Ambasciata Teatrale | Dicembre 2013 | Anno V Numero 10

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“Il guerriero non deve ascoltare le emozioni che sente, sennò sarebbe preda dell'amore e della pietà epatica” Jacopo Fo a pagina 7

DICEMBRE 2013 ANNO V • NUMERO

circo-lo creativo d’intrattenimento culturale s.ambrogio cibrèo città aperta firenze

Parole nuove per pensare idee nuove. Jacopo Fo

Editoriale

Power of Voice 1

Maria Cassi by James O’Mara

Poesia

L come L'Altro

Parole Parole

di Fabio Picchi

di Maria Cassi

L’

Che soddisfazione l'ONESTÁ, non provar GELOSIA e INVIDIA che senso di libertà quando a farti gola è solo un tramonto molto rosso su un fiume, un bambino che ride, un gatto che ronfa. Che gioia svegliarsi la mattina e scoprire che non sei come LORO quelli che RUBANO non per FAME, ma per AVIDITÀ, che le LABBRA a CANOTTINO ti fanno morir dal ridere e che piacere c'è nel ricevere un semplice GRAZIE e rispondere un semplice PREGO, è stato un grande piacere per me. Che vero godimento una CAREZZA ben fatta data e ricevuta, un pezzo di PIZZA veramente buona, un DOLCINO a merenda e il SESSO fatto con AMORE. Non ci credete? Son solo sciocchezze? Robina da spensierati creativi e poeti, perché poi la vita vera è un'altra? Sarà, ma io ci proverei, si potrebbe avere tutti delle gran belle SORPRESE e SODDISFAZIONI.

altro, alle volte sembra che l’altro arrivi a mani vuote e invece l’altro è sempre e comunque il nostro futuro, credetemi. Sono quelli che poi s’infilano nei posti più oscuri della nostra società e la tengono in piedi, sono gli ultimi che sorreggono. Magari sorreggono una panetteria, magari sorreggono le scope per pulire le strade, magari sorreggono un nostro anziano per pulirlo e lavarlo e fargli passare gli ultimi anni in maniera decorosa e felici del loro affetto. L’altro è comunque capace di portare e di inseminarci di idee. L’altro ci ha mandato le banane, l’altro ci ha mandato i pomodori, l’altro ci ha mandato le patate, l’altro ci ha mandato i peperoni. Nei secoli l’altro ci ha portato un sacco di cose, il basilico viene dall’altro, viene dall’Asia, come lo spinacio, anche loro venivano da laggiù. Le pesche, i nostri vecchi, le chiamavano persie, è l’altro che ce la ha mandate insieme ai carciofi. L’altro ci manda sempre qualche cosa. Credetemi! Per esempio l’altro mi ha insegnato a far risaltare violentemente, con delle di cipolle bianche e del cumino, un po’ di scamerita tagliata a fettine nello wok, come lo chiamano loro. Io la faccio anche nel padellino di casa mia. E poi una goccia o due di buona soia, cercatela biologica, che esiste! Mischiatela a un po’ di aceto rosso, il nostro, e l’altro mi ha detto: anche a un nonnientino di zucchero, poco poco, proprio una puntina. E l’altro mi ha fatto mangiare, insieme a questa scamerita risaltata al modo dello Sichuan, un riso pilaf bianco. L’altro lo adoro, gli voglio bene! Siate altri ogni tanto! Dal canale Youtube di Fabio Picchi

Classika

Una stella a Firenze

13 anni di furti al museo

Virtù in tutti i suoi sensi

di Gregorio Moppi

di Stella Rudolph

I

I

nfami: la parola che va gridata per questa fine d'anno. A proposito di due notizie che arrivano dal Sud. La più recente. Ai primi del mese scorso un vasto incendio probabilmente doloso ha distrutto il Museo dello strumento musicale di Reggio Calabria, 200 metri quadri in cui dal 1996 erano conservati circa 800 strumenti provenienti da tutto il mondo oltre a raccolte librarie, discografiche, multimediali. Per quantificare i danni ci vorrà tempo, ha spiegato alla stampa il direttore Pasquale Mauro. “Poiché è difficile attribuire un valore economico a 20 anni di raccolte o a spartiti di oltre un secolo fa ed è ancora più difficile valutare un organo del 1800 e chitarre artigianali dello stesso periodo”. Risale invece all'estate scorsa la notizia che un'intera collezione di preziosi strumenti di proprietà del Conservatorio di Palermo risulta sparita nel nulla. La denuncia della scomparsa di 25 violini, viole e contrabbassi datati 1600 e 1700 è stata fatta nell'ottobre 2012 dal nuovo direttore del Conservatorio. I carabinieri hanno scoperto in quell'occasione che i furti sarebbero avvenuti a più riprese, a partire addirittura dal 2000. Dalle indagini svolte in Europa e negli Usa emerge adesso che uno dei violini è stato venduto per 300 mila euro in un'asta londinese di Christie's al principio degli anni 2000, un altro si trova in una collezione privata americana. Cinque gli indagati con l'accusa di ricettazione, tra cui due violinisti insegnanti al Conservatorio. Evidentemente favoriti, nella loro opera, da tacite intese e indifferenza diffusa.

n questo cupo frangente della politica italiana non si sente nemmeno sussurrare la parola virtù, che invece occorrerebbe ripristinare, consigliare e proclamare quale essenziale antidoto alla corruttela che già avanti l’ultimo ventennio pervade quasi ogni ramo della nostra società. Certo, essa non è da circoscrivere nello stretto senso religioso bensì va applicata alle vicende umane che sottendono la partecipazione nella collettività. Dalla virtù esplicata dall’individuo discende il concetto di morale e dei valori espletati attraverso l’etica nel suo agire, come si evince dalle sculture che ornano la Loggia dei Lanzi in Piazza della Signoria a Firenze a lato del Palazzo Vecchio, allora sede del governo. Commissionata per l’appunto dalla Signoria nel 1350 su progetto di Andrea di Cione, di cui la costruzione compiuta nel 1376-82 da Benci di Cione e Simone Talenti, essa doveva servire per le assemblee e cerimonie pubbliche presiedute - non a caso - da statue delle personificazioni femminili delle sette virtù poste in alto entro formelle a compasso (eseguite su disegno di Agnolo Gaddi da vari scultori nel 1384-89): sulla facciata corta a sinistra le tre cardinali – fede, carità e speranza; e sulla fronte verso la piazza le quattro cardinali - prudenza, giustizia, temperanza e fortezza. Ecco riassunto, nella loro calibrata vigilanza entro un contesto squisitamente civico, i pilastri del buon governo. Si tratta di un severo ammonimento trecentesco, più che mai d’attualità, per esortare una retta condotta negli affari pubblici soprattutto quando congiunti a quelli privati.

