Ambasciata Teatrale - Aprile 2013 - Anno V Numero 4

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circo-lo creativo d’intrattenimento culturale s.ambrogio cibrèo città aperta firenze

APRILE 2013 ANNO V • NUMERO

TERRA MADRE

Rinascere

Massimo Bucchi

Editoriale

Ritornare alla terra

Irrinunciabile valore

di Carlo Petrini

di Fabio Picchi

C

M

erto detto così suona un po’ sinistro. Non è un bel pensiero, subito, ammettiamolo. Però c’è un altro modo di tornare alla terra. Anzi, ce ne sono parecchi. Anche per chi sta in città. Si può tornare alla terra coltivando una piantina sul balcone. Basilico, pomodoro, menta o margherite, non importa. L’importante è capire che un pezzo di quel che ci serve (profumo, nutrimento, bellezza, fa lo stesso) arriva da lì. Da quelle semplici alchimie fatte di sole, minerali e acqua. E dalla nostra cura, dalla pazienza e dal rispetto. Si può tornare alla terra andando al mercato.Attenzione però, ci vogliono i mercati veri, quelli in cui a vendere i prodotti sono i contadini, quelli che hanno coltivato e allevato, che sanno raccontare le storie di quel che ci offrono. Quando torneremo a casa e prepareremo il nostro pasto metteremo in tavola anche quei racconti, quelle sapienze. Ci nutriranno tanto quanto gli amidi, gli zuccheri, le vitamine e le proteine. Anzi, forse un po’ di più. Si può tornare alla terra facendo l’orto. Anche piccolo o piccolissimo, non importa. Programmare gli spazi e i tempi di un piccolo cosmo di esigenze e interdipendenze. Seminare, curare, aspettare, raccogliere. Regalare. O mangiare. Sapendo la storia, minuto per minuto, di quel che ci sta nutrendo. Un amplificatore di piacere straordinario. È questo il miracolo. Diremo “l’ho fatto io” parlando di un carciofo esattamente con lo stesso orgoglio con cui lo disse Gesù dei pesci appena moltiplicati. Si può tornare alla terra scegliendosela per mestiere, ed è quello che stanno facendo tante ragazze e tanti ragazzi straordinari. Studiano, cercano di capire come va il mondo, si fanno una loro idea di futuro e poi capiscono che è per quella strada lì che ci vogliono arrivare al loro futuro e al loro progetto di mondo. Lavorano tantissimo, si indebitano, si costringono a capire pezzi di burocrazia che mai li avevano sfiorati prima. E poi fanno cose buonissime, prodotti che con la loro semplice esistenza già migliorano un po’ il mondo, già ci raccontano un futuro più simile a quello che ci piacerebbe tornare a disegnare. Allora, coraggio, ognuno scelga il suo modo, ma torniamoci tutti, e subito, alla nostra Terra Madre. Torniamo ad ascoltarla, a farci guidare da lei, per scegliere sempre quel che è meglio per lei perché solo così sceglieremo il meglio per tutti. Solo così ci libereremo di brutture, malattie e ingiustizie e quindi sì, certo, rinasceremo, qui su questa terra.

Staino

Terra

Madre vivente di Vandana Shiva

G

ran parte delle culture nella storia umana hanno visto la Terra come madre-terra, madre, pachamma, gaia, vasundhara. La crescita dell’industrializzazione, e con essa del colonialismo e della scienza meccanica, hanno trasformato la natura da madre vivente in materia morta. Nelle colonie, la terra diventò Terra nullius. E proprio come la giurisprudenza di Terra nullius definì la Terra come vuota, permettendo così la conquista di territori da parte dei colonizzatori europei, la giurisprudenza dei diritti della proprietà intellettuale legati alle forme di vita è di fatto una giurisprudenza di bio nullius - la vita svuotata della sua intelligenza. La Terra è definita materia morta, quindi incapace di creare. E gli stessi contadini vengono definiti teste vuote e quindi non possono coltivare. Per venir fuori dalla confusione in cui ci troviamo - ecologicamente, culturalmente, economicamente e politicamente - dobbiamo rivolgerci nuovamente alla Terra madre. Dobbiamo andare oltre l’illusione che l’uomo sia separato dalla Terra e sia il suo proprietario. Dobbiamo riconoscere che siamo membri della famiglia della Terra.

Premio Sabrina Sganga

Questione di Stili 2013 Consumo critico, etica, ecologia: idee e progetti per un'altra società

Il Premio è riservato a giornalisti (professionisti, pubblicisti, praticanti e allievi delle scuole di giornalismo) e ad attivisti e operatori del campo della comunicazione, nei settori della carta stampata, radio, televisione, cinema documentario e nuovi media. Il bando scade il 24 aprile 2013. Tutte le informazioni e il bando per partecipare su

www.premiosabrinasganga.it

adre, mamma mia, vostra, nostra. E subito qualcuno scuote il capo. Come se il parlare di chi ci ha nutrito affogasse in una densa melassa retorica. Madre che sei nella terra, sia santificato il tuo nome perché se non avessimo avuto a che fare con la tua responsabilità amorosa del darci nutrimento, non saremmo qui a tentare un ragionamento. Nasciamo e respiriamo in un automatismo di appartenenza alla molecolare linfa di questa Madre-Terra, e subito dopo il primo vagito, sottraendoci dalle tenebre, altre madri ci fanno e ci danno quel che è necessario per la nostra sopravvivenza. E lo fanno sempre nel migliore dei modi, continuando per anni a portarci al seno della loro generosità. Così sono passati i millenni d'evoluzione insieme ad antichi grani, ma ancora si stenta a sentire un grazie collettivo per tutte le donne e gli uomini del mondo che sono madri anche senza esserlo, conoscendo loro l'arte e la sapienza del fare e del dare. Dare senza chiedere. Dare senza rapinare, senza sfregiare, senza voler trasformare tutto in denaro e nella sua vana presunzione. Nel mentre le madri, tutte le madri che alle volte, ripeto, sono uomini, sotto le bombe ed altre quotidiane esplosioni, costruiscono pranzi, merende e cibi vari, vangano orti e coltivano il necessario con cui, credetemi, si sfama due terzi del mondo. Camminare ed edificare è il loro credo di Sante e di poveri Cristi. Il 2013 è comunque l’anno che segna l’uscita dalla spirale della povertà di un’enorme quantità di Stati del sud del mondo. Madri e Padri, i loro come i nostri, che come Costruttori di futuro sono insostituibili. E quando gli avanza tempo, si concedano il loro primaverile far l’amore con la vita, lontanissimi dalle umane onanistiche, smisurate, sataniche accumulazioni. Liberarci dal nostro male, con una rinnovata spiritualità, è un obbligo morale, politico, di un inestimabile valore sociale. Credetemi, ne va della nostra libertà. Cantiamo, o preghiamo se preferite, per il ritorno alla saggezza dei singoli e dei popoli, ad una buona economia domestica e all’economia reale, salvaguardando le biodiversità dei semi e dei gesti, delle umane gesta, dando un irrinunciabile valore ad entrambe, dove il perdere gli uni e le altre ci condannerebbe ad una inutile industriale plastificazione dell’anima, delle menti, dei talenti, che ci intorpidirebbe le mani e i pensieri riducendoci ad ubbidienti spaventati cittadini di un mondo di serie B. State certi vi è ancora un Sole dell’avvenire, pieno di falegnami, scienziati, fabbri, poeti, pescatori, artisti, economisti, sarti, gelatai, contadini e di altre mille competenze. Forse bisogna solo saper prendere ognuno un proprio annaffiatoio e riempirlo con la più pura delle acque, dissetando e ammorbidendo la terra che dovremo coltivare e noi stessi: “Madre nostra che sei ne cieli dai a me e a mio fratello, a mia sorella, oggi e domani il nostro pane quotidiano”.

