Baskettiamo Magazine #03 APRILE 2015

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APRILE 2015

I NT ERV I S TE Hackett - Cavaliero - Pozzecco Monroe - Tonut - Cavagnini-Carossino Gandini - Bezzecchi NBA AWARDS - MOCK 2015 Reportage Giovanili Fortitudo Bologna Universo Treviso

PERIC ...oloso scontro finale


Baskettiamo Magazine vi aspetta i l p r o s s i m o 3 0 m a g g i o c o n u n n u ov o numero consultabile come sempre online gratuitamente


Anno 5 #13 - APRILE 2015 Slam Dunk - Editoriale di Salvatore Cavallo

Direttore responsabile Salvatore Cavallo Vicedirettore Andrea Ninetti

per contattare la Redazione redazione@baskettiamo.com

Hanno collaborato a questo numero Carmelo Barretta Marco Biggi

Alessandro Bonazza Alessandro Coco Enrico D’Alesio

Michele De Francesco Francesca Riva

Eugenio Simioli

Alessio Teresi Special Guest Francesco Ponticiello (coach) Simone Lucarelli (fotografo) Adi Vastano (fotografo)

FOTOGRAFIE CIAMILLO-CASTORIA Progetto grafico Salvatore Cavallo Baskettiamo Magazine è una testata giornalistica in attesa di registrazione Società editrice CNC Communication srl

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INSIDE

BasketTiLaureiamo di Alessandro Bonazza Daniel Much More

Intervista a Daniel Hackett Mamma, amica, confidente, rompiscatole all'occorrenza Intervista a Katia Hackett Flashback

di Francesca Riva

Un croato in gondola

Intervista a Hrvoje Peric

di Salvatore Cavallo

Globetrotter d'Italia

Intervista a Daniele Cavaliero

di Eugenio Simioli

Il Mahatma Gandini

Intervista a Matteo Gandini

di Michele De Francesco

NBA AWARDS di Enrico D'Alessio MOCK 2015 di Enrico D'Alesio Poz…zesco

Intervista a Gianmarco Pozzecco

di Francesca Riva Legabasket 3.0

Intervista a Maurizio Bezzecchi

di Marco Biggi

A tutta… A2 di Francesco Ciccio Ponticiello Verona in alta quota

Intervista a Darryl Monroe

di Alessandro Coco

Figlio d'arte e molto di più Intervista a Stefano Tonut

di Carmelo Barretta

Treviso Universo in movimento di Andrea Ninetti I due nemici

Intervista a Matteo Cavagnini e Filippo Carossino

di Alessio Teresi

REPORTAGE - VIAGGIO NEL MONDO DELLE GIOVANILI Fortitudo Bologna di Enrico D'Alesio TIME OUT di Andrea Ninetti

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di Salvatore Cavallo

E dito ria le

SL A M DU NK

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ush finale della regular season di serie A prima di lanciarsi nella folle corsa per conquistare l’agognato triangolino tricolore. Appena ottanta minuti, le ultime due giornate per emettere la prima serie di verdetti, con le 8 squadre ammesse ai playoff ed una condannata alla retrocessione in A2. Milano è l’unica a scendere in campo in questi ultimi due turni senza ansie o timori, il primo posto è saldamente in tasca mentre sotto i meneghini è bagarre. Improvvisamente si è riaccesa la lotta per non retrocedere, con Caserta capace di risalire la china quando ormai era partito il countdown per decreterne la matematica discesa al piano di sotto, mentre Pesaro ha evidentemente creduto troppo presto di essere salva. Il faccia a faccia del 10 maggio, con ogni probabilità, sarà uno spareggio da “mors tua vita mea”... sportivamente of course!

CREDIBILITA’... “EI FU” La corsa per restare in serie A, tuttavia, vivrà una giornata molto triste il prossimo 5 maggio... Quel dì, infatti, ci sarà l’agognata decisione da parte del Collegio di Garanzia del Coni sul ricorso presentato dalla Juvecaserta per il punto di penalizzazione comminato dalla Fip per il ritardato pagamento, oltre i 5 giorni, dell’Irpef di ottobre (30mila euro). Il ricorso del club casertano risale allo scorso 20 marzo eppure solo una decina di giorni fa è stata fissata la data per la discussione del ricorso. Probabilmente lo stand by per fissare la data era legato ad una volontà... decidere a giochi fatti. Eh sì, evidentemente si puntava a riunirsi con Caserta già matematicamente retrocessa così nessuno avrebbe avuto motivo per dolersi, accoglimento o rigetto nulla sarebbe mutato. Ed invece così non sarà ed ecco che a farne le spese sarà ancora una

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volta la pallacanestro italiana. Non da ultima la considerazione che la storia cestistica di due piazze come Caserta e Pesaro avrebbero meritato... rispetto!

DIRITTI TV, CORSA PER QUATTRO Mentre la palla a spicchi del Bel Paese prende l’ennesimo ceffone in pieno volto dalla citata vicenda, si va a discutere, con trattativa privata, per l’assegnazione dei diritti audiovisivi per il prossimo triennio. E in questo caso si va sbandierando, anche a ragion veduta, di essere il secondo sport nazionale, di avere tanti appassionati e praticanti, etc etc... Peccato, però, che il rispetto lo si conquisti essendo credibili e certe vicende... Tornando alla questione diritti, sembra che improvvisamente le televisioni abbiano riscoperto la pallacanestro. La Legabasket ha ricevuto quattro manifestazioni d’interesse: Sky, Rai, Sportitalia e Gazzetta tv si sono dichiarate, unica assente all’appello Mediaset. Ma questa non è una novità. Così è subito iniziato il dibattito tra i fautori della trasmissione delle partite in chiaro e quelli della qualità, peraltro collaudata, di Sky. Ora sarà compito della Legabasket ascoltare, valutare e poi decidere anche se uno spacchettamento dei diritti potrebbe rivelarsi una scelta vincente. Ma forse sogniamo ad occhi aperti!

IN A2 SI ENTRA NELLA FASE CLOU Infine hanno già preso il via i playoff per la promozione in serie A. Primo turno senza sorprese con le compagini della Gold che, non senza qualche patema, hanno soffocato sul nascere le ambizioni delle squadre di Silver. Tra queste ultime ci si aspettava qualcosa in più da Treviso che, invece, ha dovuto abbandare i sogni di gloria. Ed ora entrano in campo le big.



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BASKET TI LAUREIAMO di Alessandro Bonazza

Una tesi per l’IMPRESA Trento

“Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”. Con questa frase, Josè Mourinho, uno dei più famosi allenatori di calcio, vuole far trasparire, attraverso l’enorme popolarità del calcio e dello sport in generale all’interno della vita umana, quanto esso non sia legato univocamente al mero risultato sportivo. Lo sport in Italia e nel mondo rappresenta un elemento caratterizzante nella vita di ogni essere umano e negli ultimi anni ha subito enormi evoluzioni ed è divenuto uno spettacolo a tutti gli effetti; grazie alla forte presenza dei mass media, gli atleti e gli addetti ai lavori in alcuni casi divengono nuovi eroi e miti da raggiungere, costituendo un vero e proprio “role model” per chi li guarda. Oltre a questo, il movimento sportivo si è evoluto divenendo una vera e propria industria capace di muovere ingenti somme di denaro, coinvolgendo tutta una serie di operatori economici che hanno capito come questo mondo possa essere molto utile per soddisfare tutta una serie di obiettivi da raggiungere. In questo mondo la presenza del marketing è imprescindibile e trasversale, coprendo quasi tutte le sfere delle società sportive. Diventa allora interessante analizzare il fenomeno del marketing del servizio sportivo, con particolare riferimento al mondo della pallacanestro, trattando il caso di Aquila Basket Trento. L’obiettivo del lavoro è evidenziare come, con l’avanzare degli anni, il ruolo assunto dal marketing nello sport rappresenti sempre di più una

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scelta intelligente, moderna e indispensabile per una qualsiasi società di qualsiasi categoria. In una serie di puntate della rubrica “Basket ti laureiamo” sul sito Baskettiamo.com, verranno trattati diversi argomenti inerenti il tema; nella prima parte analizzeremo l’applicazione del marketing al campo sportivo. Verrà introdotto il significato di “m arke-

ting sportivo”. Dopo una breve panoramica sulla “storia del marketing sportivo”, sarà fatta attenzione alle iniziative esperienziali e non competitive all’interno del panorama sportivo. In seguito verranno analizzate le quattro componenti del “marketing mix” dell’impresa sportiva. Descritte tutte

queste tematiche, nel capitolo conclusivo verrà studiato il caso di Aquila Basket Trento, unica squadra di pallacanestro a militare tra i professionisti in Trentino, tralasciando completamente le dinamiche di campo e concentrandosi sugli aspetti del management. Per fare ciò verranno raccolte una serie di informazioni partendo dall’analisi della proprietà ripartita di Aquila Basket, nelle sue componenti del “Trust Aquila”, del “Consorzio Aziende per lo Sport Trentino” e della “Fondazione Aquila”. Successivamente ci si concentrerà sull’analisi del progetto “Aquila Basket for No Profit”, evidenziando il ruolo attivo della società all’interno del “mondo solidale” Trentino che da anni caratterizza il “modus operandi” della società. In conclusione si tratterà il marketing mix dell’azienda sportiva applicato al caso specifico. Stay tuned, ovviamente sulle pagine di Baskettiamo.com.


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DANIEL MUCH MORE

È

servizio a cura di Francesca Riva fotografie di Simone Lucarelli

molto semplice poter descrivere un grande talento attraverso le imprese compiute, i momenti di gloria, elencando le maglie delle più prestigiose società italiane che ha indossato, eppure parole come vincere, migliorare, crescere, bastano a descrivere non solo un campione che ostinatamente decide di non accontentarsi mai, ma disegnano il ritratto di un guerriero, un ritratto che delinea i contorni di Daniel Hackett. Una immensa personalità, una tenace determinazione, un amore immenso per i genitori, per la madre che ne è la sua prima e più grande tifosa. Daniel è un grande atleta italiano che dopo essere cresciuto cestisticamente a Los Angeles ha deciso di tornare nel suo paese per offrire alla pallacanestro italiana tutto ciò che lo ha formato, è un ragazzo che nonostante le cadute e le ferite ha saputo sempre rialzarsi, che non si accontenta dei successi raggiunti e aspira al meglio, sempre e comunque. Un atleta che con il cuore grande scende in campo ogni giorno lottando per sé e per la squadra.


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Sei cresciuto cestisticamente parlando in un college americano, alla USC di Los Angeles, com’è stata questa esperienza? «Decisamente positiva e costruttiva allo stesso tempo. Consiglierei ad ogni giovane italiano innamorato di questo sport di intraprendere lo stesso percorso, il livello di gioco è molto alto, le strutture e le organizzazioni sono al top! Il tutto poi è circondato da molto entusiasmo e visibilità».

Perché hai preso fin da molto giovane questa decisione? «Volevo fin da subito misurarmi con i migliori, confrontarmi con loro, e ovviamente volevo crescere non solo a livello cestistico ma anche personale». È possibile fare un confronto con l’ambiente italiano? «Credo sia impossibile mettere a confronto le due cose, sono troppo diverse. Sono due mondi praticamente opposti e antitetici sotto molti punti di vista».

Hai deciso poi a 22 anni di tornare in Italia, perché? «Lasciai l’università durante il mio terzo anno, ne avevo ancora uno a disposizione ma decisi di non concludere il mio percorso proprio perché ero convinto di essere pronto per il grande passo. Mi sbagliai perché non lo ero».

La tua prima esperienza italiana è stata a Treviso nel 2009 nella serie massima, che ricordi hai di quel periodo? «La città è davvero stupenda, la società che ha scritto la storia della pallacanestro italiana era fortemente motivata a lanciare i giovani giocatori nel grande basket. È stato entusiasmante ma le responsabilità erano tante e poca la mia esperienza. Oggi posso dire che il mio rientro in Italia è stato un fallimento, dopo le prime difficoltà persi completamente la fiducia che avevo in me stesso».

Dopo questa esperienza hai indossato le maglie delle più prestigiose società italiane, come Pesaro, Siena e Milano, quali sono stati i momenti più belli e quali, se ci sono, dei rimpianti? «Non ho un momento particolare che amo ricordare. Ogni stagione è stata per me un grande

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passo avanti sotto ogni punto di vista, ogni istante mi ha aiutato a crescere giorno per giorno sia cestisticamente ma anche a livello umano. Un rimpianto c’è invece, avrei voluto riportare lo scudetto al grandissimo Valter Scavolini e all’intera città di Pesaro».

In riferimento a quanto accaduto con la nazionale e alla tua squalifica si è detto molto; a oggi, dopo aver superato i momenti più difficili hai qualcosa da dire? Ciò che hai vissuto potrebbe in qualche modo condizionare la tua esperienza in maglia azzurra? «Non voglio aggiungere altro, come hai detto, molto è stato detto e se ne è parlato fin troppo. Ovviamente spero che nulla possa condizionare la mia prestazione in campo. Oggi spero prima di ogni cosa di poter rientrare nel gruppo, tra i miei compagni, per il resto, anche in riferimento alla grande competizione che saranno gli Europei si vedrà tutto giorno per giorno».

Tua mamma è da sempre la tua prima grande fan. Che rapporto hai con lei? «È il mio angelo custode. Abbiamo un rapporto stupendo, un legame molto forte. Mamma è sempre stata al mio fianco e sempre lo sarà».

Ti appoggia sempre o in qualche occasione ha criticato le tue scelte? «Lei vuole sempre e solo il meglio per me. Come in ogni rapporto madre e figlio ci si scontra quando ci non si è d’accordo, e questo ovviamente accade anche a noi, ma la sua opinione per me è fondamentale in ogni istante».

Cestisticamente parlando, quanto è importante nella tua vita quotidiana? «Ogni volta che scendo in campo porto con me il suo spirito fiero e battagliero. Siamo due sagittari, passionali, testardi, duri e soprattutto molto determinati».

Oggi cosa ti aspetti dal futuro? Quali sono i tuoi sogni ancora non realizzati? «Ciò che voglio realmente è continuare a crescere, senza fermarmi mai. Voglio continuare a migliorare e a vincere, tutto qui. Per quanto riguarda i miei sogni, beh a questo ci penserò a fine carriera».


