Novantatrerosso n°9 LA VOCE DEI RESTAURATORI

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MERCOLEDI’ 20 MARZO 2013 Trimestrale Associazione Bastioni - Firenze N° 9 Registro Stampa Periodico del Tribunale di Firenze N° 5659 in data 14 maggio 2008

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Il nuovo numero di Novantatrerosso esce in occasione del Salone di Ferrara 2013. Considerando l’evento anche un’occasione d’incontro per i restauratori e aspiranti tali abbiamo scelto come tema del giornalino LA VOCE DEI RESTAURATORI. Pubblichiamo in questo numero due interviste a due restauratori con un background culturale molto diverso ma entrambi con una storia affascinante da raccontare: Lidia Cinelli, diplomata OPD, restauratrice di affreschi attiva sul territorio toscano da anni, è colei che ha vinto la prima edizione del Premio Friends of Florence – Salone dell’Arte e del Restauro di Firenze 2012; John Gillis invece è un restauratore irlandese di carta presso il la Biblioteca del Trinity College a Dublino e da

L’APERITIVO CON… Lidia Cinelli di FRANCESCA COLOMBI (dove19@libero.it) FIRENZE — L’Associazione Bastioni incontra Lidia Cinelli, restauratrice dei Beni Culturali, diplomata OPD. Ci racconta della sua carriera e della vittoria del Premio Friends of Florence. L’organizzazione noprofit Friends of Florence, in occasione del Salone del Restauro di Firenze 2012, ha offerto una sponsorizzazione di €20.000 per la realizzazione di un’opera di restauro del patrimonio culturale fiorentino. Lidia Cinelli ha vinto con il progetto di restauro dell’affresco della Madonna della Misericordia presente nel palazzetto della Loggia del Bigallo in Piazza del Duomo a Firenze. Nell’affresco compare la più antica veduta di Firenze, nella quale si riconosce il Battistero e la facciata incompleta della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. DOMANDA. Quando ha scoperto di voler intraprendere la carriera di restauratore e perchè ? RISPOSTA. E’ stato un caso, facevo scenografia all' Accademia e non ero per niente soddisfatta, perché c'era l'occupazione: era tutto chiuso, passavano i mesi senza fare niente. Per caso lessi sul giornale di questo concorso. Il corso era già attivo da un anno ed io mi ripromisi di provarci l’anno dopo. Era il 1978. Non mi preparai da nessuno pensando che non fosse una cosa tanto impegnativa. Me ne resi conto con il farlo il concorso che c’era tante persone preparate, diciamo che ho avuto anche un po’ di fortuna. D. Che prove facevano fare? R. Io feci una copia di Madonna con Santi di Lorenzo Monaco; poi c’era la tavoletta con la selezione ed infine l’orale. Quando andai a vedere i risultati del concorso e vedevo la gente che piangeva e vedevo che mi dicevano sei passata ero così felice: è stata l’unica cosa che ho vinto e dopo trent’anni ho vinto il Premio dei Friends of Florence. D. Dopo la scuola cosa è successo? R. Ho lavorato 13 anni presso la Decoart. Dopo sono venuta via indipendentemente, ho deciso di diventare mamma e così ho iniziato la mia attività come ditta individuale. Mi sono detta: lavoro sul territorio ogni tanto a Firenze magari una volta all’anno. Da lì ho iniziato a lavorare effettivamente molto di più sul territorio, Empoli, San Miniato e alla fine anche Firenze. D. Erano altri tempi rispetto ad ora? R. Si, tanto, quando ho fatto la scuola io ci cercavano le ditte, ci pregavano in ginocchio di andare a lavorare! D. Quanto è cambiata la situazione da quando ha iniziato a lavorare rispetto ad oggi? R. Quando sono uscita dalla scuola dell’Opificio ero richiesta ed ero molto cercata. C’erano anche altre realtà come l’UIA e Palazzo Spinelli ed il lavoro c’era per tutti. All’epoca però c’erano fondi, gare più grosse. Ci sono stati cantieri tipo la Cupola del Duomo di Firenze, dove venivano assunti 20/25

anni insegna in Italia restauro e conservazione del libro. Ci racconta del restauro del Manoscritto di Faddan more del Museo Nazionale d’Irlanda e di cosa significa essere restauratori in Irlanda. Per finire vi raccomandiamo l’incontro organizzato dall’Associazione la Ragione del Restauro sulla modifica del nuovo articolo 182 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, per gentile segnalazione dell’amico restauratore Andrea Cipriani, presidente dell’Associazione. Una cosa accomuna questi tre restauratori: parlano con voce dolce. Ci piace ricordare le parole di Poncela: “Tutti quelli che non hanno niente di importante da dire parlano ad alta voce”. FRANCESCA ATTARDO (attardo.f@gmail.com)

