Amici del Musical #19

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amici del

musical

Grease La febbre del sabato sera Sister Act Evita Schikaneder RafaĂŤlle Cohen Drew Sarich Murder Ballad La La Land La Bella e la Bestia

19|2017 w e b z i n e


il 20 aprile 2017 scopri il vincitore!

Amici del Musical www.amicidelmusical.it sito ideato da Franco Travaglio webzine issuu.com/amicidelmusical ideazione e coordinamento editoriale Francesco Moretti blog amicidelmusical.blogspot.it

in redazione Stefano Bonsi, Alessandro Caria, Enrico Comar, Laura Confalonieri, Sara Del Sal, Diana Duri, Matteo Firmi, Roberta Mascazzini, Roberto Mazzone, Valeria Rosso, Enza Adriana Russo, Franco Travaglio, Cecilia Zoratti n. 19|2017 21 marzo 2017 in copertina: Beauty and the Beast (2017) Abbiamo fatto il possibile per reperire foto autorizzate e ufficiali. Per ogni informazione e/o chiarimento scrivete a: francesco.moretti@gmail.com


Facts & Figures

dall’Italia Grease La febbre del sabato sera Sister Act Evita dall’estero School of Rock Schikaneder

le interviste Suor Cristina Milica Jovanovic Drew Sarich Rafaëlle Cohen

letto / visto / ascoltato La Bella e la Bestia Murder Ballad Trio La La Land

scarica la webzine in pdf: http://bit.ly/adm_19_download

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ringiovanire a 20 anni

di Roberto Mazzone

Grease Milano, Teatro della Luna 8 marzo 2017


foto | Francesco Prandoni

Il long running show italico per eccellenza, torna in un un allestimento rivisitato e con un protagonista 2.0



L’edizione speciale per i 20 anni di Grease in versione italiana sarà certamente ricordata come la più luminosa. Valerio Tiberi e Francesco Vignati hanno svolto un lavoro eccellente, studiando un disegno luci prevalentemente concentrato sullo spazio scenico e su chi lo occupa, in grado di “arrivare” al pubblico anche in maniera abbagliante, ma mai fastidiosa. Le scenografie di Gabriele Moreschi – ripensate in equilibrio tra esterni e interno, con una prevalenza di una dimensione più “intima” – subiscono un ulteriore tocco di freschezza, dovuto alla presenza della band di otto elementi, che suona dal vivo sospesa a mezz’aria, con la su-

pervisione musicale di Marco Iacomelli e le orchestrazioni curate da Riccardo Di Paola. Completano il team creativo Carla Accoramboni per i costumi, le frizzanti coreografie affidate a Gillian Bruce e le nuove liriche (2015) firmate da Franco Travaglio, che per l’occasione, ha tradotto in italiano un brano – All I Need is an Angel (Ho bisogno di un angelo) – scritto per Grease Live, la versione televisiva del musical trasmessa dalla Fox nel 2016. Saverio Marconi firma ancora una volta un allestimento di qualità – con la regia associata di Mauro Simone – accogliendo, senza farne mistero, alcune suggestioni provenienti dal recente show televisivo (due esempi su


tutti, i marines che scendono dalla scaletta di un aereo nel brano Freddy My Love e la versione “concerto rock” di Magiche note). La principale novità di questa edizione, Guglielmo Scilla, conosciuto sulla rete anche come Willwoosh, interpreta un Danny Zuko lontano dall’icona John Travolta, più “leggero” e dal cuore decisamente troppo tenero: un vantaggio per un attore, che si trasformerebbe in “valore aggiunto”, se mostrasse lo stesso piglio risoluto nel canto e maggiore iniziativa nella danza. Lucia Blanco sorprende per come riesce a restituire al pubblico le varie sfumature del personaggio di Sandy, ruolo molto complesso, che neces-

sita di essere costantemente “coltivato”. Si fanno notare, quali performer più “completi” di questo cast, Riccardo Sinisi (un Kenickie ancora più convincente del Ren McCormack di Foootloose), Gioacchino Inzirillo (capace di prendersi il proprio momento di “gloria” nei panni di Doody, anche se la nuova cornice di Magiche note suscita lieve perplessità, non fosse altro per il carattere originariamente romantico del brano) e Giorgio Camandona (passato con disinvoltura dall’eterno ragazzino Peter Pan al ruolo altrettanto sbarazzino di Roger). A Eleonora Lombardo spetta il non facile compito di dare nuova linfa


al personaggio di Rizzo, decisa e sfacciata, quasi graffiante, ma sembra rivolgersi alle generazioni di giovani 2.0 utilizzando una modalità interpretativa apparentemente lontana dal contesto anni Cinquanta in cui è ambientato il musical e ben più vicina alle adolescenti di qualche decennio dopo; e questa osservazione vale per la maggior parte dei personaggi. Nick Casciaro, impegnato nel doppio ruolo di Vince Fontaine/Teen Angel sfodera un timbro vocale interessante, avvolgente e vellutato, ma soprattutto, recitando nel ruolo del dj radiofonico, cerca un’interazione con il pubblico che, spesso, risulta forzata: insomma, vuole fare il “simpatico” e lo sarebbe anche se si dimo-

strasse meno “personaggio” e più interprete. Infine, Giulia Fabbri, come attrice, risulta la più efficace del cast. Quella particolare voce che abbiamo imparato ad apprezzare in altre produzioni come Newsies e Footloose si rivela particolarmente adatta al personaggio di Frenchy e il brano Ho bisogno di un angelo può riservare ulteriori modalità interpretative ancora da esplorare. In conclusione, deve essere proprio vero che ormai “Grease vive in noi”, al punto che rinnovarlo a favore di nuove generazioni di pubblico può significare non perdere di vista l’appeal originario di intramontabile evergreen.


la febbre fa quaranta

di Sara Del Sal

La febbre del sabato sera Milano, Teatro Nuovo 7 gennaio 2017


A quarant’anno dal film cult che ha fatto ballare una generazione, Claudio Insegno riporta a teatro il titolo con le canzoni dei Bee Gees



A quarant’anni dall'uscita del film con John Travolta, divenuto un cult, l’Italia ha l’opportunità di rivivere le emozioni e le musiche intramontabili dei Bee Gees con il musical La Febbre del sabato sera. Un allestimento nuovo, partito dal Teatro Nuovo di Milano, per la regia di Claudio Insegno, con tanto di orchestra dal vivo. La storia di Tony Manero, che vive a Brooklyn, dall’altra parte del ponte che lo separa dalla New York dei sogni realizzati e dei grandi eventi, con un lavoretto che gli permette appena di mantenersi e di comprarsi gli abiti per andare a ballare in discoteca, la ormai mitica Odissey 2001, dove si trasforma nell’idolo delle ragazze e dove dimostra, ballando, il

suo talento, non è una storia facile. È una storia fatta di rifiuti, di mancanza di certezze e talvolta di sogni, nella quale l’amore fa difficoltà ad essere vissuto serenamente e nella quale l’amicizia, il senso di appartenenza a un gruppo, è molto forte. Tanto forte da rovinare molte cose. Si parla di sesso, di morte, di vocazioni messe in discussione e di voglia di arrivare da qualche parte, in questo spettacolo. E c’è tanta, tantissima musica, con dei titoli intramontabili. Con questo format europeo, peraltro, molte canzoni sono affidate al Dj Monty e a Candy che animano le notti in discoteca e non solo. Ottima la scelta di affidare quindi questi due ruoli a due performer


come Gianluca Sticotti e Giovanna D’Angi che formano una coppia dirompente. Giuseppe Verzicco si ritrova, dopo Grease, a fare il bis, interpretando il ruolo che fu di Travolta al cinema, anche se non dimostrandosi molto brillante nel canto. E così Tony si barcamena tra l’altezzosa Stephanie Mangano, interpretata da una troppo sorridente Anna Foria e la povera Annette, af-

fidata a Giada D’Auria che ancora una volta si dimostra solidissima in tutte e tre le discipline (canto, ballo e recitazione). Interessante la scelta degli amici di Tony, con Luca Spadaro che trova in Bobby uno dei personaggi che riesce a mettere in luce le sue abilità, ma anche David Negletto, Samuele Cavallo e Francesco Lappano che sono perfetti, precisi, simpatici e freschi.