Occhio di bue


In scena

Lasciate che i bambini Con il grembo pieno di pietre preziose

T

di Tomaso Montanari

I

l cuore del cuore di Firenze è il rifugio del principe che teneva più alla sua libertà che al regno. Cosimo, il suo grandissimo padre, aveva inventato la Toscana come stato, e l’aveva incatenata ai piedi di Firenze grazie alla forza delle armi. Francesco, suo figlio, preferiva i libri alle armi, l’alchimia degli elementi all’alchimia della politica, la scienza alla chiesa. E se l’anima di Cosimo si manifesta compiutamente nel grandioso Salone dei cinquecento decorato di battaglie e popolato da statue marziali, l’anima di Francesco è tutta contenuta nel piccolissimo studiolo, che sta sempre in Palazzo Vecchio, e proprio accanto al salone, ma ne è remotissimo. Ma cos’era più lungimirante, cosa ci appare oggi più attuale: la politica guerresca di Cosimo, o la conoscenza (solo apparentemente antipolitica) di Francesco, la dimensione della folla o quella della persona? Una risposta si trova sul minuscolo soffitto dello studiolo, dove la complessità del cosmo si specchia e si ricapitola in immagini e simboli. Tra gli elementi, spicca la Terra, disegnata da Giorgio Vasari e dipinta probabilmente da Jacopo Zucchi. I consiglieri del principe la vollero “col suo capo intorriato, posta a sedere in terra fra molti fiori et erbe, con una cornucopia nell’una delle mani, piena copiosamente di tutti i frutti et biade che ella genera”, con “il grembo pieno di pietre preziose et miniere”. Una Terra generosa: una Terra madre, con il seno scoperto pronto a dare la vita ai suoi figli. Ma anche una Terra amata e lavorata dall’uomo: perché la corona di torri rappresenta le città, costruite dall’uomo attraverso la politica. Che è l’arte di costruire le città, le poleis. Un progetto di armonia, e un atto di amore per la Terra: “che ci genera ciò che noi ci abbiamo di bello e di buono”. Jacopo Zucchi, La Terra, 1570. Firenze, Palazzo Vecchio, volta dello Studiolo di Francesco I (Credito Raffaello Bencini/Archivi Alinari, Firenze).

Prima di essere presi a sberle

Nato vagabondo tra Gauloise e locomotive

di Cinzia Scaffidi

di James Bradburne

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Olè!

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tain not having joined the EU, with my Canadian passport all I could do was pick fruit or play music in the streets. I remember my first impressions of France – the red earth seen from the window of the train into Paris; the pungent and exotic smell of Gauloises, the sour smell of the rubber-tired trains of the Metro and the yellow first class tickets and the half-empty first class carriages; the café au lait served in china bowls to be sopped up with a croissant as regulars jostled at the zinc to have

erra, fatica, lavoro duro, schiena curva. L’artigianalità del teatro è questo, quando è ben fatta, che fumo e raggi laser lasciamoli ad Hollywood che servono soltanto per coprire. Qui invece dobbiamo disvelare. Alessandro Bergonzoni vola sopra la Terra con i suoi voli pindarici, fatti di lazzi ma mai fini a se stessi, che si portano dietro/dentro significati reconditi e pesanti responsabilità semantiche: Urge (4 aprile, Teatro Excelsior, Empoli) è un lucido esempio di cosa è necessario, utile, urgente, al di là dei falsi miti, delle sciocchezze quotidiane terrene. Se la parola è la musa di Bergonzoni, la musica è la dea alla quale si inchinano i Duel, duo musicale franco-rumeno che con Opus tornano come funamboli a Firenze (Teatro di Rifredi, dal 4 al 14) creando una drammaturgia di suoni, ironia, acrobazie da fare impallidire la Banda Osiris. La terra è quella che difendono invece gli abitanti di una piccola regione russa dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. È il fondale di Educazione siberiana (dal 5 al 7, Teatro Fabbricone, Prato) che dall’autore Nicolai Lilin, profugo rifugiatosi in Italia, ha raccontato in un romanzo le violenze di strada, carcere e guerra in Cecenia, poi divenuto recentemente anche pellicola da grande schermo per la regia di Salvatores e John Malkovich tra i protagonisti. Se in terra manca il riso, la vita è più scialba. I Teatro Sotterraneo compiono la loro indagine/analisi sul mondo imperscrutabile della nascita sociale e antropologica sul gesto più umano che esista: Homo ridens (5, Teatro Studio di Scandicci). Le guerre si fanno per la terra, per non perderla, per prenderla, per conquistarla, strapparla via al nemico. In Roccu u stortu, ripresa del fortunato e formidabile personaggio di Fulvio Cauteruccio (dal 9 all’11, Teatro Studio Scandicci), i poveri meridionali durante la Prima Grande Guerra vengono mandati al fronte con la promessa di un po’ di terra da coltivare una volta tornati a casa: tra chi non tornerà mai, chi tornerà mutilato. La terra la vedranno solo quando gliela butteranno sopra in una fossa. E non sarà mai lieve.

Figli ingordi

Radici canadesi

or most people, Mother Earth conjures up the image of a nurturing planet deserving our respect and protection. But the earth and its maternity have another, more visceral meaning. I was born a wanderer, and long ago pulled up whatever roots I had in Canadian soil to plant myself temporarily in other earths and other cultures. Over three decades ago I first came to Europe, landing wideeyed and 19 years old at the just opened Charles De Gaulle airport with only $40 in my wallet. Bri-

di Tommaso Chimenti

their morning glass of red wine; the coarse country blackbird (merles) pâté thickly smeared over half a rough, tangy baguette. The French population – from the street sweepers to the blanchisseuses to the waiters in the café – was resolutely, Gallicly and garlicly French. It was then that I felt for the first time the mothering, life-giving earth – an earth that gave birth to the vast European culture that stretched to every horizon. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

