Pagine da La gioia del ventaglio

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Lorenzo Gobbi

La gioia del ventaglio

scrivere per i bambini, LeGGere con i bambini

rifLessioni e proposte da aLcuni spunti di WaLter benjamin



Alla memoria di Pio Cavalleri, medico (†2008), padre di mia moglie Maddalena e delle sue sorelle: nessuno più di lui ha amato le mie filastrocche, nessuno più di lui ha goduto con me dei tramonti sul lago di Garda, delle stelle, dei passeri, delle rose, della cura del giardino; nessuno più di lui era in grado di soffrire senza comprendere come potesse la natura perversa del male sfigurare così, a volte, anche ciò che non poteva non amare. Possa il suo ricordo essere benedizione.



aL Lettore

nel tono della conversazione più che del saggio, ho raccolto qui riflessioni e proposte sulla scrittura per l’infanzia e sull’esperienza della lettura condivisa. Ho inserito ricordi e filastrocche, e non senza allegria: nessuno legga con seriosità! spero che altri raccolgano qualche spunto qua e là, lo sviluppino, lo approfondiscano: si tratta di aiutare tutti a dare cose buone ai propri figli – a incontrarli in una serenità possibile, nella fatica preziosa dei giorni. so di avere trascurato infinite prospettive, e di essere stato ora parziale, ora imperfetto: dei limiti delle mie riflessioni, per lo più, sono consapevole. al di là di ogni altra considerazione, vorrei che ci si confrontasse su come il rapporto con i bambini ci chiami a rivedere noi stessi, e a rinnovare la nostra fiducia originaria nel mondo: nella legittima imperfezione di tutti, grazie al coraggio di essere vivi. La terra è stupenda o tragica, o entrambe le cose: mai è indegna di stima. “di fronte a occhi deboli”, scrisse Kafka, “il mondo tira solidi pugni”: se non sempre c’è un altrove, sempre c’è un qui e ora. Qui e ora siamo tutti; qui e ora possiamo incontrarci. Lorenzo Gobbi Verona, Luglio 2009



rINGrAzIAMENTI

ringrazio mia moglie, maddalena cavalleri, che ha condiviso con me la passione per le filastrocche. ringrazio elena petrassi, estimatrice delle mie filastrocche e incuriosita dai miei fitti e illeggibili appunti: ne ha voluto ampia lettura e ha poi convinto lo staff di atì editore a prenotarne la versione finale “a scatola chiusa”. ringrazio anche amerio pace, ivan Giugno, danilo bramati, clorinda biondi e lo staff di atì editore perché elena, così mi ha detto, non ha dovuto faticare più di tanto nel promuovere il mio lavoro.



premessa

«… Walter Benjamin? Ma come t’è venuto in mente?».

Ho incontrato gli scritti di Walter benjamin nel periodo in cui, terminato un ciclo di saggi, traduzioni e poesie, durato più di un decennio1, mi ero rivolto alla scrittura per i bambini. riflettevo molto, tanto sulle forme quanto sulle intenzioni, sui presupposti teorici e sulla responsabilità di chi produce e diffonde testi per l’infanzia. ero giunto a questa nuova e inattesa forma di creatività per una via tutta personale, intima, radicata in molti aspetti della mia esperienza e del mio impegno culturale: una scelta profonda, maturata a lungo, eppure del tutto naturale. mi ero ritrovato a scrivere filastrocche, come questa: ricordi la storia del bianco coniglio che sempre portava il gelato a suo figlio? Usciva dal bosco ogni giorno dell’anno, d’inverno vestiva un cappotto di panno; in caso di pioggia reggeva l’ombrello e saltellando perdeva il cappello; sul bordo del prato saliva in corriera e salutava alla vecchia maniera: “Buongiorno, signore”, diceva all’autista, “sono felice di averla già vista; 13