Ottima la scelta di Alex Botta per Padre Frank Jr., un ruolo delicato, che non deve essere sbilanciato in nessun modo. Quello che non si capisce è perché Insegno abbia ritenuto necessario che la famiglia Manero provenisse dalla Puglia, e che fosse esageratamente comica. Gaetano Ingala e Alessandra Sarno, tra faccette e ammiccamenti guadagneranno anche le risate del pubblico ma

sono totalmente fuori da quello che dovrebbe essere lo spirito dello spettacolo. Dopo quarant'anni dall’uscita del film davvero non siamo in grado di vivere la storia così come è stata scritta? Abbiamo davvero bisogno di svilire tutto con una battuta alla fine di ogni scena? Forse no, ma possiamo sempre cantare quelle canzoni intramontabili che il maestro Angelo Racz, che firma la supervisione musicale, ha forse un po’ rallentato ma che restano sempre irresistibili.


dancing with the nuns

di Francesco Moretti

Sister Act Trieste, Politeama Rossetti 22 febbraio 2017


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Travolgenti, frizzanti, entusiasmanti: le suore canterine di Sister Act portano buonumore ed allegria in tutti i teatri!


La serata teatrale spensierata e perfetta esiste, e in Italia si chiama Sister Act: musical a cui Saverio Marconi ha saputo infondere ritmo, energia e talento, e che anche alla prima triestina al Rossetti, ha colto nel segno. Due ore e mezza di puro divertimento, buona musica, voci strepitose e tante gag che più volte hanno fatto venir giù il teatro dagli applausi. Tratto dall’omonimo film che ha lanciato nel firmamento hollywoodiano Whoopi Goldberg, un esplosivo intreccio di musica, suore e gangster, questo Sister Act conta su una colonna sonora tutta nuova - non aspettatevi una, dico una, canzone dal film, come erroneamente pensavo io, che attendevo il fatidico momento

con I Will Follow Him - composta dal prolifico Alan Menken: un esplosivo miscuglio di dance, soul, funky, ballads in puro stile Broadway, gospel. A trascinare lo show, quel fenomeno della natura che si chiama Belia Martin: voce e talento comico da vendere, la sua Deloris Van Cartier la cantante di night che si ritrova suo malgrado testimone di un omicidio ad opera del suo amante Curtis, un Felice Casciano in stato di grazia rapisce col suo ottimismo, irruenza, physique du rol; e lo stuolo di suore che si ritrovano a dover condividere prove di coro e convento con la nuova arrivata, non sono certo da meno. Citarle tutte non si può, ma sicuramente spiccano Jacqueline


Maria Ferry nell’esigente ruolo della Madre Superiora (e un caro saluto all’altra cotitolare Francesca Taverni ci sta tutto), Suor Cristina in quello della novizia Suor Maria Roberta, e una spumeggiante Manuela Tasciotti nella parte di Suor Maria Patrizia. Marco Trespioli è il Sergente Eddie, sfigato e imbranato, ma con un cuore grande così: il suo assolo nel bar, con tanto di effetti da gran trasformista, strappa applausi a scena aperta. Da segnalare, inoltre, il trio Silvano Torrieri / Vincenzo Leone / Renato Crudo: novelli Bee Gees, fanno da contraltare, tra mossette, camicione sgargianti e voci in falsetto, al gangster Casciano.

Pino Strabioli, volto popolare per i suoi programmi televisivi, è qui un convincente Monsignor O’Hara. Scenografia suggestiva e funzionale, costumi in perfetto stile Anni Settanta, disegno luci ottimale, ritmo indiavolato: seppur con un soggetto minimale - ma geniale, questo Sister Act funziona alla grande. Onore al merito anche - o soprattutto - alle liriche e all’adattamento in italiano di Franco Travaglio: il musical sembra scritto direttamente nella nostra lingua! In sintesi: energia, talento e divertimento allo stato puro. E sarà impossibile restar fermi sulla poltrona!


Evitabile Evita

di Francesco Moretti

Evita Trieste, Politeama Rossetti 18 gennaio 2017


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Non convince l’Evita portata in scena da Malika Ayane; e su tutti giganteggia il Che di Filippo Strocchi


Quando il primo, vero, applauso arriva appena alle 22.30, e non riguarda un brano cantato dalla protagonista, c’è qualcosa che non va. Sia chiaro, quell’applauso il co-protagonista se lo guadagna anche ammiccando al pubblico triestino infilando un “‘ndemo, muli!” (“Forza, ragazzi!”) in mezzo al brano, e se lo merita tutto. Stiamo parlando di Evita, nella versione italiana (dicono sia la prima, ma non è così) messa in scena da Massimo Romeo Piparo. Che ha voluto nella parte della protagonista (ruolo che, ricordiamo, in passato è stato sostenuto da Julie Covington, Elaine Paige, Patti Lupone, Elena Roger...) la cantante Malika Ayane. Per carità, voce particolarissima e

raffinata, ma che alla prova teatrale dei fatti, non regge: per tutta la durata dello spettacolo si ha la sensazione che sia appunto e solo Malika Ayane a cantare i brani di Evita, senza una minima costruzione del personaggio, come si potrebbe cantare in un concerto pop. Infatti, l’interpretazione meglio riuscita è quella di You Must Love Me, pensata per la regina delle cantanti pop: Madonna. L’impervia ed esigente partitura originale webberiana richiede tutt’altra agilità. Soprassediamo sulla capacità attoriale. Al fianco di un onesto Juan Peron (Enrico Bernardi), di un macchiettistico Magaldi (Tiziano Edini) e di una dimenticabile - ahimé - Mistress (dal programma di sala non si evince


il nome), il Che di Filippo Strocchi giganteggia, e non solo per la statura fisica del performer. Rimane in scena praticamente sempre, e porta avanti la pesante zavorra malikayanesca con agilità da gatto (la lunga tournee internazionale in Cats è servita, eccome) e voce pulita. Emanuele Friello conduce l’orchestra dal vivo con abilità, senza sbavature, e per una volta possiamo dire che voci e strumenti sono ben bilanciati. Coreografie minimali, qualche accenno a passi di tango, buon disegno luci e scenografia funzionale che nella celeberrima Don’t Cry For Me, Argentina si trasforma nel balcone di Casa Rosada fin quasi sopra la platea. La regia di Piparo regala qualche tro-

vata originale, riciclando anche l’idea delle radioline tra il pubblico che rimandano i discorsi radiofonici di Evita, ma è nell’adattamento italiano che si segnalano le lacune più vistose. Nonostante nel complesso funzioni, proprio la hit dello spettacolo si fa fatica a digerirla. Teatro pieno, tanti giovani in sala per vedere sul palcoscenico la loro beniamina; almeno in questo Piparo è riuscito nell’impresa. Purtroppo la domanda da farci è: con un’altra performer, sicuramente più brava e adatta, ma sconosciuta al grande pubblico sanremese-televisivo (che so, penso ad una Francesca Taverni, o Simona Distefano), si sarebbe avuto lo stesso seguito?