di Pilar Roca

S

e abbiamo tutti la stessa madre allora siamo tutti fratelli. Certo, come famiglia siamo decisamente impegnativa, povera lei. Le madri di molti figli non sempre ce la fanno a badare a tutti. Lei, la nostra Madre Terra, procura cibo per tutti, e si organizza per fare in modo che sia buono, che ce ne sia quando è ora, tiene conto delle esigenze di tutti. Ma poi arrivano i figli prepotenti e si accaparrano troppo, anche a costo di buttar via, non ne lasciano per gli altri. Arrivano i figli sporcaccioni e dove mangiano loro poi sembra sia passata la bomba chimica, ma loro se ne fregano di quelli che mangeranno o non mangeranno dopo. Arrivano i figli ingordi e mangiano troppo, anche a costo di star male. Arrivano i figli idioti e mangiano male, anche sapendo che la pagheranno in salute, prima o poi. Insomma, ogni volta a tavola è una gazzarra. Finché lei certe volte perde davvero la pazienza, e come succede alle mamme di tanti figli quando perde la pazienza molla scappellotti a caso, solitamente a quelli più vicini. Così sono proprio quelli più vicini alla Madre Terra che si prendono le sberle più forti, anche se spesso sono quelli che non stavano facendo niente di male, erano lì tranquilli che mangiavano solo quel che gli toccava. Proprio loro si vedono arrivare la sberla cambiamento climatico, che fa inaridire proprio i posti dove abitano loro e intanto i prepotenti più al nord se la ridacchiano e dicono “Ma lo sai che mi garba, sto cambiamento climatico? Prima qui non si riusciva a coltivare nulla se non patate, ora ci si fa il vino!”. Oppure si prendono la sberla spopolamento dei mari, proprio loro che avevano sempre lavorato con i loro barchini sotto costa e intanto le navi fattoria piene di capitani vanno sempre più al largo, sempre più in fondo e tutto quel che trovano diventa un bastoncino, un frittino, un mangimino, uno stuzzichino per chi fame proprio non ne ha più, se mai ne ha avuta. O la sberla alluvioni, che gli porta via quel poco di terra con cui si mantenevano vivi. Ma la Madre Terra non ce la può fare a essere giusta con tutti se non siamo onesti noi con i nostri fratelli. Gandhi ce l’aveva spiegato: ci sono risorse per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di chiunque. Finora noi, alle nostre latitudini, di sberle ce ne siamo prese poche. Siamo sempre sgusciati via in tempo. Al massimo ci prendevamo le botte che ci rifilavano i nostri fratelli più violenti: calci, pugni e schiaffi che si chiamano scandali alimentari, diabete, obesità, malattie oncologiche, disturbi cardiocircolatori. Quelle botte lì ce le procuriamo l’un l’altro, Madre Terra non c’entra. Però attenti: perché prima o poi le arriveremo a tiro. Quelli che se le son prese finora son stufi, e stanno imparando a schivare le sberle con un po’ di destrezza. E come loro si abbassano per evitare il colpo, quelli subito dietro siamo noi.


Terra Madre 1

Biodinamica

by James O’Mara

Figlia di una visione di Cristian Giorni

S

Sintesi esaustiva

Percorsi

Per un pugno di terra

Serve una tempesta

di Milly Mostardini

di Massimo Niccolai

H

C’

o trovato queste brevi righe, sfogliando un mio vecchio album scolastico. Era l’estate del 1946, le vacanze dopo la prima classe del liceo. Il nostro insegnante ci aveva suggerito di scrivere le nostre riflessioni sui libri che avremmo letto, se avessimo letto e se ne avessimo avuto voglia. In questo caso il libro è Al Dio sconosciuto di John Steinbeck (Mondadori, Medusa), poi Premio Nobel nel 1962. “Anche il protagonista di questo libro, Joseph Wayne, cerca un suo Dio sconosciuto, e crede di trovarlo nella terra: nella terra fertile che ad ogni stagione si riproduce, che ha in sé tanta vita e una sempre nuova vita. La terra che è tutta viva e dalla quale tutti gli esseri hanno origine e a cui tutti debbono tornare, senza rimpianto o troppa pena: perché il breve ciclo della singola esistenza è destinato a scomparire nel grande esistere di tutte le cose. Quest’uomo sente di essere parte della terra e con lei tripudia nel rigoglio della creazione e soffre con lei nelle sue sofferenze. E partecipa con ansia al suo travaglio, come dal seme gettatole nel grembo possa sorgere a poco a poco un’altra vita, e germogliare, e trepidare, e crescere ed estendersi al sole, e riprodursi a sua volta. Poiché anche lui sa di portare in sé, come ogni altro, il seme della vita e di avere la grande e misteriosa forza di farlo fruttificare. Perché chiamare questo istinto che ci guida alle sorgenti della vita, una concezione pagana? Perché rinnegarlo? È vero e bello. Quando prendiamo tra le nostre mani anche un pugno di terra, bruna e morbida, odorosa e sana, allora davvero sappiamo di far parte di lei, e sentiamo che è la nostra vita e il nostro amore. Che vorremmo gettarsi su di lei e annullare tutti noi stessi in quell’abbraccio per sentirsi distintamente affondare in lei: fino ad ascoltare il battito profondo e possente del suo cuore. Per sentire fluire in noi il suo sangue, come una silenziosa corrente, fino ad esserne sommersi e riscaldati. Fino a che una grande quiete scende su di noi, e sappiamo che questa è la felicità”.

Da Varsavia Profumo giovane e fresco di Tessa Capponi

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iosna dla smakoszy w Warszawie, oznacza powrót na targ słynnego Pana Ziółka, jak to się mówi o Piotrze Rutkowskim, właścicielu małego gospodarstwa ekologicznego, produkującego świetnych warzywa i zioła około 80 km od Warszawy. Warzywa w Polsce zawsze były bardzo dobre, przede wszsytkim te tak zwany „ tradycyjne“ czyli marchewka, pietruszka, por, seler, cebula, ziemniaka i kapusta włoska, biała czy czerwona. Wiosenna włoszczyzna jest czasami taka malusienka że używa się ja w całości przygotowując zupę jarzynową czy bazę do sosów. Co roku kiedy śnieg sie roztopi, wiatr uspokoi oraz zakończą się ulewy zimnego deszczu,to wtedy wychodza z ziemi te nowalijki o rozmiarze jak dla domu lalek, pachnące świeżą i młodą ziemią. Pózniej będą liście szczawiu, z których przygotowuje się pyszna zupę uszlachetnioną śmietaną i kawałkami jajka na twardo. Prawdziwe cuda kulinarne. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

è un genere su questa Terra che non riesce a capire dove andare, cosa fare, per dirla in breve: gli si è annebbiata la vista. Come sempre l’unica certezza che ha e, forse non sa di avere, è la nostra amata Terra: la nostra nave che ci conduce chissà dove, ma imperterrita viaggia da tempo indefinito nel suo mare nero con tutti i suoi bagagli appresso. Mi domando se durante una navigazione sia più devastante incontrare una tempesta o rimanere immobile in una infinita calma piatta dove niente si muove e il muoversi forse creerebbe solo un rincorrere qualcosa che non c’è. In effetti, mi viene da rispondere che la tempesta è più prolifica per il nostro genere; ci attiviamo, obbediamo a dei bisogni, cerchiamo di operare al meglio per la nostra sopravvivenza e caso mai alla fine ci sentiamo anche consapevoli della nostra capacità operativa e se passiamo il momento tragico ne siamo estremamente soddisfatti. Invece nella calma piatta tutto si ferma, tutto appare immobile e la paura ci attanaglia; vorremmo non essere mai partiti e ritornare nei luoghi che ci fanno rintracciare quella sicurezza tanto agognata, dove i nostri punti di riferimento ricompaiono e ci sentiamo salvi. Forse invece sarebbe meglio svincolarsi da questo affanno e lasciare che, quello che può sembrare un nulla, si appropri di noi e lasciarci cullare come un bimbo nella pancia di sua madre in modo da ritrovare quella parte nascosta che ci fa recuperare il nostro più profondo essere e ci fa sentire di nuovo vivi e presenti sulla nostra amata nave, il luogo e il tempo ha poca importanza, l’importante è esserci e riconoscersi.