Lista per riflettere: ONESTÀ GELOSIA INVIDIA LORO RUBANO FAME AVIDITÀ LABBRA CANOTTINO GRAZIE PREGO CAREZZA PIZZA DOLCINO SESSO AMORE SORPRESE SODDISFAZIONI Con queste parole si può volendo scrivere semplici storielle tanto per passare il tempo,ma sempre con un lieto fine mi raccomando.

Occhio di bue


Lasciate che i bambini

Culture e Costituzione: dal potere di pochi al potere di tutti di Tomaso Montanari

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uesto bellissimo murale, che si trova a Fabriano, è opera del Collettivo FX, un gruppo che “ha come obiettivo inquinare il cemento armato” attraverso incursioni ispirate all'articolo 9 della Costituzione. “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Sono queste le parole che vorrei affidare

In scena

di Tommaso Chimenti

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e tiri parole al vento tornano indietro come boomerang. E fanno male. Se le tiri a casaccio feriscono. E lasciano segni. Se le tiri come fosse cocaina intasano ad imbuto il cervello e fottono i neuroni. La parola è la più pericolosa delle armi, per chi sa destreggiarsi con consecutio e congiuntivi, per gli altri ci sono le mani. Parole e voce: ecco il teatro. La parola ci differenzia dagli animali. La parola ci salverà. Al Teatro della Pergola uno tra i pochi appuntamenti visibili e non polverosi proposto quest'anno: Na specie de cadavere lunghissimo (dal 3 all'8 dicembre), dedicato a Pier Paolo Pasolini, si concentra sulla figura austera e imponente e statuaria di Fabrizio Gifuni che sul piccolo e grande schermo ha sempre scelto di rivestire personaggi e ruoli corposi, di peso, da Alcide De Gasperi a Basaglia, da Aldo Moro a Papa Paolo VI. Na specie de cadavere fa idealmente il paio, in questo dittico bifronte, con L'ingegner Gadda va alla guerra, pluripremiato lavoro dello stesso attore romano che ricordiamo anche ne La meglio gioventù, componendo un'autobiografia, ma anche un'autopsia di una nazione. Parole, parole, parole, diceva la cantante per eccellenza. Quelle dal palco non sono mai tempo perso. Trittico poi diverso e dissimile ma legato, in declinazioni differenti, al suono ed alla potenza della parola sono i tre validi appuntamenti del Teatro Puccini che, dapprima con un gigantesco (in tutti i sensi) Giuseppe Battiston, in queste settimane al cinema con il delicato affresco di un Nord Est che va avanti a grappe Zoran il mio nipote scemo, impegnato in L'invenzione della solitudine (6 e 7) dove sviscera un rapporto turbolento figlio padre dopo la scomparsa di quest'ultimo, passando poi ai gialli della scrittrice per antonomasia di genere, Agatha Christie, con La tela del ragno (13 e 14), fino alle verità scomode e taciute per decenni raccolte dal magistrato Giuseppe Ayala in Troppe coincidenze (il 19) che inevitabilmente ci porta dentro le vite di Falcone e Borsellino. Uomini che le parole non le sprecavano mai invano.

al 2014. Nel 1948 la Costituzione ha spaccato in due la storia dell’arte italiana, assegnando a spiagge e montagne, a musei e a chiese una missione nuova al servizio del nuovo sovrano, il popolo: cioè di noi tutti. La storia dell’arte è in grande parte la storia del potere di re e papi, granduchi e tiranni, principi e banchieri: e per molti, molti secoli i suoi monumenti sono stati costruiti con denaro sottratto al bene

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comune. Ma la Costituzione ha redento questa storia: ha dato parole nuove ad una idea antica. Perché una tradizione secolare suggeriva che proprio l'arte e il paesaggio fossero leve potenti per “rimuovere gli ostacoli all'eguaglianza” e permettere il “pieno sviluppo della persona umana” (come vuole l'articolo 3). Mai come oggi possiamo misurare la forza di questa idea: in un mondo, in un Occidente e in

un'Italia sempre più dilaniati da una diseguaglianza profonda, la proprietà collettiva del paesaggio e del patrimonio artistico è un potente segno di giustizia sociale. L'arte e l'ambiente sono divenuti luogo dei diritti della persona, leva di costruzione dell’eguaglianza, mezzo per includere coloro che erano sempre stati sottomessi ed espropriati. È stata la promessa di una rivoluzione: sta a noi mantenerla.

L’orto

Diana Krall by James O’Mara

La potente voce dei campi di Stefano Pissi

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a quello che sento ancora raccontare, dalla viva voce di uomini ormai lignificati dal tempo, mi immagino la vita e le emozioni di questa gente che lavorando nei campi aveva con la natura un rapporto intimo..vitale. Sento dire e volentieri qui riscrivo, per fare memoria. Le genti di un tempo passato erano, specialmente i contadini, di poche parole, e sentimenti tirati… “i Figlioli e gli abbraccavano solo di Notte quande dormivano”, la vita era cruda. Quindi la comuncazione, quella verbale - la parola- era cosa rara ma di sicuro sentita; troppa fatica dire parole vane. E allora immaginiamoci i canti che si usavano durante le vendemmie o battiture del grano, per darsi un ritmo, per dimenticare la fatica fisica e darsi “l’anda” a ridurre al minimo l’attrito dei lavori…e allora forse erano bestemmie proprio, preghiere sentite le immagino io, arrabbiarsi sinceramente con DIO! Si poteva dare voce alla parola parlando solo con un Vitello chianino –la bestia Bianca- che tirava l’aratro e che magari si fermava a fare pipi o a brucare fronde d’olivo mentre invece doveva avanzare. Ai Pastori invece era assegnato il ruolo dei filosofi dei campi, guardare il gregge forniva loro molto più tempo per riflettere e anche leggere.. a loro il compito di tramandare a memoria la divina commedia o altri scritti antichi…a loro la voce serviva per richiamare all’ordine il gregge… urla animalesche. E adesso che nei campi c’è silenzio perché tornati incolti, il volome è alto solo in città, ed è dura superarlo… anche se il coro unanime degli Ortisti Urbani è in crescente ascesa, speriamo non sia moda momentanea.