BACKSTAGE

Suor Cristina

Conosciuta grazie a The Voice of Italy nel 2014, Suor Cristina è ora anche performer, sia nella produzione svizzera di Titanic la scorsa estate, che in Sister Act con la Compagnia della Rancia. Proprio a Melide abbiamo avuto modo di conoscerla meglio.

di Matteo Firmi e Cecilia Zoratti


Cosa è il musical per Lei? Innanzitutto per me il musical è una forma completa di arte perché comprende canto, danza, recitazione: io penso che ogni forma di arte sia un mezzo per comunicare qualcosa di molto forte. Il musical è sempre stato una mia passione, ho fatto degli studi anche prima della chiamata del Signore perché il mio sogno era di diventare una performer. Le tre discipline inoltre permettono a ogni singolo artista di esprimersi al meglio.

Ultimamente l’abbiamo vista sul palcoscenico in Sister Act e ora in Titanic. Come si è trovata in queste esperienze? Entrambe bellissime e diverse nella storia e anche nel mood perché questo (Titanic, ndr) è un po’ più serio mentre l’altro è un po’ più sprint e carica di più. Devo dire che per come sono io mi trovo meglio in Sister Act (ride, ndr)! Trovo le due esperienze straordinarie anche perché in entrambe posso avere la possibilità di continuare a lanciare il messaggio che ho mandato sin da The Voice, cioè che ho incontrato il Signore; e chi incontra il Signore mica è triste, ha voglia di ballare e cantare e fare tutte le cose belle. E quindi anche noi che incontriamo questo tesoro prezioso siamo chiamati a farlo.

Una suora moderna come trasmette il messaggio del Signore? La Chiesa è chiamata ad aprirsi, a evangelizzare e ad ascoltare i bisogni degli altri, dei giovani e delle varie dif-

ficoltà che incontra la società. Non può essere un’istituzione lontana: la Chiesa deve accompagnare i figli come una madre, porsi allo stesso livello e parlare la stessa lingua. La modernità sta nel fatto che la mia chiamata è nata cantando, ballando e recitando. Non avrei mai pensato di incontrare il Signore cantando, ed è così che io continuo ad annunciarlo. È difficile essere una suora in teatro? Devo dire che al di là di tutto quello che si pensa, io incontro delle persone, delle anime. In Titanic c’è gente da Austria e Germania, quindi sono a contatto anche con differenze culturali. Per me tutto questo è una grande ricchezza, dal punto di vista spirituale proprio il fatto di incontrare persone diverse ci porta anche a farci delle domande. O magari incontro persone di altre religioni che mi fanno delle domande. Quindi essere suora dietro le quinte vuol dire continuare a evangelizzare e continuare a essere quello che io sono.

Chi è Suor Cristina? Suor Cristina è una ragazza di 28 anni molto semplice che ama la vita, ama quello che fa, che vive in comunità con altre consorelle, quindi ha fatto una scelta di vita particolare e che ha la gioia nel cuore e non riesce a tenerla per sé ma ha bisogno di comunicarla. È una persona che ha molta energia, che ha bisogno di essere sempre buttata fuori e lo fa grazie a tutte queste sue passioni!


il ritorno del Lord

di Sara Del Sal

School of Rock Londra, New London Theatre 3 dicembre 2016


Dopo i passi falsi di Stephen Ward e Love Never Dies, il Lord del musical anglosassone torna finalmente in campo con un musical dirompente


Andrew Lloyd Webber è tornato. E questa volta ha fatto il botto. Dopo una serie di spettacoli come Love never dies o Stephen Ward, che sono stati un bagno di sangue per quanto riguarda le critiche e le presenze in sala, ritorna saldamente sull’Olimpo dei vincitori con un musical giovane, fresco e pieno di ener-

gia: School of rock. Ancora un’operazione che porta un film su un palco, ma se il film di musica ne ha già tanta, non è difficile immaginarlo musical, con canzoni originali. La storia del povero Dewey Finn interpretato da David Fynn, è sempre appassionante. Da musicista in una


rock band,a depresso perditempo a casa del suo migliore amico Ned, senza prospettive per il futuro, Dewey, l’eterno ragazzino, accetta di insegnare in una scuola, fingendosi Ned solo per poter contribuire alle spese di casa. Eppure in mezzo a quei ragazzini ai quali insegna piu che altro storia della pop music, inizia a tro-

vare nuovi stimoli, e una volta scoperto il talento musicale dei suoi allievi decide di formare una band. Questo suo entusiasmo si rivela contagioso per i giovanissimi, che grazie alla sua spinta, trovano il coraggio e la forza di essere quelli che vorrebbero, e non quelli che i loro genitori si aspettano. Arrivato in West end a fine 2016 dopo un successo travolgente a Broadway, lo spettacolo continua a stupire, non solo per l’allestimento da capogiro o per la bravura del cast formato per metà da ragazzini che recitano, cantano, ballano e... sì, suonano gli strumenti musicali dal vivo, ma per la sua carica rock. Lloyd Webber ha ritrovato la sua grinta e ha giocato tra le sue sonorità ed evidenti richiami e omaggi a chi l’hard rock lo ha fatto per davvero. Il risultato è da far saltare il pubblico sulle sedie. Ma come tutte le scuole che si rispettino c’è una preside un po’ impettita, Rosalie Mullins, che impone disciplina e che dà il buon esempio. Una preside con potenziale rock, ma che parte dall’aria della Regina della notte mozartiana, perché, si sa, a Lloyd Webber piace mescolare canto lirico e pop e in questo caso riesce davvero a sorprendere con un abbinamento tanto bizzarro quanto riuscito. Una gita a Londra vale bene una visita a uno spettacolo davvero dirompente.


Dietro le quinte del Flauto Magico

di Anna Hurkmans

Schikaneder Vienna, Raimund Theater


o

La sfida dei Teatri Riuniti Viennesi è stata vinta con Schikaneder, la storia dietro al Flauto Magico mozartiano; un allestimento però non privo di difetti...


