Affari di Gola dicembre 2021- febbraio 2022

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Anno XXI n. 5Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento PostaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo€ 2,60 LA BUONA TAVOLA RACCONTATA DA affaridigola . it DICEMBRE 2021 - FEBBRAIO 2022 Un Natale con il sorriso FACCIAMO VIVERE LA MAGIA ANCHE SULLE NOSTRE TAVOLE

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È GIÀ TEMPO DI NATALE

TUTTI UNITI

Speriamo di festeggiare un Natale senza restrizioni e più sereno dello scorso anno. Un Natale di vicinanza ai nostri cari e di buona cucina. All’insegna del bello e del buono.

TUTTI UNITI

E cosa c’è di meglio per un Natale indimenticabile se non il cenone e il pranzo delle grandi occasioni? Come da tradizione e con la tradizione.

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Perchè associarsi

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Per essere rappresentato e tutelato nei rapporti con le istituzioni, le amministrazioni pubbliche e le parti sociali

È una festa all’insegna del territorio, perché il Natale resta speciale con quello che si ha, da duemila anni. Ma può essere anche una festa ricca di proposte straniere ed esotiche, da tutto il mondo, perché progresso e globalizzazione hanno ampliato i nostri orizzonti e contaminato positivamente la cucina.

Per qualcuno, infatti, il Natale è il piatto cucinato in un modo speciale, magari secondo una ricetta segreta. Per altri è la voglia di provare qualcosa di nuovo, innovativo e inebriante nell’atmosfera, nel gusto e in tutti gli altri sensi.

Tra tradizione e innovazione, resta però il fatto che il Natale sa sempre come accontentare tutti commensali.

Con la materia prima, ricca o povera, ma sempre genuina.

Con la creatività e l’arte di chi sa manipolarla, cuocerla e proporla.

Perch è associa

Con la capacità di stupire e rendere indimenticabile il momento, come sanno fare i nostri ristoranti.

Per avere un punto di riferimento al quale puoi rivolgerti ogni giorno per qualsiasi esigenza

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Per avere facile accesso al credito e beneficiare di bandi, finanziamenti e agevolazioni.

Buon Natale a tutti con l’augurio di una reale ripartenza.

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e facile accesso o e beneficiare di nanziamenti e zioni.

informato sulle novità normative e conoscere l’andamento dei trend di mercato.

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Collaboratori: Lara Abrati, Sergio Cotti, Rosanna Scardi

Progettazione grafica: Samanta Cattaneo, Mozzo, Bg

Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

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Un classico
22. L'intervista a Fulvio Marino 26. I marrons glacés 30. Dalla trippa alle trippe 32. Il Foodpairing 34. In evidenza 39. Leggere di gusto S OMMARIO
icembre 2021 - F ebbraio 2022
Direttore EDITORIALE
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Pane in festa Il futuro della ristorazione parla digitale La mostarda I piatti della devozione
di Natale: le insalate di rinforzo
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Oscar Fusini
Direzione
Redazione:
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Pubblicità: Ufficio Marketing Ascom Confcommercio Bergamo, via Borgo Palazzo 137, 24125 Bergamo tel. 035.4120111, marketing@ascombg.it Abbonamenti: Iniziative Ascom S.p.a. via Borgo Palazzo 137 24125 Bergamo, tel. 035.4120322 - 035.4120182 Registrazione Tribunale di Bergamo – n. 48 del 22 novembre 2001
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Pane in festa

Siamo sempre più vicini al Natale e i capolavori dell’arte bianca, speciali nelle forme, nell’impasto e nel gusto, non possono mancare nelle tavole imbandite. I panini mignon, il pan brioche, o semplicemente il pane devono avere una marcia in più. Può essere data dalle forme natalizie come stelle, ghirlande e alberelli. E dal sapore speciale, quindi, l’impasto va arricchito. Va presentato in modo elegante, raffinato, magari decorandolo con nastri e fiocchi rossi, posizionandolo su un vassoio al centro della tavola con tante erbe aromatiche e bacche rosse portafortuna per rendere meglio l’effetto scenografico. Oppure può essere servito in monoporzione, come segnaposto semplice e buono.

IL “GRANPANE”, PAN BRIOCHE

E MIGNON A TREVIGLIO DA TESTA

In origine il panettone non era nient’altro che un grosso pane che veniva consumato dalla famiglia riunita solennemente a tavola. Lo stesso panettone di pane è proposto dal panificio Testa di Treviglio. «È un pane, con aggiunta di grassi vegetali per renderlo più morbido, che viene messo a lievitare nella confezione del panettone, in questo modo è costretto ad assumere la forma a cupola che tutti conosciamo – afferma il titolare, Matteo Testa -. Particolarmente scenico, si taglia a fette proprio come il dolce tradizionale». Altra specialità, che si sforna su ordinazione, nelle feste è il pan brioche, dal tipico colore giallo, a base di farina, lievito, uova, grana, latte o panna e pochissimo zucchero, dal retrogusto leggermente dolciastro e spennellato con il tuorlo che gli conferisce l’aspetto lucido. Realizzato in cassetta, si affetta ed è l’ideale per essere farcito con salmone e paté. «È un impasto della brioche “sbagliato” - aggiunge Testa -. Preso dalla tradizione francese, ha conquistato oggi anche i nostri palati». Altre specialità sono i panini in formato mignon con impasto di segale, quinoa e amaranto, farro, dieci cereali, arricchiti di semi di sesamo, papavero o di rosmarino. E l’immancabile panettone gastronomico farcito a strati con pesce, salumi e verdure.

LA CIAMBELLA FARCITA SFORNATA A BREMBATE DA CASATI

Non solo bella da vedere, ma anche ottima da gustare. Francesco Casati, nel suo panificio a Brembate, usa tutta la sua creatività per sfornare una deliziosa ciambella realizzata con la pasta del pane. «Stendo l’impasto come se fosse una focaccia rettangolare e sottile o una ciabatta, idratata al 60 per cento, sopra aggiungo un leggero strato di olio, uno di pomodoro, poi speck a fette, uova sode posizionate a distanza di due centimetri una dall’altra e, in quello spazio, inserisco la mozzarella. Arrotolo il tutto, lo metto in una teglia per ciambella da 26-28 centimetri e spennello con l’olio, poi con la forbice faccio dei taglietti per far uscire un po’ d’aria», spiega il panettiere. Il tutto viene fatto lievitare in forno. La ciambella è venduta su ordinazione oppure a fette. In tavola può essere servita

con una candelina rossa al centro o guarnita con delle pigne. Ma c’è anche una variante dall’aspetto che ricorda la torta di rose. «In una teglia colloco 12-14 palline sempre fatte con la pasta della focaccia, da 30 grammi ciascuna, le stendo a mano e, in ognuna, metto una piccola farcitura come mozzarella, olive e cubetti di mortadella, aggiungendo sopra i semi di papavero, sesamo e granella di pistacchio - prosegue -: lievitando, i panini rotondi si gonfiano e si attaccano insieme». In tavola sono facili da staccare e possono essere serviti come focaccine da antipasto.

LA CRESCIA UMBRA PORTATA

A TREVIOLO DAI FRATELLI FINAZZI

Alex Finazzi si è innamorato della crescia di formaggi dopo un soggiorno in Umbria e ha deciso di sfornarla nel panificio che gestisce con il fratello Elia a Treviolo. «Si presenta come un tipo di panettone gastronomico - spiega Alex -. L’impasto è sostanzioso, ci sono uova, burro e latte, ma anche un mix di formaggi stagionati e morbidi: pecorino, emmental, grana, più il pepe, che conferiscono un profumo unico, capace di convincere anche i più scettici a provare questa squisitezza». La crescia è servita nel cartone del panettone, si taglia a fette ed è perfetta per accompagnare gli antipasti nelle tavole delle feste. Un’altra specialità sono i panini coloratissimi, buoni e belli da

5 dicembre 2021 - febbraio 2022
I
ARRICCHISCONO CON GUSTO LA TAVOLA DI NATALE
di Rosanna Scardi
CAPOLAVORI DELLA PANIFICAZIONE

vedere: gialli per la curcuma, rossi per il riso rosso fermentato, viola per la barbabietola, azzurri per la spirulina, verdi per i semi di canapa, neri al carbone vegetale. Sfornati durante l’anno in pezzature grandi, sono realizzati in formato mignon per le feste. Si chiamano “superfood” e sono prodotti alimentari che conferiscono benefici per la salute derivanti da un'eccezionale densità di nutrienti. Ma soprattutto portano quel colore e allegria in tavola, che non possono mancare a Natale.

IL CENTROTAVOLA DECORATIVO DI MOROSINI A TORRE BOLDONE

Il centrotavola di pane è un modo originale e goloso per arricchire la tavola delle feste. Nella sua semplicità permette di far fare una bella figura con amici e parenti invitati, non solo per la bontà, ma per la forma. Ogni commensale potrà assaporare la sua fetta e accompagnarla con quello che preferisce. A prepararlo, su ordinazione, è il panificio Morosini di Torre Boldone. «È un’idea particolare che ha pure un’utilità - spiega il titolare, Ivan Morosini -. Sforno un centrotavola con una stella al centro e cinque buchi che possono essere riempiti con salse e antipasto oppure per posizionare delle candele, nastrini colorati o altri addobbi. E, per dare colore, uso la farina di barbabietola nell’impasto e poi lo spolvero per creare l’effetto neve». Ma c’è anche chi è affezionato al tipo di pagnotta (sia per impasto, sia per pezzatura) che consuma tutto l’anno. Ed ecco che viene resa unica dalla decorazione: si posiziona sopra uno stencil a forma di Babbo Natale o di stelle che poi sono spolverato con farina setacciata. Il risultato è un pane elegante per le feste.

LA GHIRLANDA DEL PANIFICIO BRAVI

A BAGNATICA

Anche Matteo Gabbiadini, titolare del panificio Bravi a Bagnatica, che porta avanti la tradizione del bisnonno Michele e del nonno Mario, sforna il centrotavola di pane. «È richiesto per impreziosire ancora di più le tavole imbandite di Natale, della vigilia, di Santo Stefano e San Silvestro,

quando tutte le famiglie si riuniscono - afferma Gabbiadini -. La forma è di una ghirlanda, composta da trecce e preparata con un impasto a base di farine di cereali o integrali, poi viene guarnita da semi di sesamo, lino e quinoa quest’ultima presente anche nell’impasto». Servita con un fiocco rosso, su un bel piatto o vassoio, darà un tocco di gioia sia all’atmosfera, sia al palato. Un altro prodotto d’eccellenza è il sormonté o panettone gastronomico, che viene guarnito secondo i propri gusti. «Appartiene alla categoria dei salati ed è l’ideale per un antipasto maestoso e scenografico, simile al pane, vede l’aggiunta di uova, zucchero e latte, è delizioso se farcito con prosciutto, salmone, fontina e salse a proprio piacimento», è il consiglio dell’esperto.

Il portapane boliviano per un “Natale di gioia”

È il pane il simbolo della campagna “Natale di gioia! La missione è dono” del Centro Missionario Diocesano realizzata in collaborazione con Ascom Confcommercio Bergamo e l’Associazione WebSolidale Onlus: un’iniziativa che da 17 anni si prefigge l’obiettivo di sostenere alcuni progetti legati alla fragilità in terre lontane e vicine, attraverso alcune iniziative che quest’anno potranno essere sostenute acquistando un grazioso portapane di tessuto in aguayo realizzato dalla comunità di Anzangaro, nel dipartimento di Potosì in Bolivia. Un gesto di solidarietà - che valorizza il significato del dono nell’individuare il pane nel suo valore simbolico e cristiano - per sostenere la campagna che vedrà impegnati anche panificatori bergamaschi con la produzione di biscotti a forma di cuore.