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Gesti teatrali

Leonard Cohen by James O’Mara

A capo di Alberto Severi

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Gatti

Da Tel Aviv

A Chorus of Voices

Urla nelle strade

by Kate McBride

di Sefy Hendler

How do animals voice their needs? Through the kindness of strangers and organizations devoted to their well-being, endangered animals around the world find their voice. To remain silent, silences the last few Ivory-billed woodpeckers who live in the southeastern US and Cuba and are now considered extinct due to habitat loss through logging. The twenty or so Amur Leopards who live in the remote northern forests of eastern Russia’s Primorye continue to die off due to logging, encroaching civilization and climate change. Approximately three hundred and fifty Northern Right Whales who travel the US and Canadian Atlantic Coast get tangled in commercial fishing nets and have less food due to climate change. Illegal hunting and habitat loss still threaten the remaining five hundred Siberian tigers. Empathy and action sometimes bring about reversals of the trend toward extinction. The slow increase of the Bison population in North America is just one example. Though two species of animals face extinction every year in the UK, others have returned from the brink. Otters and water voles now live in the Tyne and Mersey rivers, both considered biologically dead in the 1960s. With the clean up of the waterways, numerous wildlife populations are able to survive. A simple google search locates the organizations and efforts underway around the world and details how everyone can add their voice to the effort of preserving the habitats that allow our fellow creatures, great and small, to survive. Let us hear choruses and not solos or the silence of vanished voices. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

Staino

ui tasti con le lettere dell'alfabeto e i segni d'interpunzione, si batteva più o meno come si fa adesso sulla tastiera del computer. Solo un po' più forte. Era la macchina da scrivere, o per scrivere: un dibattito senza fine si è acceso su quale ne fosse la denominazione più adeguata. Poi lo strumento è diventato obsoleto, e si è portato il segreto nella tomba. Anche allora, in epoca pre-telematica, gli scrittori con le dita, i dattilografi professionisti (di solito: le dattilografe) lo facevano, di scrivere, con arcano virtuosismo: facendo vibrare tutte e dieci le dita nell'aria, come pianisti provetti, e sfiorando lo strumento coi polpastrelli. Insomma, come oggi Matteo Renzi davanti al suo mac, in video-chat, ripreso in diretta dalle telecamere. Gli altri, invece, i profani, i cuperliani ante litteram, pestavano goffamente solo l'indice della mano destra, e, di tanto in tanto (soprattutto per la a , la e e la s), anche quello della mano sinistra. L'inverso per i mancini. Diversamente da adesso, la lettera dell'alfabeto non si visualizzava su uno schermo retroilluminato per chissà quali imponderabili corrispondenze fra tasto e circuito elettronico, ma si stampava sulla carta del rullo, allorché il tasto azionava una barretta tipografica con su inciso in rilievo il carattere, che un attimo prima di incocciare il foglio, tac! si trovava tirato su davanti un nastro inchiostrato. Ne uscivano le parole, la loro rappresentazione grafica in forma di lineari bacherozzi e serpentelli (precipitevolissimevolmente: pitonessa da Guinness!), non più impregnata – com'era in precedenza, nelle spire e negli arzigogoli della grafìa a mano – di personalità, di emozione, di memoria, di ansie e di aspettative. Parole rese dunque più astratte, forse più leggère, troppo leggère, insostenibilmente leggère, e però più leggibili. Lèggere la leggerezza. Scripta volant. “Parole, parole, parole”. Come risponde Amleto a Polonio, o Mina ad Alberto Lupo. Col computer, i piccì, i notebook, gli smartphone e gli i-pad, peggio mi sento. Parole sempre più leggère, e liquide, e anzi gassose, volatili, aeree (aria fritta?), dattilografi pianisti sempre più virtuosi e ammalianti nella loro teatrale gestualità. Ma, a proposito di gestualità. Allora, con la macchina da e per scrivere – di solito, guarda caso, una Olivetti: sia lode! – quello che davvero faceva la differenza, rispetto ad oggi, era il gesto per l'a capo. Un gesto che non corrispondeva a nessuna lettera, a nessuna parola. Se mai, nella mente, ad un mood, ad una disposizione dell'animo. Ed è proprio quella, sapete?, che oggi mi piacerebbe gridare, senza gridare parole, solo con un gesto, al limite accompagnato dall'urlo liberatorio della prima parte della locuzione a capo, la preposizione a trasformata in una pura interiezione di rivolta, e di rinascita: aaaaaaaaa aaaaaaaaaaaaaaaaaaahhh! Come nella terapia del primal scream teorizzata da Arthur Janov. Come nel magnifico finale di Benvenuti in casa Gori di Ugo Chiti e Sandro Benvenuti, rivisto di recente al teatro di Rifredi. Ricordate? Il rullo che supportava il foglio, via via che vi si scriveva sopra, si spostava verso sinistra (per carità: nessun retropensiero ideologico!), cosicché, arrivati a fine riga, sotto l'ammonimento di un campanellino dal suono grazioso e petulante, occorreva riportare rullo e foglio in posizione con un gesto rapido della mano. Ma, volendo, lo si poteva fare ad un qualsiasi punto fermo, senza terminare la riga, senza aspettare il campanello. Quanno ce vò, ce vò. Quel gesto deciso, orizzontale, così diverso dalle palpitanti oscillazioni postmoderne della digitazione sui tasti, incluso quello di invio, forniva come una cesura ritmata, un brusco ritornello. Oggi, teatralmente, diremmo un buio. Allora, invece, era quasi un... SIPARIO.

