Gaetano Bonetta su La Sicilia

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LA SICILIA

16.

LUNEDÌ 27 OT TOBRE 2014

RAGUSA

LETTURE d’ AUTORE

LA PRESENTAZIONE

LA COPERTINA

Un ragazzo il suo covone e l’oro spento del grano

Ha scelto di affidare al genio creativo di Van Gogh la copertina di «Fuga dall’identità» lo scrittore Gaetano Bonetta che ha inaugurato nella sua Vittoria il libro, presentato nei locali del Chiostro dell’Antico Convento delle Grazie

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n ragazzo, tutt’uno col suo covone, abbraccia l’oro spento del grano, e sono viluppi di gialli e azzurri, vortici sofferti e allucinati di colore, movimenti convulsi di linee e materia. Ha scelto di affidare al genio creativo di Van Gogh la copertina del suo libro Gaetano Bonetta, che ci spiega il turbinio emozionale che “The sheaf binder (after Millet) ” gli suscita: “Riaffiora alla memoria la giocosa raccolta del grano dorato in quella terra meravigliosa e luttuosa, ove un bambino ha imparato a resistere all’autodistruttività della pulsione di annullamento e, con i tesori del suo inconscio, si è educato da solo a sentire sempre il desiderio e la fantasia creativa, ad immergersi con stupore nella vita, quella siciliana in specie, regno del paradosso, paradiso di disperazione, inferno di gioia”. E l’autore ha inaugurato nella sua Vittoria il volume, presentato presso il Chiostro dell’Antico Convento delle Grazie da Gianna Bozzali, che ha illustrato i contenuti, e Salvatore Buccheri, che ha condotto una storicizzazione sociale dell’opera. L’occasione ha gettato luce sui motivi cardinali del libro, che segue le direttrici esterne di una vita illuminata dal successo professionale, nella carriera accademica di Bonetta, e quelle interiori, denudate sulla pagina, vincendo il pudore che la sacralità dei sentimenti erige. Storia e analisi introspettiva s’intrecciano, in un racconto che imbandisce una tavola magnifica con l’amore, l’amicizia, la sofferenza, l’angoscia, attori il protagonista, con le sue passioni – tra cui l’Argentina, “problematicità oggettiva”, una quasi-patria – e col suo universo affettivo: il gigante materno, creatura infelice alla quale pietosamente ripensare, i figli, il padre e Giovanna, a cui è dedicata l’opera e pure l’accorato commiato dell’autore, che, a onorare la sorella, la “poesia gridata del suo atto estremo”, disegna un commosso d’après foscoliano.

La presentazione del libro nel chiostro dell’Antico convento delle Grazie. A destra il quadro «The sheaf binder» di Van Gogh scelto per la copertina

La fuga dall’Isola patria del viaggio e grande madre Da Sud a Nord nel volume di Bonetta storie di vita del Novecento siciliano ELISA MANDARÀ

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orre la parabola ricca di una esistenza l’intenso volume di Gaetano Bonetta, complesso e multiverso fin dal titolo, “Fuga dall’identità”, che riceve importante direttrice di lettura da un sottotitolo altrettanto denso, “Da Sud a Nord: storie psichiche del Novecento”. Esitato quest’anno, il libro ripercorre criticamente, in una interrotta interrogazione esistenziale, le dinamiche esterne della vita dell’autore e, quanto più desta sicuro interesse, i processi intimi del sé, di un io che, mentre scandaglia implacabile (ma mai impietoso) le plaghe più recondite del proprio spirito, riesce a profilarsi credibile quale paradigma di lettura dell’umanità, offrendosi come raffinato étude de l’homme. Protagonista del racconto è lo stesso scrittore, Gaetano Bonetta, vittoriese, docente di Pedagogia generale, più volte Preside di Facoltà e Direttore di Dipartimento presso l’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara. Un intellettuale ibleo doc, che possiamo annoverare tra le tessere tante di quella cospicua intellighenzia siciliana della diaspora. Come leggiamo nel significativo prologo all’opera, la matrice siciliana edifica le fondamenta primarie della coscienza del sé, la Sicilia è insomma anzitutto madre. Ma l’Isola, che permarrà sempre nell’immaginario e nella memoria poetica dell’autore come patria del nóstos, è anche luogo soggettivo di sofferenza psichica, “condizione di imprigionamento psicologico, in cui, per poter vivere – confessa in apertura l’io narrante – ho dovuto imparare a morire”. I poli dicotomici vita-morte contrassegnano nettamente la relazione che con la Sicilia coltiva Bonetta, il quale ammette di essere fuggito, chiarendo la natura della fuga, volta non ad un avanzamento economico, ma a un allontanamento fisico dalla “miseria psichica, dalla povertà della mente che non funziona”, alla ricerca della salute mentale. Sarà l’itinerario intrigante della lettura a chiarirci affermazioni di tale peso. Di cui cogliamo fin dall’incipit l’importanza, nel bisogno che l’autore disseta subito, di discutere sull’apporto genitoriale all’identità, di dissentire sul ruolo non sempre costruttivo che la famiglia riveste nei meccanismi delicati della crescita personale. Lo spettro nero della depressione aleg-

L’IO & LA SICILIA

L’IO & GLI ALTRI

E una condizione di imprigionamento psicologico, in cui, per poter vivere ho dovuto imparare a morire