KANELBULLAR RICETTA

Ingredienti per realizzarne 12

Per l’impasto

3125 g di farina manitoba 3125 g di farina 0 37 g di lievito di birra 3125 ml di latte 335 g di burro 31 cucchiaino di zucchero 31 cucchiaio di formaggio grattugiato 31 uovo

3sale e pepe qb

Per la farcitura

32 mazzetti di spinaci (o di coste o altra verdura che preferite) 31 cipolla piccola

3Olio extravergine d’oliva 3100 g di formaggio fresco di capra 3sale e pepe qb 3semi di sesamo qb

Procedimento

In un contenitore fate sciogliere il lievito con lo zucchero e il latte tiepido.

A parte, in una ciotola, mescolate le farine e il sale, aggiungete il lievito sciolto nel latte, il formaggio, il pepe, il burro ammorbidito e l’uovo. Impastate finché l’impasto non diventa uniforme. Coprite la ciotola con un panno, mettetela in un luogo caldo e riparato e lasciate lievitare per due ore. A parte lavate accuratamente la verdura e fatela appassire in una padella con un filo di olio extravergine d’oliva e la cipolla; salate, pepate e unite il formaggio. Mescolate. Stendete l’impasto con un mattarello fino a ricavare un rettangolo di 40x30cm. Stendere il ripieno su tutta la superficie poi piegate dal lato lungo e con l'aiuto di una rondella e ricavate strisce larghe 2 cm. Attorcigliate ciascuna striscia intorno a due dita e poi avvolgetele a gomitolo per ottenere un ghirlandina. Disponetele sulla teglia coperte con un panno e lasciatele lievitare altri 30-40 minuti. Accendete il forno ventilato a 170°C. Spennellate con l’uovo sbattuto e cospargete con i semi di sesamo. Fate cuocere per 12-15 minuti.

6 dicembre 2021 - febbraio 2022 7 dicembre 2021 - febbraio 2022

DALLA GESTIONE DEL DELIVERY ALLA PIATTAFORMA PER TROVARE PERSONALE FINO AL MARKETPLACE DIGITALE B2B CHE METTE IN CONTATTO DIRETTO CHEF E FORNITORI: ECCO SEI REALTÀ FOOD TECH CHE STANNO RIVOLUZIONANDO L’HORECA

Il futuro della ristorazione parla digitale

Tra lockdown, restrizioni, normative e nuove abitudini dei consumatori, nell’ultimo anno il settore dell’HoReCa ha dovuto affrontare sfide sempre più complesse per superare le difficoltà del momento e adattarsi alla “nuova normalità” fatta di aperture contingentate, take-away e delivery. In questo contesto, gli strumenti digitali rappresentano un'ancora di salvezza per realizzare un modello di ristorazione innovativo che semplifichi e ottimizzi - soprattutto in una fase così complessa come quella della ripartenza - il lavoro di chef e ristoratori, per gestire più facilmente delivery e take away, aggiornare i propri menù anche a distanza, entrare in contatto rapidamente con produttori e agricoltori, ottimizzare tutti i processi.

Ed è partendo da tali premesse che nasce “Ristorante del Futuro”, progetto che affonda le sue radici ancora prima che la pandemia mettesse a nudo limiti e accelerasse la transizione digitale nella ristorazione. Nato come evento annuale tenutosi nel 2019 e nel 2021 ospitato da Epam-Confcommercio Milano, il progetto si sta infatti evolvendo in una vera e propria associazione che si pone come obiettivo quello di stimolare e promuovere l’innovazione nel comparto HoReCa e far emergere giovani realtà food tech operative al servizio dei ristoratori.

9 dicembre 2021 - febbraio 2022 dicembre 2021 - febbraio 2022

DELIVERISTO

DIGITALIZZARE E SNELLIRE LA FILIERA AGROALIMENTARE

Digitalizzare il settore dell’HoReCa e la filiera agroalimentare, per semplificare tutti i passaggi, dalla scelta di nuovi prodotti al confronto dei prezzi: è questa la formula promossa dalla startup Deliveristo, marketplace digitale B2B che mette in contatto diretto ristoratori e chef con i fornitori. L’obiettivo principale di Deliveristo è quello di snellire i rapporti lungo l’intera filiera agroalimentare grazie alla messa a disposizione di un mercato in grado potenzialmente di ospitare tutti i fornitori garantendo un unico punto di fatturazione, gestione del pagamento e della logistica, oltre che un servizio di assistenza e consulenza sempre operativo.

Tra le realtà bergamasche che hanno scelto Deliveristo spicca Lina Food Lab della famiglia Amaddeo, che da sempre gestisce lo storico Da Mimmo di Città Alta: «Siamo stati tra primi a credere in questa piattaforma digitale che offre un’interessante selezione di prodotti di assoluta qualità ed eccellenza - conferma Roberto Amaddeo -. Del resto oggi un ristoratore ha sempre meno tempo per la ricerca e poter contare su un servizio che mette a disposizione tantissimi prodotti un'unica piattaforma è molto vantaggioso e consente anche di arriva prima degli altri».

EATSREADY I BUONI PASTO DIVENTANO DIGITALI

Prima azienda in Italia ad emettere buoni pasto digitali, EatsReady opera tramite una piattaforma che abilita pagamenti smart e servizi di mobile ordering per connettere aziende, dipendenti e operatori del settore della ristorazione e della Gdo. La soluzione assicura ad aziende e dipendenti un’esperienza nuova, semplice e intuitiva per offrire welfare benefit ai propri collaboratori, sostituendo l’utilizzo dell’app alle carte elettroniche o buoni pasto cartacei. E attraverso la creazione di valore per gli esercizi convenzionati, EatsReady riduce le commissioni e rende l’accettazione dei buoni pasto un processo rapido e privo di complicazioni a livello operativo.

HOTBOX IL FUTURO DELLE CONSEGNE A DOMICILIO

Nata nel 2016 a Maranello, Hotbox è l’azienda che ha creato l’omonimo forno professionale ventilato per le consegne a domicilio, alimentato a batteria con un cervello elettronico in grado di controllare la temperatura fino a 85°C ed eliminare l’umidità in eccesso, mantenendo intatta la fragranza e il calore del cibo durante il trasporto. Uno strumento tecnologico altamente innovativo, utile a migliorare la qualità del food delivery poiché consente a ristoranti, pizzerie e gastronomie di preservare la qualità dei piatti e della loro cucina durante le consegne, evitando che vengano serviti freddi e gommosi.

DISHCOVERY

L’AVANGUARDIA NELLA GESTIONE DEL MENU

Startup modenese con sede a Bologna, Dishcovery rappresenta l’avanguardia nella gestione dei menù proponendo un modello digitale, interattivo e multilingua per tutti i ristoranti italiani: l’obiettivo è quello di fornire un innovativo sistema gestionale su tutti i touch point digitali in tempo reale. Permette inoltre di superare le barriere linguistiche tra ristoratore e cliente straniero attraverso una soluzione tecnologica che traduce i menù in formato digitale, senza tralasciare dettagli sugli ingredienti che compongono ciascun piatto ma rendendolo facilmente condivisibile via mail, instant messaging, sms, social.

SCLOBY

ADDIO AI VECCHI REGISTRATORI

DI CASSA

Pmi innovativa nata nel 2013 e ora parte del Gruppo Zucchetti, Scloby ha creato un punto cassa e una piattaforma cloud multipiattaforma che sostituisce i vecchi registratori di cassa con un semplice tablet, smartphone o computer per una gestione smart delle vendite nel locale ed online. Ristoranti e negozi possono così gestire la propria attività in maniera efficace, integrando tutti canali di vendita, ed amministrare anche da remoto operazioni quotidiane come l’emissione degli scontrini, la fatturazione, la gestione del

magazzino. Ciliegina sulla torta la possibilità di realizzare siti e-commerce per mettere online i propri prodotti e ricevere gli ordini direttamente in cassa. I clienti possono così consultare prodotti e il menù e ordinare direttamente online, scegliendo sia il tipo di consegna (asporto o delivery) che la modalità di pagamento (alla consegna o in anticipo tramite il sito). «Oltre a essere molto intuitivo è anche un sistema completo - commenta Paolo Chiari, chef patron del ristorante Lalimentari in Città Alta -. Dal sistema cassa agli ordini al tavolo, dal magazzino alle prenotazioni. Ci ha consentito di agevolare e snellire il managment del locale anche se ovviamente o va tenuto sotto controllo e necessita di una buona connessione internet. Può essere controllato anche da remoto e questo consente di tenere tutto monitorato anche senza essere fisicamente nel locale».

JOJOLLY

LA PIATTAFORMA PER GESTIRE IL LAVORO NELLA RISTORAZIONE

Jojolly, primo marketplace dedicato alle prestazioni occasionali nel mondo della ristorazione, aiuta a semplificare la gestione delle risorse umane nell'ambito della ristorazione con la garanzia della qualità del servizio, agevolando tutti gli aspetti burocratici. Questo strumento permette la comunicazione tra tutti lavoratori (cuochi, bartender, baristi, camerieri, lavapiatti, hostess ecc.) e i ristoratori. L’algoritmo creato categorizza le attività commerciali in base a specifiche caratteristiche e lavoratori in base alle loro esperienze, garantendo il perfetto match tra le due parti e assicurando una prestazione occasionale in piena regola. JoJolly si basa su due portali differenti: il primo User Consumer per chi è alla ricerca di prestazioni occasionali, il secondo è invece il portale User Business, rivolto al settore HoReCa per ricercare le figure di interesse in base alla loro caratteristiche ed esperienze. Scelto il profilo interessato, basterà procedere con il pagamento per sbloccare le informazioni complete e contattare il lavoratore per eventuali standard di servizio.

«Quest’estate ho scelto Jojolly quando il problema della carenza di personale era all’estremo – spiega Francesca Locati, titolare di un ristorante Love Poke e due ristoranti Rosso Pomodoro a Bergamo e provincia -. Mi era stata suggerita da un collega ed è utile non solo per un’emergenza perché ti dà la possibilità di scegliere tra figure junior e senior. Inoltre ogni profilo ha le sue valutazioni con tanto di recensioni. Certo l’app vamigliorata nella gestione ma l’idea non è male anzi è rivoluzionaria per l’HoReCa».

10 dicembre 2021 - febbraio 2022 11 dicembre 2021 - febbraio 2022

Una preziosa cascata di frutta candita

Per tanti lombardi l’arrivo delle festività in tavola è sinonimo di arrosti e bolliti. E accanto a un bollito che si rispetti non possono mancare copiose razioni di mostarda, salsa verde, senape e salsa cren. Protagonista delle tavole lombarde fin dal Medioevo, la mostarda compare negli annali sul finire del Trecento; in tempi recentissimi un festival a Cremona, giunto quest’anno alla settima edizione, si propone di sdoganarla innanzitutto dalle province lombarde, ma anche dall’idea che questa colorata macedonia di frutta cotta e candita si possa utilizzare solo come accompagnamento alle grandi carni che spopolano nei banchetti di famiglia tra l’autunno e l’inverno. Insomma, proviamo a toglierci dalla mente il pensiero - ormai desueto e persino un po’ banale - che la mostarda sia solo un piacevole e variopinto contorno. Del resto, come ci ricorda Carla Bertinelli Spotti, autrice di libri sulla mostarda e depositaria della sua storia e dei suoi segreti, «l’abbinamento con le carni risale addirittura al 1397, quando Giangaleazzo Visconti chiese al podestà di Voghera che il suo speziale gli mandasse uno “zebro” di frutta candita senapata per accompagnare le carni della sua mensa. La prima ricetta scritta che parla di mostarda cremonese di frutta è invece del Seicento. In tempi molto più recenti, sono stati proposti interessanti abbinamenti con i formaggi, che ci consentono adesso di consumare la mostarda tutto l’anno e non solo nel periodo delle carni». Ma è nelle ricette che la mostarda si fa “ingrediente”, dando vita ad accostamenti interessanti, a volte azzardati e persino apparentemente improbabili. «Il festival chiama ogni anno a raccolta cuochi lombardi, chiedendo loro di rivisitare i piatti della tradizione – spiega Carla Bertinelli Spotti –.