la sua gentilezza mi lascia incantato; davvero, mi creda, io son fortunato; se lei mi dona anche oggi un passaggio, d’un po’ di gelato potrò farle omaggio!”. L’autista scuoteva il suo capo ricciuto ma poi ricambiava con gioia il saluto: benché mai non abbia comprato il biglietto, che male sarà regalargli un giretto? Sapeva che sempre quel bianco coniglio andava a comprare il gelato a suo figlio. oltre a scrivere, leggevo, studiavo e mi confrontavo appassionatamente con gli autori di libri per l’infanzia e con i loro teorici. Walter benjamin mi venne incontro esattamente allora, e mi sorprese fin da subito con il fuoco della propria voce – potente, ma del tutto priva di arroganza. Le sue intuizioni hanno la bruciante fecondità dell’esattezza, senza la pretesa della definitività: spingono al dialogo, non alla replica. diversamente da cioran, leggere il quale significa permettere a una potente cesoia di recidere in noi tutto ciò che nasce dalla sciagura della vanità, benjamin agisce sull’anima come una pioggia primaverile: dà opportunità, suscita; alimenta persino ciò che non gli assomiglia in nulla. Le sue “strade a senso unico” e le sue “ombre corte” portano davvero lontano… di lui, conoscevo per via indiretta qualche astrusa 14


teoria sul dramma barocco tedesco, e qualche altra incomprensibile affermazione sull’opera d’arte nella società di massa che può replicarla a piacimento - e nulla più: il motivo è semplice. sono vissuto, ho studiato e poi ho lavorato a lungo in ambiente cattolico: filosofi come benjamin, adorno o marcuse, adepti del marxismo e dunque corruttori dei giovani, erano colpiti allora da ostracismo - trascorsa l’orgia ideologica degli anni settanta, nella quale essi furono idolatrati e letti come nuove bibbie da moltissimi cattolici, che ne accolsero in toto le teorie e le radicalizzarono indiscriminatamente, negli anni ottanta i miei ambienti di vita si attestarono su una linea di prudente diffidenza, e ne parlavano solo per mezzo di oscure allusioni. di essi, persino all’università cattolica si favoleggiava soltanto, esecrandone gli “errori” tramite malevoli accenni che non invitavano certo alla lettura personale, e meno che mai a uno studio autonomo: erano “altri tempi”, probabilmente… ormai più che quarantenne, però, pur avendo salvato (tra i non-ostracizzati) mounier, bergson e marcel, ho incontrato liberamente benjamin, adorno, ricoeur, Gadamer e cioran - e non ho esiliato nessuno, a parte il solo jacques maritain, espulso in perpetuo dalla mia libreria, senza rancore, per totale e irrimediabile incompatibilità di carattere, assieme ai catechismi metafisici della vanni rovighi… personalmente, devo a benjamin una chiarezza liberante: mi ha spinto a riflettere sull’esperienza concreta della lettura con il bambino, ma soprattutto sul suo 15


significato per l’adulto che sta accanto al bambino; mi ha portato a considerare il bambino come parte di un ambiente sociale che si evolve assieme a lui (anche se non intendo certo promuovere con benjamin “un’educazione proletaria” tramite la “coscienza di classe”…); mi ha consigliato di considerare il libro per bambini come un “prodotto” artigianale, che necessariamente esprime le modalità con cui gli adulti vedono i bambini (sono gli adulti che offrono libri ai bambini!), e al tempo stesso di vederlo come un “giocattolo” vero e proprio, cioè di considerarlo all’interno dell’esperienza del gioco; mi ha ricordato che “mangiare, dormire, lavarsi, vestirsi sono abitudini che devono essere iniettate nel piccolo corpo guizzante in forma ludica, secondo il ritmo di brevi versi”, perché “l’abitudine nasce come gioco e, in essa, anche nelle sue forme più rigide, sopravvive alla fine un piccolo residuo di gioco”2 (trovo del tutto inadatta l’espressione “iniettata”, quasi quanto il verbo “dovere” che l’accompagna; ma pazienza…). sulla fantasia dei bambini, e su cosa potremmo intendere per fantasia, soprattutto, benjamin è preziosissimo, e ci spinge assai lontano: “il potere della fantasia è il dono d’interpolare nell’infinitamente piccolo, d’inventare per ogni intensità tradotta in estensione una nuova, densa pienezza, insomma, di prendere ogni immagine come se fosse quella del ventaglio ripiegato, la quale respira solo aprendosi…”3. Grazie alle sue intuizioni, è forse possibile iniziare a 16


