Millennium - Incontri con l'architettura

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Richard Meier Quando le cattedrali tornarono bianche

“W

hite is the most wonderful color because within it you can see all the colors of the rainbow”: tra gli statement che aprono l’elegante sito web di Richard Meier & Partners, questo è forse il più efficace manifesto personale del fondatore dello studio. Figura ormai storica dell’architettura, Richard Meier è un architetto capace di proporsi come tramite tra l’età eroica dei grandi maestri della modernità e il palinsesto patinato, multiculturale e meta-settoriale in cui navigano la contemporaneità e le sue molte immagini. Lieve e ispirata e, insieme, scientificamente ineccepibile nel suo richiamo alla sintesi additiva, la frase custodisce un tratto saliente della figura progettuale di Meier: autore in perenne sospensione tra la ricerca del lirismo nelle proprie opere e il rigoroso approccio scientifico al progetto architettonico. La stessa frase, e così forse anche il suo autore, si presta però anche a un secondo gioco interpretativo, basato su una diversa spartizione delle parole e dei loro significati. Osservando quella che compare per prima, “White”, considerando l’ipotesi costitutiva dell’assunto “White is the most wonderful color”, oppure richiamando lo statement nella sua interezza, si percorreranno tre successive stagioni progettuali, tre concetti e forse anche tre chiavi di lettura del multicolore universo di Richard Meier.

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Five White Architects “White” erano anche soprannominati i mitici Five Architects, gruppo-non gruppo di architetti presentato nel 1969 dal guru Kenneth Frampton nel corso di un incontro del CASE (Conference of Architects for the Study of the Environment) al MoMA di New York. Insieme a Meier ne facevano parte Peter Eisenman, John Hejduk, Michael Graves e Charles Gwathmey (con Robert Siegel). Entità unitaria dal punto di vista stilistico ma non societario, i Five realizzano pochi lavori in comune, ma si presentano come un soggetto omogeneo e capace per questo di godere di una maggiore esposizione: maggiori critiche e maggiori apprezzamenti. Padrone di casa e mentore dell’operazione è Philip Johnson, il “grande vecchio” dell’architettura nordamericana del dopoguerra, così potente (e lungimirante) da essere anche il sostenitore di una visione opposta e antagonista a quella proposta dai Five. Tre anni prima lo stesso Johnson aveva infatti appoggiato la pubblicazione di Complexity and Contradiction in Architecture di Robert Venturi, capostipite della generazione degli architetti post-modern battezzati “Gray” dalla critica proprio per sottolinearne la contaminazione dello stile in contrapposizione con il purismo formale e concettuale dei “White”.


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