola di cavalleria e leadership e non semplicemente un’associazione sportiva o di difesa personale. Noi pensiamo che il cambiamento parte dalla singola persona (dal “soldato di fanteria”, dal più basso in grado) e non solo dai quadri direttivi (dai “generali”).

In un raro momento di privata udienza con il Grandmaster Taejoon Lee, 8th dan di Hwa Rang Do®, Presidente della WHRDA e figlio del Fondatore dell’Arte Dr. Joo Bang Lee ho avuto il privilegio di parlare con Lui del difficile argomento della Leadership. Un estratto della discussione segue per il beneficio di tutti:

COS’E’ LA LEADERSHIP?: “Naturalmente questa non è una domanda semplice, soprattutto perché si può rispondere sotto diversi punti di vista. Ad ogni modo, per la mia esperienza, ho realizzato che uno dei principi fondamentali della leadership, cui un vero leader deve attenersi è l’irreprensibilità, che in essenza, è l’intrinseca definizione di responsabilità personale in tutto quello che inizia e finisce con lui. Nella nostra recente Black Sash Conference annuale di 10 giorni, dove tutti i leader del Hwa Rang Do® (cavalieri) del globo si riuniscono e condividono conoscenza, determinano maggiori legami tra loro e si riuniscono allo spirito Hwarang, è stato trattato l’argomento del “peccato originale”. Questo non per motivi religiosi ma per illustrare che la conoscenza in se non è mai bene o male, per



“Noi, praticanti di Hwa Rang Do®, tendiamo verso questo scopo attraverso la massimizzazione del nostro potenziale umano, al fine di accrescere il nostro ideale di umanità attraverso un rigoroso addestramento di corpo, mente e spirito” comprendere che sia Adamo che Eva furono investiti di conoscenza senza la dovuta esperienza, senza averla realmente guadagnata, senza saggezza, il che ha sminuito il valore e la considerazione per tale conoscenza creando agitazione, difficoltà e tribolazioni al genere umano che continuano ancora oggi. In tale discussione uno dei nostri Hwarang continuava a chiedersi come si poteva essere migliori cristiani essendo praticanti di Hwa Rang Do®. La sua conclusione è stata veramente illuminante. Lui è arrivato al punto di dire che come Hwarang è in disaccordo sulla tradizionale interpretazione del “peccato originale”. Comunemente, infatti, si percepisce che il peccato consiste nella disobbedienza a Dio ma lui interpretava che il “peccato originale” non è nella disobbedienza ma piuttosto nella parziale mancanza o completa assenza di presa di responsabilità. Adamo ed Eva infatti morsero il frutto proibito e Dio chiese prima ad Adamo: “perché hai disobbedito?” ed Adamo rispose che era colpa di Eva, la quale era stata fatta da Dio mediante una costola dell’uomo, indirettamente Adamo incolpa Dio di quanto accaduto. Poi Dio chiede ad Eva ed essa risponde che era colpa del serpente che l’aveva ingannata. In ogni caso Adamo ed Eva non accettano responsabilità dirette di quanto accaduto quindi, il mio allievo concludeva che il “peccato originale” consisteva nella mancanza di presa di responsabilità del malfatto. Ed io ho aggiunto che il caso di Dio è particolare in quanto, arrivati a Lui, non si può andare oltre in termini di responsabilità perché tutto inizia e finisce in Lui. Sotto questo punto di vista incolpare Dio di qualcosa è semplice dato che la creazione è sua anche se ovviamente non ha senso perché è come incolpare l’universo di quanto accade in esso. Oltretutto Dio non può sicuramente incolpare nessuno tranne se stesso di quanto accade nella sua creazione, si prende la totale responsabilità di ogni accadimento.

Hwa Rang Do


Hwa Rang Do Così, quando nella bibbia Dio dice che bisogna essere come Lui tutti pensiamo alla perfezione assoluta ma non è questo che si intende. Se si fosse inteso di essere come Lui nel senso della perfezione allora l’essere umano dovrebbe poter comprendere cosa vuole dire essere perfetti come Dio ma gli è impossibile. Può essere invece che intendesse di prendersi le responsabilità come Lui, senza incolpare altri, caricando noi stessi degli errori che individuiamo. Per questo motivo ci dovremmo sentire responsabili e prenderci cura di tutta la creazione di Dio come se fosse qualcosa di intimamente nostro. Dio instilla su di noi compassione ed empatia al fine di collegare tutte le creature viventi così che possano sentire la sua forza. C’è un detto tradizionale coreano che spiega: ‘quando mordi una delle dieci dita della tua mano non ti fanno male forse tutte!” Alla fine che questi ragionamenti su Dio siano assolutamente veri o

meno lo sapremo solo alla nostra morte quando Lo incontreremo. Noi, come guerrieri e filosofi, Hwarang, leader, usiamo la nostra interpretazione inerente la responsabilità personale sulle cose come una percezione funzionale a vivere coerentemente con i nostri principi.”

QUALI ALTRE CARATTERISTICHE DEVE POSSEDERE UN LEADER?: “Un leader deve possedere tutte quelle caratteristiche che fanno grande una persona: deve essere virtuoso, benevolo e soprattutto avere abbondanza di compassione ed empatia. Inoltre, penso che il leader si distingua perché ha una forte connessione con la storia, una forte identità. In questo modo sente il suo valore e vede il suo scopo nella convinzione che può realmente offrire un miglioramento al mondo con le sue idee. Egli può ispirare le persone a cambiare, è infatti auto-motivato e forte e crede in una verità che porta avanti. Vede bene i


suoi obbiettivi, ha delle forti convinzioni, grande entusiasmo, pura energia, determinazione, pazienza e perseveranza che lo portano passo-passo verso quei target, a prescindere dal costo, prevedendo in anticipo quanto sacrificio è richiesto per ottenerli. Come discusso prima, la determinazione ed i piani per raggiungere i target si devono accompagnare anche ad una piena presa di responsabilità di quanto accadrà nel percorso verso gli obbiettivi. Se ci saranno errori il leader ne saprà prendere coscienza e ne accetterà le conseguenze negative per lui e chi gli sta vicino. Si pensi ad un gruppo di soldati guidati da un generale in battaglia. Sebbene i soldati in prima linea abbiano sempre molti dubbi sul fatto di sopravvivere o meno il generale deve instillare in loro la convinzione che vinceranno e sopravvivranno altrimenti la morte è certa. Quindi, anche di fronte alle incertezze della vita il leader deve avere un carisma tale che realizzi negli altri forza e convinzione.” MA COS’E’ IL CARISMA?:

“Il carisma è essenziale per un leader e non è qualcosa che si può sviluppare e coltivare facilmente se non lo si ha. Si tratta dell’abilità di guidare, motivare ed ispirare le persone a credere in qualcosa anche quando questo qualcosa non esiste ancora. Non si tratta solo di soddisfare l’intelletto delle persone spingendole così a credere quanto piuttosto di saperne toccare il cuore ispirandole a credere che possono raggiungere obbiettivi che prima pensavano impossibili. Ovviamente anche i leader hanno dubbi e non possono essere sicuri al 100% dei risultati delle loro azioni o di quelle dei loro seguaci. Tali risultati potranno essere positivi o negativi ma il fallimento non è un’opzione possibile ed il successo è sempre e solo una questione di ‘quando si raggiunge il target’ e non di ‘cosa si raggiunge’. Va da sé che un leader deve saper accettare le conseguenze di un grande fallimento anche se non lo compendia. Accettare e pensare allo scenario peggiore che si potrebbe presentare prima di procedere avanti, ciò prendendo su di sé tutte le responsabilità.”


Il “Mega Event” – Una notte leggendaria con un ambiente e un Kung Fu magnifico e con ottimo cibo. Tutto questo per il compleanno del Gran Maestro Martin Sewer. Sono passati già molti anni da quando il “Mega Event” era solo una piccola festa di compleanno per il GM Martin Sewer la sera in un ristorantino. Molte volte erano quelli dello “zoccolo duro” come si suole dire, che partecipavano per celebrare il suo compleanno. Lui, a quel tempo giovane maestro, poteva contar gli allievi presenti con due mani. Ma già sapeva allora quale portata la sua scuola e quella festa regolare avrebbe avuto. Da cosa? Dal suo




maestro, la leggenda del Kung Fu e stella del cinema, Chiu Chi Ling. Lui era già a quell’epoca il miglior combattente e successore del lignaggio originale di Shaolin. Chiu Chi Ling mostrò al suo allievo Martin Sewer (oggi suo stesso successore ufficiale) come deve essere una vera festa del Kung Fu di un vero maestro. Gli diceva anche che con più allievi le celebrazioni di Kung Fu dovevano aumentare. Naturalmente il propagarsi dell’Hung Gar Kung Fu originale era ed è ancora il primo obbiettivo di Chiu Chi Ling e anche di Martin Sewer. Ma quest’ultimo vedeva col passare degli anni e con il crescente successo della sua scuola che il suo maestro aveva ragione anche con le celebrazioni di Kung Fu. Non soltanto il numero di allievi e partecipanti sono cresciuti, ma anche l’organizzazione e la struttura fecero lo stesso ogni anno e tutte le volte era una cosa sempre più professionale. Col tempo c’è stato bisogno anche di una nuova location che potesse soddisfare le idee del comitato organizzatore. Così è stato deciso per l’hotel Crowne Plaza di Zurigo. Collaterali alle celebrazioni del compleanno del Gran Maestro Martin Sewer sono state aggiunte altre cose che via via sono state presentate per l’occasione. E quindi è nato il “Mega-Event”. Una serata di gala come si conviene. Ciò che ha sempre interessato gli allievi ogni anno è quale sarà il programma del prossimo “Mega-Event”. Non sarete colti alla sprovvista se darete un’occhiata ai programmi degli anni scorsi. Nel programma è previsto, tra le altre cose:

“A seguito del 20esimo giubileo della scuola il GM Martin Sewer e il suo comitato organizzatore hanno iniziato ad invitare ospiti nazionali e internazionali”

La cerimonia di compleanno in cui si onora il Gran Maestro Martin Sewer e gli si consegna la moneta della fortuna (Lai Si*). La presentazione della scuola con cui si mostra agli allievi e ai partecipanti ciò che è successo l’anno precedente, a che punto è la scuola e quali sono gli obbiettivi. Dimostrazione delle cinture nere in cui danno sfoggio dell’Hung Gar Kung Fu ad alto livello. Vari omaggi con i quali istruttori e maestri sono stati ora riconosciuti. C’è anche la cerimonia del Bai Si **. A seguito del 20esimo giubileo della scuola il GM Martin Sewer e il suo comitato organizzatore hanno iniziato ad invitare ospiti nazionali e internazionali. Quindi ci sono anche stati Sifu che hanno partecipato al “Mega Event”. “Una cosa molto importante del successo” come dice Martin Sewer, “è che si deve condividerlo con gli altri”. Anche se il mondo del Kung Fu segue tradizioni e strutture rigide e si organizza in “famiglie” era ed è ancora importante partecipare a celebrazioni al di fuori della propria famiglia per imparare qualcosa in più. Anche chi non pratica Kung Fu può farlo nelle vere feste. Ogni allievo o maestro esterno ha il suo spazio nel programma e gli viene data l’opportunità di mostrare il proprio Kung Fu e onorare la sua famiglia. Se diamo oggi uno sguardo al calendario si può immaginare molto bene come il comitato organizzatore del “Mega Event” abbia già iniziato con i preparativi da alcuni mesi, perché il 22 Novembre si avvicina. Cinture nere e istruttori stanno già allenandosi per le loro dimostrazioni. Gli invitati verranno accolti da un aperitivo e da una delegazione dell’organizzazione per il benvenuto. Come sempre


avviene nelle feste esclusive di queste dimensioni, è stato creato un sistema di prevendita biglietti per poter dar modo ai partecipanti di averne uno per tempo. Dopo un incontro e una conoscenza amichevole gli invitati possono accedere alla sala della festa mostrando il proprio tagliando. E’ prevista anche una biglietteria in loco (fino ad esaurimento) per coloro che decidono all’ultimo momento. Se siete venuti a sapere dell’evento solo attraverso questo articolo, non preoccupatevi. C’è ancora la possibilità di prenotare un biglietto via e-mail ( HYPERLINK "mailto:alex@shaolin.ch" alex@shaolin.ch). Dopo essere entrati nella sala della festa, un fotografo professionista seguirà tutte le fasi della serata. Questo fotografo realizzerà immagini e degli album personalizzati per chiunque lo desideri. Poi verrete condotti al vostro tavolo dove passerete la maggior parte del tempo con gli altri partecipanti e allievi. Poco dopo che tutti gli invitati saranno seduti, un conduttore salirà sul palco e annuncerà il GM Martin Sewer. Con una danza del leone tradizionale e con un applauso, lui insieme alla moglie entrano nella sala e il leone li accompagna al loro tavolo. Tutti sono attor no a lui e il conduttore presenta il programma della festa. Il GM Martin Sewer non solo ha portato un pezzo di storia delle arti marziali in Occidente durante i suoi decenni di allenamenti con il suo maestro, ma ha anche creato questa festa magnifica durante il suo percorso nel quale tutti i fans di Kung Fu del mondo si ritrovano. Se tu sei un appassionato delle arti da combattimento o un amico del Kung Fu di alto livello, speriamo di vederti al “Mega Event” di quest’anno. Non importa da dove venite: vale la pena.

Lai Si* Lai Si (moneta della fortuna) è denaro vero che si regala nelle feste della tradizione cinese. Oggi lo si vede nelle feste di compleanno o simili. Il denaro regalato dipende dai numeri buddisti. Per esempio, il numero 8 simboleggia fortuna e per questo si sceglie molte volte. Anche 54 è molto comune perché 5 (“no”) e 4 (“morire”) simboleggiano l’immortalità. Una Lai Si tipica consiste di 54 – 88 - , o 540 in qualsiasi valuta.

Bai Si** La Bai Si (“Chiedere al maestro”) è una cerimonia che fanno il maestro e il suo allievi per impegnarsi reciprocamente. La prima Bai Si si fa quando l’allievo entra nella scuola. Questo è simboleggiato quando questi riceve al cintura bianca. La seconda bai Si è una cerimonia più grande in cui ci sono anche la famiglia, gli amici e la stampa. Seguendo un programma determinato, l’allievo chiede al maestro l’ammissione a “back door student” (allievo diretto e intimo). Dopo la cerimonia e quando l’allievo viene accettato, non avrà altro maestro nella sua vita.



WingTsun “LA TERZA FORMA (Biu Tze Tao) è una parte veramente importante all’interno del sistema perche presuppone un movimento differente” Forma Biu Tze Tao. Riflessioni Quella conosciuta come la “terza Forma” dello stile Wing Tsun Kuen è una delle strutture di allenamento nelle quali gli istr uttori che superano il livello di Cintura Nera 1°Dan concentrano i loro sforzi e tutta l’attenzione nello studio. Nel WingTsun Europe della TAOWS Academy separiamo l’addestramento dei nostri allievi in DUE blocchi ben distinti.




1 – Formazione fino al livello di 1°grado Tecnico. I praticanti approcciano lo studio, l’allenamento e la gradualità di una struttura solida di conoscenze fondamentali per la pratica e la comprensione dello stile Wing Tsun Kuen. Spostamenti, dominio tecnico dei fondamentali e dei valori inerenti alla pratica delle strutture tecniche determinate dalle forme Siu Nin Tao (Forma delle Piccole Idee) e Chum Kiu Tao (Forma del cercare e sfruttare i ponti). 2 – Formazione a partire dal 1°Grado Tecnico (1°Dan) nella quale poniamo i praticanti nello studio, l’allenamento e lo sviluppo di ciò che denominiamo Sezioni e Livello AVANZATO. In questo livello, comprendendo che l’allievo ha acquisito tutto il necessario per poter affrontare questa fase avanzata dell’allenamento, ci focalizziamo dunque nella pratica delle cosiddette Forme Avanzate. • Biu Tze To (Forma delle dita che volano) • Muk Yak Chong (Forma dell’Uomo di Legno) • Luk Dim Boon Kwan (Forma del bastone 6 e ?) • Bart Cham Dao (Forma dei Coltelli degli 8 Tagli) Questo schema di DUE parti è un itinerario molto chiaro per cercare di

completare e conoscere il nostro sistema in maniera ordinata e in un lasso di tempo ragionevole (dipenderà sempre dal tempo investito dal praticante). Indubbiamente è un opinione, ma sono sicuro che per la comprensione e lo studio di qualsiasi sfaccettatura artistica o scientifica è molto importante contare su uno schema chiaro, ordinato e facile da seguire da parte dei praticanti. La nostra missione come insegnanti deve essere di dotare l’allievo di tutti quanti gli strumenti del sistema in un lasso di tempo il più breve possibile. Non ha molto senso impiegare venti anni (o più in alcuni casi) per imparare un sistema di combattimento. Sembra molto più logico imparare il sistema in breve tempo e dedicare successivamente molti anni nella sua pratica. Attualmente non sempre è così e questo approccio sbagliato provoca gran parte dei problemi dello stile. Sono sicuro di poterlo fare con tutti quanti gli allievi che si allenano in maniera costante diligente in un arco che oscilla tra i 5 e i 10 anni. Da quel momento inizierà un’altra fase ben differente a questa: La Pratica. In una conversazione con il GM Steve Tappin, fondatore e direttore dell’Escrima Concepts (associazione alla quale ho il grande onore di


WingTsun appartenere), mi diceva che all’epoca di maggior diffusione di guerre in cui si utilizzavano le spade in Europa, era normale imparare molto rapidamente le basi del combattimento con le armi per una questione logica: la guerra occupava la maggior parte del tempo. C’erano pochi periodi di “tregua”. Non c’era pertanto troppo tempo per fare grandi periodi di apprendimento. Il livello pratico si basa sull’allievo (o maestro) che ha completato tutte le fasi del sistema dalla prima alla sesta forma. È in grado di conoscere non solo le nozioni superficiali delle forme, ma anche quelle idee o matrici che stanno al di sotto della “pelle delle forme”. Giunto a questo momento il praticante deve PRATICARE il suo sistema. Ovvero, utilizzare il sistema per crescere come combattente, cercare di fare o di sviluppare un proprio stile che si fondi nella “non forma”. O detto in altre parole, essere capaci di rompere la FORMA perché il nemico non possa stabilire uno schema fisso. Devo di nuovo menzionare quella che secondo me è uno dei grandi ideologi del WingTsun: Bruce Lee (malgrado non sia stato un maestro di questo stile avendo praticato per un breve periodo a Hong Kong con il GM Yip Man). Il maestro Lee definì la sua pratica come la via verso la NON FORMA. Questo poetico concetto di difficile comprensione per la visione cartesiana degli europei è una geniale definizione della ricerca del Wing Tsun Kuen e di altri stili cinesi che non sempre è stata ben spiegata e pertanto, sicuramente, male interpretata da molti. Esistono tentativi di mescolare o implementare delle idee, ma è proprio lì che risiede il problema. Alla NON FORMA si arriva solo tramite una strada: quella della forma! Nel WIngTsun intendiamo LA FORMA come le strutture delle 6 Forme che compongono il sistema. Queste permettono al praticante di acquisire basi, mobilità, strutture, ecc…integrate con concetti e dettagli che si trovano nelle forme dello stile. Nell’articolo odierno faccio riferimento a una forma che mi appassiona per diversi motivi. LA TERZA FORMA (Biu Tze Tao) è una parte davvero importante all’interno del sistema perché presuppone un


“Biu Tze Tao è al risposta a un emergenza provocata da un atto fortuito che impedisce al praticante di mantenere la propria strutturaâ€?


WingTsun movimento differente. Analizzata da un punto di vista dell’apparenza estetica esterna del sistema, saremo d’accordo che è un modo totalmente differente di muoversi. Come se rompessimo il modello creato dalle forme 1 e 2 (SNT e CKT). Anche i modi di colpire e spostarsi sono completamente differenti, se paragoniamo BTZT alle prime due forme. Nella terza forma i colpi delle dita, tagli e i gomiti contro i pugni e i palmi che si utilizzano abitualmente nelle altre forme dello stile. Tutto ha una sua valida spiegazione…Giunti a questo punto, il Wing Tsun è davvero un sistema geniale. Biu Tze Tao è una “deformazione logica” della propria struttura basilare causata da due motivi: 1 – Attacchi di qualità sorprendente che non possono essere difesi in modo molto facile 2 – una rottura della distanza tramite l’invasione del nemico in maniera fortuita, che ci rompe la barriera di

braccia e gambe in modo che non possiamo continuare a mantenere la struttura iniziale. In entrambi i casi, Biu Tze tao è la risposta a un’emergenza causata da un atto fortuito che impedisce al praticante di mantenere la propria struttura. Nonostante la stessa filosofia dello stile ci obblighi ad essere utilizzata in maniera puntuale e a tornare nel minor tempo possibile a recuperare tale struttura e forma così caratteristica perfettamente definita nella forma Siu Nim Tao. Il perché di quest’ultimo ragionamento si sostiene sull’idiosincrasia dello stile Wing Tsun che da all’efficienza e alla semplicità l’importanza maggiore. In altre parole: il più semplice è sempre il migliore. Tuttavia…arrivato al livello pratico dovrebbero esserci dei cambiamenti nel modo di agire del praticante. Questo punto non è tenuto presente molto spesso e generalmente, gli insegnanti, per diverse ragioni,

obbligano i loro allievi a restare nella struttura iniziale, nella FORMA, per tutta la loro vita. Gironi fa ascoltavo un praticante illustre che diceva una frase che mi è sembrata quanto mai azzeccata, citando quella più celebre di Bruce Lee. Questo prestigioso maestro diceva qualcosa del genere: “Se possono riconoscere la tua postura e indicarti come Wing Chun…allora non è Wing Chun”. Naturalmente potremmo iniziare a discutere del perché della ricerca della NON FORMA dala FORMA, ma è ovvio che è difficile combattere contro qualcosa che non ha una forma fissa e muta costantemente. Pura filosofia taoista. Puro Wing Tsun. Riflettete…mi sembra la cosa più giusta. Per comprendere questa differenza bisogna studiare profondamente il come e il perchè delle tecniche della terza forma. È importante.

“Il Maestro Bruce Lee definì la sua pratica come la via verso la NON FORMA. Questo poetico concetto di difficile comprensione per la visione cartesiana degli europei è una geniale definizione della ricerca del Wing Tsun Kuen e di altri stili cinesi che non sempre è stata ben spiegata e pertanto, sicuramente, male interpretata da molti”









L’uso della forza e la Mentalità Difensiva Di Avi Nardia & Benjamin Krajmalnik


Come istruttore di armi da fuoco, spesso mi trovo a che fare con l’assoluta ignoranza cir ca l’uso della forza nella difesa di se stessi o di terzi. PoichÊ le legislazioni nei diversi stati variano e dal momento che la legge lo per mette nel caso di, per esempio, un’intrusione in casa e il dunque il suo uso sia totalmente giustificato, molte persone hanno fatto ricorso alla forza letale.