riflettere termini nuovi sulla tanto discussa questione del rapporto tra pedagogia e letteratura nella produzione destinata all’infanzia, e superare tutta una serie di aporie partendo da come l’adulto e il bambino possano incontrarsi nell’esperienza della lettura condivisa – e ricavando da tale esperienza un’idea di quale sia l’identità della letteratura per l’infanzia nella concretezza quotidiana: qui e nell’oggi, nella vita familiare e sociale nella quale si costruisce il sé (ci possono aiutare bruner e vygotsky, ma anche jung, von franz e Hillman4). è bene ascoltare, anche, il disagio di alcuni genitori, educatori, insegnanti e nonni di fronte a molti tra i testi in commercio negli ultimi anni, al loro stile, al loro “messaggio” e alle illustrazioni che li accompagnano. seguendo le direzioni indicate da benjamin ma allontanandomi da lui, mi chiederei dunque quale idea di bambino sia alla base di buona parte della produzione contemporanea, e come sia possibile giungere a un’immagine forse più vera e più ricca di significati, che parta dal corpo tonico-emozionale e dall’attivazione psicomotoria che la lettura condivisa provoca tanto nel bambino quanto nell’adulto, soprattutto quando il testo ha caratteristiche musicali (e può aiutarci anthony storr, psichiatra americano autore di un bellissimo Music and the mind, assieme a oliver sacks e agli studi recenti di neuroscienze5). credo anche che non esista “una guerra tra i grandi e i bambini”, e che non abbia senso scrivere “contro gli adulti, contro la loro ipocrisia e menzogna”6 – non, almeno, se davvero si vuol essere “dalla parte dei bam17


bini”. forse, l’essere veritieri con i bambini è innanzitutto essere onesti con noi stessi - e imparare ad amarci mentre impariamo ad amarli e ad esserne amati, nella vicenda terrestre dei giorni condivisi. alla fine di tutto, penso che sia in questione l’esperienza del tempo e della terra, la stima del mondo: che si contrappongano ancora una visione gnostica e una ebraico-cristiana del tempo e della storia – le due percezioni di fondo del cosmo, inconciliabili benché spesso intrecciate l’una all’altra, che stanno alla base della cultura occidentale. * Walter benjamin (1892-1940) fu un pensatore asistematico: ciò non significa che non sia stato rigoroso, nel senso più autentico del termine. si occupò di filosofia della storia, di filosofia del linguaggio, di letteratura tedesca (il suo saggio su Le affinità elettive di Goethe è un capolavoro assoluto d’interpretazione7), di teoria della cultura, di teoria e pratica della traduzione (tradusse in tedesco baudelaire e proust), di marxismo (aderì entusiasticamente, negli ultimi anni, al movimento comunista); studiò, tra l’altro, gli stati alterati di coscienza, sperimentando su se stesso gli effetti dell’hascisc. morì tragicamente, suicida, in fuga verso la spagna, sui pirenei: fu fermato alla frontiera, e trattenuto per una irregolarità nel visto; temendo di essere consegnato ai collaborazionisti di vichy, e da questi ai nazisti in quanto ebreo, si iniettò una fortissima dose di morfina; 18


