Arte e Luoghi marzo 2019

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stefania sandrelli

Sculture dedicate alla figura femminile. Un ciclo di opere per raccontare la bellezza

A Lecce il prossimo 8 aprile per inaugurare il Festival del Cinema Europeo

Anno XIV - n 3 marzo 2019 -

alfredo sfilio

anno 143 numero 3 marzo 201 9

leonardo da vinci

il bicentenario dell’infinito

la pietra forata di calimera

Al via le celebrazioni per il componimento tra i più famosi del poeta di Recanati a cui è dedicata una grande mostra documentaria a Napoli

Per i luoghi del mistero alla scoperta della pietra forata di Calimera e la storia di un rito che si ripete ogni lunedì di Pasqua


primo piano

le novitĂ della casa

IL RAGGIO VERDE EDIZIONI

ilraggioverdesrl.it


EDITORIALE

Leonardo da Vinci (1452 - 1519) Autoritratto di Leonardo da Vinci,1515 circa, conservato nella Biblioteca Reale di Torino. Fotografia di ©WikiCommon

Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l.

Chissà quante volte riguardando il film “Non ci resta che piangere” con l’indimenticabile Massimo Troisi e il premio Oscar Roberto Benigni - sui cui luoghi, tra l’altro, ci accompagna in questo numero lo scrittore Stefano Cambò - abbiamo pensato che sarebbe stato bello vivere in quel tempo, al tempo di Leonardo da Vinci e magari incontrarlo mentre dipinge o disegna pensieri in punta di matita. Un genio universale che tutto il mondo riconosce e - probabilmente - sì, ci invidia... Ebbene in occasione del cinquecentesimo anno dalla morte di Leonardo è allestita a Roma, alle Scuderie del Quirinale, una grande mostra dedicata alla sua figura aprendo lo sguardo sulla fitta trama di relazioni culturali che pervade l’ingegneria, la tecnica, l’arte e il pensiero tra Quattro e Cinquecento. Ma di mostre da ammirare e visitare ce ne sono tante, come quella documentaria realizzata a Napoli nella Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II in occasione del bicentenario dell’Infinito di Leopardi. O come quella allestita a Lecce, alla Biblioteca “Nicola Bernardini”, per ricordare il barone poeta Girolamo Comi. A Lucugnano si riapriranno le porte della sua casa che fu cenacolo di autori e artisti, così come saranno visitabili molti luoghi grazie alle Giornate di Primavera del Fai. Dalle femmes fatales di Brian Viveros raccontateci da Dario Ferreri alle donne del gruppo Ri-scatto ideato e realizzato dalla fotografa Nuria Arezzi, alle donne scolpite dall’artista Alfredo Sfilio viste per noi da Raffaele Polo. Dall’incanto di Tivoli che ci fa riscoprire Sara Foti Sciavaliere alla magia della pietra forata di Calimera o alle immagini del mondo sommerso tutto da ammirare dell’Acquario di Genova....anche in questo numero abbiamo provato a raccontarvi la bellezza e darvi qualche anticipazione sugli eventi da seguire. Qui da noi nel Salento, ce n’è uno che segna l’arrivo della Primavera: è il Festival del cinema europeo con il suo corollario di Premi che renderà omaggio a Stefania Sandrelli, una bellezza tutta italiana che ci auguriamo di incontrare, insieme ai tanti ospiti in arrivo, tra le vie della nostra assolata Lecce. Buona lettura! (an.fu.)

SOMMARIO

Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic

Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo

Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Barbara De Carlo, Sara Di Caprio, Sara Foti Sciavaliere, Dario Ferreri, Pietro Marcolin, Francesco Pasca, Raffaele Polo, Maria Assunta Russo, Maria Grazia Sordi Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it

luoghi|eventi| itinerari: Girovagando fai, le Giornate di primavera 44 i luoghi del mistero la pietra forata di calimera 46| l’aquario di Genova 56 | itinerarte 81 | tivoli d’arte e d’acqua 92 | salento segreto 116 arte: la scienza prima della scienza 4| alfredo sfilio la forma, il colore 16| vero o falso questo è il problema 20 | riccardo mannelli al must 40| il reportage di nicola tanzini 52 musica: a gentile richiesta recital maurizio petrelli al teatro paisiello 78| 90 i luoghi della parola: la forza della vita 42 curiosar(t)e la resilienza delle femmes fatales di brian viveros 30 | il corpo del’idea. immaginazione e linguaggio in vico e leopardi 64 | Girolamo comi spirito d’armonia 69 il salento meravigliosa antologia poetica 73 | discorso sull’economia nel tempo del sovranismo 76 cinema: |nell’occhio del cielo, la fantascienza in dieci film 80 festival del cinema europeo in arrivo stefania sandrelli 90| non ci resta che piangere 109 libri | luoghi del sapere 82-88

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i luoghi nella rete|interviste|idal web alla mostra le donne del gruppo ri-scatto. intervista a nuria arezzi 34 Numero 3- anno XIV - marzo 2019


Alcune immagini della mostra dedicata a Leonardo al Quirinale

leonardo da vinci la scienza prima della scienza Antonietta Fulvio

In mostra fino al 30 giugno alle Scuderie del Quirinale disegni e manufatti originali, modelli storici, manoscritti tra cui l’unico libro con le sue annotazioni autografe

ROMA. Cinquecento anni fa, precisamente il 2 maggio 1519, moriva nel maniero francese di Clos-Lucè, Leonardo di ser Piero da Vinci. Nato ad Anchiano, frazione di Vinci, il 15 aprile 1452, Leonardo, genio universale, fu pittore, scultore, inventore, ingegnere militare, scenografo, anatomista, pensatore, uomo di scienza incarnando l’ideale dell’uomo nuovo del Rinascimento. L’omo sanza lettere, così come lui stesso si definiva, con la sua arte e il suo talento continua ancora oggi a sorprendere e a suscitare ammirazione come aveva previsto Giorgio Vasari che ne Le Vite scriveva di Leonardo «Laonde per tante parti sue sí divine, ancora che mol-

to piú operasse con le parole che co' fatti, il nome e la fama sua non si spegneranno già mai». Ne è una riprova, se mai il dubbio potesse sfiorarci, il successo dell’allestimento alle Scuderie del Quirinale di “Leonardo Da Vinci. La scienza prima della scienza” che nel solo primo fine settimana dell’evento espositivo, inauguratosi lo scorso 13 marzo, ha fatto registrare oltre 3.500 ingressi, ai quali si aggiungono le già oltre 300 prenotazioni di scuole con circa 6.000 studenti coinvolti. Organizzata dalle Scuderie in collaborazione con il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” e la Veneranda Biblioteca Ambrosiana di

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Milano, la mostra è articolata in dieci sezioni che partendo dalla formazione toscana al soggiorno milanese, fino al tardo periodo romano, ripercorre l’attività di Leonardo da Vinci sul fronte tecnologico e scientifico, tracciando le connessioni culturali con i suoi contemporanei. Oltre 200 opere trac-

ciano un percorso che attraversa i grandi temi al centro del dibattito rinascimentale affrontati da Leonardo, come l’utilizzo del disegno e della prospettiva in quanto strumenti di conoscenza e rappresentazione, l’arte della guerra tra tradizione e innovazione, il vagheggiamento di macchine fan-

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tastiche come quelle per il volo, la riflessione sulla cittĂ ideale e la riscoperta del mondo classico. SarĂ possibile ammirare fino al prossimo 30 giugno dieci disegni originali appartenenti al prezioso Codice Atlantico custodito dalla Biblioteca Ambrosiana, raramente esposti al pubblico, cosĂŹ come i portelli ori-

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ginali della chiusa di San Marco del Naviglio di Milano, rimasti in uso fino al 1929. E ancora una vasta selezione di modelli storici, provenienti dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, in un confronto serrato e inedito con gli originali leonardeschi, molti dei quali esposti per la prima volta dopo il restauro.


Pagina a lato: Immagini della mostra Sotto: Leggendario Sforza Savoia, 1475. Torino, Musei Reali di Torino - Biblioteca Reale, Ms. Varia 124, ff. 42v - 43r. ŠMusei Reali di Torino-Biblioteca Reale; su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Musei Reali-Biblioteca Reale.

Ad arricchire il percorso manoscritti, disegni, stampe, cinquecentine illustrate e dipinti provenienti da prestigiose istituzioni italiane ed europee. Come uno dei due manoscritti della Divina Proportione di Luca Pacioli, realizzato per il duca Ludovico il Moro nel 1498 e arricchito dalla raffigurazione di sessan-

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Leonardo da Vinci, Carro automotore, 1478 circa. Codice Atlantico f812. Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, ©Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori Portfolio-f812r

ta solidi basati sui disegni preparatori eseguiti dalla “ineffabile sinistra mano” di Leonardo eccezionalmente in prestito dalla Bibliothèque di Ginevra. Un focus speciale è infatti dedicato alla biblioteca di Leonardo che doveva comporsi di oltre 150 volumi, purtroppo dispersa con l’unica eccezione del prezioso trattato di Francesco di Giorgio, in prestito dalla Biblioteca Laurenziana, unico volume appartenente con certezza al Maestro e arricchito da annotazioni di suo pugno. In questa specifica sezione, La biblioteca di Leonardo, è possibile esplorare una serie di testi e autori cari allo studio di Leonardo, presentati in edizioni che il Maestro avrebbe potuto avere nella sua biblioteca, oppure poco successive ma corredate di inte-

ressanti apparati illustrativi, e infine in manoscritti lussuosi, non certo alla portata di un artista, ma legati a corti come quella Sforzesca. «Una grande mostra pensata per le Scuderie del Quirinale afferma il curatore Claudio Giorgione- che intende restituire gli studi e le interpretazioni più recenti dell’opera di Leonardo ingegnere e umanista, evidenziandone le relazioni con il pensiero dei suoi contemporanei. Questa esposizione è resa speciale dall’eccezionale integrazione tra i modelli della collezione storica del Museo, i fogli del Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana e i preziosi prestiti concessi da prestigiose istituzioni italiane e europee». «Attraverso l’attenta ricostruzione del contesto culturale, il rac-

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Antonio Averlino detto Filarete, De architectura libri viginti quinque, ab Antonio Bonfinio latine redditi, ad Matthiam Corvinum Hungariae regem (Trattato di architettura civile e militare), 1460-1464. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Lat. VIII, 2 (=2796), f. 5r. ŠBiblioteca Nazionale Marciana; su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali-Biblioteca Nazionale Marciana.

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Georges Chedanne, Modello del Pantheon, inizi XX secolo. Milano, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, inv. 28. ©Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci. Foto: L. Romano

conto delle contaminazioni tra le diverse discipline e la descrizione delle abilità tecniche e scientifiche di Leonardo, abbiamo voluto offrire una visione ampia della sua figura, troppo spesso presentata come genio isolato». Questo il commento di Matteo Lafranconi, direttore delle Scuderie del Quirinale che rappresentano una tappa importante all’interno del fitto programma d’iniziative per celebrare il cinquecentenario dalla morte di Leonardo avvenuta il 2 maggio 1519 e che travalicheranno anche i confini nazionali con mostre ed eventi organizzati in tutta Europa, a Parigi in pri-

mis. Dai disegni di una città ideale, alle macchine belliche, dalle macchine di teatro a quelle “dell’ingegno del fare” come il bellissimo disegno del filatoio ad alette mobili uno dei più bei fogli del Codice Atlantico la mostra alle Scuderie è incentrata su Leonardo, “uomo di scienza”, aspetto indagato anche attraverso una serie di eventi collaterali, dai corsi e laboratori didattici ospitati direttamente all’interno delle Scuderie del Quirinale, alle iniziative nel cuore di Roma con “Leonardo in città” incontri tematici sulla figura di Leonardo e sul suo

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Portelli lignei della Conca di San Marco del Naviglio Martesana, XVI-XIX secolo. Milano, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, in deposito dalla Civica Siloteca Cormio, inv. D3257. ©Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci. Foto: L. Romano.

pensiero (ad ingresso libero fino a esaurimento posti). Il primo sabato 23 marzo alle 11.00 con un suggestivo incontro gratuito al Teatro Argentina

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di Roma: “Leonardo e l’unità della conoscenza - Un’introduzione alla mostra”. Claudio Giorgione e il prof. Carlo Vecce, tra i massimi studiosi


Leonardo da Vinci, Filatoio con fuso ad alette mobili, 1495. Codice Atlantico f 1090v. Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, ©Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori Portfolio-f1090v

dell’opera leonardiana, introdurranno il pubblico ai temi della mostra approfondendo l’intima relazione tra l’opera di Leonardo e la storia della scienza, dell’arte, della tecnica e del pensiero rinascimentale. Al centro dell’incontro, gli aspetti realmente unici e innovativi del lavoro di Leonardo da Vinci e il senso dell’eredità del suo pensiero nei confronti della contemporaneità. Mercoledì 10 aprile (ore 18.00) la Biblio-

teca Angelica sarà sede dell’incontro, “Il sapere collettivo. Da Leonardo pioniere del moderno pensiero scientifico a Wikipedia” che vedrà gli interventi di Riccardo Luna, Martin Kemp, coordina Stefano Chiodi. “Rendere visibile l’azione degli elementi: Leonardo e il paesaggio.” sarà il tema dell’appuntamento il 17 aprile (ore 18:00) a Villa Medici con Gregory Quenet, Carlo Vecce e Claudio Giorgione per conver-

Alberto Mario Soldatini, Vittorio Somenzi. Aliante, 1953. Milano, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, inv. 4. ©Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci. Foto: L. Romano

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Leonardo da Vinci, Aliante, 1493-1495. Codice Atlantico f 846v. Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, ŠVeneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori Portfolio-f846v

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Leonardo da Vinci, Gru di Filippo Brunelleschi, 1478-1480 Codice Atlantico f 965r. Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, ©Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori Portfolio_f965r

sare sull’approccio leonardesco all’indagine scientifica. Altri due imperdibili eventi il 14 maggio (con inizio alle ore 18.00) nel Liceo E.Q. Visconti - Wunder Musaeum, sul tema “La scienza dell’arte: strumenti, macchine e meraviglie con gli interventi di Emmanuel Lurin, Cristiano Zanetti e Claudio Giorgione e il 23 maggio (ore 18:30) all’Accademia di San Luca “Come si crea un Mito: Leonardo e il Salvador mundi”. Stefano Chiodi incontrerà David Ekserdjian, studioso del Rinascimento ed esperto di storia del collezionismo, e Pierluigi Panza, giornalista del Corriere della Sera. Insieme ripercorreranno le tappe che contribuirono

ad alimentare la fama del genio di Leonardo: dai caratteri quasi mitologici della sua figura, agli interrogativi legati alle sue opere, fino alla clamorosa e dibattuta vendita del Salvator Mundi alla cifra record di 450 milioni di dollari. Leonardo da Vinci. La scienza prima della scienza fino al 30 giugno 2019 Scuderie del Quirinale Roma, Via XXIV Maggio 16 Info: +39 02 92897722 Orari di apertura della mostra al pubblico Da domenica a giovedì dalle 10.00 alle 20.00 Venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30. L’ingresso è

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Leonardo da Vinci, Argano a leva, 1478-1480. Codice Atlantico f 30v. Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, ŠVeneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori Portfolio-f30v

Leonardo da Vinci, Studio di due mortai che lanciano proiettili esplosivi, 1485. Codice Atlantico f 33r. Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, ŠVeneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori Portfolio-f33r

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Nella foto le sculture di Alfredo Sfilio

alfredo sfilio la forma, il colore Raffaele Polo

Un ciclo di opere, lungo un ventennio, per esprimere la bellezza dell’ideale femminile

LECCE. Alfredo Sfilio, questa volta, diventa scultore. E, dedicando quasi esclusivamente alle sue composizioni di vari materiali la mostra che si è inaugura il 5 marzo 2019 presso la Fondazione Palmieri di Lecce, ci racconta il suo viaggio che si svolge

per vent'anni, dal 1998 al 2018. Un viaggio, una mostra, un sentimento costante che il bravo Alfredo dedica alla Donna, ovvero al suo ideale femminile che, tra alti e bassi, solo adesso, quasi con pudore, viene fuori in tutta la sua importante connotazione.