Di line e di lane Fatica antica di Pietro Jozzelli

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ice il mio amico Paolo: non sto bene, troppo stress e troppa agitazione. Per rinfrancarmi, vado in collina e vango una proda fino al calar del sole. Lo fa, ma quando imbrunisce non riesce più a stare dritto: ha la schiena paralizzata e, visto di profilo, adesso sembra un angolo a novanta gradi. Commenta: lo sapevo e me l’ero dimenticato: la terra è bassa. Però non è arrabbiato e intuisco che, appena passato il mal di schiena, tornerà a vangare, magari con più moderazione. La cosa sorprendente in tutto questo è la differenza del dolore: da un lato c’è lo stress, cosa cittadina, intellettuale, firmata Sartre o Jung; dall’altro, c’è una schiena a pezzi, fatica antica, roba da braccianti o, in Toscana, da mezzadri, sa di sudore e di giunture che scricchiolano. Però, visto che il dolore è l’essenza della vita, anche per questo verso dovremmo scegliere di tornare alla terra, che è di certo bassa ma è fatta dei nostri stessi atomi e perciò ci è madre, nel senso che dà nutrimento al nostro corpo e al nostro spirito e quindi non può che volere il nostro bene. L’abbiamo dimenticato, per inseguire le onde elettromagnetiche o altre diavolerie moderniste. Vuoi mettere stendersi in un campo d’erba e chattare con una falce di luna.

ono ancora un vivo ricordo le mani grandi e nodose di mio nonno, che con sapiente abilità legavano le viti con rame di vinco e potavano i teneri germogli con collaudata pressione del pollice. Gesti antichi, che hanno lasciato spazio a macchine e tecnologie prive di quella sensibilità umana che ha costruito la tradizione e mantenuto un intimo legame con la Madre Terra. Mio nonno era un contadino del 1904 ed è stato testimone di quell’epocale cambiamento agronomico del primo dopoguerra, quando l’industria bellica convertì la produzione di bombe in fertilizzanti ed ammendanti per l’agricoltura. Si convinsero che la pianta viva di potassio, fosforo, idrogeno e azoto - sostanze minerali morte - introdotte artificialmente in un sistema organico organizzato e vitale fosse capace di auto sostenersi e di offrire le condizioni ideali per accogliere il seme, e dar vita alla pianta. Innovazioni lontane solo qualche decennio dalla sensibilità del contadino che riconosceva dal profumo la qualità del suo concime, o valutava la tempra del terreno osservando quanti lombrichi vivessero in una vangata di terra. La terra non era più una Madre da amare, rispettare e dalla quale imparare, ma solo un supporto morto da sfruttare e modellare al servizio delle necessità dell’uomo. Le conseguenze di questo radicale cambio di coscienza non tardarono a manifestarsi in frutti più turgidi e gonfi di acqua ma esponenzialmente più poveri di sapore e sostanze nutritive, fino ad arrivare oggi ad un progressivo depauperamento dei terreni, che limita e annulla la capacità rigenerativa vitale del sistema Terra. L’agricoltura industriale, figlia di una visione meccanicistica del vivente, ha cancellato le dinamiche cosmiche che regolano le forze formatrici e rigenerative che agiscono sull’organismo terrestre. Forze che la scienza ha cancellato per attenersi solo ad una visione quantitativa dell’elemento o del sistema in studio, tralasciando il contesto formativo e l’origine della sostanza. Non esiste campo della vita che possa prescindere dall’agricoltura. In un periodo di passaggio come quello che stiamo vivendo, dal kali yuga all'epoca della luce, si osserva proprio il degenero non soltanto dello sviluppo morale dell'umanità, ma anche dell'operato dell'uomo nei riguardi della terra e di tutto quanto vive su di essa. Tutto ha preso un carattere di rapida involuzione e gli uomini si dichiarano però impotenti di fronte a questa situazione. Già dal 1924 le intuizioni del padre della biodinamica Rudolf Steiner gettarono le basi per una moderna percezione dell’agricoltura, dove al centro delle pratiche consigliate c’è la natura stessa con l’impiego di tisane e preparati da spruzzo di origine organica o minerale, rivolti alla rivitalizzazione del terreno e alle sue molteplici forme di vita, che permetteranno alla pianta di farsi il suo terreno. Secondo la biodinamica, la vita è totalmente basata sul concetto di osservazione e percezione. Tanto più osservando un soggetto, liberiamo la nostra mente da tutti i pensieri e ci concentriamo solo su quello che il soggetto ci trasmette, tanto più capiremo ogni cosa che ci sta davanti. Questo in ogni nostra interazione con qualsiasi essere vivente, prima di tutto il suolo su cui camminiamo. Se fosse ancora vivo mio nonno sarebbe felice di scoprire che le sue antiche sensibilità sono oggi l’unica strada percorribile per permettere alla terra di tornare a vivere, ai frutti di nutrire e all’uomo di rinascere e riscoprire un legame con i ritmi che regolano la terra ed il nostro universo.