le sue ultime parole furono un saluto a distanza per l’amico theodor W. adorno. visse per lo più in condizione di emergenza concreta, a volte ai limiti della sopravvivenza; non riuscì in alcun modo a inserirsi nell’ambiente accademico, né ad ottenere un lavoro stabile; ebbe molti estimatori sinceri, pochi amici intimi e nessun successo; fu umiliato da persone che non valevano nulla (ne soffrì acutamente e profondamente); si sentì terribilmente solo, e davvero si trovò isolato; fu leale e cordiale, vivo e acceso; visse un perenne contrasto con la famiglia d’origine a causa di una reale e profonda incomunicabilità di sé, dovuta a una effettiva differenza di nature, e non riuscì mai ad accettarlo; fu sempre attratto da un afflato religioso, pur senza trovare una comunità con la quale identificarsi pienamente, né nell’ambito dell’ebraismo tradizionale, né all’interno del movimento sionista, al quale pure si avvicinò; seguì sempre e comunque un proprio filo interiore, e nei momenti più duri dell’esistenza visse periodi di creatività straordinaria; fu lucido e appassionato, onesto anche e soprattutto negli abbagli8. En passant, Gershom scholem, il grande studioso di mistica ebraica che gli fu amico fin dalla giovinezza, racconta che benjamin e la moglie si scambiavano come doni per le feste e i compleanni dei libri per l’infanzia: ne erano entrambi appassionati9. Lavorando per la radio, tra il 1929 e il 1932, benjamin scrisse una serie di “pezzi” per ragazzi, intitolati, nell’edizione italiana, Burattini, streghe, bambini. Illuminismo per ragazzi10. 19


nei suoi scritti, in particolare in Ombre corte, nei saggi raccolti nell’antologia a cura di renato solmi Angelus Novus e in Strada a senso unico, vi sono moltissimi frammenti, spunti, accenni all’infanzia, ai libri per bambini, al gioco dell’adulto e a quello del bambino; per asja Lacis, regista teatrale e attivista comunista della quale si era innamorato, benjamin teorizzò il Programma di un teatro proletario di bambini11. se l’insistito riferimento alla prostituzione, presente in diversi saggi e soprattutto ne I “passeges” di Parigi (opera rimasta incompiuta e frammentaria12), ha attirato spesso l’attenzione degli studiosi, non sembra che una così forte sensibilità per l’infanzia e per la letteratura per bambini abbia fatto altrettanto. alla propria infanzia, benjamin dedicò i racconti autobiografici raccolti nel volume Infanzia berlinese, che elaborò a lungo. * Questo, perciò, non è un saggio su Walter benjamin, ma un tentativo di riflettere, sviluppando e discutendo alcuni spunti del filosofo tedesco, sull’identità e sul ruolo della letteratura per i bambini - a partire dall’esperienza concreta della lettura condivisa, cioè del leggere con i bambini, hic et nunc. “il tentativo di benjamin di ‘ricreare la critica come genere’ lo condusse non solo ben oltre i confini della critica letteraria come tale, ma addirittura alla dissoluzione di essa come sfera di attività a se stante e autonoma”; egli finì per “trasformarla in un esame critico globale della 20


modernità stessa”13. personalmente, non ho tale ambizione per quel che riguarda la letteratura per l’infanzia: vorrei, però, indicare alcuni diversi modi di vedere, e affrontare la questione alla luce di una considerazione critica forte, che guardi anche a ciò che gli adulti si attendono dai bambini, a come i bambini si trovino a vivere nella famiglia e nella società di oggi, e a come gli adulti dividano con loro speranze e difficoltà, nel quotidiano. se citerò con molto frequenza bianca pitzorno, ciò non va inteso in senso polemico: mi riferisco a lei perché è un punto di riferimento imprescindibile per chiunque si occupi del libro per l’infanzia, a qualunque titolo, nei nostri anni. vorrei andare oltre, e non di poco: soprattutto, vorrei suscitare dibattito e riflessione, e vedere le mie stesse prospettive superate e dimenticate nell’ambito di una consapevolezza nuova. benjamin perdonerà se utilizzo molti dei suoi pensieri – frammenti, intuizioni, affermazioni, ipotesi – e me ne allontano, poi, seguendo strade mie, anche di considerevoli lunghezze: credo, in questo, di essergli perfettamente amico, e di agire secondo la sua volontà.