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Sfilio è artista poliedrico, maturato nelle varie sfaccettature dell'Arte attraverso un laborioso e difficile lavoro di ricerca, di studio, di sperimentazioni. Sovente, una naturale ritrosia ed un accentuato stimolo al perfezionismo gli hanno impedito di proseguire per cammini intrapresi, ancorché ricchi di soddisfazione... Lo ricordiamo come capacissimo e meticoloso scenografo, come ricercatore della 'cristianità artistica' attraverso la produzione di splendide icone, ovvero grandi dipinti che esaltano questa sua predisposizione al 'sacro', addirittura dall'altare principale di quelle chiese contemporanee che sono fatte, essenzialmente, di spazi incolori e luci abbaglianti... Sfilio no, è per il colore, per la forma. Ora, anche per i volumi e i coinvolgimenti della figu-

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ra femminile che rispecchia la sublimazione del fare scultura, nel vasto credo artistico del nostro artista. Quale è il significato di questa nuova ricerca che ci viene sottoposta, a distanza di quattro lustri dai primi lavori che, solo ora, trovano un completamento ricco di suggestione? Ce lo spiega lo stesso autore, evidenziando la storia racchiusa in queste sue opere: “ E' un'indagine introspettiva sulla donna nel suo complesso, che sottolinea il profondo amore e rispetto che io ho avuto e che ho nei suoi confronti. Devo riconoscere che talvolta, nell'operare, un certo fascino e seduzione mi hanno spinto a plasmare le crete, quasi fossero le sue carni, quasi a toccarle, lisciarle, accarezzarle, ma con equilibrio e saggezza, pudicamente. Ho mes-


Le sculture di Alfredo Sfilio

so da parte il disagio della vecchiaia che incombe, per calarmi verso visioni che mi hanno concesso profonde emozioni e nuovi momenti di felicità . Il desiderio di creare una donna tutta per me, un sacrosanto diritto al desiderio, dove sentimenti e sensazioni mi coinvolgessero sorprendendomi nonostante la mia età . Un'esperienza ricca di nuove letture del mio animo e del mio essere tutto, senza nessuna pulsione, senza fremiti della carne, ma con la voglia di operare in maniera seria, immediata, estemporanea. Tale da dare significato alle emozioni che via via maturavano in me. Tutte figure femminili quindi create in due momenti distinti: 1998 il primo, 2018 il secondo ma con lo stesso filo conduttore. Venti anni di un apparente distacco provocato dal vuoto emozionale che mi indusse a sospendere la creazione e la continuazione dell'opera intrapresa. Nel 2018 un felice esperimento carta pesta e argilla fredda mi ha spinto a terminare l'incompiuto del 1998.� Una suggestiva rassegna di corpi femminili, opera di Alfredo Sfilio, in mostra per far conoscere, ancora una volta, la bravura e l'ecletticità di questo artista di grande spessore e dalla complessa introspezione.

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In queste pagine alcune affissioni a Fabriano

vero o falso, questo è il problema Maria Grazia Sordi

Immagini false di affissioni pubblicitarie una provocazione del critico d’arte Giuseppe Salerno

Da qualche tempo è capitato, accedendo a Facebook, di imbattersi in post che ci mostrano città invase da martellanti e costosissime campagne pubblicitarie stradali con le quali si promuovono mostre ed eventi. Volendo offrire un contributo al dibattito sulle “fake news”, è il critico d’arte Giuseppe Salerno a pubblicare sui social immagini false di affissioni pubblicitarie

che fanno riferimento ad attività culturali, poco importa se reali o frutto di pura fantasia. Manipolando scatti fotografici del contesto urbano, Salerno va ad impegnare “virtualmente”, senza sottostare a lungaggini burocratiche e costi di affissione, gli spazi dedicati in città alle affissioni. Una tal provocazione, che Salerno definisce “Appropriazione Indebita”, è a tutti gli effetti

un’operazione artistica che sollecita ogni sorta di riflessione su un mondo ipertecnologico nel quale sono scarse le possibilità di discernere la realtà dalla finzione. Salerno, che non è nuovo ad operazioni di questa natura, produsse tra il dicembre del 2006 ed il maggio del 2012 oltre 80 numeri di “The Best in Art”, la prima rivista al mondo che non esiste. Si trattava di cover

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create sul modello degli attuali rotocalchi patinati che proponevano via e-mail, ad una platea di oltre 20.000 destinatari, situazioni costruite ed al limite con il credibile. “The best in art – sostiene Salerno - è la metafora di una società dove immagini taroccate, titoli e sottotitoli muovono opinioni e consensi, una cover che si veste di messaggi distorti, esasperati, fuorvianti, rivolti ad un pubblico superficiale”. In sintesi malinformazione allo stato puro. Grazie anche a queste operazioni artistiche di Giuseppe Salerno la riflessione torna sull’ avvento delle nuove tecnologie che, a partire dagli anni 80, ha subìto una tale inarrestabile accelerazione che si ha ora l’impressione

che lo “strumento” stia sfuggendo di mano, che stia sovrastando chi ne è l’ideatore. Una rivoluzione epocale che ha cambiato in modo irreversibile percezioni e modi di rapportarsi. Uno dei noccioli della questione su cui si vuol riflettere, è di tipo etico, cioè: quanta seduzione, quanta inconsapevole capacità di fuorviare risiede nel mezzo, o meglio visto che non si può colpevolizzare il mezzo, quanta capacità è rimasta all’essere umano nel saper gestire i prodotti e le scoperte della propria intelligenza. Spostandoci invece sul piano attinente alla provocazione di Giuseppe Salerno un quesito sorge riguardo l’effettiva capacità degli organismi preposti al controllo di esercitare la propria opera in modo

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efficace, tenendo in considerazione che le notizie piÚ importanti provengono da fonti connesse a poteri forti, spesso in conflitto d’interesse con il diritto del cittadino ad una informazione chiara. Mi riferisco qui principalmente ai poteri finanziari che agendo a livello planetario, senza potercene accorgere condizionano capillarmente la vita di ognu-

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no, poteri sopra i quali non c’è nessuno che possa fare verifiche. Chi controlla e a chi? Viene da porsi. Perché sembrerebbe che siano maggiormente controllati i semplici cittadini, per scopi mercantili e genericamente utilitaristici, che non quelli che diffondono notizie di rilievo. A tal punto entra in gioco il concetto di manipolazione mediatica, vale a dire fino a che punto le notizie siano camuffate e pilotate. La manipolazione mediatica si esprime non solo con la palese affermazione del falso, ma più probabilmente, perché meno rischioso, con il mascheramento del falso o del vero, giocando con adeguati strumenti di cui, chi si occupa di strategie comunicative al servizio di chi comanda, ben conosce.

Spostandoci dagli interessi delle alte sfere all’ umano percepire, vien da chiederci quali e quanti “strumenti” abbiamo per discernere, ammesso che la cosa ci interessi, e qui apriremmo un altro capitolo, tra “vero” e “falso”, quando la logica imperante alla quale siamo tutti in qualche modo sottoposti, è quella del vivere velocemente e voracemente, del non interessarsi. Un approccio ormai cronico che ha sostituto il tempo all’ascolto e alla riflessione, il tempo dedicato alla conoscenza di sé e del mondo circostante. C’è tutta una strategia alla fonte, di cui i media sono solo un importantissimo strumento, che lavorano in tal senso: ridurre la capacità del singolo di esprimersi come individuo sollecitando la massificazio-

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ne delle opinioni e dei bisogni, per annullare o incrementare, a seconda degli obiettivi di chi manovra, la capacità di reazione delle masse.


Nel riquadro Dario Ferreri; al centro Brian Viveros, OCTOPUSSY III

la resilienza delle femmes fatales di brian viveros Dario Ferreri

Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea

CURIOSAR(T)E

«La sensualità è la presenza del valore nel sensibile» Nicolás Gómez Dávila

I

mmaginazione selvaggia ed energia creativa: lui è Brian Viveros; nato e cresciuto in California, è un artista ormai noto in tutto il mondo; autodidatta, si è formato studiando i maestri del fumetto, delle belle arti e del cinema. La sua vivida apertura mentale alla fantasia e l'educazione ispanica hanno modellato il suo universo creativo di riferimento: già in tenera età disegnava molto, leggeva e creava cartoon, ideava e realizzava film splatter con gli amici del vicinato; anche il padre era appassionato di disegno, in particolare anatomico e dei

” personaggi di Conan il Barbaro; molte delle sue passioni e riferimenti artistici fanciulleschi si sono tradotti in componenti estetiche del suo mondo visivo. Ex fumatore incallito è da un pò di anni passato all'occasionale fumo di sigari 'Arturo Fuente', spesso presenti nelle sue opere e confezionati da un'azienda di cari amici. La carriera artistica Di Brian Viveros è letteralmente esplosa nel 1997, allorquando, grazie alla partecipazione dei suoi iconografici dipinti di femmes fatales alla mostra "The Art of Porn" a Losanna, in Svizzera, al Musée d'art

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CURIOSAR(T)E

Da sinistra: Brian Viveros, Cleopatra Hail Mary a lato: Blody Knuckles - Evillast - Forever

Contemporain Pornographique, a cura di Les Barany (agente di H.R. Giger) ha iniziato il suo percorso di ascesa nei gusti e nelle fiere d'arte di tutto il mondo. I suoi lavori rappresentano la sintesi in chiave "pop surreal " degli elementi della comunicazione non verbale seduttiva femminile: labbra carnose umide e dischiuse, pupille dilatate, sguardo languido con occhi socchiusi, allusivi sigaro o sigaretta, rose che si aprono e chi più ne vede più ne dica. Acrilico, olio, grafite, carboncino ed aerografo nelle sue mani danno vita a dettagliati, saturi, profondi ed esteticamente accattivanti e luminosi ritratti di donne belle e pericolose, guerriere che escono da mille e più battaglie e che, oltre al fascino, lasciano trasparire dolore, sfida, fame, desiderio e la quiete dopo la tempesta. Le sue sono donne forti, non prive di elementi pulp e ciber punk, che hanno combattuto bene e continuano a combat-

tere, sono donne potenti che diventano pugile, lottatore, torero, samurai, soldato, ecc; è sottinteso nei suoi dipinti un messaggio universale di speranza per la sopravvivenza individuale e di testimonianza della radicata resilienza collettiva del genere umano: tutti sanguiniamo e prendiamo colpi, ma ci dobbiamo rialzare e ci alziamo, l'invito è a

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spazzare via dalla nostra vita negatività, problemi ed inquietudini ed andare avanti e restare in alto, come i suoi dipinti, esprimendo il nostro rifiuto al vittimismo. Le sue composizioni neosurrealiste sono struggenti e semplici: l'enfasi dell'artista tende a concentrarsi su punti focali come gli occhi, le labbra e la pelle. La par-


She Entwined

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Sotto: Brian Viveros, Fight Club III a lato: Devil Made me do it

ticolare texture ed i soggetti delle sue opere le rendono estremamente apprezzate per la customizzazione di capi di abbigliamento ed accessori, oggetti d'arte e di altra natura ed all'uso nel tattoo (sui social impazzano tatuaggi che riproducono, parzialmente o integralmente, sue opere). L'artista ha esposto ed espone negli Stati Uniti ed in Europa ed in numerose fiere d'arte internazionali; la sua galleria di riferimento principale è da tanti anni la Thinkspace Gal-

lery, le sue opere sono apparse in riviste come Juxtapoz, Secret Magazine, In the Flesh, Skin Two, Drawing Blood, Darks Art, Joia Magazine, Tattoo Extreme, XFUNS Magazine, Let’s Motive, Truce, Digital Temple, Riviera Magazine, Uce Magazine, Ego Magazine, Real Detroit Weekly, .ISM Quarterly, Tattoo Society, Dark Art’s Parlour Magazine, Revolution Art, Iniciativa Colectiva, Fetish Magazine, ecc. Di recente una sua opera è stata acquisita dall'Urban Nation, il Museo per l'ar-

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te urbana contemporanea di Berlino. Nel 2005, Brian Viveros ha debuttato nella regia cinematografica con il film surreale Dislandia ed è questo un hobby che continua a coltivare (tra gli altri titoli ricordo Lesser Eleusinian Mysteries, Tercio De Muerte, Southern, Inlandia, Maggot, Aramaic, ecc). Tra i suoi film preferiti: Viva La Muerte, Holy Mountain, Meshes of the Afternoon, Un Chien Andalou, ecc. Suo numero fortunato: il 33. Colleziona caschi ed oggetti de Los Dias

de la Muerte. Il suo sogno ricorrente: "solo onde di rosso-rosso di onde". La musica di ouverture e fine della sua vita: la Marcia Imperiale di Darth Vader. Ha quasi 240.000 follower su Facebook (https://www.facebook.com/Brian-M-Viveros50794676197/); la sua web page è http://brianmviveros.com/. Quando l'artista descrive il mondo del suo recente libro monografico, "The Dirtyland: The Art Brian M. Viveros" del 2017 afferma

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In basso di Brian Viveros: Frida la Muerte; a lato: Play Dirty

che DirtyLand è il mondo e l'esercito che ha creato, un immaginario pieno di donne forti che dominano e trasudano potere, eroine da adorare, soldatesse immacolate ed al contempo sporche di sangue e tatuate sulla pelle e nell'anima; per arrivare in questo mondo c'è bisogno di un casco, un pacchetto di siga-

rette da fumare ed una forte musica. Chiunque sarà il benvenuto! E non ci può essere migliore epilogo di questa nota su Viveros se non il suo solito saluto erga omnes sui social e nelle interviste: Stay dirty my friends.

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foto di Nuria Arezzi

dal web alla mostra le donne del Gruppo “ri-scatto” Antonietta Fulvio

Intervista alla fotografa siciliana Nuria Arezzi

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l bello di essere Donna. La femminilità colta nei gesti, in uno sguardo in un abbraccio con se stesse... L'identità messa a nudo. Raccontata in fotogrammi che diventano la storia di ogni donna. Perché al di là delle differenze, la radice che ci rende uniche e straordinarie è nella sensualità di un corpo che sa dare la vita e chiede solo di essere amato. Semplicemente donne. Oltre la femminilità, oltre gli sguardi, le foto di Nuria Arezzi diventano occasione di un viaggio interiore alla riscoperta di se stesse. Di un riscatto che passa dalla consapevolezza che siamo uniche. Ognuna lo è. E non c’è niente di impossibile che non si possa realizzare nella vita. La storia di Nuria - siciliana d’origine e salentina d’adozione- e della sua passione per la fotografia lo testimonia.

Come nasce la passione per la fotografia? La fotografia è molto più di una passione, è stata un ancora di salvezza, in un periodo molto brutto. In effetti ho sempre scattato le foto per tutta la famiglia, ricordo e conservo ancora qualche immagine

fatta da ragazzina. All'epoca si scattava con il rullino… quindi era sempre un enigma. Ho comprato la prima reflex all'età di 30 anni, e continuavo a scattare foto a familiari e amici. A 40 anni vengo travolta da un sintomo strano, qualcosa di fastidioso, non stavo bene e questo stava compromettendo tutta la mia vita… anche il mio matrimonio. Mi bruciava la bocca, sindrome della bocca urente, questo è il nome che le danno i medici. Per circa un anno mi ha perseguitata portandomi nell'anticamera della depressione. E proprio in quel momento così particolare arriva inaspettato il dono di mio marito: una nuova macchina fotografica e mi incita a riprendere a fotografare… Un nuovo approccio dunque Sì, decisi che dovevo perfezionarmi e cominciai a frequentare dei corsi e a trovare una mia cifra, sono sempre stata affascinata dai ritratti e cominciai a proporre ad alcune amiche di posare. Questa volta non tenevo gli scatti per me, ma li postavo sui social… volevo uscire, espormi e farmi giudicare.

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E accade qualcosa di inaspettato... Quello che succede dopo è una continua richiesta da parte di donne sconosciute. E io accetto, anche se con grande paura. Arriva quindi il momento della prima modella e io sono piena di dubbi: cosa si aspetta questa donna? sarò capace? ma ormai avevo detto di sì e avevo bisogno di confrontarmi, di sperimentare. Realizzi così il tuo primo shooting fotografico... Tutto avviene in maniera molto naturale e

spontaneo, due chiacchiere e un caffè. La modella mi racconta la sua vita… è una donna ferita, arrabbiata, chiusa in un guscio. Vuole sentirsi bella, vuole delle foto da mostrare… sentirsi desiderata... sentirsi dire sei bellissima anche da persone sconosciute che ammireranno la sua foto sui social. Incontri così tante altre donne Lei è la prima di una lunga serie...si sparge la voce.. in questo i social sono impareggiabili e mi arrivano tante richieste e

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La fotografa Nuria Arezzi. A lato e sotto alcuni suoi scatti

scopro tante storie di donne che hanno sofferto... storie di cancro… corpi mutilati dalla malattia, donne in cerca di un riscatto. Da qui nasce l'idea di creare un gruppo privato su Facebook. Volevo continuare a fotografare queste donne ma andavano protette! meritavano uno spazio tutto loro. Ed è proprio Ri-Scatto il nome che ho voluto dare a questo gruppo, il riscatto che ogni donna merita, io per prima. Grazie a questo gruppo ho avuto la possibilità di incontrare molte donne tra cui Elena Olgiati estetista Apeo, responsabile dello spazio benessere presso il polo oncologico di Lecce dove si effettuano trattamenti gratuiti a persone in terapia oncologica, sostenuta dall'associazione “Cuori e Mani aperte verso chi soffre” fondata da don Gianni Mattia. Grazie a lei mi viene offerta la possibilità di creare la locandina per il loro

evento di beneficenza: "Io M'arzo e l'otto ogni giorno" che si è tenuto il 10 Marzo presso l'Hotel Tiziano. Così un esercito di guerriere bellissime vengono a posare per me e la locandina ne è il risultato. Il Gruppo continua ad essere terreno di confronto e spazio aperto a nuove idee... Un giorno mi sono chiesta: "fino a che punto queste donne sono disposte a mettersi in gioco?". Così ho proposto al mio gruppo di partecipare ad un progetto collettivo che consisteva nel fotografare gruppi di donne. Hanno risposto in ventotto, le ho suddivise in dieci gruppi e ad ognuna di loro ho proposto di venire con un'idea da sviluppare, un tema, qualcosa che volessero comunicare attraverso la fotografia. è stato così che queste donne si sono incontrate, raccontate, conosciute grazie a questa mia iniziativa.

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Foto di Nuria Arezzi

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In queste pagine le foto di Nuria Arezzi

E dal gruppo alla mostra Sì, "Le donne di Ri-Scatto " è diventato il titolo di una mostra che verrà presentata l'8 marzo a Cavallino grazie all'associazione “Arco”. Questo evento è stato suddiviso in due giornate: il 2 Marzo abbiamo allestito un set a Cavallino presso la galleria Art

Home Gallery che ospita la mostra. Il set voleva essere un invito alle donne a parlare attraverso un obiettivo fotografico. Con grande sorpresa sono arrivate quarantuno donne di tutte le età, tutte con un messaggio scritto su un foglio.