L’uso della forza e la Mentalità Difensiva

N

ella maggioranza dei casi, queste persone non hanno pensato alle c o n s e g u e n z e dell’essere coinvolte in una sparatoria. Anche se tali sparatorie vengono considerate giustificate e quindi non ci siano conseguenze legali, ci sono molti effetti psicologici e sociali che ne derivano e che comportano dei cambiamenti nella propria vita. Non approfondirò oltre queste problematiche all’interno di questo articolo, piuttosto spiegherò quando è opportuno l’utilizzo della forza. Io non sono un avvocato, quindi se possedete un’arma da fuoco per autodifesa, vi raccomando di consultare un legale della vostra giurisdizione, per avere una consulenza a riguardo. Io ne parlo da una prospettiva strettamente difensiva e tattica. Uno dei più grandi malintesi è che se uno si sente minacciato (perché le leggi in materia usano sovente questa terminologia circa i criteri sull’uso della forza), deve agire. Questo è assolutamente sbagliato. Per descrivere ciò, spiegherò le differenze tra diverse

tipologie di lavoro. Ce ne sono essenzialmente tre – militari, di polizia e civili. Nel primo tipo di risposta (quella militare), si identifica una minaccia, e il nostro obbiettivo è assai chiaro – quindi si agisce per neutralizzare quella minaccia. Non abbiamo la facoltà di decidere se agire o meno, quando si riceve l’ordine non abbiamo l’opzione di ritirarci (a meno che non sia la risoluzione tattica corretta per la situazione) e utilizzeremo tutti i mezzi a nostra disposizione, allo scopo di neutralizzare la minaccia. Il nostro obbiettivo qui è mettere il target fuori combattimento – che sia ferendolo gravemente (che comporterà che partecipino altre truppe nella battaglia, per prestargli assistenza) o uccidendolo. Il nostro secondo tipo di azione è quella delle forze dell’ordine. A differenza dei militari, l’obbiettivo è far rispettare la legge. Quando si percepisce una minaccia, non si deve neutralizzarla togliendole la vita, ma arrestarla e portarla davanti alla giustizia. Così come nel primo tipo di azione, la polizia non ha altra opzione – il suo lavoro è arrestare la

minaccia. Gli approcci possono variare, con un criterio imprecisato circa dove e come portare a termine tutto questo. Anche se normalmente non è raccomandabile evitare il contatto con la minaccia, una decisione tattica adeguata potrebbe essere quella di farlo mentre ci si mantiene in allerta e realizzare l’arresto in condizioni che siano più favorevoli all’unità delle forze dell’ordine, o in presenza di un più basso livello di minaccia per la popolazione civile. Se nel corso dell’arresto del soggetto quest’ultimo morisse, la cosa diverrà tema su cui indagare riguardo ai livelli accettabili di impiego della forza da parte del dipartimento. Ora, il tipo di azione che ci riguarda è quella di tipo civile e mi spingerò più in là nei dettagli. Indipendentemente dal linguaggio espresso da qualsiasi legislatura che contempli l’uso della forza nell’autodifesa (e questo si fa più critico nei paesi che adottano la Dottrina del Castello, nei quali le persone sanno che la legge è “dalla loro parte”), dobbiamo essere in grado di articolare una difesa per il nostro uso della forza. Per quello, ci sono tre componenti


che si devono affrontare e formano il triangolo dell’Abilità, dell’Opportunità e del Proposito. Se possiamo dimostrare che l’aggressore o colui che perpetra la minaccia aveva la capacità, l’opportunità e l’intenzione di infliggere danni fisici gravi o la morte, allora è giustificato il proprio utilizzo della forza letale. Questi tre fattori non si relazionano soltanto con l’aggressore, ma anche con la persona che esercita la forza nella difesa di se stessa. A differenza degli scontri militari e di polizia, come civili abbiamo un obbiettivo – la sopravvivenza. Ogni volta che usiamo la forza per l’autodifesa, avremo un grado di responsabilità legale, per cui il miglior modo di agire è sempre la fuga. Non porteremo un’arma da fuoco per il nostro ego e non agiremo per guadagnare dei punti. Non importa quanto abile uno pensi di essere – nel momento in cui avviene uno scontro, il risultato è sconosciuto e potremmo essere noi nel lato perdente di tale scontro. Il miglior metodo di azione è sempre la fuga – e questo a prescindere dal fatto se l’utilizzo della forza sia avvenuto con un’arma da fuoco o a mani nude. Descriverò uno scenario ipotetico. Vi svegliate nel cuore della notte con il rumore di qualcosa che si rompe nella vostra cucina. Potreste agire nelle seguenti modalità:



L’uso della forza e la Mentalità Difensiva Opzione 1: Prendete la pistola e scendete nella zona in cui avete sentito il rumore per affrontare la minaccia percepita. Arrivando in cucina, vedete una silhouette sconosciuta e, “temendo per la vostra vita”, sparate contro di essa e l’abbattete. Il sospettato ha la capacità di infliggere un danno fisico? Dipende. Vediamo una situazione nella quale vi trovate a che fare con un uomo corpulento. Dopo essere caduto a terra, vedete che è molto più forte di voi e accanto al suo corpo si nota una sbarra di ferro che ha utilizzato per entrare in casa vostra. In questo caso, avrebbe avuto la capacità, poiché egli aveva il potenziale fisico così come i mezzi per farlo. Aveva l’opportunità? In questo caso, non l’ha avuta in assoluto – dal momento che non vi siete avvicinati a lui per parlargli, era fuori dalla distanza che gli avrebbe dato suddetta opportunità. Aveva l’intenzione? Bene, partendo dai dati che abbiamo in possesso, la sua unica intenzione era rubare e non si erano ricevute minacce dirette. A meno che il sospettato non fosse arrivato ad agire in maniera davvero minacciosa, se avete sparato si potrebbe considerare un azione ingiustificata e potreste esserne penalmente responsabili. Ma adesso rendiamo la cosa ancora più interessante. Dopo aver sparato vi avvicinate al soggetto e scoprite che è un amico di vostro figlio che, a vostra insaputa, stava tornando da una festa un po’ brillo ed è inciampato mentre cercava un po’ d’acqua. Ora, entriamo nelle conseguenze sociali e psicologiche di questi spari. Avete appena tolto la vita ad una persona innocente e ancora peggio, a qualcuno vicino a voi. Sareste capaci di vivere con questo fardello? Che cosa succede a livello di rapporti sociali? A seguito di un fatto simile, la vita diverrebbe veramente molto complicata per voi.

Opzione 2: Prendete la pistola e con attenzione, scendete con l’intenzione d i

scappare. Nel farlo, il sospettato vi vede e vi minaccia. Egli è totalmente ubriaco ed incapace di camminare il linea retta. Ha in mano uno dei vostri coltelli da cucina. È a 2 metri dalla porta e a una decina da voi. Sparereste? In primis, durante il vostro tentativo di fuga, lui ha appena dimostrato che aveva intenzione di usare la forza. Ora analizziamo la questione sulla base dei tre criteri. Ne aveva la capacità? Beh, questo sarebbe discutibile. Aveva un’arma e poteva avvicinarsi abbastanza rapidamente, ma da qui a che iniziasse a farlo, sarebbe stato comunque difficile. Aveva l’intenzione? Senza ombra di dubbio, poiché ha già apertamente rivolto una minaccia e brandisce un’arma. Ha l’opportunità? In questo caso, è molto simile alla sua capacità – se inizia a chiudere lo spazio prima che voi possiate scappare, allora si. Altrimenti, no. L’uso della forza letale, in questo caso, dipenderà dall’atteggiamento che ha assunto il sospettato quando vi ha visto fuggire. Qualsiasi intenzione di avvicinarsi a voi, indicherebbe che il furto non era il suo unico intento.

Opzione 3: La disposizione della casa è tale da non potervi consentire di scappare evitando di essere bloccati. Chiamate il 911 (il 113, ndt.) e quindi la polizia. Informateli della vostra ubicazione esatta all’interno della casa, della minaccia presente e anche se è armata o meno. Tenete aperta la comunicazione e urlate a colui che è al piano di sotto che siete armati e qualsiasi tentativo di avvicinarsi a voi sarebbe visto come una minaccia mortale, il che provocherà l’uso della forza letale. Siete in una situazione tattica nella quale se colui che vi minaccia sale al secondo piano, voi avrete il vantaggio. Avrete fatto i passi necessari per garantirvi la migliore copertura legale. Avete chiamato la polizia perché si occupasse dell’aggressore, gli avete rivolto un avvertimento che è stato registrato telefonicamente. In quanto all’essere disposti ad usare la forza letale, accadrebbe solo nel peggiore dei casi, per cui siete in una posizione di vantaggio. Il sospettato inizia a salire le scale, nella totale oscurità. Vedete che tiene qualcosa in mano…è stato avvisato prima di salire. Siete già in un assetto difensivo. Lui sta chiudendo la distanza ed è stato avvertito, pertanto l’intruso ha la capacità, l’opportunità e, dal momento che impugna un oggetto nella sua mano, l’intenzione di recarvi un danno: cosa fate, sparate? Regola n°1 – non sparate prima di aver identificato l’obbiettivo. Il “sospettato” che saliva era vostro figlio, che senza preavviso, è tornato dall’università per trascorrere il fine settimana. L’oggetto nella sua mano è il suo Ipod, con il quale ascolta la sua musica. Il che non gli ha permesso di sentire i vostri avvertimenti. La percezione e la realtà, soprattutto in situazioni di stress, sono assai differenti tra loro. Tuttavia, avere un piano prestabilito e seguirlo con alcune regole fondamentali di sicurezza tattica, ridurrà al minimo le probabilità di dover utilizzare la forza letale. È sempre preferibile che la minaccia venga verso di voi e noi il contrario. Non sapete ciò che essa può fare – attraverso l’adozione di una postura tattica si minimizza la possibilità di essere dal lato perdente dello scontro. Non verrete colti di sorpresa. Ma anche se avrete preso tutte le precauzioni corrette, come nella nostra opzione 3, non si deve sparare fino a che non si è identificato l’obbiettivo. Alcuni mesi fa, un famoso sprinter sudafricano ha sparato alla sua fidanzata (Oscar Pistorius, ndt.). secondo lui, lei era in bagno e lui è stato risvegliato dai rumori che provenivano da lì e ha pensato che qualcuno fosse entrato in casa sua. Ha sparato con la sua arma attraverso al porta chiusa e l’ha uccisa. Non vorrei essere il suo avvocato. Non posso sapere se è stato un omicidio premeditato o meno – ossia, sono i tribunali che dovranno stabilirlo – ma è assolutamente colpevole di un omicidio, avendo sparato senza aver identificato il proprio obbiettivo.





Fedor Emelianenko, la leggenda delle MMA Il pericoloso e spettacolare regno delle MMA è stato dominato dal pugno di ferro del suo temibile sovrano Fedor Emelianenko, la sua autorità è stata indiscutibile, il suo trono inamovibile; la sua epopea è durata dieci anni, sottomettendo uno dopo l’altro i suoi avversari, incapaci di detronizzarlo. Dopo il suo ritiro, Emelianenko ha concesso pochissime interviste, ha cercato di tenersi lontano dagli “obbiettivi”, ma poi Fedor ha parlato per i lettori di CINTURA NERA/BUDO INTERNATIONAL e quando lui parla….il mondo ascolta. Testo: Ricardo Diez Sanchis. Foto per gentile: Dream Stage Enterteinment (www.pridefc.com) e Archivi: Budo International



Cintura Nera: Attualmente, come è la tua vita al di fuori del mondo delle competizioni? Fedor Emelianenko: Adesso sono consigliere del Ministero dello Sport in Russia. La mia responsabilità è la comunicazione tra tutte le Federazioni di Arti Marziali con gli Organismi Ufficiali, per risolvere le situazioni conflittuali. Sono anche presidente dell’Unione delle MMA della Russia. Stiamo sviluppando attivamente le MMA nel nostro paese, unificando i tre più importanti campionati russi. Questo significa che ogni anno possiamo contare su sempre più combattenti di alto, di altissimo livello. Ogni torneo richiama giovani promesse che sono disposte a combattere per la propria regione e per il proprio paese, in ambito internazionale. C.N.: Cosa diresti a tutti coloro che stanno pensando di avvicinarsi alla pratica del Sambo?

F.E.: Il Sambo è un valido sport, bello ed emozionante. Consiste in una varietà di sottomissioni, strangolamenti e proiezioni. Il nome Sambo significa autodifesa senza armi, per cui possiede già l’ideologia di uno sport. C.N.: Russia a parte, il resto del mondo vede nel BJJ il miglior modo per migliorarsi nella lotta a terra, tuttavia, i lottatori russi sono temuti e rispettati ovunque per il loro grande bagaglio tecnico acquisito grazie al Sambo. Quest’ultimo è un buon complemento per le MMA? F.E.: Ognuno predilige uno sport, è una propria scelta. Il Sambo – il nostro sport nazionale – è quello giusto per me. Io credo che la tecnica del Sambo non sia inferiore a quella del BJJ. C.N.: Quali benefici porta il Sambo nei bambini?

F.E.: In Russia il Sambo è uno degli sport più importanti. Intorno ad esso si è creata un’aura di invincibilità. È un incentivo per far si che i bambini vadano in palestra, per incitare a una vita sana. Il Sambo sviluppa anche agilità, resistenza e qualità che riguardano il pensiero. C.N.: Attualmente chi credi che sia il miglior lottatore di MMA? F.E.: In questo momento ci sono molti grandi lottatori. Sono soddisfatto del successo dei nostri atleti all’estero. C.N.: Che consiglio vorresti dare ai giovani che iniziano a cimentarsi nelle MMA? F.E.: Quello principale è che bisogna ricordarsi che si tratta di uno sport e sempre, in qualsiasi situazione, dobbiamo continuare ad essere umani. Rispettare i compagni di team, gli avversari e i tecnici. E’ molto



importante lavorare su se stessi. Se non ci si allena duramente, non saremo capaci di raggiungere buoni risultati e ottenere delle vittorie. C.N.: Alcune persone dicono che la UFC potrebbe sbarcare in Russia. E’ solo un rumor o è davvero possibile? F.E.: Non ho elementi che mi dicono che la UFC voglia portare il suo torneo in Russia in un futuro prossimo. C.N.: L’eter na domanda: Ti vedremo combattere nelle MMA o nel Sambo? F.E.: Ho chiuso la mia carriera sportiva nel 2012 e non tornerò. Adesso sono occupato nello sviluppo delle arti marziali, nel trasmettere le mie conoscenze ai giovani atleti. La WMMAA svolge seminari di allenamento in tutto il paese; attualmente stiamo preparando un film sull’arte delle MMA. C.N.: Qual è il vero motivo per cui lasciasti le MMA? F.E.: Ho avuto una buona carriera sportiva, ma ho deciso che era ora di

“Ho chiuso la mia carriera sportiva nel 2012 e non tornerò. Adesso sono occupato nello sviluppo delle arti marziali, nel trasmettere le mie conoscenze ai giovani atleti” smettere. Avevo ancora la forza di combattere, ma ho sentito che era giunta l’ora di dire basta.

C.N.: Quale tipologia di allenamento di piace di più? F.E.: Io continuo ancora ad allenarmi, anche se non lo faccio più come prima. Mi piace andare a correre regolarmente al parco, andare in palestra, a volte fare sparring. C.N.: Domanda imprescindibile: Quando avremo l’opportunità di vederti in Spagna, per dirigere un seminario? F.E.: Mi piacerebbe molto andare in Spagna, poter fare dei seminari e condividere le mie conoscenze con gli atleti spagnoli, D’altra parte sappiamo che lottatori provenienti da lì stanno facendo molto bene in Russia. Il team “Spagna Imperiale” partecipa costantemente ai nostri eventi più importanti. Quindi ci andrò presto, quando troveremo il momento giusto e si presenterà l’opportunità di farlo. Non voglio concludere questa intervista senza ringraziare il Signor Chinto Mordillo, rappresentante del M-1 e della WMMAA in Spagna, senza il suo aiuto, non sarebbe stato possibile realizzarla.








Il Wing Tsun è un eccellente stile di Boxe Cinese, che permette di dedicare tutta una vita alla pratica e alla crescita integrale del praticante. Idee, tecnica, filosofia, ecc… tutto fa parte di un’ARTE ancestrale e deve essere studiata e compresa come un TUTTO. Sifu Salvador Sanchez, nel suo secondo DVD, parla dell’uomo di legno e di come questo influisca nella pratica del Wing Tsun. Dato che nel sistema attuale la Forma si impara ai livelli più avanzati dello stile, molti praticanti che abbandonano non hanno l’opportunità di conoscere le sue idee, le tattiche e le strategie, e non possono includerle nella loro pratica. Per la TAOWS Academy è molto importante che il praticante comprenda che è questo è ciò che fa in tutti i suoi aspetti della pratica, e quindi in questo DVD seguiremo la stessa impostazione che seguiamo in qualsiasi lezione, seminario o allenamento. La nostra impostazione comprende 6 passi: il primo è l’idea da sviluppare, ciò che vogliamo ottenere. La seconda parte sono le forme (Siu Nim Tao, Chum Kiu, Biu Jee, Uomo di legno, ecc…) a seconda dei livelli; la terza sono gli spostamenti, la mobilità. Il quarto pilastro è il Chi Sao – Chi Gerk, l’aderenza, l’anima del nostro sistema. Il quinto elemento è la non aderenza, il non contatto, sapere cosa fare per arrivare al contatto con l’avversario in modo sicuro. Alla fine, il sesto settore è lo Sparring, il combattimento o Lat Sao. Bruce Lee diceva che s’impara a combattere combattendo ed è la cosa più esatta che un artista marziale abbia mai detto. Come renderemo il Wing Chun un Arte Marziale efficace e rispettata? Praticando esercizi di sparring che ci avvicinino al combattimento in maniera progressiva, fino a che ciascuno di noi ottenga il massimo, come fighter, che questo meraviglioso sistema ci può offrire.

REF.: • TAOWS-2

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Ijutsu: La medicina degli Shizen Ijutsu (医 術 ) si traduce dal giapponese come medicina o più correttamente e letteralmente come arte curativa. Il Ijutsu studiato nella tradizione della scuola Kaze no Ryu, è un insieme molto vasto di conoscenze e tecniche terapeutiche impiegate dagli Shizen e dagli eredi della loro tradizione nel corso dei secoli.


er questo motivo, per la loro antichità – e soprattutto paragonandole ai grandi progressi tecnologici e alle moderne ricerche riguardo alle scienze della salute e della medicina – dette tecniche non devono essere considerate come un congiunto di terapie alternative, ma complementari degli attuali e avanzati trattamenti. Sia nei loro precetti che nelle loro tecniche, durante il XX secolo, sono state rivalutate e riorganizzate da professionisti della medicina della Ogawa Shizen Kai, per scindere il mistico e il mitologico dal pratico e salutare. Al giorno d’oggi, si chede ancora di più all’apprendista e al praticante di appoggiarsi primariamente sulla base di analisi critiche e scientifiche vigenti, per evitare tecniche inefficaci, o peggio controproducenti, senza abbandonare il carattere della metodologia classica. Anche se parte di tali tecniche proviene dall’enorme sapere medico tradizionale orientale, come per esempio l’Agopuntura o l’Ago-pressione denominata Do-In, altre come la massoterapia, Anma, anche nota come “Yugoe”, attraverso la radice “Sayugoe” – termine in dialetto originale – è una genuina

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manifestazione dell’identità Shizen. Anche così e in tutti i casi, tutta la tecnica è stata adattata e adeguata ai principi terapeutici originali degli Shizen, per la corretta armonizzazione nella loro applicazione. Oltre a queste nozioni, sono di fondamentale importanza le conoscenze ancestrali che possedevano sulle erbe, i tè e fli alimenti. Un popolo dei boschi come gli Shizen, disponeva di una farmacopea e di una notevole sapienza circa le erbe, quest’ultima denominata come Kusajutsu. Come supplemento alle tecniche manuali e tra le altre applicazioni, l’impiego di erbe cotte in infusione, applicate come impasti o pomate, olii e unguenti, così come una dieta corrispondente alla patologia da trattare, aumentavano la complessità e la dimensione dell’intervento del terapeuta. Nella loro ancestrale visione della malattia, gli Shizen differenziavano ciascun dolore in maniera singolare, osservando l’essere umano in tutte le sue concezioni, corpo, mente e spirito. Una malattia supponeva un’intossicazione che colpiva a tutti i livelli. Le tecniche di manipolazione avevano lo scopo di disintossicare e irrorare ossa, muscoli, tendini, pelle, sistema circolatorio, ecc, al fine di equilibrare l’organismo. Nel passato, la loro somministrazione supponeva per il paziente un benessere con il quale affrontare la malattia che lo affliggeva e anche se le tecniche erano insufficienti per una gran quantità di disturbi, l’equilibrio del corpo agevolava una migliore disposizione d’animo e fisiologica per fronteggiare il malessere. Come abbiamo già ricordato in precedenza, le tecniche più genuine di trattamento e terapia sono conosciute come Anma (按摩) e sebbene questa definizione si riferisca solitamente ai metodi quasi familiari di cure e massaggi dell’antico Giappone, nel nostro caso ci riferiamo alla fonte originaria della conoscenza terapeutica Shizen. Qui di seguito andremo a descrivere un’introduzione dette pratiche.

Brevi cenni storici Negli antichi trattati sull’Anma, si descrive il metodo che consisteva nella diagnosi e nel trattamento. Quello fu il primo approccio completo alla medicina. La Medicina Cinese venne introdotta in Giappone approssimativamente mille anni fa. A quell’epoca, il metodo dell’Anma era molto conosciuto dalla classe medica e considerato semplice per il trattamento del corpo umano. Durante il periodo Edo (circa trecento anni fa), fu deciso che i medici studiassero l’Anma, per poter comprendere ampiamente ed acquisire familiarità con la struttura della corpo umano e del suo funzionamento. La preparazione di quei medici in quel tipo di terapia manuale, permetteva loro di fare diagnosi, prescrivere erbe della Medicina Cinese e



localizzare i cosiddetti "tsubô", i punti dell’agopuntura, cercando di facilitare i trattamenti. Purtroppo questo antico metodo di manipolazione era destinato soltanto al trattamento di patologie semplici, come spalle contratte e tensione dorsale. Era una professione adatta ai non vedenti...poichè essendo in una condizione svantaggiosa per ricevere un’istruzione formale sulla diagnostica e sul trattamento, l’Anma è andato gradualmente ad associarsi al piacere e al confort. L’Anma è uno dei più antichi e tradizionali metodi di trattamento asiatici. Non si sa esattamente quanto tempo fa ha iniziato ad essere praticato. Probabilmente saranno circa 5000 anni, essendo stato descritto per la prima volta come trattamento, 2.500 anni fa. In Giapponese Anma significa personaggio o massoterapista Il carattere giapponese della parola “AN” significa pressione penetrante, piccoli movimenti. È considerato Yin e si usa per la sedazione. Il carattere “MA” significa massaggi e vibrazioni con movimenti più vigorosi; è considerato Yang e usato per tonificare. L’Anma è una tecnica che consiste nel realizzare massaggi ai muscoli, utilizzando le dita, le mani e le

braccia per migliorare la circolazione sanguinea e linfatica, dando beneficio alla pelle, alla tensione e alla contrattura muscolare. Secondo gli specialisti, massaggiare il proprio corpo è il modo più semplice per contenere dolori muscolari e articolari, alleviare la tensione emotiva, attivare la circolazione e il flusso di energia.