Erba voglio Una madre che ti insegna a vivere di Caterina Cardia

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a diversi anni con tanta soddisfazione e meraviglia mi sforzo di conoscere più che posso le piante che mi capita di incontrare nel pianeta in cui mi capita di vivere e vivo con fierezza ed orgoglio la condizione di naturalista squattrinata con felice ostinazione. Chi mi invita a scrivere mi conosce forse come una mistica della natura e sinceramente io non riesco a contraddire la tesi secondo cui l’osservazione della natura possa indurre gli animi degli studiosi dei misteri che la riguardano a considerazioni altissime che come tali vanno trattate; spero quindi di essere compresa se mi limiterò in questa sede a dare solo dei consigli utili su come è bene rivolgersi alla Terra. Alla natura e alla madre Terra sono legati i concetti del tutto e di Dio quindi è necessario pensare bene prima di rivolgere a loro le nostre azioni e considerazioni. La Terra ci offre la possibilità di osservare il principio di causa ed effetto che la regolano e portarli in ogni aspetto della nostra vita, osservare, aspettare e rispettare i fenomeni della natura insegna la virtù all’uomo; insegna a dedicarsi, ad ascoltare e cercare di capire le esigenze di un’entità diversa da sé stesso come unico modo possibile per relazionarvisi. La Terra offre all’uomo la possibilità di coltivarla e in questo senso la possibilità di esercitarsi alla vita: arroganza, presunzione, impazienza, avidità, noncuranza non si possono imporre alla Terra, quindi osservando la fallimentarità di questi atteggiamenti l’uomo può essere indotto ad abbandonarli ricevendone grande vantaggio e più alte aspirazioni.Tornare allo stato di natura e rifiutare il progresso non sarebbe vantaggioso perché fuggire la civiltà non è buono in generale. La critica civile e non il ritorno alla natura, è la via per inverare il rispetto per la natura. La preoccupazione per la crisi ambientale impone una riflessione etica sulle ricerca scientifica e sul significato culturale della tecnica. L'etica ambientale pone questioni radicali, evocando nozioni quali valore intrinseco dei non umani, diritti della natura, diritti degli animali, che conducono alla riflessione morale. L’uomo è costretto a riflettere con gli occhi rivolti al cielo e i piedi piantati alla terra, a meno che non si chiami Cosimo Piovasco di Rondò. Ma quella è un’altra storia. Oggi, dopo tanti giorni di nuvole, c’è il sole e io andrò a riflettere seminando le patate che un giorno mangerò.

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PANACEA


Gatti

Perle del Sale

Felino divino by Kate McBride

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ats tread lightly on mother earth with their velvet paws and silken purrs. Ancient images on cave walls and stone carvings show cats associated with the act of giving birth and bringing fertility to the earth. As the divine mother and protector, the Egyptian Cat Goddess called Bastet, appears in statues with the body of a woman and head of a cat. Amulets of Bastet are worn by women to assist in fertility. The number of kittens shown on the amulet indicates the desires of the mother for the size of her own family. The name means ‘she of the ointment jar’ to conjure the feeling of the gentle and peaceful nature of the cat who takes good care of its’ kittens. The Cat Goddess was the daughter of the sun god. Opposing forces form her character. She is both dangerous and protective, like Mother Nature. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

Ri-cercata Lezioni africane di Clara Ballerini

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bambini di Bouplon, un villaggio del Burkina Faso, seguono una dieta povera di grassi e di proteine animali, ricca in fibre e in generale molto vicina a quella seguita dai primi insediamenti umani all’alba dell’agricoltura. Inoltre, il cibo è preparato all’aperto su di un grande tavolo di pietra comune a tutti gli abitanti del villaggio. Queste due abitudini, dieta ed esposizione casuale a microbi presenti nell’ambiente, aumentano il potenziale del loro microbiota rispetto a quello dei bambini cresciuti alle nostre latitudini, che diventa più ricco in termini di biodiversità e in grado di azzerare la presenza di patogeni, aumentare le capacità metaboliche e ridurre la frequenza di malattie infiammatorie del tratto gastrointestinale, malattie che in questi Paesi possono fare la differenza fra la vita e la morte. Attenzione però, quando i bambini si trasferiscono a vivere in città e cambiano abitudini, il vantaggio è perduto e il loro microbiota diminuisce la propria diversità; diventa uguale a quello che troviamo qua, secondo un vero fenomeno di globalizzazione. La prima volta che ho letto questo studio ho pensato che la Terra ci può insegnare molto e anche dare un piccolo suggerimento ribelle: puliamo meno la tavola, che forse non è così indispensabile.

Una stella a Firenze

APRILE 2013 Il mese di aprile al Teatro del Sale si apre con il progetto di Tango e Milonga Tango x tre, con tre musicisti provenienti dal pisano che proporranno con grande maestria un repertorio capace di spaziare da Bregovic a Piazzolla, da Rodriguez a Gardell. Si tratta del maestro di chitarra Fabio De Ranieri, di Roberto Cecchetti al violino e di Massimo Signorini alla fisarmonica. Il 3 aprile arriva invece quello che è stato definito il Pat Metheney del Mediterraneo, ovvero Max Amazio, con Alessio Bianchi alla tromba e al flicorno. Più precisamente, di lui è stato scritto: “Il suo sound latino ricorda molto le prime melodie di Pino Daniele, il chitarrismo di Metheny e le atmosfere mistiche di Coltrane. È un chitarrista che suona il jazz in napoletano”. Il 4 arriva al Teatro del Sale Tranquilli!!!, scritto, diretto e interpretato da André Casaca, con musiche di Piazzolla, Tango e Mendes. Riprendiamo i giornali che hanno parlato di lui per capire di cosa si tratta: “Uno spettacolo per qualsiasi tipo di pubblico, senza barriere di lingua e di cultura, che parte dall’universalità del concetto di Tranquillità”, “Ha le ali! Allora può volare! E’ stato questo il commento unanime di stupore dei tanti bambini e adulti alla vista del clown Tranquilli”. Sabato 6 è la volta di Suono Vivo, duo composto da Massimiliano Alloisio (chitarrista classico e musicologo) e Loris Stefanuto (percussionista docente del conservatorio di Mantova). Musiche di ambientazione ispano latina (Barrios, Lauro, Piazzolla, Pixinguinha, Villalobos, Nazareth, Pernambuco) classica e contemporanea (Sanz, Dyens, Colonna), spaziando attraverso il repertorio flamenco tradizionale e attuale (Lorenzo, Sanlucar, Amigo, De Lucia). Il 09 aprile è il giorno della presentazione dell’ultimo libro di Fabio Picchi, Ostriche rosse per Napoleone. Storia, segreti e passione: ecco i magici ingredienti della nuova avventura di Igor Rogi. Dice Picchi: “Insieme agli attori di questa mia fantasia, il racconto di rigo in rigo, si è in parte sostituito alla verità storica con la potenza di un cibo profumato, dell’amicizia e del grande amore tra Napoleone e Maria Walewska, convincendomi che le cose siano andate veramente come le ho descritte”. Il 10 è l’occasione per sentire i Medilatina. Il grande Gianfranco Narracci (autore, compositore dei brani, voce chitarre e tamburi), Pasquale Rimolo (fisarmonica), Ferdinando Olivieri (chitarra e bouzouki). Il gruppo presenta un repertorio originale con l’aggiunta di brani tradizionali rivisitati. Le melodie e i ritmi rievocano atmosfere mediterranee e sconfinano nei Caraibi. Impossibile rimanere fermi e seduti. Imperdibile per tutti coloro che amano e ascoltano Controradio non partecipare alla cena dell’11. Una cena di finanziamento per la storica emittente toscana che – grazie al Controradio Club – si sostiene con il contributo dei propri ascoltatori. In cucina c’è eccezionalmente l’autore, regista ed attore Giancarlo Cauteruccio, che memore della sua Calabria/madre propone un menù per raccontare ancora del nostro meraviglioso Mediterraneo. È dedicato a tutti gli amanti di Battisti e Mogol l’appuntamento del 12, con la tribute band Unavventura. Mentre il 13 Raffaele Moretti – tra i più bravi pianisti italiani - arriva da Londra, dove vive per seguire i suoi progetti musicali, per fare tappa al Teatro del Sale. Allievo di Aldo Ciccolini, ha un repertorio basato soprattutto sulla musica di Mozart, Beethoven, Scarlatti, Schubert, Chopin, Liszt, Debussy, Ravel, Rachmaninov, con spazi verso la produzione di Bartòk e Prokofieff, oltre che di Ligeti, Berio e la musica spagnola contemporanea. Per la terza e la quarta settimana di aprile, sarà in scena Maria Cassi. Soprattutto con My life with man... and other animals.