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8/12/2013

Molti Natali


Pieni d’Islam

Cinema

La tolleranza della natura

Parole sulla Senna

di Giovanni Curatola

di Juan Pittaluga

M

arie (parisienne, 20 ans) et Pietro (italien, 20 ans) marchent le long des quais de la Seine la nuit, l’hiver est froid. Un bateau mouche arrive doucement devant Notre-Dame. Sur ce bateau une jeune cinéaste Japonaise regarde le couple et rêve leur dialogue: Marie (douce) Est-ce bien nécessaire les paroles dans un film? Moi j’aime bien quand c’est que l’action qui explique les choses. Pietro Oui, mais alors tout est dans le flou, un film c’est une histoire. Une histoire doit être limpide. Marie Justement, il est temps qu’on raconte les histoires autrement. Un

film fait partie d’un nouveau langage, il faut qu’il perde le complexe de ne pas être un grand livre. Pietro Avant l’écriture, les hommes était primitif incapable de préciser leurs émotions. Marie Cette idée de précision déjà me paraît un peu trop soumise à l’écriture. Avant l’écriture il avait la parole et la parole n’est pas précise, comme l’émotion ne l’est pas. Pietro Quel est ton problème la parole ou l’écriture? Marie Les deux, une parole correspond toujours à un mot, si je ne peu pas écrire une parole elle ne peut pas être reconnu. Pietro Donc la précision de la parole est un progrès. Marie Mais non merde, tu ne

comprends rien, la précision est justement le problème est-ce que je suis précis quand je fait l’amour? Pietro Tu mélanges tout. Marie Peut être, mais aussi tu est tellement coincé, tu devrais penser out of ta box… Pietro Out of ma box? Voila des paroles! Marie (fort, sous le moteur du bateau) Avec ton corps espèce d’animal! Le bateau mouche éclaire brusquement les visages de Marie et Pietro. Pietro la surprend et l’embrasse. La jeune fille Japonaise les regarde encore. Le bateau s’éloigne. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

Il popolo del blues La memoria è nella musica di Giulia Nuti

A

(Questo cipresso ha 5000 anni)

L

a parola che mi viene in mente è intolleranza. Già nel Corano (III, 104) si dice “E si formi da voi una nazione d’uomini che invitano al bene, che promuovano la giustizia e impediscano l’ingiustizia. Questi saranno i fortunati”. E ancora (II, 62), “Ma quelli che credono, siano essi ebrei, cristiani o sabei, quelli che credono cioè in Dio e nell’Ultimo Giorno e operano il bene, avranno la loro mercede presso il Signore, e nulla avran da temere né li coglierà tristezza”. Si potrebbe continuare a lungo, a dimostrazione che nonostante l’interessata e falsa vulgata attuale, l’Islam (quello autentico, basato sul Testo, non quello delle manipolazioni, anche interne) è tutt’altro che intollerante. Ciò premesso, tanto per mantenere un minimo di coerenza col titolo di questa rubrica, titolo che cerco sempre di rispettare (almeno un pochino) nei contenuti, sia concesso dire che un po’ di bella e sana intolleranza è davvero necessaria, oggi. Verso gli imbelli imbecilli (“la differenza fra la stupidità e la genialità è che quest’ultima ha i suoi limiti”, leggevo recentemente), verso i furbi (stessa radice di furto), verso i ladri del passato, presente e soprattutto futuro, verso i colleghi (ignoranti come capre e dunque saputelli), verso i manipolatori di professione, verso gli illusionisti della parola, verso tutti gli evasori, verso tutti quelli che si vantano delle loro scorciatoie, verso gli arroganti, verso le persone (donne o uomini pari sono) maltrattate, verso il potere (qualunque, ovunque e per sempre), verso l’impudicizia della ricchezza ostentata, verso il chiagni e fotti, verso i prepotenti di tutti i colori, verso la cattiveria, verso tutti quelli che non protestano mai. Insomma il grido di battaglia è: intolleranza, ora e sempre. Ma poi verso una lacrima.

Di line e di lane Viva la voce di Lucia di Pietro Jozzelli

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avvocato Lucia Annibali ha 36 anni e, dall’aprile scorso, la faccia sfregiata con l’acido dal fidanzato. Ha detto ad un gruppo di giovani di Parma: “Ci vuole il coraggio di sopportare anche l’insopportabile, bisogna ritrovare la normalità che è stata rubata. Mandare al mandante dell’aggressione un messaggio preciso: hai voluto cancellarmi e non ci sei riuscito.” Lucia Annibali è stata nominata da Napolitano Cavaliere al merito della Repubblica, la più alta onorificenza italiana. Lei ha commentato: “È un messaggio ai violenti: state attenti, le donne non si sentono più sole”. Da tanto tempo non ho letto parole così dense dietro cui appare una donna con uno straordinario e calmo dominio di se stessa e del suo corpo. Viva Lucia Annibali che dice parole che nessuno di noi oserebbe dire, ma che ci spingono a riflettere - e non solo nella giornata contro la violenza sulle donne – sull’inferno quotidiano che tolleriamo sbadatamente accanto a noi e che vive del nostro egoismo di uomini. L’orrore è anche qui: scopriamo la brutalità solo il giorno in cui una donna dice “Io sono mia”, la dimentichiamo gli altri giorni quando appare scomodo rinunciare al dominio. Perciò appiccichiamo un cartello sullo specchio del bagno: “Lucia vive col volto sfregiato anche oggi”.