La tragedia dell’ultimo atto focalizza la famiglia, campionario nosografico della depressione

gerà dunque costante, spesso come motore dell’azione, fino alla difficile ma necessaria diagnosi finale, che accompagna la tragedia familiare dell’ultimo atto e che focalizza la “compattezza del sistema patologico della famiglia” dell’autore, “campionario nosografico completo della depressione”. Proviamo a inquadrare con una di

ELI. M.

quelle etichette rassicuranti il volume di Bonetta, stilisticamente contrassegnato da una prosa sontuosa, quasi barocca (il primo sapore è bufaliniano), costantemente sostenuta, in cui lo spesseggiare della meditazione psichica è reso con una padronanza disinvolta delle tecniche letterarie (citiamo, per exempla, il topos della modestia dell’autore), con

l’impiego della metafora come figura regina, assieme a un florido apparato retorico: Bonetta incede volentieri sull’ossimoro e sulla sinestesia, sulla personificazione delle epifanie naturalistiche più fulgide, dando corpo immaginifico pure ai sentimenti, come nella poetica definizione della fraternità: rivolgendosi alla sorella drammaticamente scom-

parsa, la dirà nel vocativo “carne mia medesima e colorata dal mio identico pastello, frutto ignorato del mio stesso impasto biologico e psichico”. Pregiato pure l’emporio lessicale, traboccante di preziosismi, contrappuntati da inserti dialettali e da un gusto classicistico. Non è secondaria, insomma, la veste formale delle idee, per l’autore, che ha voluto

IL LIBRO

Sono nato nel seno intimo del barocco ibleo...

S

ono nato nel seno più intimo del barocco ibleo che si apre agli occhi cùpidi del visitatore come melagrana rigogliosa dall’invisibile colore rosso della vita. Simile a scintillante moltitudine di balauste dai piccoli cristalli sanguinolenti e succosi, quell’angolo di mondo si spacca al sole, effonde colori melodiosi e aromatici e porge il suo frutto a chi sogna che la vita possa essere un incanto dorato, a chi anela alla saggezza, a chi brama la fertilità, a chi agogna di rinascere dopo una vita grama. Quella terra, benché amara, per me, per tanti, per tutti quelli che in essa videro la luce, fu culla dei sogni di un’ambìta vita di delizie, tavola imbandita con leccornìe erotiche coltivate nell’immaginazione e nell’orto del desiderio. […] Di questa origine ho fatto sempre vanto ed esibizione, fino a peccare di orgoglio etnico, a volte. Ceppo di provenienza che ho ostentato con fierezza come mia identità sociale e culturale e come se questa fosse quella mia personale. Luoghi fisici e umani […] che sono diventa-

ti i puntelli al mio imprescindibile senso di appartenenza, che man mano si è reso più sofisticato attraverso l’identificazione con quella Sicilia illuminista e cosmopolita, laica e secolare che abbiamo tanto esaltato fino a farne la metafora per eccellenza della società occidentale. Essi hanno costituito la base per edificare la mia coscienza, la coscienza del Sé. […] Io sono scappato da quelle terre meravigliose e luttuose. […] Sono fuggito, ma non dal Sud martoriato e senza futuro: sono scappato dalla sofferenza psichica e dalla depressione […],

Lo scrittore vittoriese Gaetano Bonetta

dalla mia famiglia ove il clima umano era tutto volto alla non vita e dove, per non morire fisicamente, ho dovuto educarmi a spegnermi, quasi a morire psichicamente. […] Eh sì, il romanzo è il metodo dell’uomo che si vuole conoscere, che vuole sprofondare nella sua dorata complessità [..]. È la chiave epistemologica della scienza dell’uomo che si vuole inoltrare nella miseria, nella follia, nella diversità, nell’incomprensibile, in tutto ciò che di straordinario c’è nell’animo umano, per illuminare le tenebre dell’inconoscibile ossia della dimensione non cosciente dell’esistenza. […] E non mi hai lasciato altro da fare che venire al tuo giaciglio a sciatare la fresca aria del risveglio mattutino. Non mi hai concesso altro che assumermi l’oneroso e luttuoso privilegio di rappresentare te, e chi ci ha dato la vita, nella lotta e nella vittoria sulla malattia. […] Incredulo, grazie al più alto dolore della mia vita, mi ritrovo libero.

redigere anzitutto una coraggiosa autobiografia, se per questo genere concordiamo nella definizione critica di Philippe Lejeune, di “racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della propria personalità”. Il libro di Bonetta risponde ad ulteriori tratti, consistendo in uno scritto percepito dal narratario come veritiero (si vada alla posizione di G. Folena, “L’autobiografia. Il vissuto e il narrato”), tratto che permette a Lejeune di parlare di “patto autobiografico” e a Starobinski, con una pregnante intuizione, di “vertigine dello sdoppiamento”, questa percettibile in seno alla produzione del testo. L’autobiografia di Bonetta è memorialistica, ma la storia di cui rende conto è prima quella dell’animo, in tangenza di genere con un’opera di finzione quale è tecnicamente il romanzo. Gli strumenti affilati dispiegati nella pagina l’autore desume dalla sua specialistica competenza professionale, oltreché da una familiarità con la psicoterapia, che può salvare. Freud sosteneva che scrittori e psicanalisti attingano alle stesse fonti, lavorando poi allo stesso soggetto con metodi diversi.

(dal libro «Fuga dall’identità» di Gaetano Bonetta)

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