restauratori fissi per 6/7 anni. Sai che cosa voleva dire per Firenze? Ogni ditta ci metteva 3 o 4 persone. Non ci sono stati più cantieri di quella portata. Probabilmente l’offerta è stata poi superiore alla richiesta e molti professionisti sono voluti rimanere tutti in zona. Personalmente lavoro tanto in provincia. D. Secondo lei come mai la maggior parte dei restauratori sono di donne? R. Evidentemente il lavoro richiede delle capacità più attinenti al mondo femminile. Una grande dedizione, una pazienza, forse una forma di non protagonismo, il maschio, secondo me, tende di più a fare l’artista, a fare un discorso di lasciare un segno. Invece nel restauro bisogna fare un po’ un passo indietro, anche nella propria parte creativa. Le donne hanno queste caratteristiche, sono molto sensibili, rispetto anche al discorso conservativo. Oltretutto di pazienza nel nostro lavoro ce ne vuole: oltre per il lavoro in se, a volte i lavori si corteggiano per anni D. In un paese come il nostro, con un immenso patrimonio culturale, non si parla ancora di restauro preventivo, mentre all’estero sono molto concentrati su questo concetto. Quale è la sua posizione su questo argomento? R. Io penso che uno dei motivi sia la mancanza di fondi. Poi l’abbondanza del nostro patrimonio: fare prevenzione in un paese come la Svizzera o la Norvegia è più semplice. Inoltre l’abitudine di cercare il risultato proponendo il restauro epocale, magari con grande scoop, appaga di più lo sponsor. Fare la manutenzione è un atteggiamento più timido. Però sarebbe proprio quello che bisognerebbe fare, purtroppo però mancano i fondi e allora aspettiamo di ritrovarsi il pezzo in terra. D. Durante un colloquio con un restauratore irlandese molto conosciuto nel suo settore ci ha colpito una sua domanda “continueranno ad esistere restauratori in grado di mettere mano sulle opere d’arte?”, considerando che la formazione sta diventando sempre più scientifica e meno pratica. Cosa ne pensa? R. Il lato scientifico è importante ed è bene che ci sia. Naturalmente un restauratore deve essere sicuramente più manuale, deve conoscere la materia anche con una preparazione più da bottega, nel senso di esperienza pratica sul lavoro. La diagnostica è importante ma, a mio avviso, un restauratore che non mette le mani su un’opera d’arte non è un restauratore. D. Cosa pensa dell’iniziativa dei Friends of Florence? R. Per me è stata veramente una fortuna. Ho avuto l’opportunità di scegliere un affresco con una iconografia anche elaborata, con lo sponsor che te lo offre. Penso che sia il massimo della soddisfazione. Trovo anche che sia stata un’ idea intelligente abbinarla al Salone del Restauro di Firenze, ha portato tanta gente. D. Come è nata l’idea di fare un progetto sull’affresco della Madonna della Misericordia nel Museo del Bigallo? R. Avevo visto l’affresco il giorno dell’inaugurazione di questo piccolo museo nell’estate 2011. Mi aveva colpito. Mi ricordavo di avere vista questa pittura da studentessa. Il Bigallo è stato chiuso per anni. Quando poi seppi di questo bando, mi venne spontaneo proporlo. D. Quando hanno annunciato la sua vittoria che

cosa provato?

R. Incredulità soprattutto! E poi una bella soddisfazione! Son contenta perché ho percepito dalla Signora Brandolini Dadda, che è stato scelto senza ripensamenti ed all’unanimità dalla commissione. La Madonna della Misericordia con la veduta di Firenze è un simbolo, ed anche molto significativo per questo primo premio. D. Quanto è importante il tema dei beni culturali e i tagli alle spese? Dove secondo lei sono giusti e dove invece sono dei colpi mortali alla cultura del paese e del patrimonio artistico? R. Secondo me, in un paese come il nostro, i tagli ai beni culturali sono una disgrazia, simbolo di un cattivo governo. E’ assolutamente auspicabile che migliori la situazione. D. Cosa ne pensi dei finanziamenti, sempre maggiori da parte di sponsor privati? R. Bene. Nella provincia, nelle cittadine, nei paesi vedo che si muovono le proloco, anche delle associazioni locali di commercianti, praticamente quasi tutto viene fuori dal privato o dalle parrocchie. Di statale mi sembra che ci sia veramente poco. D. Quale è il lavoro che le ha dato più soddisfazione nella sua carriera? R. Ho avuto la fortuna di fare tanti lavori belli e tanti meno importanti. Forse il più emozionante è stato il ritrovamento in una cappellina di un ciclo di affreschi a Cigoli. Questi affreschi erano stati scialbati nel ‘500, intonacati e poi decorati. Nei primi del Novecento era stato fatto un cielo stellato. Restaurando la pittura di un pittore contemporaneo che aveva fatto un lavoro in questa cappellina notammo che era presente qualche distacco di intonaco. In quell’occasione vedemmo dei colori sotto, proprio ad affresco. Furono fatti dei saggi e fu ritrovato questo ciclo di affreschi del ‘400. Si sono poi scoperte delle finestre tamponate, per cui la cappella ha preso tutto un altro aspetto. E’ stata una bella soddisfazione. Il ritrovamento è forse quello che sorprende di più. D. Qualcosa di straordinario che le è successo? R. La grande amicizia con le persone del posto. Specialmente lavorando in provincia, diventi quasi un personaggio. E’ emozionante il rapporto umano che si instaura. D. Considerata la sua esperienza, cosa si sente di consigliare ai giovani che intraprendono oggi la carriera di restauratore? R. Per prima cosa di fare una scuola che gli dia un riconoscimento. E soprattutto, io consiglio, dopo qualche anno anche diciamo di dipendenza da una ditta, di mettersi in proprio abbastanza da giovane, io ho aspettato tanto mi son messa in proprio a 40 anni. Quando si lavora per conto proprio la crescita è maggiore. E poi non si può fare una bella vita, c’è da impegnarsi, lavorare parecchio e tanta volontà. In ultimo se uno fa restauro deve essere motivato. Bisogna essere innamorati di questo lavoro, e se lo si è, lo si è fino alla pensione e anche di più.


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