Di recente abbiamo assaporato i classici tortelli alla zucca con ripieno di mostarda e un risotto con zafferano, torrone e mostarda, mentre uno chef napoletano ha preparato un’animella glassata con crema di mostarda». Attenzione, però, farla in casa – assicura l’esperta – è affare per pochi: «La frutta deve essere raccolta acerba, tagliata a fettine e ricoperta di zucchero – dice –. Va messa poi a riposare 24 ore. Il giorno seguente avrà rilasciato dell’acqua, la si raccoglie e se ne aggiunge un po’. Con lo zucchero rimasto si prepara invece uno sciroppo; si porta a bollitura e s’immergono le fette di frutta che devono bollire per un minuto. Si fa riposare il tutto altre 24 ore e il giorno seguente ripeto l’operazione. Quando tutto è raffreddato, è il momento di aggiungere 8-10 gocce di senape, che si possono acquistare nelle farmacie di Cremona. Più se ne aggiungono, più la mostarda diventa piccante». Ma come insegna la cucina tradizionale regionale, non esiste una sola mostarda. Eccone dunque alcune interessanti varianti, a seconda delle città e delle regioni di provenienza, con gli abbinamenti più indicati.

LA MOSTARDA DI VOGHERA

È quella, per intenderci, di Giangaleazzo Visconti ed è considerata la progenitrice di quella di Cremona. «È molto ricca di frutta e prevede ciliegie, albicocche, pere, mandarini, arance, pesche, fichi meloni e zucche: la frutta è intera

candita ed immersa in uno sciroppo di zucchero e glucosio aromatizzato alla senape». Oltre che con i bolliti, nel Pavese si abbina molto anche con i formaggi.

LA MOSTARDA DI CREMONA

A partire dal Cinquecento la mostarda si consolida come prodotto tipico di Cremona dove, alla fine del Settecento, erano già attive venti fabbriche, per lo più attività artigianali a conduzione familiare. La prima ricetta documentata risale al 1604 e si trova in un libro di Lancelot de Casteau, cuoco al servizio di Principi Vescovi a Liegi. In Belgio, molto probabilmente, arrivò alla fine del Cinquecento attraver-

RICETTA

RISOTTO ALLA ZUCCA, GIN E MOSTARDA DI MARRONI CON PORCINI SCOTTATI

di Gloria Valnegri

Ingredienti per 4 persone

3320 g di riso vialone

3300 g di zucca

3300 g di porcini

3Gin qb

3Brodo vegetale qb

3Parmigiano Reggiano qb

3Una noce di burro

34 cucchiai di mostarda di marroni 3sale e pepe qb

3semi di sesamo qb

Procedimento

Tostate il riso direttamente in pentola, sfumate con il gin e aggiungete un mestolo di brodo di verdure e la zucca che avrete precedentemente grattugiato sottilmente. Nel frattempo in un pentolino cuocete i dadi di porcini con una noce di burro fino ad ottenere una crosticina croccante. Aggiustate di sale e teneteli in caldo.

A cottura ultimata mantecate il risotto con un cucchiaio del succo della mostarda e un poco di Parmigiano Reggiano. Impiattate adagiando la mostarda di marroni alternata ai funghi e servite.

13 dicembre 2021 - febbraio 2022
LA MOSTARDA NON MANCA MAI SULLE TAVOLE AUTUNNALI E NATALIZIE IN ABBINAMENTO CON LE CARNI O CON I FORMAGGI. LE RICETTE VARIANO DA CITTÀ A CITTÀ E CIASCUNA HA LA SUA PECULIARITÀ
di Sergio Cotti

so i numerosi mercanti cremonesi presenti in quegli anni nelle Fiandre. La ricetta classica della Mostarda cremonese prevede l’utilizzo di diversi tipi di frutta intera, talvolta a pezzi, sciroppo di zucchero ed essenza di senape; esistono anche le versioni a frutto singolo che riprendono la stessa ricetta. Buona con grigliate miste, tacchino, pollo e selvaggina, è utilizzata anche con cotechino, salame da pentola, prosciutto cotto e würstel, e con alcuni formaggi: Crescenza, Gorgonzola dolce, Provolone Valpadana dolce, il Quartirolo della Valsassina, Stracchino, il Roquefort, l’Emmenthal e l’Asiago.

LA MOSTARDA VICENTINA

Questa ricetta utilizza come base la polpa della mela cotogna, talvolta anche la polpa della pera, insieme a frutta candita, zucchero ed olio essenziale di senape. Gli abbinamenti proposti sono con i classici bolliti di carne bianca e con alcuni formaggi, dai Pecorini al Provolone, Grana e Parmigiano, Asiago e Mascarpone.

LA MOSTARDA MANTOVANA

È preparata con mele campanine e mele e pere cotogne. I frutti utilizzati sono interi e preferibilmente acerbi e lo sciroppo è costituito da zucchero liquido ed essenza di se-

nape. A Mantova l’abbinamento principe, oltre che con la carne, è con i ravioli di zucca, come ripieno. Ma si utilizza anche in piatti di pesce come il lavarello al forno, il salmone affumicato o il tonno alla piastra, oltre che insieme a una quantità di formaggi, dagli erborinati a quelli di pecora, dagli stagionati, fino al Provolone piccante.

LA MOSTARDA DI BOLOGNA

Diversa da quelle lombarde e venete, questa mostarda è molto simile ad una confettura perché la frutta, principalmente prugne, pere e mele cotogne, dopo essere stata cotta con zucchero, acqua e succo di limone, viene frullata. Al composto vengono poi aggiunte noci, uva sultanina e senape. La mostarda bolognese è un ingrediente base dei tipici dolci felsinei come la pinza, la crostata o le raviole, oppure per accompagnare taglieri di formaggi. In Romagna un abbinamento tipico è quello della mostarda romagnola con lo squacquerone.

Altre mostarde della tradizione gastronomica del Nord Italia sono quelle Forlivese o Romagnola, quella di Carpi, la Mostarda Veneta e quella Piemontese. Nel Sud Italia, seppure con diverse varianti che prevedono l’aggiunta di mandorle tritate, noci, cannella o cioccolato, la mostarda viene preparata seguendo una ricetta a base di mosto e farina.

SALSE PER BOLLITI

RICETTA PEARÀ

La Pearà è una salsa di accompagnamento dei bolliti tipica della cucina tradizionale di Verona. Il segreto della ricetta è nella cottura: più a lungo cuoce, più è buona. La parola Pearà significa pepata, il pepe è infatti uno dei suoi ingredienti principali.

Ingredienti

3200 g di pane raffermo grattugiato 380 g di midollo di bue 31 litro di brodo di carne 3burro qb 3sale e pepe macinato fresco qb

Procedimento

Togliete il midollo dall’osso aiutandovi con un coltello. Sciogliete il midollo a fuoco basso con un po’ di burro e versatelo in un passino da cucina per toglierne le impurità. Unite al midollo caldo nella pentola il pane grattugiato finemente e amalgamate bene mescolando con un cucchiaio di legno. Aggiungete il brodo e cuocete lentamente per almeno due ore. Mescolate ogni tanto, ma non spesso. Al termine della cottura aggiungete abbondante pepe macinato fresco.

SALSA AL CREN

La salsa al cren è a base di radice di aceto e rafano, conosciuta anche come cren o barbaforte. Fa parte della tradizione di diverse regioni italiane: Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna. Ha un sapore molto intenso ed è considerata una delle migliori salse per accompagnare i bolliti. Ingredienti 3100 g di radice di rafano 3100 ml di aceto 3sale qb 31 cucchiaino di zucchero Procedimento

Lavate e sbucciate con un pelapatate la radice di rafano. Grattuggiatela a mano con una grattugia da formaggio. Aggiungete il sale e lo zucchero e mescolate. Riponete il composto in un vasetto di vetro e versate l’aceto fino a ricoprire il cren. Chiudete il vasetto e mettetelo in frigo. Meglio attendere 3 settimane prima di assaggiarlo. Fate attenzione quando aprite il vasetto per la prima volta: la potenza olfattiva del cren è davvero molto forte e induce lacrimazione agli occhi.

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dicembre 2021 - febbraio 2022

I piatti della devozione

L'Italia è un Paese di santi, poeti, navigatori e… ricette per i santi. Sono numerosissime le usanze culinarie legate alla devozione, piatti preparati nei giorni di festa o che sono legate a un santo, ricette create per celebrare il culto, le cui origini sono spesso legate a fatti storici o a leggende. Vi proponiamo un viaggio nella tradizione bergamasca e non solo.

gennaio A BRESCIA E MANTOVA CHISÖL DI SANT’ANTONIO

Sant’Antonio Abate si festeggia il 17 gennaio. C’è una tradizione, che somiglia a una superstizione, legata al giorno a lui dedicato. Il detto recita «S’at fe mia ‘l chisöl par Sant’Antoni chisuler at casca in testa al suler» ovvero «se per Sant’Antonio Chisuler non prepari il chisöl, ti cade in testa il tetto». A seconda della zona, il chisöl può assumere la forma di un pane, una schiacciata con ciccioli di maiale o dolce, di un ciambellone morbido oppure di un bussolano, una ciambella a pasta dura. Scegliete il chisöl che più vi aggrada, ma non dimenticate di infornarlo il 17 gennaio se non volete vedere crollare il tetto della vostra casa sotto il peso della neve.

febbraio

LE NAVETTE CHE SALVARONO LE TRE MARIE IN PROVENZA

Le navettes sono un biscotto tipico marsigliese, a forma di barca, aromatizzato ai fiori d’arancio e legato a una tradizione antichissima. Ogni anno il 2 febbraio, il giorno della Candelora, prima dell’alba, al termine di una processione, il vescovo di Marsiglia benedice le navette e il loro forno, situato di fronte all’abbazia di Saint Victor. La forma rimanda alla barca senza vela e senza remi che portò in salvo sulle coste della Provenza le tre Marie (Maria Maddalena, Maria Jacobé e Maria Salomé) in fuga da Gerusalemme. Il giorno della ricorrenza se ne comprano, o se ne infornano, 12 per simboleggiare mesi dell’anno durante i quali si spera di ricevere protezione.

marzo

LE FRISCEU DOLCI (E SALATE)

DI SAN GIUSEPPE

Le frittelle di San Giuseppe, o frisceu de San Giòxeppe, a Genova sono golose palline fritte arricchite da qualche acino di uva zibibbo. La tradizione di friggere nel giorno dedicato al santo, il 19 marzo, è radicata in tutta la Penisola. Si pensa alle frittelle dolci arricchite con pezzetti di mela, che nelle friggitorie si trovano solo in quel periodo. Tutto l’anno c’è, invece, la versione salata: la pastella con cui sono preparate è più leggera e al suo interno sono fritti pezzetti di baccalà, stoccafisso, cavolfiore, borragini, lattughe o cipolle. Sono serviti come antipasto, ma sono anche un ottimo spuntino a merenda.

