Extr bonelli

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Max Bonelli

ANTIMAIDAN

I motivi del genocidio del popolo dell’Est Ucraina

ARMANDO EDITORE


Sommario

Maidan

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Donetsk

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La zampata dell’orso

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Fiamme a Kiev Donbass

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“C’è chi nasconde i fatti perché non li conosce, è ignorante, impreparato, sciatto e non ha voglia di studiare, di informarsi, di aggiornarsi. C’è chi nasconde i fatti perché ha paura delle querele, delle cause civili, delle richieste di risarcimento miliardarie, che mettono a rischio lo stipendio e attirano i fulmini dell’editore, stufo di pagare gli avvocati per qualche rompicoglioni in redazione. C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti non lo invitano più in certi salotti, dove s’incontrano sempre leader di destra e leader di sinistra, controllori e controllati, guardie e ladri, puttane e cardinali, principi e rivoluzionari, fascisti ed ex lottatori continui, dove tutti sono amici di tutti ed è meglio non scontentare nessuno. C’è chi nasconde i fatti perché contraddicono la linea del giornale. C’è chi nasconde i fatti anche a se stesso perché ha paura di dover cambiare opinione. C’è chi nasconde i fatti perché così, poi, magari, ci scappa una consulenza col governo o con la Rai o con la regione o con il comune o con la provincia o con la camera di commercio o con l’unione industriali o col sindacato o con la banca dietro l’angolo. C’è chi nasconde i fatti perché è nato servo e, come diceva Victor Hugo, ‘c’è gente che pagherebbe per vendersi’. Se in America il giornalismo è il cane da guardia del potere, in Italia è il cane da compagnia. O da riporto”. MARCO TRAVAGLIO


MAIDAN

Fine novembre 2013, viene giù pioggia mista a nevischio, fuori fa freddo ma io nella mia baita accanto al camino di ghisa non lo sento, lo percepisco solo dal nevischio che picchietta sulla finestra. È sera, è il mio momento di relax dopo una giornata di intenso lavoro in farmacia. Questo momento per me si chiama internet e la lettura dei giornali italiani, il mio momento di collegamento con l’Italia il Paese che ho lasciato come tanti laureati italiani per trovare “migliori opportunità” di lavoro all’estero. Me le immagino le decine di migliaia di “cervelli” italiani sparsi per la Comunità Europea a rilassarsi come me la sera davanti a un computer e ricongiungersi idealmente tramite il cordone ombelicale di internet al Bel Paese. Sì a quel Paese che dopo qualche anno di permanenza all’estero, in esilio volontario lavorativo, incominciamo a ricordare ogni giorno sempre più censurato di quegli aspetti negativi che ci hanno costretto alla partenza. Per fortuna per farci andare avanti nella nostra nuova vita in questi Paesi freddi e dalla lingua che non sarà mai la nostra c’è la lettura del quotidiano italiano. Allora si fa indigestione dell’Italia dei cavalieri, del debito pubblico, degli assessori provinciali in tunica romana con una maschera di maiale che abbracciano una attricetta in succinto abito da schiava, per passare per la confessione dell’olgettina di turno e finire con le liti interne del governo Alfano-Letta. Ecco dopo questi 20-30 minuti di lettura del giornale italiano allora noi “cervelli sfigati” all’estero ci facciamo una ragione di dover uscire alle 6 di mattina sotto il cielo plumbeo di Amburgo o piuttosto la neve sferzante di Stoccolma a novembre. Sì alla fine di quei 30 minuti ci rincuoriamo con un “meno male l’abbiamo lasciata questa Italietta” e ci teniamo cara questa permanenza ordinata, noiosa nei nostri piccoli nidi di vita nel Centro-Nord Europa. Io a fine novembre del 2013 sono in uno di questi momenti e mi sfoglio i miei giornali virtuali (nel mio caso “la Repubblica” e “Corriere”) con aria ormai sazia e annoiata. Finisco sempre la mia mezz’oretta di lettura con le notizie estere 9