Indubbiamente si esce dal musical Schikaneder inebriati di suoni, colori e forme di grande bellezza estetica. Un vero tripudio di belle voci, attori convincenti, costumi assolutamente meravigliosi (me ne intendo, sto facendo costumi settecenteschi per il nostro Casanova - con le musiche di Raffaele Paglione, ndr), scenografie di grande impatto, una regia che attira l’attenzione in ogni momento, con una mano molto felice nelle scene di

gruppo. Dunque uno spettacolo riuscito perfettamente da tutti i punti di vista? Qui ci vuole una riflessione e non posso negare che questa riflessione sono riuscita a farla solo dopo un po’ di tempo. La prima impressione è effettivamente quella della perfezione. Mi sono solo resa conto che mancava qualcosa, che non lasciava del tutto soddisfatti. E quel qualcosa non


l’avevo nominato nell’elenco degli aspetti riusciti del musical qui sopra. È il libretto. Ripensando alla storia vista e rileggendo il programma mi sono imbattuta in una illogicità: lo spettacolo si chiama Schikaneder, ma il personaggio principale sembra lei, la moglie Eleonore. Non solo perché il suo ruolo offre molte più sfumature e sviluppi di carattere, mentre quello del marito risulta unidimensionale (cosa an-

cora maggiormente sottolineata dalla recitazione stereotipata di Mark Seibert, peraltro bravo come cantante (ma in certi momenti sembrava avere a che fare con il Gaston della Bella e la Bestia con quelle sue braccia che si muovevano come le pale di un mulino). Eleonore è infatti la protagonista del prologo, in cui dice espressamente di voler raccontare la sua storia col marito dal suo punto di vista. Dunque è lei che guida il rac-


conto, di lei si sa tutto dalle sue origini in poi. Il marito entra solo di seguito. Ma c’è di più. Qui in Italia il nome Schikaneder è noto solo a qualche musicista: ho fatto la prova, pochi risultati anche lì! - mentre a Vienna è indubbiamente (un po’?) più noto. Ma anche in quel caso lo si conosce solamente come il librettista del Flauto Magico di Mozart. Gli autori hanno dunque fatto bene a chiudere il musical con una bellissima scena in cui si assiste alla prima di quest’opera dal backstage. Mozart non viene mai nominato nel musical, c’è solo qualche accenno a “quel compositore ubriacone”.Va bene, accettiamolo, il fatto di trattare Mozart sempre come il ragazzaccio

di Amadeus. Non volerlo portare in scena è una scelta accettabile. Ma quello che non si capisce durante tutto il secondo atto del musical è da dove viene improvvisamente fuori questo libretto, per niente affatto sempliciotto? Un testo in cui si mescola l’esoterismo orientale con l’ideale massonico, la speranza nel progresso tipico dell’Illuminismo con conoscenze dell’antico Egitto. Non si vede mai Schikaneder con una penna in mano né con un libro. Dovrebbe aver avuto almeno una certa cultura, che dal personaggio non appare mai. Dovrebbe essersi almeno occupato per un po’ di tempo con la scrittura di questo libretto, oltre a correre dietro alle gonne (e che gonne!) delle


attrici. Avrà ogni tanto mandato una parte del libretto al compositore e discusso con lui? Avrà anche riscritto qualche scena non del tutto riuscita? Avrà avuto i suoi dubbi e i suoi problemi? E non gli è mai venuto in mente di discuterne con gli amici cantanti e attori? Mi è poi difficile credere che dobbiamo la creazione del geniale personaggio di Papageno solo al fatto che in soffitta lui aveva ritrovato un curioso costume verde piumato, come viene affermato qui. E che l’ambientazione nell’antico Egitto era causata dal ritrovamento di una vecchia scenografia da riutilizzare. Qui invece niente, sembra che questo meraviglioso libretto sia improvvisamente caduto dal cielo. Non

sembra sia costato nessuna fatica e nessun impegno a Schikaneder. Bene, il mio parere è dunque che il libretto, almeno nel secondo atto, sia debole. Come spesso succede nei musical sarebbe augurabile una riscrittura di alcune parti, con un approfondimento del personaggio di Schikaneder: non solo capocomico audace e Dongiovanni ma anche intellettuale dal gusto originale e raffinato (tra l’altro quella con Mozart era un’amicizia di lunga data, dunque avranno discusso spesso del lavoro insieme.) Il secondo atto necessiterebbe anche di qualche taglio, anche di musiche troppo ripetitive. Allora potrebbe meritarsi il grande successo.


BACKSTAGE

Milica Jovanovic

Dietro ogni capolavoro c’è sempre un grande artista: Emanuel Schikaneder scrisse il libretto de Il flauto magico di Mozart. Ma dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna: Eleonore, sua compagna e musa ispiratrice. Ad interpretarla, nel musical viennese, la bella e talentuosa Milica Jovanovic. L’abbiamo incontrata.

di Matteo Firmi e Cecilia Zoratti


Come si è preparata per interpretare il suo ruolo? Cosa significa per lei interpretare un ruolo così importante in una prima assoluta? Prima delle prove ho studiato il copione e con l’aiuto del mio preparatore vocale ho lavorato alle canzoni. Nel corso delle prove ho assorbito come una spugna le indicazioni del nostro regista Trevor Nunn, del compositore Stephen Schwartz, del librettista Christian Struppeck e del coreografo Anthony van Laast che riguardavano il mio ruolo e l’interpretazione delle varie scene provando continuamente i miei brani. Poter interpretare questo ruolo è davvero un sogno che si realizza: Eleonore è una donna molto forte, e io sono molto onorata di prestarle la mia voce e le mie emozioni.

Quanto le somiglia Eleonore? Entrambe sappiamo amare molto intensamente ma siamo anche capaci di perdonare. Io non sono così collerica e forte come Eleonore. Lei è una donna molto intelligente e emancipata, e personalmente ritengo di fondamentale importanza l’uguaglianza di diritti tra l’uomo e la donna.

Le è mai successo qualcosa di inaspettato sul palco (per esempio dimenticare le parole di un brano)? A ogni rappresentazione succede qualcosa di inaspettato, e il bello del teatro dal vivo è proprio questo! Il mio compito quindi è di andare avanti continuando a cantare o recitare senza far capire al pubblico che qualcosa è andato storto.

Lei non ha lavorato solamente in produzioni tedesche, ma anche in musical tradotti dall’inglese. Cosa pensa delle traduzioni dei musical? Ascolta i brani solamente nella lingua in cui li deve cantare o anche in altre lingue? Esistono musical tradotti meravigliosamente e musical tradotti meno bene. La traduzione è efficace nel momento in cui l’effetto che si ottiene è lo stesso della lingua originale. Perché una traduzione funzioni bene occorre prestare molta attenzione alle rime, al lessico, alla metrica. Spesso ascolto i brani in diverse lingue.

Cosa consiglia ai giovani che vorrebbero diventare musical performer? Io consiglio di vedere e analizzare diversi brani di tanti musical in modo da capire perché piacciono o meno. Le lezioni di canto e di danza sono molto importanti ma serve anche fare esperienza in un gruppo e soprattutto essere sempre aperti alle critiche. Consiglierei di studiare in una scuola di musical perché le classi sono molto più piccole e si punta a una preparazione ancora più individuale. Chi vuole fare questo lavoro dovrebbe davvero chiedersi se lo vuole fare assolutamente con tutte le difficoltà che comporta, perché tutto questo glamour da cui sono affascinati i fans è solamente un’illusione. Questo mestiere è molto entusiasmante ed affascinante, e io lo rifarei, ma comporta anche un grande impegno!