aprile A GANDINO CRUCA IN TAVOLA NELLA SETTIMANA SANTA

La cruca è un panettone povero e basso, preparato in Quaresima dai fornai di Gandino, dalle origini che risalgono al ‘400. «È una vivanda fatta con farina di frumento, zucchero, uva candiotta e altre droghe, cotta nell’olio», scriveva Antonio Tiraboschi nel 1873 nel suo “Vocabolario dei dialetti bergamaschi”. Gli ingredienti sono legati alle contaminazioni gastronomiche favorite nei secoli dai commercianti di pannilana. Si usano cannella e uva di Candia che arrivava da Creta a Venezia, dove i gandinesi avevano fiorenti contatti. Tutti ricordano le cruche preparate fino agli anni ’60 da Angelo e Pietro Motta, due fratelli che gestivano i forni in contrada Cerioli e sul sagrato della Basilica.

maggio

FESTA DELLA TRINITÀ CON CHÉSCIÖLA A CASNIGO

Il santuario della Santissima Trinità a Casnigo è definito “la Sistina della Bergamasca” per il grande Giudizio Universale affrescato dai Baschenis. Secondo la tradizione, anticamente, in occasione della festa della Trinità (tra maggio e giugno, a seconda del calendario liturgico) l’edificio religioso ospitava un mercato che durava una settimana. Ogni anno, in occasione della festa è riproposta la tradizione del "lacc è chésciöla", un dolce povero che le donne preparavano in occasione della festa usando la pasta fatta lievitare il giorno precedente e miscelata poi con latte, uova, burro, uvetta e zucchero, il tutto consumato con latte fresco.

giugno

LA TORTELLATA IN ONORE DI SAN GIOVANNI

Nella notte del 23 giugno, che precede il giorno della ricorrenza di San Giovanni, a Parma e provincia, è tradizione cenare con i tortelli di erbette, all’aperto, così da essere bagnati dalla rugiada, che fin dall’antichità, è considerata purificatrice e tiene lontano i malanni. Le goccioline simboleggiano il sangue versato dal capo di San Giovanni. Nella stessa notte, si raccolgono anche le noci per fare il nocino. I tortelli si preparano con pasta fresca, uova e farina, un ripieno di ricotta, erbette e Parmigiano Reggiano. Il ripieno va messo al centro di una sfoglia alta 8-10 centimetri e ripiegata su se stessa: il tortello è chiuso su tre lati e poi tagliato con una rotella dentellata.

luglio

PIZZELLE FRITTE CON POMODORO FRESCO PER SANT’ANNA

Il 26 luglio si celebra la festa di Sant’Anna. Una ricorrenza che, a Borgo Croci in provincia di Foggia, si onora portando in tavola le pizze fritte con, sopra, sugo di pomodoro fresco: sono preparate insieme ad altri piatti tipici seguen-

17 dicembre 2021 - febbraio 2022
USANZE E TRADIZIONI PER CELEBRARE SANTI E PATRONI. UNA RICETTA PER OGNI MESE DELL’ANNO
di Rosanna Scardi
dicembre 2021 - febbraio 2022

do un rituale ricco di simbologia. L’impasto della pizza è fatto lievitare, poi è diviso in porzioni e fritto solo dopo averlo steso in piccoli dischi dal diametro di una decina di centimetri. Una volte fritte, le pizzelle sono condite con un cucchiaio di sugo di pomodoro e spolverate dal parmigiano.

agosto

LA CORONA DI SAN BARTOLOMEO CHE FA FELICI I BAMBINI

La corona di San Bartolomeo è tipica di Pistoia e si prepara per la ricorrenza del santo, il 24 agosto. E’ composta da gustosi dolcetti di pasta frolla e consiste in collane fatte di pippi infilzati in uno spago.

I pippi sono biscotti di pasta frolla dalla forma rotonda, abbelliti con pallini colorati e impreziositi da cioccolatini, quasi fossero gemme preziose, soprattutto sul medaglione centrale. I cioccolatini sono aggiunti subito dopo aver tolto i pippi dal forno, quando la pasta è ancora abbastanza morbida da permettere al cioccolatino di aderirvi. I bambini “spippolano” la corona togliendo i dolci dallo spago.

settembre

A BARZIZZA E LEFFE I MICHINI PER SAN NICOLA

La devozione a San Nicola da Tolentino nella parrocchia di Barzizza, frazione di Gandino, risale ai tempi della diffusione della peste e si allarga agli abitanti di Leffe, che fecero voto al santo per essere liberati dal morbo.

A Barzizza il 10 settembre si celebra la novena dedicata a San Nicola.

A questa festa patronale è legata la tradizione dei “michini”, piccoli pani non lievitati formati da minuscole pernici disposte attorno a un pozzo, a ricordo di un miracolo di San Nicola che ridiede vita ad alcuni volatili. Le volontarie ne preparano diverse centinaia, per proporli ai fedeli dopo la benedizione che è impartita la domenica precedente alla ricorrenza liturgica del santo.

ottobre

I MOSTACCIOLI TANTO AMATI DA SAN FRANCESCO

I mostaccioli di San Francesco, patrono d’Italia, che si festeggia il 4 ottobre, sono dei gustosi biscotti. C’è chi mette uova intere, chi lievito, chi usa la pasta di pane. La ricetta migliore è quella di Frate Indovino: in una ciotola si mettono le mandorle, il miele, gli albumi, il mosto, il pepe e la cannella e si inizia a mescolare con una forchetta; si unisce anche la farina e si impasta con le mani, ritagliando i biscotti a forma di losanga, larghi quattro centimetri. Si racconta che il poverello d’Assisi ne fosse ghiotto, tanto che prossimo alla morte dettò una lettera destinata all’amica Giacoma de’ Settesoli perché gli portasse i dolci che tanto amava.

novembre OCA CON LE VERZE PER SAN MARTINO

Il giorno di San Martino, l’11 novembre, si festeggia con una ricetta simile alla cassoeula, ma con carne di oca al posto del maiale. Si tritano cipolla e sedano, si mettono in un tegame con il burro e due cucchiai di olio e si fanno soffriggere. Poi si unisce l’oca in pezzi e la si fa rosolare, salando e pepando e lasciandola cuocere per 40 minuti. Quando l’oca è quasi a cottura, si taglia la verza a striscioline, la si lava e scola. Si mette la pancetta in un tegame con due cucchiai di olio e la si fa soffriggere; si unisce la verza, lasciandola appassire. Poi si mettono l’oca, il brodo caldo e si fa cuocere per 30 minuti. Da servire accompagnata da polenta.

dicembre

GLI OCCHI DI SANTA LUCIA PUGLIESI

Sono taralli morbidi pugliesi in versione dolce, preparati con farina, olio d’oliva e vino bianco e ricoperti con una glassa bianca a base di acqua e zucchero chiamata sclepp. Alcune varianti prevedono aromatizzazioni all’anice e alla vaniglia. Tipici di Bari, si servono il 13 dicembre, ma si possono consumare anche durante le festività natalizie. In Abruzzo gli occhi di Santa Lucia sono biscotti all’anice a forma di occhiali. In Sardegna si benedicono i biscotti, nome che viene dall’unione della parola biscottos, biscotti, e di ocros, occhi. Sono dolcetti dalla forma rotondeggiante, incisi al centro a simboleggiare la fessura delle palpebre e farciti con marmellata, in genere di mirtilli.

Un classico di Natale Le insalate di rinforzo

CONTORNO

PER ECCELLENZA DEL CENONE PARTENOPEO PUÒ DIVENTARE UN ANTIPASTO COI FIOCCHI: DALLA VERSIONE CLASSICA CON CAVOLFIORI, PAPACCELLE E SOTTACETI ALLE VARIANTI CHE LASCIANO LIBERO SPAZIO ALLA FANTASIA

18 dicembre 2021 - febbraio 2022

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RICETTA FRUTTA IN INSALATA

Un piatto leggero che, con pochi ingredienti, regala un dettaglio di stile al menù. È da servire a metà pranzo per spezzare le portate e il procedimento è facilissimo, l’unico segreto è nella freschezza delle materie prime e nel gusto estetico dell’impiattamento. Potete sbizzarirvi conferendo agli ingredienti tagli decorativi che preferite (ad esempio ricavando delle stelline dalle fette di barbabietola). Il condimento ideale è una salsa dolce ottenuta unendo la senape al miele. Ingredienti

mele rosse

arance

barbabietola rossa

00 g misticanza

miele

Un Natale dal sapore napulè? Perché no. Se siete stufi dei soliti antipasti delle feste è possibile arricchire le tavolate natalizie con un grande classico della cucina napoletana: l’insalata di rinforzo. Tradizione della Vigilia e contorno che negli anni è diventato un “must” nel menù delle feste fino alla notte di San Silvestro, l’insalata di rinforzo è però molto più di un’insalata: è un vero e proprio antipasto sfizioso che nella sua versione classica prevede cavolfiore lessato, acciughe, olive di Gaeta e sottaceti, tra cui le tipiche papaccelle napoletane, polposi peperoni diventati oggi prodotto agroalimentare tradizionale della Campania.

Ma da dove nasce l’insalata di rinforzo? Un tempo, man mano che l’insalata veniva consumata, si aggiungevano nuovi ingredienti e la base di cavolfiore veniva, appunto, “rinforzata”. Il piatto conta numerose varianti, tutte accomunate dal sapore acidulo dell’aceto che oltre a servire da conservante per il cavolo lessato assolve anche un compito di gusto. Aceto a parte, l’insalata di rinforzo può essere reinterpreta con fantasia e diventare un antipasto sfizioso o addirittura un secondo piatto.

La base di verdure crude o cotte esalta di volta in volta crostacei, formaggi o salumi croccanti. Al mix si può aggiungere il tocco dolce della frutta fresca, e spesso quello croccante di noci, pistacchi e mandorle. Tutto senza tralasciare la nota acidula caratteristica della versione tradizionale, affidata a condimenti come succo di agrumi, panna acida, aceto balsamico e salsa alla senape.

Le origini del nome Sull’origine dell’appellativo “di rinforzo” esistono varie teorie: alcuni sostengono che si chiami così perché l’insalata era consumata durante tutto l’arco del periodo natalizio e, man mano che gli ingredienti finivano venivano sostituiti (“rinforzati”) con altri nei giorni successivi. Secondo altri, il “rinforzo” sarebbe il sapore forte delle acciughe e dell’aceto, o l’appetito che queste suscitano. Ma la tesi più probabile è che il “rinforzo” sia l’“aiuto” in termini di gusto e sostanza che questo piatto dà al cenone della Vigilia partenopeo.

L’INGREDIENTE FONDAMENTALE: LA PAPACCELLA

La papaccella napoletana è un particolare tipo di peperone corto e molto carnoso, dal sapore dolce. È riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale della regione Campania e dal 2016 è un presidio di Slow Food. Per evitarne l’estinzione è stato necessario intraprendere un processo di recupero dei semi, predisponendo appositi orti e campi sperimentali, lontano da qualsiasi altra coltivazione di vegetali. La dolcezza della polpa è l’elemento peculiare della papaccella. Il profumo è intenso, con note fresche ed erbacee. La semina può essere effettuata dalla seconda metà di marzo alla prima decade di luglio, mentre la raccolta, eseguita a mano, avviene da giugno ai primi di novembre. Le papaccelle possono essere consumate fresche, arrostite, saltate in padella, oppure al forno, farcite con un ripieno di tonno, olive, pane, uvetta, pinoli, pomodorini e capperi. Le papaccelle veraci sono piccole, raggiungono al massimo i 10 centimetri di diametro. Le bacche hanno colori decisi che variano dal verde intenso al giallo o dal verde al rosso. Le bacche conservate sotto aceto di vino rosso rappresentano proprio l’ingrediente principe dell’insalata di rinforzo.