e l’attenzione viene focalizzata in quei giorni sul fallimento della trattativa Ucraina-Comunità Europea per un accordo di associazione con Yanucovich il presidente eletto 3 anni prima in gran parte con i voti della parte Sud-Est russofona del Paese. Il motivo della mia attenzione alle notizie è sentimentale non lo posso nascondere, da qualche anno nella mia vita c’è Anna una giovane professoressa di Donetsk e io tramite lei ho conosciuto questa nazione che come tanti italiani reputavo quasi come una naturale appendice della grande Russia. Sono stato in questo affascinante Paese già 4 volte, la prima volta sono stato nella capitale Kiev, le altre volte a Donetsk la capitale del Donbass la regione a Est del Paese e un’estate sono anche stato in Crimea. Diciamo che lo conosco meglio della media degli europei occidentali e in più la convivenza con Anna, esperta di cultura e lingua ucraina ma di madrelingua russa, mi aiuta a trovare la chiave di lettura di eventi che altrimenti mi sarebbero rimasti misteriosi, indecifrabili o semplicemente filtrati dai mass media occidentali. Ritornando a quella fredda fine di novembre scandinavo inizio un dialogo con Anna sulla notizia che ha attirato la mia attenzione. “Ci sono manifestazioni in piazza a Kiev contro Tarzan amore”. Tarzan è il soprannome che Anna dà a Yanukovich il presidente alto e corpulento e dallo sguardo non propriamente intelligente giunto al potere dopo le elezioni del 2010, elezioni per una volta nella breve storia democratica dell’Ucraina non contestate e soprattutto che hanno avuto il parere positivo della Comunità Economica Europea che le ha giudicate valide. “Sì ho letto anche io stanno manifestando per il mancato accordo economico con la UE”. “E cosa dicono i russi?” rimando io. “Non penso che sarebbero felici di questo accordo”. La cosa m’intriga anche perché giorno dopo giorno, nonostante il freddo, le proteste crescono. Incomincio a documentarmi sui dati macro economici dell’accordo saltato e esce fuori che gli europei avevano offerto a Tarzan meno di un miliardo di euro di aiuti e in più imponevano la liberazione di Yulia Tymoshenko accusata di un capitolo di reati niente male tra i quali truffa ai danni dello Stato. “Amore ma questa Tymoshenko secondo te ha rubato?”. Anna è etnicamente 1/4 tedesca, 1/4 ucraina e il resto russa, ma se è vero il detto russo “non menano sul passaporto ma sulla faccia” beh in questo caso allora lei è russa. Mi risponde facendo diventare i suoi occhi celesti a taglio orientale delle fessure e aggrottando in maniera 10


ironica le sopracciglia: “Certo che ha rubato, come tutti i magnati” e poi aggiungendo la pugnalata finale da vecchia nazionalista ucraina qual è “che poi lei è russa viene da Dnieprpropetrosk, il marito è ucraino, lei porta il cognome del marito”. Una cosa ho imparato dell’Ucraina in questi giorni: i cognomi che finiscono in “ko”, per esempio Scecenko, l’attaccante del Milan, sono classici cognomi ucraini. Ora l’idea che per un accordo commerciale si deve liberare una persona che è stata giudicata colpevole a torto o ragione da un tribunale di uno Stato sovrano mi richiama più l’idea dell’estorsione che la partnership economica. Anche la cifra offerta dalla UE mi sembra un po’ miserina. L’Ucraina è un Paese di 45 milioni di persone grande quasi quanto la Francia e con 70 miliardi di dollari di debito pubblico, una economia con l’export indirizzato prevalentemente verso la Russia e un import su cui pesano già i prodotti occidentali e soprattutto il gas Russo di cui l’Ucraina ha vitale bisogno. Il rifiuto di “Tarzan” Yanukovich mi sembra che ci stia tutto considerando che il suo interesse di bottega in vista delle elezioni del 2015 è di prendere i voti dall’elettorato dell’Est Ucraina. Con Anna ho imparato che l’Ucraina si divide in 3 parti fondamentalmente. L’Est russofono con le città industriali e minerarie di Kharkov e Donetsk. Il centro amministrativo di Kiev con l’Ucraina centrale delle terre nere, il cuore agricolo del Paese, e l’Ucraina dell’Ovest povera, montuosa e con una percentuale di emigrazione elevatissima. Intanto arriviamo al 28 novembre una giornata importante: c’è il vertice a Vilnius per il Partenariato orientale e lì al vertice Yanukovich risponde ufficialmente picche alla Comunità Europea. Lui non vuole saperne di liberare Yulia Tymoshenko e soprattutto spera che la Russia gli dia di più. Passano i giorni: siamo al 30 novembre, qui nella mia plumbea Svezia nel mio esilio lavorativo il freddo si fa sentire e quando “torno in baita” il mio momento di relax con il thè caldo e i miei giornali italiani virtuali continuano a darmi buone ragioni per sopportarlo. Come si fa a non essere contenti di star fuori dal Bel Paese quando il titolo di testa di “la Repubblica” il 30 novembre è incentrato su Berlusconi pagò i testimoni in riferimento al processo Ruby. L’Italia va a rotoli e ancora l’informazione del principale quotidiano del centrosinistra verte sui casi giudiziari di un settantenne gaudente che è riuscito a prendere per i fondelli mezza Italia. Il secondo titolo in ordine d’importanza: Galliani addio al Milan. La rabbia di 11