BACKSTAGE

Drew Sarich

Insieme al compositore Raffaele Paglione ho avuto l’onore e il piacere di fare alcune registrazioni di brani del nostro musical Vincent con Drew Sarich e sua moglie Ann Mandrella a Vienna. La sera prima avevamo avuto occasione di ammirare la sua bravura come uno scatenato

di Anna Hurkmans

Che in Evita con la nuova protagonista Marjan Shaki. In una pausa di registrazione non mi sono naturalmente fatta sfuggire l’occasione di parlare con Drew del suo mestiere e della situazione del musical in Austria e anche in America, dato che è americano di nascita.


Il nostro colloquio si è svolto in tedesco e la prima cosa che ho fatto è stato complimentarmi con lui per la perfetta pronuncia di questa lingua, fatto raro per americani (pensavo al pesante accento di Friedman o Lutwak). È infatti nato a S.Louis e si è diplomato al Conservatorio di Boston. La sua risposta era che effettivamente ha dovuto lavorarci molto e che in questo caso è stato di grande aiuto sua moglie Ann, che pur essendo nata in Francia ha comunque un padre tedesco. La spiegazione che mi ha data di questo suo impegno dimostra la sua grande professionalità: “Quando la sera mi esibisco di fronte a persone che hanno pagato un biglietto, talvolta anche molto costoso (pensate che di sabato e domenica i biglietti più economici per uno spettacolo come Schikaneder costano 61 euro!) ho il dovere di farmi capire da tutti in un tedesco perfetto.” I primi passi nel mondo del musical li ha messi in teatri off Broadway e poi in altre città americane dove il suo ruolo più importante fu Judas nel Jesus Christ. Nel 1999 è arrivato a Berlino dove ha recitato in ben 580 rappresentazioni di Quasimodo nel Hunchback of Notre Dame della Disney. Sono seguiti Jekyll and Hyde, Dracula e di nuovo Jesus Christ, sia nel ruolo di Judas che di Jesus. Nel 2006 ha debuttato a Broadway con il musical molto atteso Lestat, una storia di vampiri. Aveva un contratto di un anno e perciò aveva fatto venire sua moglie e i suoi due gemelli

Amélie e Noah, nati da poco. Purtroppo il musical fu un terribile flop e malgrado il contratto i poveri interpreti vennero licenziati senza pietà. Furono tempi molto difficili, mi racconta Drew. Perciò è contento che in Germania e Austria cose del genere non succedono: quando un musical per mancanza di pubblico viene tolto dal cartellone, gli interpreti vengono pagati per tutto il periodo del loro contratto. Questo è accaduto per esempio con il musical Rudolf, sul figlio di Sissi suicida a Mayerling, che voleva bissare il successo di Elisabeth, ma che è rimasto in scena solo tre mesi. Eppure era di un autore famoso, Frank Wildhorn, e con un cast notevole. Ho chiesto a Drew quale poteva essere la causa dell’insuccesso e lui ha visto pecche soprattutto nel modo in cui era raccontata la storia: troppo romantica e dolciastra, dove invece era in realtà una storia cruda e molto più interessante. D’altronde neanche Elisabeth è tra i musical favoriti di Drew. Mi ha spiegato perché non è riuscito mai a conquistare Londra o New York. Non è solo per la poca conoscenza di quel personaggio storico (per gli Inglesi “Elisabeth” è la loro Elisabetta I) ma soprattutto perché questo musical è troppo platealmente copiato da Evita, secondo lui: questo comincia col personaggio di Lucheni, disegnato su quello del Che. Un brano come Kitsch è molto simile a Oh,What a circus e Ich gehör nur mir assomiglia stilisticamente a Don’t cry



for me Argentina. Lo stesso Kunze aveva dichiarato che si era ispirato ad Evita e secondo Drew il pubblico di lingua inglese l’avrebbe subito percepito. Dato che eravamo in argomento gli ho chiesto come mai l’altro grande successo di Kunze, Rebecca, non era mai arrivato a Broadway, malgrado vari annunci di contratti. Qui mi ha invece raccontato tutta un’altra storia: il sedicente produttore, con cui erano in corso lunghe e faticose trattative, risultava alla fine non esistente! In ogni caso Drew era contento di essere tornato in Europa, dove la sua carriera procede brillantemente, sia a Londra (Jean Valjean ne Les Miserables), Germania (Hedwig,Tanz der Vampire, Rocky) e Austria (Jesus Christ, Rudolf,Tanz, Sister Act, Love never dies, Evita). Per Rocky, il musical basato sul film omonimo, Drew si è preparato intensivamente non solo nel canto e nella recitazione, ma ha preso anche vere lezioni di box: in scena un attore non ha certamente una controfigura come succede spesso nel cinema! Rocky è andato bene, ha tenuto per 3 anni ad Amburgo, ma per la famiglia di Drew che viveva a Vienna significava un grosso sacrificio, potendosi vedere raramente. Perciò Drew e Ann erano molto felici di accettare nell’estate passata i due principali ruoli in Jekyll & Hyde nel festival estivo di Zwingenberg: non avevano mai recitato insieme in un musical

(lei è attualmente la protagonista nel musical Ich war noch niemals in New York). E ci hanno preso gusto: quando hanno proposto loro di fare insieme il musical da camera The last five years, anche se per sole 5 rappresentazioni a dicembre a Vienna, hanno subito accettato con gioia. Quanto ai suoi musicals preferiti, quelli che considera i massimi capolavori del genere, Drew non ha dubbi: si tratta della triade West Side Story, Jesus Christ Superstar e Les Miserables. Certo, ci vuole moltissima capacità organizzativa per tenere insieme una famiglia con due bambini che hanno adesso 12 anni. I nonni vivono lontano. Così Ann accetta solo ruoli fuori Vienna quando Drew è a casa e viceversa. Intanto la piccola Amelie sembra seguire le orme dei genitori: ha lezioni di canto e di violino e canta e recita in alcune rappresentazioni di Evita. Suo fratello ha anche idee chiare sul proprio futuro: vorrebbe lavorare nel cinema, ma dietro lo schermo. Forse nel montaggio. In questa vita piuttosto movimentata Drew e Ann hanno un desiderio: rimanere persone normali. Mi è sembrato che ci riescano perfettamente! E il desiderio di Raffaele e me è di vederli una volta insieme sulla scena come Vincent e Sien, la sua amante. Sarebbero perfetti anche lì.


BACKSTAGE

RafaĂŤlle Cohen

di Franco Travaglio


Avevamo conosciuto Rafaelle impegnata nel sensuale ruolo di Sarah di Le Bal Des Vampires (vedi numero 13) e col grande sogno di fare cinema. La ritroviamo ora all'uscita di un film kolossal; La Bella e la Bestia, remake in “carne ed ossa” del celebre capolavoro dell’animazione con le musiche di Alan Menken, che la vede impegnata nel ruolo di una delle “Ragazze sciocche”, le Silly Girl innamorate di Gaston, ora ribattezzate Village Lasses.