20 dicembre 2021 - febbraio 2022 21 dicembre 2021 - febbraio 2022
3
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Per
3
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qb INGREDIENTI TRADIZIONALI 3700 grammi di cavolfiore 380 grammi di olive nere 380 grammi di olive verdi 35 cetriolini sott’aceto 35 cipolline sott’aceto 36 filetti di acciughe 32 papaccelle 34 cucchiai di olio extravergine di oliva 34 cucchiai di aceto di vino bianco 3sale qb
2
1 melagrana
4
la salsa
senape qb
© www.agricoltura.regione.campania.it

Fulvio Marino

«Il pane è un buon maestro, insegna a rispettare i tempi»

Per tutti è il “mugnaio della Rai”, titolo che ha conquistato entrando nelle case degli italiani con simpatia e disinvoltura con la sua rubrica “Pane quotidiano”. Fulvio Marino, web influencer diventato famoso durante il primo lockdown, oggi è un volto televisivo, dalla forte presenza scenica, della trasmissione “È sempre mezzogiorno”, condotta da Antonella Clerici, in onda su Raiuno, dal lunedì al venerdì, dagli studi di Milano. Non solo. Dal 2013 è head baker (consulente capo) di Eataly: inventa ricette, forma squadre, si occupa di nuove aperture sia in Italia sia nel mondo. Appassionato di enogastronomia, lievitista esperto e divulgatore, formatore e docente presso il Cnm Italia, il College of Naturophatic Medicine, istituto inglese con sede a Padova, Marino ha esordito in libreria con “Dalla terra al pane”, tecniche e ricette di panificazione moderna, edito da Cairo.

Marino, il suo libro è un vero manuale. Cosa ci spiega? Racconta la mia storia, da quando ho iniziato ad oggi; parla del mondo dell’agricoltura, per far capire da dove arriva il pane, spiega come sono trattati i cereali. Poi c’è la parte molitoria, tradizione portata avanti dalla mia famiglia che si occupa della macinazione dei grani. Uso la mia esperienza per spiegare come scegliere le farine, come poterle mischiare e approcciarsi a un mondo non tanto conosciuto. Il libro è diviso in tre macro parti: ci sono il livello base, medio e avanzato. Per ognuno indico tecniche, creazione, gestione e utilizzo del lievito madre, dei pre impasti e dei fermenti, arricchendo ogni capitolo con ricette, associate a tecniche di impasto, lievitazione, formatura. In questo modo sia chi ha iniziato, sia chi sa già fare bene il pane trova ricette da sperimentare.

Che tipo di pane troviamo?

Italiano, internazionale e c’è tanto di mia creazione, come quello in cassetta con le puree di verdure colorate, i pani ai tre risi, rosso, nero e bianco integrale, i casarecci ad alta lievitazione. E, poi, focacce e pizze, con facili preparazioni casalinghe.

A proposito, quali sono i suoi suggerimenti per fare il pane in casa?

La prima regola è saper scegliere delle farine di qualità, la seconda è imparare a gestire bene i tempi che il pane necessita. La terza è lo sbaglio: non si deve aver paura di commettere errori. I primi tentativi non sono facili, ma sbagliare ti dà la possibilità di crescere in maniera più veloce.

Qual è il pane ideale per le feste, buono e bello da vedersi?

A me piacciono il pan brioche e la frutta in crosta di pane che contiene più frutta secca che farina. Puoi modificare l’impasto a seconda della frutta secca che hai in casa; io uso prugne, albicocche, noci e mandorle. È una preparazione calorica, ma in un modo salutare, con pochi carboidrati. A Natale può essere servito sottoforma di fette tostate.

E quali sono le qualità che deve possedere un buon fornaio?

La passione, che permette di andare avanti: il pane è un buon maestro, ti insegna a rispettare i tempi. Entri in connessione, in simbiosi, con gli impasti. Non fa esattamente ciò che vogliamo noi. Per questo bisogna conoscere le regole del mondo della panificazione.

L’arte panificatoria ce l’ha nel sangue: è nato a Cossano Belbo, in provincia di Cuneo, da una famiglia di mugnai che tramanda i saperi da tre generazioni. E oggi dirige il mulino che porta il suo cognome. È così, anziché costruire castelli di sabbia, creavo montagne di farina al mulino, il mio parco giochi. Mio nonno Felice (che è mancato nel 2017 a 94 anni), nel 1956, acquistò un mulino a pietra per la macinazione dei cereali e allora è nata l’azienda di famiglia che si è ampliata negli anni, conquistando addirittura i mercati esteri. Mio nonno e i miei genitori mi hanno insegnato a distinguere un grano buono, mentre la passione per l’impastare è nata vedendo mia nonna che faceva la pasta all’uovo. A 14 anni ho deciso di fare il mio primo lievito madre, leggendo il libro delle gemelle Margherita e Valeria Simili, due fornaie di Bologna, rivoluzionarie nel mondo panificazione, che hanno reso fruibile a livello casalingo; le ho conosciute e ho frequentato corsi con loro. Ho fatto fermentare il mio primo lievito madre (a base di acqua e farina di segale integrale) sotto un ulivo, all’aperto, d’estate. Dopo un mese, facevo il pane: da mugnaio, avevo la possibilità di entrare in contatto diretto con i panettieri, entrando dalla porta principale. Piano piano, pur non essendo figlio d’arte,

23 dicembre 2021 - febbraio 2022 L’INTERVISTA
dicembre 2021 - febbraio 2022
© Letizia Cigliutti

Un regalo di

ovvero non avendo una tradizione di panificatori in casa, questo è diventato il mio mestiere. E, appassionandomi sempre di più, ho cominciato a fare un po’ di esperienze in Italia e all’estero presso i professionisti di questo settore.

Dopo il liceo scientifico, si è laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Torino. Le è servito per saper comunicare?

Gli studi universitari sono stati fondamentali per avere una modalità di comunicazione semplice, ma non semplicistica, né banale.

Durante i difficili mesi della pandemia, lei si è affermato come influencer. Il successo è stato clamoroso, passando da 5mila a 90mila follower.

È stato un periodo non bello, ma a me ha dato la possibilità di divulgare. Nei momenti di crisi bisogna trovare gli aspetti positivi. A marzo e aprile, le persone erano chiuse in casa. Io ero meno impegnato nel lavoro, avevo più tempo libero e ho dato ricette che tutti volevano attraverso delle dirette quotidiane su Instagram. Ho intuito cosa mancava a livello casalingo del mondo della panificazione e ho riportato le mie esperienze professionali a un livello più fruibile da un pubblico più vasto. Il libro è nato dopo questa esperienza. Se l’avessi scritto prima, sarebbe stato un altro libro.

Durante la pandemia tutti abbiamo sfogato l’ansia facendo pane e pasta a mano: la manualità ci ha aiutato a tenere in ordine i brutti pensieri e anche a gestire una convivenza famigliare mai stata così affollata. Secondo lei, impastare ha un effetto terapeutico? È una considerazione che condivido al 100 per cento. Il pane è una forma di meditazione, è materia viva, ti costringe a focalizzarti su qualcosa, proprio come quando mediti. Porta alla creazione di un prodotto che mangi con la tua famiglia, è potenziato rispetto a una semplice tera-

pia. Dopo che l’hai creato, va in forno. Il tuo lavoro diventa un prodotto concreto e buono da gustare con altre persone. Un alimento che unisce, accomuna, non separa mai. È una condivisione di valori.

Nel corso delle dirette Instagram c’è stato anche il primo contatto con Antonella Clerici che poi in seguito l’ha scelta per la squadra del suo nuovo programma, “È sempre mezzogiorno”, affidandole la rubrica “Pane quotidiano”.

Conosco Antonella dalla “Prova del cuoco” perché ci andavo con Gabriele Bonci bravo pizzaiolo di Roma. Io divulgavo le farine, lui parlava di pizze. C’era stima reciproca, ci sentivamo. Nel lockdown lei aveva iniziato a fare dirette insieme al foodblogger Lorenzo Biagiarelli, dove lui cucinava e lei commentava. Con me ha iniziato la scorsa primavera con dirette bisettimanali e, verso l’estate, mi ha proposto “Pane quotidiano”. Ho colto la sfida come un’opportunità.

La Clerici afferma e mostra spesso di essere una buona forchetta. Qual è il suo pane preferito?

Antonella apprezza il pane da toast in cassetta, all’olio, senza burro; adora il club sandwich, suo comfort food, la pizza alla pala bianca, mentre la scrocchiarella romana con la mortadella in mezzo è una delle sue ricette preferite (e anche mie).

Lei è appassionato di enogastronomia: si considera un buon cuoco?

Cucino, ma in Italia l’asticella si alza molto. Avendo i contatti con il mondo della ristorazione, utilizzo ingredienti genuini e freschi, come zucca e porro di Cervere. Mi piace creare pizze gastronomiche, come quella con il baccalà.

Preferisce il vino o la birra?

Vino. Scelgo bollicine, Alta Langa, Barbera d’Alba, Nebbiolo e Barbaresco (da piemontese doc).

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dicembre 2021 - febbraio 2022
dicembre 2021 - febbraio 2022
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© Letizia Cigliutti

Raffinati e golosi

Ecco i marrons glacés

Come tutte le ricette popolari, la sua origine si perde nella notte dei tempi e siccome a furia di tornare indietro nei secoli si perdono tracce di memoria e di testimonianze, anche per la ricetta dei marrons glacés riuscire a ricostruire il percorso che conduca a una genesi certa, è pressoché impossibile. Se ci limitassimo a riflettere sul nome, sapremmo almeno da che parte delle Alpi andare a cercare, ma per noi che viviamo “al di qua” del Monte Bianco, forse è più conveniente alimentare un certo alone di mistero, provando quantomeno a fare ipotesi credibili sulla sua origine italica. D’altronde neppure gli storici del gusto sembrano essersi messi d’accordo: di sicuro c’è che l’origine dei marrons glacés è contesa, come tanti primati enogastronomici, tra l’Italia e la Francia. Dal vino ai formaggi, tanto per restare sulle tavole, fino alla moda e al turismo (dove nonostante il nostro patrimonio artistico, cugini primeggiano da sempre), anche quando si parla dei marroni di pasticceria, la sfida del Mediterraneo tra Italia e Francia si accende. Non tragga in inganno il nome e ricordiamoci come, ad esempio, quello che noi comunemente chiamiamo «vin brûlé», attraversò le Alpi dopo essere sbarcato a Roma dall’Antica Grecia, tanto che Oltralpe non lo conoscono nemmeno come «vin brûlé», ma come «vin chaud».

Secondo alcuni, i primi a creare i marrons glacés sarebbero stati dei pasticceri di Lione nel Cinquecento. Altri fissano la loro origine nel Cuneese, zona in cui si raccolgono grandi quantità di castagne: secondo questa tesi l’artefice sarebbe un cuoco non meglio identificato che lavorava alla Corte di Carlo Emanuele I Duca di Savoia (1562-1630). Di sicuro la ricetta compare nel trattato «Confetturiere Piemontese», stampato a Torino nel 1790, dove venivano indicati vari “modi di confettare i frutti” e, ad avvalorare la tesi della nascita italiana, concorre il fatto che in Francia si chiamano anche «Marron de Turin». Certo è che nel Settecento i marrons glacés erano presenti sui banchetti aristocratici e offerti come dono di buon auspicio dalle nobildonne per Capodanno (poi “sostituiti” con le più economiche e popolari lenticchie).