quarantacinque minuti di macchina da Brema, immersa nella campagna tedesca, c'è la sede di un'etichetta discografica più unica che rara in Europa. Si chiama Bear Family e persegue un obiettivo molto preciso: ricercare e scoprire materiale inedito, sconosciuto anche ai collezionisti più accaniti, restaurarlo, ristamparlo, renderlo disponibile per il pubblico in confezioni straordinarie con libretti di centinaia di pagine. L'idea è il frutto della passione (quasi mania) di Richard Weize, fondatore dell'etichetta nel '75, collezionista accanito di tutto quanto gli capiti per le mani. Quello che è accaduto in questi quasi quarant'anni di attività, attraverso il vasto catalogo dell'etichetta, è che il collezionismo si è fatto memoria. L'opera della Bear Family è fatta di attenzione, ricerca, esplorazione infinita di archivi su archivi. I loro box hanno immortalato le voci, le parole, le canzoni di chi altrimenti sarebbe rimasto dimenticato, all'ombra dei grandi nomi. Weize e i suoi collaboratori hanno fotogra-

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fato scene, raccontato fenomeni, immortalato cambiamenti. Un esempio del lavoro svolto? Atomic Platters, cofanetto dedicato ai sessant’anni dallo sgancio della bomba atomica con musica e materiale inerente a questo argomento (compresi consigli stravaganti all'epoca in voga, del tipo “in caso di allarme atomico, si raccomanda di ripararsi sotto un tavolo”). L'opera più ambiziosa della Bear Family è però probabilmente una: Beyond Recall, cofanetto con 11 cd, un dvd e un libro di 516 pagine che raccontano la storia, oscurata e distrutta dal nazismo, della musica ebraica a Berlino nei primi anno '30. Il lavoro è stata una caccia al tesoro alla ricerca di tutti quei documenti sonori sulla musica ebraica che il nazismo tentò di distruggere, restaurandoli, dando loro nuova forza, restituendo loro a oltre sessant'anni di distanza la voce che gli era stata tolta. Come Weize l'ha definito all'epoca della pubblicazione, “una prova della vittoria della vita sulla morte”.

Dob Dylan by James O'Mara


Da Alcatraz Ci mancano le parole per dire… (Parole nuove per pensare idee nuove) di Jacopo Fo I termini si formano parlando e più parli di un argomento più parole nascono. Le parole che mancano sono il segno di una censura culturale. Gli eschimesi hanno tante parole per indicare la neve (secca, friabile, fresca, farinosa) gli arabi ne hanno una sola. A scuola ci insegnano che i sensi sono 5. Ma se fai un esame di medicina e dici che i sensi sono 5 ti bocciano perché sono 6. Quello che noi comunemente chiamiamo sesto senso (quello soprannaturale) in realtà dovrebbe essere il settimo senso. Il sesto senso è la propriocezione, il senso dell’ascolto di sé, le sensazioni che senti dentro. È talmente importante che l’hanno diviso in una ventina di sottosensi (il senso del piacere, del dolore, dell’equilibrio eccetera). È grazie alla propriocezione che sentiamo le emozioni fisicamente e non solo come stati mentali. Nell’italiano parlato non esiste una parola per indicare la propriocezione, che è una parola tecnica, inventata a tavolino, non un lemma che si è formato a furia di macinare concetti con la bocca. E questo ci dice che la nostra cultura non è rivolta all’ascolto di sé. Il guerriero non deve ascoltare le emozioni che sente, sennò sarebbe preda dell’amore e della pietà empatica. Non sarebbe disposto a lasciare la sua bella per andare alla guerra e non potrebbe sgozzare donne e bambini senza sentire il loro dolore (vedi neuroni a specchio). Ma l’elenco delle parole mancanti è lungo e ognuna sottintende qualche cosa che non si vuol vedere. Nell’italiano parlato non esiste la parola che indica la frigidità maschile (eiaculazione senza orgasmo), anche perché questo fatto e tanto diffuso quanto sconosciuto. Già gli antichi romani parlavano di tristezza post coitum, segno che il loro essere guerrieri sadici, stupratori seriali, impediva loro il rilassamento, l’ascolto, l’empatia e l’abbandono che danno la misura al piacere sessuale (vedi propriocezione). La frigidità maschile viene chiamata adenia, altra parola inventata a tavolino, termine che trovi sui dizionari medici ma è assente nella maggioranza dei manuali di sessuologia ad uso delle masse. Quando a 20 anni sperimentai questa adenia chiesi in giro agli amici se ne sapevano qualcosa. Mi guardavano sconvolti. Sei hai fatto sesso con una donna bellissima per tutta la notte e non ti è piaciuto il tuo problema è che sei frocio. Il maschio conquistatore gode sempre della conquista. Sì ma è godimento psi-

cologico… I mafiosi dicono: meglio comandare che fottere. Un’altra realtà che viene indicata solo con una parola artificiale è detensione. Siamo abituati a pensare allo stato dei muscoli in termini di contrazione e rilassamento. Ma se ti metti ad ascoltare puoi accorgerti che esiste un terzo stato muscolare: il muscolo non è né rilassato né contratto, è tonico, energeticamente carico ma non è contratto neppure un po’, è elastico e pronto a scattare. È uno stato essenziale nelle arti marziali perché permette di muoversi con una velocità impressionante (l’essere umano sa essere spaventosamente veloce. Lo scatto del cobra ha una durata di 6 centesimi di secondo. Una persona allenata riesce a fare un movimento simile con il braccio e la mano in 4). È una scoperta recente, solo a partire dagli anni ’90 si scoprì che le misurazioni della velocità umana erano completamente sbagliate. Se usiamo il cervello istintivo siamo 5 volte più veloci di quel che si credeva. Le parole che mancano, appena ne parli, sono come una collana, vengono fuori una via l’altra. Manca la parola per indicare il cervello istintivo (ho messo il pilota automatico per guidare fino a casa), la muscolatura emotiva (che è anatomicamente diversa, come ci spiegano i medici), l’energia emotiva (mi prudono le mani, ho il sangue agli occhi, il Chi, Ci, Qui o Ki dei cinesi, a seconda della traslitterazione caotica), il punto di forza del ventre (un omm’e panza, l’Hara dei giapponesi). E mi fermo qui. E quanti sono i sapori? Noi ne contiamo 5: salato, dolce, amaro, acido e piccante; i cinesi ne contano 6, quello che ci manca è intraducibile, generalmente per indicarlo in italiano si usa la parola putrido, completamente sbagliata. Il sesto sapore contiene quell’aroma particolare del tartufo, di certi formaggi forti e del caviale. Questo vuoto di concetti, che sottintende una censura di emozioni, piacere, e natura selvaggia dell’umano, è particolarmente accentuato nella nostra cultura guerriera. I Trukese e i Yapese della Micronesia negli ultimi 20 mila anni si sono dedicati essenzialmente a scopare, guardare le stelle e inventare nuovi modi di condire i gamberetti. Non hanno mai combattuto una guerra. L’episodio più cruento della loro storia è avvenuto nel 1314 ed ha raggiunto il livello di intensità di una rissa da stadio. Poi hanno pianto tutti insieme. Essi hanno una ventina di parole che indicano particolari anatomici