Cosa anima e motiva il gruppo Ri-Scatto? Ci ho riflettuto e credo che il motivo vada ricercato nel fatto che è costituito da donne che lottano per la vita, credono nell'amore e hanno preso coscienza di meritare la bellezza. Perché poi sia successo tutto questo, il perché mi affidano le loro storie, le loro cicatrici... forse è perché sono una donna e ho uno sguardo che va oltre l'aspetto fisico. Io le fotografo. Ri-scatto di Nuria Arezzi Art Home Gallery Cavallino, via Miglietta 50 fino al 30 marzo 2019

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riccardo mannelli al must con “diario di un vizio”

In mostra fino al 31 marzo nelle sale del Museo Storico di Lecce e nella sede del gruppo Kunstschau

LECCE. Diario di un vizio è il titolo della mostra antologica dell’artista Riccardo Mannelli (Pistoia, 1955) che dal 5 marzo è allestita nelle sale del MUST – Museo Storico della Città di Lecce grazie al Kunstschau_Collective Art Group che oltre ad aver organizzato l’evento espositivo al Must dal 6 marzo ospita nella propria sede, in via Gioacchino Toma 72, un progetto speciale a firma dello stesso Mannelli. Docente di Disegno dal vero e Anatomia all'istituto Europeo del Design, Riccardo Mannelli è disegnatore, illustratore, pittore, ritrattista, autore di reportage disegnati. Dopo Il Male è stato protagonista delle più importanti esperienze di stampa satirica in Italia e da oltre quarant’anni lavora ad una personalissima ricostruzione della bellezza, sia attraverso la militanza quotidiana nell’ambito giornalistico (L’Europeo, La Stampa, Il Manifesto, La Repubblica, Il Fatto quotidiano) che nella produzione pittorica dove esplora i caratteri, i lati oscuri e le nevrosi delle relazioni umane. “Il Diario di Mannelli – scrive Roberto Lacarbonara in catalogo – quello su

cui da anni l’artista toscano annota i vizi, il malcostume e la decadenza di un popolo, è la più grande sceneggiatura anatomica dell’attualità, un palcoscenico della bellezza quale promessa – mancata? – di felicità e di emancipazione. è il “corpo” il protagonista del disegno e della pittura di Mannelli. Corpo-totale, corpo-carne, corpo-schermo su cui il tempo proietta le ombre cavernicolari del quotidiano. Un corpo da sempre irrisolto nella cultura occidentale, prima greca poi giudaico-cristiana ed infine cartesiana, fatto a pezzi dalle rasoiate della morale e della ragione”. Il titolo della mostra è tratto dal celebre film di Marco Ferreri (1993) e definisce una strettissima affinità con le intenzioni e la poetica del regista. Quel vizio elaborato da Ferreri attraverso le ossessioni sessuali e angosciose del protagonista, si insinua nella profondità dell’uomo moderno, specie in virtù delle più subdole forme di potere che agiscono sul nostro corpo e sulla nostra mente. In mostra al MUST sono visibili ampie sezioni del lavoro pittorico di Riccardo Mannelli svolto tra il 2000 e il 2019.

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Dagli Appunti per la ricostruzione della bellezza ai Blues e Hasta mañana mi amor, fino alla recente serie Ammazzami, opere dedicate alla violenza di genere. Per la prima volta in Italia, verrà presentato il film Riccardo Mannelli: Notes for the Reconstruction of Beauty di Gianluca Draghetti, realizzato in occasione della grande personale americana al Building Bridges Art exchange di Los Angeles nel 2016. All’interno del film sono raccolte testimonianze di giornalisti, curatori e professionisti del mondo artistico e giornalistico di Mannelli, tra cui

Ascanio Celestini, Vittorio Sgarbi e Marco Travaglio. Presso la white cube di Kunstschau è invece esposto il progetto Commedia in Z.E.R.O. (2001-2005), in un allestimento vietato ai minori di 16 anni. L'evento ha il Patrocinio della Regione Puglia e del Comune di Lecce ed è in collaborazione con la Galleria Gagliardi di San Gimignano (Si). Riccardo Mannelli | Diario di un vizio Dal 5 al 31 marzo 2019 Must Museo Storico Città di Lecce

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la forza della vita Giovanni Bruno

La riflessione dello psicologo psicoterapeuta

In queste settimane nelle sale italiane viene proiettato La vita in un attimo, un film di Dan Fogelman che lega varie storie , tra l’America e la Spagna , che hanno un unico denominatore : una frattura, una lesione nella propria vita che determina un danno non facilmente sanabile, qualcosa che nel tempo deve ricomporsi per poter proseguire il proprio cammino. Ma nel film di Fogelman c’è qualcosa in più, c’è soprattutto la convinzione che la vita va vissuta accettando il dolore, proprio come l’avvertimento nietzschiano che “se scruterai a lungo in un abisso, l’abisso scruterà dentro di te”. Il dolore vissuto con determinazione e razionalità solo per acquisire quelle conoscenze che servono per combatterlo meglio, per uscirne alla fine vittoriosi. La vita insomma ci può mettere in ginocchio ,a volte anche umiliarci ma dentro è neces-

sario trovare la forza per rialzarsi e ricominciare. La forza appunto, ma come si fa a trovare questa forza, a stanarla dagli anfratti in cui è nascosta, a liberarla dalle mille e mille paure che ci ossessionano, dai fantasmi che assillano il bambino che è dentro di noi. Io penso che la forza è nel contempo una ricerca e un dato innato connaturato con l’essere umano e le due cose non si elidono per come potrebbe sembrare. Ma per tentare di dimostrarlo vorrei partire dalla quella che chiamiamo Paura . La paura ci sorprende nel momento del trauma ,della frattura, essa è una emozione primaria ed è sempre determinata da una situazione di pericolo che incombe sulla nostra persona e ne minaccia l’esistenza. A questa emozione primaria corrisponde in modo innato l’Istinto cioè l’impulso che ha come obiettivo la stessa sopravvivenza del soggetto. è in questa reazione che deve essere trovata la forza primaria, in questo salto di livello tra paura e istinto di sopravvivere che risiede la forza di vivere e affrontare il dolore. Certo questa naturale energia orientata alla vita può essere aiutata dalle proprie convinzioni legate alla fede o più laicamente all’idea che tutti siamo immersi in un mistero o in una rete di inconosciuto che nessuno mai potrà determinare.

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Il punto allora è capire come funziona questa forza che ci permette di ricominciare, come questa forza risuona dentro di noi. A quali convinzioni personali è legata e poiché è essa stessa una emozione, come le emozioni sono state registrate dalla nostra mente. Ma proprio per questo penso alla forza interiore come a una ricerca continua che prevede una dedizione, un impegno, una applicazione non scevra da un certo

sacrificio. E questo sacrificio non è fine a se stesso ma deve piuttosto rendere onore alla propria persona, al proprio vissuto, alla propria storia. Per trovare la propria forza interiore c’è bisogno di decisione, di determinazione ,di fermezza e proprio questa energia si impara con i sentimenti che abbiamo fatto nostri nella vita, come la nostra mappa emotiva si è costruita dentro di noi e come risuona in noi.

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Per tutti queste ragioni è fondamentale costruirsi come persona nel tempo , negli anni e cercare di diventare sempre migliori, persone vere. Con queste premesse la forza che ci sorreggerà nei momenti critici sarà più facile trovarla e dopo la caduta rialzarsi sarà normale, umano quasi connaturato in noi.


Foto-Stefano-Dal-Pozzolo_2017_C-FAI-Fondo-Ambiente-Italiano

fai, le Giornate di primavera ponte tra culture

Ritorna la ventisettesima edizione della manifestazione che celebra il patrimonio artistico e architettonico del Bel Paese

FAI ponte tra culture è il tema della 27ª edizione delle Giornate Fai di Primavera che si propone di amplificare e raccontare le diverse influenze culturali straniere disseminate nei beni aperti in tutta Italia. Dal 1993 la manifestazione ha appassionato quasi 11 milioni di visitatori. Anno dopo anno le Giornate FAI superano se stesse: questa edizione vedrà protagonisti 1.100 luoghi aperti in 430 località in tutte le regioni, grazie alla spinta organizzativa dei 325 gruppi di delegati sparsi in tutte le regioni – Delegazioni regionali, provinciali e Gruppi Giovani - e grazie ai 40.000 Apprendisti Ciceroni. Molti di questi luoghi - spiegano gli organizzatori - testimoniano la ricchezza derivata dall'incontro e dalla fusione tra la nostra tradizione e quella dei paesi europei, asiatici, americani e africani. Ecco perché in alcuni di questi siti e in alcuni Beni FAI le visite saranno curate da oltre un centinaio di volontari di origine straniera che racconteranno gli aspetti storici, artistici e architettonici tipici della loro cultura di provenienza che, a contatto con la nostra, ha contribuito

a dar vita al nostro patrimonio. Ne sono un esempio la Biblioteca Carlo Viganò dell’Università Cattolica a Brescia, un “viaggio” tra le lingue latina, greca, araba e volgare attraverso manoscritti, cinquecentine e opere a stampa che documentano lo sviluppo dell’algebra, dell’astronomia, della fisica e di altre scienze; oppure Piazza Sett’Angeli a Palermo, un libro aperto dove leggere la storia millenaria della città; o ancora il Gabinetto Cinese di Palazzo Reale a Torino, rivestito con pannelli di lacche provenienti dalla Cina; per arrivare fino a Venezia, con la Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone, che ancora oggi mantiene vivo il legame spirituale e culturale tra i Dalmati e Venezia. Il catalogo dei beni visitabili durante le Giornate FAI di Primavera è disponibile su www.giornatefai.it. Impossibile sintetizzare tutti i siti. Ne segnaliamo alcuni, come il castello cinquecentesco di fondazione medioevale, di proprietà dei Medici di Marignano a Melegnano (MI). La Passeggiata del Re a Torino, un percorso all’interno di Palazzo Reale, di solito non

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accessibile per intero, attraverso appartamenti dorati, severi uffici, luoghi sacri e di loisir; Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, si svelerà attraverso percorsi insoliti: dai luoghi della tradizione, come la Fabbrica del carro trionfale della festa della Bruna, a quelli dell’innovazione, come il Centro di Geodesia Spaziale, inaugurato nel 1983 e dedicato all’osservazione della Terra e agli studi geologici del bacino del Mediterraneo; a La Spezia eccezionali le visite alla Nave Italia, brigantino di 61 metri, simbolo dell’impegno sociale della Marina Militare, e alla Nave Carlo Bergamini, varata nel 2011 e utilizzata nell’operazione Mare Nostrum; di grande interesse anche l’apertura del

Palazzo Ducale di Modena, tra le più grandi e prestigiose residenze della famiglia d’Este e oggi sede dell’Accademia Militare; a Catania tra i tanti luoghi visitabili il porto con le opere di Street Art Silos, progetto del 2015 che ha coinvolto artisti internazionali per reinterpretare i miti della tradizione avendo come supporti i silos dello scalo; a Pontremoli (MS) cinque aperture eccezionali per raccontare il Barocco pontremolese, tra le quali Villa Dosi Delfini, riccamente decorata, e Palazzo Negri Dosi, dimora costruita a metà Seicento e considerata dagli artisti dell’epoca la più bella tra le case dei signori locali per la sua magnificenza. www.giornatefai.it

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Nel riquadro Raffaele Polo, al centro la pietra forata di Calimera, foto di Alessandro Romano (www.salentoacolory.it)

la pietra forata di calimera l’unicità della chiesa di san vito Raffaele Polo

“ I LUOGhI DEL MISTERO

Girovagando nel Salento

Credo proprio che non ci sia una chiesa eguale, al mondo. Ovvero, un edificio dedicato al culto (in questo caso a san Vito) che ha, davanti all'altare, emergente dal pavimento, una solida roccia. E questa roccia ha un foro, al centro, di una trentina di centimetri di diametro. La chiesetta è, come sempre accade, dalle parti nostre, trascurata e perennemente chiusa. Solo il Lunedì di Pasqua i battenti vengono spalancati e i numerosi visitatori che si recano a trascorrere tale ricorrenza nel bosco di Calimera, si affacciano incuriositi, chiedendosi quale sia il misterioso significato della pietra con il foro... A dire il vero, la tradizione della visita a questa antica testimonianza, resiste nel tempo. E c'è l'imperativo di chiedere una grazia al Santo, nel mentre si tenta di passare attraverso il foro... Consuetudine vuole che, nei tempi passati, a questa pratica si sottoponessero le donne che desideravano una

maternità. Adesso, in verità, è diventata una sorta di scommessa che incita soprattutto i più giovani a cimentarsi con il passaggio che, tra l'altro, richiede una tecnica non proprio agevole ma che consente il superamento anche a persone apparentemente più grosse dell'apertura... Se è vero che bisogna effettuare una sorta di avvitamento, pure c'è chi, in silenzio, bisbiglia una preghiera, tramandata anch'essa da tradizione orale, che dilata miracolosamente lo spazio a disposizione e consente di superare lo stretto cerchio e approdare 'di là', perfettamente sani e con la grazia ricevuta... Antonio Petrachi, in un suo interessante scritto dedicato alla Pietra Forata, così la descrive: La “Pietra forata” è un monolite calcareo che emerge direttamente dal pavimento ed ha il diametro esterno di circa un metro, con al centro un foro di circa 30 centimetri. La sua importanza è data appunto da que-

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I LUOGhI DEL MISTERO

Nel riquadro Raffaele Polo, al centro la pietra forata di Calimera, foto di Alessandro Romano (www.salentoacolory.it)

sta strettissima apertura a cui sono legate credenze magico-religiose delle popolazioni di Calimera e della “Grecìa salentina“, tramandate fino ai nostri giorni. Colui che lo oltrepassa, secondo il culto cristiano, verrebbe purificato, rinascendo a nuova vita. Questo “monolite” appartiene ad epoca precristiana, quando attorno ad esso si svolgevano precisi rituali pagani legati a propiziare la fecondità, perché oltrepassarlo avrebbe trasmesso alla persona il potere fertile della Terra, ricreando l’uscita dall’utero femminile al momento del parto. Esso è molto stretto, e non a caso, attraversarlo richiede un grande sforzo, impegno e fatica, lo stesso che occorre nel momento della venuta al mondo da parte della madre e del figlio: il nascituro viene spinto attraverso un piccolo passaggio perché in tal modo le pareti dell’utero massaggerebbero con forza tutti i muscoli del neonato, attivandoli. La festa si svolge ogni anno, in un particolare giorno, il “Lunedì dell’Angelo” (non a caso, giorno di una rinascita), nei pressi del piccolo tem-

pio dedicato appunto a San Vito dove tutti gli anni gli abitanti del vicino centro di Calimera celebrano i riti (pagani) della fertilità. Prima di dar sfogo al gioco, alle danze, al consumo di cibo e bevande, è d’obbligo oltrepassare la roccia forata per assicurarsi la grazia di essa: di aver ricca figliolanza e scongiurare i pericoli del parto ed augurarsi un anno di fertilità. Dopo il rito si intraprendono i canti in dialetto “griko” accompagnati da balli tipici della “Grecìa salentina”, le “pizziche“, suonati con tamburelli tipici di quest’area. Gli elementi rituali di questa festa sono l’ attraversamento della pietra forata e l’atto del corteggiamento che in questo giorno era considerato lecito e permesso. Di conseguenza questa festa ha suscitato scandali con l’avvento del Cristianesimo, così la Chiesa di Roma cercò di convertire il monolite di stampo pagano, inglobandolo all’interno di una chiesa medievale dedicata a San Vito e affrescandolo con l’immagine del Santo. La festa quindi diviene una vera e propria tradi-

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Nel riquadro Raffaele Polo, al centro la pietra forata di Calimera, foto di Alessandro Romano (www.salentoacolory.it)

zione pasquale legata alla religione cristiana. L’esigenza di costruire la chiesa di San Vito attorno alla “pietra forata” nasce per assorbire ogni forma di paganesimo e trasformare antichi culti a proprio vantaggio, ciò è facilmente deducibile dalla scelta del giorno in cui si svolge il rito che si rifà alla resurrezione di Cristo che è proprio ciò che simboleggia oggi la “Pietra forata” . Credenze ancestrali, certo. Ma è suggestiva e unica nel suo genere questa pietra che non è possibile spostare come vuole anche la leggenda che i calimeresi si tramandano, con un pizzico mai sopito di campanilismo nei confronti della rivale Martano. Siamo, del resto, nella Grecìa Salentina e i fatti misteriosi sono sempre all'ordine del giorno, ogni centro pare avere la sua specialità: a Zollino, ad esempio, la tradizione parla delle 'macare' ovvero delle streghe o fattucchiere, senza tralasciare poi la presenza di numerosi menhir e dolmen che mai come in questa area sono testimoni di un 'mistero' che aleggia nell'atmosfera... Dunque, quando Calimera era una frazione di Martano, gli abitanti di quest'ultimo centro pensarono bene di sottrarre la meravigliosa pietra col foro, che era

nella piazza principale di Calimera, trasportandola nella vicina Martano.Ma proprio nell'attraversare la vasta campagna della periferia, la pietra divenne pesantissima e non ci fu verso di smuoverla più. I calimeresi, attribuendo il miracolo a san Vito, eressero la chiesetta in suo onore, inglobandovi la pietra... Leggende, naturalmente. Dove il leit-motiv dell'improvviso bloccarsi dell'effige in un dato posto, quasi a voler indicare che lì, e non in altro luogo, deve rimanere il trasportato, è comune proprio a Martano, ad esempio, con la effige della Madonna, venerata nella periferica chiesa della 'Madonneddha'. Piuttosto, gli antichi riti propiziatori della maternità, sono ben presenti in queste tradizioni dove il Cristianesimo si è facilmente sostituito ai riti pagani più sentiti. E la pietra forata di Calimera ne è sicuramente un esempio, anche oggi che tali tradizioni vengono relegate in solitarie apparizioni o, addirittura, lasciate nel dimenticatoio. Il Lunedì di Pasqua, comunque, la pietra forata ci aspetta; e la spoglia chiesetta di San Vito, con la sua semplice struttura protegge il mistero che circonda il monolite, ricco di fascino e di mistero.