Ma cosa sono esattamente e, soprattutto, perché sono considerati così preziosi? Parliamo evidentemente di castagne (meglio, di marroni), che in Italia trovano la loro culla proprio in provincia di Cuneo, dove a ottobre vengono celebrati con una fiera ad hoc. Preziosi (anche nel senso di “costosi”), lo sono perché per realizzarli servono parecchi giorni.

La preparazione è dunque lunga e laboriosa e parte dai frutti, che devono essere di ottima qualità e selezionati in base al diametro. La prima operazione è l’immersione nell’acqua per la novena, al fine di completarne la maturazione e facilitarne la pelatura, che avviene praticando una piccola incisione sulla buccia e sottoponendo il frutto a un getto di vapore. Il marrone viene quindi cotto in acqua; l’acqua di cottura, in cui viene aggiunto del saccarosio e della vaniglia, farà da base per la successiva canditura con sciroppo di zucchero scaldato progressi-

27 dicembre 2021 - febbraio 2022
LA LORO ORIGINE È INCERTA ED È CONTESA TRA FRANCIA E ITALIA. ERANO GIÀ PRESENTI SUI BANCHETTI ARISTOCRATICI DEL ‘500. OGGI SONO RIVISITATI DAGLI CHEF STELLATI, MA SI POSSONO PREPARARE ANCHE IN CASA
di Sergio Cotti

RICETTA PLUMCAKE

DI NATALE AI MARRONS GLACÉS

Ingredienti

3100 g di zucchero

3120 g di burro

3250 g di farina 00

380 g di latte

340 g di acqua

3100 g di marrons glacés

350 g di fichi secchi

330 g di datteri

330 g di uvetta

360 g di noci

32 uova

31 bustina di lievito in polvere per dolci

3cannella in polvere qb

3zenzero fresco qb

3noce moscata qb

3pepe nero qb

31 cucchiaino di sale

3rum qb

3150 g di zucchero a velo

3rosmarino e ribes per decorare

Procedimento

Tritate i fichi, i datteri e le noci grossolanamente. Spezzettate i marrons glacés in pezzi non troppo piccoli. Mettete a bagno l’uvetta nel rum insieme ai fichi tritati. Fate ammorbidire il burro, unite lo zucchero e lavorate fin quando non otterrete una crema liscia. Unite le uova una alla volta, mescolate e aggiungete anche la farina, il lievito, la cannella a piacere, un po’ di pepe nero macinato, della noce moscata, dello zenzero grattato e il sale, mescolando fin quando l’impasto non presenterà grumi. Aggiungete quindi il latte e l’acqua, mescolate bene e unite i datteri, i marrons glacés, le noci e l’uvetta e i fichi secchi che nel frattempo avranno assorbito il rum. Mescolate e versate in uno stampo da plumcake imburrato ed infarinato. Infornate a 175°C per circa 40 minuti. Una volta che il vostro plumcake di Natale si sarà raffreddato toglietelo dallo stampo e glassatelo con una glassa densa fatta con zucchero a velo e acqua, oppure con una più scenografica pasta di zucchero. Decorate a piacere.

vamente fino a raggiungere i 70 gradi: per ottenere la giusta morbidezza, la canditura deve durare circa una settimana. Quando il marrone è finalmente candito, ovvero ha raggiunto la saturazione di zucchero, viene posto a scolare per almeno 24 ore sulle griglie. C’è poi la glassatura finale, che prevede di spalmare la glassa, precedentemente preparata con zucchero a velo insieme ad acqua e lasciata riposare per almeno 24 ore, sul “marrone” candito e poi di passarlo in forno per breve tempo al fine di ottenere la cristallizzazione e il tipico aspetto traslucido.

Per dare ai marroni glassati un tocco di estrema raffinatezza, un tempo si vendevano confezionati insieme alle violette candite, dalla varietà viola mammola, altro diamante dell’alta pasticceria piemontese. In particolare, sono tutt’oggi una specialità di Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo, e la regione Piemonte li ha inseriti tra i Prodotti agroalimentari tradizionali (Pat). A cimentarsi nei marrons glacés hanno ripreso di recente molti pasticceri, che mettono alla prova padronanza tecnica e approvvigionamento della migliore materia prima. Ecco allora quelli firmati da Iginio Massari, in collaborazione con l’azienda piemontese Agrimontana, ma anche quelli di Carlo Cracco, creati dal suo pastry chef Marco Pedron, di Luigi Biasetto, top pastry padovano, e di Gino Fabbri presidente dell’Accademia maestri pasticceri italiani.

La ricetta

Non serve essere un provetto pasticciere per riuscire a preparare i marrons glacés nella propria cucina di casa ma, considerato il procedimento, tra gli ingredienti che non devono mancare, oltre ai marroni e allo zucchero, c’è senz’altro una dose abbondante di santa pazienza. La ricetta che vi proponiamo è un po’ più rapida di quella «ufficiale», ma il risultato potrebbe essere ugualmente efficace, a patto che la materia prima sia davvero di ottima qualità e matura al punto giusto.

Per un chilogrammo di grossi marroni, servono 500 grammi di zucchero semolato e una stecca di vaniglia. La prima fase riguarda la pulizia delle castagne, con l’incisione della buccia: incidete la superficie dei marroni praticando una croce su entrambi lati, facendo molta attenzione a non intaccarne la polpa; il taglio deve riguardare soltanto la buccia e la pellicina sottostante. Portate

ad ebollizione in una pentola abbondante d’acqua e immergetevi marroni pochi alla volta, poi sbucciateli non appena saranno non troppo bollenti, tanto da riuscire a tenerli in mano. Questa operazione va fatta quando sono ancora caldi, altrimenti pelarli diventerebbe un’operazione alquanto difficoltosa.

La seconda fase è quella della cottura: mettete tutti marroni sbucciati in un’ampia casseruola e aggiungete acqua fredda in modo da coprirli. Da quando l’acqua inizia a bollire, abbassate la fiamma e lasciate bollire per 12 minuti. Una volta cotti, i marroni vanno scolati con cura usando un mestolo forato, a meno che non si scelga di farli cuocere in un cestello per la cottura a vapore.

Per preparare lo sciroppo, mettete in una pentola lo zucchero con 300 grammi di acqua e la stecca di vaniglia; fate bollire per 5 minuti senza mescolare. Incorporate i frutti con delicatezza dentro lo sciroppo, contate un minuto dalla ripresa del bollore, spegnete il fuoco, mettete il coperchio e lasciate riposare per 24 ore. Il giorno seguente portate nuovamente a bollore lo sciroppo contenente i marroni e, sempre mantenendo il fuoco basso, contate di nuovo un minuto dal bollore, poi spegnete, coprite e attendete altre 24 ore. Il giorno seguente, procedete allo stesso modo. Trascorse altre 24 ore scolate marroni a uno a uno e poneteli ad asciugare su una griglia per dolci in un luogo asciutto per almeno tre ore.

Così preparati, i marrons glacés si mantengono in frigo per due settimane; per conservarli fino a qualche mese, è necessario riporli in vasi di vetro ricoperti con il loro sciroppo di zucchero.

28 dicembre 2021 - febbraio 2022 29 dicembre 2021 - febbraio 2022

I
PER PREPARARE
MARRONS GLACÉS NON SERVE ESSERE UN PROVETTO PASTICCIERE MA TRA GLI INGREDIENTI NON DEVE MANCARE UN'ABBONDANTE DOSE DI PAZIENZA

Dalla trippa alle trippe Storia di un piatto popolare

SONO SEMPRE PIÙ

I PROFESSIONISTI DELLA RISTORAZIONE CHE LA RIPROPONGONO IN CHIAVE CREATIVA

Oltre agli usi più o meno contemporanei e creativi, la trippa è una di quelle materie prime che possono raccontare una parte della nostra storia gastronomica. È infatti possibile intraprendere un vero e proprio viaggio per lo stivale a suon di usi e ricette diverse e golose. La trippa è considerata nella macelleria tradizionale parte del quinto quarto; è infatti ricavata dai pre-stomaci dei ruminanti. Ognuno di loro, ha una conformazione particolare, sono proprio le forme stesse che hanno contribuito nel dare nomi specifici alle diverse parti. Ad esempio, quando si parla di foiolo si fa riferimento all’omaso, probabilmente per “le lamine” che caratterizzano la forma della sua mucosa interna. In genere però quando parliamo di trippa facciamo sempre riferimento al rumine o al reticolo che, dopo un’accurata pulizia e lo sbiancamento (che consiste nell’asportazione della parte interna), vengono trasformati in piatti succulenti, soprattutto nella stagione invernale. Unica eccezione la si può ritrovare nella cucina lombarda, dove si considera trippa anche la prima parte dell’intestino (chiamata paiata nel Lazio), che ha una conformazione riccia. Le due parti presentano anche caratteristiche organolettiche, nutrizionali e aromatiche differenti e si prestano così ai diversi utilizzi. Per l’acquisto della trippa è sempre meglio rivolgersi a un macellaio artigiano che la tratta abitualmente a garanzia di salute e freschezza della stessa. Tra le varie parti solitamente disponibili in macelleria, se possibile, meglio scegliere quella “scura” o detta anche “grigia”; il suo colore è caratterizzato dal fatto che non ha subito una lunga precottura o un trattamento sbiancante eccessivo. Quanto alla scelta della tipologia, è bene considerare alcuni aspetti. La riccia è molto più buona e saporita, ma anche più grassa, mentre reticolo e rumine sono molto magri e dal sapore intenso. Invece chi ama il suo caratteristico sapore e aroma forte, deve prediligere il foiolo. In Italia esistono tantissime ricette locali, ma tra le principali e più conosciute spiccano quella alla lombarda (o alla milanese, detta altrimenti busecca), quella fiorentina, sia in umido che lessata e messa nel panino, e quella alla romana. Sono comunque molte le variazioni e le ricette locali che si possono trovare in molti ricettari anche storici, tra cui la trippa alla corsa o la ricetta di Pellegrino Artusi, che comprende il piedino di vitello e prevede una cottura in sugo di carne (il fondo bruno). Tornando alle ricette più conosciute, la famosa busecca alla milanese è un piatto brodoso, preparato facendo cuocere omaso, reticolo e riccia in brodo di carne con le verdure. Ne esiste una variante, servita come secondo piatto (quindi asciutta) che prevede anche i fagioli bianchi di Spagna. Le versioni

preparate in Toscana e nel Lazio, si differenziano per il non utilizzo della parte riccia e per una particolarità importante: la presenza del pomodoro. Sono infatti piatti in umido che tra loro si scostano sostanzialmente per la preparazione. La trippa alla romana viene infatti preparata lessando la frattaglia e poi disponendola a strati intervallati da sugo a base di carne con pomodoro e foglie di menta, il tutto cotto per un’ora circa oltre alla cottura iniziale. Da citare, lo street food fiorentino per eccellenza: il panino con il lampredotto, la cui preparazione consiste nel lessare il foiolo con le verdure e servirlo come farcitura all’interno di un panino. Lo si può trovare per strada, in ogni angolo del centro storico di Firenze.