Maria Cassi My life with men... and other animals (La mia vita con gli uomini... e altri animali)

Al Teatro del Sale dal 23 al 27 aprile La cosa più straordinaria che salta subito all’occhio quando si parla di My life with men... And other animals è la squadra che Maria Cassi è riuscita a catalizzare intorno al suo essere artista. Per iniziare il regista, produttore, Peter Schneider. Vincitore del Tony Award come produttore di musical di successo internazionale, direttore degli studios alla Walt Disney, creatore e produttore di una cinquantina di film di animazione – dal Re Leone al vincitore del Golden Globe La Bella e la bestia – Schneider rimase fulminato guardando Maria Cassi portare in scena Crepapelle. Era il gennaio del 2008. Dopo lo spettacolo Peter propose a Maria di portare il suo spettacolo a Pasadena, Los Angeles, e soprattutto di scrivere un testo bilingue, in italiano e inglese, con recitazione/traduzione consecutiva. Maria accettò subito mettendosi a scrivere il nuovo spettacolo con Patrick Pacheco. Drammaturgo, sceneggiatore, giornalista. Pacheco intimissimo amico e collaboratore di Peter, si muove tra il New York Times e Broadway senza difficoltà. La direzione musicale è affidata a James Edwards, multi-strumentista e compositore, che si è esibito tra gli altri alla Carnegie Hall, allo stadio di Wembley al Madison Square Garden, e in trasmissioni televisive come il Tonight Show con Jay Leno. Le scene sono del milanese Gianni Carluccio, scenografo del Wozzeck di A. Berg (per la regia di Daniele Abbado), al cinema scenografo nell’ultimo film di Andò: Viva la libertà . I costumi sono di William Ivey Long. Di lui basti dire solo che dal 2005 fa parte della Theatre Hall of Fame. E ancora, il light designer americano A. J. Weissbard, che ha curato le luci per nomi del livello di Robert Wilson, Peter Stein, Luca Ronconi, Peter Greenaway, Giorgio Armani, Gae Aulenti e David Cronenberg. Valeria Palermo, che ha curato le immagini di scena con alle spalle esperienze come la regia multimediale degli spettacoli di Dario Fo con Felice Cappa. E infine la musica dal vivo con il pianista Antonio Siringo collaboratore dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai, docente di improvvisazione alla Scuola di musica di Fiesole e vincitore del premio Luca Flores come migliore esecutore pianistico. Il tutto coprodotto con la Change Performing Arts. E Maria? Lei ancora si commuove, quando pensa all’esordio di My life with men a Spoleto nell’estate del 2010 e ai riconoscimenti ottenuti poi in giro per il mondo, dalla Romania fino – di nuovo – agli Stati Uniti, questa volta però Off Brodway . “Il gotha del teatro di New York era presente allo spettacolo ed ebbe una reazione emotiva, prima ancora che professionale, veramente straordinaria”, come riportato dalle numerose eclatanti recensioni. In My life with men Maria Cassi canta, balla, recita, usa la voce e i gesti, usa i silenzi e la sua straordinaria capacità di improvvisazione. Anche se qui, rispetto ai suoi altri testi accade altro. “E’ un lavoro più strutturato – racconta – dove la scrittura è il punto di partenza e la cornice formale è molto rigorosa”. Questo originale spettacolo bilingue nasce dall’incontro umano con Peter e gli altri: “ormai – dice Maria – siamo veramente diventati una famiglia, altro che squadra”. Ed ha rappresentato per il teatro di Maria Cassi un punto di svolta: “un lavoro fatto col cuore che produce una esilarante e bellissima comicità ”. E infine, a completare il quadro, c’è il pubblico, il suo pubblico, che Maria sente sulla pelle e che determina l’andamento di ogni serata. Per cui – potete starne certi – sarà per sempre uno spettacolo ogni volta unico e diverso.

Da Tel Aviv

I custodi del Disegno

La locusta sul terrazzo

di Stella Rudolph

di Sefy Hendler

T

6

ornare alla Terra-Madre per rinascere. Le recenti statistiche parlano chiaro: ormai un italiano su sei (oltre sette milioni) si è messo a coltivare un pezzo di terreno e persino il nuovo papa Francesco ha esortato, nell’omelia seguita alla sua consacrazione il 19 marzo scorso, “siate custodi del disegno di Dio” con un preciso riferimento all’ambiente. Tale rinnovata consapevolezza dell’imprescindibile valore della natura che ci ospita malgrado gli sfregi continui che le rechiamo ebbe un formidabile precursore in una delle personalità più affascinanti e colte del ‘600 europeo, John Evelyn (1620-1706). Nato nella dimora campestre di Wotton House presso Dorking, egli si trovò coinvolto come soldato nella guerra civile, fu un antesignano dei grand tourists in Italia e Francia nonché promotore della fondazione della Royal Society (1662) dopo la restaurazione della dinastia Stuart; indi si ritirò a Wotton per dedicarsi alla sua passione per un giardinaggio assai qualificato. Oggi è ricordato soprattutto per il suo monumentale Diario (edito per la prima volta solo nel 1818), fedele cronaca della storia, umori e sfizi dell’Europa in quel tempo. Ma fondamentale risultò allora la sua pubblicazione di Sylva, or a Discourse of Forest Trees nel 1664 in cui perorava la riforestazione degli alberi testé decimati come materia prima utilizzata dalle manifatture di vetro e ferro, vantandosi nella prefazione dedicata al re di aver già convinto i proprietari di quelle terre a ripiantare vari milioni di alberi. E non finì lì la sua crociata, dacché il suo trattato sui fumi che appestavano Londra (1661) aveva proposto la piantagione di alberi profumati nel centro della città onde pulirne l’aria. L’attualità delle sue percezioni scientifiche radicate nella familiarità coi prodotti della terra già allora compromessi lo rende un faro ancora illuminante per le iniziative da prendere immediatamente in questo settore purtroppo vieppiù a rischio. Vedasi, al proposito, il suo bellissimo volume A Philosophical Discourse of the Earth (1676) riedito col titolo Terra. The Compleat Gardens nel 1693.