In un certo senso ADM ti ha portato fortuna. Come hai raggiunto il traguardo di essere nel cast di un così importante film Disney? Avevo un agente a Londra da quasi un anno quando hanno annunciato le audizioni. Come per magia ho saputo che le repliche del Bal Des Vampires si riducevano a 4 per settimana (solo il week-end) proprio all’inizio delle prove de La Bella e la Bestia, quindi ero diventata disponibile... il mio agente mi ha proposto all’audizione. Ho fatto dei viaggi andata-ritorno con l’eurostar in giornata per le audizioni: canto, danza, recitazione... Che ansia. E taaaaanto tempo dopo, ho ricevuto la chiamata. Iniziavamo le prove entro 4 giorni...

Come, dove e quando si sono svolte? In 5 settimane abbiamo imparato le canzoni e coreografie. Era un piacere enorme lavorare con tutti quegli artisti del West End, molto professionali ed efficaci. Eravamo 30 villagers. Durante le prove abbiamo anche

fatto la lettura con tutto il cast di fronte ai produttori e i creativi. È stato bellissimo e molto emozionante. Ian McKellen ne ha fatto un tweet memorabile. Erano quasi tutti lì a leggere lo script, e nei numeri musicali noi ensemble ci alzavamo per cantare e fare le coreografie. Era veramente magico. Soprattutto quando Emma Thompson si è alzata per cantare la famosa canzone... la Bella e la Bestia hanno ballato il valzer, e Alan Menken era molto emozionato, tenendo la mano di sua moglie. Poi abbiamo girato le scene fino ad Agosto. In totale quasi 7 settimane di riprese per noi ensemble. Più 5 settimane di prove. Durante tutto ciò io facevo sempre andata/ritorno: prove/riprese della Bella e la Bestia dal lunedì al venerdì a Londra, poi eurostar il venerdì per il Bal Des Vampires tutto il weekend (3 o 4 spettacoli), e la domenica sera, ritornavo a Londra... alla fine giravamo anche il weekend e ho dovuto mancare a tante repliche del Bal, ma per fortuna ho potuto fare l'ultimissima con tutti ed è stato uno dei più bei momenti della mia vita.

Quali sono le principali differenze rispetto al film di animazione e il musical di Broadway? Il film è veramente fedele al film di animazione, solo più realistico forse. Hanno studiato tutto per ambientare la storia perfettamente nel 1740. Tuttavia hanno aggiunto delle nuove scene che spiegano certi elementi


drammaturgici. Capiamo un po’ di più della vita della Bestia prima di diventare Bestia... e anche dell’infanzia di Belle. Hanno anche aggiunto delle nuove canzoni rispetto al cartone animato. Ma non hanno riutilizzato le canzoni aggiunte nel musical di Broadway, solo in versione strumentale ogni tanto... ed è bellissimo così secondo me.

Come ti sei trovata nei panni di una delle Village Lasses? Veramente se avessi potuto scegliere un ruolo... dopo il ruolo di Belle fantasticamente interpretato da Emma Watson - le Village Lasses erano la mia seconda scelta! Quindi quando ho saputo che ne avrei interpretata una ero felicissima! Le mie sorelle erano stupende ed è stata davvero una bella esperienza. Il nostro negozio nel paesino era così bello... i costumi, il design dei cappelli... ho vissuto ogni giorno un sogno. Poi ovviamente girare un film così è anche difficile e richiede molta pazienza.

Sei l’unica interprete non anglo/americana dei personaggi? Un altro francese - che era Gaston nel musical al Mogador era anche nei villagers del film. È divertente perché una volta, nel mio primo con-

tratto di artista, ero la Bella Addormentata e lui uno dei miei Principi... Tutti gli altri artisti erano britannici, americani o australiani.

Adesso a cosa stai lavorando? Farai i provini per la produzione Stage di Grease a Parigi? Adesso sto facendo provini per tante diverse cose, a Londra, negli Stati Uniti, per teatro, film, serie TV, musical.. ho delle belle sorprese di cui non posso ancora parlare. E poi scrivo, lavoro sulle mie composizioni, giro qualche film, canto all’ospedale: sono diventata la madrina di Joue Moi de la Musique un’associazione che organizza interventi musicali in ospedale. E preparo il mio trasferimento in America, perché è lì che ho sempre voluto vivere e lavorare. Non mi sono proposta per Grease a Parigi. Quel film lo adoro, l’ho visto mille volte,


lo conosco a memoria, ci ho anche giĂ recitato in una edizione francese al Casino de Paris e auguro molto successo a questa nuova produzione. Ma sono ad un punto della mia vita in cui vorrei provare nuove cose. Ho sempre la testa piena di nuovi sogni!


i segreti di un musical

di Anna Hurkmans


Due giorni di workshop nella più famosa scuola di musical italiana, la BSMT È ben noto che la prestigiosa BSMT (Bernstein School of Musical Theatre, fondata da Shawna Farrell nel 1993) abbia formato negli anni della sua esistenza migliaia di performer di Musical Theatre. Nel weekend dal 10 al 12 febbraio 2017 per la prima volta le sue porte si sono aperte anche agli autori o aspiranti autori di musical. I relatori erano due grandi esperti, l’americano David James (librettista, creatore di costumi, membro del famoso BMl Lehman Engel Musical Theatre Workshop di N.Y. e di importanti associazioni di autori e collaboratore di molte produzioni di Broadway) e James Firman (compositore, arrangiatore, direttore d’orchestra che ha collaborato in molte importanti creazioni di musicals nel West End, tra cui Jesus Christ, Evita, Cats, Phantom, ecc.). Oltre ai padroni di casa Shawna Farrell e Pino Lombardo erano presenti altri esperti come il regista Gianni Marras, Dino Scuderi, Andrea Ascari e Franco Travaglio. Gli iscritti erano 24 ai quali si aggiungeva una diecina di allievi della scuola. Moltissimi i giovani, che avevano già fatto i primi passi nell’ardua strada della creazione del musical o che erano intenzionati ad intraprenderla.


Tutti e due i relatori hanno sottolineato che la cosa più importante di un musical è una buona storia, senza la quale non c’è salvezza né nella musica, né in un arrangiamento favoloso, né un cast stellare o messe in scena stupefacenti. Questa deve essere interessante di per sé e avere un protagonista che ci catturi, per il quale possiamo avere empatia, col quale possiamo identificarci (“we must care for him”). I flop nel mondo del musical, anche in caso di famosi autori come Boublil e Schönberg con Martin Guerre, dipendono quasi sempre da una storia che non funziona.

La storia da sola non basta: il musical è indubbiamente una delle forme artistiche più complesse e ha bisogno di una grande equipe di collaboratori: oltre al librettista-liricista (non necessariamente la stessa persona, vedi West Side Story per cui Arthur Laurents ha scritto il libretto e Stephen Sondheim le liriche) e il compositore delle musiche, sono importanti l’arrangiatore, il direttore d’orchestra, il regista, il coreografo, il direttore delle luci e tecnico del suono, il costumista e lo scenografo e spesso ancora altri. E tutte queste persone devono avere un unico scopo: collaborare a raccontare nel modo migliore la storia proposta. I primi momenti di un musical sono cruciali. Il pubblico, che viene da fuori, deve essere introdotto in un

mondo nuovo e deve subito capire dove si trova e sentirvisi a suo agio. Ma quel mondo, e soprattutto chi lo abita, deve attrarlo, affascinarlo in modo da disporlo a voler essere trasportato in un viaggio attraverso parole e musiche. Il personaggio principale deve avere un suo spessore e la capacità di evolversi nel corso dell’opera. Grandi personaggi devono avere grandi desideri e ambizioni, devono credere in qualcosa. E il loro carattere deve essere chiaramente mostrato.