Silvio mi tradisci come Alfano. Ma cosa farebbe il gruppo Espresso-Repubblica senza Silvio? Il “Corriere” va un po’ meglio, si divide tra “l’appassionante” battaglia per la nomination all’interno del Pd, quando lo sanno anche i bambini che Renzi vince a mani basse, e con un giorno di ritardo riferisce del fiasco europeo di Vilnius, con un Mosca imbriglia l’Ucraina. Siamo al 1 dicembre, un’ondata di freddo colpisce l’Europa e Kiev non fa eccezione ma arrivano notizie di scontri, su “la Repubblica” si parla di violenze della polizia, ma poi, scritto piccolo, esce fuori che 35 poliziotti sono feriti. L’inviato di “la Repubblica” Nicola Lombardozzi, look da compagno, occhialetti rotondi e tanto di eskimo, si fa immortalare spesso tra i manifestanti che incominciano a tirare su le prime barricate. I suoi reportage seguono il copione del film Caduta muro di Berlino 2, ci racconta che la gente che sta lì a sfidare il freddo e le manganellate della polizia vuole cambiare l’Ucraina, vuole un Paese senza magnati, senza corruzione, un Paese insomma più normale più europeo. Certo c’è qualche gruppo estremista che vuol far precipitare la situazione ma sono gruppi isolati. Io in questi piccoli video lunghi dai 3 ai 5 minuti noto che spesso si vedono bandiere rosso e nere e fazzoletti di colori analoghi che coprono il viso dei manifestanti. La sera chiedo ad Anna qualche delucidazione: “Amore ho visto che tra i manifestanti ci sono spesso bandiere rosse e nere cosa sono?”. “Ha...” silenzio e poi riprende: “Quelle sono le bandiere dell’UPA”. Sono appassionato di storia ma quest’UPA mi trova impreparato. “L’UPA?!”. “Sì è l’esercito insurrezionale Ucraino (Ukrains'ka Povstans'ka Armija) che ha combattuto sia contro i tedeschi che contro i russi, fino al 1950 il suo leader politico è stato Stepan Banderas”. Con questi dati mi do un’occhiata su qualche sito ed esce fuori che l’UPA ha combattuto contro i tedeschi fino al 1943 quando occupavano l’Ucraina e poi contro i russi quando questi hanno preso possesso dell’Ucraina ma anche contro i polacchi e contro gli ebrei perché avevano l’obiettivo di purificare etnicamente l’Ucraina dell’Ovest e del Nord. Il confine tra formazione ultra nazionalista e la formazione apertamente nazifascista incomincia a diventare labile, dove inizia l’una e finisce l’altra? L’UPA è vista come formazione nazifascista tra i russofoni dell’Ucraina dell’Est per la spiccata vocazione alla pulizia etnica. In questa sera di inizio dicembre nella mia baita, mentre vedo cadere la 12


neve dell’inverno svedese, penso che la storia dell’Ucraina e dell’Italia hanno qualche similitudine con un passato di guerra civile politica e con in più una divisione linguistica che fa sì che questa faglia diventi ancora più profonda. Almeno sulla prima pagina dei giornali italiani l’Ucraina sparisce per una decina di giorni. Ma avendo in casa un’ucraina riesco a sapere notizie difficilmente reperibili per un lettore medio. “Tarzan si è fatto dare i soldi da Putin, un classico”, mi esordisce una sera all’inizio di dicembre Anna “vent’anni d’indipendenza e ancora non riusciamo a stare sulle nostre gambe". Anna ha imparato l’italiano con una rapidità sorprendente e crea delle espressioni che vengono dal russo o dall’ucraino che per me sono contagiose, in quanto a volte mi trovo a ripeterle e dopo un po’ fatico a riconoscere che non sono proprio corrette. “Quali sono i termini dell’accordo?”. “15 miliardi di dollari in acquisto di titoli di Stato e gas a 268 dollari”. “Beh Tarzan non sarà un genio ma i conti li sa fare” rimando io. “Ecco così saremo legati a Mosca per sempre” mi fa lei con stizza. Ora quando vedo quell’espressione nel suo viso, i lineamenti induriti nella rabbia capisco che tocca essere diplomatici, la nazionalista ucraina viene fuori. “Ma sai con il Paese sull’orlo del default non c’erano tante scelte”. “Che vuoi dire?”. “Niente cerco di fare i conti con la realtà. Tra il fallimento e il rischio di non pagare gli stipendi ai dipendenti statali, Tarzan si è aggrappato alla ciambella che gli ha lanciato Putin”. A questa mia pragmatica osservazione Anna ha un momento di riflessione profonda, anche lei è una dipendente statale, privilegiata perché come professore di alto livello ha una grande libertà sui calendari delle lezioni, ma pur sempre dipendente dello Stato ucraino anche se per una paga che a malapena raggiunge i 350 dollari al mese. Si chiude in un silenzio e cambiamo argomento, questa è la sua ricetta quando qualche dubbio scuote le sue convinzioni. Io dentro di me faccio le mie riflessioni: parlare di abisso tra le due proposte mi sembra riduttivo e quasi smetto di cercare tra i titoli di coda dei giornali notizie sull’Ucraina. In fondo la scelta di Tarzan mi sembra anche giusta, con un Paese sull’orlo della bancarotta non c’era molto da pensarci su. Siamo all’8 dicembre, è sera e alla fine di una noiosa giornata di lavoro eccomi a casa. “Ciao amore come va?” entro, mi spolvero gli stivali dalla neve. “Tutto a posto ma a Kiev c’è casino”. “Ma dai!”. “Sì, grande mani13