F L A S H BAC K

P arlare di Daniel Hackett oggi, trovare le giuste parole, le giuste domande ė davvero particolare. Non saprei descrivere i sentimenti contrastanti, vedendolo in campo, con la sua presenza imponente, quella pazza pettinatura in testa, la sua tenacia, non mi sembra vero sia la stessa persona che conoscevo. Io Daniel me lo ricordo bene quando eravamo piccoli, due bambini di 6 anni, ignari del futuro e del mondo in cui stavamo entrando per forza di cose, quello della pallacanestro. Eravamo a Pesaro, mio padre, Antonello Riva, giocava nella Scavolini e Rudy Hackett era il vice allenatore di quella squadra. Andavamo al palazzetto, io contro voglia mentre Daniel e Ivan, mio fratello, erano entusiasti. Ivan era più grande di noi, a 9 anni si sentiva già un uomo vissuto; mi fa sorridere ripensare alla sua faccia quando ci trovava in casa entrambi, Daniel lo adorava mentre io, un po’ timida e riservata, non sopportavo i loro continui dispetti. Giocavano insieme con il canestrino appeso alla porta della camera da letto e la pallina di gomma che puntualmente finiva addosso a me. Si adoravano, anche se Ivan spesso non gli dava retta, trattandolo come un bimbo, ma in realtà lo eravamo tutti! Io e Daniel siamo cresciuti insieme, le nostre madri Marina e Katia erano come sorelle, vivevano in simbiosi e ancora oggi la loro amicizia supera tempo e spazio. La nostra era la loro seconda casa e Katia e Daniel la nostra famiglia a tutti gli effetti. Così, ritrovarci insieme a pranzo o a cena era naturale, sempre una festa. Ricordo che Daniel chiamava “nonna Luigia” e “nonna Anna” le mie due nonne e ancora adesso, quando ci sentiamo, non ha perso questa bellissima abitudine. Gli anni di Pesaro a volte li ricordo in modo confuso, non sono stati molto facili per me, ero piccolina e all’improvviso mi sono ritrovata lontana da casa, lontana dai nonni e da tutte le mie piccole certezze per la prima volta nella mia vita. Ripensandoci adesso so di aver rimosso molti particolari di quel periodo, ma ciò che invece è impresso nella mia memoria sono proprio i bellissimi momenti passati tutti insieme. Spesso Katia racconta che ancora oggi, quando Daniel ha la casa piena di amici, dice che grazie “alla famiglia Riva” ha imparato ad avere la casa sempre piena di persone. Ovviamente con il tempo le cose sono cambiate, la distanza, gli impegni differenti, il nostro stesso girare per molte città italiane non permettono di vederci o sentirci spesso, ma nonostante questo ogni volta che accade non sembra passato nemmeno un giorno. Forse all’epoca non avevo nemmeno le possibilità di pensare a ciò che Daniel sarebbe potuto diventare, mai avevo pensato a lui come un campione di pallacanestro che per me poteva essere solo mio padre. Quando lo vedo in campo, lottare, combattere per una nuova vittoria, non posso far altro che pensare a quel bambino un po’ buffo e divertente con cui ho passato alcuni degli anni più belli della mia infanzia. E sono certa che per lui sia lo stesso!


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«Mamma, amica, confidente... rompiscatole all’occorrenza!»

Si dice spesso che siano le madri a conoscere nel profondo i propri figli, a maggior ragione se si tratta di figli maschi. E in questo caso nulla è stato detto di più vero, è proprio mamma Katia a raccontarci qualcosa di Daniel Hackett. Una donna dallo spirito “battagliero”, dalla simpatia innata, coraggiosa e sorprendentemente sincera. Katia, come hai vissuto l’esperienza di Daniel a Los Angeles? Credi che l’abbia aiutato a crescere? «È stata un’esperienza positiva sicuramente per la crescita cestistica di Daniel, importantissima. L’ha sicuramente aiutato a crescere, ha capito e accettato il sacrificio di lavorare duro per raggiungere il suo obbiettivo. Ha imparato ad essere forte per non cadere nella tristezza di aver lasciato Pesaro, amici e la mamma, si è rafforzato soprattutto come uomo». Com’è il tuo rapporto con Daniel? «Rapporto di mamma in primis, mamma presente, pronta a dare aiuto, mamma amica e confidente, mamma rompi scatole all’occorrenza! Lui sa perfettamente che ci sono e ci sarò sempre, nel bene e nel male. Daniel dice spesso che sono il suo angelo custode, forse é vero, sono molto protettiva, quando gioca vivo un subbuglio dentro di me, molto preoccupata dei contatti che potrebbe subire. Ero così quando era piccolo e sono lo stesso ora che lui è

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uomo. Forse quando gioca è lui a controllare me, cerca di stare attento perché io non faccia risse». Ti sei mai trovata nella condizione di dovergli dare consigli? «No, non gli do mai nessun consiglio, non sono all’altezza e non sono esperta, però gli trasmetto forza, prima e dopo le partite, con qualche messaggio. Lui non ha bisogno del mio consiglio, sa che ci sono». Hai un momento che ricordi con maggior felicità? «Si, ricordo benissimo la prima volta in cui è ritornato a casa dopo il primo anno a Los Angeles, insieme con una cinquantina di amici gli abbiamo fatto una fantastica sorpresa in aeroporto che avevamo raggiunto con un grande pullman, tutti insieme. La sua felicità me la porto nel cuore. Quando lui è felice io non ho bisogno di altro». Come hai vissuto invece il periodo squalifica? «Sinceramente non l’ho vissuta per niente bene, non mi piace ripensarci ma è bello ciò che finisce bene e meno male che è finita». Cosa speri per il futuro di Daniel? «Il meglio, che sia sempre al massimo, dove e come non posso saperlo, sarà ciò che il destino ha scritto per lui. Gli auguro solo felicità e tranquillità, ovunque si trovi e qualsiasi situazione starà vivendo».


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U N C ROATO I N

GONDOLA



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È

di Salvatore Cavallo

tra gli artefici della fantastica stagione di Venezia non certo perché è il top scorer della squadra. Hrvoje Peric, infatti, è sinonimo di concretezza, solidità fisica ma anche mentale e a trent’anni da compiere il prossimo 25 ottobre è nel pieno della maturità. Sbarcato in Italia nel 2010 a Treviso, dopo la parentesi di un campionato a Malaga, Peric è tornato nello Spaghetti Circuit chiamato da Cremona. Ora da due stagioni indossa i colori orogranata e quest’anno i tifosi della Reyer sognano ad occhi aperti… 16 ©RIPRODUZIONE RISERVATA


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Che cosa può dire per presentarsi come giocatore? «Penso che sto giocando la miglior pallacanestro della mia carriera. Tutto va per il verso giusto in questa stagione, allenatore, compagni, modo di giocare, ma forse prima di ogni cosa c’è che il duro lavoro alla fine paga». E come uomo? «Sono nell’età in cui ho abbastanza esperienza per sapere cosa è veramente importante nella vita. Salute, famiglia, 18 ©RIPRODUZIONE RISERVATA

felicità interiore, tutte le altre cose vanno e vengono, con alti e bassi, ma per me è fondamentale essere chiaro con me stesso. Questo è qualcosa su cui sto lavorando ogni singolo giorno». Qual è il suo sogno cestistico? «Nessun sogno solo divertirmi in ogni allenamento e provare a vincere ogni singola partita». Può essere Venezia la principale rivale di Milano nella lotta scudetto? «Mi piacerebbe dire che noi, Reggio Emi-


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lia e Sassari proveremo a sorprendere Milano non a vincere il campionato ma non vorrei mancare di rispetto alle altre partecipanti ai playoff». Per qualcuno il segreto della Reyer è Recalcati con la sua esperienza: che cosa ne pensa? «La carriera parla per il coach e non c’è bisogno di dire altro se non che è stata la scelta migliore per questa squadra e spero possa essere il mio allenatore fino alla fine della mia carriera». È sorpreso dalla stagione di Venezia?

«No per nulla. Abbiamo lavorato duramente dal primo giorno. Abbiamo davvero grande gruppo di ragazzi e i risultati in questi casi devono arrivare». A Venezia cosa è cambiato rispetto all’anno scorso? «È cambiata la squadra, l’allenatore, il lato del campo sul quale attacchiamo prima, i medici, le macchine… come si può vedere quasi tutto». Questa è la sua quarta stagione in Italia, la seconda con Venezia, quanto è migliorato in questi quattro anni? 19 ©RIPRODUZIONE RISERVATA


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«Mi sento più sicuro e convinto sul parquet. Questa è una cosa che viene con l’esperienza». Ha giocato in Croazia, Spagna e Italia: quali sono le differenze? «In Croazia il gioco è molto più lento, ma con più contatti. In Spagna il gioco è come in Italia,

di Lega Italiana? «Mi piace la bella atmosfera delle partite, non mi piace che ci siano troppi giocatori stranieri. Penso che dovreste avere più fiducia nei giocatori italiani». Chi è il miglior giocatore stra-

sere giocare nel campionato italiano e sono davvero contento di farne parte». Com’è la vita a Venezia? «Adoro Venezia. Credo davvero che è la città più bella del mondo e sfrutto ogni occasione per girare, imparare e scoprire

ma forse un po’ più intelligente. Qui corre tanto, ma a volte anche molto corri e tira. Confrontandoli, direi che il campionato italiano è più forte della Lega Adriatica ma peggiore di quello spagnolo». Cosa le piace di più e di meno

niero del campionato italiano? «MarShon Brooks» E italiano? «Michele Ruzzier» Come sono i tifosi italiani? «Grandi ed impressionanti. Mi sto divertendo a giocare in palazzetti pieni. È un privilegio es-

qualcosa di nuovo. Ha una grande storia così e benedico di poter fare questo lavoro che amo e vivere in questa città». Cosa le manca della Croazia? «La famiglia… i genitori, i fratelli, il nipote…».

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GLOBETROTTER L

D ’ I TA L I A di Eugenio Simioli

a sconfitta nel derby con Caserta ha definitivamente spento i sogni di gloria di una Sidigas nuovamente al palo dopo i sogni estivi. Il più abbattuto è, probabilmente, Daniele Cavaliero che di questa Scandone è la bandiera: 31 anni a gennaio, il triestino ha fatto il globetrotter spendendo una carriera dignitosa – condita da 5 presenze e 19 punti in Nazionale – tra Trieste, Milano, Roseto, Bologna sponda Fortitudo, Montegranaro, Pesaro e due parentesi in Irpinia: la prima nella stagione 2007/2008, quella della Coppa Italia e della storica qualificazione in Eurolega, e le ultime due, piuttosto avare di successi. Abbiamo sentito la guardia della Scandone, delusa dall’esito del derby che ha azzerato le speranze di poter cogliere i playoff, anche a causa del forte ritardo accumulato, un gap che orienta verso il basso (l’onerosa) stagione di Avellino. A nulla è valso il turn over tra Vitucci e Frates, né il terzo ritorno a casa del folletto Green, correttivi che probabilmente avrebbero cambiato le sorti dei biancoverdi se fossero avvenuti con un pizzico di anticipo.

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Cosa è cambiato con l’arrivo di Marques Green? «Lui cerca di mettere la squadra al primo posto, avevamo bisogno di una persona che mettesse in ritmo l’enorme talento che abbiamo. Non sto giocando per scelte tecniche, però sono disposto a tutto per il bene della squadra, anche se non conosco ancora un giocatore che è contento di stare 40 minuti in panchina».

Le differenze tra Vitucci e Frates? «Abbiamo cambiato qualcosa, dato che le cose non andavano bene. Il nuovo coach punta molto sull’aggressività difensiva. Ci ha dato una svolta, spero si possa continuare su questa strada. Dispiace molto per coach Vitucci, ma questo purtroppo è lo sport ed il business».

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Questo basket è molto diverso da quello in cui sei cresciuto tu? «Si, per tante cose. Adesso si pensa di più alla spettacolarità del gioco e meno alla sostanza, quando invece si sa benissimo che la difesa ti fa vincere le partite, e non l’attacco».

Quali sono stati i migliori compagni di squadra con cui hai giocato? «Il primo che mi viene in mente è Marco Belinelli, con il quale ho giocato alla Fortitudo. Ci giocavo contro negli allenamenti ed era davvero immarcabile!».

Dì la verità: avresti voluto avere un mitra per fermarlo? «Con Marco siamo amici, beh certo per quanto mi ha fatto dannare (ride ndr)». Ora gioca in una squadretta e non ha


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perso il vizio di sparare le bombe… «Credo che con l’esperienza fatta a San Antonio potrà essere ancora più decisivo per la nostra nazionale questa estate».

Altri grandi con cui hai giocato? «Beh, ci sono ancora Tyus Edney, Ron Rowan, Sasha Djordjevic, Claudio Coldebella. A Trieste Rowan aveva una velocità tale che potevi solo prendergli il numero di targa, ma non sperare di fermarlo». Il ruolo degli italiani quest’anno? «Credo che il nostro basket stia lentamente risalendo. Basta guardare cosa riescono a fare i vari Aradori, Gentile, Hackett, oltre ai ragazzi nella NBA. L’importante per i ragazzi di oggi è il campo, perché puoi anche allenarti con i campioni tutti i giorni,

ma se non giochi, non potrai mai provare cosa significa tirare ad un secondo dalla fine per la vittoria».

Ma è vero che hai rinunciato, nel 2004, ad andare a North Carolina? «Magari avessi potuto! La storia è questa: Dante Calabria che giocava a Trieste e mi disse che se mi fossi impegnato tanto avrei potuto provare a fare un’esperienza nella NCAA, ma nulla di concreto… ci sarei andato di corsa!».

Dove ti vedi tra dieci anni in panchina o dietro ad una scrivania? «In panchina avrei paura, figurarsi a combattere con cinque scappati di casa come me! La scrivania e l’organizzazione mi affascinano, chissà, un giorno magari…».

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I L M A H AT M A GANDINI di Michele De Francesco

el mondo del giornalismo sportivo e, in particolare, in quello cestistico, il nome emergente è sicuramente quello di Matteo Gandini, noto al grande pubblico per le varie trasmissioni dedicate e le telecronache della Liga ACB spagnola, in onda su Sportitalia, nonché per la conduzione sulla WEB-tv della Lega (Legabasketv.it), del programma “Serie A Beko LIVE”. Proprio al termine di una diretta pomeridiana di “Si Basket” su Sportitalia, a cui ci ha gentilmente invitati come ospiti, incontriamo Matteo per una chiacchierata che permette ai lettori di Baskettiamo Magazine di conoscere meglio l’uomo nuovo del basket televisivo. Prima di andare alla scoperta del nostro uomo, Baskettiamo.com partecipa con gioia alla nascita, avvenuta lo scorso 26 aprile,  di Alessandro, primogenito di Matteo e della consorte Silvia Crippa ai quali vanno le felicitazioni della redazione. 26 ©RIPRODUZIONE RISERVATA


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A quando risale il primo approccio giornalistico col basket? «Mastico sport e basket da sempre, fin da bambino - parliamo di quando avevo 7-8 anni - e facevo “finte telecronache” davanti alla tv; ricordo che abbassavo il volume del televisore e mi riprendevo con la videocamera di mio papà. Scrivevo inoltre “articoli” con una vecchia macchina da scrivere, sognavo, insomma, di fare il giornalista sportivo. Il primo, vero approccio semi-professionistico l’ho invece avuto poco prima di laurearmi (in Scienze politiche n.d.r.), scrivendo per alcuni siti amatoriali. Successivamente, ho iniziato sempre sul web - a scrivere in maniera professionale per siti specializzati. In seguito ho iniziato a fare alcune telecronache per Eurosport e, dal 2007, sono passato a Sportitalia a tempo pieno».

Dunque, mi pare di capire, una scelta professionale che rifarebbe? «Assolutamente sì, non ho il minimo dubbio. Unica cosa, devo dire che, anche se chi sta ‘”fuori” non se ne accorge del tutto, la mia è una scelta che costringe a delle rinunce: ho dovuto sacrificare molto tempo alla mia famiglia, a mia moglie, agli amici. Questo lavoro ti obbliga, nel weekend, ad essere sempre “in pista” e la stessa cosa vale per le serate. Il mio lavoro dura praticamente tutto il giorno e, al di là delle dirette, devo visionare continuamente highlights, filmati e partite, di ba-

sket, ma anche di altri sport americani, che sono sempre stati la mia passione (football e baseball). Insomma, sono riuscito a trasformare la mia “malattia” in professione e credo che non esistano altre passioni che coinvolgano tanto quanto questa».