L’Energia Ki nell’Anma Le varie teorie relative all’utilizzo dell’energia cinetica universale e corporea, non parlano altro che del “KI”. Il ki venne scoperto in India e in Cina. Successivamente anche in Giappone. La sua origine e punto di vista sono citati nel “Sun Wen” il Libro Classico della Medicina Interna dell’ Imperatore Giallo”, il più antico trattato di medicina che sia arrivato ai giorni nostri. Come possiamo osservare, il Ki lo si può intendere su due livelli: Rappresenta, da una parte, l’Uno, il caos originario concepito come Soffio, senza organizzazione o direzione, da dove scaturirà la doppia articolazione di Yin e Yang, i principi polari e complementari che gli daranno il primo impulso per manifestarsi.



D’altra parte, Yin e Yang producono i tre soffi o energie fondamentali: il puro, l’impuro e la mescola di entrambi, che amalgamandosi, andranno a costituire il Cielo, la Terra e l’Uomo. Come dice J. Schatz: “Per gli antichi, l’involucro del cielo e della terra, il cielo e la terra, l’intervallo cielo/terra e tutti gli esseri che lì possiedono ua dimora effimera, formano soltanto un ammasso di soffi, senza profondità, senza limiti, precari e relativi”. Per il Taoismo, la corrispondenza tra i fenomeni naturali è responsabile della visione globale dell’uomo e di conseguenza, della medicina che questi avrebbe originato: la Medicina tradizionale Cinese. Il corpo, nell’accezione taoista, riflette al suo interno la stessa tipologia che trova al suo esterno: montagne, valli, fiumi, laghi, pianure e estuari, influenzando non solo gli avvenimenti dell’ambiente risultanti dalle manifestazioni del Ki, ossia nei suoi aspetti Yin e Yang, ma anche nella stessa misura, nell’organismo umano, che sarà configurato con una concezione similare. Si definiscono secondo la parità, per ciò che rappresentano in quanto a localizzazione e influenza, sia in superficie che all’interno delle strutture corporee. Pertanto, per conoscere l’uomo partendo da tali concezioni cosmologiche, bisogna stare attenti alla sua natura e a quella circostante, l’ambiente che ci conserva e ci da riparo, poichè il microcosmo (uomo) è

una raffigurazione in miniatura di tutto l’Universo (macrocosmo), sorretto dalle medesime leggi e che subisce l’influsso degli stessi fenomeni. Un altro pensiero pionieristico cinese risiede nell’articolare il modo in cui si impregnano la materia e l’energia. Al contrario che in Occidente, dove tali nozioni sono relativamente moderne, gli orientali si distinsero opportunamente per il legame tra i due insiemi di fenomeni, comprendendo così da un bel po’, la sintesi bioenergetica. È impossibile concepire lo Yin senza Yang, ognuno dei quali possiede al suo inter no il germe dell’altro, rappresentato graficamente nel piccolo cerchio opposto che rispettivamente ostentano: il cerchio bianco che rappresenta il giovane Yang all’interno del vecchio Yin e il cerchio scuro che raffigura il giovane Yin dentro il vecchio yang. Da lì ne consegue la legge che prescrive che tutto lo Yin si trasformerà in Yang e viceversa. Quindi, la mutazione non è una trasformazione che avviene solo partendo dall’esterno, ma ha anche un implicito sviluppo interno dettato dallo stesso corso della Natura, il che rafforza la nozione dell’opposto e complementare. Dal punto di vista degli schemi energetici, si deve rispondere a questa opposizione e complementarietà fondamentali: yang significa i Soffi Essenziali, mentre Yin è il sangue. Ogni struttura corporea (ossa, organi, tessuti, cellule, ecc.) possiede una data proporzione di Yin e Yang. Nelle multiple sfumature che questa Essenza e questo Sangue acquisiscono e esprimono nel contesto della Medicina Tradizionale Cinese, essi sono

abbastanza diversi dalle analoghe concezioni occidentali.

L’Anma nella pratica Le considerazioni dell’Anma tengono conto del Byounin (malato, paziente) 病人 e delle posture (shisei 姿勢) che quest’ultimo può assumere durante il massaggio: Ichimonji一文字 DISTESO (yokotaeru横たえる) Decubito supino (joutai常態) Decubito prono (utsubuse俯せ) Decubito laterale Tate Ichimonji 立一文字 Hanza 半座 – inginocchiato sollevato Seiza 正座 – inginocchiato seduto Tachi 立ち – in piedi Shinza 伸座 – seduto con le gambe distese Agurawokaku 胡座をかく – seduto a gambe incrociate Ashi 脚 Ryouashi 両脚 Allo stesso modo, il terapeuta (Chiyu No Shisei 治癒の姿勢) può anche assumere molte posture e posizioni: Hanza 半座 inginocchiato Seiza 正座 Tachi 立ち Shinza 伸座 gambe distese Ashi 脚 Ryouashi 両脚 Agurawokaku 胡座をかく (seduto a gambe incrociate) Gli stati di salute (KENPI健否) sono classificati alla maniera antica e


pertanto vedremo montagna (yama山), roccia (iwa岩) e albero (ki木). A seconda della manipolazione o dell’enfasi della pressione applicata, troveremo i sei e l e m e n t i (ONYOUMUGYOU 陰陽六 行): 1. fuoco (hi 火) 2. acqua (sui 水) 3. aria (kuuki 空気) 4. terra (chi 地) 5. legno (moku 木) 6. metallo (kin 金) Per ciò che riguarda le aree d’azione (Bumon部門), si può lavorare le ossa (hone 骨), i muscoli (suji 筋), i tendini (ken 腱) e la pelle (hada 肌) con propositi distinti come: liberare (Hodoku 解く), vibrare (furu 振る), circolare (mawaru 回る), drenare (hosu 干す) utilizzando tecniche variabili: Trazione (keninryouhou 牽引療法) Rotazione (senkaiundo 旋回運動) Stiramento (nobasu 伸ばす) Introduzione (hamekomi 嵌め込み) Flessione (mageru 曲げる) Inoltre, lavorando in particolare sui muscoli (suji 筋), si possono vedere: Te no Gikou (tecniche di mano 手の技巧): Oyayubi – (pollice 親指) Ryou Oyayubi – (doppio pollice -両親指) Kaigara – (mano a conchiglia -貝殻) Tanoku – (dorso della mano -手の 甲) Shukotsu – (ossa della mano -手 骨) Goshi (cinque dita -五指) Tesaki – (dita -手先) Ude no Gikou (tecnica di braccio -腕の技巧): Udema (pulire – strofinare – con il braccio -腕摩) Siccome rispetta dei principi antichi, l’Anma possiede definizioni posturali Primarie Classiche (法原 – NORIGEN) che si basano sulla natura e sugli oggetti della vita quotidiana: Pesce (SAKANA -魚) Gambero (EBI - 鰕) Aragosta (KAEBI - 大鰕) Cavalletta (INAGO -蝗)



Scorpione (SASORI -蠍) Cane (INU -犬) Gatto (NEKO -猫) Serpente (HEBI -蛇) Arco (YUMI -弓) Fiume (KAWA -川) Cascata (TAKI -瀧) Albero (KI -木) Corda (HIMO - 紐) Barca (FUNE -舟) Onda (NAMI -波) Come abbiamo visto in precedenza, nella pratica l’Anma utilizza tecniche di pressione, percussione, frizione, vibrazione, pizzicamento e imposizione delle dita e delle mani in punti e zone specifiche del corpo, oltre al movimento delle articolazioni e la manipolazione di strutture muscoloscheletriche, con lo scopo di agire sulla circolazione “energetica” attraverso delle tecniche per tonificare, sedare, regolare, purificare e scaldare, e stimolando l’omeostasi organica, psichica e soprattutto energetica. Usando i pollici, i palmi delle mani e anche il gomito, il terapeuta preme dei punti lungo i meridiani del corpo, in maniera ritmata e modulata. Con le pressioni va a sbloccare l’energia vitale. Inoltre, utilizza tecniche di manipolazione, allungamento dei muscoli e dei tendini, rotazioni di giunti articolari, pressione sui muscoli tesi o doloranti, migliorando la circolazione del sangue e quella linfatica. Con il risultato che si ha un rilassamento del sistema nervoso e muscolare, sviluppando un ritmo di respirazione più efficace e un migliore equilibrio energetico.





L’SCS incontra lo stile di Vicente “Inting” Carin Un giorno in un campo da basket nelle Filippine, un Maestr o di Doce Par es Eskrima diede una brillante dimostrazione. Ricordo che il clima era caldo e umido. Questo Maestro faceva degli “archi” in maniera molto elegante. Ero davvero impressionato dalla sua azione, e il resto del pubblico lo stava guardando senza respiro, facendo un grande applauso quando egli terminò.



Eskrima essuno nel pubblico era cosciente del fatto che c’era un anziano che guardava silenzioso, e si godeva la splendida perfomance degli archi. Questo anziano, dagli occhi penetranti, piccoli e segnati dalla vita, fece un passo avanti tra la folla. L’anziano disse a quell’uomo di attaccarlo nel modo che gli sembrava più adeguato. L’uomo così attaccò immediatamente, molto, molto veloce. L’anziano bloccò l’attacco e contrattaccò con un solo movimento molto aggressivo agli occhi e allo stesso tempo fece cadere il suo bastone a terra e si allontanò. Ciò che vidi realizzare da quell’anziano era uno stile realista ed efficace. Le azioni dell’uomo contrastavano veramente la grande azione del Maestro di Eskrima, e ciò dimostrò in molti sensi l’efficacia della stessa. Istintivamente capii cosa significava tutto quello: avevo appena incontrato Vicente Inting Carin, il Maestro e leggendario combattente di Cebu.

N

Influenza e Ispirazione A volte nella vita accade che ti trovi a che fare con gente che ti impressiona, ti ispira e ti influenza più di ogni altra. Per me quello fu Vicente Inting Carin. Questa notevole personalità irradiava una grande forza e un’energia che poche volte capita di incontrare. Sfortunatamente nel 2004 Vicente Inting Carin venne a mancare. Dalla mia esperienza, vi parlerò di Vicente Inting Carin, il leggendario combattente di Cebu che ebbe una grande influenza nel mio modo di pensare circa l’Eskrima. Vicente Inting Carin è noto anche grazie al documentario “La Via del Guerriero”. Conobbi Inting Carin nel 1998 a Cebu. Arrivato ad oggi, mi sono imbattuto in un sacco di quelli che si autoproclamano Maestri. Attualmente sembra che ci siano più Maestri che allievi. Quest’uomo, tuttavia, era qualcosa di totalmente differente. Un vero combattente, che aveva partecipato a scontri reali e ha lottato nell’esercito dei guerriglieri contro gli invasori giapponesi durante la seconda Guerra Mondiale. Aveva solo 18 anni all’epoca. Nel corso dell’occupazione giapponese combatte contro i suoi nemici con il suo machete e i bolos. 16 anni dopo imparò l’Eskrima da suo zio Ponsing Ybanez, che anch’egli era un grande combattente col bastone. Vicente Inting Carin si cimentò anche in combattimenti senza armatura. Studiò con il Gran Maestro Filemon “Momoy” Cañete. Egli modificò la sua spada e daga, la sua lotta contro il coltello e la sua esperienza sul campo di battaglia, che introdusse nel proprio stile chiamato VICARIO. E’ un vero Maestro delle Filippine.

Allenandomi con Inting Mi sono allenato varie volte con Inting Carin e sono rimasto assai impressionato dal suo approccio realistico all’Eskrima e alla sua lotta contro il coltello. Inting Carin apprezzava molto il mio stile e spesso mi faceva dei complimenti per la mi aggressività e immediatezza nei combattimenti. Gli piacque perché era efficace. Quello era anche il marchio di fabbrica di Inting carin. Il mio rispetto per lui è enorme, spesso dico che le mie tecniche di lotta con coltello appartengono allo stile Inting. Le sue tecniche di disarmo con coltello provocando lo sbilanciamento sono davvero significative e non si trovano in altri stili. Inting Carin ed io eravamo d’accordo che molti stili di Eskrima non si potessero utilizzare in uno scontro reale. So che a lui non erano mai piaciuto quegli stili di Eskrima che giocano solo col bastone e si dedicano più all’aspetto coreografico che



Eskrima alla vera arte. Prima della sua morte, mi inviò una lettera nella quale mi incitò a continuare ad allenarmi duramente e a continuare a sviluppare il mio stile. Come ho già detto, lui ebbe una grande influenza su di me. Inting Carin è scomparso all’età di 82 anni.

Inting carin Doce Pares Inting Carin creò il proprio stile. Lo stile VICAR (VICAR, VICENTE Inting CARIN), inoltre è stato membro del Doce Pares. Inting venne sfidato moltissime volte da eskrimadores e ha combattuto in nome del Doce Pares. Quei combattimenti erano duelli senza protezioni o, a volte, persino all’ultimo sangue. Si distinse nella lotta con il coltello. Inting Carin mi raccontò molte storie dei suoi duelli. Una delle sue più famose battaglie è stata riproposta nel documentario “Eskrimadores”.

Semplicità Lo stile di Inting Carin era uno stile personale. Creato partendo dalla propria esperienza nel combattimento reale. Ancora ricordo un aneddoto quando gli domandai del suo miglior disarmo da coltello. Lui mi guardò, si mise a ridere e disse: “Frans ricorda questo, fai le cose più semplici possibile in una lotta con il coltello, un errore può costare la vita”. Poi mise un coltello sul suo ventre e in una maniera molto semplice, disarmò il mio coltello con una tecnica chiamata “il serpente”. Questo “serpente”, dimostra anche il suo tratto distintivo, naturale e realistico.

Il patrimonio di Inting Carin sopravvive Nel Luglio di quest’anno, ho partecipato ad un incontro molto piacevole con in figli di Inting Carin, Alfredo e Vicente Carin junior, nelle Filippine. Il loro compito è di tramandare l’eredità del padre. Lo stile VICAR significa anche ‘senza movimenti superflui’, ma ogni azione ha l’intenzione di finalizzare l’avversario il più velocemente possibile. Il bello è che suo figlio più piccolo, Carin junior, assomiglia molto al padre fisicamente, ma anche nel suo modo di combattere, con colpi duri, realisti e con un gioco di gambe aggressivo in avanzamento. L’incontro è stato molto interessante e abbiamo parlato molto del passato e del mio legame speciale con Inting Carin.



Eskrima Pochi sanno che nel 2004 ho ripreso tutto lo stile di Inting Carin in un filmato. Filmammo tutto in due giorni e devo dire che fu un momento davvero interessante e il DVD è fantastico. Nel DVD lo stesso Inting Carin spiega una grande quantità di tecniche e mostra come realizzarle.

Sviluppo a posteriori I figli di Carin hanno sviluppato lo stile VICAR e lo hanno reso accessibile a tutti coloro che desiderano praticarlo. Addestrati da loro padre, non solo tecnicamente e tatticamente, ma anche spiritualmente. L’Eskrima è stata trasmessa a loro. La mia visione dell’Eskrima è che deve essere dura, realista e rapida. Ricordate ciò che ho già detto dello stile Vicar sviluppato da Inting Carin, evoluto dalla sua esperienza nel combattimento reale. Non da combattimenti in tor nei o competizioni, ma da scontri reali all’ultimo sangue. Ci sono pochi Maestri che possono affermare davvero questo.

Il futuro dello stile Vicar Sotto la direzione di Alfredo e Vicente Carin junior, il futuro dello stile VICAR sembra essere assai radioso. Essi non sono soltanto fantastici eskrimadores, ma anche grandi Maestri. Sono sicuro che il padre sarebbe molto orgoglioso dei propri figli e ha assicurato che il suo patrimonio sia trasmesso alle nuove generazioni. Sto organizzando per l’estate del 2015 un viaggio di allenamento nelle Filippine per chiunque voglia venire con me e desiderasse allenarsi con questi maestri filippini. Alfredo e Vicente Carin junior alleneranno i miei allievi e sono certo che questi rimarranno impressionati da questi eskrimadores. Quindi, vi do il benvenuto nel mio mondo, il mondo dell’Eskrima! Visitate il mio sito web o HYPERLINK: "http://www.scseskrima.com" www.scseskrima.com HYPERLINK: "http://www.knifefightsystem.com" www.knifefightsystem.com Per ulteriori informazioni mettetevi in contatto con me: HYPERLINK: "mailto:info@scseskrima.com” info@scseskrima.com

“Sotto la direzione di Alfredo e Vicente Carin junior, il futuro dello stile VICAR pare assai radioso”




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Grandi Maestri

Sifu Cangelosi è stato uno di quei Maestri che più ha rotto gli schemi nell’arco della sua carriera. Il primo, per il quale è stato (credeteci o no oggi!) estremamente criticato, è che ha osato praticare e padroneggiare più di un solo stile di Kung Fu. Infatti per lui, il Kung Fu è sempre stato solo uno, un’Arte completa con una ricchissima gamma di variabili e tradizioni. Non soddisfatto di ciò, ha commesso il suo secondo peccato: diventare un esperto nella Muay Thai! Tremendo tradimento! Un’Arte non Cinese! E il suo terzo peccato, ma non meno mortale, è stato di non avere gli occhi a mandorla, ovvero, essere Occidentale. Tutto questo inoltre lo ha documentato in vari libri e in quella che probabilmente è la più vasta collezione di video didattici sul Kung Fu (e non solo!) che abbia mai fatto un solo individuo fino a qui. Per tutto questo portiamo giustamente in copertina questo Gran Maestro e celebriamo i tanti anni di lavoro assieme, mettendo a disposizione dei nostri lettori e clienti un’offerta speciale sui prodotti che portano il suo marchio, sia libri che video…approfittatene per completare la vostra collezione… o per iniziarla. Cangelosi non delude mai! Oggi alcune di queste considerazioni ci sembrano chiaramente ridicole, ma credetemi, solo una decina di anni fa tutto era differente. Sifu Cangelosi è stato ed è un pioniere di un nuovo approccio ampio ed olistico alle Arti Marziali, al combattimento, all’aspetto energetico, a ciò che è interno o esterno, per lui tutte fasi di una sola medesima essenza, che non solo si possono unire nell’apprendimento, ma che, come hanno dimostrato i suoi moltissimi allievi durante questi anni, rendono migliori e più completi gli artisti marziali. Tutti coloro che lo conoscono ne parlano bene, perché se l’è guadagnato con un lavoro e una serietà fuori discussione, cosa che è stata senza dubbio di grande impulso per far si che il Kung Fu, così denigrato nel decennio degli anni ’70, trovasse una nuova immagine e un nuovo spazio in Occidente ai giorni nostri. Alfredo Tucci



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Un'emozione che ha unito l'Occidente all'Oriente E' da un'emozione che si scatena una grande energia che può fare sollevare il mondo su un solo dito. Ho iniziato a praticare le Arti Marziali verso la fine degli anni sessanta, con il ju jitzu. Vivevo in un paese vicino a Genova dove le Arti Marziali non erano ancora conosciute, io avevo soltanto sentito parlare di judo e karate da qualche villeggiante che veniva dalla città. Quando il maestro Nicolino Rosa arrivò nel nostro paese “Casella” portando la lotta giapponese, io e un altro pugno di bambini fummo i primi ad iscriverci, da lì nacque la mia passione per le Arti Marziali, che diventarono la ragione della mia vita. Dopo il trasferimento della mia famiglia dal paese alla città di Genova, si aprirono i miei orizzonti alle discipline orientali. E fu proprio nel 1971 che conobbi il mio primo maestro di kung fu, il grande Sifu Fu Han Tong, un cinese del sud Cina, migrato dall'impero celeste nella metà degli anni sessanta, e dopo svariati spostamenti che lo portarono dalla Cina all'Australia, alla California, alla Francia per poi arrivare in Italia. Fu Han Tong era un cinese particolare, parlava un po' d'inglese e conosceva molti dialetti cinesi, ma la cosa straordinaria è che aveva un'enorme cultura ed abilità nell'arte marziale cinese, una conoscenza

insolita perché era cresciuto con differenti maestri, imparando Stili diversi sia del nord che del sud, di scuola interna ed esterna. La sua grandiosità, all'inizio non mi era chiara, per me era un uomo con gli occhi a mandorla che faceva kung fu e quindi una specie di super eroe. Non voglio in questo articolo divulgarmi sulla mia storia come in un libro, perciò vi spiegherò quello che furono le mie prime esperienze di pratica e studio nell'arte del kung fu. Avevo 11 anni e il maestro Fu Han Tong lavorava in una falegnameria del centro storico di Genova, ed in oltre commerciava statuine di porcellana attraverso un negozietto cinese di Genova e uno di Torino. Ricordo che quasi tutti i giorni mi recavo da lui e nei suoi ritagli di tempo mi iniziò al kung fu. Dopo alcuni fondamentali (saluti, posizioni e qualche piccola coordinazione tecnica) incominciò a parlarmi di stili… Era un mondo affascinante, per le enormi differenze che potevo notare tra un metodo e l'altro. Quando iniziai a prendere coscienza di quello che stavo facendo, mi resi conto che avevo iniziato a studiare già tre stili differenti in quest'ordine: Wing Chun, Tang Lang e Tai Chi. Ero ancora molto giovane, ma la cosa incredibile è che anche il terzo stile interno aveva un fascino tutto particolare, mi catturavano i suoi


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“Il mio maestro mi diceva che non sarebbe stato un percorso facile ma se la pratica fosse stata costante ed intensa, il risultato sarebbe arrivato insieme alla reale consapevolezza della vera Via” movimenti lenti e la capacità di concentrazione che mi suscitava durante la pratica. Al contrario di quel che si può pensare, malgrado la mia giovane età, il Tai Chi ebbe un potere straordinario su di me, Fu Han Tong cercava di farmi capire che quei movimenti lenti servivano a fare fluire l'energie, a rendere il corpo più rilassato e quindi più veloce e scattante. Durante lo studio della grande forma, mi faceva apprezzare immediatamente le sue applicazioni, per rendere chiaro che si trattava di pura Arte Marziale; nello stesso tempo marcava l'aspetto salutistico portandomi a conoscenza della filosofia e disciplina taoista. Fu proprio per tutte queste cose che non smisi mai più la pratica del Tai Chi. Mentre nella pratica del Wing Chun e Tang Lang vedevo un'esercizio che stimolava il mio corpo e richiedeva una preparazione atletica con dinamiche complesse. Il fascino della zampa della mantide, la sua rapidità nell'alternare le braccia e la forza delle sue tecniche erano stupefacenti; ma anche la dinamica del corpo e il foot-work manifestavano un'eleganza incredibile. Gli allenamenti erano spesso molto duri nel condizionamento degli arti che sarebbero dovuti diventare forti e robusti come quelli

della mantide religiosa. La cosa che mi rendeva curioso era che all'interno dello stesso stile, esistevano scuole diverse con interpretazioni tecniche differenti pur essendo lo stesso animale. Lo stile si era sviluppato da una regione del nord Cina e diffuso nel tempo in diverse regioni fino a raggiungere il Sud. Nello stesso tempo quando si praticava il Wing Chun, la cosa interessante era il suo assetto posturale, i suoi principi d'azione, la fluidità e continuità delle sue tecniche che lo rendevano affascinante ed efficace. La popolarità di questo stile all'epoca non era ancora nota, fu grazie all'attore Bruce Lee che il Wing Chun iniziò a diventare famoso e a creare un interesse nei praticanti di Arti marziali . E proprio con queste informazioni e sensazioni, che l'inizio del mio kung fu aprì immensi orizzonti che mi fecero innamorare delle Arti Marziali nella loro totalità di pratica e cultura. Fu proprio il mio maestro “Tong” ad insegnarmi di non chiudermi in un solo stile, di non fossilizzarmi in una sola lingua, ma di godere di tutta la celestialità del cielo. Proprio come una famosa frase detta da Bruce Lee in un suo film durante la scena di un suo insegnamento ad un allievo.