festazione, hanno buttato giù la statua di Lenin”. Mangiamo e qualcosa mi ronza nella testa, cosa c’entra Lenin con Yanukovich. Fosse il capo di un partito comunista, ma al potere c’è la testa di legno del magnate dell’Est Rinat Akhemetov, insomma non sono due comunisti anzi. Non vedo l’ora di leggermi “la Repubblica” e il “Corriere”. Il “Corriere” è tutto incentrato sulla conquista di Renzi della leadership del Pd ma su “la Repubblica” oltre a questo l’Ucraina si guadagna un posticino di primo piano con un buon video sull’abbattimento della statua di Lenin a Kiev, anche se nell’articoletto che correda il filmato, parlando con il mentore, capisco che c’è qualche confusione. “Amore qui su ‘Repubblica’ parlano di un partito liberale ultra-nazionalista, sono quelli che hanno abbattuto la statua”. “Ah sì Svoboda”. “Che significa Svoboda?” .“Libertà”. Da bravo italiano reduce da un ventennio dominato dal partito delle libertà ho incominciato immediatamente a sentire odore di fregatura. “Ma dice che sono ultranazionalisti”. Mi guarda e con una delle sue smorfie teatrali mi rimanda: “Sono ultranazionalisti e molto di destra, molto votati nell’Ucraina dell’Ovest”. Incomincio a capire che l’inviato di “la Repubblica” ha perlomeno le idee confuse sul partito liberale ucraino ma questo tutto sommato ci sta tutto nella decadenza odierna dei media del Bel Paese. Quello che mi lascia perplesso sono le 200.000 persone in piazza nel freddo dicembre ucraino che protestano per avere un trattato con l’Europa che conduce il Paese al default e invece sono contro uno (quello dei 15 miliardi di dollari di Putin) che li salva dal fallimento. Vedere quel video con i manifestanti che si accanivano con picconi e martelli contro quel pezzo di storia, richiama inevitabilmente le immagini dell’abbattimento del muro di Berlino; oltre venti anni dopo la statua di Lenin c’è, ma non ci sono più i comunisti a cui indirizzare questo abbattimento. Rimango perplesso, il giorno dopo “la Repubblica” calca la mano su questo copione ed esce dall’informazione neutrale: di nuovo le immagini dei picconatori sulla statua con un commento: “Ucraina, 500mila in piazza per l’Europa: abbattuta la statua di Lenin”. Il 10 dicembre si presenta a Kiev inneggiata dalla folla una simpatica signora sulla sessantina dai capelli rosso carota tante lentiggini e un viso che sembra il biglietto da visita della nobiltà d’Inghilterra: è la baronessa 14