Come vede il momento che sta attraversando il basket italiano e che prospettive ci sono per il movimento? «Credo che il basket sia un “prodotto” così bello di per sé, che non sia così facile valorizzarlo del tutto, come avviene per il calcio: le risorse a disposizione sono poche. La Lega qualcosa sta facendo; sicuramente si potrebbe fare molto altro ma mi sembra che si stia muovendo nella direzione giusta. Il punto su cui insisto spesso riguarda il modo in cui viene seguito il basket: come dicevo prima, seguo da vicino la pallacanestro e lo sport americano in genere, mi piace il fatto che negli USA sia vissuto tutto come una festa, un momento di divertimento al di là del risultato sul campo. Negli impianti ci sono intere famiglie con i bambini, si fa intrattenimento, con le mascotte, le cheerleaders, la gente invitata a partecipare a giochi durante l’intervallo (per esempio a tentare il canestro da metà campo). Sono tutte iniziative per attirare anche l’appassionato che non sia il tifoso hardcore».

Venendo al nostro campionato di Serie A,

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ritiene che risenta parecchio del fatto che diverse società appartengano a città piccole? «Sicuramente incide sul fattore economico ma c’è anche da dire che le grandi città non è così facile “tirarle dentro”: per esempio, Roma la squadra ce l’ha, ma non vincendo da tempo, ha poco seguito di pubblico. Insomma, è un po’ un cane che si morde la coda. La grande città non deve avere soltanto la squadra ma deve avere una squadra vincente, altrimenti la gente non va al palazzetto; quindi la gente porta più soldi e si può costruire una squadra vincente. E’ ovvio che non è così facile e scontato innescare il meccanismo giusto. Milano secondo me è stata brava, negli ultimi due-tre anni, a risvegliare la città, al di là dei risultati. Ora al “Forum”, anche in partite che contano relativamente poco, ci sono sempre 5-7.000 persone ed è tornato ad essere “di moda” andare a vedere l’Olimpia: non è poco essere riusciti a ricreare quest’atmosfera attorno alla squadra».

Cosa manca ancora affinchè in Italia il basket, secondo sport nazionale, spicchi definitivamente il volo? «E’ difficile rispondere perché tante delle cose che si dovrebbero fare, non si possono fare per mancanza di soldi. Sicuramente bisogna fare passi in avanti nel modo in cui il “prodotto basket” viene venduto, soprattutto a livello televisivo: penso ad esempio alla Spagna,

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alle clip che fanno ogni giorno, con le azioni più curiose; a quelle dei momenti più belli del mese. Insomma, creare un prodottovideo televisivo che vada oltre l’evento- partita. Inoltre, sempre perché sono sportivamente filoamericano, sarei a favore di una “Serie TOP” chiusa, senza retrocessioni, a cui partecipino le società che se lo possono permettere. Mi spiego meglio: qui abbiamo società in LegaDue Gold come Torino e Verona, che meriterebbero la Serie A non tanto per la squadra, ma per la piazza che rappresentano, mentre in Serie A ci sono società che non hanno bacino e soldi per essere competitive e, magari, possono ritrovarsi dopo sei giornate ad essere virtualmente retrocesse. In un momento economicamente difficile come questo, avere una Lega “chiusa” porterebbe ad avere un campionato più competitivo. Bisognerà vedere dove ci porterà l’Eurolega con la sua riforma, nonché con lo scontro in atto con la FIBA che sembra essere arrivato a livelli importanti. Ripeto, questo sistema di retrocessioni e promozioni va inevitabilmente ad abbassare il livello del campionato, perché spesso sale chi non ha le possibilità economiche per essere competitivo».

Parlando di diritti televisivi, pensa che


APRILE 2015

l’apertura alla paytv sia un fattore limitante alla promozione del prodotto-basket? « L’a rg o m e n t o spacca molto l’opinione pubblica. Personalmente, sarò forse di parte, sono fortemente contrario al basket sulla pay-tv. Penso che portare il prossimo campionato di serie A su “Sky” sarebbe un grosso errore, così come lo è stato quest’anno portare sulla medesima piattaforma la Legadue Gold e Silver e il campionato di basket femminile, perché i numeri di ascolto sono molto, molto bassi. Il basket ha bisogno di fare nuovi proseliti e di essere accessibile a tutti. Spero che la Lega in questo sia lungimirante: non avrebbe senso, per qualche soldo in più, rinunciare al basket in chiaro. Spero dunque che ceda i diritti a chi concederà più visibilità, a chi tratterà meglio il prodotto, facendolo vedere a tutti».

Diceva prima che, giornalisticamente parlando, lei nasce sul WEB: che peso attribuisce alla diffusione del basket attraverso la

galassia dei siti dedicati? «In questo momento storico direi che i siti svolgono un ruolo molto importante, ormai fanno quasi più testo dei giornali, che sono sempre di meno e con poco spazio disponibile per il basket, riducendo spesso la notizia ai tabellini della partita. In questo senso, il web va in controtendenza. Se vogliamo, il vero problema sta nel distinguere i “veri” siti di basket da quelli che sono “blog” di basket: la testata dice sempre cose vere, è equilibrata, riportando il tutto in modo neutrale. Nei “blog” non sempre questo avviene e ciò può creare un po’ di confusione. Secondo me, comunque, il web è diventato un punto di riferimento per il basket, anche se non può ancora competere col mezzo televisivo».

Professionalmente ha un sogno per il futuro? «Amo fare le telecronache, spero di poterne fare ancora, specie di eventi che mi interessano. Per due anni su Sportitalia ho fatto telecronache del football americano NFL, spero di tornare a farlo. Mi auguro di poter tornare a commentare l’Eurolega, come qualche anno fa, su Sportitalia e di poter commentare la NBA. Direi quindi continuare a commentare eventi sportivi più che condurre, che considero un “secondo impiego” meno stimolante rispetto ad altre cose».

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NBA

N B A AWA R D S Tempo di playoffs negli States e la post season ha iniziato a regalare emozioni e colpi di scena come da copione. Se nel primo turno Cleveland ha passeggiato senza tentennamenti a differenza di Atlanta, la cui corsa è messa a rischio da Brooklyn, ad ovest Golden State marcia spedita verso l’obiettivo con Spurs e Clippers impegnate in una serie dal pronostico più che mai aperto; nota di merito per Washington e Memphis, con i primi autori dello sweep ai danni di Toronto mentre i Grizzlies, in caso di vittoria con Portland, si candidano ufficialmente come mina vagante. Facciamo però un salto indietro guardando alle 82 gare di regular season per tracciare un bilancio e assegnare idealmente i nostri NBA Awards..

MVP stagionale è Stephen Curry. E’ il miglior giocatore della migliore squadra in stagione regolare, questo il

di Enrico D’Alesio

primo indizio. Aggiungete che SC, record di triple a parte, ha dato una dimensione nuova all’arresto e tiro e soprattutto al palleggio nel traffico, per velocità e spazi in cui e con cui questi fondamentali vengono eseguiti: in sintesi, nulla che si fosse mai visto prima. Infine, quello che esce dal suo basket non è sport ma poesia, unisce, come pochi nella storia, efficacia, naturalezza e bellezza nello stesso gesto. Tra i pretendenti il più vicino è stato Harden, mostruoso per costanza e nettamente il più abile della NBA nel procurarsi falli. Anthony Davis non può avere il premio (lo avrà presto) nonostante il miracolo-Playoffs a New Orleans. LBJ è stato un gradino sotto, ma ne abbiamo apprezzato l’intelligenza nell’adattare il proprio gioco, più aperto verso i compagni, anche quelli che non sono propriamente stelle. Westbrook ha avuto prestazioni fantastiche ma ha

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ancora parecchie lacune nel suo gioco, oltre ad aver fallito dove Davis è riuscito. Cousins merita menzione per i 24+12 di media, per il numero contenuto di Cousinate commesse e per esser andato a 4 stoppate dalla quadrupla doppia, statistica scritta solo da quattro giocatori nella storia.

Ampia rosa per il MIP: la scelta ha oscillato tra Schroeder e Motiejunas ma attribuiamo il premio al giocatore lituano, anche perché maggiore è stata la sorpresa per i suoi acuti. A un certo punto della stagione i suoi video erano messi a confronto con quelli del suo attuale coach McHale. La materia? Uso del piede perno in attacco, in cui McHale è uno dei maestri di ogni tempo. Dietro i due, ma di pochissimo, Draymond Green, esploso come sopraffino equilibratore del gioco di Golden State. Nominations anche per Bradley Beal, la nostra scoperta Has-


APRILE 2015

san Whiteside e per il nostro pupillo Rudy Gobert.

Rookie dell’anno, in un mondo senza infortuni, sarebbe stato Jabari Parker, ma in questa realtà crudele assegnamo il titolo a Andrew Wiggins, molto più lento di Jabari nell’ingranare nel mondo Pro, ma autore lo stesso di una stagione esemplare. Al secondo gradino Marcus Smart, il rookie dei Celtics è già da primo quintetto all-NBA in difesa e ha fugato i dubbi sul suo possedere o meno un tiro competitivo. Terzo posto per Zach il selvaggio, non solo per la vittoria nello Slam Dunk Contest all’ASG. Segnaliamo anche la grande stagione, pur in contesti iper-predenti, della seconda scelta Lakers, Jordan Clarkson, e di Elfryd Payton di Orlando.

Il coach dell’anno non può non essere Kerr, ma, alle sue spalle, il secondo gradino è affollatissimo. Lo meritano Budenholzer per gli Hawks versione-Spurs, Brad Stevens per la versatilità del suo allenare, per i miglioramenti fatti fare al 90% degli uomini a sua disposizione e per la genialità nel chiamare giochi vincenti negli ultimi secondi di gara. Jason Kidd si è confermato ai Bucks dopo la fantastica stagione coi Nets, pur privo di Jabari e con tanti giocatori infortunati nel corso dell’anno. David Blatt perché le responsabilità inattese (firmato per essere uno sviluppatore, gli

han preso Love e James con l’ordine di puntare l’Anello) non lo hanno piegato, e, dopo un inizio preoccupante, da gennaio in poi i Cavs han volato. Pop non può gareggiare, troppo forte.

Difensore dell’anno: difesa non è solo recuperare palloni o stopparli, ma soprattutto è annullare l’avversario instillandogli qualcosa anche nella psiche. Con questi criteri il miglior difensore NBA è Kawhi Leonard, seguito da Tony Allen; completa il podio il rookie Smart. Un mastino insospettato dai più è anche il Fratello-Splash, Klay. Molto dietro rispetto a questo quartetto ci sono i grandi stoppatori come Jordan e Davis.

Infine, il 6th Man of the Year. Difficile ballottaggio tra Lou Williams dei Raptors e Isaiah Thomas dei Celtics. A vantaggio del secondo è andato il fatto che davvero è un sesto uomo (mentre Lou quest’anno per l’infortunio a DeRozan è partito molte volte) e che fin dall’anno scorso a Sacramento il piccoletto biancoverde è stato il top scorer dei non partenti: quest’anno media di 16,5, con cui ha trascinato i Celtics nel loro Playoffs-push. Alle loro spalle il tedesco di Atlanta, Schroeder, l’umiltà di Iguodala nell’accettare meno minuti per provare a vincere l’Anello e Cory Brewer dei Rockets.

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MOCK 2015 a cura di Enrico D’Alesio

Ecco la seconda uscita del Mock di BM per il Draft 2015 della NBA. Non ci sono grosse novità, se non l’entrata di un lungo come Jacob Poeltl, austriaco ventenne seguito da tempo da diverse franchigie NBA, e l’apparizione di Cliff Alexander, da Kansas U., soggetto affatto semplice e al centro di una clamorosa esclusione dalle partite alla vigilia del Torneo di quest’anno da parte della NCAA stessa: facoltosi ex alunni di Kansas avrebbero aiutato con soldi e benefits la famiglia del giocatore, e questo non è concesso. Le altre variazioni riguardano la posizione di scelta: Towns (per molti il N.1), Winslow e Tyus Jones avanzano, così come Stanley Johnson, Dekker e Kaminsky, mentre Mudiay, Russell ed Hezonja perdono posti. Queste oscillazioni dipendono dal risultato del Torneo NCAA e dal fatto che ancora si attende per molti di questi ragazzi la dichiarazione di intenti sul passare nei pro o restare un altro anno al college o nei loro campionati. 32 ©RIPRODUZIONE RISERVATA

#

1

TEAM

Knicks

2

Lakers

4

Sixers

3 5

Kings

Name

J. Okafor

Ht

7.0

270

6.6

229

KA Towns

7.0

E. Mudiay

6.5

190

6.7

245

T.Lyles

6.10

250

K.Looney

6.9

J.Winslow

Magic

K.Porzingis

6.11

7

T’Wolves

D. Russell

6.5

9

Celtics

W.Cauley-Stein

Jazz

K. Oubre

6

8

Pistons Suns

Wt

S.Johnson

250

220 180

7.0

240

6.7

200

10

Hawks

12

Bucks

F. Kaminsky

7.0

240

14

Thunder

J.Grant

6.5

205

16

Blazers

11 13 15

Nuggets Rockets

M. Hezonja

6.2

190

6.8

240

S.Dekker

Hornets

M. Harrell,

19

Cavs

T.Jones

Pacers

20

Raptors

22

Cavs

21

Bulls

243

C.Wood

6.11

225

D. Wright

6.5

190

B. Portis

6.10

240

I.Taylor

6.2

190

J. Poeltl

7.0

C. Alexander

6.8

C. LaVert

RJ Hunter

25

Mavs

D.Johnson

27

Lakers

D. Booker

29

Nets

R.Hollis Jefferson

26 28

30

76ers Cavs

Warriors

230

6.11

Celtics Spurs

6.9

M. Turner

23

24

215

T. Rozier

17 18

6.7

220

6.1 6.7 6.5 7.0

190 200 185 255

6.5

185

6.7

220

235 254


APRILE 2015

Pos

C

FROM

Duke, Fr

VALUTATION

Tecnico, veloce, atletico, coordinato.

C

Kentucky, Fr

Coordinazione superiore, primo 7’slamdunk champ?

PG

Congo, Intl

Stazza, attacco, già esperienza pro in Cina.

SF

Arizona, Fr

Intrigante mix di Artest e Barkley, in potenza.

SF

PF/C PG/SG

Duke, Fr Let., Intl

Piccolo Jabari Parker, più incostante. Mani, piedi, tiro; leggerino.

Ohio St., Fr

Leadership, tiro, NBA ready.

C

Kentucky, So

Buone mani, intimidatore, attaccante da attivare.

SF

Kansas, Fr

SF/PF

Kentucky, Fr UCLA, Jr

Ottime mani e piedi, deficit di atletismo, giovanissimo.

Ottimo upside, ma forse è un tweener.

Atleta, con tiro; enorme apertura alare (7.2) per il ruolo

Wisconsin, Sr

Fondamentali tanti, atletismo poco, grinta a quintali.

PG

Notre Dame, Sr

Stazza, leadership, cervello, non un attaccante nato.

SF

Wisconsin, Jr

C/PF

Texas, Fr

Più difesa che attacco, mobile più che atletico.

UNLV, So

Ottimo al ferro, discontinuo ma grande upside.

SG

PG PF

CRO, Intl

Tiro, tecnica, visione, bella stazza per il ruolo.

Luoisville, So

Atleta, tira bene, decisionmaking da migliorare.