Dobbiamo dunque chiederci: - Chi è il protagonista? - Che cosa vuole? - Perché agisce così? - Quali ostacoli incontra (perché il conflitto è un elemento indispensabile dell’azione)? - Perché lo spettatore può affezionarsi a lui? Elementi importanti nel musical sono anche: - La situazione. Questa può anche cambiare, facendo ulteriormente evolvere il protagonista. - Un eventuale alleggerimento di una situazione tesa con un intermezzo comico (“comedy-song”, vedi Gee, officer Krupke di W.S.S., i Thénardier ne Les Miz). - Qualche tocco di “romance”, cioè una storia d’amore - Varie opportunità musicali (canzoni, balletti, brani strumentali) - La struttura, l’ordine in cui accadono gli avvenimenti o in cui si pre-


sentano (ci possono essere anche dei “flashback”). - Le liriche che devono essere immediatamente comprensibili. - Le rime (Sondheim, che se ne intende, dice: “Rhyme locks the line”) - La musica che è “la verità del personaggio” (truth of the character) Tutti questi elementi devono concorrere a dare allo spettatore una grande esperienza emozionale, che è lo scopo vero del musical theatre.

Dopo la circostanziata introduzione sulla scrittura del musical da parte dei due relatori, arricchita anche da molti aneddoti personali su personaggi e situazioni del mondo del musical, il programma prevedeva un’attenta analisi della sinossi e di alcuni dei brani più importanti di 7 lavori di teatro musicale che i partecipanti avevano precedentemente sottoposto ai due esperti: Cookies, di Lorenzo Vacchi (musiche) e Stefano Bonsi (libretto/liriche), l’anno scorso finalista di PrIMO e vincitore del Premio della Critica, Sherlock Holmes di Stefano Santomauro (libretto/liriche) e Claudio Santomauro (musiche), Ritorno alla Divina Commedia di Paolo Caselli (libretto e liriche) e Claudio Caselli (musiche), Violet & Mussolini di Anna Hurkmans (libretto e liriche) e Raffaele Paglione (musiche), vincitore del Premio della Critica di PrIMO nel 2015; Bridge of Roses di Daniele Maugeri (libretto, liriche e musiche) e Giovanna Albani (musiche); Anna dei

sentieri di Simone Oliva (libretto e liriche) e Cristian Cattini (musiche); Face - Ogni volto una storia di Matteo Volpotti (testi e musiche). È stato ammirevole la cura e l’attenzione che James e Firman hanno dedicato ai singoli lavori, ribadendo che la musica deve rispecchiare perfettamente i sentimenti del protagonista in quel momento; facendo notare talvolta delle contraddizioni o illogicità nei libretti o nelle canzoni, in particolare quando testo e musica raccontavano sentimenti contrastanti; invitando gli autori a correggere le parti meno convincenti e incoraggiandoli a continuare a riflettere sulle loro intenzioni e a rielaborare il loro materiale.

Un grandissimo applauso ha ringraziato i due David e gli organizzatori del workshop. Shawna Farrell ha assicurato i partecipanti che l’importante iniziativa non rimarrà un fatto unico, ma che intende continuare gli incontri, soprattutto nella nuova e più spaziosa sede della BSMT, dove la scuola spera di trasferirsi nel prossimo anno scolastico. In quel contesto sarebbe utile poter anche coinvolgere gli studenti della scuola per provare brani o scene dei musical in progress, come ho proposto. Il workshop si è concluso con un bel buffet freddo con gustosi prodotti locali offerto dai padroni di casa. Siamo così tornati a casa ben nutriti nel corpo ma soprattutto nell’anima!


letto / visto / ascoltato La Bella e la Bestia di Bill Condon nei cinema

Una festa per gli occhi e per le orecchie, questo remake in carne, ossa ed animazione digitale di uno dei lungometraggi Disney più visti e amati di sempre: la Bella e la Bestia. Bill Condon ha messo insieme un cast stellare che presta volto e voce ai personaggi che da venticinque anni vivono nell’immaginario collettivo, dal candelabro Lumière (Ewan McGregor) all’orologio Tockins (Ian McKellan), dalla teiera Mrs. Bric (Emma Thompson) a Madame Guardaroba (Audra McDonald), per continuare con il quartetto dei protagonisti: Belle (Emma Watson: tanti bambini in sala sono venuti apposta per vedere Ermione...), Gaston (Luke Evans), la Bestia (Dan Stevens), Maurice (Kevin Kline). I tantissimi fan della versione teatrale resteranno delusi, perché la produzione ha deciso di ricalcare sostanzialmente il cartone del 1991, quindi lasciando fuori alcuni brani resi celebri dall’allestimento di Broadway, da Home alla potente If I can’t love her, ma anche la spettacolare Human Again inserita nella riedizione del classico animato negli anni Duemila. Se di questi brani rimane comunque traccia in qualche cenno orchestrale, Alan Menken ha inserito nella colonna sonora tre nuove canzoni, una almeno in odore di Oscar. consigliato da Francesco Moretti


letto / visto / ascoltato In un tripudio di effetti speciali, che hanno richiesto quasi un anno e mezzo di post-produzione dalla fine delle riprese, rivive dunque la bella favola della ragazza emancipata e del principe tramutato in Bestia senza cuore per un crudele incantesimo; a differenza dal film animato, qui scopriamo molte cose in più dell’infanzia dei due protagonisti, mentre la fata/strega che dà inizio al tutto avrà un ruolo maggiore. Hanno fatto discutere, soprattutto i puristi, i nuovi adattamenti in italiano per il doppiaggio, parecchio diverso nelle canzoni da quello che tutti abbiamo in testa; ma tutto sommato, a parte qualche sillaba in più e qualche inevitabile forzatura, alla prova del labiale la nuova versione regge e funziona egregiamente. Ottima la prova del cast italiano di voci: da Ilaria De Rosa che doppia Belle nel canto (Letizia Ciampa il parlato), a Luca Velletri che dà voce alla Bestia, Luca Biagini nei panni di Maurice, a Fiamma Izzo nella liricheggiante Madame Guardaroba, a Giovanna Rapattoni nella dolce Mrs Bric. Ci riserviamo di rivederlo con le voci originali.