LA TRIPPA FRITTA: UNA TIRA L’ALTRA

Ma sono ancora molti coloro che non si avvicinano a questo piatto con piacere. Sarà per l’aspetto, per un preconcetto. Ma sempre più spesso il motivo riguarda la consistenza, che non a tutti aggrada. A tal proposito, a contrastare con un poco di croccantezza, ci viene incontro il metodo di cottura tra i più amati: la frittura. La trippa fritta può essere uno stuzzichino confortevole, adatto a tutti, che sempre più cuochi, anche tra i più amati e conosciuti, propongono nel loro ristorante. La sua preparazione è molto semplice. Si inizia con il tagliare la trippa a strisce più o meno sottili in relazione al proprio gusto personale. La si può infarinare con farina 00 e farina di grano duro ben miscelate (si può aggiungere anche della farina i mais) prima condendola con un poco d’uovo o, se vogliamo sbizzarrirci, con un poco di miele dolce, come il millefiori o quello di acacia. Infine, la trippa va fritta in abbondante olio di arachidi ben caldo, avendo cura di eliminare per bene a farina in eccesso. Et voilà: la si può servire con le salse classiche per uno snack sfizioso.

SCEGLIERE IL QUINTO QUARTO: L’IMPORTANTE È LA FRESCHEZZA

Prima di approcciare il mondo del quinto quarto, è fondamentale capire come sceglierlo e dove acquistarlo. È sempre meglio affidarsi a un macellaio artigiano che macelli in proprio, garantendo il massimo degli standard di pulizia. Questo perché mai come in questo caso, la freschezza e l’igiene sono tutto. Sia per quanto riguarda la sicurezza del prodotto che si andrà a cucinare, ma soprattutto per quanto riguarda le sue caratteristiche organolettiche e tattili: dalla consistenza, fino ai sapori, agli aromi e odori. Inoltre, ogni parte del quinto quarto deve essere rigorosamente pulito e trattato a dovere e non dovrà permanere in frigorifero per troppo tempo. È tollerabile per un periodo di 2 giorni, ma il consiglio è quello di cucinarlo prima possibile e, al massimo, conservare il piatto già pronto. Sono tagli davvero poco costosi, ma molto delicati. Dal cuore, alla trippa, fino alla milza, reni, i polmoni, le animelle o il cervello. Il consumo di questi tagli contribuisce alla sostenibilità nella produzione di carne perché si consuma tutto quello che l’animale ha da offrire senza scarti. Quindi è ottima tutta questa attenzione per il quinto quarto, ma bisogna trattarlo bene. Mangiatelo o acquistatelo solo dove sapete di potervi fidare.

31 dicembre 2021 - febbraio 2022
di Lara Abrati

Vi siete mai chiesti perché la panna si sposa così bene con le fragole e gli asparagi con le uova? Avete mai pensato di accostare il fegato alla mela, i mirtilli ai funghi o il caviale al cioccolato? Alcuni abbinamenti esaltano le papille gustative restituendo un impulso piacevole.

Per studiare questo meccanismo esiste il foodpairing (noto anche come flavour pairing, tradotto come accostamento dei sapori), un metodo, lanciato nei Paesi anglosassoni, nel 2007, di abbinare i cibi, basato su un rivoluzionario lavoro di ricerca che unisce la neurogastronomia (una branca delle neuroscienze che studia come si comporta e cosa prova il nostro cervello durante un’esperienza culinaria) all’analisi dei profili molecolari, nonché aromatici, presenti negli alimenti sotto forma di composti chimici. La tecnica è ben spiegata dal volume “L’arte e la scienza del Foodpairing”, 10.000 combinazioni per reinventare il modo di abbinare i sapori in cucina, scritto da un team di ricercatori composto da Peter Coucquyt, Baernard Lahousse, Johan Langenbick, edito da Slow Food.

COME FUNZIONA IL FOODPAIRING

Gli ingredienti sono stati classificati attraverso un sistema di 70 descrittori raggruppati in 14 tipologie di aromi. Ad esempio, le tipologie sono fruttato, agrumato, floreale, verde, erbe aromatiche, caramello, tostato. I descrittori sono, invece, etichette che definiscono l’odore base: nell’aroma “frutta secca” sono raggruppati frutta secca, nocciola e tonka; in “tostato” caffè, fritto, maltato, popcorn, terroso, tostato; in “speziato” anice, canfora, cannella, chiodo di garofano, cumino, pungente, speziato, vaniglia. Nelle 14 categorie di odori e nei 70 descrittori sono 10.000 le molecole aromatiche classificate. I match o combinazioni emergono da una selezione di odoranti abbastanza alti da essere percepiti. A essere analizzati sono sapori, aromi, componenti di un grandissimo numero di ingredienti provenienti da tutto il mondo. Un grafico a ruota mostra i tipi aromatici e la concentrazione, mentre una griglia evidenzia gli abbinamenti. Il risultato è un enorme repertorio di coppie alimentari, spesso inedite.

UNA TECNICA CASALINGA

Il foodpairing è inconsapevolmente realizzato, da centinaia di anni, nella cucina casalinga. Esempi classici si ritrovano in abbinamenti che sembrano semplici e banali come l’accostamento del formaggio stagionato al miele, degli asparagi alle uova, delle fave alla catalogna, della panna al salmone nei condimenti, del prosciutto crudo ai fichi o al melone, del formaggio con le pere, della mostarda ai bolliti. Spesso in contrasto tra loro, come ad esempio risotto e fragole, gli alimenti di un perfetto foodpairing possono anche avere le stesse sfumature gustative (dolcezza, acidità, umami) e quindi seguire la stessa linea aromatica. In altri casi invece l’equilibrio è dato da due molecole opposte.

BESCIAMELLA CON CAVOLFIORE E UVA

È una salsa fredda tipica della cucina basca che si serve insieme a verdura e frutta. Il cavolfiore in comune con l’uva possiede un nesso aromatico burroso; la dolcezza del frutto accentua il flavour vegetale. La noce moscata esalta gli aromi dell’accoppiata.

FORMAGGIO ERBORINATO E ANANAS

Il formaggio blu (come gorgonzola, roquefort e stilton) ha un forte aroma, dagli accenti fruttati: è ottimo se abbinato a una gelatina di ananas.

YOGURT, PEPERONE ROSSO E CIOCCOLATO

Il peperone dolce rosso va arrostito e tagliato a dadini, poi integrato in una mousse a base di yogurt e pepe di Cayenna e versato in cilindretti di cioccolato fondente e guarnito con germogli di daikon. Il gusto acidulo dello yogurt bilancia il dolce amaro del cioccolato, punteggiato dalla pepata piccantezza dei germogli.

COSCIA DI MAIALE CON CANNELLA

In Asia questo è un foodpairing molto comune e apprezzato. È il caso del cha que, un insaccato vietnamita dove la coscia di maiale macinata è insaporita con generose dosi di cannella in polvere.

BANANE E BACON

La potente nota sapida del bacon è trattenuta dalla dolcezza della banana in un abbinamento per niente sofisticato, ma stuzzicante per il palato. Le banane vanno sbucciate e avvolte con le fette sottili di bacon. Il tutto va infilzato con uno stecchino e passato sotto il grill per una decina di minuti.

LATTE DI COCCO E PESCE BIANCO

Cocco e pesce bianco sono due ingredienti che insieme regalano grandi soddisfazioni al palato. Abbinati si ritrovano nell’amok, uno dei piatti nazionali della Cambogia che si prepara con pesce bollito nel latte di cocco.

GELATO ALL’AGLIO NERO CON FRAGOLE

Questo speciale gelato a base di aglio nero (invecchiato per 4-6 settimane) si serve con una macedonia di frutta fresca con fragole e prugne speziate lasciate macerare una notte con cannella, anice stellato e un baccello di vaniglia. Una crema fredda al cioccolato farà da trait d’union ai diversi aromi.

CRÈME BRULÉE CON PATATA DOLCE

Adatta ai più golosi la crème brulée è un dessert di patate dolci arrostite con vaniglia e noce moscata. Una volta caramellizzata la superficie, si sormonta il dolce con un pan di Spagna al cocco, crema al platano, coulis di frutti di bosco, frutto della passione e cioccolato bianco.

33 dicembre 2021 - febbraio 2022
Foodpairing Il gusto è una questione di testa È UNA DELLE TENDENZE PIÙ INNOVATIVE DEGLI ULTIMI ANNI: ASSOCIARE DUE O PIÙ ALIMENTI PER ESALTARE I SAPORI E SPRIGIONARE SFUMATURE INATTESE. ECCO QUELLE DA NON PERDERE
ABBINAMENTI DA PROVARE
di Rosanna Scardi

STELLA MICHELIN

I FRATELLI MANZONI CONQUISTANO LA

BEERGHEM PUB & BISTRÒ RIAPRE CON UNA NUOVA GESTIONE

Nuova gestione per il Beerghem Pub & Bistrò di Bergamo che ha da poco riaperto battenti dopo un anno e mezzo di chiusura causa Covid. Al timone del locale ci sono ora Tommaso Persico e Gabriele Nembrini, due ragazzi giovani ma con anni di esperienza nel settore. Nella proposta del Beerghem Pub & Bistrò la birra artigianale si conferma la “regina” del locale, nel solco della collaborazione con il Birrificio Via Priula di San Pellegrino Terme. Ben 12 le tipologie di birre alla spina, oltre a una selezione pregiata di etichette in bottiglia. Ottima anche la cucina bistrò con primi, secondi e antipasti che arricchiscono la carta degli hamburger. La qualità delle materie prime è garantita dall'origine a km 0, a cominciare dai formaggi e dai salumi delle valli bergamasche. Il locale - per ora - è aperto solo alla sera (dalle ore 17) e punta soprattutto su una clientela giovanile.

BARETTO 2.0 A BOLTIERE SOLO BIRRE ARTIGIANALI

PASTICCERIA BIGONI NEL SEGNO DELLA CONTINUITÀ

Nuova conduzione per la Pasticceria Bigoni di Ardesio. Un cambio di gestione nel segno della continuità per questa storica insegna della Valle Seriana aperta nel 1967 da Vittorio Bigoni e Elisabetta Fornoni. «La pasticceria è stata completamente rinnovata dal punto di vista estetico ma manterrà ovviamente il nome storico e la qualità di sempre – spiegano titolari Marzia Paris, nipote dei fondatori della pasticceria, e Luca Imberti, pasticcere di Ardesio con diverse esperienze alle spalle -. Per questo abbiamo deciso di continuare sulla strada della tradizione senza eccessive sperimentazioni». Largo quindi a pasticceria mignon, torte - ovviamente personalizzabili in stile cake design - semifreddi, macarons ma anche biscotteria secca e non. E per Natale ecco serviti panettoni artigianali tradizionali e altri lievitati. La Pasticceria Bigoni è anche caffetteria con una ventina di posti a sedere.

L’Osteria degli Assonica di Sorisole entra nella Guida Michelin portando a dieci ristoranti stellati a Bergamo e provincia. Il merito va ai due giovani Alex e Vittorio Manzoni, coppia di affiatati fratelli con importanti esperienze alle spalle, appoggiata da una proprietà altrettanto esperta e lungimirante che ha rilevato ad inizio 2020 (in uno dei momenti più bui per la ristorazione italiana), questo locale rinfrescandolo e aggiornandolo secondo gusto e funzionalità contemporanei. La cucina va di pari passo al rinnovo strutturale con proposte colorate, attuali, generose e di assoluta qualità. La sala è affidata alla cortesia e alla professionalità di Giovanna Danzo. I plus? Uno stile di cucina contemporaneo, padronanza tecnica funzionale alla ricerca del gusto e personalità assicurata nel perseguire l'incisività e i contrasti dei sapori.