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Il mio maestro mi diceva che non sarebbe stato un percorso facile ma se la pratica fosse stata costante ed intensa, il risultato sarebbe arrivato insieme alla reale consapevolezza della vera Via. Ero troppo giovane per capire, ma ero determinato e avevo già fatto le mie scelte, mi allenavo tutti i giorni con una media di 6/8 al dì, i miei progressi aumentavano settimanalmente, stupendo anche lui e nello stesso tempo stimolandolo all'insegnamento. Aumentò i programmi inserendo nuovi stili, per alcuni solo a titolo di piccole esperienze, per altri invece ci furono grandi approfondimenti e specializzazioni. Si aggiunsero così gli stili Pa Kua - Hising i - Siu Lam - Tzui Pa Hisien. Continuai a praticare questi stili con

lui per anni, finché durò la sua permanenza in Italia, poi giunse il momento del suo ritorno nella sua terra madre. Avevo 17 anni e mi promisi che appena raggiunta la maggiore età, mi sarei organizzato per andare in Cina e continuare il nostro rapporto. Nel frattempo iniziai ad insegnare kung fu e a distanza di circa tre anni, una volta gettate le radici della mia giovane scuola, il mio sogno si realizzò; mi ritrovai nel sud della Cina di nuovo davanti al mio maestro Fu Han Tong. Ristabilito il contatto, da quel giorno incominciò un rapporto che durò per molti anni tra continui e costanti viaggi, con perfezionamento e nuove esperienze nelle discipline orientali direttamente vissute nella terra madre del mio maestro.


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“Mentre nella pratica del Wing Chun e Tang Lang vedevo un'esercizio che stimolava il mio corpo e richiedeva una preparazione atletica con dinamiche complesse” Fu proprio grazie a questa frequenza assidua che ebbi modo di conoscere amici di Fu Han Tong esperti in vari campi di culture marziali, grazie a loro il mio kung fu poté crescere, allargarsi a diversi lineage di differenti famiglie e specializzare alcuni stili da me studiati nel passato. Bisogna dire che non fu tutto semplice e facile perché molte di queste persone non erano abituati ad avere a che fare con degli occidentali, ma soprattutto non tanto i maestri, ma in particolar modo gli allievi, i membri della scuola, loro non erano affabili e cortesi con me; si avvertiva in loro una certa gelosia ed invidia che faceva spesso creare un'atmosfera di rivalità e competizione. Il rischio per me era alto ma ne valeva la pena. Iniziò una nuova esperienza, anche se un po' cruda, quella del combattimento. Bisognava conquistarsi la stima ed il rispetto. Lo stesso maestro Fu han Tong rimase a volte imbarazzato di fronte ai suoi amici, non riuscendo a spiegare loro come quel ragazzo bianco ne sapesse di più degli studenti cinesi. Quello che voglio cercare di farvi capire, è che dietro a una conoscenza acquisita ci sono sacrifici

enormi che hanno tracciato una strada ed illuminato, se così si può dire, molte persone. Oggi riesco a distinguere gli Stili, le Vie e le Arti, ma mi rendo conto che nella loro essenza non esiste differenza, è l'uomo che con il suo impegno e la sua perseveranza può attraversare mari e monti nell'infinita conoscenza. Come diceva un grande maestro di spada giapponese “L'uomo che raggiunge la conoscenza di una via, conosce tutte le vie” Myamoto Musashi. Spero di trovare il tempo per proseguire questo racconto e descrivere quello che ho raccolto in questi 45 anni da praticante e poter tradurre al meglio le differenze stilistiche, le sensazioni e le esperienze vissute. Speriamo di riuscire ad allontanare dall'ignoranza le persone che praticano le Arti Marziali e che ancora oggi comunicano messaggi negativi disprezzando e diffamando persone che praticano metodi diversi dai loro o che solo appartengono a scuole differenti, non dimentichiamoci quello che stiamo facendo, le Arti Marziali a tutti insegnano rispetto e gratitudine. A presto.

Sifu Paolo Cangelosi www.sifupaolocangelosi.com email: cangelosipaolo@libero.it school: Salita delle Fieschine 17r Genoa- Italy tel. +39 010 8391575


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Fu-Shih Kenpo, in cerca del VERO SENSO DEL COMBATTIMENTO IN ALCUNI STILI DI KENPO Muneomi Sawayama (1906 – 1977) A causa della sua debole costituzione, da bambino, quando entrò in collegio, nel 1919, decise di migliorare la propria salute e rafforzare il fisico attraverso l’esercizio. Si procurò svariati libri sul body-building e iniziò ad allenarsi da solo. C’era bisogno di grande costanza, poiché all’epoca il body-building era poco diffuso in Giappone. Allo stesso tempo iniziò l Judo. Grazie ai suoi sforzi, ottenne dei notevoli progressi. Nel 1925 entrò all’Università di Kansai, dove continuò con il Judo e conseguì il 5°Dan. Appassionato da altra attività, la rissa da strada, frequentava i quartieri malfamati peggiori di Osaka. Cercava in tutti modi di trovarcisi coinvolto e quando non ci riusciva, creava lui le occasioni per farlo. Si racconta che dicesse ai suoi amici “che non dormiva bene se prima non rompeva la faccia a tre idioti”. La predilezione verso la criminalità, almeno nella sua gioventù, è un comune denominatore tra Tatsuo Yamada (fondatore del Nihon Kenpo Karate-Do), Choki Motobu e Muneomi Sawayama. Proseguendo con i suoi studi nel judo e come criminale (combattente di strada), si chiedeva perché il judo non utilizzasse i colpi di pugno e di piede, che sono le tecniche più efficaci e indispensabili per una rissa stradale? Partendo dalla sua esperienza cominciò a farsi delle domande sul senso della sua arte marziale. In risposta alla sua domanda, il suo maestro di Judo gli diede uno spunto su cui indagare: studiare le tecniche di percussione del Ju Jutsu classico, che vennero eliminate durante il processo di codificazione del Judo. Così, Muneomi Sawayama cominciò a studiare le tecniche di atemi del Ju Jutsu. Però la maggior parte di quelle tecniche erano concepite per l’uso di una sciabola

Testo: Sergio Hernandez Beltrán



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e sebbene sia certo che si esercitassero a mani nude, tali tecniche erano assimilate all’uso di quest’arma. Per esempio, una delle tecniche dei samurai era colpire con l’estremità dell’impugnatura (Tsuka), che portavano sul fianco sinistro. Questo colpo si effettuava prendendo l’estremità della custodia (saya) e appoggiando il pollice sulla guardia che si estraeva in avanti, colpendo lo stomaco o il plesso solare dell’avversario. Nel Ju Jutsu classico si allenava questa tecnica sotto forma di un colpo effettuato con il pugno sinistro. In questa maniera, le tecniche di percussione nel Ju Jutsu risultano secondarie e limitate. Quella era, perlomeno, la conclusione di Muneomi

Sawayama. Fu allora che sentendo parlare di un maestro di Karate che si era stabilito a Osaka, Kenwa Mabuni, fondatore dello stile Shito-Ryu, che cominciò a studiare questa disciplina sotto la sua direzione. Di nascosto dal suo maestro, pare che Muneomi Sawayama continuasse a cimentarsi con le risse in strada. Nei quartieri malfamati si trovò davanti Tatsuo Yamada, il quale probabilmente era lì per lo stesso identico motivo. Quest’ultimo gli disse di essere allievo di Choki Motobu, di cui aveva sentito parlare per il suo combattimento contro un pugile. Più tardi Muneomi Sawayama domandò a Kenwa Mabuni del Karate di Choki Motobu e lui gli rispose: “Di certo Motobu è forte, ma quello non è vero Karate, perché ha tratto la sua forza basandosi sull’esperienza

delle risse di strada. Un vero karateka deve integrare la morale alla propria forza. Questo lo si esercita attraverso i Kata. Il Karate di Motobu si allontana dalla retta Via”. Ma la frase “ha tratto la sua forza basandosi sull’esperienza delle risse di strada”, stuzzicò la sua attenzione. Tramite Tatsuo Yamada conobbe il Maestro Motobu e la sua forza nel combattimento e le sue idee tecniche lo segnarono fortemente. Nello stesso periodo conobbe il Maestro Yashuhiro Konishi (fondatore dello stile Shindo Jinen Ryu) che si allenava Mabuni e Motobu. All’Università di Kansai, Muneomi Sawayama formò un club di Karate. Invece di proseguire fedelmente negli insegnamenti di Kenwa Mabuni, fece delle ricerche per elaborare un Karate più realistico. In


effetti, gli insegnamenti di Kenwa Mabuni si basavano, come quelli di Gichin Funakoshi, sull’esercizio dei kata. A differenza di Funakoshi, Kenwa Mabuni non era ermetico verso la pratica del combattimento, e fece persino delle indagini per elaborare degli esercizi per il combattimento. Per esercitarsi al combattimento in sicurezza, sperimentò varie protezioni improvvisate. Riguardo alla ricerca nel combattimento, la traiettoria di Muneomi Sawayama fu più rapida e radicale di quella del suo maestro. All’Università realizzò un suo metodo di allenamento. Mise a punto degli esercizi di combattimento convenzionale e libero. Appoggiandosi agli addestramenti al combattimento libero, continuò ad elaborare nuovi esercizi. Nello stesso periodo, a Tokyo, gli allievi di Gichin Funakoshi, come Hironori Otsuka, T.Shimoda e Yasuhiro Konishi indagano, con prudenza, su modelli di esercizi di combattimento convenzionale partendo dai kata.


Kenpo Bisogna dire che Muneomi Sawayama li ha piuttosto agevolati. Era l’epoca in cui i karateka di Tokyo, allievi di Funakoshi, cominciarono già a praticare il combattimento libero con il sistema del sundome, (parando il colpo prima di toccare), che adottarono anche gli altri vari anni dopo. Si potrebbe dire che sia il precursore del sistema attualmente in auge. Dopo aver praticato questo sistema di combattimento, lo abbandonò velocemente, poiché il sistema di controllo parando il colpo, non era sufficiente per lui. Kenwa Mabuni non era d’accordo con il percorso intrapreso da Muneomi Sawayama. Nel 1932, quest’ultimo si separava dal suo maestro, per fondare la propria scuola che chiamò “Dai Nipòn Kenpo”, la matrice dell’attuale Nihon Kenpo. Lo stesso anno si arruolò nell’esercito come ufficiale volontario. Continuò ad elaborare e a sistematizzare il suo metodo. Troviamo lo stesso schema precedente; quando gli allievi iniziarono la pratica del combattimento, Gichin Funakoshi ruppe con loro. È allora, attraverso la concezione del combattimento, che ebbe origine il problema del Karate, arte da combattimento. Al principio, Muneomi Sawayama praticò il combattimento senza protezioni, con il sistema del sundome, ma allenandosi sul serio, gli incidenti erano inevitabili. Quando questo avveniva, molto spesso era grava. Inoltre, constatava che con questo modo di combattere le tecniche di difesa erano deficitarie, perché erano abituati a colpi che non arrivavano a bersaglio. Di conseguenza, gli parve necessario ideare delle protezioni. Prese come

modello quelle del Kendo per le protezioni durante l’addestramento al combattimento. Secondo Muneomi Sawayama, relativamente a quello della spada, il metodo del Karate è in ritardo, corrispondendo al maneggio della spada del medio evo – dove veniva esercitata principalmente tramite il kata – e parallelamente venivano allenate con una spada vera o di legno controllando i colpi. Con le armature di protezione, a partire dalla fine del XVIII Secolo, la tecnica della spada giapponese fece enormi progressi accumulando l’esperienza che fornisce il combattimento libero. Nel Karate, sull’isola principale del Giappone, nessuno dei Maestri, eccetto Choki Motobu, furono capaci di insegnare a combattere. Il Karate che trovò Muneomi Sawayama, era privo di esperienza, metodo e sistema di combattimento, ritenendo così che il Karate era arretrato. Dal 1934 cominciò a dirigere esercizi al combattimento con protezioni. Nel combattimento della sua scuola si portavano colpi, proiezioni e leve articolari. Tenendo presente la sua formazione nel Judo, tale contaminazione è naturale. Nel 1936, Muneomi Sawayama fece una dimostrazione pubblica. Nel ’37 organizzò il primo ncontro universitario tra le facoltà di Kansai e KansaiGakuin. Fu un successo che ottenne l’approvazione del pubblico e un buon inizio. Scoppiò la guerra SinoGiapponese. L’atmosfera militare si rafforzava giorno dopo giorno. Intanto, Muneomi Sawayama continuava a evolvere il proprio metodo di allenamento e il sistema di

applicazione della sua disciplina, fino al 1940, quando venne chiamato come ufficiale di fanteria e destinato in Cina. Durante la sua permanenza in Cina si interessò delle Arti Marziali Cinesi e lì conobbe Kenichi Sawai, che studiava Yi Quan sotto Wang Xianzhai. Al giorno d’oggi esistono due correnti nel Nihon Kenpo, quella dell’Est e quella dell’Ovest. La tecnica del gruppo dell’Ovest riflette di più quella di Muneomi Sawayama, con movimenti morbidi e circolari, assenti in quella dell’Est. Pare che apprese questi elementi in occasione dell’incontro con K.Sawai e gli introdusse nei suoi insegnamenti. Nel 1946 tornò in Giappone e riattivò la sua scuola. Il Giappone era sprofondato nella miseria. La preoccupazione principale del popolo era “mangiare ogni giorno”... In quelle condizioni, poca gente si interessava all’arte del combattimento. Quando organizzava delle dimostrazioni veniva criticato definendole “zuffe tra mendicanti”. Muneomi Sawayama viveva in condizioni economiche disagiate. Fu così fino al 1953, quando organizza una esibizione di Nihon Kenpo nel centro di Tokyo con i suoi 70 allievi, che causa stupore nel mondo delle arti marziali. Varie università allora si unirono a lui. Nel 1954 il Nihon Kenpo venne adottato come disciplina ufficiale dall’Università di Kansai, dove Muneomi Sawayama aveva studiato, e nella quale fu nominato insegnante. Oggi come oggi, il Nihon Kenpo costituisce una corrente importante in Giappone, con dojo nelle scuole e nelle università pubbliche e private.

“Esistono differenze tangibili tra il “Nihon Kenpo Karatedo”, fondato da Tatsuo Yamada e il “Nihon Kenpo”, fondato da Muneomi Sawayama. Nel Nihon Kenpo Karatedo si realizzano i combattimenti con i guantoni da boxe, mentre nel Nihon Kenpo si utilizza un equipaggiamento di protezioni e sono consentite le tecniche di percussione, di proiezione e di immobilizzazione. Nonostante le loro differenze, le due discipline sono vicine per contenuti e sopratutto per la loro idea di base: lo sviluppo del combattimento.




Amaro Bento è nato in Angola nel 1970, va a vivere in Portogallo nel 1975, emigrando poi in Svizzera nel 1985 dove lavora fino al 2009, anno in cui ritorna in Portogallo. Questo cosmopolitismo segnerà per sempre la visione delle Arti Marziali di quest’uomo, modellandone il carattere e la maniera di intendere e interagire con le differenti forme di arti da difesa, attacco, protezione di terzi, insegnamento per adulti e bambini. maro Bento inizia molto presto la sua pratica nelle Arti Marziali. A soli 12 anni avvia un percorso che lo porta dal Karate Shotokan al Pencak Silat, arte nella quale raggiunge il grado di 3°Dan, non senza prima sperimentare e raffinare la propria esperienza come praticante di Judo, Ju-Jitsu tradizionale, Kung fu, Kick Boxing, Boxe olimpionica, diversi metodi di Krav Maga e svariati sistemi di maneggio di armi. Anche come agonista, Amaro Bento ha provato l’ebbrezza del ring per decine di volte, con la Kick Boxing e la Thai Boxing, e diventando per 5 volte Campione Svizzero di Pencak Silat. I suoi allievi hanno conquistato 112 titoli nazionali svizzeri, nel Sanda, Pencak Silat, Lei Tai, Boxe Olimpionica, tra gli altri. Come trainer, per quanto possa sembrare paradossale, Amaro Bento ha insegnato il Krav Maga in diversi paesi, tra i quali spiccano Portogallo, Giamaica e Israele.

A

Ciò nonostante, la sua grande influenza nel modo di concepire le Arti Marziali, scaturisce dalla sua esperienza professionale fuori dal “ring” e dai “tatami”. Effettivamente, Amaro Bento inizia presto la sue esperienza professionale nel settore della sicurezza privata. A 18 anni comincia con dei rapporti di lavoro parttime, ingaggi nella sicurezza e nella protezione personale ad alto rischio in paesi come Belgio, Svizzera, Germania, Spagna, Russia, Kenya, Sud Africa, Messico, USA, Paraguay, Colombia e altri in Medio Oriente. Ha anche svolto diversi servizi di sicurezza e formazione presso un’impresa israeliana. Attualmente, Amaro Bento ha una agenzia di Addestramento e Sicurezza Privata, registrata a Zurigo (Svizzera), la ASISGROUP (Ambo Security Instruction & Services). Questa esperienza in scenari reali, gli ha permesso di comprendere subito che molti di quegli insegnamenti


Self Defense

ricevuti in diverse Arti Marziali, con Maestri di gran nome, non si adattavano alla vita reale al di fuori del “Dojo” o del ring, poiché molte volte, nell’esercizio delle sue missioni di sicurezza, si è trovato davanti ad aggressori che pur non avendo alcuna abilità nelle Arti Marziali, possedevano un livello di violenza e determinazione in combattimento, tali da annullare i modelli con i quali Amaro Bento svolgeva la pratica delle tecniche imparate in situazioni di allenamento “tradizionale”.

Amaro Bento sentì dunque la necessità di modificare buona parte di ciò che aveva imparato, per poter svolgere con successo le sue mansioni nella sicurezza privata. Inizia allora a sviluppare quello che sarà il suo sistema di difesa, combattimento e protezione, l’ACDS – Ambo Combat & Defense System – sistema dedicato all’allenamento agonistico, sportivo, di protezione e difesa di terzi, adattato alla realtà del XXI° secolo, senza ovviamente dimenticare tutta quella che è stata l’influenza



Self Defense del bagaglio delle arti tradizionali orientali e occidentali. In effetti, se quando quelle arti vennero sviluppate era normale che le persone circolassero per strada con una spada o una sciabola, oggi come oggi, per strada, in genere la gente non porta con se altro che un piccolo coltello o altro oggetto di uso quotidiano, come strumento di difesa da aggressione; se allora era pratica comune difendersi o attaccarsi con un “Bo”, con un “Nunchaku”, oggi ci sono siringhe infette, spray al peperoncino, o Taser; se allora l’insegnamento o la pratica delle Arti Marziali erano di dominio di una ristretta minoranza, essendo la parola “Maestro” associata a persona “al di sopra di ogni dubbio”, oggi si è consentito l’accesso di qualsiasi cittadino

al “pericoloso” mondo delle Arti Marziali decontestualizzate dalle loro origini, non rispettando più lo status del “Gran Maestro” fuori del Dojo, che in qualsiasi momento si trova di fronte a “sfide” e “prove” sull’efficacia dei metodi che egli insegna. Vale a dire, il mondo è cambiato e le Arti Marziali si evolvono o semplicemente divengono inefficaci nel loro obbiettivo massimo di garantire la difesa e la protezione, perdendo di fatto l’idea del “bene che lotta contro il male”. Due delle discipline che spiccano nel sistema di Amaro Bento sono l’Ambo Combat & Defense System – ACDS e il Chamaleon. Per strutturare il suo sistema di difesa, protezione, insegnamento e competizione



Self Defense


ACDS, Amaro Bento parte dalla domanda: Come combinare i diversi requisiti, così soggettivi di un’Arte Marziale, in un sistema? Mentre per molte persone l’obbiettivo dell’allenamento è principalmente un aumento delle qualità fisiche in genere e della fiducia in se stessi, altre desiderano imparare a difendersi efficacemente in ogni momento, contro un attacco imprevisto… Parallelamente, sempre meno persone sono disponibili a investire anni di studio in una arte marziale assai complessa, che purtroppo non è applicabile in situazioni di grande stress nervoso e violenza che possono presentarsi. Essendoci persone che vogliono competere agonisticamente sul ring, per quelle l’iter di allenamento deve tenere in considerazione quell’esigenza in particolare; ce ne sono altre che cercano nelle Arti Marziali l’efficacia nel combattimento corpo a corpo, nella difesa personale realistica e nella protezione di terzi. Per questo abbiamo fatto in modo che per le forze di sicurezza, la polizia, l’esercito, la sicurezza privata, l’addestramento sia sempre più realistico. Urgeva inoltre conciliare le differente sostanziali esistenti tra l’addestramento per gli adulti e quello per i ragazzi. In definitiva, le aspettative e le difficoltà non avrebbero potuto essere più differenti. Per soddisfare tutti i requisiti, è stato creato l’ACDS.