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Nicola Tanzini, Street Tokyo, 2016 © Nicola Tanzini

tokyo tsukij. a Genova il reportaGe di nicola tanzini

La mostra, visitabile fino al 5 maggio, è ospitata nel Museo d’Arte Orientale “Edoardo Chiossone” che custodisce la più rilevante collezione di arte giapponese in Italia

GENOVA. Tokyo Tsukiji, è il reportage realizzato da Nicola Tanzini (Pisa, 1964) all’interno di Tsukiji, il mercato ittico più grande al mondo. Inaugurata lo scorso 22 febbraio, la mostra, visitabile fino al 5 maggio 2019 è ospitata nel Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova. Un luogo magico che custodisce la più rilevante collezione d’arte giapponese in Italia e una delle più importanti in Europa. Formato da Edoardo Chiossone (18331898) durante il suo lungo soggiorno in Giappone, il patrimonio museale comprende oltre quindicimila opere e ha sede in un edificio museale appositamente progettato da Mario Labò nel parco comunale di Villetta Di Negro, in posizione panoramica sulla città. L’esposizione, curata da Aurora Canepari, direttrice del Museo d'Arte Orientale Edoardo Chios-

sone e Benedetta Donato, curatrice del progetto editoriale, presenta una selezione di 28 fotografie che costituiscono un vero e proprio racconto per immagini di uno dei luoghi più iconici della capitale nipponica, considerato addirittura sacro dai ristoratori giapponesi, che ha visto crescere la propria fama al punto da diventare una delle maggiori attrattive turistiche di Tokyo, oggi purtroppo non più visitabile. Il 6 ottobre 2018 infatti, dopo 83 anni dalla sua apertura, il mercato di Tsukiji è stato definitivamente chiuso per far spazio alle Olimpiadi del 2020 e dislocato diversi chilometri più a est, nel quartiere di Toyosu. Il mercato del pesce è presente nella capitale sin dalla sua fondazione risalente all’inizio del XVII secolo, espressamente voluto dallo shogun Tokugawa Ieyasu.

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Nella storia dell’arte giapponese, è spesso soggetto delle stampe policrome ukiyoe, espressione artistica per eccellenza della società urbana del XVII secolo, dove diviene simbolo di prosperità e operosità. Nei secoli ha mutato luogo e forma, assecondando le trasformazioni dell’assetto urbanistico della capitale, ma confermandosi sempre come indicatore della vivacità commerciale, dell’indotto del settore ittico e delle abitudini alimentari giapponesi. In oltre due anni di lavoro, Nicola Tanzini ha

scelto di catturare coi suoi scatti un lato poco noto di Tsukiji, nel momento di dismissione delle attività che precedono la chiusura, quando tutto finalmente si ferma e gli operatori possono sospendere il lavoro, iniziato prima dell'alba. L’intero reportage di Nicola Tanzini è contenuto nell’omonimo volume (Contrasto; pagg. 200; oltre 130 immagini, in italiano, inglese, francese e giapponese, a cura di Benedetta Donato), diviso in otto sezioni, corrispondenti alle varie fasi individuate dalla curatela, che

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Nicola Tanzini, Street Tokyo, 2016 © Nicola Tanzini

vanno dallo spopolamento del mercato alle operazioni di pulizia, dai ritratti dei venditori fino ai momenti da questi ultimi dedicati al ristoro e al relax. La rassegna genovese pone in dialogo stampe fotografiche che ritraggono una parte importante della cultura e della tradizione giapponese, con la collezione del Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone, considerata la più importante in Italia e tra le più importanti d'Europa. Attraverso questa rilettura, arti visive e arti plastiche, provenienti da periodi diversi e apparentemente lontani, si contaminano e si incontrano in un continuum, sottolineando l'impegno della struttura nella valorizzazione e diffusione di pratiche, usanze e costumi dell'antico e del contemporaneo. Nicola Tanzini (Pisa, 1964) è un imprenditore e fotografo da oltre trent’anni. La sua ricerca

si ispira prevalentemente al movimento della fotografia umanista, ponendo al centro i comportamenti, le situazioni quotidiane appartenenti alla natura umana, in quello che l'autore definisce il proprio ambiente naturale: la strada. Ha fondato Street Diaries, un progetto itinerante e in costante evoluzione sulla fotografia di strada, che si alimenta grazie ai numerosi viaggi compiuti dall'autore intorno al mondo e che finora ha visto protagonisti luoghi quali: Londra, Dublino, San Francisco e molti altri ancora. TOKYO TSUKIJI. Fotografie di Nicola Tanzini Genova, Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone (piazzale Giuseppe Mazzini 4N) fino al 5 maggio 2019 Orario: da martedì a venerdì, 9.00-19.00; sabato e domenica 10.00-19.30 lunedì chiuso

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Marzo Divino !

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l’acquario di Genova. il racconto meraviGlioso della biodiversità Barbara De Carlo

Alla scoperta della bellezza del primo acquario d’Europa

GENOVA. Tra le tante meraviglie che rendono l’Italia una nazione all’avanguardia nel campo delle arti e dell’intrattenimento, spicca l'Acquario di Genova, che vanta il primato di essere il primo acquario d’Europa. Nessuna location poteva meritare di accogliere una struttura tanto imponente, progettata dal genio creativo dell’architetto Renzo Piano, se non il Ponte Pinola del porto antico di Geno-

va e successivamente lo scafo di una nave che a oggi ospita una serie di vasche aperte. L’inaugurazione dell’Acquario è coincisa con la celebrazione del cinquecentesimo anniversario della scoperta dell’America nel 1992. Dal 1995 la gestione dell'acquario venne poi affidata alla Costa Edutainment in seguito a una gara d'appalto pubblica.

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foto di Claudia Forcignanò

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foto di Claudia Forcignanò

Nel corso degli anni, ammodernamenti e nuovi padiglioni hanno modificato e sicuramente migliorato l’aspetto originale della struttura portandola ad un totale di quasi 10mila metri quadri. Chi vorrà visitare l’Acquario di Genova, potrà abbandonare per circa 3 ore il mondo della terra ferma e immergersi in un mondo in cui 6000 esemplari di animali marini e non sono padroni assoluti, imparando a conoscere questi esseri meravigliosi meritevoli di tutela e rispetto.

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Delfini, squali, foche, lamantini, tartarughe di mare e di terra, pesci tropicali, di ogni forma e colore e serpenti saranno i compagni di un’esperienza avvolgente, che cambierà non solo il modo di percepire il mare, ma la natura in generale, perché uno degli scopi principali dell’acquario è proprio quello di sensibilizzare gli utenti circa i danni irreparabili che l’uomo sta facendo con il disprezzo che ogni giorno dimostra nei confronti dell’ambiente. E così, passeggiando tra le 39 vasche del percorso, sarà possibile familiarizzare con le specie viventi che popolano l’Acquario e accarezzare alcuni pesci.

ACQUARIO DI GENOVA Area Porto Antico, Ponte Spinola Orari Acquario dalle 9:00 alle 20:00 ultimo ingresso alle 18:00 Info, costi e prenotazioni direttamente dal sito www.acquariodigenova.it

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A lato: Giacomo Leopardi (1798-1837) - ritr. A Ferrazzi, Recanati, casa Leopardi Sotto: Giacomo Leopardi BNN INFINITO 1819 -1919

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il corpo dell’idea. immaGinazione e linGuaGGio in vico e leopardi

L’infinito di Leopardi compie 200 anni. Il Comitato nazionale per il bicentenario celebra l’evento con una originale mostra nella Biblioteca Nazoinale di Napoli aperta il 21 marzo in occasione della Giornata Mondiale della Poesia indetta dall’Unesco. E il 28 maggio, flash mob poetico in tutte le scuole d’Italia

NAPOLI. Duecento anni fa, Giacomo Leopardi componeva uno dei suoi più famosi canti: “L’Infinito”. L’autografo esemplato dal poeta quasi certamente nel 1819 è conservato a Napoli nella Biblioteca Nazionale, erede e custode dell’eredità leopardiana dove giovedì 21 marzo, in occasione della Giornata mondiale della poesia, alle ore 16 si sono aperte le celebrazioni indette dal “Comitato Nazionale per il Bicentenario dell' INFINITO di Leopardi” con l’inaugurazione della straordinaria mostra “Il corpo dell'idea. Immaginazione e linguaggio in Vico e Leopardi”. «La mostra è stata realizzata nel segno del-

la proficua sinergia tra gli istituti del MIBAC.spiega Francesco Mercurio - La narrazione si sviluppa a partire dalle origini del mondo,attraverso un itinerario tra gli Dei, gli Eroi e gli Uomini. Mitologia, filologia e poesia si intrecciano attraverso le parole di Vico e Leopardi in un dialogo tra i due che sembra non appartenere ad un tempo e uno spazio finito, ma prosegue oltre, in un flusso senza soluzione di continuità che giunge fino a noi, uomini del XXI secolo.» La Biblioteca nazionale di Napoli, che conserva la quasi totalità del corpus delle opere letterarie, filosofiche e saggistiche leopardiane, da tempo è, infatti, impegnata ( ricorda lo

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stesso direttore Mercurio), col sostegno della Direzione generale Biblioteche e Istituti culturali, in un’intensa azione di valorizzazione dell’opera del poeta e di tutela della memoria attraverso una costante attività di ricerca e studio di digitalizzazione del patrimonio leopardiano. L’autografo napoletano vergato con penna a ductus fine e inchiostro scuro, è di fondamentale importanza letteraria e filologica, perché permette di esaminare gli interventi correttori di Giacomo Leopardi e di ripercorrere la cronistoria delle scelte e dei ripensamenti del poeta di Recanati. Ad eccezione del termine ‘Immensità’ che comparirà al posto di ‘Infinità’ soltanto nel 1831 nell'edizione fiorentina dei Canti, pubblicati da Guglielmo Piatti, e poi definitivamente nell'edizione pubblicata a Napoli da Saverio Starita nel 1835, l'ultima curata da Leopardi prima della morte. Alla morte di Giacomo Leopardi nel 1837, i suoi autografi rimasero in possesso di Antonio Ranieri, amico napoletano del poeta, che li custodì e ne preservò l'integrità per oltre cinquant'anni. Fu appunto Ranieri che ne dispose il passaggio per lascito testamentario alla Biblioteca Nazionale di Napoli, a cui le carte sarebbero pervenute, tuttavia, soltanto al termine di una lunga controversia giudiziaria. Espropriato dallo Stato nel 1897 e affidato dapprima all'esame di una commissione ministeriale insediata nella Biblioteca Casanatense di Roma e presieduta dal Carducci, il prezioso archivio leopardiano sarà ufficialmente consegnato all'istituto napoletano il 19 maggio 1907. L’esposizione è incentrata sul dialogo tra Vico e Leopardi, ricostruito soprattutto attraverso l’incontro di due fondamentali testi quali La Scienza Nuova e lo Zibaldone di pensieri. Un itinerario antropologico che dal mito delle origini, passando attraverso l’elaborazione poetica dei primi canti arcaici e quella omerica, perviene al farsi del linguaggio e alla costruzione delle civiltà, il cui eccesso per entrambi gli autori, inteso quale

eccesso di ragione, conduce infine alla barbarie, alla decadenza e alla corruzione. Temi che Vico e Leopardi affrontano in maniera diversa, storico-providenzialistica il primo, radicale il secondo. L’esperienza conclusiva del percorso vuol significare il messaggio leopardiano, esistenziale e umano, affidato alla Ginestra. Grazie alla mostra “Il corpo dell'idea. Immaginazione e linguaggio in Vico e Leopardi” sarà possibile ammirare una vasta selezione di preziosi autografi, dalla Scienza Nuova, allo Zibaldone di pensieri, alle Operette Morali, dalla Primavera, allo Stratone da Lampsaco, con un posto di rilievo per l 'lnfinito nella sua prima versione del 1819. Si aggiungono 29 rari testi del'500 e 700 ed il prezioso Globo del Corinelli, tutti provenienti dalla Biblioteca Nazionale. L'itinerario nel mito si avvale dell'esposizione di statue provenienti dal Museo di Palazzo Reale di Napoli e dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. L’inaugurazione è stata preceduta nella sala Rari della Biblioteca Nazionale di Napoli da una prolusione di Antonio Prete, tra i massimi esperti dell’opera leopardiana. Si sono poi succeduti gli interventi di Francesco Mercurio, Direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli, Patrizia Boldoni, Consigliere del Presidente regionale per la Cultura; Anna Imponente, Direttore del Polo Museale della Campania, Paolo Mascilli Migliorini, Direttore di Palazzo Reale di Napoli, Ambasciatore Giuseppe Balboni Acqua, Presidente Comitato Nazionale per il Bicentenario dell’lnfinito. Sarà presente la Contessa Olimpia Leopardi e inoltre Fabio Corvatta, Presidente del Centro Nazionale di Studi Leopardiani, Manuela Sanna,Direttore dell’ISPF, Fulvio Tessitore, Paolo Giulierini, Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Rosanna Purchia, Sovrintendente della Fondazione Teatro di San Carlo mentre spetterà alla curatrice, Fabiana Cacciapuoti, raccontare l’itinerario espositivo. La mostra è organizzata dalla Biblioteca Nazio-

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nale di Napoli, diretta da Francesco Mercurio, con la collaborazione del “Polo Museale della Campania – Palazzo Reale” e del “Museo Archeologico Nazionale di Napoli” ed è sostenuta dalla Regione Campania. E da un’idea di Olimpia Leopardi, il prossimo 28 maggio, alle ore 11:30 un flash mob poetico attraverserà tutta l’Italia e coinvolgerà gli studenti delle scuole che reciteranno all’unisono "L’Infinito" di Leopardi! Un’idea «nata per comunicare in maniera non istituzionale la bellezza della poesia a quei giovani che vivono grandi emozioni che troppe volte rimangono inespresse.» ha dichiarato la contessa Leopardi. L’iniziativa promossa da Casa Leopardi in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, perché ha spiegato il Ministro Bussetti «Leopardi è stato un genio, e come tale ci parla ancora, è nostro contemporaneo. Noi abbiamo il dovere di testimoniare la modernità e l’importan-

za del suo pensiero e della sua opera per la cultura italiana ed europea. La poesia non è un mero esercizio spirituale, ma è una delle forme più potenti con cui l’uomo sta al mondo. La poesia è necessaria, è una delle manifestazioni dello spirito. E la scuola – ha aggiunto – deve essere una sorta di ‘convivio poetico’ in cui il dialogo tra tutte le varie forme della cultura è fondamentale per la formazione dei ragazzi». (an.fu.) Il corpo dell'idea. Immaginazione e linguaggio in Vico e Leopardi mostra bibliografica, documentaria,iconografica, multimediale BIBLIOTECA NAZIONALE DI NAPOLI SALA DORICA in PALAZZO REALE DI NAPOLI 21 marzo - 21 luglio 2019 Lunedì - venerdì ore 10 - 17; sabato, domenica e festivi 10-19; mercoledì chiuso. ingresso libero

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Girolamo comi. spirito d’armonia per il barone poeta di lucuGnano

Fino al 15 giugno, a Lecce e a Lucugnano la mostra per celebrare la vita e le opere del poeta fondatore dell’Accademia Salentina e della rivista “L’Albero”

LECCE. Dedicata a Girolamo Comi (Casamassella, Lecce, 1890 - Lucugnano, Lecce, 1968), uno dei poeti più significativi del Novecento Pugliese. Celebrati i cinquant’anni dalla morte, si è aperta il 15 marzo, nelle sale della Biblioteca Bernardini a Lecce in piazzetta Carducci, la mostra “Girolamo Comi Spirito d'armonia”. Una mostra che intende celebrare la vita e le opere del barone-poeta di Lucugnano che, nell’abbagliante luce del Capo di Leuca, fu fondatore dell’Accademia Salentina, cenacolo intellettuale fondato con un nutrito gruppo di amici attivi sul fronte della poesia e dell’arte nel territorio locale e nazionale, tra questi: Michele Pierri, Oreste Macrì, Mario Marti, Vincenzo

Ciardo, Maria Corti, Luciano Anceschi, Rosario Assunto, Ferruccio Ferrazzi. Fu quella un’esperienza irripetibile di dialogo e confronto, segnata da incontri – avvenuti periodicamente fino al 1953, nelle sale di Palazzo Comi – mossi dall’impegno comune, nella compilazione della rivista “L’Albero”, progetto editoriale, che Comi sostenne economicamente in prima persona fino al 1966. Estraneo a tutte le correnti e le tendenze poetiche del secolo scorso, Girolamo Comi pubblicò le sue opere in autoedizioni, quasi sempre in numero assai ridotto di esemplari, che hanno avuto perciò scarsissima diffusione non solo tra i lettori ma anche tra gli