dell’area sessuale, sensori del piacere e muscoletti che a noi ci mancano (tanto). I Sudafricani, neri, unico popolo al mondo che dopo la vittoria abbia rinunciato alla vendetta contro i torturatori e i boia (vedi Tribunali del Perdono) hanno un termine, ubuntu che indica una filosofia, un codice morale e emotivo, un sistema di valori materiali, un criterio di reciprocità e di cortesia formale in un unico lemma. I cinesi parlano da millenni di quella che per loro è l’essenza della tattica esistenziale e profonda conoscenza dei meccanismi cardine dell’universo: in italiano viene tradotta spesso con inazione, lemma che non fa giustizia del concetto originario. Si indica l’azione che compie il fiume quando vuole raggiungere il mare ma il suo corso viene interrotto da una depressione del terreno. Il fiume cessa di scorrere verso il mare ma non è inattivo, egli sta riempiendo l’avvallamento fino a che non riuscirà a tracimare oltre e riprendere la sua corsa. I cinesi pensano che questa azione sia essenziale perché permette di raccogliere le energie e perché ci permette di attendere il momento opportuno. Fare la cosa giusta non basta, bisogna farla nell’ora appropriata. Il 26 settembre 1988 fu ucciso dalla mafia Mauro Rostagno, con il quale avevo lavorato a Macondo, epico locale multialternativo milanese, immenso, chiuso manu militari dalla polizia con ridicole accuse di spaccio di droga. Scrissi un articolo su il Manifesto sulla fitta rete di connivenze e silenzi che sta intorno alla mafia e le dà il potere culturale di uccidere. Concludevo chiedendo come si definisce una persona che pratica l’omertà. Allora non esisteva l’aggettivo. Io ipotizzai omertoso o omerto. Quella sera ascoltai sorpreso lo speaker del Tg3 che leggeva integralmente il mio articolo. Oggi omertoso è entrato nei vocabolari. L’Italia sta cambiando. Nuove idee entrano nella testa della gente e la fanno parlare, e la pigrizia della bocca comprime i giri di parole in perfetti blocchetti sonori. Nehli anni settanta miei genitori realizzarono uno spettacolo che si intitolava: L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1.000, per questo è lui il padrone. Se vogliamo un mondo migliore dobbiamo farci le parole per dirlo.

Biodinamica

Palazzo Strozzi

Su/per/bìo/di/na/mici/sti/ché/spi/ra/li/dosol

Purplexing Paul

di Cristian Giorni

by James Bradburne

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ettere che danno senso e forma a parole pensate per condividere, spiegare, raccontare, comunicare, fare e disfare. Parole d'amicizia, familiari, fraterne, di circostanza, di ebbrezza, esperienza, stravaganza, umorismo, d'amore, d'odio, di comprensione, di incoraggiamento; per parlare. Parole che portano la forza del tono, del volume, del volere o del non volere. Arrivano al nostro orecchio come vibrazioni, codificate ed organizzate dalle masse organiche per eccellenza: cuore e cervello. Comunicare e trasmettere in modo chiaro un concetto o un'idea che possano suscitare la giusta o sperata reazione in coloro che ascoltano è un'arte; un'attitudine che da sempre si lega alla libertà di pensiero e all'empatia. In una certa epoca erano i filosofi e ancora oggi i politici, gli avvocati ad esercitare queste capacità. Il modo in cui il verbo venga utilizzato è spesso frutto di quello che vediamo intorno a noi. In biodinamica, la parola, assume un valore di assoluta precisione e mira alla dissipazione del dubbio attraverso l'osservazione degli eventi. Dall'osservazione, generalmente deriva uno stato d'animo variabile modulato dal soggetto osservato e vissuto. Di fatto, dovrebbe derivare una scelta o la coscienza di una nuova visione, che si aggiunge alla propria. Noi invece siamo abituati a formulare giudizi. A Siena si dice che il giudizio è divino. Siamo dotati di parola, oltre che di gesti, sensazioni, vibrazioni ed anima, tutto questo per condividere e capire, non per giudicare. La parola è creata dalla materia attraverso il

pensare e crea materia nell'essere pensata e parlata. La forza pensiero. Masaru Emoto e prima Jacques Benveniste si sono occupati di studiare la memoria dell'acqua. Anche mentre si studiava il virus dell'Hiv, questa peculiarità si manifestò in modo evidente. In biodinamica, la forza vibrazionale e creatrice di forme, si utilizza per effettuare analisi di vitalità sulla sostanza organica che ci interessa valutare. La Cristallizzazione Sensibile. La vita si muove sulle vibrazioni, sul ritmo e sulla natura del pensiero che genera la parola e l'azione. Pensate a cosa mangia un toro o uno stallone. A noi dicono che per farci i muscoli, ci serve la ciccia. Lo scopo di un alimento è quello di farci pensare bene e non solo per dare struttura alla materia, alla carne, temporanea ed effimera componente umana. Mangiamo per pensare e se pensiamo bene, parliamo bene e ci atteggiamo meglio. Chi mal pensa, mal fa. Mangiare una carne sana cotta in modo appropriato, così come una verdura ben coltivata, un frutto di mare o altro, alimenta la nostra capacità di essere e quindi di concepire pensieri propri, di saper formulare le giuste parole e di vivere vivendo, osservando per comprendere e scegliere. Anche solo nell'atto della spesa e del cucinare. La parola è ritmo e tono, si correda di gesti ed espressioni che ne determinano il senso, l’intenzione, sfiorando corde inconsce del no-