■ Traduzione su ambasciatateatrale.com


Terra Madre 2

by James O'Mara

Dylan Bob

Classika

Il popolo del blues Istigare cultura

Senza ciuchi e secchioni

Ripartire da zero

di Giulia Nuti

di Gregorio Moppi

di Marco Poggiolesi

R

C

V

inasceremo dall’origine. Percorreremo il percorso inverso. Sono tempi di crisi e di scarsa fiducia per il settore musicale, soprattutto per la distruzione di quello che ieri era un business, ma oggi non lo è più. Ieri si stampavano dischi che la gente comprava, perché non c’era modo di avere accesso al possesso della musica in nessuna altra forma. Non c’era alcun download, nè legale, nè illegale. Si aspettavano i gruppi e i concerti dal vivo, perché nessun video su YouTube avrebbe appagato il desiderio di conoscere l’immagine di una band. Oggi è diverso, i dischi si vendono con difficoltà. Le risorse sono meno, gli spazi pochi. E allora? Allora, quantomeno, proveremo a tornare alle radici. A rinascere dalle note. Da chi la musica la scrive, da chi la suona, da chi la rende disponibile, soprattutto la insegna. Oggi più che mai è necessario provare a ricostruire il pubblico, la passione, la cultura, la necessità di usufruire della musica. Negli adulti, ma ancora di più nei ragazzi e nei bambini. Istigando la curiosità, insegnando uno strumento, spiegandone il valore. Sperando in un raccolto domani, ma cominciando dal seminare oggi. Se il business musicale non gode di buona salute, non è detto che sia lo stesso per la musica.

onosco un’insegnante di musica in una scuola media del Valdarno fiorentino che dovrebbe essere presa a modello da tanti suoi colleghi. È speciale perché non fa niente di speciale rispetto a quanto le è richiesto. Insegna, cioè, a far musica insieme. Che, all’età dei suoi allievi, è tra le cose più belle e divertenti che si possano imparare a scuola. E forse è quella che maggiormente riflette lo spirito che dovrebbe animare qualsiasi scuola: lo spirito del lavoro collettivo e l’educazione all’armonia. Detto così sa di retorica da strapazzo. Ma armonia non significa che tutti devono essere coinvolti allo stesso modo e andar sempre d’accordo: ci si confronta, si discute, però da ultimo bisogna trovare un punto d’equilibrio perché altrimenti insieme non si suona. E chiunque deve essere responsabile della propria parte, grande o piccola che sia. Questa insegnante ha fatto di ogni sua classe un vero complesso musicale. Che significa che non si ascoltano venti-trenta ragazzi che suonano un piffero o su una tastierina le stesse note, tanto per buttar fumo negli occhi ai genitori con videocamera durante la festa di fine anno. Si ascoltano invece venti-trenta ragazzi che suonano parti differenti, chi l’accompagnamento, chi la melodia, chi tiene il ritmo sulle percussioni, chi canta, chi imbraccia il violino, il flauto, la chitarra, il basso, la tastiera. Ognuno dà il proprio contributo, secondo quel che sa e può fare. Anche solo con un dito, questi suonano. E con che entusiasmo. Alla maggior parte ha insegnato lei a maneggiare gli strumenti: un miracolo in neanche due ore a settimana e senza poter contare su lezioni individuali. Ciuchi e secchioni qui non esistono. Sono tutti musicisti.

orrei raccontarvi una storia di coraggio, di determinazione, di resurrezione; una storia a cui penso spesso, ogni qualvolta si presenta di fronte a me una difficoltà. Vorrei raccontarvi la storia di Pat Martino, uno dei più importanti e influenti chitarristi jazz al mondo il quale, raggiunto l'apice della sua carriera, fu colpito nel 1980 da un grave aneurisma cerebrale che come un violento terremoto spazzò via ogni ricordo legato alla poesia delle sue corde. Tante volte mi sono chiesto cosa può passare nella mente di un uomo quando perde la sua stessa ragione di vita, quell'impulso impercettibile che muove ogni azione e sentimento e ancora di più mi sono chiesto quale possa essere la reazione di fronte a questo vuoto deserto senza fine. Ho immaginato Pat Martino prendere in mano lo strumento e sentire le sue mani pesanti e immobili come rocce, incapaci di muoversi mentre nello stereo gira una dei suoi tantissimi capolavori; sentire la voce della propria anima cantare e allo stesso tempo non riuscire a emettere suono alcuno. Ripartì da zero, dagli esercizi dei principianti forse studiando le sue stesse registrazioni leggendarie, accettando la risalita, accettando la sofferenza, l'ingiustizia che la vita spesso riserva, ma sempre gli occhi fissi sulla vetta di quella montagna una volta ben conosciuta e ora così lontana. Sette anni, molti giorni, infinite ore. Il maestro aveva ancora tanto da dire e lui lo sapeva bene, la sua anima doveva tornare a cantare, la vetta doveva essere nuovamente sua. Nel 1987 al mondo della musica arriva un nuovo capolavoro, un disco memorabile: The Return, il ritorno firmato Pat Martino. Sono seguiti sedici dischi e moltissimi tour mondiali che lo vedono impegnatissimo tutt'oggi e a me piace pensare a Pat che guarda dritta negli occhi la vita e le dedica una dolcissima composizione chitarristica.

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Pieni d’Islam Il Corano ci insegna di Giovanni Curatola

D

al Corano: “Non possiamo più sopportare un cibo unico, prega dunque per noi il tuo Signore che produca per noi frutti della terra come legumi, cetrioli, aglio, lenticchie e cipolle” (II, 41); “Non vedono dunque gli empi che i cieli e la terra erano un tempo una massa confusa e noi li abbiamo separati, e dall’acqua abbiamo fatto germinare ogni cosa vivente?” (XXI, 30); “Iddio è Colui che ha creato sette cieli e altrettante terre” (LXV, 12); “E il cielo lo edificammo con potenza, ché noi siamo costruttori amplissimi, e la terra la stendemmo immensa, e splendidi spianatori. Noi fummo! E di tutte le cose creammo una coppia, perché voi rifletteste” (LI, 47-49); “Pel fico e l’olivo! E pel Monte Sinai! E per questa contrada sicura! In verità noi creammo l’uomo in armonia di forme” (XCV, 1-4); “Il quale ha fatto per voi della terra un tappeto e del cielo un castello, e ha fatto scendere dal cielo acqua con la quale estrae dalla terra quei frutti che sono il vostro pane quotidiano” (II, 22); “Invece di quelli che donano dei loro beni bramosi solo di soddisfare Iddio e di confermare se stessi, sarà come di un giardino sopra un’altura che lo colpisce un acquazzone e produce i suoi frutti due volte tanti. E se non lo colpirà un acquazzone vi cadrà leggera la rugiada. Ché Iddio ciò che fate l’osserva. Piacerebbe forse a qualcuno di voi possedere un giardino di palme e vigneti alle cui ombre scorron ruscelli, pieno d’ogni specie di frutta e lo cogliesse ivi la vecchiaia circondati di figli ancor deboli e che lo colpisse un uragano infuocato e tutto s’abbruciasse? Iddio dichiara i suoi segni acciocché possiate meditare” (II, 265-266).