Louisville, Jr

Nba ready, animale da rimbalzo e schiacciate.

Duke, Fr

Stazza per il ruolo, ottima testa, non troppo atleta.

Pg naturale, penetrazione, difesa; piccolino, poco tiro.

SG

Michigan, Jr

SG

Georgia St., Jr

C

Kentucky, So

SG/PG

Kentucky, Fr

Da pg ha stazza, da sg ha tiro; atleta medio.

Arizona, So

Atleta, contropiedista, grande difensore.

PG PF

PG

Utah, Sr

Arkansas, So Texas, So

C

International

PF

Kanasa, Fr

Istinti da pg, facilitatore, attaccante, un po’ leggero

Stazza, leader, late bloomer, attaccante da migliorare

Lavoratore, gran tiro, dovrà crescere fisicamente

Tiro ok, mobile, forse debole intorno al ferro.

Acerbo ma enorme e cresce ancora, intrigante.

Gran penetratore, acrobatico, difesa 1vs1, no tiro da fuori. Stazza e velocità.

Talento problematico.

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PO Z ...Z ES CO APRILE 2015

« E r o d i ff i c i l m e n t e g e s t i b i l e , o g g i s i r i n u n c i a ad un giocatore come me. Ero un pò strano

m a avevo l e m i e r eg o l e e r i s p e t t avo t u t t i »

I

di Francesca Riva

strionico, stravagante, eccentrico, fantasioso e incredibilmente simpatico, ecco Gianmarco Pozzecco, colui che è tutt’ora una delle personalità più incidenti della pallacanestro italiana. Il “Poz” è stato un playmaker sopra le righe, fuori dagli schemi, un personaggio unico, un vero artista della palla a spicchi. Proprio il suo carattere estroverso, la sua leadership, la grande personalità mostrata in campo prima e in panchina adesso, col ruolo di allenatore, lo hanno reso uno degli uomini più conosciuti anche al di fuori del mondo prettamente cestistico. Gianmarco, quali sono le esperienze, gli avvenimenti che ricordi con maggior intensità della tua carriera da giocatore? «Parlarti del decimo scudetto di Varese o dell’argento vinto alle Olimpiadi di Atene con la Nazionale sarebbe forse scontato. Sono molto più legato alle persone, a momenti piacevoli, ricordo ad esempio quando a Cantù negli ultimi anni da giocatore i tifosi hanno esposto uno striscione in cui mi salutavano come loro amico. Sono queste le cose belle, gli attestati di stima, anche quando vado ancora oggi nei palazzetti». Sei infatti una delle personalità più note del basket italiano! «Si è vero, mi riconoscono anche coloro che non seguono prettamente la pallacanestro, anche in questo caso forse perché sono stato un po’ fuori dagli schemi e lo sono ancora oggi. Cerco anche di essere più serio ma non ce la faccio!». Quindi tu sei così naturalmente? Non ti sei mai costruito un personaggio che nella vita normale viene meno? «Ma magari! Io sono così sempre. Diciamo però che tante volte non mi prendo sul serio e in altre situazioni forse più banali si, sono un po’ senza equilibrio direi». Il passaggio da giocatore ad allenatore come lo hai vissuto tenendo conto anche di tutto questo?

«Inizialmente è stato tutto molto bello, ho avuto da subito a Capo d’Orlando la possibilità di instaurare ulteriori rapporti umani fantastici, di raggiungere degli obbiettivi sportivi importanti, avevo detto che avrei riportato la società nella massima serie come nel 2008 quando l’avevo lasciata giocando. E così è stato, era il mio sogno e sono riuscito a realizzarlo grazie anche a una città intera, alla famiglia Sindoni e a tutti i ragazzi che quell’anno hanno giocato nell’Orlandina. A Varese invece ho sofferto molto, sono entrato in un tunnel negativo. Abbiamo iniziato molto bene il campionato vincendo le prime 2 partite, il derby, creando delle enormi aspettative, poi per alcune coincidenze sfortunate, per mia inesperienza forse e per una serie di motivazioni che nel mondo della pallacanestro non sempre riesci ad individuare, le cose non sono andate come speravamo. Fortunatamente grazie all’arrivo di Attilio Caja, che ha svolto un lavoro super, ci siamo salvati e nonostante la stagione non sia stata entusiasmante, abbiamo raggiunto il minimo degli obiettivi che ci eravamo prefissati a inizio anno». Tra i giocatori, anche tra coloro che hai allenato, trovi qualcuno che possa vestire i tuoi panni e in cui ti rivedi? «La verità è che penso sia quasi impossibile trovare un giocatore come me, non perché io fossi eccezionale, clamoroso o altro. Ma perché oggi ti è concesso molto poco, ero difficilmente gestibile e adesso si rinuncia a un giocatore come me, si va in altre direzioni, verso un discorso di gruppo, di squadra che io riuscivo a rispettare rimanendo però al di la degli schemi. Racconto un aneddoto, partecipavo a un torneo in Argentina avevo freddo e al secondo tempo ho fatto la doccia e sono andato via! Ero un po’ strano lo so, ma avevo comunque delle regole mie, ho sempre rispettato tutti e in particolare i miei compagni di squadra. Oggi come oggi gioca35 ©RIPRODUZIONE RISERVATA


APRILE 2015

tori di così grande talento da dover gestire non ce ne sono, anche perché se sei bravo e magari un po’ suonato vai a giocare nell’NBA. Tra coloro che ho allenato, ho trovato sempre persone straordinarie, ragazzi fantastici ma nessuno che uscisse dalle righe, fuori e dentro il campo. Forse anche a causa di una cultura sportiva differente, una professionalità diversa, è tutto molto più rigido, più brutto da un certo punto di vista». E di giocatori talentuosi c’è qualcuno in cui credi particolarmente? «Tommaso Laquintana su tutti, giocatore straordinario, penso che possa sicuramente raggiungere l’ Eurolega ma non ha la mia stessa follia, fortunatamente per lui!». Il tuo rapporto con i giocatori e con l’ambiente cestistico com’è stato negli ultimi anni? «Penso di essere l’allenatore, giustamente, meno rispettato. Probabilmente questo è dovuto al fatto di non aver fatto la gavetta o per il mio allenare in un modo strano. Penso poi che il ruolo di allenatore sia un po’

marginale e, anche se è un paradosso, nonostante il mio ruolo condizionante sulla squadra, riuscivo a incidere maggiormente giocando. Non dipende più tutto da me come invece succedeva da giocatore». E invece che rapporto hai avuto da giocatore con i tuoi allenatori? «Difficile direi, umanamente parlando ho sempre stretto dei legami profondi ma, ad esempio, non concepivo l’idea di stare in panchina, era un affronto grande nei miei confronti e lo facevo sentire. Ma al di la di questo ancora oggi con tutti i miei ex allenatori ho uno splendido rapporto, anche con quelli con cui ho affrontato momenti non idilliaci a livello sportivo, come con Tanjevic. È una persona che adoro e amo e rispetto più di tutti coloro che ho conosciuto in 42 anni, lo stesso vale Recalcati, sembra più banale dirlo ma abbiamo un rapporto incredibile. Così come con tanti altri, il mio vice di Trieste, che ha allenato con me a Capo D’Orlando, Sussi, lo sento spesso e se non rispondo subito ai suoi messaggi dice che non penso

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più a lui». Cosa ne pensi dell’arrivo di Artest a Cantù, un grande personaggio dell’NBA approdato nel nostro paese? «È un evento super! Lui è uno dei giocatori più veri. È una cosa meravigliosa, per la pallacanestro e ovviamente per Cantù, per i suoi compagni di squadra e per tutti coloro che hanno la possibilità di conoscerlo e viverlo. Era necessario, stiamo andando verso una politica sbagliata di troppi stranieri in squadra ma se fossero tutti così ben venga! A parte gli scherzi, mi piacerebbe avere uno o due giocatori come Artest in ogni squadra e tanti italiani come quando giocavo io o Antonello Riva e altri, sarebbe molto meglio. Poi ho fatto una squadra di soli stranieri e ho sbagliato, è una responsabilità che mi assumo e ho anche pagato per questo ma, a maggior ragione, sono sempre più convinto che gli italiani debbano avere un ruolo più importante, in particolare se associati a personaggi come Artest da cui trarre comunque esperienza».


APRILE 2015

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APRILE 2015

I

L E GA BA S K E T 3 .0 di Marco Biggi

n un Mondo dove apparire sta diventando sempre più importante che essere, comunicare diventa fondamentale. Non fa eccezione ovviamente lo sport, dove oltre alle gesta del campo sono importantissimi i contatti e il rapporto con i tifosi, il vero motore di tutto. Con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa, il legame con i tifosi è diventato ancor più coinvolgente e totalizzante

e, al giorno d’oggi, grazie ai social network e alle app più evolute è ad esempio possibile chattare col proprio campione preferito o rivolgere domande agli addetti ai lavori, vederne foto e magari attimi di vita privata, tutte cose impensabili appena vent’anni fa. Questo mese abbiamo incontrato un uomo che attraverso nuove strategie di comunicazione sta cercando di risollevare le sorti

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di uno sport che, dopo i fasti dell’ultimo ventennio del XX secolo, ha aperto il nuovo millennio infilandosi in una crisi tecnica e comunicativa quasi irreversibile. Attraverso le parole di Maurizio Bezzecchi, responsabile comunicazione della Legabasket, analizziamo come la Lega promuove il suo prodotto e qual è la strategia per il futuro.


APRILE 2015

La comunicazione della Legabasket si è modificata tanto negli ultimi anni, qual è l’obiettivo? «Siamo passati in questi anni da una notizia diffusa tramite un comunicato stampa distribuito via fax, alla nascita di tanti canali e piattaforme che richiedono continui adattamenti se si vuole che la notizia sia “consumata”. Stiamo cercando di farlo lavorando d’intesa con i club con l’obiettivo finale di aumentare la visibilità del campionato di Serie A, dei suoi personaggi, dei suoi club e dei suoi sponsor. Questo individuando azioni comuni per creare sempre più notizie e spunti per i vari tipi di media che seguono lo sport, e il nostro in particolare, attraverso una molteplicità di strumenti che richiedono diversi linguaggi e sempre maggiori competenze. Prendo, ad esempio, i giocatori del nostro campionato: dobbiamo sapere tutto di loro e scoprire le loro “unicità”: così le loro schede sul nostro sito internet diventeranno sempre più ricche, con notizie, foto, approfondimenti a cui aggiungeremo anche video. Per questo, dal prossimo campionato vogliamo rendere operativo il progetto di “Media Day” che copra all’inizio della stagione tutte le squadre in diverse tappe, in modo che fungano da luogo di elaborazione e di confronto con club, giocatori e allenatori per produrre foto, notizie, interviste anche video il più possibile inediti da distribuire ai media e in grado di fornire spunti per tutta la stagione. Periodici e siti internet sportivi specializzati fanno già un grande lavoro di informazione quotidiana ma abbiamo bisogno di andare anche oltre ed interessare sempre di più anche i grandi media, con notizie diverse e con ogni mezzo».

Quali sono i principali canali di comunicazione dal suo punto di vista? «Il primo è ovviamente internet e come Lega ci stiamo provando con un sito aggiornato 7 giorni

su 7, 24 ore al giorno, dove privilegiamo foto di grande qualità, video e news, in particolare quelle statistiche, un nostro patrimonio da rendere sempre più evoluto trasformando le cifre e i numeri del basket (record, anniversari, confronti, etc) in notizie e spunti per i media. Poi migliorando sempre più i servizi durante le gare live: per chi segue la partita sul nostro sito internet (oltre 60.000 utenti di media nelle giornate di gara) abbiamo lanciato quest’anno il “video play by play” che fornisce la possibilità di associare alle azioni le immagini, in una sorta di live stream sempre attivo. La creazione di questo nuovo strumento ci permette di distribuire i contenuti più importanti nei social networks e renderli immediatamente fruibili a tutti. L’idea è quella di rendere queste pagine sempre più gradevoli agli utenti, un luogo d’incontro per vivere la partita e soprattutto interagire con essa: durante i play off, ad esempio, nelle pagine dei box scores delle gare, gli utenti potranno interagire, postare foto, commenti e video e rendere l’esperienza dei play off unica. Ecco, i social: siamo partiti in ritardo come Lega ma stiamo cercando di recuperare in fretta il tempo perduto attraverso una strategia che, grazie anche ai club e alle loro azioni social, crei una comunicazione sempre più integrata. L’obiettivo è far diventare gli attori protagonisti di questo sport i giocatori, che devono essere sempre più riconoscibili in tutti gli aspetti della loro vita che possano interessare gli utenti».

Tre pilastri della comunicazione: partiamo dalla TV, quali sono le strategie? «Sulla Tv credo che in questi anni si siano fatti notevoli passi avanti: grazie al lavoro e collaborazione dei club abbiamo aperto uno studio di produzione e distribuzione, implementato il format

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di ripresa, creato e distribuito magazines, migliorando complessivamente la qualità delle riprese delle emittenti locali con incontri periodici, considerando anche la possibilità, dal 2011, di trasmettere le gare in diretta in ambito regionale. Immagini di buona qualità trasmettono una buona immagine della Lega, dei suoi club e di tutto il movimento: è un momento economico difficile e con questo vanno fatti i conti, ma i club sono sensibili sotto questo aspetto: la qualità del prodotto televisivo è essenziale ma soprattutto questo prodotto deve essere il più possibile fruibile a tutti. E, in questo senso, abbiamo fatto notevoli passi avanti visto che gli highlights delle nostre gare sono visibili in chiaro su Rai, Mediaset, Sportitalia, Class: in particolare con quest’ultima abbiamo raggiunto un accordo che rende visibili le immagini del nostro campionato nei maxischermi degli aeroporti italiani, delle metropolitane e degli autogrill delle autostrade.

E per quanto concerne il web? «Sul web stiamo spingendo forte e, oltre al sito di cui ho parlato prima, la creazione di una web tv di Lega, con il suo punto di forza nella trasmissione domenicale “Serie A Beko Live”, una sorta di “Tuttobasket” che si collega con i vari campi della domenica pomeriggio, è stata un punto di svolta. Adesso l’obiettivo è quello di aumentarne i contenuti; i club hanno a disposizione un immenso archivio, compito della Lega sarà coordinare, raccogliere e digitalizzare tutto questo materiale per farne un patrimonio e un asset importante da mettere a disposizione dei club come già avviene nel calcio e al tempo stesso creare sempre nuove rubriche che possono far decollare definitivamente questa Tv insieme a contenuti live, che in accordo con i club, decideremo eventualmente di inserirvi e di implementare. Anche sul web abbiamo lavorato perché gli highlights del campionato abbiano la massima circolazione possibile: abbiamo concluso accordi con i maggior siti italiani da Repubblica.it (e anche con il network di siti dei quotidiani locali del gruppo L’Espresso) a Gazzetta.it per continuare con i siti degli altri quotidiani sportivi Corriere dello Sport e Tuttosport».