Catherine Ashton, alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri1. Praticamente il ministro degli esteri della Comunità Europea. Incontra a Kiev la leadership dell’opposizione, viene a dare di persona la benedizione alla rivolta di Euromaidan. Immaginiamo solo per un momento se il ministro degli esteri russo Lavrov avesse osato presentarsi ad Atene in piena rivolta contro l’europa della Merkel a dare di persona il suo appoggio ai rivoltosi? Ma non basta, non c’è solo la UE, arriva Victoria Nuland, assistente segretario degli USA, a dare il sostegno ai rivoltosi in piazza Maidan. Le immagini che scorrono sul canale della BBC non sono diverse dai media italiani. Una festosa rivolta intervallata da immagini di arresti apparentemente ingiustificati da parte della polizia. “Tarzan Yanukovich” incomincia a mostrare la sua debolezza, promette un’amnistia per gli arrestati se piazza Maidan verrà liberata. Non è bonta la sua, è preoccupazione di un uomo messo in un posto più alto delle sue capacità di gestione dal suo padrino, il grande magnate del Donbass Achemetov. Alle prime minacce di sanzioni economiche per lui e la sua famiglia si scioglie come neve al sole, è un ladro a cui hanno messo sul capo il cappello dello zar e in questo momento non fa niente per nascondere la sua incapacità nel saperlo portare. Inoltre mi viene da fare una riflessione: ma che messaggio manda ai 35 poliziotti feriti negli incidenti con un amnistia? Con quale spirito andranno a contrastare le prossime manifestazioni in piazza? Il 12 dicembre leggo un articolo su «Limes», una rivista specializzata in geopolitica del gruppo L’Espresso. L’autore è il direttore della rivista stessa, Lucio Caracciolo, e il titolo, La statua di Lenin, l`Ucraina contro la Russia e la scelta dell’Europa, è di quelli che sottolineano i passaggi storici. Si parte dall’abbattimento della statua per fare un’analisi della grande protesta che sta avvenendo a Kiev. Correttamente viene riportato l’abbattimento a carico degli “ultranazionalisti” di Svoboda e si definisce la variegata opposizione in piazza come cementata dal sentimento antirusso. L’autore sottolinea un punto centrale del problema e cioè che questo forte sentimento antirusso ha un nucleo centrale nella Galizia ucraina (regione passata alla Russia dopo la Prima Guerra Mondiale e nel Centro del Paese). 1 10 dicembre, video Ashotn e Nuland a Kiev: https://www.Youtube.com/watch?v=r7_WTjIgC20. Rimosso, il video si ritrova in versioni non in inglese: https://www.youtube.com/watch?v=G11mqSMbiKo.

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Ma questo sentimento non è condiviso dal Sud-Est del Paese a maggioranza russofona. Per questa parte Kiev è la culla politica dello stato Russo. Tutto questo è visto come anatema per gli ucraini sia dell’Ovest che del Centro. Un altro passaggio importante è che l’aspirazione all’Europa è il riflesso della russofobia delle regioni Ovest e centrali. Si conclude con una riflessione sulla UE che fino ad adesso non ha cavalcato il sentimento russofobo per convenienza ma se la crisi s’inasprisce l’Europa non si potrà tirare indietro. Un altro commento di rilievo è che la piazza non è telecomandata ma spontanea, che sono lì nel freddo perché disgustati dal regime e dalla crisi economica iniziata nel 2008-20092. Avrei molte domande da fare al mio mentore ma Anna è tornata in Ucraina alla sua Donetsk, all’università che ama, al suo lavoro. Usare il poco tempo che abbiamo quando ci sentiamo su Skype per lezioni di geopolitica sarebbe sentimentalmente poco carino. Tanti punti interrogativi sono dentro di me dopo l’articolo di «Limes» . Per esempio perché chiamare regime un governo uscito da elezioni giudicate libere dagli osservatori della Comunità Europea nel 2010? La crisi economica è iniziata nel 2008-2009 sotto la leadership di Jushenko e Tymoshenko, perché si dà la colpa della crisi solo a Yanucovich? Perché un direttore di una rivista di geopolitica sembra bene informato fino nei particolari per certe vicende ma fa delle palese omissioni su delle altre? Sono di natura dotato di forte senso critico e questo caso geopolitico si tinge di ombre. Sembra come se tutto viene rappresentato affinché Tarzan Yanucovich diventi il capro espiatorio. Certo è uno che ha rubato se per furto intendiamo i favoritismi al suo clan familiare, e ai suoi amici che lo hanno sostenuto nel Donbass, ma io che vengo dall’Italia dove il voto di scambio a Sud è spesso eletto a sistema, posso usare contro di lui la parola regime? E se il gruppo l’EspressoRepubblica la usa contro di lui, dovrebbe usarla anche per il ventennio di Berlusconi? A quanto Euromaidan in Italia? All’inizio di gennaio andrò in Ucraina a passare le festività natalizie ortodosse con Anna e ci sarà occasione per chiedere agli ucraini del Donbass come vedono questi avvenimenti. Per mia fortuna le festività natalizie cattoliche e quelle ortodosse

http://temi.repubblica.it/limes/la-statua-di-lenin-lucraina-contro-la-russia-e-lascelta-delleuropa/55767. 2