letto / visto / ascoltato Murder Ballad

Londra, Arts Theater 3 dicembre 2016

Quattro personaggi per un noir. Murder Ballad è sbarcato in West End ed è stata un’esperienza travolgente. Kerry Ellis, Ramin Karimloo, Victoria Hamilton-Barritt e Norman Bowman, quattro nomi che si distinguono nel panorama del musical anglosassone, hanno accettato la sfida di dare vita a un triangolo amoroso con continui colpi di scena a ritmo rock. Una regia semplice ma accurata ha quindi permesso al pubblico di appassionarsi alla storia di Sara, Tom e Michael in una New York in cambiamento. Dai bassifondi in cui la giovane vive un rapporto difficile con un tormentato Tom alla ricerca di se stesso tra donne ed eccessi, alla casa, rispettabilissima in cui si trasferisce quando decide di sposare il dolce ed affettuoso Michael, passando attraverso parchi e locali alla moda. Non esiste un impianto scenografico ma sembra di spostarsi per davvero in location sempre nuove. L’amore passionale contro l’amore pulito, il richiamo del sesso o la tenerezza di una famiglia? Difficile scegliere soprattutto quando, per salvarsi da una vita difficile, si rinuncia ai propri sogni. Tre carte, tre persone, tre vite e una certezza: qualcuno verrà ucciso. Un’ora e mezza filata, senza interruzioni, con la tensione che sale nonostante gli addominali di Karimloo in bella vista, e un perfetto mix tra voci di Sara Del Sal


letto / visto / ascoltato che sono perfette per sottolineare le emozioni che stanno alla base della storia. Un banco di prova impegnativo per i quattro artisti in scena che superano brillantemente ogni ostacolo, riuscendo continuamente a confermare il loro talento e la loro capacità interpretativa. Il tutto con una narratrice dalla voce graffiante, che continua ad anticipare un inevitabile colpo di scena. Piccoli indizi, dettagli che pesano sempre più e che porteranno, negli ultimi quindici minuti, alla soluzione di tutti i dubbi, ma al contempo, portano lo spettatore in un triplice giro della morte come se fosse sulle montagne russe. Tanto bravi da sembrare veri, Sara, Tom e Michael entrano nel cuore ed è difficile riuscire a parteggiare per uno rispetto agli altri. È questo il segreto di questo spettacolo. Se ci sono, e a Londra c’erano per davvero, quattro grandi attori, la storia diventa reale, e ogni respiro, ogni abbraccio e ogni lacrima sono veri. Poche settimane di repliche per i fortunatissimi che si sono concessi uno show memorabile, di quelli che fanno venire i brividi per la crudeltà, ma anche per l’amore che sa raccontare e sprigionare. Un titolo da ricordare e da vedere, in qualsiasi parte del mondo lo rimettano in scena.


letto / visto / ascoltato Trio

Gorizia, Kulturni Dom 6 febbraio 2017

La Slovenia sta scoprendo il musical, ma si crea un mercato a sè, con delle produzioni assolutamente originali. Nasce così un lavoro come Trio, un mix tra canzoni pop, tradotte in sloveno e riadattate per aderire meglio alla storia e un testo scritto addirittura in rima. Totalmente. Un ottimo banco di prova che trova in tre straordinari attori come Danijel Malalan, Rok Matek e Uros Smolej i tre protagonisti perfetti per dare vita a tre sorelle che si esibiscono in giro aspettando un colpo di fortuna che possa cambiare le loro vite. E quel momento è alle porte. Il loro padre, un famoso direttore d’orchestra, infatti è mancato da poco e loro tengono un concerto attendendo l’arrivo del testamento. Donatella, amante della moda e delle cose di lusso e Fiorella, più interessata al cibo e ai piaceri della carne, non smettono di punzecchiare la povera Maria, timida e molto devota, figlia di una relazione tra il loro padre e la sorella della loro madre. Esiste anche un quarto figlio, che le accompagna in tour ma che si occupa delle loro cose, non condividendo con loro un talento musicale. Tra ansie, sogni, e tante cattiverie, le tre sorelle si raccontano al pubblico, rivelando i loro punti di forza e le loro debolezze. Un divertissement en travesti che gioca con canzoni come Like a Virgin, I will di Sara Del Sal


letto / visto / ascoltato survive o Don’t cry for me Argentina, in un crescendo che si fa esilarante. Una scenografia essenziale, ma che riesce a dare l’idea del club in cui si esibiscono e dei musicisti che solitamente dovrebbero accompagnare le tre sorelle, fa da sfondo a questo spettacolo che si rivela come una perla rara, divertentissima e tagliente che riesce ad andare a toccare anche la first lady americana, che, come è noto, arriva dalla Slovenia. Grande cura nei dettagli, che porta i tre attori a parlare con accenti diversi, perché Maria, essendo illegittima, è stata costretta a crescere tra i monti, quasi al confine con l’Austria. Come spesso accade quando si vede uno spettacolo in una lingua che non si conosce, la differenza la fanno proprio gli attori, che quando sono di livello, riescono a sfondare anche la barriera linguistica, ed è cosi che questo spettacolo riesce a far divertire anche un pubblico italiano che tra Gorizia e Trieste ha potuto vederlo per due, applauditissime repliche.


consigliato La La Land

di Damien Chazelle nei cinema Non avrà vinto l'Oscar come miglior film, ma di fatto La La Land ha contribuito a far parlare di musical al cinema e ha portato in sala anche quelli che troppo spesso affermano: no, io quando cantano mi annoio. È cosi che tra riconoscimenti e premi questo titolo si è fatto largo nell'immaginario collettivo. Come sempre, ci sono le dovute precisazioni da fare. Parte come musical ma poi si perde un po’, e ritrova qualche canzone sul finale, ma La La Land, visto da chi ama le performances teatrali, non dà soddisfazione. Ci sono canzoni con potenziale, affidate a cantanti senza voce o un numero d’apertura mozzafiato che però è sottovoce. Insomma, per la solita storia d’amore contrastata tra due artisti in una Los Angeles da cartolina, forse la vera, migliore collocazione sarà il teatro, dove arriverà tra non molto. Ryan Gosling è un pianista affascinante ma come cantante è straziante, mentre Emma Stone può stringere il suo Oscar vinto non di certo per il canto. Da vedere? Si, perché noi ADM ci mettiamo alla prova. Consigliato da Sara Del Sal


news Disincantate - Le più stronze del reame

Per la prima volta in Italia arriva Disincantate! - Le più stronze del Reame, presentato da “i perFORMErs - produzioni aristiche”. L’esilarante varietà con protagoniste Beatrice Baldaccini, Claudia Belluomini, Claudia Cecchini, Dolores Diaz, Natascia Fonzetti e Martina Lunghi, debutterà al Piccolo Teatro della Martesana di Cassina de’ Pecchi - Milano, giovedì 27 aprile alle ore 21:00. La tournée proseguirà poi il 29 aprile al Teatro Comunale La Casa del Popolo di Castello d’Argile (Bologna), il 5 maggio al Teatro di Bosconero (Torino), il 6 maggio al Teatro di Rivara (Torino), l’8 maggio al Teatro dei Risorti di Buonconvento (Siena) e per una settimana al Teatro Lo Spazio di Roma dal 9 al 14 maggio. Sfrontate e sfacciate, più agguerrite che mai, le principesse ribelli metteranno in scena il loro varietà per sfatare il mito del “Complesso della Principessa” per prendersi gioco delle frivolezze tramandateci dalle favole e celebrare l’essere donna sotto tutte le sfaccettature. Divertente, spassoso, dai sapori del vaudeville e del cabaret, lo spettacolo, scritto da Dennis T. Giacino, con la regia di Matteo Borghi, le traduzioni delle liriche italiane di Nino Pratticò, le coreografie di Luca Peluso e la direzione musicale di Eleonora Beddini, è prodotto anche in Italia grazie ad uno speciale accordo tra “i perFORMERrs” e TRW di New York.


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Le Bal des Vampires, Parigi - Teatro Mogador, data

Grande successo anche nella capitale francesce per i vampiri di Roman Polanski


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