Infine per l’editoria quali sono le strade che percorrete? «Dal punto di vista della editoria anche qui abbiamo fatto passi avanti: la Guida al Campionato era un mero strumento per addetti ai lavori, adesso è diventato un importante strumento di comunicazione con foto, cifre, notizie sul campionato e i suoi protagonisti che ha avuto importanti risultati di diffusione in edicola, prima grazie all’accordo con il Corriere dello Sport e Tuttosport e adesso con la Gazzetta dello Sport, con cui distribuiremo anche il DVD della stagione, un altro strumento prodotto dalla Lega ormai da numerose stagioni. In più nel 2007 abbiamo convinto Panini a tornare ad editare l’Almanacco del basket in una operazione strategica per l’importanza del partner riconosciuto in tutto il mondo. Si tratta di una iniziativa che abbiamo poi ab-


bandonato dopo alcune stagioni ma che mi piacerebbe ripercorrere unendola ad un’altra importante operazione e cioè l’album delle figurine sempre con Panini. Anni fa avevamo raggiunto un accordo di massima su questo progetto che poi è stato rimandato ma su cui spero si possa lavorare ancora. Si tratta di strumenti diversi ma che devono unirsi e svilupparsi in un piano di comunicazione che deve servire più utenti possibili: i giovani preferiscono il web e i social ma dobbiamo considerare tutti i nostri utenti, anche quelli che vogliono avere una Guida bella e ricca da sfogliare o un Almanacco patinato da consultare e mettere in libreria. Non vorrei dimenticare la radio, un altro importante mezzo di comunicazione: oltre alla Rai, quest’anno grazie alla collaborazione del nostro Title sponsor Beko Elettrodomestici, del nostro campionato si parla anche su RTL 102.5, la prima emittente radiofonica italiana che ha oltre 6 milioni di ascoltatori al giorno».

Spesso i consumatori lamentano una scarsa qualità delle produzioni TV oggi in essere, soprattutto rispetto agli anni targati SKY, cosa si pensa di fare per il futuro? «Dal 2011 gli accordi che la Lega ha firmato con i vari broadcasters televisivi, da Rai a La7, le hanno delegato la produzione delle gare: che giudico nel complesso buona ma assolutamente migliorabile e lo faremo già da questi playoff. Certo negli anni targati Sky la produzione è stata di alto livello e l’obiettivo nostro è quello di arrivarvi, tenendo sempre presente che è anche l’alta definizione dei canali ad aumentare la qualità. Non sottovaluterei però l’altra parte della medaglia e cioè che il ritorno del basket in chiaro ha permesso di renderlo fruibile a tutti. Prima Rai e La 7, poi Gazzetta, sia con il nuovo canale sul digitale terrestre che sulla piattaforma internet, hanno permesso a tanti nuovi appassionati di avvicinarsi al basket, con differenti modalità di fruizione, penso in particolare alla piattaforma mobile. Ci siamo aperti ad un nuovo pubblico e ora dobbiamo puntare ad assicurargli una sempre maggiore qualità».

Può la Legabasket diventare un Brand riconosciuto e di valore? Se si, come si vuole perseguire questa strada? «Credo che la Lega e i club che la compongono intendano perseguire questo obiettivo come dimostra la recente chiamata di Julien Vigand a guidare il nostro dipartimento marketing. La sua precedente esperienza in Eurolega sarà importante così come l’esempio di altre esperienze vicine, su tutte la ACB spagnola, una lega che è ormai il modello europeo per eccellenza. L’esempio spagnolo ci dice anzitutto che servono anni di duro lavoro per costruire un brand riconosciuto e di valore, capace di attrarre sempre maggiori sponsor e creare maggiori risorse partendo dagli impianti anzitutto, per permettere agli appassionati di fruire sempre meglio dello spettacolo basket continuando a viverlo come uno sport pieno di emozioni, adatto alle famiglie e non violento, dove tifoserie di segni opposti possono stare insieme e tifare in assoluta tranquillità».


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APRILE 2015

A T U T TA . . . A 2 servizio a cura di Francesco “Ciccio” Ponticiello (*) Dopo una maratona di 26 giornate, i ritiri in corsa di Forlì e Veroli, il travaglio di Napoli, una piazza in cui la pallacanestro non riesce proprio ad attecchire, il campionato di Legadue è entrato finalmente nel vivo con la partenza dei playoff promozione, un’appendice che accoglie le prime otto formazioni del girone GOLD e le prime quattro classificate del girone SILVER, raggruppamento del piano inferiore (ma dal prossimo anno i due gironi saranno equiparati) a cui prendevano parte diverse piazze con trascorsi importanti in serie A come Scafati, Reggio Calabria, Roseto, Ferrara e Treviso. (*)

FRANCESCO “CICCIO” PONTICIELLO

esperto e navigato allenatore prestato a Baskettiamo Magazine, ma si potrebbe dire anche sagace penna prestata alla panchina, analizza le dodici aspiranti allo scranno che una fra Pesaro e Caserta lascerà libero al termine del campionato di serie A.

Starting 5

Playmaker) Juan Fernandez (Centrale del Latte Brescia) Guardia) Stefano Tonut (Pall. Trieste)

Ala Piccola) Omar Thomas (FMCFerentino)

Ala Forte) Raymond Benjamin (Angelico Biella) Pivot) Darryl Monroe (Tezenis Verona)

Coach) Alessandro Ramagli - Andrea Diana

Under 23

Playmaker) Tommy Laquintana (Angelico Biella)

Play/Guardia) Andrea Amato (Novi Più Casale Monferrato) Guardia/Ala) Stefano Tonut (Pall. Trieste) Ala) Eric Lombardi (Angelico Biella)

Pivot) Francesco Candussi (Pall. Trieste)

Coach) Fabio Corbani - Eugenio Dalmasson

MVP

Darryl Monroe (Tezenis Verona)

Rookie of the Year Ian Miller (Fileni Jesi/Manital Torino)

Italian Rookie Andrea La Torre (Veroli)

Coach of the Year

Alessandro Ramagli (Tezenis Verona)

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APRILE 2015

Tezenis Verona

La dominatrice della regolar season non può che essere la grande favorita per l’approdo in A1, e non solo per la bella in casa. Più di tutto incide l’invidiabile continuità mostrata durante tutta la stagione, la forte identità tecnico/tattica dal complesso di Alessandro Ramagli. Tutto gira intorno alla formula dei 4 esterni, peraltro emendata nel corso del match con il contemporaneo utilizzo di Monroe e Gandini, e l’affidabilità di tutti i meccanismi, sia offensivi che difensivi. Unica incognita, un possibile calo di qualcuno dei suoi otto uomini chiave. Ma l’ingaggio come “insurance player” di Mike Hall, pronto a subentrare nel corso dei playoff, in caso di infortunio a Monroe o Umeh, dimostra come non si voglia lasciare proprio nulla al caso. Uomo chiave: Darryl Monroe. Chi altro dispone di un giocatore simile…? Gioca indifferentemente pivot ed ala forte, produce punti in avvicinamento ed in pop out, difende duro, anche cambiando con i piccoli, segna e passa bene la palla. Sarà “undersize” quanto si vuole, ma è un extralusso in A2, e forse anche più su. Centrale del Latte Brescia L’unica compagine capace di tener testa a Verona nella sua cavalcata vincente, e proprio per questo da accreditare come principale competitor della Scaligera nella corsa all’A1. In grado di distribuire responsabilità, minutaggi, punti, ben 5 giocatori oltre la doppia cifra realizzativa, ovvero Brownlee (16,7), Fernandez (12,7), Cittadini (12,1), Nelson (11,3), Loschi (10,2), più Alibegovic e Benevelli, che ci vanno molto vicino. Il quintetto di Andrea Diana ha saputo eleggere diversi protagonisti e conservare, almeno fino al calo dell’ultimo periodo, grande concretezza e continuità. La post season rimette tutto in discussione, e gli scenari possono repentinamente cambiare, ma Brescia sembra esser dotata proprio di armi “da playoff”. Uomo chiave: Juan Fernandez. Solitamente, se un orchestra funziona, è merito di chi dirige. E Fernandez ha dimostrato in tutti questi mesi di saper padroneggiare benissimo il quadro comandi di Brescia. Leadership, capacità di alternare soluzioni, ritmi gara e così pure di produrre in proprio. Se non lui, chi altro…?

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APRILE 2015

Manital Torino

L’organico di maggior prestigio del torneo, Mancinelli, Giacchetti, Rosselli, Fantoni, Gergati, Bruttini, più due americani di talento come Lewis e Miller. Torino, anche dopo la rinuncia invernale a Valerio Amoroso, è ricchissima di talento. Eppure per Luca Bechi ed i suoi è stato un campionato all’insegna della discontinuità. Grande potenziale offensivo, pienamente scaricato in tutte le situazioni in cui ha potuto viaggiare ad alti ritmi, Torino ha invece faticato contro chi gli ha imposto controllo e difesa intensa. Ed è proprio l’aspetto difensivo l’autentica cartina al tornasole della post season sotto la Mole. Perché l’attitudine potrebbe non mancare, la continuità è da costruire. Potrà il clima playoff, il traguardo vicino, sortire effetti in tal senso? Uomo chiave: Stefano Mancinelli. In una squadra di A2, uno con il suo passato non può che essere in copertina. E lo è anche e soprattutto in chiave tecnica, per la capacità di interpretare il ruolo di ala in una modalità moderna, completa, sfruttando appieno il tanto talento. Il suo e quello di chi lo circonda.

Novi Più Casale Monferrato

L’ultima delle quattro compagini “costrette” ad aspettare il turno preliminare, ha investito molto sulla ricomposizione in Piemonte della struttura portante di Veroli, protagonista la scorsa stagione di un miracoloso approdo alle semifinali. Reduci da quella esperienza, Marco Ramondino, il play Tomassini, l’esperto tiratore Brett Blizzard, ex Virtus Bologna, Cantù e Reggio, ed il duttile interno Samuels. Proprio in virtù dell’affidabilità del gruppo, la Novi Più è riuscita a giocare un basket molto organizzato ed equilibrato, in cui hanno avuto un ottimo impatto le ali Martinoni e Natali, il rookie Marshall ed il “giovane/vecchio” Amato. Le chance playoff di Blizzard e soci passano per la capacità di ribadire in post season i loro equilibri. Uomo chiave: Brett Blizzard. La sua abitudine a prendere tiri importanti ed a metterli a segno, anche e soprattutto per la dote di fungere da fattore che concretizza il lavoro dell’organico piemontese, ma senza imporgli dipendenza, non può che essere decisivo nel fatturato complessivo di Casale Monferrato.

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APRILE 2015

Angelico Biella

Ripetere l’incredibile stagione scorsa, non era per niente facile e scontato per Fabio Corbani ed i suoi. Il semplice fatto che Biella sia di nuovo ai playoff, che mostri il medesimo mix tra la gioventù di larga parte dell’organico e il quartetto Berti/Raymond/Voskuil/Infante, anche in assenza dello stupore che l’aveva accompagnata 12 mesi orsono, parla di obiettivo centrato. L’infortunio di Voskuil e relativo cambio con Kyle Johnson comporterà evidenti correzioni nella formula tecnico/tattica, però è sempre l’impatto con il clima playoff dei tanti giovani in organico, dal play Laquintana, all’esplosivo Eric Lombardi, ai lunghi Chillo e De Vico, il fattore chiave per l’Angelico. E questo può fare la differenza come entusiasmo e motivazione. Uomo chiave: Benjamin Raymond. I suoi 22 punti + 8 rimbalzi totali di media, a maggior ragione per le differenze che intercorrono tra le caratteristiche di Voskuil e quelle del nuovo arrivato Kyle Johnson, non possono che essere centrali nell’investimento che Biella può e deve fare sulla sua post season.

FMC Ferentino

Attesa ad una stagione da protagonista, Ferentino ha svolto questo ruolo solo ad intermittenza. Ma i playoff sono il momento decisivo, ed aldilà del piazzamento in griglia, già dal 1° turno playoff con Recanati, coach Gramenzi e la sua squadra hanno la possibilità di mostrare tutta la loro forza. Perché l’organico è intrigante, completo, ricco di esperienza e qualità. Oltre ad Omar Thomas, a dispetto dell’età ancora un giocatore di livello superiore, l’impatto dei vari Guarino, Bucci, Pierich, Ghersetti può essere importante. E così pure l’alternanza nel ruolo di centro del duo Biliga/Allodi, per non dire del play/guardia, rookie, Markel Starks, la cui crescita ha sempre coinciso con i momenti migliori dei ciociari, e proprio per questo decisivo. Uomo chiave: Paul Biligha. Può sembrar strano che, proprio in una compagine così esperta, che dispone di un giocatore fuori categoria come Omar Thomas, appaia come giocatore chiave un pivot, ancora relativamente giovane, di formazione italiana. Ma i 7 mesi di campionato dell’FMC dicono proprio questo…

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APRILE 2015

Pallacanestro Trieste

Ha svolto per tutto l’arco della stagione il ruolo che la scorsa stagione è stato monopolizzato da Biella, “la sorpresa”, costruita con il duro lavoro in palestra di Eugenio Dalmasson, alla 5° stagione a Trieste, e dei suoi giovani. In tanti hanno ridotto il tutto all’esplosione del figlio d’arte Stefano Tonut, centrando l’evidenza dei numeri di questi, ma dimenticando altro dato numerico che sembra rimandare ai muli di Tanjevic. Ovvero che, esclusi Halloway, Grayson e Carra, gli altri 7 sono tutti “made in Trieste”. Con 5 under sui 10, conseguente che i giuliani se la siano giocata fino in fondo, con la solita Biella, il 1° premio per l’utilizzo dei giovani. Insomma un autentico esempio di programmazione, che vuole continuare a stupire nei playoff. Uomo chiave: Stefano Tonut. Uno che viaggia a 19,7 punti di media partita, aldilà di ogni discorso relativo all’età, ed alle chimere di confrontarsi immediatamente con l’A1, non può che essere l’ago della bilancia nei playoff. E come lui saprà reagire a questa pressione, conterà per Trieste e dirà tanto del suo futuro.

Moncada Agrigento

Come Trieste, ma per motivi diversi, un altro notevole esempio di programmazione. Franco Ciani è nella città dei templi dal 2011, e così pure Chiarastella. Entrambi hanno vinto dapprima la DNB, poi la Silver, e in sequenza, come mere sostituzioni di pezzi di un puzzle ideato ai tempi della B, sono poi arrivati i vari Delaurentiis, Piazza e quest’anno Evangelisti, Williams, Dudzinski, Saccaggi e Udom. Ma l’identità della squadra è definita da anni e fin nei minimi dettagli, cambiano i pezzi, non l’assemblaggio generale. Alessandro Piazza a dirigere le danze, Williams, Evangelisti, e Saccaggi a metter punti dal perimetro, Dudzinski che fa legna sotto, Chiarastella come “ministro della difesa”. Basterà per un clamoroso exploit? Uomo squadra: Alessandro Piazza. Per le caratteristiche di squadra, verrebbe da dire… Franco Ciani. Non potendo, si è scelto, e scusate se è poco, uno degli ultimi esempi di vero playmaker italiano doc. Ma per come gioca, distribuisce assist e difende, sempre della formula di squadra della Moncada, parliamo.

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APRILE 2015

De Longhi Treviso

Lo scontro Treviso - Agrigento intriga per tanti motivi, tra questi, quello foriero di particolare riflessione è che siano opposte le ultime due vincitrici di quella che fu la Silver. La Treviso di Stefano Pillastrini ha saputo coniugare perfettamente le necessità di un torneo di vertice, con l’obbligo di avviare una programmazione più ampia dell’orizzonte annuale. Di riflesso, contratti pluriennali al tecnico e investimento prospettico su giocatori nati dal ‘90 in giù. Infatti, Pinton, Rinaldi e Williams a parte, tutto l’organico è composto da giocatori under 24, con possibilità quindi di avviare, da subito, la struttura portante di una squadra che, se non già quest’anno, riporti Treviso in A1. Nel frattempo, senza pressioni, Treviso prova a dare il massimo… Uomo squadra: Agustin Fabi. Se nei due anni di Reggio Calabria, il buon Agu è stato capace di divenire sempre più leader tattico della squadra, nella “sua” Treviso ha dimostrato di poter fare altrettanto anche in una dimensione diversa. Anche oltre i mostruosi numeri statistici di Marshawn Powell, sempre decisivo.