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sono sfalsate di quasi due settimane (i greco ortodossi usano il vecchio calendario gregoriano), quindi riuscirò a passare le feste sia con i miei figli che con Anna, senza traumi familiari. Il giorno seguente sono libero e dedico la mattina, durante la colazione, al mio contatto etere con l’Italia. Ho più tempo e mi allargo anche ai giornali svedesi, sembra che ci sia una pressione sia europea ma soprattutto americana per contrastare la violenza della polizia ucraina sui manifestanti. Si dà notizia di giornalisti picchiati e di persone che spariscono nel nulla. I lettori dei quotidiani occidentali incominciano a familiarizzare con la parola Berkut che identifica i reparti antisommossa del ministero degli interni ucraino. Sono descritti come gente addestrata a reprimere nel sangue le sommosse. Si parla con insistenza di pressioni politiche per contenere la violenza della polizia sui manifestanti e si minaccia di sanzioni economiche contro i conti bancari di Yanukovich e famiglia. Tutta questa pressione soprattutto da parte americana m’insospettisce come la maggior parte degli italiani della mia generazione; i primi discorsi intelligibili nel nostro ricordo inconscio di politica internazionale in cui entra la parola America sono legati alla guerra in Vietnam. Quindi quando sentiamo che gli Americani si stanno sbracciando per la libertà di un Paese che nel caso dell’Ucraina è dall’altra parte del globo rispetto a loro, allora il sospetto diventa quasi certezza di odore di bruciato. Incomincio a documentarmi su internet e soprattutto Youtube per trovare le prove della violenta repressione. I video sono difficili da trovare con le parole chiave in cirillico, e questo non facilita le mie ricerche ma qualcosa viene fuori anzi, più di quanto mi aspettavo3. Il 24 novembre davanti alla sede del gabinetto dei ministri una folla urlante tenta di rompere il cordone della polizia. La folla carica le forze dell’ordine usando estintori, spranghe, inferriate di ferro divelte dai parchi, si vedono distintamente i più facinorosi vestiti d’impermeabili rossi e risvolti neri, altri hanno fazzoletti di colori simili (sono i colori dell’UPA). Il simbolismo non è mai casuale in Ucraina e sono parecchie le bandiere rosso e 3 Disordini provocati dai manifestanti in ordine cronologico a partire dal 24 novembrehttps://www.youtube.com/watch?v=lf64Q4tp41o.

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nere insieme a quelle classiche ucraine giallo e blu. I più intraprendenti caricano la polizia a sprangate, i meno violenti usano gas urticanti, mentre questa risponde come può ma non riesce a controllare la violenza degli aggressori. La sera i manifestanti sono di nuovo alla carica nello stesso posto e questa volta usano un palo come ariete per rompere il cordone della polizia. Questa, inferiore di numero, risulta passiva rispetto all’assalto, impreparata nelle tattiche e anche male addestrata. Sempre il 24 a Maidan Nezalezhnosti, i manifestanti montano tende gialle e blu e iniziano l’accampamento; la polizia tenta lo sgombero dialogando, ma vengono aggrediti e malmenati. Il 25 novembre sempre di fronte alla sede del gabinetto dei ministri, si vedono anche le tute tigrate celesti della Berkut ma la storia non cambia, vengono presi a sprangate e spray urticanti nel migliore dei casi. Tentano con metodo di levare il casco protettivo ai poliziotti per poi colpire con durezza per farli cadere a terra. La polizia interna è intimorita da tanta violenza e determinazione. Anche qui i colori prevalenti dopo il giallo e il blu dei fazzoletti ucraini sono il rosso e il nero. Sempre il 25 a piazza Europa stesso copione agenti del Berkut che a malapena riescono a difendersi dagli ultranazionalisti, spray urticanti, manganellate, ormai gli agenti combattono per sopravvivere non c’è spazio per la repressione. I manifestanti urlano kazap (caprone), è il nomignolo che danno gli ucraini ai russi. Probabilmente molti della polizia sono del Sud-Est russofono. 5 giorni dopo, il 30 novembre, a Maidan Nezalezhnosti arrivano camion che trasportano pesanti transenne di ferro per formare una cortina a protezione dei palazzi del potere e dei poliziotti. C’è un sottile cordone di agenti a proteggere gli operai che devono mettere le transenne. Dopo pochi minuti tutto è in mano agli insorti tra la passività degli agenti che si contrappone all’organizzazione militare dei manifestanti. Più tardi quella sera stessa nella medesima piazza scoppia il conflitto aperto con i manifestanti che lanciano petardi, pietre e pezzi di legno incendiati. Fa freddo, i manifestanti hanno quasi tutti impermeabili a eskimo, ma quando nella foga si leva un cappuccio appare sotto un berretto rosso e nero. Il giorno dopo alla Bankoyava, sede del presidente, ci sono disordini. Qui la polizia è più numerosa ma sempre inferiore di numero agli attaccanti, nelle immagini colpisce un manifestante avvolto nella bandiera ucraina che si frappone tra i più violenti in colori rosso e nero e la polizia. Viene più volte picchiato 18