stro sentire. Il fatto è che in questa società, comoda e schematica, ci abituano a non parlare e prima ancora, a non avere un libero pensiero e quindi a non sentire. Ci siamo persi l'arte di risvegliare i sensi attraverso il corteggiamento e dobbiamo fare corsi di sommelier per capire se un vino ci piace o no. Certe cose, con le parole in effetti non si spiegano. Parlami d'amore o descrivimi la sensazione che hai mangiando un buon piatto o bevendo un buon vino o vedendo un bel panorama o facendo l'amore. Ognuno di noi, in quell'intimo momento, non saprebbe come codificare quella sensazione così vicina al divino, all’anima tanto da non avere parole. Semplicemente direbbe che sta bene, o buono, o bello. Quindi, ognuno di noi in verità, è in grado e libero di scegliere e di esprimersi. La vera libertà è quella di poter formulare un pensiero e poi un'azione, per poi cambiare ed evolvere la propria idea. Ognuno di noi nel suo intimo conosce e vive la possibilità e il peso di dare visibilità al proprio pensare. I social network nel bene e nel meno bene, ne sono testimoni. Cosa era un tempo l'agorà, se non questo. Una piazza dove discutere ed evolvere il proprio pensiero in funzione del bene collettivo, quindi personale. Chiudete gli occhi e immaginate cosa poteva essere la forza di una piazza dove il verbo si corredava di quell’intenzionalità legata agli strati più sottili dell’essere. Oggi si parla di rivoluzione di massa, un tempo di rivoluzione di pensiero.

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aul was six and Paul was proud. Paul could read. He could read small words like red, and cat, and bath. He could read his own name, Paul, and the names of his brothers Bob and Bill, and his sister Kate. Paul could even read longer words, like rubber and boxcar. But most importantly of all, Paul could read purple. Paul thought that if he could read the word purple, he possessed the key to reading everything, and he made no secret of it to his friends. “I can read the word purple”, he said to Jason, who was only five and couldn't make the 'th' sound in bath (it came out like bat instead, which embarrassed Jason and made everyone laugh). “I can read the word purple”, he said to Jeremy, who was eight, but wasn't very good at reading yet. 'I can read the word purple' he said to his sister Kate, who said he was just being silly and unbearable and pompous, and that many people could read the word purple (but Paul didn't believe her). Paul was very proud of being able to read the word purple, and was just about to ask Sasha if he could, when a funny man in a purple hat and purple blue jeans came up to him and said - “it's all very well and good to read the word purple, but can you read the words in purple?” “What do you mean”, asked Paul, somewhat taken aback. “Try reading this”, said the funny man, and opened a large purple-bound purpleback book, which he fished out of his purple leather backsack.

P U R P L E

u rple porpoises pursue purple purposes as they slurp and slither through the sibilant seas surping purloined places purple people pause purplexed to peruse their placid playmates as they chase the pallid dolphins in the dappled dawn egal painted paladins prance primly on their purple palfreys parading on the shore beside the shining sea ausing for an instant to place another palmprint on the palimpsest of the strand the paladins write palindromes as the water laps their hands aughing riding four-in-hand and hansom the purple-painted potentates pipe the praises of the passing panoply of porpoises plunging in the foam xceptionally pleased with their porpoiseful playfulness they pause once more to peruse their purpose before setting off to see

We will never know if Paul managed to read the poem, as the poet and Paul both disappeared in a purple puff of smoke, leaving only a worn leather strap from the backsack lying forlorn and purple on the pavement. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

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Power of Voice 5

Ri-cercata La chimica nelle parola di Clara Ballerini

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l mondo della ricerca crea parole nuove senza sosta e spesso lo fa utilizzando vocaboli greci e latini in un modo che Omero e Catullo mai avrebbero immaginato. È stato calcolato che negli ultimi cento anni la scienza abbia fornito più vocaboli di quanto abbiano fatto molti testi di letteratura. Questa incredibile produttività lessicale, questa necessità di parlare con una lingua nuova insegue la produttività scientifica: sono le scoperte che hanno bisogno di urlare parole nuove. La creazione di neologismi avviene fuori da ogni regola, se escludiamo i nomi dei prodotti chimici, e le parole completamente libere a volte diventano gergo comune, a dispetto di chi proprio non sopporta che la parola allergia da descrizione di una precisa reazione del sistema immunitario, diventi metafora di un’emozione magari verso un collega che non ci piace. Capita anche di sentirsi travolti da questo fiume di parole, dalla furia tassonomica che ci prende ogni tanto, che ci fa dividere la realtà che osserviamo e che con difficoltà proviamo a raccontare in tante parti con altrettante parole, che rischiano, alla fine di essere vuote; ed è qui che Shakespeare ci consola di questa paradossale perdita di comunicazione con parole in poesia: A rose by any other name would smell as sweet.

Elvis Costello by James O'Mara

l’AMBASCIATA teatrale - Direttore responsabile: Raffaele Palumbo. Segreteria: Giuditta Picchi, Francesco Cury. Illustrazione pagine centrali di Giulio Picchi. Anno V Numero 10 del 1/12/2013. Autorizzazione n°5720 del 28 Aprile 2009. Sede legale e redazione Via dei Macci, 111/R - 50122, Firenze. Ed. Teatro del Sale info@ ambasciatateatrale.com. Stampa Nuova Grafica Fiorentina, via Traversari 76 - Firenze. Progetto grafico: Enrico Agostini, Fabio Picchi. Cura editoriale: Tabloidcoop.it

SI RINGRAZIA

CONTI CAPPONI [conticapponi.it] MARCHESI MAZZEI [mazzei.it] MUKKI [mukki.it] CONSORZIO PER LA TUTELA DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA TOSCANO IGP [oliotoscanoigp.it]