Mobyt Ferrara

La squadra con l’organico più profondo della Silver, l’unica tra le 12 che hanno avuto accesso ai playoff ad aver cambiato guida tecnica, con Alberto Martellossi che ha preso il posto di Adriano Furlani. Ennesimo segnale questo, di come questa A2 sia lontana anni luce dalla frenetica effervescenza della Legadue degli anni zero. Ed in questo Ferrara non fa eccezione, con un asse play/pivot, Ferri/Benfatto, a Ferrara dalla DNB del 2011, più un complesso che ha stratificato negli anni la sua identità. Infatti, oltre alla stella Hasbrouck, davvero decisivo a questi livelli, il roster estense ha abbinato l’esperienza di Ferri, Benfatto, dell’eternauta Casadei e di Castelli, con la gioventù dei vari Amici, Bottioni, Pipitone e del rookie Huff.

Uomo squadra: Kenneth Hasbrouck. Un ‘86 del suo talento, in grado di giocare da protagonista assoluto in A1 con la Virtus Bologna, non può che essere un lusso, anche se opposto ai migliori di Gold. E sa essere protagonista anche nei momenti in cui sembra sonnecchiare, colpendo come una pantera, quando conta.

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Basket Recanati

Sotto l’esperta guida tecnica di Giancarlo Sacco, Recanati è riuscita a centrare dei playoff che, seppur non sorprendenti, sicuramente li vedono sopravanzare almeno 4 compagini, alla vigilia più accreditate. L’aspetto più evidente dei marchigiani è l’essersi affidati in sede di costruzione dell’organico al cosiddetto “usato sicuro”, a giocatori come Lauwers, Guye, Eliantonio, lo stesso capitano Pierini, che sono tutti, chi più, chi meno, sicuramente di lungo corso. In aggiunta, in regia il 92 Alessandro Zanelli, già vincitore di un titolo under 19 con la Benetton, che non ha fatto rimpiangere Fantinelli, strappato a Recanati proprio da Treviso. Ma più di tutto spicca l’accoppiata USA Sykes/Mosley, che caratterizza oltremodo i leopardiani.

Uomo squadra: Sykeys/Mosley. Impossibile scindere i due mori di Recanati, di un impatto fisico paragonabile a quello delle coppie che evoluivano nell’A2 degli anni ‘80 e ‘90. In grado di fare, in modo diverso, entrambi “densità difensiva”, richiamare aiuti e aprire spazi alle bollenti mani che li circondano.

Remer Treviglio

Con un organico che presentava una coppia di stranieri composta da un ‘93 ed un ‘95, entrambi dalla Repubblica Ceca, parliamo di Kyzlink e Slanina, quest’ultimo esordiente ed ex under 19 dell’Angelico Biella, cinque under, più, unici “giocatori di categoria”, Marino, Rossi, e Marusic, il commento estivo più ricorrente era: “Vincerà il 1°premio under della Silver, sempre che si salvi”. Ed invece Adriano Vertemati si è preso lo sfizio di aggiungere al premio under un clamoroso playoff. Come scritto in precedenza per Biella, Trieste ed Agrigento, la conferma di come nell’attuale A2, e forse ancora di più in quella unica al varo, la programmazione conti maledettamente. E nessuno pensi che Treviglio vada ai playoff “in gita premio”…

Uomo squadra: Tommy Marino. Con il pivot Lele Rossi, i veri “americani” di Treviglio. Ma la probabile assenza di Kyzlink, infortunato, farà divenire ancora più importante l’apporto di Marino. Come realizzatore e che come abilità nel richiamare aiuti e scaricare, per i lunghi così come per le triple di Carnovali.

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Il basket italiano si sfida su Facebook nella Social Basket Cup A2 E’ online il Campionato tra le pagine Facebook delle squadre dei Playoff di Serie A2 L’iniziativa è promossa da SuperNews in collaborazione con Lega Nazionale Pallacanestro. Il campionato di basket di Serie A2 approda ai playoff, ed anche Facebook diventa ancora più attivo con e migliaia di tifosi italiani impegnati a seguire nel mondo social le proprie beniamine. Da qui nasce l’idea di “Social Basket Cup”: una competizione online riservata alle pagine ufficiali dei Club che partecipano ai playoff del campionato di Serie A2. ’iniziativa è promossa SuperNews, testata giornalistica di informazione sportiva, in collaborazione con la Lega Nazionale Pallacanestro e le Società di A2 che aspirano alla promozione. Con Social Basket Cup la pallacanestro italiana si sfida su Facebook. Si tratta di un’applicazione innovativa che mette in sfida le pagine Facebook ufficiali delle squadre che partecipano ai playoff 2015 del campionato di Serie A2. Clicca qui per leggere il regolamento completo dell’iniziativa. I protagonisti sono i tifosi: sono infatti loro a stabilire chi vincerà i match votando le pagine Facebook in sfida. Giocare è divertente e gratuito. Dopo aver visitato la pagina Facebook di ogni compagine, i tifosi possono votare assegnando a ciascuna un punteggio che va da 0 a 5 stelline. Valutando contenuti informativi, interazione, multimedia (video, foto), iniziative. Il club che ottiene il punteggio più alto accede al turno successivo, l’altro abbandona la gara. Il regolamento Nel primo turno saranno in competizione tutte le squadre partecipanti ai Playoff 2015 e che hanno una loro pagina ufficiale Facebook (10). Il primo turno si svolge dal 25 al 30 aprile. Al termine di questa prima fase, le due pagine ufficiali meno votate saranno eliminate. Mentre le altre 8 accederanno al tabellone con abbinamenti 1-8, 2-7, 3-6, 4-5 in base alla classifica della prima fase di gioco (es: 1-8 equivale a dire la più votata contro la meno votata). La seconda fase (quarti di finale) si disputa dal 2 al 13 maggio; la terza (semifinali), dal 15 al 27 maggio; infine la Finale, tra le due pagine ufficiali di Facebook che avranno vinto i duelli di semifinale. Le votazioni per la vincitrice della Social Cup A2 si svolgeranno tra il 31 maggio ed il 10 giugno, data ultima per nominare la pagina ufficiale preferita tra quelle dei Club di Serie A2. Ad inizio di ogni turno il conteggio viene azzerato per la sfida successiva. Votare la propria compagine è divertente e gratuito: stravolgi la classifica ufficiale e porta alle prime posizioni la tua squadra del cuore! Vota la pagina Facebook della tua squadra e decidi chi sarà Campione della Social Basket Cup di Serie A2.


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VERONA IN

A LTA Q U OTA di Alessandro Coco

S

e a Ve rona si è tor nati a v inc e re e re s p i ra re l ’a r i a d e l g ra n d e b a s ket , co n una coppa Italia messa già in bacheca e d u n a p ro m oz i o n e c h e s o m i g l i a s e m p re più ad una pratica g ià pronta da timbrare e arc hiv iare , il me r ito va asc r itto ad una soc i e tà c h e h a s a p u to s c e g l i e re g l i u o m i n i g i u st i d a c u i p a r t i re p e r d a r c o r p o a l p ro p r i o p ro ge tto, d a A l e s s a n d ro R a m a g l i i n p a n c h i n a a i ra ga z z i c h e s e tt i m a n a l m e n te sgomitano sul parquet pe r r ipor tare in alto la Scalige ra. U n o d e i g ra n d i p ro ta go n i st i d i q u e sta sta g i o n e , f i n o ra s p l e n d i d a e s p l e n d e n te , è sta to s e n za d u b b i o D a r r y l M o n ro e , s o l i d a a l a p i v o t sta t u n i te n s e n a t i va d i Po rtsmouth, Virginia, 29 anni, sposato e padre di due f ig li, impatto devastante in un camp i o n ato i n c u i , a l l a v i g i l i a d e i p l ayo f f ( g i à iniz iati, ma Ve rona de butte rà il 2 mag g io), ha g ià prodotto c if re di tutto r ispetto.


l’Italia».

Cosa le piace fare fuori dal campo? «Stare in famiglia soprattutto, ho due bambini piccoli e mi piace soprattutto stare con loro nel tempo libero».

Che rapporto ha con la tecnologia e con i social media? «Più assiduo quando sono in Europa e gioco, essendo lontano dagli Stati Uniti. Quando torno a casa ovviamente i social li uso molto di meno. Non ce n’è bisogno, gli amici di sempre li ho vicini».

Come è iniziata la sua passione per il basket? «Di fatto l’ho sempre avuta, da piccolo ho anche giocato a football ma il mio vero desiderio è sempre stato quello di giocare a pallacanestro».

Come si sta trovando in Italia? «Ormai conosco l’Europa, sono stato anche in altri Paesi in cui ho avuto modo di apprezzare la qualità della vita e la cultura. Non ho avuto lo sbalzo di chi arriva per la prima volta in Europa dagli Stati Uniti, è stato più naturale ambientarmi quindi. L’Italia mi piace, Verona è molto bella ed accogliente, a misura d’uomo. Sto molto bene, così come la mia famiglia».

Che ne pensa del livello del campionato italiano? «Ci sono ottime squadre, la A2 Gold è un buon campionato seppur sia la seconda Lega italiana. Alcune soprattutto sono molto dotate, tecnica-

mente e fisicamente».

Quali sono le caratteristiche migliori del suo gioco? E in che cosa pensa di poter migliorare? «Mi piace giocare per la squadra, mi piace dare assist ai miei compagni e sentirmi parte di un gruppo tecnicamente ed umanamente come sta succedendo con la Tezenis. Credo di dover migliorare nel tiro da fuori, negli altri anni ho tirato molto di più prima di venire in Italia. Ora sto tirando meno, ma perché il mio gioco è molto più interno».

Ha giocato già in diversi campionati europei, quali le differenze con la A2 Gold? «Difficile fare delle differenze, soprattutto perché in certi Paesi ho giocato nella massima serie ed in altri, come in Italia, nella seconda. Un aspetto che mi viene subito in mente è la taglia dei giocatori, molto più fisici ed alti ad esempio in Spagna rispetto al-

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Giocando in Europa cosa ne pensa delle dichiarazioni di Kobe Bryant riguardo la scuola americana e la sua inferiorità a livello di fondamentali rispetto a quella europea? «Sono d’accordo ma non completamente. In tutto il mondo il modo di insegnare la tecnica ai giocatori di basket è diverso. Credo sia naturale. Ed è vero anche che in America, soprattutto nell’Nba, si stia enfatizzando in particolare la parte atletica, le doti fisiche davvero pazzesche di certi giocatori ed in generale la spettacolarità di certe giocate. Sono mondi differenti, ma anche livelli differenti. Ogni contesto ha la sua pallacanestro».

La Coppa Italia, emozioni? «Ero molto felice dopo aver vinto la Coppa Italia. È stata una grande emozione al termine di un grande percorso, di un’ottima stagione fin qui e di una Final Six davvero equilibrata, con due grandi nostre prestazioni con Torino e Ferentino, in una finale finita all’overtime e molto emozionante credo anche per il pubblico. È stato bello, alla fine, condividere questo momento con i nostri tifosi».


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FIGLIO

D’ARTE

E M O LT O DI PIU’ di Carmelo Barretta

Figlio d’arte è un’etichetta che spesso rischia di bruciare i giovani talenti in rampa di lancio. Fortunatamente, quando c’è anche la testa oltre alla tecnica e al talento, il figliol prodigo tiene fede alle aspettative, spesso le supera non limitandosi ad emulare le gesta paterne ma andando decisamente oltre, si veda, ad esempio, lo straordinario percorso compiuto da Gallinari jr. Canturino di nascita, ma solo perchè avvenuta contemporaneamente alla militanza brianzola di papà Alberto, ma chiaramente triestino di origine, Stefano Tonut ha sciorinato una stagione da incorniciare fatturando 19,4 punti di media a partita per un totale di 524 in 27 gare, conditi da 33 assist e 56 rimbalzi. Numeri importanti per il play della Pallacanestro Trieste, squadra giovane ma ambiziosa, partita con l’obiettivo di salvarsi è capace invece di staccare l’ultimo biglietto disponibile per la post season. Tonut è un cognome importante nella città giuliana: papà Alberto, nato a Trieste 31 anni prima, è stato l’ala forte della squadra nei primi anni ‘80 e poi dal ’94 al ’97, dopo una parentesi a Livorno e, come detto, a Cantù. L’Italia, dopo Meneghin, Gallinari e i fratelli Gentile, si coccola un nuovo “nome noto”, la vera rivelazione del campionato A2 Gold versione 2014/2015.


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Doverosi, innanzitutto, i strato grandi qualità nel non solo del coach ma delcomplimenti per la stagione saper lanciare i giovani. l’intera società? e per il traguardo raggiunto Ruzzier (attualmente a Ve«E’ assolutamente positivo dalla squadra. nezia) è l’esempio più reche una società punti sui «Si, credo che questo succente. Quanto è giovani specialmente se in cesso sia sicuramente merifondamentale per un giogran numero come qui a tato per la squadra e per vane avviare la propria la città». carriera con questo Ad ottobre, dopo l’ottimo coach? avvio a livello personale e «Come ho già detto prima, di squadra, dichiarasti puntare sui giovani non è che il vostro “scudetto” mai sbagliato. Da perdere sarebbe stato la salvezza. hai ben poco e poi vieni riLa regular season si è appagato dal sacrificio del pena conclusa e vi siete giocatore, per cui per il assicurati un posto ai coach è stimolante aiuplay-off. Qual è il punto di tarlo nella crescita. Daforza di questo gruppo? malsson, in particolare, è «Per affrontare una stastato già bravissimo con gione del genere era neMichele la scorsa stagione cessario poter contare su e si è ripetuto anche queun gran collettivo, altrist’anno con l’attuale menti non saremmo riugruppo, a cui si sono agsciti a raggiungere la giunti nuovi ragazzi come salvezza che poi abbiamo Marini, classe 1995. Credo conquistato prematurache il coach, che è qui da mente. Poter contare su tanto tempo, stia raccoun gruppo solido e molto gliendo ora i risultati di affiatato ha portato a lot- Alberto, papà di Stefano, ai tempi di Livorno ciò che ha iniziato a fare tare per un obiettivo che qualche anno fa. Indubin pratica è nato a metà stabiamente con lui sei sempre Trieste e, come nel mio gione. Siamo ragazzi che a tuo agio, ti dà tutta la ficaso, di ragazzi che giocano stanno bene assieme, che ducia necessaria e se le cose con la squadra della propria lavorano in sintonia e con vanno male, è sempre città. Questo sicuramente ci continuità. Questa, a mio pronto ad aiutarti a tornare responsabilizza e il conparere, è la chiave di questo sui binari giusti». fronto con giocatori di espesuccesso». Essendo figlio d’arte, non rienza e di livello superiore Il roster triestino ha un età possiamo non citare tuo ci aiuta a migliorare». media di 24 anni e ben 9 padre Alberto. Rispetto a Eugenio Dalmasson ha moatleti su 11 lui, giochi in sono under un ruolo di25 con verso ma in Marco Carra molti scomnelle vesti di mettono unico vetesulla possibirano della lità che tu risquadra. percorra le Quanto è imsue gesta. Ti mette presportante, sione questa per un giosituazione? vane, sentire «Finora ho la fiducia