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Lo stato deLL’arte

… non dovremo dimenticare che per i bambini, come in tutte le cose, anche nei libri può esserci qualcosa di molto diverso da ciò che vi trova un adulto. […] Ovviamente, nessun sillabario può essere tanto bizzarro da impedire che alla fine il bambino possa prendere ciò che gli spetta. […] Se c’è al mondo un ambito in cui la specializzazione finirà sempre per fallire, questo è lo scrivere per i bambini. La crisi della letteratura per l’infanzia coincide, in poche parole, con l’attimo in cui essa è caduta in mano agli specialisti. Ma la crisi della letteratura per l’infanzia non significa affatto la crisi del libro per l’infanzia. […] Si devono distinguere due epoche: quella morale edificante dell’illuminismo, che si faceva esplicitamente incontro al bambino, e quella sentimentale del secolo scorso, che si insinuava di soppiatto dentro di lui. Senza dubbio, né la prima era sempre così noiosa, né la seconda sempre così subdola come l’odierna pedagogia “scientifica” vuole far credere, eppure entrambe sono caratterizzate da una sconfortante mediocrità. WaLter benjamin,

Letteratura per l’infanzia (Ombre corte, pp. 415-418)

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Preambolo

La narrativa, oggi, sembra aver perso non poco del proprio ruolo sociale: raramente un romanzo riuscirebbe a far discutere un’intera società come accadde alla pubblicazione di Madame Bovary, e ancor più difficilmente uno scrittore riuscirebbe, con un articolo di giornale, a provocare la revisione di un processo, le dimissioni di un primo ministro e la riabilitazione di un innocente, come emile Zola riuscì a ottenere con il suo J’accuse. perché un ministro si dimetta, non bastano oggi né sospetti di collusione con la mafia, né sentenze passate in giudicato di definitiva condanna per reati gravissimi; perché la società discuta, un romanzo non è certo efficace! neanche Gomorra di saviano è bastato: senz’altro, ha fatto discutere animatamente i camorristi, così da far vivere sotto scorta l’autore, ma non sembra aver provocato nessun reale movimento di opinione, nessuna diffusa presa di coscienza capace di trasformarsi in azione politica – speriamo, non ancora: il suo messaggio ha tutte le caratteristiche dell’urgenza più assoluta. forse, gli unici rimasti sensibili al potere della parola scritta sono gli integralisti islamici, che hanno condannato a morte salman rushdie per I versetti satanici (e il clero ortodosso greco, che ha scomunicato l’autore de L’ultima tentazione di Cristo, negandogli non solo i sacramenti, ma persino la sepoltura nel cimitero cristiano). senza troppa convinzione, la gerarchia cattolica ha espresso forti riserve su Il codice Da 23


Vinci di dan brown, perché moltissime persone lo hanno letto come se fosse stato il quinto vangelo (finalmente, quello vero!): il pericolo di un’apostasia di massa dovuta a questo libro, però, non è stato nemmeno preso in considerazione – niente processi, niente roghi, niente inquisitori incappucciati né cavalletti di tortura: i tempi sono proprio cambiati… romanzi pulp-horror-metropolitan-country fioriscono ovunque nelle librerie, spesso con grossolani ammiccamenti sessuali (L’ora del porco, ad esempio, o la raccolta di racconti erotici intitolata Pene d’amore), con la pretesa di raccontare fedelmente l’oggi delle nostre città, squallide e degenerate; altri ci introducono nei turbamenti di casalinghe o ragazzine che si fanno allegramente trattare come pezze da piedi dal primo venuto, alla faccia della dignità delle donne (Diario di una ninfomane; Stupida puttana; Pornomanifesto; 300 colpi di spazzola prima di andare a dormire); più leggeri, altri ancora esaltano piacevolmente lo shopping come unica fonte di gioia (I love shopping) o la staffetta affettiva multipla delle segretarie newyorkesi (Brava a letto). La narrativa gay italiana è tendenzialmente pesantina, benché spesso nutrita di apprezzabile e tragica filosofia del postmoderno (Altri paradisi di Walter siti è una ineludibile pietra miliare, e suscita un misto tra ammirazione, sconcerto e amarezza), la narrativa statunitense oscilla tra le vette di paul auster (L’invenzione della solitudine è uno dei libri più belli che abbia mai letto, e così Il libro delle illusioni) e gli invidiabili deliqui degli editor-poetiscrittori-newyorkesi-morenti-di-aids di michael 24