Via Don Santo Carminati, 9

Sorisole

Tel 035 4128398

BEERGHEM PUB & BISTRÒ

Via Pitentino 2E Bergamo Tel. 035 0932223

Solo birre artigianali al Baretto 2.0, nuova scommessa imprenditoriale firmata da Giorgia Zapperi, giovane di Boltiere che ha appena aperto un locale in vicolo Zenoni in centro al paese. «Vengo da una famiglia impegnata nel settore: mio papà Ezio e mio fratello Mirko gestiscono il “Baretto” a Sotto il Monte Giovanni XXIII e l’altro fratello, Andrea, fa lo chef in Spagna»afferma Giorgia -. Baretto 2.0 si candida a diventare un punto di riferimento per l’aggregazione giovanile in paese: il locale punta infatti su ricchi aperitivi e non solo colazioni e merende. Fiore all’occhiello di Baretto 2.0. è l’offerta di birra esclusivamente artigianale (4 tipologie alle spina e una decina quelle in bottiglia e lattina).

IL BARETTO 2.0

Vicolo Zenoni, 3 Boltiere

Tel 342 1636907

via Duca d’Aosta 7 Ardesio Tel. 0346 33040

34 dicembre 2021 - febbraio 2022 35 dicembre 2021 - febbraio 2022

IN EVIDENZA IN EVIDENZA
PASTICCERIA BIGONI I fratelli Manzoni Tommaso Persico e Gabriele Nembrini Giorgia Zapperi
Zanardi
Marzia Paris e Luca Imberti
© Matteo

Per le feste si medita con un vino passito

SONO VINI PREZIOSI CHE REGALANO EMOZIONI E SANNO STUPIRE ANCHE I PALATI PIÙ ESPERTI ED ESIGENTI. UN'ALTERNATIVA AI VINI SPUMANTI DA METTERE SOTTO L'ALBERO DI NATALE

Morbidi, caldi, suadenti. Sono i vini passiti, autentici gioielli enologici prodotti con uva sottoposte ad appassimento o a sovra maturazione direttamente dalla pianta. È questo ciò che cambia per davvero nel loro processo di produzione rispetto ai vini fermi che tutti conosciamo. Grazie all’appassimento (che può avvenire all’aperto laddove il clima lo consenta o su graticci al chiuso nelle zone dal clima più freddo e umido), la quantità di acqua naturalmente presente nell’uva evapora, lasciando così spazio alla concentrazione degli altri elementi, come gli zuccheri, che si presenteranno in notevole e gradita quantità. Nel caso della sovra maturazione attuata direttamente sulla pianta, gli zuccheri continueranno invece ad accumularsi all’interno della polpa dell’acino, nell’evoluzione si andrà a perdere un poco l’acidità, responsabile della freschezza di un vino. Ecco che così nascono i vini passiti, perfetti per essere assaggiati e gustati da soli (sono infatti anche detti vini da meditazione), ma anche in abbinamento ai dolci come il cioccolato, ai prodotti di pasticceria (come i grandi lievitati da ricorrenza) nei quali prevale il tipico e caratteristico tostato dolce. Anche formaggi ben stagionati e molto aromatici si prestano all’abbinamento con questa tipologia di vino. Un formaggio a grana dalla lunga stagionatura o un erborinato speciale come un Roquefort o uno Strachitunt DOP. Ogni occasione è buona quindi per concludere un pasto con un vino passito, che, se scelto con cura, saprà sicuramente stupire il vostro palato e quello dei vostri ospiti.

Di vini passiti ne esistono in ogni parte d’Italia, con caratteristiche diverse tra loro sia per come sono lavorate le uve, ma anche per il vitigno e il suo terroir. Inoltre, ne esistono sia di rossi che di bianchi e, in questi ultimi, il colore del vino stesso potrà essere più o meno deciso in relazione alla concentrazione delle sostanze presenti nel vino.

Vino passito d’eccellenza del territorio bergamasco è il Moscato di Scanzo DOCG, la più piccola denominazione di origine controllata e garantita d’Italia. Un vino passito rosso prodotto con l’omonimo vitigno autoctono in sole alcune zone del comune di Scanzorosciate. Ma sono davvero tanti i vini passiti italiani prodotti in modo sparso in tutta la penisola: dalla montagna alla collina, fino al mare. Tra i più conosciuti, il celebre Vin Santo del Chianti DOP, ma anche il Recioto della Valpolicella DOCG, di colore rosso porpora e dai sentori evoluti, terziari, a volte quasi medicinali. E andando sul mare, precisamente all’Isola d’Elba, l’Aleatico dell’Elba DOCG, anch’esso un vino prodotto con vitigno a bacca rossa in genere appassito direttamente sotto il sole. Questo ne enfatizza le caratteristiche, regalando sapori e aromi che si presentano quasi aggressivi (in positivo, s’intende). Tra i vini di color porpora, ritroviamo in Veneto il Recioto, il Refrontolo passito o il Piave Raboso passito, ma se ci spostiamo più a sud, nelle Marche, troviamo la Lacrima di Morro d’Alba passito. Tra i più famosi passiti con i tipici riflessi giallo-oro, il Passito di Pantelleria DOC, dal colore ambrato che spesso presenta anche sfumature aranciate, con sentori che ricordano le aromatiche mediterranee, ma anche la frutta candita. Insomma, note che stimolano il nostro epitelio olfattivo con creatività, ma rassicurandolo al tempo stesso, con rotondità, cremosità e avvolgenza. E poi, tornando verso il nord della penisola, anche il vitigno Albana di Romagna esiste nella versione passito.

Per concludere è una tipologia, il vino passito, disponibile in tantissime variabili. Meno consumato (a oserei dire apprezzato) rispetto ad altri vini, ma che meriterebbe una particolare attenzione. Anche bevuto tal quale è in grado di regalare emozioni, di raccontarsi e raccontare la sua evoluzione, riuscendo a stupire anche i palati più esperti ed esigenti. Un’alternativa ai vini spumanti, da mettere sotto l’albero di Natale.

36 dicembre 2021 - febbraio 2022 37 dicembre
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2021
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lubrina bramani editore

tra

casoncelli raccontati in una sorta di romanzo, con richiami storici e geografici, colpi di scena, curiosità e scoperte, come se la loro fosse la storia di un personaggio. Le gesta della celebre pasta ripiena sono scritte da Leonardo Bloch, studioso della cucina e dell’alimentazione medievale e protomoderna. «I cibi hanno loro cicli di vita, nascono, mutano di forma e, a volte, di nome, spesso spariscono.L’aspetto interessante del casoncello è che ha un’esistenza molto lunga, nasce nel Basso Medioevo, con la prima descrizione della sua comparsa alla grande festa in Città Alta organizzata per celebrare la deposizione di Bernabò Visconti e la salita al potere di Gian Galeazzo», racconta l’esperto. Nessuno aveva, però, rivelato finora l’origine del termine casoncelli. «Deriva dal calisone, un antico dolciume veneziano, ripieno di marzapane, che diventò calisoncello e, contratto, casoncello - svela Bloch -: il legame è spiegato anche dalle ricette antiche dove il casoncello aveva un ripieno con mandorle dolcificate, cedro candito e pere arrostite. A sua volta il calisone era la rielaborazione dei prodotti da forno della Grecia classica». I bergamaschi hanno saputo rielaborare egregiamente l’antica ricetta. E come scrive, nella prefazione, Pier Carlo Capozzi «a Bloch manca solo di aver dimostrato che nell’Ultima Cena furoreggiavano i casoncelli. Sarebbe stato davvero un bel colpo».

BREVE STORIA DEL CASONCELLO DI LEONARDO BLOCH

Sofia Fabiani, creatrice della dissacrante pagina Instagram "cucinare stanca", vuole svegliare gli incapaci ai fornelli dando loro gli strumenti per sopravvivere in cucina e nelle relazioni sentimentali. Un ricettario suddiviso in tre livelli di "incapacity", costruito con un gioco di collegamenti tra un livello e l’altro, per poter tornare indietro quando si sbaglia. Per ridere tanto e imparare grazie anche alle pagine dedicate alla dad e all’ironia perché come ricorda l’autrice “non siamo cardiochirurghi”. Cucinare stanca Manuale pratico per incapacy di Sofia Tabiani Giunti - 2021

18,90 euro

La giornalista e scrittrice bergamasca, che vive tra l’Italia e la California, dove è conosciuta come The Italian Wine Girl, dal nome del suo blog, conduce un viaggio nelle regioni italiane per far conoscere le storie di chi, grazie al vino, ha costruito un cammino di resistenza e rinascita nei territori che abita. Ad arricchire testi, sono gli interventi di personaggi noti che raccontano le regioni d’origine. Tra loro, l’alpinista bergamasco Simone Moro, “ambasciatore” per la Lombardia.

Custodi del vino di Laura Donadoni Slow Food editore - 2021 16,50 euro

LEGGERE DI GUSTO Ascom Confcommercio Bergamo via Borgo Palazzo, 137 • 24125 Bergamo • Tel. 035 4120280 marketing@ascombg.it | www.ascombg.it SCOPRI I VANTAGGI DI ESSERE ASSOCIATO! Per te un’ampia gamma di veicoli commerciali e a uso personale con sconti fino al 40%

Rispetto all’edizione precedente, pubblicata a cavallo di un periodo segnato dall’emergenza sanitaria, la nuova guida testimonia uno scenario incoraggiante. Innanzitutto su 1.713 locali recensiti (erano 1.697) ci sono 120 novità, tra cui nuove attività aperte proprio negli ultimi due anni. Inoltre è moderato il numero di locali che, per chiusura o cambiamento di percorso, sono usciti dal volume. Questi segnali dimostrano che le osterie hanno retto il colpo. Osterie d’Italia 2022

Slow Food Editore - 2021 Collana Guide Slow 22 euro

Csaba guida i lettori nell’arte dell’impasto, della lievitazione e della decorazione casalinga; 10 capitoli, 125 ricette, un filo conduttore: riempire la casa di quel magico profumo che il forno regala. Ci sono il pane con l’impasto diretto e quello con le farine speciali, le torte facili da colazione e quelle a strati per celebrare una ricorrenza speciale, le pizze e le focacce, ma anche i dolci per l’ora del té e le torte salate. E le lievitazioni lunghe, notturne, a tu per tu con il lievito madre.

The modern baker di Csaba dalla Zorza Guido Tommasi Editore – 2021 35 euro

38 dicembre 2021 - febbraio 2022 39 dicembre 2021 - febbraio 2022
a cura di Rosanna Scardi
BREVE STORIA
In copertina Trattoria Visconti di Ambivere (foto Daniele Caccia) Nato a Bergamo nel 1965, Leonardo Bloch si è laureato in Economia e Commercio presso l’Università Bocconi di Milano ed attualmente Responsabile degli Investimenti presso una Società di Private Equity Lussemburgo. Appassionato studioso della cucina e dell’alimentazione medievale protomoderna, collabora da diversi anni con il periodico «Affari di
Leonardo Bloch DEL CASONCELLO
Icona culinaria della fascia di territorio lombardo racchiusa
Adda Mincio, il casoncello fa le sue prime apparizioni già nel basso medioevo, ma la sua storia affonda le radici addirittura nella gastronomia della Grecia classica. Questa monografia ripercorre, con un ampio corredo di riscontri filologici, le vicende del più antico tortello la cui presenza sia tutt’oggi vitale nella cucina della Penisola, fornendo chiarimenti determinanti molti degli interrogativi rimasti sino ad ora senza risposta. Ma lo spettro dell’analisi si allarga più riprese all’intero comparto delle paste ripiene, poco esplorato dalla storiografia gastronomica, contribuendo ricostruire diverse tra le tappe cardinali che ne hanno scandito il percorso evolutivo.
LEONARDO BLOCH
BREVE STORIA DEL CASONCELLO prefazione di Pier Carlo Capozzi IN UN ROMANZO LE GESTA DEI CASONCELLI
LUBRINA BRAMANI EDITORE - 2021 15 EURO
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