Stefano e Alberto Tonut pronti a sfidarsi

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sempre giocato a Trieste e avere questo cognome mi ha portato inevitabilmente a “subire” questo confronto. Magari qualche anno fa volevano che dessi qualcosa in più di quello che già davo forse proprio perché mi chiamo Tonut. Poi sono cresciuto, sono migliorato e adesso i paragoni sono tutti positivi. Credo sia inutile farli perché siamo giocatori diversi e perchè forse è troppo presto considerando tutto ciò che mio padre ha fatto in questo sport ed in particolar modo in questa città». Gallinari e Gentile: essere figlio d’arte è più un peso per i continui paragoni o uno stimolo a superare le gesta del proprio padre? «In genere credo che all’inizio è sicuramente più un peso per gli inevitabili confronti che si fanno. Però ritengo che avere un padre con un passato nella pallacanestro, che abbia già provato determinate sensazioni, sia importante perché lui è il primo tenermi coi piedi per terra quando le cose vanno bene, come sta accadendo in questo periodo, ma sa anche spronarmi quando le cose vanno male. Quindi, penso che essere figlio d’arte col tempo diventi uno stimolo a migliorarsi sempre». Il basket, oltre a tuo padre Alberto, è nel

tuo destino: nato a Cantù, ma cestisticamente cresciuto nel triestino, altra piazza storica. Quanto è importante l’ambiente giuliano per la tua formazione? «Sicuramente posso ritenermi fortunato perché finora ho sempre giocato e vissuto a Trieste, a casa mia. Quindi aver avuto sempre vicino la mia famiglia e miei amici è stato fondamentale. Questa città, poi, aiuta molto ed è splendida sotto qualunque aspetto per la tranquillità che si respira sempre». La serie A2 Gold è in sostanza un campionato di sviluppo soprattutto per i giovani. Eppure sono tanti i problemi registrati durante la regular season, con la cancellazione in corsa di Veroli e Forlì o crisi societarie come Napoli e Jesi. Ti sei fatto un’idea del basket italiano come movimento? «Ritengo che Gold e Silver siano davvero importanti per noi giovani. In questa categoria ho trovato molto spazio per migliorare e crescere. Ma non li considero dei campionati giovanili. Anzi, ti ritrovi a giocare contro gente esperta anche più

forte di te che magari ha esperienze in serie superiori. Quindi sono due campionati importanti che andrebbero tutelati e aiutati. Dirò di più: attualmente, preferisco guardare una partita di Gold piuttosto che di serie A, dove magari su dieci giocatori otto sono stranieri. Lo spettacolo sarà sicuramente minore, però almeno sono persone che conosco e soprattutto sono in larga parte italiani. Per questo spero che prima o poi anche la serie A inizi ad affrontare questo problema dando più spazio a noi italiani. Fare questo, ovviamente, aiuterebbe anche la nazionale che potrebbe contare su più giocatori». Sei appena tornato dalla terza convocazione nella nazionale sperimentale di Pianigiani. Che sensazioni prova un giovane ventenne che respira già quest’aria? «Posso solo ringraziare tutto lo staff della nazionale per il contributo che ha dato alla mia crescita. Ho lavorato e giocato con persone che sognavo di incontrare quand’ero alle giovanili. Sono convinto che sia davvero importante passare dei giorni con coach differenti soprattutto per apprendere nuove cose. Gli stage estivi, poi, sono diversi perché magari durante la stagione sei co n c e nt rato più sulle gare da giocare

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che su te stesso. La mia speranza è che questa esperienza possa ripetersi anche questa estate». In estate i rumors parlavano di un forte interessamento della Virtus Roma, desiderosa di accaparrarsi un giovane di ottima prospettiva. Alla luce della tua splendida stagione, pensi di poterti già affacciare al campionato di massima serie?

non andrei via per un anno per poi magari tornare in Gold o Silver per dover riemergere. Se mi muovo è perché c’è qualcosa di serio, qualcuno che vuole puntare su di me e magari su un gruppo più italiano possibile». Chi ti ha messo più in difficoltà questa stagione? «Come squadra direi Agrigento. Nel girone di andata incontrammo molte diffi-

un rapporto particolare tra noi, lavoriamo e ci divertiamo insieme e penso che questo si sia visto». Con chi ti piacerebbe giocare? «Mi piacerebbe giocare con Daniel Hackett. E’ un gran giocatore». In conclusione, un pregio e un difetto di Tonut “giocatore”….. «Quest’anno credo che la costanza sia stata un pregio

«Il sogno di ogni giocatore è arrivare più in alto possibile. Per farlo bisogna comunque provarci anche se non si è prontissimi. Dopo una stagione del genere, se ci sarà una situazione interessante tipo una squadra che voglia puntare su un determinato progetto, potrò prendere in considerazione questa esperienza. Ma solo se c’è un progetto:

coltà con loro e non è un caso che sia ai playoff. Come giocatore Viktor Gaddefors di Mantova». Con chi hai legato maggiormente fra i tuoi compagni? «Non c’è una persona in particolare. Come ho detto prima, il gruppo è stato il punto di forza. Gruppo a cui si sono aggregati gli americani in una maniera eccezionale. Abbiamo davvero

per il rendimento che ho avuto e che è stato abbastanza lineare. Era un obiettivo che mi ero prefissato e l’ho raggiunto. Come difetto sicuramente la difesa, so che devo migliorare ancora». ….e un pregio e difetto di Stefano “uomo”. «Sono testardo e per me esserlo è sia un pregio che un difetto».

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T TR RE EV V II S SO O UNIVERSO IN M OV I M E N T O 62 ©RIPRODUZIONE RISERVATA


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È

di Andrea Ninetti

vero, qualsiasi sport si stia guardando, sono i grandi campioni a rubare sempre la scena lasciando a bocca aperta con i loro sopraffini gesti tecnici ma molto spesso sono le piccole grandi storie quelle che più stuzzicano la fantasia e la curiosità degli appassionati. Nella pallacanestro italiana, sempre più povera tecnicamente e maltrattata a livello mediatico, c’è un lungo elenco di società che rappresentano piazze storiche, nobili decadute in fila alla ricerca del varco giusto per rientrare nei salotti buoni dopo anni di inferno sportivo. Fra queste ce n’è una con appena tre anni di storia alle spalle ma che in realtà è erede di una tradizione lunga oltre quarant’anni. Spinta da una città di poco più di 80mila anime, l’Universo Treviso, nata nel luglio del 2012 dopo l’abbandono del

basket professionistico da parte della famiglia Benetton, si pose da subito l’obiettivo di riportare in alto la città, puntando su persone che potessero dare, con la loro presenza, il necessario impulso emotivo al nuovo progetto. Furono Claudio Coldebella e Riccardo Pittis i principali fautori per la costituzione del Consorzio Universo Treviso, nato con il chiaro intento di convogliare il tessuto industriale del territorio e formare così quella solidità economica che permettesse di non disperdere il patrimonio creato della vecchia Pallacanestro Treviso negli ultimi trent’anni. Nonostante gli sforzi però, il nuovo club non riuscì ad acquisire il diritto sportivo dalla precedente proprietà e così si arrivò al doloroso colpo di spugna. La rinascita doveva necessariamente affondare

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le radici nel glorioso passato e la scelta di puntare su figure importanti della pallacanestro trevigiana, in quest’ottica, si è rivelata indovinata: ex giocatori che hanno fatto la storia del club come Andrea Gracis, ex regista in campo e attuale direttore sportivo, il già citato Riccardo Pittis, per il quale la sua straordinaria carriera parla da sola, o Paolo Vazzoler, il piranha che un tempo lottava sul parquet e che fin dalla nascita del nuovo sodalizio, targato De Longhi, ricopre la carica di Presidente. Nuovi anche i colori sociali, passati dal biancoverde al biancoazzurro, mentre è rimasta intatta la passione del pubblico trevigiano che, pur essendosi abituato negli anni

ad ammirare campioni assoluti come Del Negro, Kukoc, Teagle, Iacopini, Naumoski, Woolridge, Rebraca e Bargnani, tanto per fare qualche nome, diretti da veri artisti della panchina come Obradovic, Messina, D’Antoni, Blatt, Repesa e Djordjevic, non ha mai smesso di far sentire il proprio calore alla nuova squadra. Ma chi ha il compito di riportare Treviso dove le compete? Un manipolo di giovanotti guidati da Stefano Pillastrini, tecnico bravo nel lavoro con la linea verde ed esperto in promozioni, dotato di quel carisma necessario a plasmare un gruppo che può contare sia su elementi di prospettiva come Fabi, Fantinelli e gli americani Powell e Williams, che su gio-

catori esperti come Rinaldi e soprattutto Pinton. Vinto il difficile raggruppamento di Legadue Silver, il club della Marca ha dovuto cedere il passo ad Agrigento nel primo turno dei playoff per la promozione in serie A, ma non c’è dubbio che la scalata ricomincerà già a partire dalla prossima stagione, quella che vedrà la nascita della nuova Legadue, composta da due gironi paritetici e non più comunicanti, che metterà in palio un solo biglietto per la categoria superiore, un Paradiso che a Treviso non vogliono più attendere.


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È

in arrivo una grandissima primavera per il basket in carrozzina, con la Final Eight di Coppa dei Campioni con quattro squadre italiane impegnate nel week end del primo maggio ma soprattutto l’inizio delle finali scudetto che vedranno nuovamente di fronte il Santa Lucia Roma ed i Campioni d’Italia della UnipolSai Briantea Cantù. Per presentare questa grande sfida che vale il tricolore, abbiamo voluto questo faccia a faccia tra il presente ed il futuro del basket in carrozzina: da una parte Matteo Cavagnini, trentunenne pivot bresciano di nascita ma oramai romano “de Roma” di adozione, autentica bandiera e simbolo di questo sport nonché capitano coraggioso del Santa Lucia e della Nazionale. Dall’altra Filippo Carossino, ventunenne di Arenzano con lo stesso ruolo (pivot) nel roster della UnipolSai Briantea, astro nascente (ma forse già nato) del “wheelchair

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I DUE N E di Alessio Teresi


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EMICI

basket” italiano e considerato proprio l’erede naturale di Matteo. Due caratteri diversi, come si potrà anche leggere dalle loro risposte, ma accomunati dal grandissimo amore per il basket e con un concetto dello sport che andrebbe insegnato a chi ancora non lo ha capito.

Il 9 maggio scatterà la finale scudetto, ennesimo capitolo della saga infinita Santa Lucia e Briantea che ha avuto già due prologhi quest’anno in Supercoppa e Coppa Italia. Cosa temi maggiormente dei tuoi avversari? Matteo Cavagnini: «Hanno senz’altro un coach (il francese Mailk Abes n.d.r.) di primo livello ed un organico da paura». Filippo Carossino: «Sono una squadra molto forte, esperta, molto fisica. Giocare contro di loro non è mai facile, stiamo lavorando per rimediare agli errori fatti nelle gare precedenti. Siamo consapevoli della loro forza ma anche della nostra, sarà

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un grande match, vedremo chi la spunterà». Cosa ha secondo te la tua squadra in più rispetto agli avversari? M: «Il Santa Lucia ha una storia così importante che l’ha portata a reagire sempre in ogni situazione, spesso imparando dai propri errori». F: «Quando si affrontano due squadre di questo cali-

bro è dura dire cosa una ha più dell’altra, è una sfida che si gioca sempre sul filo di lana, ogni possesso potrebbe essere quello decisivo, il minimo parziale può dare fiducia, ma in tutti questi anni abbiamo assistito sempre a partite decise negli ultimi secondi. Abbiamo caratteristiche tecniche differenti ed uno sviluppo del

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gioco diverso l’una dall’altra, sarà una serie affascinante da vedere». Cosa invidi di più a Filippo/Matteo? M: «Sicuramente l’età (sorriso) ed il percorso con la nazionale under 22 che ha avuto la fortuna di fare. Ho iniziato a giocare a 17 anni ma purtroppo all’epoca non esistevano ancora le nazionali giovanili». F: «Matteo è un grande! Prima di apprezzare le sue grandi caratteristiche tecniche ho apprezzato fin dal primo momento in cui sono arrivato in Nazionale quelle umane, un vero uomo squadra, un capitano davvero speciale. Sono molto contento di poter dire, un giorno, di aver avuto il privilegio di vestire la maglia azzurra al fianco di uno dei più grandi di sempre. Indubbiamente, per un ragazzo giovane come me, è un modello da seguire». Veniamo alla Nazionale: dopo il fantastico mondiale di Corea arrivano gli Europei in Inghilterra questa estate con in palio 5 posti per un sogno chiamato Rio

2016. Quante possibilità credi abbia l’Italia di centrare la qualificazione e quali sono le squadre che temi maggiormente? M: «Dopo le tre Big (Inghilterra padrona di casa, Spagna e Turchia) ci siamo noi insieme a Germania, Olanda e Svezia. Credo che chi arriverà più in forma alla manifestazione riuscirà ad ottenere la qualificazione». F: «Siamo un gruppo forte, un fantastico mix di esperienza e giovinezza. In Corea abbiamo dimostrato di essere una grande nazione, abbiamo lanciato un messaggio importante. Non mi piace fare previsioni, credo nel nostro lavoro, credo nella mentalità che ci ha trasmesso il coach e ci ha permesso di fare un grande mondiale, rispetto per tutti, paura di nessuno. Ci sono molte nazioni forti, ad oggi credo che solo l’Inghilterra abbia quel qualcosa in più delle altre. Ci sono ancora diversi mesi di lavoro per preparare al meglio questo torneo, quello che posso dire con certezza è che l’Italia che partirà per l’Europeo sarà un Italia sorridente e vogliosa di regalarsi un sogno». Il nostro movimento cestistico in carrozzina sta facendo, tra mille difficoltà ed il disinteresse di molti, comunque passi avanti importanti in questi ultimi tempi,


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soprattutto grazie anche a scelte coraggiose della Federazione. La vera unica paura è quella legata al ricambio generazionale che potrebbe venire a mancare a causa di disinformazione e mancato accesso ai dati su chi potrebbe aver voglia di iniziare questo meraviglioso sport. Quali sono i tuoi suggerimenti e cosa bisognerebbe fare per arrivare ai livelli di altri paesi che hanno una cultura differente sul basket in carrozzina? M: «Grazie all’ottimo terzo posto ottenuto agli Europei dalla Nazionale Under e alle nuove regole dettate dalla FIPIC nell’obbligare le squadre a schierare sempre 2 italiani, sommato anche agli abbattimenti che godono fino ai 22 anni, finalmente qualche giovane si sta mettendo in luce. Non dobbiamo certo accontentarci. L’Italia non è lontana dai tanto decantati paesi evoluti. Servirebbe, come propone il Presidente Zappile, più collaborazione da parte delle istituzioni nell’individuare i soggetti e poterli contattare direttamente. Grande passo in avanti sarà fatto con il tanto sognato accordo con la Rai, che aumenterà le ore di trasmissione degli Sport Paralimpici sui

canali RaiSport. Inoltre la costante presenza di noi addetti nelle varie scuole di tutta Italia contribuirà sicuramente a portare sempre più il messaggio positivo del nostro grande sport». F: «Penso che nel momento in cui certi giocatori diranno addio, si chiuderà quella che è stata fino ad oggi l’epoca più importante e gloriosa del basket in carrozzina italiano, perché di Raimondi, Rossetti, Cavagnini, Bernardis non ne nascono tutti i giorni. Il processo di ricambio generazionale è un meccanismo per il quale serve tempo, per esempio nello scorso Mondiale siamo stati inseriti io e il mio compagno di club Santorelli, dopo anni che comunque eravamo nel giro della Nazionale, ma tutto

questo perché secondo il coach eravamo pronti per questo salto di qualità, avevamo compiuto tutti i passaggi. Sicuramente la maglia azzurra è il traguardo più importante, ciò a cui aspira ogni giocatore, ma bisogna guadagnarsela, bisogna sudare per ottenerla. Sarà compito nostro, diciamo di quelli che resteranno, portare avanti una storia fatta di successi e tanti traguardi prestigiosi, la federazione sta cercando di far sì che i giocatori italiani abbiano sempre più spazio nel nostro campionato in modo che un giorno, quando servirà, la nazionale potrà contare su giocatori molto validi». Concludiamo con un semplice giochino: se doveste scommettere 10€ sulla vincente dello scudetto 2015, su chi li puntereste e perché? M: «Mi spiace, non scommetto, ma propongo una birra a scudetto assegnato e ovviamente paga chi perde!!!» F: «Solo 10 euro? (ride). Facciamo cosi, gioco all-in sul fatto che sarà un grande spettacolo di sport, due grandi squadre che si daranno battaglia ma sempre con rispetto e vincerà...il migliore!»