anche lui, un’immagine di quello che sarà il futuro dell’Ucraina, non c’è posto per il buon senso ma solo per gli estremismi. Incominciano a volare le prime pietre contro la polizia e poi vengono lanciate le molotov contro il cordone degli agenti, i quali si comportano in maniera contenitiva appena replicando ai più violenti. I manifestanti hanno con sé una grossa riserva di pietre che arriva dalle retrovie, la polizia bersagliata da questi lanci barcolla, arretra, anche qui inizia la lotta per la sopravvivenza. Dopo qualche minuto arriva una ruspa a servizio dei rivoltosi: lancio di molotov, un energumeno ruota una catena di ferro e fustiga come un moderno cerbero il cordone della polizia. Gli agenti sono visibilmente intimoriti, lottano per stare uniti, la caduta per terra sarebbe la fine per uno di quei ragazzi della polizia. La sera dello stesso giorno e nello stesso luogo, di nuovo un’altra carica, gli agenti adesso sono dotati di scudi di metallo rettangolari e si mettono in una formazione a testuggine ma anche in questo caso i manifestanti armati di grosse spranghe sono all’attacco. La medesima sera in un’altra parte del centro di Kiev al monumento di Lenin immagini ancora più drammatiche: una trentina di agenti del Berkut mandati lì per impedire l’abbattimento della statua sono sopraffatti dagli assalitori. Si vede distintamente un manifestante spaccare un bastone di legno sulla testa di un poliziotto. Questi sono costretti a una fuga su uno scalcinato autobus che li aveva portati a ristabilire un ordine superiore alle loro forze e fuggono per vivere. In tutti questi video che ho trovato su internet non ho visto la polizia violenta descritta dagli inviati di “la Repubblica” o del “Corriere della Sera”, ma neanche i giornali svedesi sono su un’altra frequenza d’onda. Eppure queste violenze sono tali e così eclatanti che il termine “bucare” la notizia è riduttivo. Qui l’informazione è autocensurata, chi può avere il potere di far autocensurare media svedesi, italiani, inglesi e probabilmente anche tedeschi e francesi? Io sento che la risposta a questa mia domanda può essere qualcosa di più grande e complesso dell’abbaglio mediatico di giornalisti che hanno sempre desiderato fare il reportage della caduta del muro di Berlino, no, l’assassino dell’Ucraina come Paese unito viene da più lontano. Il 15 dicembre su Youtube viene postato un video sulla piazza di Maidan, uno dei tanti che mostra la partecipazione di massa alla protesta. La regia è ben fatta, c’è sicuramente un professionista dietro la camera, anche 19


la musica segue bene le immagini, si vede ormai una piazza conquistata dal movimento Euromaidan. Si vedono le cucine da campo donate dalla Comunità Europea, i grandi pentoloni di Borsh (la zuppa tradizionale ucraina), uomini con cappelli da cosacchi intorno ai grandi bidoni diventati stufe da campo, un grande palcoscenico che ospiterà gli oratori politici, cantautori, poeti, una grande festa in onore dell’Ucraina europea4. Il video finisce con il grido di decine di migliaia di persone che fa tremare la piazza: “Slava Ukraini”. “Onore all’Ucraina”. La regia classica del film Caduta muro di Berlino 2 continua. Uno dei primi a inaugurare questo palcoscenico con una platea di migliaia di persone e una risonanza internazionale è John Mccain. Adesso vi state chiedendo, chi è? Beh anche io quando ho letto il nome me lo sono chiesto poi ho visto il viso e l’ho riconosciuto, il candidato repubblicano perdente alle ultime elezioni presidenziali negli USA. Sì era lì a fare il suo bel discorso agli ucraini su quanto è importante scegliere il proprio futuro in piena libertà e questa parola è sinonimo di occidente, il pacchetto “libertà” standard, classico made in USA. Parla di fronte a un mare di bandiere giallo-blu e tante bandiere rosso-nere, il sogno americano è lì, lo si legge negli occhi di quegli ucraini che vengono da Leopoli, Ovest dell’Ucraina, da Poltava, Centro dell’Ucraina, tanti sono venuti stanchi della corruzione, di dover pagare il dottore dell’ospedale, l’infermiera, il portantino per essere trattati come malati prima di una operazione che sulla carta dovrebbe essere gratuita per diritto, studenti stanchi di pagare professori per passare l’esame, stanchi di “Tarzan” Yanukovich che non ha cambiato il sistema. Ma nessuno di questi ucraini si vuole ricordare che sotto il governo Jushenko, presidente nel 2004-2010, e Tymoshenko, primo ministro nel 2005 e poi nel 2007-2010-12, il sistema corruzione esisteva. Il partito arancione è stato al potere almeno altrettanti anni di Yanukovich ma il “sistema” Ucraina non era diverso. La triade nera (oligarchi, corruzione e giustizia al servizio del potere) era sempre lì. M’interrogo sulla operazione politica in corso in questo Paese, si cavalca il nazionalismo ucraino per nascondere i veri nodi. Per un italiano che si è sciroppato venti anni di “attenti ai comunisti” l’operazione è nota, il meccanismo pure, mi 4 Pentoloni di Borsh e cosacchi, 15 dicembre: https://www.youtube.com/watch?v=0q2J6nxDJY.