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Nel riquadro un ‘immagine dell’allestimento della mostra alla Biblioteca “G. Bernardini” di Lecce; nelle altre foto le stanze di Palazzo Comi, residenza del poeta (fonte: www.girolamocomi.it),

addetti ai lavori. La mostra – e il relativo catalogo curato da Lucio Giannone, Lorenzo Madaro e Brizia Minerva – Girolamo Comi. Spirito d’armonia intende dar conto delle sue esperienze, ricostruire le sue relazioni, studiare le sue raccolte poetiche, avanzare nuove ipotesi interpretative sul suo operare e – con l’ausilio dei preziosi documenti custoditi nella biblioteca che porta il suo nome – traccia-

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re la storia di una grande avventura culturale andata in scena da quella “torre di avvistamento” che è stato il Palazzo di Lucugnano, periferico soltanto geograficamente. Tutto nella vita di Comi appare necessario e, anche le disavventure – come il fallimento dell’impresa dell’Oleificio Salentino, che lo obbliga a cedere, nel 1960, il palazzo di famiglia alla Provincia di Lecce, per far fronte ai debiti e


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Alcune immagini della mostra allestita alla Biblioteca “N. Bernardini” di Lecce

garantirsi un sostentamento – sembrano essere segno di un destino: motivo di energia e di un continuo ripartire. La mostra, che idealmente parte da Casa Comi a Lucugnano che custodisce e promuove la sua biblioteca e il suo archivio, è allestita nel primo piano della Biblioteca Nicola Bernardini di Lecce. Ideata da Luigi De Luca, direttore del Polo biblio-museale di Lecce, con la curatela di Antonio Lucio Giannone, Lorenzo Madaro, Mauro Marino e Brizia Minerva e il progetto grafico e l’allestimento di Big Sur (Francesco Maggiore e Efrem Barrotta) – propone un percorso immersivo nella vita e nelle esperienze letterarie e intellettuali di Comi e dei suoi compagni di strada, con centinaia di documenti, tra libri, manoscritti, lettere e fotografie, e opere degli artisti vicini alla rivista “L’Albero” che aveva fondato nel 1949: Vincenzo Ciardo, Ferruccio Ferrazzi, Aldo Calò, Antonio D’Andrea e Lino Paolo Suppressa. Tra i preziosi documenti in mostra – le edizioni rare pubblicate da Comi nel corso della sua esistenza, i numeri dell'"Albero", manoscritti, lettere, foto – anche il libro delle presenze degli incontri dell’Accademia Salentina, con appunti, relazioni e disegni tracciati dai suoi membri. Biblioteca Nicola Bernardini Piazzetta Carducci - Lecce Dal lunedì al sabato: ore 9.00 - 20.00 Palazzo Comi Via delle grazie, 1 - Lucugnano Dal lunedì al venerdì: ore 9.00 13.00; Martedì e giovedì: ore 15.00 - 17.00. Info (+39) 380.3110530 www.girolamocomi.it

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Il coreografo Fredy Franzutti; a lato il ballerino Emanuele Cazzato

il salento meraviGliosa antoloGia poetica Antonietta Fulvio

Presentato nella Fondazione Palmieri il “Taccuino introduttivo alla Letteratura salentina” di Raffaele Polo

P

ensare al Salento come ad una meravigliosa Antologia poetica da sfogliare, leggere, custodire, divulgare. In estrema sintesi, potrebbe essere questo l’assunto del Taccuino introduttivo alla Letteratura salentina di Raffaele Polo, presentato ieri sera tra gli affreschi dell’ex Chiesetta di San Sebastiano, sede della Fondazione Palmieri. Dopo l’introduzione della padrona di casa, Carla Palmieri, un pubblico ha seguito con attenzione il vivace dialogo tra l’autore e il giornalista Giuseppe Puppo, direttore di Leccecronaca, che firma la prefazione al volume edito da Il Raggio Verde. In copertina l’immagine dell’artista e poeta Giovanni Polo, un’acquaforte/acquatinta realizzata nel 1998 e intitolata “La lanterna”. L’immagine suggestiva ed evocativa di una luce, che se pur fioca illumina, si pre-

sta ad indicare l’intento della pubblicazione che risponde ad un desiderio ma anche ad un bisogno: sfatare da un lato l’idea malsana che il Salento non abbia poeti e scrittori, ribadire con forza dall’altro l’urgenza di ricordare e ripercorrere le tracce letterarie lasciate da «meravigliosi eroi che hanno costruito, senza che nessuno se ne accorgesse, la Cultura salentina». Un’idea nata sulle pagine di Leccecronaca, ha ricordato il direttore Giuseppe Puppo, con una rubrica che in trentasette settimane ha raccontato «un repertorio straordinario e prezioso perché là stanno le nostre radici, che continuano ad alimentarci e a farci rifiorire con il nutrimento della cultura». Ma che valore ha parlare oggi di memoria storica? Nell’epoca del mordi e fuggi digitale, dei like a profusione lasciati senza legge-

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re, molto spesso, nemmeno le poche righe di un post, recuperare la nostra identità culturale è una necessità imprescindibile. «Il Salento ha un estremo bisogno di raccogliere, conoscere e comprendere quali siano le sue radici» ha spiegato l’autore, rispondendo alle domande del suo interlocutore, entrambi provenienti dalla scuola del giornalista Ernesto Alvino che apre la pubblicazione. E come il titolo del libro, Un giorno a Lecce città inconsueta, la presentazione del Taccuino si è trasformata in una sorta di tour che Raffaele Polo ha “ricostruito” per catapultare i presenti nella Lecce degli anni Settanta, quando per strada si potevano incontrare personaggi come La zia Leda o Napoleone o imbattersi nell’artista Edoardo De Candia o incontrare proprio Ernesto Alvino in piazza Sant’Oronzo dove c’era la redazione de “La voce del Sud”, un giornale che per oltre un ventennio è stato un baluardo dell’informazione e della cultura a Lecce e nel Salento, una “palestra” per tanti giornalisti, oggi firme di spicco, un giornale che non temeva di andare controcorrente e in controtendenza alle posizioni della stampa nazionale come accadde con i film scandalo degli anni Settanta. Impossibile citarli tutti ma di alcuni - Ennio Bonea, Rocco Cataldi, Vittorio Bodini, Giulio Erminio Caputo, Giovanni Polo - si è potuto dar voce ai loro versi grazie alle letture di Pamela Minerba ed Emanuele Quarta, giovani attori dell’associazione culturale “Teatro Valle della Cupa” diretta da Dora Solini. è stato piacevole e interessante ascoltare questo inconsueto “tuffo nel passato”, cogliere la vivacità di quegli anni che su una fantomatica linea del tempo sono dietro l’ango-

lo eppure il loro ricordo si sta perdendo. Come probabilmente, e purtroppo, accadrà tra un ventennio con il griko, la lingua degli Dei che aveva affascinato Pier Paolo Pasolini. Alla domanda provocatoria di Puppo se sia possibile affidare alla realizzazione dei parchi letterari il compito di legare la Cultura allo sviluppo di un territorio, Raffaele Polo ha risposto con amarezza che finora nel Salento è mancata la volontà e chi di competenza ha disertato perdendo talvolta anche l’opportunità di disporre di fondi comunitari. Negli ultimi cinquant’anni, ha ricordato, non abbiamo voluto occuparci della nostra salentinità, se è pur vero che il Salento è una realtà minima rispetto a quelle più importanti eppure ha i suoi “eroi” noti e meno noti; la storia insegna che è il tempo a decidere la validità di un’opera e del suo autore ma oggi il pericolo è la riduzione a folklore per cui, ad esempio, nelle sagre o durante i concerti molti cantino e ballino sul refrain Lallalero della nostalgica triste “Kali nitta” dello studioso e letterato Vito Domenico Palumbo, ignorando parole e significati del componimento nato dall’estro del famoso ellenista di Calimera. Non si è portato la lingua grika nelle scuole, e quando per un fattore anagrafico scompariranno gli anziani e gli operatori culturali, che continuano a lottare in difesa di una diversità linguistica che è ricchezza del territorio, con loro tutto andrà perso. Se non si inverte la rotta, come si suol dire. Nuoro è un immenso parco letterario dedicato a Grazia Deledda vincitrice del Premio Nobel che è un esempio di come il territorio può trarre beneficio dalla Cultura che non è una voce di bilancio – spes-

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so da decurtare – nei bilanci ministeriali… Perché non pensare a Lecce e al Salento come un grande parco letterario? Potrebbe essere la sfida di chi amministrerà il territorio nel prossimo futuro. Nel suo piccolo, senza pretese di esaustività né tantomeno velleità accademiche, Il Raggio Verde tenta questa inversione e apre con i Taccuini una raccolta che vuole porsi come approccio alla Letteratura salentina. Cogliendo l’importanza e i suggerimenti degli articoli dello scrittore che, in tempi non sospetti, ha parlato e ha scelto il Salento per ambientare le sue storie e ha scavato nella sua memoria, da buon lettore, andando a rileggere gli scritti di autori prolifici ma anche chi come Salvatore Bruno, ad esempio, ha scritto un solo libro, L’allenatore, pubblicato dalla Valsecchi nel 1963 ma che rappresenta la sublime testimonianza di un salentino di Presicce, di un uomo del Sud. Quel Sud di cui parlava il poeta della “Luna dei Borboni” e che pochi realmente conoscono. Da pochi anni Vittorio Bodini riposa nel cimitero di Lecce – ha raccontato Polo accanto a Tito Schipa e quando fu apposto l’epitaffio con i versi del suo struggente componimento “Tu non conosci il Sud” fu commesso un errore nella trascrizione che cambiava il senso della poesia. Grazie a Leccecronaca che segnalò il refuso l’iscrizione è stata corretta. Di aneddoti, Raffaele Polo e Giuseppe Puppo, ne avrebbero tanti da raccontare, chissà forse finiranno in un altro Taccuino, e c’è da augurarselo perché la storia è fatta di microstorie che si incastrano come tessere di un mosaico. E tutte, ma proprio tutte nella loro unicità, sono neces-

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sarie per ottenere la visione d’insieme. Sulla lettura dei versi Lu puparu di Giovanni Polo, si è concluso un incontro che ha affascinato e ha lasciato aperti tantissimi spunti di riflessione, molti sono andati via con la curiosità di andare a riscoprire chi sono i trentasette poeti e scrittori, voci autorevoli del nostro Sud presenti nel Taccuino: Ernesto Alvino, don Tonino Bello, Carmelo Bene, Vittorio Bodini, Ennio Bonea, Enrico Bozzi, Salvatore Bruno, Erminio Giulio Caputo, Rocco Cataldi, Girolamo Comi, Franco Corlianò, Francescantonio D’Amelio, Ercole Ugo D’Andrea, Giuseppe De Dominicis, Nicola G. De Donno, Iacopo A. Ferrari e Antonio De Ferraris, Cosimo De Giorgi, Luigi De Santis, Rina Durante, Salvatore Imperiale, Oberdan Leone, Arturo Leva, Mario Marti, Cesare Monte, Vittorio Pagano, Raffaele Pagliarulo, Vito Domenico Palumbo, Salvatore Paolo, Giovanni Polo, Raffaele Protopapa, Claudia Ruggeri, Maddalena Santoro, Michele Saponaro, Salvatore Toma, Donato Valli, Giulio Cesare Viola, Antonio Verri. Per dirla con le parole dell’autore, “una meravigliosa Antologia poetica che abbiamo sotto gli occhi, a disposizione. Se solo ce ne accorgessimo…».

Raffaele Polo Taccuino introduttivo alla Letteratura Salentina 2019, p.140, €12,00 ISBN: 978-8899679-66-8 In copertina Giovanni Polo La lanterna, acqua- forte/acquatinta, 1998 Il libro a breve sarà disponibile anche in formato e-book


Opera di Nicola Genco e la locandina della manifestazione

economia al tempo del sovranismo il nuovo libro di walter cerfeda Pietro Marcolin

In libreria il nuovo saggio di economia dello scrittore Walter Cerfeda. Pubblichiamo in anteprima la prefazione a firma del presidente Istao di Ancona dell’Università A. Olivetti

è

molto complicato tentare un commento al saggio, tanto ampio è lo spettro delle questioni affrontate e delle considerazioni offerte alla riflessione di Walter Cerfeda, di cui va rimarcato il lodevole sforzo di individuare e spiegare con chiarezza problemi molto complessi, che si colloca fra i servizi culturali meritori, in tempi di disinformazione e di approssimazione. Penso che l’inquadramento possa essere agevolato dai dati recentemente pubblicati dal rapporto di OXFAM: una mostruosa

concentrazione della ricchezza nelle mani di pochissimi ed una povertà dilagante in tutti i quadranti del pianeta. A questo fenomeno si aggiunge in modo pressante il conto dei limiti planetari che si stanno superando (la concentrazione di co2, la riduzione della fascia dell’ozono, la minore disponibilità di acqua dolce, l’acidificazione degli oceani, l’inquinamento da prodotti chimici, la perdita di biodiversità….). In sintesi: il danno ambientale e la disuguaglianza, rappresentano un’ingiustizia o non anche

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e sopratutto una ormai insostenibile inefficienza economica? La compressione della capacità di consumo di tanti uomini e le conseguenze del disastro ambientale stanno frenando l’economia mondiale e rivoluzionando gli assetti geopolitici e sociali. Le migrazioni ed i disordini sociali sempre più frequenti ne sono la drammatica testimonianza. Non è più solo l’allarme di economisti come A.Sen, J.Stiglitz o di P.Krugman; la stagnazione secolare paventata da L.Summers diventa realtà! Non c’e’ più tempo per l’ambiente e per la società! Cerfeda sintetizza il confronto in atto delle politiche di contrasto alla crisi misurando la nuova politica americana del presidente Trump, populista, sovranista, protezionista e congiunturale con quella cinese (con una variante giapponese) multilaterale, liberista e di lungo periodo. Un’inversione di ruoli storicamente paradossale ma che ci indica quanto sia cambiato il mondo e , valutando i ruoli ed i pesi dei nuovi paesi leader, quanto illusoria sia ormai la pretesa trumpista. Il quadro offerto viene arricchito dal

ruolo comprimario di Giappone e Russia, con sullo sfondo un’Europa stretta fra le tensioni correnti con una voce incerta e flebile, sempre più tentata dal ripiegamento di sopravvivenza e di piccolo cabotaggio in attesa delle prossime elezioni. Qui Walter penso che offra il meglio di sé da europeista convinto e militante, che a Bruxelles ha a lungo lavorato e che conosce la fatica e la pazienza necessarie ad organizzare il vero cambiamento. Il filone culturale, scientifico, culturale e politico cui attinge, è quello che partendo da J.Delors, via R.Prodi arriva al manifesto per la nuova Europa di T.Piketty e forse al manifesto Siamoeuropei. Le forze politiche riformatrici hanno pagato il prezzo più alto della crisi del compromesso socialdemocratico e adesso cercano di presentare un quadro di proposte che non sono la riedizione delle vecchie ricette ma che, illuminando le opportunità della piattaforma continentale europea, offre una possibilità di un nuovo Patto fra i cittadini e l’Europa che punti sulla speranza e ricacci indietro la paura. Pur evidenziando i limiti italiani, sui conti, sui vantaggi ottenuti e sugli scaricabarile, traccia anche un quadro realistico e catastrofico di cosa accadrebbe in caso di Italexit. Mi sembra, in conclusione, che alluda esplicitamente alla possibilità di “gestire le trasformazioni”, di conseguire una leadership scientifica europea, con meno deficit e più bilancio europeo, con più capitale sociale, ripensando anche alle due velocità possibili in Europa (i richiamati due cerchi concentrici) ed alla possibilità per l’Italia di essere più forte con un’Europa più forte . Il destino dell’Italia è l’Europa sembra dire e argomentare. Mi pare una preziosa lettura capace di aumentare la sempre più necessaria capacità critica, per affrontare con ordine i temi importanti delle prossime elezioni europee fra ideologia e propaganda.

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Da destra, in basso: il cantautore Marco Petrelli, il sassofonista Fulvio Palese, il flautista Gianluca Milanese; la cantante Anna Rita del Piano

a Gentile richiesta: recital maurizio petrelli al paisiello

A Lecce il 29 marzo Grande Salento Orchestra Su il sipario!