Che cos’è l’ACDS? Senza ombra di dubbio, l’ACDS è uno dei sistemi più completi e soddisfa le esigenze dei vari gruppi che sono potenziali bersagli di attacchi. L’idea di fondo è stata quella di non reinventare la ruota. L’ACDS è un mix di diverse Arti Marziali evolute partendo dall’esperienza pratica del suo fondatore. Si

allenano tecniche di difesa e proiezione, pugni e calci, così come tecniche di immobilizzazione. L’allenamento per gli adulti, a partire dalla cintura azzurra, prevede anche tecniche di disarmo degli aggressori e il maneggio di varie armi di difesa (Spray al peperoncino, bastone, Kubotan), attitudine difensiva, anti-car Jacking, allenamento nel low-light, tiro tattico, pronto soccorso, aspetti legali, metodologia di insegnamento per ragazzi, tra le altre cose. Caratteristica particolare è che per il combattimento sportivo, tutte le tecniche sono classificate da un sistema di numerazione e non con definizione tradizionale. Per esempio, per l’ACDS la tecnica equivalente al jab o al diretto, è la numero 6, per il calcio frontale è la 40. questo sistema permette una più immediata interazione tra l’allenatore e l’atleta mentre combatte. Oltre all’allenamento, la formazione di livello avanzato include una ricerca sulle armi, così come sulle immobilizzazioni e l’uso delle manette. Ci sono inoltre addestramenti speciali per tutti coloro che desiderano misurarsi sul ring. L’ACDS è un sistema moder no e continuerà ad esserlo, per cui nuove prove dal punto di vista sportivo e medico, verranno costantemente introdotte al suo interno. L’organizzazione delle scuole creata da Amaro Bento per la Ambo Training Martial Arts International, vanta in questo momento scuole in Svizzera, Portogallo e Italia, a breve anche in Francia e in altri paesi. Vieni ad allenarti con noi e a svolgere la tua formazione. Puoi contare su un equipe di professionisti! HYPERLINK: http://www.ambogalaxy.com www.ambogalaxy.com




LA RESPIRAZIONE E L’INFLUSSO YIN - YANG Nel primo articolo sulla respirazione “Aprile 2014” è stato presentato uno studio di base per approcciare i neofiti alla pratica, alla scoperta dei Tan Tien, al movimento del diaframma e alle prime difficoltà guardandosi dal proprio interno attraverso un esercizio da terra con postura orizzontale. In questo secondo articolo ne approfondiremo il discorso e cercheremo di capire come vengono influenzati i due poli “Yin – Yang” nella respirazione inserendo anche altri esercizi pratici. Consiglio ai lettori di leggere prima l’articolo precedente.

Guardati dentro, pratica il respiro, scopri le tue potenzialità e apri la porta al benessere Un ciclo respiratorio completo prevede il rigonfiamento del bassoventre, dell’addome e del torace, questa dilatazione e stimolazione farà aumentare la pressione e di conseguenza la spinta e il fluire dei liquidi dell’organismo, stimolando tutti gli organi e i visceri in loco ivi racchiusi, grazie all’alzarsi e all’abbassarsi della membrana “diaframma”, procurando un massaggio interno naturale. Con questa breve e semplice spiegazione possiamo facilmente capire e intuire perché il rigonfiamento non deve essere sempre limitato ad un solo centro, o zona del corpo….. mi capita spesso di vedere un allievo alle prime armi fare una fatica immensa nel compiere una respirazione e soprattutto limitarla alla zona toracica. Questa modalità, a lungo andare potrebbe affaticare il cuore, perché soggetto ad un continuo e a volte troppo pressante massaggio interno, con la possibile conseguenza di affaticamento cardiaco, ansia, stress, pressione alta e con …. Yang in eccesso. Nell’esecuzione di questi esercizi, il cuore potrà essere alleggerito. Questi principi potranno essere adattati in seguito anche alle varie situazioni che possono capitare nella vita, ad esempio: Dopo un’intensa giornata ci corichiamo a letto, ma la mente continua a lavorare e non riesce a spengersi.


In questo caso il posizionamento delle mani sul bassoventre “Tan Tien inferiore” e il pensiero che sprofonda ai piedi con la posizione orizzontale può facilmente aiutarci da …. “Yang in eccesso”. Oppure: siamo particolarmente fiacchi, ma ci attende una giornata ancora piena di impegni, in questo caso posizioniamo le mani sulla zona toracica “Tan Tien centrale” , adottiamo una posizione eretta e una respirazione leggermente più rapida (non arrivare all’iper ventilazione), questo dovrebbe risvegliarvi facendo risalire lo Yang abbastanza velocemente. Questi che ho citato sono alcuni esempi, ma vi dirò di più, se adottate il primo caso per addormentarvi, la qualità del vostro sonno ne godrà notevolmente e vi risveglierete rigenerati, solari, positivi e a volte “stupiti”, consiglio di provare più volte, mentre mi è capitato di adottare il secondo esempio (con delle varianti) alla guida…... ero stanco, ma la strada era ancora lunga, il risultato è stato un risveglio veloce e “rigenerante”, decisamente molto meglio di una bevanda stimolante o un caffe’. Doveroso però da parte mia consigliarvi di provare in assoluta tranquillità e sicurezza.

Cadere nel respiro è un antico termine che può rendere l’idea della sua profondità

PREPARAZIONE I punti fondamentali di preparazione agli esercizi sono gli stessi già esposti nell’articolo precedente, ma in questo caso cambiamo la postura del corpo posizionandoci in linea verticale. Postura una volta le spalle, il peso è perfettamente al centro della posizione e al centro della pianta dei piedi, punte dei piedi in linea (non aperte all’esterno) ginocchia leggermente flesse, schiena dritta; questo si ottiene posizionando sia il becco del coccige che il mento leggermente inclinati all’interno, su la testa con la sensazione di essere sollevati verso l’alto, braccia lungo i fianchi, spalle e torace sciolti e rilassati, occhi chiusi o socchiusi se creano difficoltà di equilibrio; ora, dopo aver preparato la postura, mi dedico alla calma e al rilassamento interiore.

1° ESERCIZIO Si muovono le mani con un movimento circolare di raccolta davanti all’addome per salire verso l’alto lungo la linea centrale del corpo con palmi rivolti verso il cielo “Inspiro” Arrivati alla base del collo ruotano i polsi, i palmi si rivolgono verso la terra “Trattengo” e riscendono in basso lungo la stessa linea dove erano salite “Espiro”. Si esegue tre volte con tre altezze diverse, base del collo, altezza degli occhi e tetto della testa. La respirazione prevede il rigonfiamento del bassoventre, dell’addome e del torace, includendo quindi il rigonfiamento del “Tan tien inferiore” prima e del “Tan tien centrale” poi; per poi svuotare in ordine la zona toracica, l’addome e il bassoventre. Le fasi di circa 2 secondi di apnea si inseriscono nella rotazione dei polsi che preparano la discesa e la salita delle braccia, ovvero nel “cambiamento”.


2° ESERCIZIO In questo secondo esercizio manteniamo la stessa postura e la stessa respirazione, cambiando solo il posizionamento delle mani. Con il medio e l’indice della mano destra distesi chiudiamo la narice destra e ci concentriamo sull’atto respiratorio, bassoventre addome e torace, ascoltando in modo più netto e chiaro il passaggio dell’aria in entrata e uscita da una narice. Facendo il cambio delle mani ripeto l’esercizio sull’altro lato. Due minuti per lato sono più che sufficienti, l’importante è non premere troppo perché potrebbe procurare tensione sulle fasce muscolari del collo. Sconsigliato se si è leggermente raffreddati.


IL MAGNETISMO DEI DUE POLI La posizione verticale mette meglio in risalto il magnetismo tra i due poli, inserendo l’essere umano tra le forze del cielo e della terra, pronto per danzare e miscelare le due polarità Yin e Yang. Abbiamo descritto in questo articolo due esercizi in linea verticale con postura statica delle gambe. Nel primo la visualizzazione segue il ritmico alzarsi e abbassarsi del respiro (bassoventre, addome, polmoni) con le mani che guidano e coordinano il tutto. In fase di espansione e salita delle mani aumenterà la pressione, il calore interno con attrazione verso il cielo aumentando il magnetismo yang, mentre in fase di discesa la pressione diminuisce in espirazione alleggerendo il corpo con attrazione verso la terra e di conseguenza aumento del polo yin . Il respiro danza tra i due poli, mentre le mani accompagnano e ne enfatizzano l’azione nutrendo anche i “Tre Tan Tien, inferiore, centrale, superiore”, argomento che merita sicuramente un successivo approfondimento. Nel secondo esercizio il concetto rimane lo stesso, ma evidenzieremo attraverso la posizione delle mani l’interscambio dell’ossigenazione tra interno ed esterno (Yin e Yang) attraverso il respiro e la visualizzazione che accompagna la fresca aria che entra dall’esterno e la più tiepida aria che esce dall’interno, portandosi via le tossine in espirazione. L’ossigenazione non avviene solamente facendo entrare aria dal naso o dalla bocca, ma anche la pelle, attraverso l’apertura dei pori, respira e si rigenera, mettendo in contatto l’esterno con l’interno “chi yu energia universale – chi ren energia dell’essere umano”. Se si desidera collegare i vari esercizi, consiglio prima quello da terra (descritto nel primo articolo) per poi passare in linea verticale, permettendo in tal modo il risveglio graduale del corpo fisico ed energetico. .

Per maggiori informazioni sull’argomento e contatti INFO: www.mariomelonitaichi.altervista.org



Non ci sono punti di pressione... Comprendo che questo tema sia controverso, qualcuno sarà confuso, altri si arrabbieranno, ma ciò non deve impedire di parlarne. So che gran par te della mia car riera e soprattutto della serie con Budo International ruotava attorno ai punti del Kyusho, ma il termine è scorretto e il nuovo percorso vi aiuterà a comprendere ancora meglio il vero Kyusho.


“Perciò, quelli che di voi Artisti Marziali non lo avete mai fatto, che non avete mai creduto ai punti di pressione, avevate ragione (in parte).â€?


obbiamo guardare il “Kyusho” dalla giusta prospettiva e con buonsenso...ma prima di tutto devo fare un piccolo scarico di re s p o n s a b i l i t à : s o n o d i p e n d e n t e d a l Kyusho, vivo nel Kyusho tutti i giorni tra le 8 e le 10 ore...e ho lavorato per decenni, p ro f e s s i o n a l m e n t e a t e m p o p i e n o . S o n o s t a t o coinvolto da tutti i nomi che si sentono di tutte le o rg a n i z z a z i o n i e d a m o l t i a l t r i c h e n o n v e n g o n o menzionati. Ho scritto 7 libri, prodotto più di 30 video

D

nel Tui Na (la versione cinese dello Shiatsu) e nella pratica del Chi Gung e della terapia...ho lavorato professionalmente in questo campo e continuo a farlo, allo stesso modo dal 1995 (per quello conosco anche la MTC). Ho insegnato i punti di pressione per decenni i n v a r i m e t o d i d a q u e l l o e l e m e n t a re e t r i p l i c e riscaldatore, a quello dermatomerico e fisiologico (provandoli tutti e continuando a guardare oltre). In definitiva sono stato sempre lì nel mezzo...mettendomi in discussione e sfidando il dogma accettato da tutti.

e volato per oltre 2,5 milioni di miglia in giro per il mondo per aiutare la gente ad apprendere questa conoscenza (realistica). Attualmente abbiamo generato p i ù d i 6 8 9 a ff i l i a t i ( n o n t u t t i g l i a t t u a l i i n q u e s t o momento), in oltre 35 paesi con più di 10.000 membri. Ho realizzato molti studi medici, studi sulle onde cerebrali e vari altri approcci scientifici per scoprire ciò che il Kyusho ha fatto o non ha fatto. Sono diplomato

Detto questo, ora non credo che quelli del Kyusho siano punti di pressione e per dirla tutta, non credo che ci siano proprio punti di pressione. Ehi, io sono così sorpreso come voi...ma sono giunto a questa conclusione partendo dal principio e adesso non posso negarne i risultati. In primo luogo andiamo indietro nel tempo, quando la scienza veniva trasmessa a livello generazionale (anche se con discrezione).


Nessuno dei vecchi grafici, disegni, manoscritti, testi, istruzioni (di un praticante anziano, o della più recente generazione), ha dimostrato o rappresentato un punto vitale, chiamandolo punto di pressione. Hanno segnalato delle aree vitali, dalle quali si può accedere alle strutture anatomiche più profonde che si vogliono o si possono danneggiare, o usarle per togliere la vita se sono attaccate con un’arma o con armi speciali della mano o del piede. Alcuni nomi come esempio di queste aree-obbiettivo sono: Scuola Seigo-Ryu, che traduce da “la sinistra sopra la spalla”, “Sopra l’osso” (il che significa che si attacca sopra quell’osso nello specifico) e anche un obbiettivo chiamato “Ugh”...che è una vera e propria traduzione per la zona della gola. La scuola Takeonuchi Ryu che traduce “Porta di Sotto”, “Costola sinistra” e “Notte oscura” (nell’occhio). Ci sono alcune traduzioni dal Judo come “Tre Lingue” nella quale si descrive la colonna vertebrale come i tre processi che si diramano da ciascuna vertebra a forma di lingua. “Dokko” (anche chiamato Hohan Soken, che si traduce in “ p i c c o l o

vuoto” dietro l’orecchio) e “Campana che dondola” per i testicoli (no è un punto nei testicoli). La lista continua con zone e descrizioni, ma non con punti specifici o piccoli come si crede oggi. Alcuni avevano più scopi, altri meno...ma non è lo stesso dei punti di agopuntura e non tutti sono negli stessi posti! I punti sarebbero delimitati con esattezza dalla scuola, a causa della precisione dei punti in quanto a quantità, ubicazione, obbiettivi equilaterali destra e sinistra, nomenclatura e altri aspetti così standardizzati. Un’altra idea utile per assimilare il procedimento è la capacità di colpire una zona più grande di un singolo punto e continuare a ottenere gli stessi risultati. Prendiamo a d esempio i punti designati come P-6 e P-7, che sono due punti piccoli (naturalmente), come “una moneta” da un dollaro (equivalente alla moneta da un euro, un centimetro). Tuttavia, praticamente nell’uso di questa zona ci sono 10 centimetri che possono essere colpiti o 4 volte l’area che possiamo usare...non ci sono definizioni precise come P-6.1, P-6.2, P-6.3 prima di arrivare al P-7. E’ un’area c h e stiamo




attaccando (con struttura anatomica relativa – una sezione del nervo in questo caso) invece di un punto stabilito. Quindi, se possiamo ancora causare lo stesso effetto e mancando il punto esatto di due o tre centimetri, allora si dimostra che la descrizione del punto è valida. In seguito possiamo guardare più a fondo...se un punto si sovrappone al tessuto vascolare, quanto in profondità può andare l’ago dell’agopuntore senza danneggiare il tessuto stesso? Comunque, la missione del Kyusho è distruggere il tessuto, il punto è...solo qualcosa che sta sotto di esso...ma ancora una volta non si tratta solo di quel punto. Ora, ovviamente, alcuni degli obbiettivi del Kyusho sono sotto il punto designato dall’agopuntura, ma anche se la medicina cinese sostiene che ci sono fino a 2000 punti per l’agopuntura nel corpo umano... che ovviamente sono sopra gli obbiettivi del Kyusho, ciò non fa si che i punti dell’agopuntura siano obbiettivi validi. Molti dicono anche che i punti sono connessi da una definizione non tangibile chiamata meridiano, quindi si starebbe attaccando una linea immaginaria non fisica, che pertanto influirebbe su qualcosa che non è un punto preciso. E andando ancora oltre, se stiamo attaccando una cosa non fisica, non può dunque essere un punto fisico.

Il Mito del Plesso brachiale Vediamo un altro esempio; per decenni le arti marziali e gli organismi incaricati di fare rispettare la legge devono usare il termine “plesso brachiale” per descrivere o qualificare un attacco al lato del collo. Si utilizza per stordire un opponente o aggressore per applicare più facilmente un maggiore controllo o evitare un escalation di violenza. Molti praticanti di Kyusho usano questa sigla LI-18 (Intestino Crasso 18). In primis per favore guardate 3 aree nel grafico, una è il punto di pressione chiamato LI-18 (cerchiato di giallo)...abbastanza difficile da localizzare con precisione nell’uso in combattimento. Tuttavia, vediamo che la ramificazione del nervo auricolare maggiore (cerchio rosso)...è significativamente più grande e la totalità di essa subirà le stesse conseguenze del punto chiamato LI18. Quindi, perchè si lavora solo con una’area delle dimensioni di una piccola moneta, quando in realtà la zona è molto più grande e non è un punto, ma una sezione del collo? E se tutta la zona oltre ad esso viene

colpita allo stesso modo?...dobbiamo conoscere meglio l’anatomia per comprendere il vero Kyusho. E’ in questo che vengono istruite le agenzie per l’applicazione della legge per poter usare tutto questo, tuttavia, non è il plesso brachiale come viene descritto da molti. Piuttosto ci sono molti fattori che devono essere spiegati e molte evidenti idee errate su quest’area di attacco, sul termine “stordimento brachiale” e sulle preoccupazioni che ognuno deve avere circa questo metodo di attacco. Vorremmo offrire un metodo più sicuro, così come una più corretta comprensione anatomica. Innanzitutto il plesso brachiale è una zona molto profonda nel corpo e praticamente inaccessibile a mano nuda...colpendo il collo c’è anche parecchia muscolatura davanti ad essa...si può arrivare fino alla cavità dietro la clavicola, ma non senza un’arma della mano altamente specializzata o un’arma vera e propria. L’arma reale farà si che questo non sia più un target lecito ma diventi totalmente illegale per le forze dell’ordine e per noi stesso. Ci sono anche altri obbiettivi dall’accesso più semplice e più sicuro. Quindi osserviamo la zona in questione e facciamoci alcune domande: • Che cosa stiamo attaccando? • Come ci arriviamo? • Quali sono le conseguenze per la salute? • Qual’è il momento migliore per usarlo? • Come possiamo usarlo in modo sicuro? Vediamo che il plesso brachiale è troppo profondo e non è il vero obbiettivo, che è anche stato erroneamente nominato tutto questo tempo...per cui non si deve utilizzare questa nomenclatura. Impariamo solo qualcosa in più e con più dettagli se lasciamo perdere le classificazioni inadeguate e utilizziamo nomi e strutture corrette. E una volta che cominceremo a capire e a utilizzare suddette strutture vedremo anche che potrebbero non essere le risposte migliori (soprattutto per le agenzie di sicurezza, in questo caso), poichè ne capiremo anche il potenziale danno associato ad esse. La parte laterale del collo se colpita direttamente può causare danni alle vertebre cervicali e gravissimi problemi: • Si possono danneggiare le vertebre (in maniera permanente) • Si può provocare una temporanea interruzione della respirazione

• Causare lesioni di paraplegia o tetraplegia • Causare compressioni del seno carotideo • Causare la perdita di flusso sanguineo al cervello • Possibile inizio di emorragia cerebrale • Diminuzione della pressione arteriosa L’obbiettivo migliore è il nervo più superficiale chiamato nervo auricolare maggiore ma con approccio, strumento e traiettoria differente. I migliori strumenti sono il piccolo nodo osseo alla base del palmo della mano...anche quello chiamato l’osso di ferro o Bushiken. L’avambraccio potrebbe fare lo stesso, ma ci sarebbe bisogno di più forza e siccome tale arma è una struttura più grande e sarà propensa ad accedere a una superficie maggiore, non trasferirà energia cinetica al nervo, alla colonna vertebrale e al cervello come si descrive nel video. La traiettoria è la parte cruciale...non è semplicemente una questione di angolo e direzione, è altresì importante la profondità e la corretta penetrazione in senso cinetico. Se ci dirigiamo direttamente alla zona più segnalata avremo i già citati rischi per la salute. Se al contrario applichiamo traiettoria e forza verso il basso, provocheremo minor danno, poichè staremo lavorando in una delle strutture di appoggio più forti del corpo. Tuttavia, i nervi trasmetteranno anche il segnale neurologico più efficiente per colpire ancora di più con molta meno forza o un minor fattore di potenza. Il punto principale di questo articolo è che speriamo di aprire la vostra mente e il vostro potenziale facendo in modo che vi rendiate conto che non esistono “punti di pressione” nello studio del Kyusho. Sono strutture anatomiche (strutture fisiche reali, no punti o linee immaginarie o supposte) e possono essere attaccate per causare meno danni e alterare le funzioni fisiologiche. O che con l’aumento di forza provocheranno più danni e mal funzionamenti fisiologici. Perciò, quelli che di voi Artisti Marziali non lo avete mai fatto, che non avete mai creduto ai punti di pressione, avevate ragione (in parte). Il Kyusho non tratta, ne trattava di punti di pressione per le scuole antiche, tratta di zone nelle quali si può accedere più facilmente a una struttura anatomica reale che aumenterà drasticamente il suo potenziale effetto sull’avversario (e questo è molto più semplice da ottenere in una applicazione combattiva reale). Perchè il Kyusho è REALE.







Panantukan Concept – L’Arte della lotta senza limiti del SAMI Insegnare bene – Capirne la complessità “Il corpo è un’arma” è il principio fondamentale del Panantukan. Può sembrare semplice: non vi focalizzate sulle armi che potete realmente vedere, usate semplicemente le vostre armi corporee. Anche se questo non è così facile come pare. Ci sono infiniti modi di usare le braccia, le gambe, la testa e il corpo. Il Panantukan li utilizza e li insegna tutti.



C

i sono 13 movimenti possibili per manipolare il braccio destro dell’avversario e altri 13 per il braccio sinistro, naturalmente, e un numero incalcolabile di combinazioni di spostamenti, calci, pugni e prese da praticare. Un praticante al quale si insegna un solo movimento alla volta, probabilmente avrà bisogno di decenni per sviluppare un sostanzioso repertorio di tecniche. Per questo motivo, insegnare le applicazioni non è l’unica via per insegnare il Panantukan Concept. Le applicazioni, l’allenamento dei pugni e il combattimento sono solo parte di un tutto, come lo sono altri esercizi. Gli esercizi, le catene e sequenze di movimenti sono anch’esse molto importanti. Compongono una solida base per far si che l’allievo apprenda, si evolva e pratichi.

Insegnamento delle basi Partiamo dal principio. Il gioco dei piedi è la prima cosa. È ciò che sostiene tutto il sistema. Un goffo footwork rovinerà almeno due terzi delle tecniche. Non bisogna neppure ignorare che quindi i movimenti non saranno ne fluidi, ne dinamici. Pertanto è chiaro che la prima cosa che

l’allievo deve imparare e comprendere, sono le posizioni e gli spostamenti dei piedi corretti. In tutti i seminari di SAMI International, così come nelle lezioni regolari si insegna anche come esercizio per le persone – attraverso semplici comandi per muoversi o esercizi speciali per il footwork – che contengono molte combinazioni possibili del gioco di piedi, o con pugni e applicazioni facili. La difficoltà delle applicazioni sarà, ovviamente, più elevata ai livelli più avanzati. Di norma i livelli si basano l’uno sull’altro, pertanto un praticante, diciamo, di livello 4 deve padroneggiare i livelli 1, 2 3 3. Perciò ha molto senso includere anche esercizi di base per i livelli superiori.

Pratica di tecniche ed esercizi Gli esercizi sono sequenze di movimenti che si possono ripetere diverse volte. Le applicazioni singole si sostituiscono con sequenze di movimenti che consentono agli allievi di realizzare tante ripetizioni in ciascuna lezione, molte di più di quelle che potrebbero fare se praticassero i movimenti separatamente. Noi distinguiamo i seguenti tipi di esercizi: Esercizi di scambio: entrambi i compagni lavorano, usando sequenze di movimenti identiche o differenti.