cunningham, con le loro irrisolte-adoranti-editor-eagenti-letterarie e tanti scialbi ricordi della Woolf (Le ore, così celebrato, ha suscitato in me un profondo ribrezzo). Grazie a dio, arrivano i turchi (il nobel pamuk, con i suoi straordinari Instambul, Il mio nome è rosso e Il libro nero), gli indiani (come la dikavarumi, con La maga delle spezie, e amitav Gosh), i siriani (come rafik shami con Il lato oscuro dell’amore, il poeta adonis e elias Kuri, con il suo La porta del sole), gli egiziani (il nobel nagib mafouz), i libanesi (selim nassib con il meraviglioso Ti ho amata per la tua voce, sulla cantante egiziana umm Kalthoum), gli israeliani (oz, Grossman, Yehoshua: un tris d’assi assolutamente ineguagliabile, al quale aggiungerei senza esitazione aharon appelfeld), i palestinesi (come mahmoud darwish e Ghassan Kanafani): gente che ha davvero qualcosa da raccontare… e i nostri biamonti, rigoni stern, vassalli e pochi altri che ci sono, eccome! ad esempio, melania mazzucco, Giovanni d’alessandro e altri, più o meno conosciuti. La narrativa, comunque, conserva ancora un proprio valore “di mercato”; la poesia, invece, oltre al proprio ruolo sociale (lo Zar in persona seguiva la produzione di puškin, che passò non pochi guai per le sue innocenti poesie sui decabristi… ; augusto affidò al poema di virgilio la consacrazione propagandistica del proprio potere, e dalle sue Georgiche si attendeva la rinascita morale della società romana), ha perduto ogni valore economico: vive in circoli chiusi, esoterici, spesso velleitari; si pubblica a spese degli autori; si 25


vende poco o nulla, e solo agli “addetti ai lavori”; rarissimamente la grande distribuzione se ne interessa, a meno che non si tratti di classici o di autori celebrati (anche questi, però, stampati e diffusi in dosi omeopatiche). il fatto che ogni comune, anche il più sperduto, organizzi il proprio premio di poesia e il proprio festival della poesia, al quale sovente non partecipano più di dieci spettatori, non deve trarre in inganno: c’è sempre l’amico dell’amico del fratello del cugino della moglie dell’assessore; nulla di più facile che sia proprio lui il poeta locale che aspira alla gloria. Generalmente, i poeti si leggono tra loro (non sempre), si premiano tra loro (spesso), si invidiano e si ostacolano (quasi sempre), si diffamano a vicenda (inevitabilmente), ma nulla di tutto ciò che scrivono o fanno ha minimamente a che vedere con la vita concreta della società nella quale, pure, anch’essi vivono. il fatto che la collettività non li degni di uno sguardo provoca in alcuni una sorda rabbia, in altri una quieta rassegnazione: facilmente, entrambe si evolvono nella più sprezzante coscienza del proprio valore, che il permanere dell’esclusione trasforma in smisurata (e invidiabile) autostima. eppure, giovani dal cuore ardente (anch’io ero uno di loro…), donne dalle speranze deluse, uomini dalle spalle consunte dai pesi dell’esistenza cercano nei libri ciò che veramente spetta a ciascuno: un aiuto per vivere, un senso per esistere, una voce amica che renda riconoscibile e abitabile il mondo… spesso, devono cercarlo là dove assolutamente non ha posto; a volte, lo trovano comunque, tanta è loro sete di significato e tanto il loro diritto di trovarne almeno qualche briciola. 26


allo stesso modo, nessun libro per l’infanzia, sillabario o altro, è “tanto bizzarro da impedire che alla fine il bambino possa prendere ciò che gli spetta”, ci ricorda benjamin: perché qualcosa “gli spetta”, ed egli non può che trovarlo. consoliamoci, dunque: non scriveremo mai un libro che sia talmente brutto da non riuscire a dare almeno un po’ di gioia a qualcuno – soprattutto se è un libro per l’infanzia: il desiderio di bellezza e la fame di parole che ci nutrano narrando, a volte, fanno miracoli, e trasformano le pietre in pani.

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