LECCE. "A gentile richiesta: recital!" è il titolo dello spettacolo che andrà in scena venerdì 29 marzo nel Teatro Paisiello di Lecce. Il crooner e cantautore salentino Maurizio Petrelli sarà sul palco con la Grande Salento Orchestra diretta da Fernando Toma, arricchita dalla presenza del sassofonista salentino Fulvio Palese e dell’attrice,regista e cantante Anna Rita Del Piano. La Grande Salento Orchestra sarà composta da Andrea Rossetti (piano), Davide Codazzo (contrabbasso), Paolo Colazzo (batteria), Alex Monteduro (percussioni), Massi-

mo Corrado, Matteo Franza (trombe), Fulvio Palese (sax), Gianluca Milanese (flauto), Alberto Bolettieri (trombone), Alessandra Maglie e Rebecca Bove (violino), Benedetta Bisanti (viola), Rosa Andriulli (violoncello), Giusy Colì (cori). La serata si aprirà con alcuni brani di "Alétheia", progetto discografico del sassofonista e compositore Fulvio Palese (AlfaMusic). Il titolo è ispirato all’antica Grecia e lascia trasparire la formazione filosofica del musicista. Per gli antichi greci, infatti, il termine αλήθεια significava verità, ma non

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nell’accezione che gli attribuiamo oggi, bensì nel senso di qualcosa di mitico che è a fondamento di ogni tradizione. A seguire sul palco la poliedrica artista Anna Rita Del Piano, attrice, regista e cantante, originaria di Cassano delle Murge e materana di adozione. Nel corso di questi anni ha lavorato al cinema (con, tra gli altri, i registi Lucio Giordano, Nico Cirasola, Gennaro Nunziante con Checco Zalone, Sergio Rubini, Marco Bellocchio, Giuseppe Tornatore), in tv (partecipando alle fiction Ultimo, Valeria medico legale, Una donna per amico, Le ali della vita, Maria Goretti, L'uomo sbagliato, Don Matteo) e a teatro come attrice e regista. In ambito musicale, dopo il diploma in canto lirico come Mezzosoprano al Conservatorio “Egidio Romualdo Duni” di Matera, si è avvicinata anche al canto jazz partecipando a numerosi corsi e master. Flyng Notes è il suo primo cd “percorso musicale che attraversa il jazz da Bessie Smith a George Gershwin”. In chiusura Maurizio Petrelli e la Grande Salento Orchestra. Crooner, cantante, compositore Maurizio Petrelli inizia la sua carriera artistica come batterista alla fine degli anni ’60. Dopo varie esperienze in giro per l'Italia e all'estero con Spaghetti Gang, Soul Brothers, Grande Salento Orchestra, Pugliamerica a/r (Dodicilune, 2010), nel 2015

pubblica Amori e altre storie, primo progetto discografico con suoi brani originali. Nel 2018 esce “Scatole di vetro”, continuazione ideale del precedente, sempre prodotto da AlfaMusic. Prevendite a Youm e Castello Carlo V. Sipario ore 20:30 - ingresso da 10 a 20 euro Info 3208085000 - www.mauriziopetrelli.it www.alfamusic.com

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nell’occhio del cielo la fantascienza in dieci film

Al Cineporto di Lecce la rassegna promossa dal Cineclub dell’Università del Salento

LECCE. Prosegue al Cineporto (via Vecchia Frigole 36), la rassegna “Nell’occhio nel cielo. La fantascienza in 10 film”, organizzata dal Cineclub Universitario dell’Università del Salento con il supporto della Fondazione Apulia Film Commission. «Un ciclo che indaga il ruolo di un genere “vecchio” quanto il cinema ma capace d’essere forte catalizzatore di significati nella contemporaneità», spiega Luca Bandirali, curatore della rassegna, «Abbiamo selezionato film usciti tra il ’68 e il ’99 di grande potenza, per confrontarne la visionarietà con il tempo presente». Il 1 aprile, ore 19 sarà proiettato il film “Nirvana” di Gabriele Salvatores (1997) seguito il 3 aprile, (ore 17) dalla pellicola “Geografie fragili”. Proiezioni, incontri, dibattiti su cinema e luoghi in

occasione dell’anteprima della Notte della Geografia “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg (1977) con l’introduzione a cura di Enrico Terrone (LOGOS Research Group, Universitat de Barcelona) è il film in programma il 15 aprile, (ore 19). Ancora due pellicole cult il 29 aprile, ore 19

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“1997: Fuga da New York” di John Carpenter (1981) introdotto da Stefano Cristante (Università del Salento) e “L’uomo che cadde sulla Terra” di Nicolas Roeg (1976) che sarà proiettato il 6 maggio, ore 19. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti.


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imperi di polvere di claudio mauri

CLAUDIO MAURI Imperi di polvere Solfanelli Editore ISBN-978-88-3305-121-5 pp.168 €14,00

Avvincente e molto ben congegnato, questo 'Imperi di polvere' di Claudio Mauri (Solfanelli, 14 euro) ci riporta a momenti oscuri e volutamente trascurati della nostra storia. Quando, con la conquista di Roma del 1944 da parte dell'esercito Alleato, nasce la 'civiltà globalizzata' ovvero il disegno di asservire, dal suo interno, le popolazioni e i governi con una sottile ed efficiente propaganda che non guarda in faccia nessuno. Sono, infatti, gli agenti della CIA che, con l'espandersi della Guerra Fredda, operano per imporre in Europa il modello culturale americano e l'egemonia linguistica dell'inglese. Il potere della democrazia viene progressivamente annullato, consegnandolo ai poteri forti che condizionano le decisioni fondamentali dell'umanità. Si arriva agli anni Sessanta quando l'assassinio dei fratelli Kennedy soncisce l'epilogo di un dramma che lascia il vuoto di una cultura unica senza senso e senza scopo. Questo di Mauri, come già i suoi precedenti (tra cui La catena invisibile, imperniato sul fascismo esoterico; Il male viene dal cielo, sulla strage di alunni di una scuola lombarda compiuta dagli americani e Il naufragio della notte) è un romanzo storico e di fantasia nello stesso tempo, che intreccia sollecitazioni, documenti ed emozioni con grande efficacia, svelando nello stesso tempo fatti e retroscena trascurati ed eliminati dalla 'Storia ufficiale'. L'idea portante è quella che pervade tutto il procedere della narrazione: la denuncia di una civiltà che vuole cancellare Dio dalla storia e, come un grande Titanic fuori contriollo, procede verso la catastrofe, segnando la storia di un impero, forse l'ultimo, destinato a dissolversi... Molto ben scritto e strutturato, il romanzo evidenzia, ancora una volta, la spiccata predisposizione di Mauri per questi argomenti che non sono comuni e per i quali è necessaria una ricerca e un profondo sostrato culturale che consenta di inquadrare perfettamente i singoli avvenimenti nei contesti dei 'grandi eventi della storia' che, come avviene sempre, sono narrati e tramandati dalla esclusiva parte dei vincitori. Ma, ancora una volta, Mauri si chiede e ci chiede: chi sono, veramente, i vincitori? E fino a quando saremo disposti a subire, in silenzio, ciò che la perfidia e l'interesse umano ci vogliono imporre con minacce e ricatti non solo psicologici? Da segnalare, in questo testo, alcune digressioni culturali di gran pregio: fra tutte, l'indicazione dell'opera e della figura di Athanasius Kircher, il padre gesuita studioso del linguaggio e di mille altre

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misteriose argomentazioni. Con la preziosa indicazione di visitare il Santuario della Mentorella, sul monte Guadagnolo. Un romanzo coraggioso, insomma, che ci conferma dell'ottima vena dell'amico Claudio, da sempre sulla breccia della ricerca e di quella 'onestà intellettuale' che professa sin da quando era un semplice soldatino addetto ai magazzini di una popolosa caserma romana, proprio lui, 'lumbard' ricco di fantasia e poesia, seppellito in un mondo tanto lontano dai suoi ideali, dalle sue scelte culturali... Raffaele Polo

ciao topolino, il romanzo di loredana ruffilli uno schiaffo sonoro alle nostre coscienze

LOREDANA RUFFILLI Ciao Topolino Lupo Editore 2018 PP.178 €15,00 ISBN 9788866670537

La fluidità con cui scorrono le parole di Loredana Ruffilli, nel suo libro intitolato Ciao Topolino, (Lupo editore) lascia immaginare un romanzo d’altri tempi. Un racconto che cammina sulle sue gambe, attraverso gli occhi indagatori di un’autrice attenta, mai scontata. Ci si appresta alla lettura di “Ciao topolino” senza l’idea di restarne scottati, lo si conclude con la pelle che brucia e il fiato mozzato. Una storia antica e moderna, in uno scorrere del tempo lento, fatto vite assolate del sud, di esistenze che si guardano vivere, ma non per sempre, perché basta un niente, quello che l’autrice ci descrive come un “click” per innescare una consecuzione di eventi irreparabili. Così, tra ieri e oggi, si dipana una storia complessa nella sua linearità, che ci fa rabbrividire ma, soprattutto, riflettere, con l’ambizione di aprire gli occhi e guidare verso la consapevolezza, di sé, del nostro prossimo e di ciò che ci ruota intorno, spesso guardato solo superficialmente, dietro una cortina di perbenismo, senza mai osservare al di là, senza mai squarciare il velo del pudore, che invece la Ruffilli riduce in brandelli facendoci spettatori di una storia che racconta i nostri giorni, ma racconta anche le radici di un territorio, di una mentalità figlia di un tempo che preferisce chiudere gli occhi al vero. “Ciao topolino” è, dunque, non solo un buon romanzo, ma uno schiaffo sonoro alle nostre coscienze, un piccolo spiraglio nell’agire comune, una prospettiva. Maria Assunta Russo

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LUOGhI DEL SAPERE

“peccata”il nuovo romanzo di antonio errico “verba tollis et dat peccata mundi” Quando venne il tempo della purificazione ... Andò al Tempio e disse: “Questo confesso. Senza pentimento.” Perché appartiene alla Storia. Per la Storia sarà dono. La Scrittura appartiene a chi legge.

ANTONIO ERRICO Peccata Manni editori pp.176 2019 ISBN 978-88-6266-926-9

Ogni Storia necessita di un Luogo e di un Tempo, di un Nonluogo e di un Nontempo, di un «… ponte sospeso nel vuoto più vuoto… che incertamente congiungeva le due sponde … che lasciava.» Antonio Errico consegna ad Euripide il compito di far dettare Topos e Kairos con le: “tante sorprese”, non importa il numero, se dieci o più o meno, il certo è con il: “un dio apre la via. “ Dat actum et factum è invece l’annuncio di Eugenio Montale, in esergo, con la metafora del: (imprimere un senso alla vita.) “C’è chi sopravvive.” /So-prav-vì-ve-re/ non è il rimedio, non è l’accezione di un significato ma il superare con la luce, con il fuoco nascosto nella sua brace. Così, semplicemente, dimorando in un accorato romanzo, in 173 pagine. La Parola è “Peccata”. Il Poeta la dona “All’albeggiare”. Inizia tutto nel bianco di “neve spessa”, nel colore e nel rumore che somma tutto. Perché? Perché il due di febbraio? In una risposta non importa l’anno, c’è sempre un dio da presentare al tempio in un inizio. C’è la Parola, la Scrittura da assumere nel Gesto con: “una bestemmia truce… una pietra … una lama… una luce…” Poi c’è “il rumore di fondo”, quello che accomuna il Fisico al Poeta con l’astrazione logica, ontologica, metafisica ed epistemologica e con l’indispensabile delle particelle fra materia, energia, spazio e tempo per comprendere l’Universo del primo e il: “Com’è il pensiero (tempo) senza tormento” di pag.20 del secondo. Il Poeta è sempre con la sua creazione, “Come parola di un’assoluzione”, (ancora a pag. 20) come presentazione al tempio della Parola. E poi c’è Maschio e Femmina. E poi c’è Matteo, alias Antonio Errico, che ti accompagna per tutto il procedere del viaggio dove non ci sono nomi. In una confessione non contano i nomi. Solo Matteo necessita di avere nome perché è il traghettatore, è il presentato dalla Parola al Tempio, occorre riconoscerlo. Anche il nome segnato sanguinante in sette segni su una mano non è pronunciato, è criptato. (P-E-C-C-A-T-A) non deve essere rivelata ma scoperta lentamente. Ancora una volta Antonio Errico scrive il suo desiderio di Parola, dopo i tanti. (… Viaggio a Finibusterrae, l’ultima caccia di Federico Re, L’esiliato dei Pazzi, la pittora dei demoni …) Ancora una volta è malinconia sana, non male oscuro e, candidamente, fa pro-

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nunciare Parola in silenzio, fra i rumori del mondo, ai suoi personaggi: “… Non so dire. Io non so dire, adesso, in questa confessione, mentre rendo ragione del peccato…” E poi c’è la guerra, la sua guerra. “La mia guerra. Ma io non avevo una guerra. Spara mi avevano detto.” E poi c’è nel … tollis peccata mundi la violenza dell’attuale sulla donna, a farci riflettere con: “Pensavo ad un amore che non conoscevo”. E poi c’è quel Dat actum et factum che non deve essere rassegnazione ma amore con il “guardavo la luna e piangevo.” Con il suo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, Antonio Errico, dà sempre nuovo inizio, lo dà con la certezza dell’alba del due di febbraio, pensiamo che, Peccata, sia: “… per un istante tra la notte e il giorno, quando buio e luce si fanno confusione” come accade con le figure del Padre e della Madre sempre presenti nel romanzo. Sicuramente un romanzo ragionato e d’impeto, sicuramente l’ulteriore approdo nella scrittura esercitata con passione e molta dedizione alla Poesia, sicuramente un faccia a faccia del come può essere il trovarsi bisbigliando tra le voci del “filo per filo … la storia in fondo è questo.” (pag. 107) Da pag. 109 Antonio Errico sussulta in un nuovo registro, così a me pare e appare. M’appare ancor più necessitato dal viaggio intrapreso, m’appare premuroso nella e dalla preoccupazione dell’errore, “una frode del pensiero.” Nel racconto ora necessitano i nomi. Qui le azioni si subiscono ed occorre che il soggetto le riceva e si compia il “tutto era scritto.” nonché “Quello che è accaduto doveva accadere.” e “Anche senza nave, senza mare.” Antonio Errico, quale Poeta, nel romanzo, assume tutti i ruoli e nomi. Fra le righe è Matteo, Basilio, Scavezza, Maddalena. Il Nostro è il confessato e il confessore, è la croce di legno lanciata in mare da vedere portata dal mare, è colui che afferma (pag. 133 e a seguire): “Quanti anni avevo non me lo ricordo. Ero giovane, ero vecchia. Non me lo ricordo … che cosa dovrei confessare, adesso. Cosa.” Peccata non ha età e allo stesso tempo è il Kairos di Euripide. Di cosa ha bisogno una storia per terminare? “Voglio guardare in faccia il mio tempo. (pag. 149)”. La storia è la risposta: “Quasi silenzio” … “… quasi silenzio fuori, come le mattine d’aprile.” Tutto e Niente da confessare. è resurrezione da iniziare ancora una volta il due di febbraio tra le mura di Maria della Pietade. Buona lettura e ricordate d’annotare l’ora, è: «… Una viltà che si confessa quand’è già tutto perduto.» Francesco Pasca

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“tsunami lento”, sulle orme di emilio salGari

LUOGhI DEL SAPERE

il nuovo romanzo di alessandro romano

ALESSANDRO ROMANO Tsunami Lento EDIZIONI ESPERIDI 2019 ISBN: 9788894857832 17€

è uscito per i tipi delle edizioni Esperiti il nuovo romanzo di Alessandro Romano regista, fotografo e scrittore, profondamente legato al suo territorio. Tsunami lento. Un titolo suggestivo, un ossimoro che sin da subito intriga il lettore: come può uno tsunami violento e sconvolgente per definizione essere lento? Un’anticipazione del doppio binario su cui si muove la narrazione che prende spunto dalla vita di Luigi Motta, famoso romanziere veneto della metà del 1900, che sentendosi vicino alla sua dipartita confessa di aver sottratto alcune lettere, lasciate dal suo “Capitano” Emilio Salgari, la notte in cui questi si tolse la vita… L’autore, in una sorta di tributo letterario al suo eroe-romanziere, costruisce un’opera con lo scopo di “restituirgli” i tasselli di una vita che non ha avuto, attraverso l’alchimia della scrittura che diventa metafora di sogni e fallimenti, in un delicato gioco narrativo di scatole cinesi. Accompagneremo così Salgari, novello mozzo, su una splendida nave e vedremo il suo cuore ardere per una fanciulla conosciuta sul molo di Brindisi. Inizia da questa città, “porto sul mondo”, l’avventuroso viaggio lungo la “Valigia delle Indie”. Straordinario poi è il momento in cui, in un imprevedibile “cameo”, il padre di Sandokan incontra Donato Zappo, l’uomo delle allucinazioni e narratore di una grande avventura rivissuta dopo millenni. Tratto caratteristico del volume è una corposa appendice di note e immagini che trasportano il lettore nel mondo parallelo del racconto. Alessandro Romano (Lecce, 1975), opera dal 1997 presso l’emittente salentina Telerama, curando la ripresa, il montaggio, i testi e la regia di video documentari riguardanti il Salento, per programmi come Salento d’amare o Terre del Salento, per i quali, nel 2017, ottiene la Targa di merito del Premio Giornalistico “Antonio Maglio” per i Servizi tesi alla promozione culturale del territorio, alla riscoperta della civiltà messapica e del patrimonio archeologico. Nel 2016 pubblica il romanzo “L’Alba del Difensore degli uomini” (Ed. Altro Mondo), finalista al Premio Letterario Nazionale “Un Fiorino” di Monterotondo. Nel 2017 esce “Lento all’ira” (Ed. Esperidi), romanzo storico ed insieme immaginifico sulla Terra d’Otranto, a cui vengono riconosciute quattro Menzioni Speciali in tutta Italia: Premio “Nabokov” 2017, Premio Internazionale “Cumani Quasimodo” 2018, “Golden Books” 2018 e “Unica Milano” 2018. Romano ha firmato la regia del film documentario “Messapia. Terra tra due mari”, allegato all’omonimo libro di Lory Larva (Paolo Pagliaro editore, 2011). Ha contribuito alla produzione fotografica a corredo dei libri di Silvia Famularo (Grifo Editore) come: “Pionieri del Salento”, “Divine tavole” e “La cucina salentina” (2015), “Incantevole Bari” e “Case del Salento” (2016). Ha collaborato anche al libro di Silvano Palamà, “Calimera nascosta” (Ghetonia, 2014) per cui ha curato la

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ricerca fotografica del simbolo del fiore della vita in Salento, e a quello di Stefano Margiotta, “Salento da esplorare” (Capone Editore, 2016), con altre fotografie. Relatore in vari convegni (“Puglia geologica”, nel marzo 2018, “Lecce sotterranea” nell’agosto 2018 e quello della “Giornata della Terra” organizzato da Italia Nostra ad aprile 2018), nei suoi interventi unisce la sua passione per il territorio e per il video documentario. Il suo viaggio fra scrittura e terra d’origine è sfociato nel 2015 nella realizzazione del film cortometraggio “Il Delfino e la Mezzaluna” e, nel 2016, del suo primo lungometraggio, un film documentario dal titolo “Viaggio in Terra d’Otranto”, (entrambi visibili sul canale youtube Salento A Colory). Nel 2015 è primo classificato a livello nazionale nella categoria e-Culture and Tourism dell’Italian eContent Award 2015 (Roma), per le riprese video del film-documentario “Tesori di Otranto in 3D”, realizzato a cura di Virginia Valzano, Coordinatore TecnicoScientifico del CEIT (Centro Euromediterraneo di Innovazione Tecnologica per i Beni Culturali e Ambientali e la Biomedicina). Dal 2013 Alessandro Romano cura il suo blog Salento a Colori (premio “Amor Loci Gino Cantoro” 2015, Melpignano), sul quale scrive di arte, storia, cultura e territorio.