“Gli esercizi sono sequenze di movimenti che si possono ripetere diverse volte. Le applicazioni singole si sostituiscono con sequenze di movimenti che consentono agli allievi di realizzare tante ripetizioni in ciascuna lezione, molte di più di quelle che potrebbero fare se praticassero i movimenti separatamente”



Esercizi d alimentazione: la compagno A lavora, il partner B “alimenta” il compagno A che si muove. Supponiamo che qualcuno voglia praticare movimenti di difesa. È compito dell’altra persona alimentare il praticante realizzando una serie di attacchi, per cui quest’ultimo può praticare la difesa. I ruoli possono invertirsi. Catene: le catene sono sequenze di tecniche che si praticano con un compagno che permetterà di venire utilizzato come un “attrezzo da allenamento” per, ad esempio, catene di afferraggi. Una volta che i praticanti saranno padroni degli esercizi, determinati movimenti possono essere estrapolati e usati in una applicazione. Per esempio: un afferraggio, che era parte di una catena di prese, si integrerà con un attacco da parte del partner (Jab, haymaker) e sarà finalizzato con una proiezione. Jab/haymaker => Parata + presa + proiezione. Praticare gli esercizi fornisce al praticante un gran numero di tecniche. La parata del nostro esempio può essere facilmente sostituita da un’altra, tuttavia, l’allievo non deve imparare nuove tecniche. Gli allievi sono in grado di applicare 12 afferraggi da una catena di prese in 12 esercizi differenti. Ovviamente, gli esercizi e le applicazioni diventeranno più lunghe e difficili ai livelli più alti. L’esercizio di livello 1 può avere solo 6 movimenti, ma quello di livello 4 può arrivare ad averne 24.

Da grezzo a raffinato Gli esercizi sono un buon sistema per supportare gli allievi nel loro addestramento. Gli esercizi si ripetono con frequenza per permettere loro di consolidare le rispettive conoscenze. Una volta che hanno capito le sequenze dei movimenti, ha senso porre maggior attenzione nei dettagli e perfezionarli nel tempo. Se i praticanti prima imparano e praticano una sequenza, possono essere carenti di precisione nella postura, nella dinamica, nelle prese e nelle leve corrette. Queste lacune devono essere lavorate passo dopo passo per rendere l’esercizio veramente efficace e per consentire che essi applichino le tecniche con la dovuta pulizia. Fare semplicemente i movimenti nell’ordine giusto non è l’obbiettivo dell’esercizio. Anzi, non ha troppo senso spiegare ogni cosa nei dettagli. Quasi nessuno sarebbe in grado di andare avanti, la frustrazione sarebbe inevitabile.

Principi e concetti I Sistemi di Combattimento Tattico SAMI si basano su principi e concetti che si possono trovare in ogni tecnica e applicazione. Gli allievi procederanno nell’imparare ogni volta altri principi. Più avanzati saranno, più dovranno essere capaci di applicare in maniera indipendente i principi e i concetti del sistema. Questo darà loro una graduale e globale comprensione del sistema. A livello di istruttori non possiamo fare lo stesso senza trattare i principi del sistema dall’inizio. Le lezioni ch vengono date agli istruttori, per esempio, nei seminari intensivi, comprenderanno il panorama generale del sistema dal primo minuto.

L’insegnamento in livelli I nostri allenamenti si svolgono su vari livelli allo scopo di offrire agli allievi le lezioni tanto richieste e promosse. Ciascun praticante ha l’opportunità di allenarsi con diversi compagni di vari livelli e sviluppare le proprie tecniche e capacità. Immaginate un gruppo in cui i praticanti di tutti i livelli si allenano insieme. Alcuni possono essere tesi, altri annoiati. Ma ci sono delle eccezioni, come la pratica del combattimento, la pratica del footwork o le applicazioni generali che sono importanti per tutti i praticanti, indipendentemente dal suo


livello. Gli allievi avanzati possono alzare l’intensità e la dinamica e generare maggiori effetti nell’addestramento per tutti.

Essere un istruttore! Abbiamo risvegliato la vostra curiosità? Volete insegnare Panantukan Concept? Bene, offriamo formazione intensiva per istruttori in maniera regolare. Gli istruttori

internazionali SAMI avranno un sacco di nozioni e capacità necessarie per potersi presentare come istruttori qualificati. I Gradi di istruttori si dividono in vari livelli, anche, dal Capo di un Gruppo fino al Maestro Istruttore. I corsi istruttori si svolgono su diverse giornate e abbracciano si lo sviluppo delle qualità individuali all’interno del sistema che le abilità degli istruttori. La durata dei corsi può variare, a seconda della dedizione,

delle capacità e delle precedenti conoscenze di ciascuna persona. Per maggiori informazioni, visitate: HYPERLINK: "http://www.panantukancocncept.com" www.panantukan-cocncept.com Foro di Thomas Suchanek Testo di Irene Zavarsky, Irmi Hanzal, Peter Weckauf, Thomas Schimmerl





Tutti i sistemi hanno dei limiti e quando devi passare da un sistema a un altro, devi imparare un’altra Arte e questo è ciò che il Kapap cerca di evitare. Questo è il Kapap, combattere faccia a faccia, un ponte tra i sistemi. Il suo fondatore ha coniato una frase il cui concetto viene impiegato da altri stili di arti marziali tradizionali: “Non portare con te un’arma, sii tu stesso un’arma”. Se la tua mente, il tuo spirito e il tuo corpo sono l’arma, tu sarai un’arma ugualmente efficace come quelle che puoi portare con te. Questo DVD della “Avi Nardia Academy”, tratta della connessione tra la “vecchia scuola” di Arti Marziali e il moderno CQB (Close Quarters Battle). L’esperienza come comandante nelle IDF (Forze di Difesa di Israele) e come ufficiale istruttore della principale unità antiterroristica israeliana, hanno insegnato a Nardia che coltivare la mente e lo spirito del guerriero è prioritario rispetto al mero allenamento del corpo. Tra gli altri, studieremo la sicurezza con le armi, i convincenti parallelismi tra lo Iaido e l’adeguato maneggio di un’arma da fuoco. Le armi da fuoco sono quanto di più all’avanguardia in fatto di armamento individuale, ma non sfuggono all’eterna saggezza e alla logica della vecchia scuola. Esercizi di allenamento adattati dal BJJ, esercizi di disarmo e condizionamento intelligente del corpo tramite addestramenti adeguati, con spiegazioni sui benefici e le relative precauzioni. Un DVD educativo, ispiratore, rivelatore, raccomandato ai praticanti di tutti gli stili, antichi e moderni.


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Le arti marziali filippine possiedono la giusta fama di lavorare con efficacia le armi più svariate. Dai bastoni, fino al coltello, da esse deriva una concezione pratica del combattimento che pochi, come l’autore di questo libro, Frans Stroeven, sanno spiegare così bene. Frans è olandese e in quanto errante e viaggiatore, come il mito classico, ha saputo durante gli anni riunire le informazioni dalle fonti originarie, per darle quella svolta moderna e pragmatica che hanno reso il suo sistema, un punto di riferimento a livello internazionale tra i seri studiosi di Eskrima. Questo libro mette insieme tutta questa informazione includendo capitoli che spiegano dai classici delle Arti Filippine come il Gran Maestro Canete, a riflessioni sui sistemi combinati che lo stesso autore conosce molto bene, come il Wing Chun. È tuttavia la ricerca dell’efficacia in combattimento, l’asse centrale che domina questo testo. Un’efficacia che ha portato questo magnifico istruttore a insegnare a gruppi di forze dell’ordine come la polizia del Brasile o delle Filippine. Questo è un libro per gli appassionati delle arti da combattimento pratiche, e un magnifico riferimento per tutti gli studiosi delle arti del sudest asiatico in generale. Il testo è condito di interessanti consigli pratici sul combattimento che richiameranno l’attenzione di tutti gli studiosi, però essendo scritto in maniera diretta e semplice, anche i principianti potranno apprezzarlo. Alfredo Tucci





E’ qui con me all’accademia di Bamberg, Germania, il Gran Maestro Cintura Rossa di JIu Jitsu Brasiliano Flavio Behring, ed è un onore per me poter intervistare questa leggenda. Nel 1947 all’età di 10 anni, il GM Flavio iniziò a prendere lezioni private da Helio Gracie a Rio de Janeiro, cercando un’attività salutare per sconfiggere la sua asma. Alcuni anni dopo, Helio Gracie incaricò Joao Alberto Barreto di coadiuvarlo nell’insegnamento a Flavio Behring all’Accademia Gracie di Rio Branco, dove condivise il tatami con Carlson Gracie, Heligio Vigo, Waldemar Santana e molti altri. Intervista: Flavio Behring, por Andreas Hoffmann, Christoph Fuß Foto: Gabriela Hoffmann

Grandmaster Flavio Behring: “I miei primi anni con la famiglia Gracie” Andreas Hoffmann: Wow Maestro, le ha 67 anni di esperienza nel BJJ. Può raccontarci alcuni aneddoti dei tuoi primi anni con la famiglia Gracie? E parlarci del tuo primo combattimento? Flavio Behring: Un giorno mi recai all’Accademia e Joao Alberto Barreto mi stava aspettando. Mi disse che dovevamo combattere. Mi sorprese che nessuno portasse il kimono eccetto io. Domandai: “Quanti allievi combatteranno?” - ““Solo tu, tu combatterai” Allora chiesi: “Che combattimento? Come?” Joao Alberto barreto replicò: “Semplicemente combattere”. – “Chi è l’avversario?” –

“E’ una Cintura Nera di Judo”. A quei tempi avevo 14 anni e per me era molto difficile salire sul ring. Ero impaurito e stavo tremando, volevo andarmene a casa. Ma Joao Alberto Barreto insistette nel farmi combattere. E quindi mi ritrovai lì sul ring. Carlos Gracie, l’anziano, era l’arbitro. La Cintura Nera di Judo mi si avvicinò e mi proiettò una volta, dopo un’altra, tre, quattro, cinque proiezioni, ogni volta che mi rialzavo mi proiettava di nuovo e alla fine mi immobilizzò. Ricordo un dettaglio di quell’allenamento, quando lo tenevo in uno strangolamento e lui svenne. Andai al mio angolo e me ne volevo già andare. Ma Carlos Gracie disse “No,

combatti un’altra volta”. E due minuti dopo il judoka era pronto a combattere. Successe la stessa cosa, una, due, tre proiezioni, poi l’immobilizzazione Kesa Katame, allora gli portai lo stesso strangolamento e lui svenne, con Carlos Gracie che mi diceva di nuovo che lui stava dormendo. Alla fine mi alzai, Carlos mi sollevò la mano e disse: “Questo è Gracie Jiu Jitsu”. Quella era la maniera in cui andavano le cose a quell’epoca. A.H.: Sorprendente, allora tu fai parte della sfida dei Gracie. E’ vero che erano pronti a combattere in qualsiasi momento?


F.B.: Si, e c’è un altro aneddoto: Carlson Gracie e Joao Alberto Barreto una volta rimasero a dormire all’accademia. D’improvviso squillò il telefono, alle 2 del mattino. Era il fratello di Joao Alberto che gli chiedeva di combattere contro uno straniero corpulento chiamato “Messik”. Messik diceva che era in grado di sconfiggere chiunque. Chiamarono Helio Gracie e il sottoscritto per unirsi a lui e andammo insieme al luogo designato, dove Joao Alberto Barreto sottomise il ragazzo. Poi qualcuno ci sparò addosso e ferì Joao Alberto Barreto. Così funzionavano le cose allora. A.H.: Ci potresti parlare del tuo primo combattimento di Vale Tudo? F.B.: Una volta durante un allenamento, Helio Gracie mi disse: “togliti il Kimono e vieni con me”. Lo seguii fino a un Dojo in cui dovetti combattere contro un praticante di Capoeira. Domandai al mio M a e s t ro c o s a d o v e v o f a re l ì . L u i m i r i s p o s e : “Quest’uomo mi ha sfidato e adesso tu devi rappresentarmi”. Avevo 16 anni e avevo molta paura, così tanta che sottomisi quel ragazzo in dieci secondi… Saltai sopra di lui, ma Helio mi tirò via e


mi disse: “Fermo, fermo!, Non va bene, sei venuto a combattere, così è troppo veloce.” Così mi costrinse a combattere un’altra volta, ma fu ancora più facile perché il ragazzo era già distrutto emotivamente. A.H.: Allora Helio Gracie credeva in te? F.B.: Per tutta la mia vita accanto a Carlos ed Helio Gracie, essi hanno sempre avuto fiducia nei loro allievi, molta fiducia, loro credevano davvero in noi. Ci dicevano regolarmente: “Ok, abbiamo un avversario per te, adesso vai a combattere!”. Posso dirti che abbiamo vinto il 99 per cento degli incontri. A.H.: E lo stesso Helio Gracie viveva seguendo il suo credo, essere pronto in ogni momento, in ogni posto? F.B.: Oh si, Helio dimostrava sempre di vivere in quella maniera. Per esempio, una volta combattè contro uno dei suoi allievi, Waldemar Santana. Waldemar aveva 26 anni, era forte, pesava circa 82 kg. Io di solito mi allenavo con lui e aveva un collo davvero forte. Un giorno un giornalista chiese a Waldemar di lasciare la sua palestra, per lottare per conto proprio e diventare famoso. La prima cosa che il giornalista fece fu di chiedere a Waldemar di sfidare Helio. La polizia non permetteva che avvenisse questo combattimento, perciò venne fissato e cancellato più volte. Un giorno, quando Helio Gracie era nel suo ranch, lontano da Rio, suo fratello Carlos lo chiamò e gli disse che il combattimento con Waldemar poteva farsi entro un paio d’ore. Quando Helio Gracie arrivò con la sua macchina, tutto era pronto per il combattimento, che durò qualcosa come 3 ore e 45 minuti. Io ero lì, molto emozionato. All’inizio il combattimento era molto eccitante, ma allora in qualche frangente Waldemar si metteva nella sua guardia e rimaneva chiuso. Helio Gracie con i suoi 46 anni e 64 kg contro un ragazzo molto più giovane – un suo stesso



Insieme al GM Flavio Behring e al Gm Joao Alberto Barreto, una delle figure più importanti nella comunità del BJJ e arbitro di prima categoria della UFC. Nell’intervista, Flavio Behring parla spesso di lui.

allievo – che pesava 20 kg in più. Ma Helio Gracie era deciso e accettò la sfida. Non potei vedere ne sentire ciò che accadde, però me lo hanno raccontato. Helio cercò di alzarsi, ma Wa l d e m a r e r a s o p r a d i l u i c h e chiedeva all’arbitro cosa potesse fare. Questi disse che poteva usare i calci – allora Waldemar diede un calcio a Helio Gracie, il suo Maestro, al volto e lo mise KO. Potete immaginarlo? Non potevamo c re d e rc i , era semplicemente incredibile e tutti si gettarono sul ring. La polizia che cercava di tenere tutto sotto controllo, ma immaginate l’adrenalina che c’era da ambo le parti. A un certo punto Carlson Gracie gridò: “Vengo a prenderti Waldemar, preparati!” e più tardi lo sconfisse. A.H.: Oh, posso immaginare le intense emozioni che provocò a tutti coloro che erano coinvolti. Come ti preparavi per i combattimenti liberi o per quelli di Vale Tudo in quel periodo? F.B.: Lascia che ti faccia l’esempio di uno dei migliori lottatori della Famiglia Gracie, Joao Alberto Barreto: Partecipò a 52 incontri di Vale Tudo che avevano luogo ogni settimana e li ha vinti tutti. Durante la settimana ci insegnava Jiu Jitsu, i fine settimana riposava, i lunedì mattina insegnava all’Accademia Gracie e la sera

partecipava ai combattimenti di Vale Tudo. Ho imparato dal suo esempio che il nostro allenamento di difesa personale era un allenamento reale, che lo preparava per combattere e vincere. Facevamo molti allenamenti con pugili praticanti di lotta libera. Ma noi non lo facevamo, era solo per divertirci – eravamo chiaramente concentrati nel Jiu JItsu. A.H.: Cosa c’è di etico nel Vale Tudo? F.B.: Oggigiorno è differente, le regole sono differenti. L’etica delle regole di base di solito era che se colpivi qualcuno era per abbatterlo, non per ferirlo. Oggi, tuttavia, nelle MMA si vedono atleti portare colpi solo con il chiaro intento di fare danni. A.H.: Grazie Maestro per la prima parte


dell’intervista. È fantastico avere informazioni di prima mano sugli inizi del Gracie Jiu Jitsu Brasiliano. E grazie per il tuo appoggio e per aver portato il metodo Behring di BJJ qui in Germania. Da 10 anni visiti la mia accademia due volte all’anno e sono orgoglioso di essere diventato

una Cintura Nera con te. Chiunque desideri unirsi al nostro team e per imparare ed insegnare è il benvenuto, contattatemi direttamente a: HYPERLINK: "http://www.weng-chun.com" www.weng-chun.com




POLIZIA E ARTI MARZIALI È davvero difficile sapere la quantità di “ego” che si cela nella comunità delle Arti Marziali. Con la possibile eccezione di atleti professionisti, stelle del cinema e altri artisti e politici, gli Artisti Marziali occupano un posto molto alto nella scala della percezione della propria importanza. Perciò, quasi mai si potrà convincere un istruttore di Arti Marziali (soprattutto un Maestro” o un “Gran Maestro”!) che non è qualificato o capace di insegnare tattiche difensive alle forze di polizia. Infatti, se nella prossima riunione di eminenti istruttori, come il galà della Hall Of Fame, qualcuno dicesse qualcosa del genere, potreste vedere quanto poco tempo impiegherebbe a mettersi in una situazione sgradevole. La maggior parte, accecati dal loro ego, non possono ne vedere ne accettare la verità. Alcuni, dentro di se, conoscono la verità, ma, per proteggere il loro ego non



Combat Hapkido lo ammetteranno mai. Da molto tempo, questo triste stato di cose sta influenzando negativamente la relazione, già complicata, tra gli istruttori di Arti Marziali e quelli di Polizia. Quindi, mettiamo l’ego, i deliri e l’ingordigia da una parte e esaminiamo onestamente la discussione con gente che è vicina alle Arti Marziali. “Le Arti Marziali sono state create per il combattimento fisico: nel campo di battaglia, in casa, per strada, su una montagna o su una spiaggia…che differenza fa?” LA MIA RISPOSTA: C’è una gran differenza! Sono certo che non accompagnate i vostri figli a scuola su una Ferrari di Formula 1 e naturalmente, non andreste a caccia di conigli con un RPG. Allora, perché credete che tutte le strategie e le tecniche di combattimento siano “giuste” per il lavoro della Polizia? Nel vasto arsenale di tecniche delle Arti Marziali, senza dubbio ce ne sono alcune che sono adeguate per il lavoro della Polizia, però la maggior parte di esse non lo sono. La vera competenza in questa materia risiede nel conoscere la differenza: quali tecniche di Arti Marziali sono pratiche, efficaci e giuridicamente appropriate per il lavoro delle forze di polizia e quali possono essere modificate per soddisfare le sue esigenze specifiche. I veri esperti sanno che tutti i combattimenti non sono uguali: di notte o di giorno, sulla sabbia o sulla neve, all’interno o all’esterno, in uniforme o in costume da bagno. Gli ufficiali non solo comprendono le differenze…ma le sperimentano tutti i giorni. “Sono una Cintura Nera esperta e un istruttore diplomato. Sono perfettamente capace di insegnare agli agenti di polizia a difendersi e a sconfiggere i criminali”.

FBI

LA MIA RISPOSTA: Sono Cintura Nera di cosa? Il conseguimento di una Cintura Nera non conferisce a nessuno poteri magici, ne conoscenze illimitate. È semplicemente una scala per registrare il livello di progresso di un allievo. Quando un organismo incaricato di far rispettare la legge è approcciato da un istruttore di Arti Marziali che si offre per addestrare i suoi agenti, si deve sperare che un funzionario intelligente gli ponga certe domande, tipo: Cintura Nera in che Arte? Quale stile? Quanti anni ha? Da quanto tempo pratica? Da quanto tempo insegna? Ha mai lavorato nelle forze dell’ordine? Dove? Quanto tempo? Ha delle referenze, riconoscimenti, testimonianze e raccomandazioni di altre forze di polizia che ha addestrato? Perché crede che la sua Arte o stile siano adeguati per il lavoro della Polizia? Forse 30 anni fa, qualsiasi cintura nera di “Karate” poteva ottenere il posto e molti, disgraziatamente, lo fecero. Ma quei giorni sono passati. Gli agenti di polizia sono più istruiti e informati. Conoscono la differenza tra il Tae Kwon Do e il Krav Maga, o tra la Kickboxing e l’Hapkido. Avere solo la Cintura Nera o essere un Istruttore, ora non è più sufficiente. È necessario insegnare lo stile “giusto” e avere la “giusta” conoscenza e esperienza per essere accettato e rispettato dalla comunità dei poliziotti. “Io sono (o sono stato) un campione che ha vinto molti combattimenti e di certo posso insegnare agli agenti a vincere per la strada”. LA MIA RISPOSTA: Parla sul serio? Equiparare lo sport con il lavoro di un poliziotto sarebbe come paragonare una bicicletta con una Ducati! La competizioni sportive (anche i combattimenti di MMA


Team Swat Costa Rica più duri) hanno regole, arbitri, limiti di tempo, categorie di peso e l’ultima volta ho dimostrato che questi non si svolgono mai per la strada, nell’oscurità e con ogni tipo di arma. Anche se l’istruttore è (o era) un vero campione di Arti Marziali, usare quello come referenza o come una “qualifica” di competenza per istruire gli agenti di polizia, è ridicolo, poco professionale e si tradurrebbe immediatamente in una perdita di rispetto e credibilità dell’Istruttore stesso agli occhi dei funzionari di polizia. “L’allenamento delle Arti Marziali aiuta ad avere disciplina, fiducia in se stessi, una buona condizione fisica, autocontrollo e altri benefici molto

importanti, che sono rilevanti e consigliabili nel lavoro della polizia”. LA MIA RISPOSTA: E’ ovvio! E io mi auguro che ogni ufficiale di polizia del mondo scelga l’allenamento delle Arti Marziali come sua attività favorita. Senza dubbio l’aiuterà, perché aiuta tutti coloro che la fanno. Questo si, ma non bisogna confonderlo con l’addestramento alle tattiche difensive specializzate concepite appositamente per il lavoro della polizia. Sebbene si potrebbe dire che “qualsiasi allenamento di qualsiasi stile è meglio che nessun addestramento in assoluto”, potrei rispondere che l’allenamento in certe Arti e/o Stili, per gli agenti di polizia, è in realtà peggio che niente, perché essi acquisiranno posture,

tecniche e atteggiamenti che sono inutili e persino pericolosi quando svolgono il loro lavoro, anche se tutti sanno che la sotto-valutazione o l’eccesso di reazione potrebbero causare gravi conseguenze, probabilmente anche mortali per i poliziotti. Per questo, la loro informazione non può limitarsi al fare “Arti Marziali”, ma deve essere fare “Tattiche difensive” concepite specificamente per il loro tipo di lavoro. “La mancanza di addestramento adeguato e di abilità tattiche difensive si tradurrà in più ferite per gli agenti e per gli individui che devono fronteggiare. Ciò avrà come conseguenza un aumento delle spese mediche e di dispendiosi contenziosi legali”.