Perle del Sale Al Teatro del Sale il 2013 chiude veramente in Bellezza. Martedì 3 dicembre apre la serata una grande cena artusiana, realizzata in collaborazione con Casa Artusi. Subito dopo, sul palco una doppia presentazione. Con le letture di Maria Cassi, presenta Raffaele Palumbo. Fabio Picchi con il suo ultimo libro “Ho fame di te e di paradiso. Appunti di cucina e intingoli per la voglia di cucinare bene e affrontare i prossimi 1000 anni” (RaiEri). Un nuovo intensissimo capitolo del Picchi cuoco, scrittore, evocatore di memorie familiari e dei territori amati, del Picchi “politico” capace di far transitare da ricette meravigliose, pensieri necessari sulle nuove relazioni di cui abbiamo bisogno, su di un nuovo pensiero individuale e collettivo che ci costringa ad interrogarci sul nostro ruolo qui, oggi, come comunità territoriale e insieme planetaria. L'altra metà dell'appuntamento “Due libri si incontrano al Sale”, si chiama “Artusi e la sua Romagna”, di Luciana Cacciaguerra, Piero Camporesi e Laila Tentoni. Il giorno successivo è la volta di un appuntamento imperdibile per tutti amanti di quella stagione musicale straordinaria che ha visto la musica americana svettare nel XX secolo. Protagonista la Main road band composta da Satyamo Hernandez - voce solista, chitarra, percussioni, Luca Burgalassi – voce, chitarre, armonica, slide guitar, banjo, Franco Ceccanti - voce, chitarre, Alessandro Sassoli - voce, chitarre, mandolino. Giovedì 05 dicembre l'appuntamento è con Brigan. Tre musicisti provenienti dal sud Italia, uniti dall'interesse per la musica e la cultura celtica che li ha spinti a battere una nuova strada: contaminare la musica dell'area celtica con la musica della loro terra di origine. Un esperimento perfettamente riuscito capace di tenere insieme tradizione e contaminazione. L'utilizzo della pizzica, della tammuriata e di altre ritmiche popolari miscelate con An dro bretoni, jig e reel irlandesi e Muineire galiziane e l'utilizzo di strumenti sia della tradizione celtica che di quella del sud italia caratterizzano il loro nuovo lavoro. Venerdì 06 Alessandro Parenti presenta Il giardino della pietra fiorita, uno affascinante ensamble di organetti che riunisce i suoi allievi di organatto a 8, 12 e 18 bassi. Tre generazioni di organettisti diversissimi tra loro, non solo per età, ma anche per provenienza ed esperienze. L'ensamble si avvale della partecipazione straordinaria di Daniela Evangelista alla coreografia e alla danza e di Laerte Scotti all'organetto. Il Giardino della Pietra Fiorita propone un concerto spettacolo di musica, poesia e danza: uno sguardo inedito sul percorso di questo strumento, nella continua ricerca dei contenuti artistici. Sabato 7 dicembre, arriva Rabarbari, tra blues e swing, da Paolo Conte a Billy Joel, torna al Teatro del Sale il trio già apprezzatissimo nelle passate stagioni. Martedì 10 l'evento è invece tutto gastronomico, con la cena dedicata al libro “Street Food all'italiana” di Gigi e Clara Padovani (Giunti Editori). Per l'occasione Mauro Uliassi, con la sua porchetta, affiancherà in cucina Fabio e Duccio Picchi con le loro trippe e lampredotti. Dopo la chiusura di mercoledì per un evento privato il Teatro del Sale propone giovedì 12, Memoria. Storia di una famiglia teatrale. Con Enza Barone, Loris Seghizzi e la partecipazione di Walter Barone. Video a cura di Michele Fiaschi. Elaborazione del suono di Mirco Mencacci. Effetti sonori Piergiorgio De Luca. Regia di Loris Seghizzi. A seguito della pubblicazione del libro “Memoria, storia di una famiglia teatrale”, scritto da Francesco Niccolini e Loris Seghizzi e edito da Titivillus, Scenica Frammenti presenta lo spettacolo che racconta la storia di Vincenza Barone e della Compagnia. Memoria è la storia di una “famiglia teatrale” nata agli inizi del ‘900. L’opera è il frutto di una lunga ricerca nell’archivio storico della compagnia composto da innumerevoli copioni, fotografie, costumi e ancora libri, scritti, scene ed oggetti. Di scena venerdì 13 dicembre al Teatro del Sale gli “Artemente”, con le loro rielaborazioni dei grandi classici. Questa volta tocca ai Pink Floyd, riletti con grande credibilità dal gruppo pop/rock nato più di dieci anni fa e composto largamente da operatori sanitari. Musica suonata con passione e per passione, senza dilettantismi, ma con la precisione di chi ha alle spalle un centinaio di concerti, tutti fatti per beneficenza. Sabato 14 dicembre Sergio Staino presenta Meri Lao e il suo Dizionario maniacale del sette. Con l'accompagnamento di 7 tanghi per fisarmonica eseguiti in scena da Gianni Coscia con l'autrice. Meri Lao, 85 anni, una vita che vale dieci romanzi, ha ultimamente composto questo Dizionario con 707 voci e copiose immagini a colori che rintracciano la presenza del numero 7 nelle civiltà più distanti del pianeta. Elenchi sgranati di 7 famosi e di 7 poco conosciuti si intrecciano, apportando nuove possibilità combinatorie e inattesi significati. In rigoroso ordine alfabetico si vede il 7 passare dall'insetto alle costellazioni e attraversare la geografia, la matematica, la letteratura, l'arte, la musica, la religione, la scienza, la storia, la psicologia, la retorica, i linguaggi, le fiabe, i giochi, le tradizioni popolari, lo sport, i fumetti, i manga, il cinema. Le poesie e le canzoni sul tema del 7 figurano nella loro lingua originale. Dal 17, torna Maria Cassi, con l'acclamatissimo Attente al Lupo. Da Adamo ed Eva a Maria Cassi, con le musiche in scena di Marco Poggiolesi. E infine Maria Cassi chiuderà l'anno mettendo in scena “Fuochi d'artificio”, facendo rivivere tutti i suoi personaggi nati nei primi dieci anni del Teatro del Sale.


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