21. POESIE PENSIERI E OPERE D’ARTE AMANDA GESUALDI E GIORGIO DE CESARIO IN UN LIBRO

AMANDA GESUALDI 21 GEDI Gruppo Editoriale pp102

Si intitola “21” la nuova creazione di Amanda Gesualdi, un libro di poesie, ma anche di citazioni e riflessioni. Scritti che l’autrice ha con cura raccolto e coniugato nella stesura con artistiche foto della sua vita e le tele policrome di Giorgio De Cesario, un connubio nato all’interno dell’”alienismo”, corrente di pensiero fondata da Giorgio De Cesario nel 2012 e di cui Amanda Gesualdi è uno dei membri più rappresentativi che vede nelle varie declinazioni dell’arte l’attuazione di una rinascita umana. “21”, numero importante nella vita dell’autrice, è quindi il titolo di quest’opera: simbolo di unione, due che diventano uno, ma anche due come simbolo di individuazione, in quanto, secondo l’autrice, il vero amore è possibile solo se prima si ama se stessi. Amanda Gesualdi, Life, Sport & Tennis Coach, dottoressa in Scienze e Tecniche Psicologiche Applicate, Scrittrice e Ricercatrice, già tennista professionista ed attualmente Presidente della ASD Accademia Sport Olistico, Scuola di Tennis e Discipline Bio Naturali, paragona la penna ad una seconda racchetta ed il foglio di carta ad un altro campo da tennis in cui dare spazio alla creatività, senza sfide ma per il solo desiderio di Arte. Scrive un primo libro di poesie nel 2006, “Musica tra le note”, per poi continuare con “L’Atleta Zen” nel 2007, un racconto metaforico “La Sacerdotessa e lo Shogun” sempre nel 2007,“L’Atleta Zen” vol.II nel 2010, “X” nel 2011, “Emotions” nel 2015. IL nuovo libro sarà presentato il prossimo 21 aprile nella Casa degli Artisti di Gallipoli (via Lepanto, 1)

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LUOGhI DEL SAPERE

SALENTO CAFé NOIR IL NUOVO ROMANZO DI STEFANO CAMBò

STEFANO CAMBò Salento Cafè Noir Il Raggio Verde edizioni pp 198 2019 ISBN 9788899679590

Come annunciato, è da marzo in libreria il nuovo noir di Stefano cambò con l’accattivante progetto grafico di copertina dell’artista toscano Francesco Zavattari che firma anche l’illustrazione: uno scorcio evocativo della città di Lecce che insieme alla sua provincia è quinta scenografica delle storie del nuovo avvincente romanzo dello scrittore di Muro Leccese. Dopo il successo di “Cyrano tra delitti e misteri” ritornano Nando e il commissario Bortone con tre nuove indagini ambientate tra Lecce e provincia, legate tra loro da un unico filo conduttore: il Salento Café Noir. Nel primo caso, “I guerrieri della notte”, i due protagonisti se la vedranno con il killer dei clochards, un assassino seriale che avvelena le povere persone che vivono per strada. Nel secondo, “Odysseus”, il Nando dovrà invece scoprire l’identità nascosta di un artista che raffigura sui muri sbiaditi gli episodi legati al poema di Omero. Nell’ultimo, “Il caso Wagner”, l’omicidio di un professore universitario dentro le mura della sua casa fa riaffiorare ricordi ed emozioni legate al passato dei due protagonisti. E mentre la soluzione sembra essere connessa alla famosa “Cavalcata delle Valchirie”, ideata dal grande compositore tedesco, una donna misteriosa irrompe sulla scena... Stefano Cambò è nato a Torino nel 1982 e vive a Muro Leccese. Laureato in Sociologia e in Scienze Filosofiche, nel 2015 ha pubblicato il thriller Kalendra, con cui ha vinto il Concorso Letterario “Libri in Officina” indetto dalle Officine Cantelmo di Lecce in collaborazione con la Regione Puglia. Nel 2016 ha pubblicato Cyrano tra delitti e misteri, noir ambientato nel Salento edito da Il Raggio Verde Edizioni di Lecce. Nel giugno del 2018 un suo racconto inedito, Effetto domino, è risultato vincitore del Concorso Letterario AG Noir indetto dal Comune di Andora (provincia di Savona) in collaborazione con l’Associazione Culturale c/e Contemporary di Milano, nell’ambito del prestigioso Festival nazionale dedicato interamente al Noir.L’anteprima nazionale si terrà il prossimo 5 aprile ad Andrano nell’ambito degli incontri “Ci vediamo in biblioteca”.

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ilraggioverdesrl.it

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MESSAPIA ILLUSTRATA. IMMAGINI, RACCONTI, ATTUALITÀ DEL SALENTO ANTICO

FRANCESCO D’ANDRIA Messapia Illustrata. Immagini, racconti, attualità del Salento antico Congedo Editore pp.104 2019 €18,00 ISBN 9788867662203

Un racconto per immagini sulle antiche genti della Messapia, presentate nei loro contesti di vita così come sono state ricostruite sulla base dei dati provenienti dagli scavi archeologici. Un volume ricco di tavole a colori che evocano ambienti, costumi e riti dei Messapi, accompagnate da testi che offrono informazioni su come si è giunti a proporre le singole ricostruzioni. è l’ultimo libro di Francesco D’Andria, “Messapia illustrata. Immagini, racconti, attualità del Salento antico” (Congedo Editore), che è stato presentato lo scorso 12 marzo 2019 al MUSA – Museo Storico-Archeologico dell’Università del Salento in via di Valesio, Lecce. Dopo un’introduzione del professor Jacopo De Grossi Mazzorin, Direttore del MUSA, hanno dialogato con l’autore la professoressa Maria Raffaella Cassano dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari e il professor Mario Lombardo dell’Università del Salento. Francesco D’andria è professore emerito dell’Università del Salento, dove ha insegnato Archeologia greca e romana e ha diretto la Scuola di specializzazione in Beni Archeologici. Nel Salento ha coordinato i progetti dei parchi archeologici di Cavallino, Acquarica, Vaste e l’allestimento del Museo didattico di Cavallino e dei musei archeologici di Oria e di Castro. Dal 2000 al 2016 ha diretto la Missione Archeologica Italiana a Hierapolis in Turchia, dove ha lavorato per più di quarant’anni.

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Nella foto Stefania Sandrelli nel film “Io la conoscevo bene” di Antonio Pietrangeli, 1965, foto di G. B. Poletto

festival del cinema europeo in arrivo stefania sandrelli

Si terrà a Lecce dall’8 al 15 aprile la ventesima edizione della manifestazione ideata da Alberto La Monica. Tra gli ospiti, protagonisti della Commedia italiana, Nino Frassica, Paola Minaccioni, Alessandro Siani

LECCE. Venti anni per il Festival del Cinema Europeo diretto da Alberto La Monica e dedicato dallo scorso anno a Cristina Soldano, direttrice artistica sin dalla prima edizione e alla cui memoria sarà consegnato il premio più importante, l’Ulivo d’Oro|Premio Cristina Soldano al Miglior Film. Ritorna dall’8 al 13 aprile 2019 nel Multisala Massimo il Festival che farà arrivare a Lecce l’attrice Stefania Sandrelli,“Protagonista del Cinema Italiano” e il regista russo Aleksandr Sokurov protagonista del Cinema Europeo. Tra gli ospiti anche Nino Frassica, Paola Minaccioni, Alessandro Siani che riceveranno l’Ulivo d’Argento per il loro contributo alla Nuova Commedia Italiana. Tra le varie sezioni

del festival particolarmente interessante è infatti quella non competitiva dedicata alla Commedia europea e alla Nuova Commedia Italiana che vedrà proiettare in anteprima cinque lungometraggi europei - Butterflies di Tolga Karaçelik (Turchia, 2018), Happier times, Grump di Tiina Lymi (Finlandia, 2018), Hopelessly devout di Marta Díaz de Lope Díaz (Spagna, 2018), I feel good di Benoît Delépine, Gustave Kervern (Francia, 2018), What Have We Done to Deserve This? di Eva Spreitzhofer (Austria, 2018) - e le proiezioni di Allacciate le cinture di Ferzan Ozpetek (Italia, 2014) con Paola Minaccioni (9 aprile); Il principe abusivo di Alessandro Siani (Italia, 2013) alla presenza dell’attore e regista partenopeo a Lecce il 12 aprile;

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e sabato 13 aprile la proiezione di Il Bi e il Ba di Maurizio Nichetti (Italia, 1986) con il bravissimo Nino Frassica. Tra le novità di quest’anno, la rassegna Aspettando il Festival, che riserverà al pubblico una serie di appuntamenti, proiezioni e concerti che anticipano la serata d’apertura dell’8 aprile. Il primo incontro è sabato 6 aprile al Cinelab Giuseppe Bertolucci al Cineporto di Lecce, con il classico del muto Il Golem –Come venne al mondo (1920, 76’) di Paul Wegener, versione restaurata a cura di Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung e Cinémathèque Royale de Belgique (Cinematek). ll Golem sarà proiettato in una nuova copia digitale tratta dal negativo originale ritenuto perduto, con un restauro in 4K a cura della Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung di Wie-

sbaden (Germania) e della Cinémathèque Royale de Belgique (Cinematek) di Bruxelles. Il restauro digitale è stato eseguito dall’Immagine Ritrovata di Bologna. La proiezione del film, che ha aperto la scorsa edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematograficadi Venezia, sarà sonorizzata con la musica originale del maestro Admir Shkurtaj, commissionata ad hoc dalla Biennale, sarà eseguita dal vivo dal Mesimèr Ensemble composto da Hersjana Matmuja Giorgio Distante, Pino Basile, Vanessa Sotgiù, Iacopo Conoci, Admir Shkurtaj. A seguire, alle Manifatture Knos,il Maestro Cesare Dell’Anna presenta in anteprima nazionale il suo ultimo lavoro Tarantavirus Jazz Night prodotto dall’etichetta discografica 11-8 Records. Infine, domenica 7 aprile al Teatro Apollo con il concerto Nino Rota. Musica per il cinema prodotto dalla OLES, Orchestra Sinfonica diLecce e del Salento. Il Festival del Cinema Europeo e OLES si incontrano per rendere omaggio a Nino Rota in occasione del 40° anniversario della scomparsa, una delle figure più significative della musica del ‘900, che in Puglia ha trovato la sua sede elettiva come compositore, lasciandoci un vastissimo catalogo sinfonico, lirico e cameristico, ma anche come didatta e funzionario statale alla guida del Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari per oltre trent’anni. Il concerto dell’Orchestra Sinfonica di Lecce e del Salento OLES, diretto daEliseo Castrignanò, ripercorre, alternando la musica al racconto di brevi aneddoti, le colonne sonore che lo hanno reso celebre nel mondo. Gli arrangiamenti per orchestra sinfonica sono di Fabrizio Francia. In programma: Suite sinfonicada “I vitelloni”, Fantasia e canzone da “La dolce vita”, Suite dalla trilogia da “Il padrino”, Valzer Verdi e Valzer del commiato da “Il Gattopardo”, Fantasia da “Amarcord”, Preludio, danza e canzone d'amore da “Romeo e Giulietta”, Preludio, canzone e fox-trotda “Le notti di Cabiria”.Tutti gli appuntamenti di preapertura sono a ingresso gratuito. www.festivaldelcinemaeuropeo.com

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Teatro Marittimo, Villa Adriana,foto Sara Foti Sciavaliere

tivoli, d’arte e d’acqua: “il fiore dei Giardini d’europa”

Storie l’uomo e il territorio

Sara Foti Sciavaliere

Alla scoperta di una bellezza antica e immortale

TIVOLI. Nel Medioevo Tivoli fu un centro vivace per la sua vicinanza con l’Urbe, per le sue sorgenti termali e per l’abbondanza della purissima acqua del fiume Aniene e degli altri corsi d’acqua della zona ( basta pensare che ben quattro acquedotti contribuivano all’approvvigionamento idrico di Roma). Il centro tiburtino

godette dunque di un buon grado di prosperità e una relativa autonomia amministrativa, finché agli inizi del XVI secolo Tivoli passò sotto il controllo diretto della Santa Sede e nel 1550 il governatorato sull’area tiburtina fu assegnato a Ippolito d’Este, cardinale di Ferrara. Ippolito ebbe una brillante carriera ecclesiastica e diploma-

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Storie l’uomo e il territorio

Villa Adriana, foto Sara Foti Sciavaliere

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tica, di fatto la sua abilità diplomatica fu immensa: di simpatie filofrancesi, godette sempre dell’appoggio dei Valois. L’incarico conferitogli da Papa Giulio III, che sembrava un sostanziale accantonamento sotto le spoglie di un’apparente promozione, servì come compensazione del cardinale d’Este, che era stato rivale (sconfitto) del pontefice: Tivoli divenne per lui una seconda Roma. Tuttavia una volta giunto nel centro tiburtino, Ippolito apprese che avrebbe dovuto risiedere in un antico e austero convento benedettino annesso alla chiesa di Santa Maria Maggiore : la cupa sobrietà di questo monastero - peraltro situato in una splendida posizione in una zona ricca di orti e nota come Valle Gaudente - non poteva certo trovare il favore di Ippolito, uomo raffinatissimo e appassionato d’arte classica e dei giardini. Non va dimenticato, difatti, che la corte estense di Ferrara, oltre a essere uno dei grandi centri politici italiani, era nota per il mecenatismo e Ippolito era un appassionato estimatore di tutte le arti e fu anche un collezionista di antichità, con le quali tra l’altro decorò la sua dimora. Questa passione spiega il lungo sodalizio con il napoletano Pirro Ligorio, uno dei più attivi “antiquari” (ossia un esperto di antichità) dell’epoca, che frequentava spesso Tivoli per effettuare scavi, disegni e rilevazioni a Villa Adriana. Ippolito si rese conto che la residenza che gli veniva data aveva tutti i presupposti per poter essere radicalmente trasformata. La Valle Gaudente era estremamente panoramica e rispondeva ottimamente ai

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La Rometta, Villa Adriana, foto Sara Foti Sciavaliere

principi di Leon Battista Alberti, che consigliava di posizionare le ville in un luogo da cui si “godrà, della vista della città, di castelli, del mare e di una vera pianura”. Il cardinale estense decise quindi di affidare la ristrutturazione a Ligorio, cui furono date le istruzioni per far la metamorfosi dell’austero complesso monastico in una sfarzosa villa dotata di uno straordinario giardino ricco di fontane. Una guida turistica di Tivoli del 1886, pur rimpiangendo “l’antico splendore” del complesso, lo descrive come un “luogo di delizie, munito di lunghi e freschi viali con alte spalliere di mirto e di alloro di platani, cipressi e pini giganteschi; anticamente adorno di una grande quantità di statue e di magnifiche fontane, tra cui molte monumentali; ricco d’immensa copia d’acque, che scherzano in mille guise con stupore dei riguardanti”. Nel 1919 il complesso passò allo Stato Italiano che ne curò più volte il restauro e la risistemazione. Villa d’Este si presenta come un unicum, una delle più raffinate testimonianze dell’arte rinascimentale mondiale e del giardino all’italiana del XVI secolo. La villa è ripartita in due piani, di cui il superiore riservato agli appartamenti del cardinale Ippolito e l’inferiore adibito a zona di rappresentanza. Se si eccettuano le decorazioni pittoriche, nulla rimane degli arredi, ma l’ornamento parietale è talmente ricco da conferire grande opulenza a ogni ambiente. Sicuramente grande attenzione merito le sequenze di sale affrescate, ma

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La Fondna dell’Organo, Villa Adriana, foto Sara Foti Sciavaliere

scesi nell’Appartamento di Rappresentanza, dalla Sala del Convito il richiamo della loggetta dalla quale si può accedere ai giardini merita ancora di più. E partiamo subito con una premessa: nell’ammirare la villa dobbiamo avere sempre presente che l’attuale ingresso non corrisponde all’originaria entrata principale, che era situata ai piedi della collina, ma il visitatore era costretto a compiere una lunga e lenta risalita verso il corpo dell’edificio, durante la quale si susseguivano frequenti le soste che permettevano di gustare la graduale scoperta delle meraviglie del giardino. Di terrazza in terrazza, percorrendo i vialoni longitudinali, la villa si rivelava nella sua bellezza, oltre a consentire di godere di una straordinaria vista, in lontananza, di Roma. Nel giardino le aiuole si alternano con alberi d’alto fusto, le fontane si susseguono alle peschiere e le sculture ai capolavori dell’ars topiaria;ovunque giochi d’acqua e cascatelle sorprendendo con i loro effetti visivi e talvolta perfino sonori. Considerato nel XVII secolo “il fiore dei giardini d’Europa”, Villa d’Este divenne in tutto il vecchio continente sinonimo di giardino di svaghi e di delizie per eccellenza. La visita al giardino - data la disposizione attuale dell’ingresso al palazzo inizia dalla parte che un tempo ospiti e visitatori vedevano per ultima. Affacciandosi dal loggiato della villa, accessibile dal salone, possiamo avere una prima idea della simmetria del giardino con i suoi vialetti longitudinali e trasversali che conducono alle meravigliose fontane, disposte scenograficamente lungo i diversi terrazzamenti. Dall’estremità di sinistra del secondo terrazzamento è possibile godere della migliore panoramica sulla sotto-