Combat Hapkido LA MIA RISPOSTA: Questo è poco ma sicuro! Le spese mediche per i traumi patiti dagli ufficiali (a anche dai criminali!), le difese legali (la definizione di accordi legali), il tempo perso, la cattiva pubblicità, appannano l’immagine pubblica dei corpi e sono conseguenze tangibili e dirette del fatto che certi funzionari sono carenti del necessario addestramento nelle tattiche difensive a mano nuda. È importante citare, a questo punto, una statistica molto importante che tragicamente e inequivocabilmente dimostra la mancanza di informazioni sulle tattiche difensive (e la necessità di queste!): il 60% degli agenti assassinati con un’arma da fuoco, hanno subito il colpo dalla propria pistola! Abilità, conoscenza, competenza e fiducia in se stessi, migliorano drasticamente la professionalità e la sicurezza negli agenti e moltiplicano di parecchio il valore del modesto costo di investimento. “La mancanza di abilità nelle tattiche difensive a mani nude degli agenti, condurrà inevitabilmente a un uso improprio e ingiustificato di armi da fuoco e di altre armi”. LA MIA RISPOSTA: Naturalmente e spesso con conseguenze drammatiche! In un confronto pericoloso, pauroso, pieno di adrenalina, il funzionario farà affidamento sul proprio addestramento, e se è carente in un ambito, per esclusione ricorrerà ad altri mezzi per far fronte alla situazione. La mancanza di abilità è di solito accompagnata dalla mancanza di fiducia in se stessi… Adesso aggiungete al tutto la paura, lo stress e la confusione! E ovviamente ci Polizia a Roma

aspettiamo, o meglio, pretendiamo che un essere umano prenda decisioni in una frazione di secondo in quelle condizioni! Non una decisione qualsiasi…ma quella giusta, ragionevole, la decisione adeguata, quella perfetta, ogni volta… Se come società ci aspettiamo ciò dai nostri ufficiali di polizia, non è giusto, logico, non è nostro compito metterli a disposizione tutti gli strumenti possibili? Non dovremmo investire di più nel loro addestramento? Non dovremmo stanziare dei fondi per l’equipaggiamento, non solo per ciò che riguarda la tecnologia, ma anche in fatto di esperti e professionisti per offrire loro un eccellente allenamento sulle tattiche difensive? Un area che, a mia opinione, è sempre stata trascurata.

Riassumendo Abbiamo passato in rassegna entrambi i lati di questo argomento in maniera corretta ed equilibrata. Credo che un giudice darebbe un verdetto unanime a favore di un programma periodico permanente, competente, di addestramento alle tattiche difensive per agenti di polizia. Tuttavia, la chiave è che deve essere il programma GIUSTO! Così come molti istruttori di Arti Marziali, vorrei offrire i miei servigi a gli organismi incaricati di far rispettare la legge. Non solo perché è un buon business e porta prestigio all’istruttore, ma anche perché credo veramente che io possa proteggere gli ufficiali e questo è un bene per la comunità. Mi sentivo in grado di farlo dopo aver passato 20 anni a lavorare in questo campo in svariati posti. Ma ero cosciente che il mio materiale di “Arti Marziali” era

abbastanza tradizionale e rivolto prevalentemente al mercato “civile”. Così con l’aiuto di alcuni dei miei allievi, poliziotti veterani con molta esperienza, ci siamo proposti di creare un nuovo programma speciale di Tattiche Difensive moderne, pratiche ed efficaci, progettato appositamente e solo per gli agenti di polizia. Dopo 3 anni di ricerca, analisi e applicazioni, alla fine abbiamo capito di aver strutturato correttamente il nostro programma e nel 1998 è nato l’ISTITUTO INTERNAZIONALE DI TATTICHE DIFENSIVE DELLA POLIZIA (IPDTI). Anche se il nostro principale proposito era offrire l’addestramento più pertinente e competente per la comunità dei poliziotti, l’altro obbiettivo importante era educare, formare e certificare gli istruttori di Arti Marziali in questo ambito professionale così specifico. Dalla definizione del IPDTI ci siamo occupati dell’addestramento di migliaia di ufficiali in 18 paesi del mondo e abbiamo certificato più di 300 istruttori. Abbiamo ricevuto decine di lettere di riconoscimento, omaggi e ringraziamenti. La cosa più importante è che abbiamo ricevuto numerose lettere personali di ufficiali, che ci hanno ringraziato e dimostrato che il nostro allenamento li ha aiutati a prevenire ferite gravi e in alcuni casi anche a salvare le loro vite. E per noi, questa è la più grande ricompensa! L’ IPDTI ha dimostrato che gli istruttori di Arti Marziali possono lavorare con le forze di polizia offrendo loro una importante e preziosa collaborazione. Basta farlo semplicemente in modo corretto. Potete visitarci su: HYPERLINK "http://www.dsihq.com" www.dsihq.com




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SCHERMA CREOLA: L’ARTE DEL PONCHO E DEL FACÒN Alla fine del XVII secolo, nelle pianure della Pampa Argentina, frutto del miscuglio di culture e razze, fa la sua comparsa la figura del gaucho. Vive a cavallo, avvolto dal popolare poncho (un mantello con un’apertura al centro).




Arti Etniche Questa figura, magnificamene descritta nel “Martin Fierro” di Josè Henrandez, un poema epico in versi, acquisisce identità di natura e tradizioni culturali proprie. Tra queste, l’uso del facon e del poncho come armi e le “boleadoras”, un attrezzo preso dagli indios, che consiste in tre pietre ricoperte di cuoio e unite da tre corde generalmente fatte di cuoio intrecciato e che si fanno roteare da una delle estremità per poi essere lanciate, raggiungendo lunghe gittate per colpire le prede o attorcigliarle al loro corpo quando vi entrano in contatto. Vi introduciamo al personaggio e alle arti del Gaucho in un articolo eccellente, da parte di chi è dedito al giusto compito della loro conservazione e diffusione dall’Argentina. Alfredo Tucci

Scherma creola, l’arte del Poncho e del Facon Fine del XVII secolo, Sudamerica; nella Pampa Argentina nasce una nuova razza, il Gaucho, miscuglio tra l’indio e il creolo e con lui una nuova arte guerriera, la scherma creola. Però, che cos’è la scherma creola?

E’ l’arte del combattimento con il poncho e il coltello. Aveva le sue regole e valori, era un fatto di virilità, c’era rispetto e si combatteva uno contro uno. Comprendeva tecniche e addestramento, tra cui il Visteo. In esso si combatteva con un bastone sporco di cenere estratto dal fuoco, tra il gioco e la realtà, poiché un creolo che si rispettasse era senza dubbio


bravo nel taglio, costume che ancora permane, nel quale mi piace vedere come i miei figli ancora ci giochino, “visteando” nel bel mezzo di un asado. Si giocava al Visteo in un’area che veniva delimitata, il campo, dalla quale non si poteva uscire. Le sfide nel campo e il loro movimenti la distinguevano dagli altri tipi di scherma di coltello, dove prevaleva l’onore. Il coltello che si usa in duello si chiama Facòn, ma si poteva anche usare una daga. Questo coltelli in genere erano fatti con scarti di spade o baionette e la lunghezza della lama non era inferiore ai 35cm, arrivando fino a 80 nel caso del “Facon caronero”. Il poncho, è un rettangolo di tela che può essere fatto di alpaca, vigogna, ecc., con un orifizio nel mezzo. Non solo ci accompagna nelle fredde notti, ma anche nei combattimenti e, aggiungo una curiosità, era parte ufficiale del primo reggimento dell’esercito patriota. Nel duello si vede arrotolato al braccio sinistro. Era un’eccellente protezione e una tremenda arma difensiva di distrazione. Con il tempo si sono perfezionate le tecniche di poncho, come il “flecazo”, la “manteada”, ecc. “Il facon serve sia per aprire un bovino che per chiudere una discussione” (Detto popolare argentino) Parlando del gaucho, questo personaggio controverso, venne usato per combattere contro gli spagnoli, gli indios o il nemico di turno. Sempre perseguitato, uomo semplice e sincero, eccellente cavaliere, abile con i suoi strumenti da lavoro, il coltello, il lazo e le boleadoras, non è amante delle armi da fuoco, ha sempre preferito le lame, infatti, c’era più onore nei duello, raramente si cercava di uccidere a tutti i costi, semplicemente concludeva una dispita con un “barbijo” (taglio sulla guancia) o un “Planazo” (colpo assestato con l’impugnatura dell’arma alla testa), lasciando l’avversario malconcio ma vivo e se scappava la mano, si metteva fine alla vita del miserabile…Una specie di eutanasia, “fare un’opera santa” si diceva. “Cadendo in un qualche abisso, più che la spada e la lancia, serve di più la fiducia che l’uomo ha in se stesso” Josè Hernandez (Martin Fierro) Altre armi facevano parte dell’arsenale del Gaucho, le boleadoras, arma di origine indigena, semplicemente tre palle unite da cinghie di cuoio. Un’arma da lancio che maneggiava con maestria, che decimò le fila degli eserciti reali nelle guerre di indipendenza, insieme alla “chuza” (lancia per chi parla spagnolo) che è stata l’arma ufficiale




Arti Etniche nell’esercito del Generale Don Josè de San Martin. “Le armi sono necessarie, ma nessuno sa quando, così se stai passeggiando, e soprattutto di notte, devi portarle in modo che estraendole, lo si faccia tagliando” Josè Hernandez (Martin Fierro)

E il tempo è passato… Agli albori del XX secolo, tempo di disfide, guappi e malfattori, la scherma creola era sempre in auge, a volte invece del poncho si portava una mantellina, ed era sempre presente il facòn, la daga, il “verijero” o “flyingo” (modelli differenti di coltelli creoli), non mancavano i pretesti per sguainare l’arma, bastava poco, una donna, una parola di troppo, per concludere le dispute con un duello in cui un taglio sulla faccia, o “barbijo”, sanciva la fine del contenzioso. “La sua speranza è il coraggio, La sua guardia è la precauzione, Il suo cavallo è la salvezza, E cammina con la sua insonnia, Senza alcun riparo oltre al cielo, Ne altro amico oltre al Facòn”. Josè Hernandez (Martin Fierro) Oggi come oggi, la scherma creola è ancora presente nei villaggi dell’interno dell’Argentina e non manca mai una sfida di coltello nei rodei e nelle feste folkloristiche, un costume difficile da sradicare; viene vissuta anche nella realtà penitenziaria, dove i reclusi continuano a regolare le loro controversie, ma ora con la faca e la coperta e conservando le stesse norme, come il “planazo”, il colpo inferto con l’impugnatura del coltello,

dando per finita la contesa, dove colui che la perde non se la passerà molto bene; il gaucho lo infliggeva al grido di “Che Dio ti protegga!” “Raramente uccide il paesano Perché tale istinto non possiede Il duello creolo se avviene E non muovendo nemmeno un passo, fa capire che non è zoppo e che il combattere lo intrattiene” Atahualpa Yupanqui Un’altra realtà è la pratica di questa disciplina che realizza Jorge Prina, che diffonde e insegna scherma creola, con le tecniche antiche, con una sorta di revisionismo storico, arrivando fino alla pratica con allenamenti e competizioni aperte di combattimento con coltello. Si utilizzano diversi tipi di arma, come coltelli verijeros, facon e caroneros, nella mano destra e sinistra, il poncho, dove ci sono svariate tecniche, come disturbare la visione con le frange, il flecazo, o deviare la mano armata con quella che viene chiamata la “manteada”, che come difesa è eccellente. Quando il poncho è arrotolato all’avambraccio, non permette che si arrivi a tagliare la pelle. Ora realizziamo i “Visteos” (sparring) con coltelli di legno. In esso si svelano un ventaglio di tecniche e si apprezza l’abilità dello schermitore. “Te lo indica la zanna, Potrillo In più te lo dice un vecchio bovino Non lasciare che uomo alcuno Ti prenda il manico del coltello” Josè Hernandez (Martin Fierro) Un’altra attività è il maneggio delle boleadoras, dal lanciarle con le diverse varianti alle gambe, per trascinare la preda, l’uomo o l’animale. Un'altra variante è colpire alla testa o a caduta, come si usava



Arti Etniche nelle guerre gauche, dove venivano lanciate in maniera tale che cadendo, la prima cosa che colpiva erano le palle. Le pratiche le realizziamo con diversi bersagli o con boleadoras da allenamento, che non procurano danno. Un’altra opzione che alleniamo è la boleadora come quella usata dai nostri aborigeni, che agganciavano in palla a un piede e le altre una per ogni mano, iniziando a volteggiarle in un combattimento corpo a corpo. Nelle nostre pratiche realizziamo incroci di armi nei duelli di facon e poncho contro boleadoras Il maneggio della chuza (lancia) è originale e assai peculiare. La chuza è la lancia americana; possiede una punta di ferro – o può non averla – in genere fatta di bambù ”Colihue”. Ricordiamo che i reggimenti dei lancieri coloniali, risalendo fino al XIX secolo, avevano una tecnica che metteva insieme il maneggio in gruppo, nelle difese e negli attacchi. Al contrario, il creolo la usò in maniera differente, l’indio della pampa se la legava all’avambraccio per percorrere grandi distanze e nell’attesa dell’attacco al forte, aspettavano che si scaricassero le armi da fuoco per entrare in azione con le loro lance…per questo si diceva “andare verso il fumo”, a causa della coltre fumosa caratteristica delle armi dell’avanguardia. Attualmente ricreiamo tecniche di lancia portando alla luce un ricco bagaglio di tecniche, dal mulinello alla puntata. Realizziamo incontri mensili aperti in vari posti, nei quali pratichiamo alla vecchia maniera i duelli creoli, terminando con piccole competizioni, a margine delle lezioni regolari e dei seminari. “Un creolo senza coltello è un creolo nudo” (proverbio popolare argentino) Tutti i popoli del mondo hanno avuto e alcuni ancora conservano le proprie arti da combattimento, questa è la scherma creola, arte della guerra argentina.


Tenendo sempre come sfondo l’Ochikara, “la grande forza” (chiamata e-bunto nel dialetto degli Shizen), la saggezza segreta degli antichi sciamani giapponesi, i Miryoku, l’autore ci sommerge in un mondo di riflessioni genuine, capaci allo stesso tempo di smuovere nel lettore il cuore e la testa, collocandoci continuamente di fronte all’abisso dell’invisibile, come vera, ultima frontiera della coscienza personale e collettiva. La spiritualità non come religione, ma come studio dell’invisibile, è stato il modo per avvicinarsi al mistero dei Miryoku, nel segno di una cultura tanto ricca quanto sconosciuta, allo studio della quale l’autore si è dedicato intensamente. Alfredo Tucci, direttore dell’editrice Budo International e autore di un gran numero di titoli sulla via del guerriero negli ultimi 30 anni, ci offre un insieme di riflessioni straordinarie e profonde, che possono essere lette indistintamente senza un ordine preciso. Ciascuna di esse ci apre una finestra dalla quale osservare i temi più svariati, da un punto di vista insospettabile, a volte condito da humour, altre da efficacia e grandiosità, ponendoci di fronte ad argomenti eterni, con lo sguardo di chi ci è appena arrivato e non condivide i luoghi comuni con i quali tutti sono abituati ad avere a che fare. Possiamo affermare con certezza che nessun lettore rimarrà indifferente davanti a questo libro, tale è la forza e l’intensità del suo contenuto. Dire questo, è già un bel dire in un mondo pieno di presepi collettivi, di ideologie interessate e tendenziose, di manipolatori e in definitiva, di interessi spuri e di mediocrità. E’ dunque un testo per animi nobili e persone intelligenti, pronte a guardare la vita e il mistero con la libertà delle menti più inquiete e scrutatrici dell’occulto, senza dogmi, senza moralismi di convenienza, senza sotterfugi.



Karate


Ecco finalmente, edito da Budo International, il DVD Wado no I Dori & Ta n t o D o r i , r e a l i z z a t o d a l M a e s t r o Salvador Herraiz, 7°Dan, uno dei maggiori esperti di questo stile a livello internazionale. Per questo motivo, l’autore ci svela proprio qui le caratteristiche e l’importanza di questo lavoro in un momento cruciale della sua vita.


Karate

NUOVO DVD! WADO NO I DORI & TANTO DORI SALVADOR HERRAIZ, 7°DAN Il contenuto di questo DVD, che presentiamo adesso, racchiude una selezione delle tecniche più peculiari del Wado Ryu, tecniche che inoltre offrono un’punto di vista interessante ai karateka di altri stili. In effetti, la scuola Wado possiede un insieme di tecniche molto importanti denominato Kihon Gumite, ma forse le sue caratteristiche lo rendono poco attraente per i praticanti di altre scuole. Le tecniche di I Doro (difese dalla posizione tradizionale di Seiza, seduto sulle ginocchia sui talloni) e quelle di Tanto Dori (difesa contro coltello) sono praticate come gruppi importanti in seno al Wado Ryu, ma possono anche essere di grande interesse per karateka esterni ad esso. Perciò, ho scelto queste tecniche per realizzare questo DVD, in maniera da renderle interessanti per tutti i tipi di praticanti. Un argomento intrigante che riguarda la comprensione delle forme tecniche esposte nel DVD, è quello delle differenze tra le linee tecniche esistenti. Il Wado Ryu è uno stile che, come tutti gli altri, ha subito delle variazioni durante la sua storia, tutto all’interno di una “normalità” generata dalle divisioni che per motivi politici sono sfociate poi in differenti tecniche. Tutti sappiamo che nel Wado Ryu esistono tre grandi linee tecniche che dobbiamo considerare e rispettare: (1) quella del Wado Ryu Karatedo Renmei – capeggiata da Jiro Ohtsuka, il figlio del Fondatore, che a causa della sua età, nel giro di alcuni anni cederà il testimone a suo figlio Kazutaka; (2) quella del Wado Kai (in seno alla Federazione Giapponese, diretta tecnicamente da maestri veterani come Toru Arakawa, Hajimu Takashima, Katsumi Hakoishi, Takaichi Mano, Shinji Michihara, Shunsuke Yanagita,

“Senza dubbio l’efficacia è una cosa molto importante nelle arti marziali. Tuttavia, se fosse l’unica importante e l’obbiettivo principale, probabilmente raccomanderei, in tutta sincerità, un altro genere di pratica” Yasuo Kuranami, Hideho Takagi…), e (3) quella della WIKF, fondata e condotta dal Maestro tatsuo Suzuki, fino alla morte di quest’ultimo nel 2011 e che prosegue con i suoi discepoli. Tutte queste si auto-conferiscono il titolo di più fedele agli insegnamenti del Fondatore Hironori Ohtsuka e pertanto i suoi insegnamenti più autentici e puri rispetto a quelli di Hironori. Maestri molto importanti affermano “io ho imparato così da Ohtsuka”. Tutto dipende, in realtà, da quando i loro maestri leader hanno praticato con il fondatore, poiché questo ha continuamente variato e sviluppato gli aspetti del suo Wado Ryu fino agli ultimi istanti della propria vita, quindi il tutto è legato dal momento in cui si sono allenati con lui, per ottenere uno o altri dettagli tecnici. Riguardo alla Wado Kai attuale, ho notato, per esempio, che stanno modificando posizioni e i loro nomi cercando



Nuovo video forse “di nascosto” un avvicinamento ad altri stili, per far si che il suo Wado sia più competitivo nei tor nei (obbiettivo basilare della Federazione Giapponese o della Federazione Spagnola…). La linea di Suzuki sensei presenta altre varianti significative. Magari la lontananza dal maestro, stabilitosi in Inghilterra ma di matrice giapponese, avrà influito in quel momento su di esse. Per quello ci sarà da considerare, aldilà di simpatie o antipatie, che il Wado del figlio del Fondatore avrebbe potuto essere ritenuto, all’inizio, il più puro, avendo mantenuto e assorbito i cambiamenti che egli ha realizzato fino all’ultimo. Ma d’altronde, ho anche notato che a 25 anni dalla morte del Fondatore, suo figlio Jiro (e dopo suo nipote Kazutaka) hanno anch’essi modificato varie cose. In fondo, forse è normale così e come tale deve essere accettato!

“Questo lavoro include una decina di tecniche di I Dori e un’altra di Tanto Dori, così come i Kata Seishan e Chinto, i più caratteristici dello stile”

Tuttavia, la mia preoccupazione è data da quei movimenti e peculiarità che non hanno niente a che vedere con nessuna di queste tre linee del Wado Ryu e che in alcuni casi, vanno anche chiaramente a scontrarsi con alcune caratteristiche del Wado, in ognuna delle sue tre linee tecniche. Questo si che mi preoccupa! Ma mi preoccupa ancora di più e mi risulta alquanto curioso, il comportamento della famiglia Ohtsuka di fronte allo sviluppo tecnico e filosofico del suo Wado Ryu. Ho la mia teoria circa le ragioni ma…non è questo il momento giusto. Sia come sia, il DVD che stiamo presentando contiene una selezione di tecniche utilizzate nelle sue tre linee principali. Non si tratta di un video su una linea precisa, ne pretende di essere più papale del Papa, ma esattamente quanto ho già detto, una selezione delle combinazioni di coppia più caratteristiche del Wado.