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manca di capire quale sarà l’attore di questa commedia teatrale che prenderà la parte dei “comunisti “. In Ucraina il partito comunista ha seguito solo tra i pensionati che vivono con una pensione di 1000 grina al mese (scarsi 100 euro). Il calendario brucia velocemente la seconda metà di dicembre, penso che sia una sensazione che ci accomuna tutti quanti sia a Est che a Ovest. La frenesia della preparazione dei regali per il Natale e la preparazione del viaggio per l’Ucraina ruba il tempo alle mie curiosità storico-politiche. Anche le notizie sono più rassicuranti: Euromaidan è stabile ma indubbiamente in questo scorcio di dicembre più pacifica5. Il 17 appare un simpatico video su Youtube su una piccola Maidan sul Mar Nero a Odessa. In una piazza del centro si riuniscono un centinaio scarso di persone per manifestare la loro solidarietà alla protesta di Kiev, come sottofondo musicale hanno le note della canzone partigiana Bella ciao in versione ucraina. Sembra una piccola festa di paese a Odessa, questa città multietnica, la città dalle tante facce anche architettoniche, con tanti edifici disegnati da architetti italiani, la città dove tanti esuli italiani sfuggivano alle repressioni borboniche e dove Garibaldi venne, come recita in un suo libro, “sedotto in una taverna di Odessa alla causa della riunificazione d’Italia”6. Odessa non è un caso isolato; piccole grandi manifestazioni di solidarietà si svolgono in tutte le principali città ucraine ma la partecipazione numerica dei manifestanti è direttamente proporzionale alla vicinanza al confine Ovest dell’Ucraina. Man mano che ci si allontana da esso, nella stessa maniera diminuisce il numero dei partecipanti. Anche a Donetsk, la patria di Tarzan, ci sono dimostrazioni vicino al parlamento regionale ma il numero dei manifestanti è molto ridotto tanto che il fenomeno passa inosservato agli occhi della stragrande maggioranza degli abitanti del Donbass. Kiev invece ha una folla costante sotto il palco eretto a Euromaidan nonostante il termometro segna sempre sotto gli 0°7. Il palco ospita continuamente arringhe politiche che scaldano il cuore ma tutto sommato in un’aria di democrazia a cui anche l’apparato di polizia mostra di rassegnarsi senza mostrare colpi

Odessa, 16 dicembre : https://www.youtube.com/watch?v=Lm6cYzbt6j0. G. Garibaldi, Cantoni il volontario. 7 Manifestazione sul palco, 17 dicembre https://www.youtube.com /watch?v= 0ZB AzCzGuoQ. 5 6

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di coda. Ma anche la protesta quella vera va a casa dopo il 19, le lunghe feste natalizie ucraine prendono il sopravvento sulla passione politica, Euromaidan rimane occupata ma sui palchi i concerti prendono il posto dei comizi, la gente si affretta a fare i regali8. Vedete, in Ucraina l’atmosfera natalizia e i preparativi iniziano intorno al 20 di dicembre in attesa della prima delle festività e cioè il capodanno “civile” introdotto durante il periodo sovietico il 31 dicembre. Per poi senza praticamente interruzione festeggiare il Natale ortodosso che secondo il calendario gregoriano in voga sia nella chiesa ortodossa che in quella uniate cade durante la nostra epifania il 6-7 gennaio, per finire con il capodanno ortodosso il 13-14 gennaio9. Qui in Svezia il Natale è il momento culminante dell’inverno, il conto alla rovescia è iniziato il 13 dicembre con Santa Lucia,il giorno tradizionalmente con la notte più lunga dell’anno, e poi è tutto un crescendo fino a Natale e quest’anno i giorni corrono. Il 29 dicembre parto per Donetsk, una delle poche città in cui Euromaidan non è arrivata. Ho tante domande da fare agli amici di Anna, voglio capire cosa pensano di tutto quello che sta accadendo in questo Paese che è entrato nella mia vita quasi per caso e che ora mi affascina con i suoi problemi, le sue contraddizioni e la sua voglia disperata di sopravvivere alla storia che lo sta travolgendo.

https://www.youtube.com/watch?v=msxL1ShePqM. Ambiente natalizio a Maidan 21 dicembre: https:// www. youtube. com/watch? v= tGzJ SZbL _z8 8 9

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