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Fontana di Diana Efesina, Villa Adriana, a lato Fontana della Civetta, foto Sara Foti Sciavaliere

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Le Peschiere, Villa d’Este, foto Sara Foti Sciavaliere

stante fontana dell’Ovato, una delle più celebri tra quelle di Villa d’Este, per poi accedere alla fontana di Pegaso, che appare suggestivamente tra gli alberi. Pegaso era il mitologico cavallo alato nato dal sangue di Medusa dopo che Perseo le mozzò la testa; volando via dal luogo dell’eccidio, egli atterrò sull’Elicona, il monte delle Muse, dove, percuotendo la terra con uno zoccolo, fece sgorgare la fonte Ippocrene: questo è chiaramente un rimando all’attività costruttiva del cardinale d’Este, che fa fuoriuscire le acque dalle rocce tiburtine, mentre Tivoli, venendo paragonata all’Elicona, diviene sede delle arti. Si può ripercorrere a ritrovo questo livello del giardino e scendere a quelli successivi. Il quarto terrazzamento ha proporzioni talmente ampie da essere definito Viale delle Cento Cannelle o delle cento fontane, anche se le bocche d’acqua sono in realtà novantaquattro. Lungo un centinaio di metri, questo ampio asse longitudinale - che al primo sguardo, oggi, appare un’ininterrotta distesa di felci e muschio da cui sgorgano impetuosi i getti d’acqua - era destinato a unire tra loro due delle più importanti fontane della villa, l’Ovato (a destra) e la Rometta (a sinistra). In quest’ultima comparivano i più importanti monumenti dell’Urbe dell’epoca classica: solo per citarne alcuni, vi si scorgeva Porta Flaminia e Porta San Paolo, il Pantheon, il Colosseo, la Colonna Traiana, ma in essa sono riconoscibile anche chiari riferimenti a Tivoli con l’acqua che scende a strapiombo a indicare le locali cascate, mentre una divinità fluviale regge il tempio del-

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Villa d’Este, foto Sara Foti Sciavaliere

la Sibilla e un’altra statua sottostante sta a rappresentare i monti da cui nasce il fiume Aniene che attraversa il territorio tiburtino. Dalla cascata l’acqua va a lambire i fianchi di una barca che simboleggia l’Isola Tiberina e che difatti ha per albero un obelisco, a ricordare il tempio di Esculapio. Dietro all’imbarcazione spicca la statua di Roma, con la lupa che allatta i gemelli Romolo e Remo. All’estremità opposta il Viale delle Cento Cannelle si apre a formare uno slargo ampio ma raccolto e recintato, che ospita l’imponente Fontana dell’Ovato, sovrastata dalla fontana del Pegaso, che da qui pare proprio in atto di librarsi in volo. L’Ovato, così chiamato per la sua forma ovale, rappresenta nel suo complesso la cittadina tiburtina, con i suoi monti, i suoi fiumi, le sue cascate e le sue divinità. Delle statue che un tempo ospitava, oggi spicca, al centro in alto, ancora la figura della Sibilla Tiburtina, la cui storia è anche soggetto di parte deli affreschi della seconda sala tiburtina degli Appartamenti di Rappresenza della Villa di Ippolito. Ai lati della statua della Sibilla stanno le personificazioni di due dei fiumi di Tivoli, ovvero l’Ercolaneo e l’Aniene, racchiusi in due grotte a indi-

care lo sgorgare delle acque dalle viscere della terra. Tornando ancora una volta sui nostri passi, possiamo scendere verso la vallata e a percorrere il quinto terrazzamento che culmina a sinistra con la fontana della Civetta e la fontana di Proserpina. La prima è una delle più antiche del complesso: è attestato che la zona antistante alla fontana presentava numerosi “scherzi d’acqua” ovvero getti d’acqua che venivano azionati a intermittenza e che dal basso schizzavano i visitatori. La fontana è facilmente riconoscibile per le due colonne che le fiancheggiano, su cui si avvolgono i rami carichi dei leggendari pomi delle Esperidi, e per i tralci con i pomi che le decorano nella parte superiore, vistosamente coronata dall’aquila e dai gigli degli Este. Nella nicchia centrale due angeli reggono compostamente lo stemma del cardinale. Purtroppo è andata persa proprio la parte più originale per cui veniva lodata da tutti i contemporanei: al centro si trovavano infatti le statue di tre giovani seduti su di un vaso da cui sgorgava l’acqua che ricadeva nel sottostante bacino; dietro a loro c’erano delle piante sui cui rami si poggiavano degli uccellini meccanici in bronzo che,

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grazie a un sofisticato meccanismo idraulico, parevano cinguettare melodiosamente fino alla comparsa di una civetta, anch’essa bronzea, che, con il suo lugubre verso, faceva tacere il loro canto. Ripercorrendo un breve tratto del viale su cui ci troviamo incroceremo un’altra originalissima realizzazione, ossia la cosiddetta scala dei bollori, che ci consente di scendere fino al successivo livello delle peschiere. La gradinata vera e propria è fiancheggiata da due canaletti con parapetti e plinti su cui si infrangono quarantadue piccoli getti d’acqua che, proprio a causa della modesta altezza, paiono ribollire formando quello che, per alcuni contemporanei, era il gioco d’acqua di maggiore suggestione di tutta la villa. A livello delle peschiere il giardino abbandona gli scoscesi terrazzamenti per aprirsi di fronte a noi in aiuole. Dirigiamoci ora verso il lato destro del giardino costeggiando le peschiere. Queste vasche - popolate anche oggi da diverse varietà di pesci - venivano utilizzate per allevare trote e altre specie pregiate destinate alla mensa del cardinale e dei suoi ospiti. Giungiamo così agli alti getti d’acqua della Fontana di Nettuno, costruita nel


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1927, dietro cui spicca la più fantastica e ingegnosa creazione della villa, ossia la Fontana dell’Organo con le sue incredibili cascate. I meccanismo idraulici di questa fontana fanno sì che il moto delle acque produca dei suoni assolutamente somiglianti a quelli di un vero strumento musicale. Il giardino non ha comunque finito di mostrarci le sue sorprese: ritornando verso la prima peschiera, scorgiamo alla sua destra la fontana delle aquile, eretta a eterna gloria della famiglia estense, di cui tale rapace era il simbolo. Poco più avanti, sullo stesso lato, tra le aiuole si apre la rotonda dei cipressi e sostando qui è facile vedere, a breve distanza, quello che era un tempo l’ingresso principale alla villa e al giardino. A sinistra del primitivo portale, scorgiamo la Fontana di Diana Efesina:

come nella statua di Villa d’Este, la Diana di Efeso viene raffigurata sempre con una torre sul capo e con molte mammelle, simbolo dell’abbondanza e della fertilità del mondo naturale. Spostandoci ancora verso l’estremità sinistra del giardino passiamo tra due mete sudans, dalla forma di tumuli, che ricopiano letteralmente l’antico monumento trasudante acqua situato nei pressi del Colosseo. L’ultimo gioco d’acqua che ci resta ormai da visitare è la bella fontana dei cigni, per godere per poi di un colpo d’occhio di grande effetto: le vasche delle peschiere allineate come un viale d’acqua sul quale si riflettono le architettura e gli zampilli delle fontane. Nel XVIII e nel XIX secolo Tivoli attrasse molti aristocratici in visita in Italia nel corso del loro Grand Tour e

pare che anche il grande architetto Luigi Vanvitelli abbia visitato Villa d’Este prima di accingersi alla progettazione del Palazzo Reale di Caserta traendone ispirazione per i giardini. E malgrado le vicissitudini che non mancarono, il fascino di Villa d’Este rimase sempre così intenso soggiogare il celebre compositore Franz Liszt, che qui dimorò traendone ispirazione per il famosissimo brano musicale Les Jeux d’Eau à la Ville d’Este dedicato proprio ai sorprendenti giochi d’acqua del complesso tiburtino. Tivoli (ROMA) piazza Trento,5 tel. 199.766.166 Biglietteria: +39 0774 332920; email info@villadestetivoli.info

Nell’ambito del Festival Armonia Narrazioni in Terra d’Otranto Alessano | Lucugnano 17-29 maggio 2019

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Una scena del film “Non ci resta che piangere� di Massimo Troisi con Massimo Troisi e Roberto Benigni

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non ci resta che pianGere in viaGGio con troisi e beniGni Stefano Cambò

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uando si pensa alle storiche coppie del cinema italiano, subito la mente corre ai grandi nomi della nostra amata filmografia, come se il binomio artistico fosse quasi del tutto scontato e vivesse per sempre nonostante i limiti dello spazio e del tempo. Così è stato per Totò, Peppino e le loro rocambolesche avventure per i luoghi più disparati dello Stivale. La stessa cosa vale per i mitici Franco e Ciccio, interpreti perfetti della commedia italiana fatta per lo più di stereotipi e vecchie assonanze al mal costume, impreziosita negli anni dal tipico accento siciliano da sempre marchio di fabbrica della coppia. E che dire di Bud Spencer e Terence Hill? Forse fra tutte le unioni artistiche, quella che ha travato una connotazione ben definita all’interno di un genere cinematografico che ha fatto scuola in ogni parte del mondo, scovando estimatori persino nella lontana Ungheria (per la pre-

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cisione a Budapest, dove è stata inaugurata su una delle strade più famose della città, una statua in onore del grande attore napoletano scomparso di recente). Eppure, oltre a quelle indicate sopra, sussiste una coppia nel cinema italiano che ha trovato la sua forza espressiva in un unico grande film ormai diventato nel cuore dei tanti estimatori una vera e propria pietra miliare. Si tratta naturalmente di Non ci resta che piangere che vede come protagonisti assoluti due tra i più importanti e bravi attori del nostro panorama culturale. Ossia… Massimo Troisi e Roberto Benigni! Il mix perfetto tra la comicità malinconica napoletana e l’esplosiva irriverenza toscana innescata per lo più da battute al fil di cotone e momenti esilaranti spontanei. Era infatti il 1984, quando il film uscì nelle sale italiane riscuotendo subito un enorme successo di pubblico tanto da realizzare in poche settimane un incasso di


Veduta di Tolfa. Fonte, sito istituzionale: http://comune.tolfa.rm.it/

fosse, l’idea alla base del film fu davvero buona per non dire geniale. Infatti, volente o nolente, l’intera vicenda pone le sue basi su un unico grande quesito. Cosa succederebbe se un bidello (Massimo Troisi) e un insegnante (Roberto Benigni) si ritrovassero per caso nel 1492 e decidessero di recarsi in Spagna per bloccare la partenza di Cristoforo Colombo verso le Americhe ed evitare così una serie di violenze subite in seguito dalle popolazioni autoctone di quel continente?

I luoghi del cinema

oltre quindici miliardi di lire e diventare così il più visto in quella stagione. Non solo… Anche la critica, da sempre avversa alle commedie nostrane in costume, osannò la prova di entrambi gli attori riconsiderando in maniera del tutto positiva la loro performance dietro la cinepresa. Di sicuro, il fascino della pellicola è da ricercare non solo nella storia, ma anche nelle locations scelte con cura per girare le scene più spassose diventate ormai dei veri e propri cult. D’altronde per quanto banale e semplice

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è questo che si domandano per tutto il film i due straordinari attori alle prese con una vera corsa all’ultimo secondo per evitare che la storia con la S maiuscola compia il suo fatale destino così come ci è sempre stato insegnato a scuola. Eppure dietro a questo intento utopico e poco realistico, entrambi i due protagonisti ci credono così tanto da innescare una serie di situazioni a dir poco surreali, dove quasi per magia riprendono forma e vita anche personaggi realmente vissuti in quel determinato periodo (uno su tutti, Leonardo da

Vinci). Infatti, il viaggio di questa strampalata coppia, inizia con un passaggio a livello sbarrato e un treno che non passa. Anche se nel film, l’ambientazione sembrerebbe quella della campagna lucchese, tutta la scena è stata girata a Capranica in provincia di Viterbo con Roberto Benigni e Massimo Troisi provati e stanchi di aspettare. Così stanchi da decidere all’improvviso di aggirare l’ostacolo, prendendo una stradina impervia e poco trafficata.

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Castello Orsini Odescalchi

Nel bel mezzo del passaggio, ecco che irrompe però su di loro un temporale che li costringe e trovare riparo sotto un rigoglioso albero. Ma proprio nel momento in cui i due pensano di essere finalmente al sicuro, un fulmine colpisce i rami della chioma e innesca senza volerlo, il loro surreale viaggio nel tempo che li porterà al fatidico 1942. Questa scena cult, insieme ad alcune che vengono subito dopo, è stata girata invece nelle campagne adiacenti al suggestivo Lago di Bracciano (provincia di Roma Capitale). Per chi volesse andarci in visita, consigliamo di fare una piccola sosta nel centro storico del paese che si affaccia sulle sponde e da cui prende il nome e poi magari raggiungere a piedi il bellissimo Castello Orsini-Odescalschi che si erge su un’altura e che sovrasta i tetti delle case (gli amanti della cronaca rosa ricorderanno sicuramente che questa imponente struttura fu scelta qualche anno fa da Tom Cruise e Katie Holmes per celebrare il loro matrimonio). Dopo l’arresto al passaggio a livello sbarrato e il fulmine, un altro momento indelebile è sicuramente quello legato all’attraversamento del casello tra un Regno feudale e l’altro durante il viaggio dei due protagonisti. Per chi avesse visto il film, si tratta dell’esilarante scena del Chi siete? Cosa portate? Un fiorino!

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I luoghi del cinema

Cala di Forno, Parco della Maremma foto di Federico Giussani

Ebbene, quel momento ormai diventato un vero cult, è stato girato a Castello di Rota, frazione di Tolfa sempre in Provincia di Roma. Invece, l’incontro dei due protagonisti con Leonardo Da Vinci mentre esegue i suoi funambolici esperimenti, è stato ripreso nei pressi del Laghetto del Parco archeologico di Vulci, nella Maremma Laziale, in provincia di Viterbo. Concludiamo il viaggio nei luoghi del film, con il sospirato approdo dei nostri eroi sulla spiaggia spagnola di Palos che nella vicenda narrata avviene proprio nel momento in cui però Cristoforo Colombo è già partito con le sue tre caravelle. Ovviamente per ragioni logistiche ed economiche, la scena non è stata girata in terra iberica come qualcuno potrebbe pensare. Nonostante questo, venne comunque scelta la suggestiva spiaggia di Cala di Forno, nel territorio del comune di Magliano in Toscana, nel cuore del Parco Naturale della Maremma. E con le immagini dell’inevitabile partenza di Cristoforo Colombo ancora negli occhi, lasciamo scorrere sullo schermo i titoli di coda del film non prima di aver ringraziato per l’ultima volta Roberto Benigni e soprattutto l’indimenticabile Massimo Troisi, grande interprete della cultura napoletana in tutto il mondo.

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Foto di Mario Cazzato

lecce sconosciuta sant'irene censurata Mario Cazzato

Salento Segreto

a cura di Mario Cazzato

La storia della Patrona “spodestata”

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lle origini del clamoroso contrasto tra gesuiti e teatini sulla "proprietà" dell'antichissimo culto tributato a sant'Irene c'è la predica di un gesuita nella quaresima del 1603 che seminò molti dubbi su quel culto.Solo da qualche anno il vescovo Spina e il sindaco avevano concesso ai teatini di far dedicare la loro nuova chiesa che andavano completando a sant'Irene,appunto,fatto che aveva agitato i gesuiti che temevano una riduzione della loro influenza sulla città. Era vero che la protettrice di Lecce era stata sempre sant'Irene, ma mancavano le prove e soprattutto le reliquie. Il vescovo con questa lettera del 18 giugno 1605 chiese al papa le reliquie della santa che si trovavano a Roma. ll papa rispose subito e fece inviare a Lecce quanto richiesto insieme al decreto che riconosceva sant'Irene non solo protettrice ma anche "patrona" del-

la città. Le reliquie furono trovate nelle catacombe romane di san Sebastiano. Lecce festeggiò per giorni e giorni il fatto di avere le reliquie e l'atto ufficiale di proclamazione di Irene a patrona e protettrice. Apriti cielo,da quel giorno iniziarono le ostilità con i gesuiti che andavano affermando addirittura che quelle reliquie fossero false. Ma questa è un'altra storia. Ma tutta questa storia e questi documenti, qui a Lecce furono di fatto censurati se non distrutti quando molti anni dopo si affacciò sant'Oronzo. Nelle "Cronache di Lecce", guarda caso, non c'è traccia di tutto ciò. Sant'Irene rimase censurata ma non scomparve dal cuore dei leccesi come testimoniano questi splendidi ricami settecenteschi.

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Salento Segreto a cura di Mario Cazzato

foto di Mario Cazzato

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