Tecnica


Karate



D’altra parte, il Karate in generale si trova in questo momento, non solo tecnicamente ma soprattutto spiritualmente, molto lontano dal percorso che dovrebbe seguire, dal mio punto di vista (e ci ritroviamo soltanto con un pugno di umili dojo e maestri in genere distaccati dal mondo esterno, per cui la loro influenza su altri karateka è assai limitata). Devo confessare, a dir la verità, che personalmente sono abbastanza stanco e deluso. “Il marinaio che ha perso la grazia del mare”, non è soltanto uno dei versi di uno dei più famosi racconti del noto scrittore giapponese Yukio Mishima, che fu protagonista negli anni 70 di un clamoroso seppuku, consapevole che si stavano smarrendo i valori del Giappone. La frase, aldilà del contenuto del libro di Mishima, esprime anche il sentimento che da un po’ di tempo mi pervade, per via dell’atteggiamento di tanti karateka (incluso alcuni insegnanti). Tutti ci siamo stufati di conoscere e pronunciare frasi ridondanti sullo spirito e la filosofia del Karate, ma…agire di conseguenza è “farina di un altro sacco”. Quello si, tutti ci auto convinciamo del nostro comportamento, attaccandoci a quello che ci interessa, invece di riconoscere in molti casi che si agisce al contrario di quelli che sono i valori primordiali del Karate Do. Credo che a questo punto del cammino tutti sappiamo molto bene cosa aspettarsi da un karateka, tutti conosciamo la filosofia e la storia, del dojukun, e bla, bla e bla…, però poi, il comportamento nella realtà di tutti i giorni, a mio avviso, lascia alquanto a desiderare. Mi sento invaso


“Pertanto, il Karate bisogna intenderlo a un livello superiore, oltre che come una tecnica di combattimento, anche come una meditazione in movimento. Così come il Budo in generale” dalla tristezza e dalla delusione, sentendomi come quel marinaio che perse la grazia del mare… D’altro canto, questo DVD appare in un momento anch’esso cruciale per il sottoscritto, perseguitato da anni dalle tribolazioni di una schiena e di una colonna vertebrale che mi costringe a fare i salti mortali per conservare un livello decente di efficienza fisica. Nella mia mente da diversi anni, questo DVD dovevo farlo adesso, a maggior ragione anche davanti a una probabile futura impossibilità. Ora o mai più! Questo lavoro include una decina di tecniche di I Dori e un’altra di Tanto Dori, così come i Kata Seishan e Chinto, i più caratteristici dello stile, e anche Wanshu, uno dei più universali di tutto il Karate. In ogni caso, si è tentato di mantenere il ritmo e la cadenza di un Karate concentrato su una esecuzione tecnica naturale, come tipico del Wado Ryu, senza ricercare la spettacolarità o lo sfoggio di qualità personali, un Karate, che, come si sostiene storicamente, cerca di essere “Zen in movimento”. Senza dubbio l’efficacia è una cosa molto importante nelle arti marziali. Tuttavia, se fosse l’unica importante e l’obbiettivo principale, probabilmente raccomanderei, in tutta sincerità, un altro genere di pratica. Noi karateka facciamo ciò che facciamo nel modo in cui lo facciamo, cercando di andare ben aldilà e colui che qui cerca soltanto una maggior efficacia in combattimento, forse non vi troverà la sua strada. Anzi: Di certo questa non è la sua strada. Pertanto, il Karate bisogna intenderlo a un livello superiore, oltre che come una tecnica di combattimento, anche come una meditazione in movimento. Così come il Budo in generale… Non si tratta esclusivamente di un sistema di combattimento. Nel Kyudo, per esempio, i grandi maestri hanno sempre sostenuto che colpire o meno il bersaglio non era così importante, poiché non era quello il punto, ma il cerimoniale, il gesto, la respirazione, la concentrazione…e gli effetti che tutto quello producono in colui che scaglia la freccia, senza preoccuparsi di dove vada o di chi la riceva. Tecniche come Ryote Dori, Gozen Dori, Zu Dori, Asì Dori, Te Dori Shotei Zuki, Hiki Otoshi Dori, Hijite KAnsetsu Gyaku Torinage, prendono forma sullo schermo, mostrando l’essenza tecnica che storicamente ha caratterizzato quella che è la prima scuola di Karate prettamente giapponese (il resto di quelle antiche e sviluppate, provengono in realtà da Okinawa). Riguardo alla difesa da coltello, Udegarami Dori, Kotenage Dori, Hikitake Dori, e molte altre, offrono un campionario chiaro di un Karate con una notevole influenza del Ju Jitsu.



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Il gruppo KMRED e i suoi partners Il gruppo di Kravmaga Red, come abbiamo già detto nei nostri articoli precedenti, ha come obbiettivo lo sviluppo di una difesa personale moderna e realistica senza restrizioni, costruita attorno a una disciplina come il Kravmaga, così come ad altre da combattimento come la Boxe tailandese, inglese o francese, completato dall’esperienza dei suoi maestri nella gestione delle situazioni di conflitto. Ma la cosa più importante è che il gruppo non vive nell’autarchia e non si rintana in un angolo insistendo nel credere solo nei propri traguardi. La nostra forza più grande è che continuiamo a cercare ciò che potrebbe essere migliore, senza esitare nel circondarci di gente proveniente da differenti stili e discipline. Difatti, molte persone, a parte noi, hanno avuto lo stesso desiderio di ricerca e apertura, ed è importante essere capaci di scambiare e lavorare assieme per sviluppare degli strumenti che permetteranno ai nostri praticanti di proteggere la loro integrità fisica o quella dei loro cari. Perciò. Il Gruppo KMRED ha messo in moto da molto tempo numerosi seminari e interscambi con relatori dall’esperienza pluriennale negli sport da combattimento e negli scontri fisici reali. Tra queste persone degne di nota, quest’anno a Novembre, uno dei pionieri delle arti marziali filippine in


Francia dal 1985, Didier Trinocque, interverrà per la terza volta davanti agli allievi dei club KMRED della regione del Sudest. La sua specialità, il Kali Eskrima, consente, se ce n’è bisogno, di comprendere i pericoli che presentano i bastoni e i coltelli in uno scontro reale e come usarli a proprio vantaggio. Verrà anche attivata durante la sua visita, una collaborazione a lungo termine ed egli riceverà il titolo di membro onorario del gruppo KMRED. Sempre a Novembre, nella regione del Sudest, verrà anche uno dei primi specialisti della difesa personale ad aver lavorato liberamente allo sviluppo di un metodo di autodifesa adatto al maggior numero di persone chiamato DIFESA RAPIDA. Si tratta di Vicente Roca. Quest’ultimo, relatore


abituale nei gruppi di intervento speciale in Francia e all’estero, si allinea totalmente a quel processo di apertura con gente esperta che sostiene il gruppo KMRES e l’iniziatore di tutto l’intero progetto, Christian Wilmouth. Ricordiamo che tutte le ricerche che noi o i diversi professionisti citati in precedenza facciamo, hanno come scopo arricchire un contenuto tecnico destinato agli allievi e non favorire l’ego di chicchessia. “E’ importante, credo, prestare attenzione a ciò che insegniamo nella difesa personale, perchè coloro ai quali trasmettiamo la nostra conoscenza potrebbero aver bisogno di usare quello che hanno appreso in una situazione reale e, nella realtà, non c’è posto per la fantasia”. Come parte del nostro approccio allo sviluppo delle nostre abilità, esiste un’area nella quale non smettiamo mai di imparare: il combattimento!!!


In tal senso, uno dei nostri relatori principali è un grande specialista nell’allenamento della Boxe Inglese. Annovera tra le sue fila una lunga lista di campioni che ha allenato. Giovanni Rocchi è un Coach con la “C” maiuscola, che ha accompagnato moltissimi campioni nazionali e internazionali e ha saputo integrare la Boxe inglese come base e complemento essenziale delle capacità combattive dei praticanti del gruppo


KMRED. I suoi interventi regolari aprono una nuova dimensione nella parte combattiva che è molto presente nel nostro lavoro. Il gruppo KMRED è in pieno sviluppo e continuerà a formarsi per tutto il 2015 mettendosi costantemente in discussione attraverso degli scambi costruttivi con tutti coloro che lavorano per i praticanti, lontani da dispute egoistiche.


Il DVD "Krav Maga Ricerca e Sviluppo" sorgè dalla voglia di quattro esperti di Krav Maga e sport da combattimento: Christian Wilmouth, Faustino Hernandez, Dan Zahdour e Jerome Lidoyne. Ad oggi, loro dirigono molti club e conducono un gruppo di una ventina di professori e istruttori di molteplici discipline, dalla Krav Maga alle MMA, Mixed Martial Arts. Questo lavoro non è destinato a mettere in evidenza un nuovo metodo nè una corrente specifica di Krav Maga. Il suo scopo è semplicemente quello di presentare un programma di Krav Maga messo a fuoco sull'importanza del " c o n t e n u t o " , condividendo in questo modo le nostre esperienze.

REF.: KMRED1

Tutti i DVD prodotti da Budo Inter national vengono identificati mediante un’etichetta olografica distintiva e realizzati in supporto DVD-5, formato MPEG-2 (mai VCD, DivX o simili). Allo stesso modo, sia le copertine che le serigrafie rispettano i più rigidi standard di qualità. Se questo DVD non soddisfa questi requisiti e/o la copertina non coincide con quella che vi mostriamo qui, si tratta di una copia pirata.

ORDINALA A: Budo international.net



Se parliamo di un Tai Chi potente e marziale, non ho conosciuto nessuno uguale al Maestro Chen nella sua esecuzione, e quando dico potente, per intendersi, non per quello smette di essere morbido. L’essenza del TaiChi è il mistero e il paradosso di come il morbido sconfigge il dur o; un bel concetto che curiosamente tutti possiamo intravedere nelle nostre menti, ma metterlo in pratica è ben altra cosa. La classica metafora del bambù, quella dell’acqua…, tutto quello ci è molto familiare attraverso la grande diffusione che la filosofia orientale ha avuto in Occidente negli ultimi anni. Però…”tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, dice il vecchio proverbio e al momento di passare ai fatti, il più delle volte il Tai-Chi non va oltre una piacevole ed estetica “perfomance”; seducente, si; salutar e, senza dubbio! Ma Arte Marziale, quella che si dice una vera Arte Marziale, amico, quella era solo un atto di fede, fino a che non ho conosciuto il Maestro Chen! - “ I l Ta i - C h i è c o m e i l b a m b ù ; quando lo spingi cede, ma quando lo lasci andare, esso ti colpisce come un fulmine”, mi disse il Maestro durante il nostro primo incontro. Il suo allievo diretto, Diego Caceres, mi aveva già preavvisato che Chen “era diverso”. Bene, ci si annoia a sentirci dire cose simili in questo nostro piccolo mondo…ma stavolta era proprio vero! Per tutto questo, e dopo il successo del suo primo video sulla forma “YI LU”, la principale dello stile Chen, ho


Kung Fu

chiesto al Maestro di scrivere un libro, il libro definitivo per i praticanti di Tai-Chi. In esso, naturalmente, abbiamo descritto la forma passo dopo passo; però per essere coerenti con la parte marziale, gli abbiamo richiesto di condividere con voi ciò che nel Karate si conosce come i “Bunkai”, ovvero, le applicazioni che la tradizione propone come utilizzo effettivo delle tecniche e dei movimenti che si realizzano nell’esecuzione della forma. La cosa è tutt’altro che una danza! Si rompono braccia, proiettano persone, colpiscono zone sensibili e tutto ciò attraverso l’applicazione delle chiavi del Tai-Chi: il morbido che sconfigge il duro. Il risultato è eclatante. Un libro con oltre 1000 fotografie a colori, un’autentica guida completa per lo studio dello stile Chen, che completa il lavoro del video già a disposizione dei lettori di Cintura Nera. Un lavoro del quale tutti in redazione siamo orgogliosi. Alfredo Tucci


Lo stile Chen di Tai-Chi Chuan Lo stile Chen è lo stile più antico che si conosca ed è considerato l’origine del Tai-Chi Chuan. Può essere definito come il risultato di un sunto di distinte Arti Marziali. Nella sua pratica si raccolgono tecniche di pugno, gomito, spalla, gamba, ginocchio, così come proiezioni, lussazioni, immobilizzazioni, salti, ecc… Esiste un detto popolare al riguardo, che dice che “tutto il corpo sono mani”, vale a dire molte parti del corpo possono colpire. Le sue origini risalgono alla fine del XIV secolo, nel villaggio di Chenjiagou in Cina. Fu in quell’epoca che Chen-Bu, considerato il capostipite della famiglia Chen, si stabilì nel villaggio, anche se in realtà cominciarono a farsi conoscere a partire dalla 9ª Generazione con Chen Wang-Ting (16001680). Chen Fake, 17ª Generazione, viaggiò dal villaggio di Chenjiagou a Pechino attorno agli anni ‘30, dove rese famoso lo Stile Chen come conseguenza del suo alto livello tecnico. Inizialmente c'erano 7 forme che poi furono diminuite a 2, denominate Yi-Lu ed Er-Lu (Pao Chui o forma cannone). Entrambe si caratterizzano per il fatto di combinare movimenti lenti e morbidi, con altri rapidi ed esplosivi, sempre nel quadro della continuità tipica del TaiChi Chuan. Nella forma Er-Lu esiste un maggior utilizzo di Fa-jing in gran parte dei suoi movimenti. Le posizioni sono basse e molto radicate al suolo, il che favorisce lo scarico di potenza del Fa-jing. Il “Chanse-Ching” è il tratto più caratteristico dello Stile Chen. Sorge dal principio chiamato “arrotolare il bocciolo di seta” e consiste nel lavoro sulla forza a spirale: il Chi (energia) si dispiega a spirale dai piedi, da dove ascende lungo tutto il corpo fino ad arrivare alle mani. Questo movimento a spirale si usa come difesa o come attacco.



Grandi Maestri


Kung Fu La forza originaria del Tai-Chi Chen Il Tai-Chi Chen è uno stile che esplora la fusione di energie opposte e complementari, una miscela che bisogna controllare. Il praticante di Tai-Chi deve raggiungere la stessa naturalezza e potenza dei movimenti di un neonato. Potremmo paragonarlo al momento della nascita di un neonato; nell’istante in cui si taglia il cordone ombelicale, si produce la mancanza di ossigeno e sorge la sua prima necessità, ovvero respirare da solo. In quell’istante si genera una convulsione energetica che percorre il suo corpo e che provoca appunto l'atto della respirazione. Quella scossa potente ed indomabile è la stessa che cerchiamo di ricreare con il Tai-Chi Chen: un flusso di energia tale da far in modo che il corpo si agiti quasi elettricamente, per realizzare da una parte il colpo e dall’altra una scarica curativo-energetica del corpo stesso. Nel Tai-Chi Chen, realizzando i movimenti della forma si applica il concetto precedentemente esposto come lavoro basilare, con costanti movimenti di raccolta od interiorizzazione dell'energia, per poi immediatamente espandersi e, nel caso, “esplodere” nel Fa-jing. Quella stessa sensazione energetica si apprezza anche nel movimento del proprio corpo, che si racchiude in sé stesso per poi aprirsi verso l'esterno. Allo stesso tempo si realizzano movimenti ondulatori, simili alle ondulazioni di un serpente.

Le energie elementari e la circolazione energetica L'uomo risponde alle forze del Cielo e della Terra e dipende dallo scambio di energia con l’ambiente. Le energie del Cielo e Terra occupano tutto; disperdendosi si riuniscono, tornando sempre al loro stato iniziale. Tutto deriva dal Tao, il principio unico ed indifferenziato. Il Qi è la forza elementare, la prima manifestazione dell'origine. Il Qi si polarizza attraverso due forze: Yin e Yang. Ogni stato di squilibrio energetico genera malessere per due ragioni: per carenza o per eccesso. Nella Pienezza lo chiamiamo XU (o Yang) e nel Difetto o Vuoto ZXU (o Yin). L'uomo è un essere che deriva dalle due energie.

Armonicamente emette vibrazioni con i suoi movimenti; questa mutazione permanente e continua necessita di una somministrazione energetica che la mantenga. Un mezzo per generare quest'energia, parlando in termini marziali, si realizza attraverso la via della respirazione e l'altro è attraverso il movimento fisico. L'energia Yang espande, la Yin contrae; questo è il gioco che dobbiamo mantenere nella nostra pratica. Il corpo umano ha due polsi, lo Zhen e il Du; l'uomo e la donna funzionano con poli contrari, la donna ha il polo più debole all'esterno e più forte all'interno e l'uomo il contrario. Il polo Zhen porta la forza del sangue ed il Du l'impulso dell'aria. Nella pratica dobbiamo centrare i


Grandes Maestros canali principali di circolazione di energia corporale. L'energia circola uscendo dal Tan Tien (quattro dita sotto l’ombelico), dividendo in due il corpo; da una parte sale lungo il petto verso la testa e scende lungo la schiena fino ad arrivare al punto Huiyin, e dall’altra esce dal Tan Tien descrivendo un cerchio ed avvolgendo la cintura. Al momento della pratica dobbiamo fissare la nostra concentrazione e la nostra respirazione sul Tan Tien e

visualizzare questa energia che circola lungo questi due canali, mentre manteniamo una respirazione regolare e tranquilla come il canto di un uccello.

Le caratteristiche tecniche La pratica del Tai-Chi Chen c'insegna una tecnica basata, soprattutto, sul movimento di “esplosione” del corpo. Tale movimento fa sì che il corpo giri come un uragano, spinto da una convulsione dai piedi alla testa che,

all'ultimo momento, si manifesta come una sferzata d’attacco al nemico. L'arte dell'attacco è simile al metodo con cui un'aquila acciuffa un coniglio con i suoi artigli. Bisogna mantenere il controllo attraverso il contatto fisico, ma senza arrivare alla presa. Gli attacchi del Tai-Chi Chen premono su superfici specifiche, non su qualunque parte del corpo e generalmente corrispondono a tendini e nervi, vene ed arterie, premendo su punti cardine che fanno in modo che le ossa si muovano lussandosi, spostando muscoli e tendini. Utilizziamo come armi il palmo e il dorso della mano, il pugno, la spalla, l'avambraccio, il gomito, ecc… Il pollice ed il mignolo possono girare


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Kung Fu come gli aghi dell'orologio, a favore ZHEN o contro FAN. Anche il palmo della mano può utilizzare movimenti di carezza contro e a beneficio del movimento; quando una mano è in alto, l'altra si abbassa e viceversa. I movimenti dei piedi hanno otto tecniche che si possono utilizzare, il collo del piede, il tallone, la parte in mezzo della curvatura del piede dall'interno e dall’esterno, e le loro varianti a 45 gradi, ma si consigliano anche le spazzate e i giri a tornado. Quanto alle posizioni, la posizione di Mapu (montare a cavallo) è la più importante, perché ti permette di variare i pesi del corpo e di bilanciarlo da un lato o dall’altro a seconda dell'attacco. Utilizziamo anche la posizione di Xiebu, seduto sul tallone. Xibu a giro, Dulibu su una sola gamba alzando il busto, così come le posizioni di Pubu molto basse, per il rinvigorimento dei tendini. Lo stile richiede molta flessibilità, per questo motivo è importante cominciarne la pratica in gioventù, quando i muscoli ed i tendini sono più elastici, al fine di facilitarne l’estensione ed il mantenimento durante tutta la vita. Altrimenti se cominciamo la pratica troppo tardi, noteremo subito che le nostre posizioni saranno dure, meno estetiche e che non riusciremo a mantenere quelle che ci possono dare la necessaria potenza al momento della realizzazione degli esercizi. Terremo sempre a mente che la posizione più importante è quella di Mapu: la testa sempre dritta e allerta con lo sguardo in avanti, ma senza fissare un punto e senza perdersi. Anche l’udito rimarrà vigile, la nuca non deve essere tesa ma concentrata; la schiena deve essere molto dritta, il petto eretto con lo stomaco all’interno, senza mai incurvare la schiena o con il posteriore all’infuori.



Kung Fu Tutto questo ci permetterà di ruotare negli attacchi o nelle difese e farà in modo che la colonna vertebrale ruoti liberamente a quarantacinque gradi verso sinistra o verso destra. Il gluteo deve rimanere come se fossimo seduti sull'acqua, sempre in una posizione stabile, ma contemporaneamente con la flessibilità sufficiente per non essere bloccati negli spostamenti; per cui se l’avversario ci attacca da sinistra, potremo cambiare il peso del corpo verso destra e viceversa, evitando così gli attacchi alle cosce o alle ginocchia spostandole ed allontanandole dall'angolo d'attacco. Un gluteo rigido ci fisserebbe al suolo, impedendoci di muoverci con agilità. Dobbiamo rispettare il puntamento e mantenerlo sempre durante l'attacco.

Utilizzeremo movimenti circolari. Come ho già detto, quando una mano sale l'altra scende; quando il corpo si alza, il movimento seguente sarà in discesa, e così via. Quando un palmo è rivolto verso l'alto, l'altro si manterrà verso il basso, per poi cambiare la posizione e quello che si trovava da una parte ora si troverà dall'altra, seguendo sempre il gioco dei movimenti contrari. L'apprendistato si realizza come quando eravamo piccoli, realizzando quel movimento circolare che usavamo con le braccia e con le gambe e che, con il processo di crescita, perdiamo progressivamente. Da piccoli tutti i nostri movimenti erano circolari, come metodo di difesa verso l’incognito. Con il Tai-Chi Chen

dobbiamo recuperare il sistema circolare dei movimenti.

I movimenti più caratteristici del nostro stile sono: • La famosa gru che stende le ali Baihe Liangehi. • Spazzate di ginocchio con passo in avanti Louis Aobu. • Retrocedere girando gli avambracci Daojuan Gong. • Afferrare la coda del passero sinistro Zoulan Quewei. • Afferrare la coda del passero destro Youlan Quewei. • Calci di tallone Ti Dengjiao. • Dondolarsi in avanti e indietro Chuansuo. • Girare il corpo, deviare, schivare, colpire, Zhuanshen Banlanhui.

BIOGRAFIA DEL MAESTRO CHEN Nacque nel comune di Ruian, provincia di Zhejiang, villaggio di Chen-Ao, della zona di ChangQuiao. Da giovane il Maestro Chen studiò lo stile di Kung Fu con il Maestro di Shaolin Youlongji conosciuto come il “Monaco di Ferro”. Mentre portava avanti il

suo apprendistato con questo Maestro, sentì parlare del Maestro Hongyunshen che insegnava il Tai-Chi Chuan stile Chen nella città di Shandong, e senza esitazioni si trasferì lì. Correva l'anno 1983 quando finalmente iniziò il suo apprendistato con Hongyunshen in una piccola scuola che frequentava ogni mattina. Durante questo periodo conobbe il Maestro Liochende, che impartiva lezioni tutti i pomeriggi nel parco, alle quali decise di partecipare. Nel 1996 il Maestro Chen ritornò a Ruian, dove cominciò ad impartire lezioni. Furono molti gli allievi che vennero da molto lontano per imparare con lui. Nel 2000, una serie di sfortunati avvenimenti lo spinsero ad abbandonare il paese. Dopo molti viaggi e peripezie arrivò in Spagna nel 2001, invitato da un imprenditore di origine cinese, il sig. Fan Xin Min, attore e famoso istruttore di Arti Marziali a Madrid, che aveva realizzato anche un video per Budo International. Nella capitale spagnola conobbe Diego Cáceres, con il quale simpatizzò in fretta. L’istruttore Cáceres si rese conto delle impressionanti abilità e conoscenze del Maestro Chen e lo assunse come istruttore. Poco dopo il Maestro Chen decise di rimanere a vivere in Spagna, dove esercita il suo insegnamento.


La scuola Wado Ryu Karate mantiene ancora la pratica di alcune tecniche tradizionali dalla posizione Seiza, vale a dire, in ginocchio, seduto sui talloni dei piedi. Questo DVD contiene una diecina di queste forme di difesa, conosciute come I-Dori, con la spiegazione delle sue caratteristiche. Insieme a questo, troverete un ulteriore numero simile di tecniche di Tanto Dori, difese contro attacchi di coltello che sono anche tradizionali nella scuola del Maestro Hironori Ohtsuka, che fanno di questo DVD un must per quelli che siano interessati non solo in questa scuola, ma nel Karate in generale, giacchè si tratta di tecniche molto importanti per essere praticate in qualsiasi degli altri stili di questa nobile Arte Marziale. Questo DVD prende in considerazione le varie forme di difesa Wado Ryu, anche se appartenenti a diverse correnti o linee all'interno di questo stile di Karate, avendo scelto le più appropriate indipendentemente di tali distinzioni, e sempre rispettando il ritmo, la cadenza, la altezza delle posizioni e la naturalezza che la Wado Ryu ha saputo conservare dal suo origine. Il lavoro, realizzato dal maestro Salvador Herraiz, 7 ° Dan e uno dei più grandi studiosi a livello internazionale, sia di Wado Ryu e di Karate in genere, è completato con le kata Seishan e Chinto, le più rappresentative della scuola, e anche la Wanshu Kata come un extra.

REF.: • WADO1

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ORDINALA A:

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