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E P O R T A G E Alla scoperta dei... talenti Viaggio nei settori giovanili italiani

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FORTI(TUDO) di Enrico D’Alesio

mmaginate una società gloriosa. Immaginate sia una delle due regine del regno che chiamavano “Basket City”. Immaginate di assistere alla sua caduta. La Fortitudo è caduta a rate, un tonfo dopo l’altro. Da Seragnoli a Martinelli, da Martinelli a Sacrati fino all’assurdo delle “due Fortutido”: Eagles, BBB, promesse, delusioni, ricostruzioni, veleno e fazioni a dividere il popolo della F. Quel che non poteva riuscire a retrocessioni e voragini finanziarie era quasi riuscito al lungo sonno della ragione Bianca&Azzurra. Il popolo esisteva ancora, tanto che, tra le due squadre dello scisma, 2000 spettatori, come minimo, si mettevano insieme, ma si stavano perdendo l’identità, i valori, l’appartenenza. Ora la Fortitudo è una e di nuovo pilota del proprio destino. Questo riassunto serve a individuare un valore che si è sempre tentato di tutelare e difendere: il vivaio. Pensiero mai disperso, a volte considerato anche più della prima squadra è quello di preservare il settore giovanile. Difficile a farsi, la crisi societaria e le sue conseguenze avevano silenziato il richiamo del biancoblu, avevano insinuato dubbi nei papà e nelle mamme sull’opportunità di mandare il figlio in Fortitudo: quale delle due? ...Esiste ancora? ...Faranno attività tutto l’anno? La seconda tappa del volo tra i settori giovanili italiani ci porta ancora a Bologna. Incontriamo Roberto “Bebo” Breviglieri, responsabile del settore giovanile F, e Fede-

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3ª tappa: FORTITUDO BOLOGNA

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rico Politi, in qualità di responsabile di due progetti che coinvolgono la Fortitudo in maniera incisiva sul territorio bolognese. Location dell’incontro il PalaDozza, che, oltre ad essere una delle arene per il basket più belle al mondo, è anche uno dei fulcri della vita della F e del suo vivaio. Breviglieri si occupa di settore giovanile dal 1990, è cresciuto in Fortitudo e vi è tornato dall’estate 2014. Dice che il PalaDozza è estremamente funzionale al lavoro di sviluppo dei giocatori: nella pancia dell’edificio la palestra permette di accorpare senza dispersione di tempi il lavoro fisico e quello tecnico sul parquet. Gli U17 e U19 sono dotati di un programma di sviluppo tecnico e fisico personale da mettere in opera ogni giorno individualmente oltre agli allenamenti di squadra e possono farlo con comodità. Breviglieri, autore anche di un interessante libro sul basket collegiale (2013-14 Seniors NCAA, insieme a Massimo Teglia) e co-titolare di un’agenzia di scouting, definisce lo sviluppo di un giocatore «un processo sportivo che non deve far dimenticare la salute e il percorso scolastico dei ragazzi», e si sofferma sui tre fattori determinanti: le famiglie, il ragazzo, gli allenatori. Lo staff della F è di primo livello, e a precisa domanda, il coach risponde che, se il necessario talento è presente, loro sanno come svilupparlo e farlo uscire. Certo, l’impulso finale deve venire dal ragazzo.

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Esempio lampante è Davide Lamma, fortitudino di nascita e di cuore, prodotto del vivaio, forse partito da una base lievemente inferiore ad altri che non hanno raggiunto i risultati dell’attuale Capitano, unendo al talento la volontà di migliorare, la passione, l’ostinazione: ha giocato in A1 e in Nazionale, vincendo un Europeo da protagonista. Con molta sincerità Breviglieri sottolinea che a volte, e soprattutto negli ultimi tempi, una spinta non del tutto positiva arriva dalle fa-

miglie, che spingono troppo, troppo pretendono e ambiscono. Il percorso successivo al minibasket non è un prolungamento del “fare ginnastica”, ma è un processo selettivo, perché il fine di ogni settore giovanile è quello di produrre talenti di livello nazionale e giocatori da portare in prima squadra. Un settore giovanile è costoso, il sapere stesso degli allenatori ha un costo e nessuno può costruire un vivaio prescindendo dal risultato e dal “sapere come fare” a produrre giocatori. Gli impianti costano, idem la gestione dei vari campionati. Que-


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sti sacrifici economici sono sulle spalle delle società, delle eventuali vittorie delle varie squadre Under (mai da barattare a scapito della formazione dei giocatori), e delle varie sponsorizzazioni, in un circuito che non può prescindere da nessuno degli elementi. Stuzzicato sulla ricerca del/dei punti deboli del basket italiano in materia di settore giovanile, il coach risponde sicuro: «La volontà di farlo è sempre il requisito di base, mentre le questioni, pur spesso fondate, di cui tanti si lamentano, sono solo dati di fatto con cui confrontarsi per raggiungere ugualmente lo scopo, si tratti di sparizione del cartellino, i m p i a nt i st i ca , abuso di giocatori stranieri, e via discorrendo». Parlando della realtà bolognese, Breviglieri ammette che è densa di vantaggi derivanti dalla buona cultura sportiva della città: parimenti, la competizione non è certo cosa da poco perchè se è vero che F e V sono le realtà dominanti, in città ci sono molte società competitive e in provincia o nel giro di poche decine di chilometri c’è più di una società che ha le prima squadra in una categoria uguale o superiore a quella attuale della Fortitudo. Ferrara, Ravenna, Imola, Cento, Reggio. Essendo un esperto di basket collegiale, chiediamo al coach cosa ne pensi di un’ipotetica trasmissione su piattaforme televisive innovative quali SI o GazzettaTV di alcune partite U17 o U19 di cartello. La

risposta è decisamente positiva: il recente derby U19 giocato al PalaDozza non lo aveva visto inizialmente entusiasta, lo stesso dicasi per il grande (sproporzionato?) interesse mediatico. Avvicinandosi all’evento, invece, ha cambiato idea e, con le dovute proporzioni, lo ha paragonato a ciò che vive un ragazzo americano che, inadatto a giocare tra i Pro, gioca tuttavia con North Carolina o Michigan, accumulando passione ed esperienze indelebili. Quindi un sì alle partite Under sulle tv nazionali, se col giusto battage di preparazione e il giusto commento, affidato ad allenatori del settore. E pazienza se non porta guadagno in termini di diritti alle società. Il collegamento tra Roberto Breviglieri e Federico Politi potrebbe essere la comune definizione del coach della prima squadra: Matteo Boniciolli (come Breviglieri e Politi, uno che ha molto a che fare con la storia biancoblu). E’ per entrambi un coach ideale per la F perché non ha paura di lanciare i giovani. Prova ne sia l’utilizzo di Candi, ultimo virgulto fortitudino, che, non ignorato da Vandoni, è stato tuttavia lanciato con decisione dal subentrato coach friulano. Politi, oltre che vice di Boniciolli e coach di alcune delle squadre giovanili, è responsabile del progetto “Classe Fortitudo” e del “Fortitudo Basket Camp”. Il primo è un interessante e meritorio progetto che

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porta il basket nelle scuole bolognesi elementari e medie, con intenzione di allargarlo anche alle materne. Citare i nomi di tutte le scuole non avrebbe molto significato ma dalla data di presentazione (3 febbraio 2013), il numero di esse è andato sempre aumentando, con soddisfazione reciproca e anzi, a volte la presenza della F scudata ha convinto qualche scuola a migliorare la propria dotazione di palloni e strumenti. Si tratta di una serie di lezioni mirate a far conoscere il basket ai giovanissimi bolognesi. I cicli possono andare da tre a sei lezioni, alle quali presenziano sempre due allenatori e due giocatori della Fortitudo. Si inizia dalle regole e dai fondamentali per arrivare a qualche scrimmage; è qualcosa di diverso dal minibasket e, in un

certo senso, potremmo dire meno specifico ma più pervasivo e coinvolgente, perché inteso a raggiungere anche gli scolari che del basket non hanno grande conoscenza. Il progetto del Camp è invece più rivolto a chi già pratica il basket e intende migliorarsi. Per chi era adolescente negli anni ’80, l’ovvio richiamo sono i camp di Salsomaggiore di Dan Peterson e quelli riccionesi/ischitani tenuti da Stefano Pillastrini (altro coach bolognese) e Maurizio Ferro, con giocatori come “Riccio” Ragazzi, Leo Sonaglia e tanti altri. La differenza enorme è che si tiene proprio in città, raggiungibile in bus o a piedi, senza dover pernottare lontano. Si compone di un modulo settimanale per sei settimane nell’estate bolognese. Camp e

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coinvolgimento delle scuole sono importanti ed incisivi per riportare la società a pieno titolo nel tessuto bolognese, dopo le ricordate crisi. Nelle vicissitudini qualche annata si è persa (1998 e 1999 per esempio) e, racconta Politi, sono state affrontate non piccole difficoltà logistiche, come per esempio aver avuto il campo di casa, negli anni passati, a Loiano, sull’Appennino bolognese, ad un’ora di auto. Ora però il vivaio è ricostituito, lo staff è di primissimo livello, e il club torna a produrre giocatori come sempre ha fatto, da Zatti e Jacopini passando per tanti altri fino all’oggi con Candi, o a domani con un interessante ragazzo, Zanetti.



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di Andrea Ninetti

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TIME OUT

e solite note. Lo spartito che verrà suonato dal 15 al 17 maggio al Palacio de Deportes di Madrid, teatro della Final Four di Eurolega, sarà un dejà ècoutè, seppur di altissimo livello. Verrebbe da dire il nuovo che non avanza perché, ad eccezione del Fenerbahce di Zelimir Obradovic, qualificato alla F4 per la prima volta nella sua storia, le altre tre pretendenti al trono vacante del Maccabi Tel Aviv, eliminato proprio dai turchi, sono compagini abituate da sempre a vivere questo tipo di pressione. Il Real Madrid, padrone di casa, è alla quarta partecipazione negli ultimi cinque anni, la terza consecutiva, in cui ha “rischiato” di trovare ancora una volta il Barcellona in semifinale, come già accaduto nelle ultime edizioni di Londra e Milano. In entrambi i precedenti i “blancos” avevano annichilito i blaugrana per poi arrendersi nell’atto conclusivo. Il posto dei catalani questa volta è stato preso dall’Olympiacos che dopo aver centrato il clamoroso “Back to back” fra 2012 e 2013, aveva mancato la qualificazione alla kermesse dello scorso maggio. Nella sfida di apertura saranno di fronte, come già nella finale 2012 e nella semifinale 2013, Olympiacos Pireo e CSKA Mosca, due squadre che hanno fatto la storia dell’Eurolega. I greci hanno staccato il biglietto per Madrid superando, come detto, Navarro e company in quattro partite, vincendone tre consecutivamente dopo il pesante –16 accusato in garauno. Un perentorio atto di forza accompagnato anche da un pizzico di fortuna, come testimonia il decisivo “buzzer beater ” di Printezis (uno a cui affiderei sempre l’ultimo tiro) che ha deciso la serie in garaquattro. Il club dei fratelli Angelopoulos ha collezionato finora 21 successi su 28 uscite e, nella Top 16, ha già affrontato e battuto, in due occasioni su quattro, due delle tre contender di questa Eurolega (Ulker e proprio il CSKA), dimostrando, semmai ce ne fosse bisogno, la capacità di sorprendere tutti ribaltando anche il pronostico più sfavorevole. Il CSKA probabilmente resta la favorita numero uno per il titolo. I rossoblu, quattro finali consecutive fra il 2006 e il 2009 (due vinte e due perse), qualificatisi

alla Final Four per la dodicesima volta nelle ultime tredici stagioni, si presentano in Spagna con un record di 25/3, il migliore di tutta la manifestazione; coach Itoudis, uno cresciuto ad OAKA alla scuola di Obradovic, vuole riportare a Mosca il titolo continentale, una coppa che manca dal lontano 2008 e, guarda caso, anche in quella occasione si giocava a Madrid. I russi detengono sicuramente la palma di squadra con maggior numero di delusioni da F4, avendo alzato bandiera bianca in finale per tre volte su cinque: è ancora negli occhi di tutti la sconfitta forse più clamorosa, subita tre anni fa proprio per mano dell’Olympiacos, che vinse con un canestro a fil di sirena di Printezis (ma dai?) dopo esser stato sotto di 19 punti a dodici minuti dal termine del match. La seconda semifinale opporrà Real e Fenerbahce Ulker. Sulla carta, gli uomini di Pablo Laso, con un record di 22 vittorie su 28 gare in questa edizione, godono del favore del pronostico ma il Fener ha il suo vero fuoriclasse in panchina: quando nel 1992 il sottoscritto sedeva ancora sui banchi di scuola, Obradovic vinceva la sua prima Eurolega, ad appena 32 anni, alla guida del Partizan Belgrado. Un predestinato che ha poi saputo ripetersi con una continuità straordinaria se si pensa che ha portato sul tetto d’Europa lo Joventut Badalona nel ’94, il Real Madrid l’anno successivo e il Panathinaikos Atene per ben cinque volte dal 2000 al 2011; lo score dei gialloblu parla di 22 vittorie in 27 gare, addirittura migliore di quello madrileno, ma non esprime completamente il potenziale della compagine turca, almeno non quanto il secco 3-0 con cui Vesely e soci hanno spazzato via i campioni in carica del Maccabi Tel Aviv. Le statistiche, si sa, contano poco quando scocca l’ora della palla a due e pronosticare la squadra vincitrice diventa compito assai arduo, ma è vero anche che certi numeri e una presenza costante a questi livelli non sono dati che possono essere tralasciati, non fosse altro perché denotano un’attitudine mentale alla vittoria che chiude il cerchio su quanto dicevamo in apertura, e cioè che il gran ballo è sempre e soltanto un affare per le solite note.

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