Raccolta

Cinema

Pienamente sostenibile

Piedi per terra

Mater Terra Mater Cieli

di Ugo Federico

di Juan Pittaluga

di Maria Cassi

V

S

oglia matta di vino vero, vino della terra, un grande sangiovese magari. Come la creatura più bella di Giovanni Manetti di Fontodi, che a Panzano in Chianti, in quella che è chiamata la conca d’oro (per ovvi motivi) è riuscito a creare un ecosistema pienamente sostenibile. Il Flaccianello della Pieve 2009, purosangue Sangiovese appunto in agricoltura biologica. Dal colore rosso rubino intenso, con profumi di frutta rossa, rabarbaro, cuoio, pepe nero e tanto, tanto altro. In bocca elegante e persistente, rispecchiava perfettamente quello che la terra ci ha dato in un’importante annata. Bevuto a Firenze in attesa dell’arrivo della primavera.

Arancione Il frutto proibito

i un film réussi à porter l’odeur qui se dégage de la terre sèche d’un matin d’été au moment où tombent les premières goutes de pluie, c’est que les images et le son ont mutée leurs illusions en vie, ils ont poussés de la terre. Les films veulent aussi s’accroître comme le riz ou le blé. Les films néoréaliste Sciuscià, Ladri di Biciclette et Umberto D (De Sica), Terra Trema (Visconti), ou Paisà (Rossellini), on essayé. Mais aussi Riso Amaro de De Santis ou Silvana Mangano doit chanter les pieds dans l’eau sans s’arrêter de nettoyer les plantes de riz, pour communiquer avec les autres mondine. Un film qui manque d’aplomb, et ne peu se poser sur terre, devient aérien, parfois libre et beau, la tête en l’air, des fois intellectuel e intelligent, la tête sur terre au lieu des pieds. Un film terrestre, peu sentir fort mais reste consistent comme Taxi Driver de Scorsèse ou Deer Hunter de Cimino. Il peu aussi être terrestre et poétique comme La Strada de Fellini ou les 400 coups de Truffaut ou The Lord of Flies de Peter Brook. Mais il doit pousser, il luis faut l’amour de Déméter. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

O Mater terrena o mater potenziola di vitola granderrima e unica Io amartoli e riverirti convengo ognoli mattiniera mattina sia che solide in cielico me sorrida o pioggola bagni di lacrime fittole la città fermentosa e desta affetta di movimentolo spesso inconsapevole e bellico. Allora lo pensier a tal casolo vola come uccellido svelto su verde di terra mia toscana sapietamente curatola da mani anticole come le pietre del mar sapientoli come le stellide del cielico aperto la notte forte forte terrula fatta di zolle e tremor fatta di gesti umanidi talor stanchi, ma saggi svelti e vivi Terra mia se sol lontano esilio da te portommi via,io morirei de tua assenzia di tua mancanzia di tuo udor di terra bagna o vivida o asciuttola da solide vampe caloriche estive che rendon tuo color eternido e fulvo. O Mater terrena con santa patienza insegna noi ancor un volta, poveri follidi inconsapevoli e stolti,cosa essere te amarti onorarti curarti e crescerti con riverita dolcezza sapienza e maestà per da te ancor poter riceversi fruttoli e cibo e vitola tutta per esser e viver benissimo e tal.

l’AMBASCIATA teatrale - Direttore responsabile: Raffaele Palumbo. Segreteria: Giuditta Picchi, Francesco Cury. Illustrazione pagine centrali di Giulio Picchi. Anno V Numero 4 del 1/4/2013. Autorizzazione n°5720 del 28 Aprile 2009. Sede legale e redazione Via dei Macci, 111/R - 50122, Firenze. Ed. Teatro del Sale info@ambasciatateatrale.com. Stampa Nuova Grafica Fiorentina, via Traversari 76 - Firenze. Progetto grafico: Enrico Agostini, Fabio Picchi. Cura editoriale: Tabloidcoop.it

Una Prima-Vera

L’orto

di Francesca Della Monica

I

l colore arancione continua ad invadere le mie notti, la pittura del mio sonno. Gocce arancioni si trasformano in piccole cascate, tende, luci. Un pennello arancione disegna il mio desiderio, la chioma di Brunilde che la mia mano accarezza, le pietre della terra che sostiene il mio passo. Arancione è la polpa ricca della frutta che nutre il sangue nelle mie vene; anche il mio sangue è arancione e verdi sono le pareti delle mie vene. Assente fino ad ora, il suo potere è divenuto immanente, mi chiede di spengere la volontà e di aprire gli occhi dell'accettare. Continua a dormire! Aspetta senza aspettare, ascolta senza ascoltare e, infine... Ricevi! A cor laranja continua invadindo as minhas noites , a pintura do meu sono. Gotas laranjas se transformam em pequenas cachoeiras, cortinas, luzes. Um pincel laranja desenha meu desejo, o cabelo de Brunilde que minha mao acaricia, as pedras da terra onde meus pes andam. Laranja è a polpa rica da fruta que nutre o sangue nas minhas veias; meu sangue tambem agora è laranja e verdes sao as paredes das minhas veias. Ausente atè agora, seu poder se tornou immanente, me pede de apagar a vontade e de abrir os olhos da aceptaçao. Continue dormindo! Espere sem esperar, escute sem escutar e, enfim... Receba!

Si ringrazia

conti capponi [conticapponi.it] MARCHESI MAZZEI [mazzei.it] MUKKI [mukki.it] CONSORZIO PER LA TUTELA DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA TOSCANO IGP [oliotoscanoigp.it]

di Stefano Pissi

I

n questa primavera, almeno fino ad adesso solo anagrafica - cioè di nome e non ancora di fatto - certe volte mi sono sentito smarrito, come se non riuscissi a curvare, e l’unica scelta era andare a dritto. Una prima-vera un pò prima donna, che si fa attendere insomma. Ma poi il mio orto è rimasto concentrato, a lievitare al caldo e - sicuro della stagione a venire - ho lasciato crescere una nuova pianta. L’erba della madonna – il sedum telephium – è una pianta perenne della famiglia delle crassulacee. Rustica, cresce spontanea nei nostri campi, sui muri, ai bordi dei viottoli. Le sue foglie succulente hanno rinomate proprietà curative, sostanzialmente cicatrizzanti – il nome telephium infatti deriva da Telefio – re della mitologia greca che fu colpito dalla lancia di Achille, una ferita che non rimarginava mai. Ancora una volta la natura che ci insegna qualcosa, una pianta che non ha bisogno di attenzioni particolari e che però a sua volta può curare. Alla fine, allora, è disegno di un cerchio che mi assicura un ritorno sano e salvo alla meta, come nella conversazione godo nella sua conclusione e nello scambio continuo come in un sano ping-pong, in una giornata di partenza mi rassicura il suo rientrare, come nella ferita mi da sollievo la sua guarigione. È inevitabile sia il ciclo a farci nascere come a morire, in eterno. Ad esempio su tutti porto il seme, che dalla terra parte e cresce e necessariamente alla terra – sua e nostra madre – ritorna per una nuova e necessaria vita.

Lucio Diana

Un verre de vin rouge


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