Un graffio nell'anima, Anna Giudice Vascella

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ANNA GIUDICE VASCELLA

UN GRAFFIO NELL’ANIMA

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ UN GRAFFIO NELL’ANIMA Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-386-4 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Aprile 2020


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Venezia, 1718 Due colpi battuti alla porta della casa del guardiano del faro Pietro Foscari fecero sobbalzare dal letto i due amanti. «So che siete qui. È inutile far finta di niente» urlò Crisalide, battendo ancora più forte, avvolta nel suo pesante mantello di lana color scarlatto, che la copriva bene. «Ssst. Stiamo zitti. Andrà via prima o poi» disse Teodoro sdraiato nel letto di Isadora, guardandola. L’incessante bussare alla porta di Crisalide fece alzare Isadora che si coprì con una vestaglia di seta color rosa cipria. Lasciò la camera e si accinse a scendere la scala, che conduceva verso la porta d’ingresso. Spalancò la porta con grande serenità, ma con tanta rabbia nel corpo. «Cosa avete da urlare a quest’ora del mattino, così presto?» domandò lei, fingendo di essere ancora addormentata, strofinandosi i grandi occhi neri. Crisalide la fissò e nel silenzio che seguì, le chiese di far uscire Teodoro, suo marito. Isadora non capiva, almeno


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cercava di non capire. «Qui non c’è nessuno, tanto meno vostro marito Teodoro» puntualizzò la donna. «Nel tuo letto c’è mio marito» continuò a dire Crisalide con determinazione. «Se quel traditore non esce tra qualche minuto, sarò costretta a parlare a mio padre di questa situazione imbarazzante… e voi due andrete sul patibolo» aggiunse ad alta voce in modo che anche lui la sentisse. «Non crediate che le vostre minacce possano farmi paura. Anche se siete la figlia del doge di Venezia, di certo non temo nessuno» le rinfacciò, con un volto seccato. La donna rise beffandosi di lei e delle sue parole. Crisalide si limitò a scagliarsi contro la rivale in amore, alzando la mano per strapparle quel sorriso beffardo a suon di schiaffi. «La mia pazienza ha un limite» dichiarò Isadora. «Anche la mia sta per terminare» ribatté lei. La voce di Isadora farfugliava qualcosa che Crisalide ben poco riuscì a capire. «Siete una traditrice, che le fiamme potranno cuocervi addosso» le augurò Crisalide. Isadora ingoiò la saliva. «Mi aiuterà mio zio. È un notaio, amico stimatissimo del vostro padre doge» riuscì a dire terrorizzata avvolta nella sua vestaglia.


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«Anche se volesse, tuo zio non potrebbe aiutarti» le fece notare Crisalide. Isadora chiuse il portone con scatto. Gli stivaletti di Crisalide, fermi sulla terra umida, si sporcarono di fango. Salì sulla sua carrozza e guardò dal finestrino il pontile della casa, dove c’era la barca di suo marito Teodoro. L’uomo guardava da dietro la finestra la carrozza di sua moglie Crisalide, che lasciava la casa. La carrozza di Crisalide percorreva calle e rii illuminati dalla luna come fosse un’innamorata, che accarezza il viso del proprio uomo specchiandosi sui canali, gli zoccoli dei cavalli. Il rumore delle ruote si sentiva nel silenzio del nuovo giorno. Il cocchiere fermò la carrozza davanti al Palazzo Ducale e una guardia aprì il portone e percorse lentamente il viale, fermandosi davanti all’ingresso principale. Un lacchè camminò verso la carrozza, aprì lo sportello e abbassò il predellino, lei poggiò il piede con attenzione e scese i gradini. I cavalli iniziarono a nitrire e uno stalliere li staccò dalla carrozza e si prese cura di loro, conducendoli alla stalla per rifocillarli. Crisalide volse lo sguardo più in là, verso il canale che costeggiava il palazzo, e scorse che tutte le gondole della sua famiglia erano lì approdate alla banchina e oscillavano legate


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al pontile. Udì i remi di una gondola che si avvicinava alla banchina: era Teodoro che tornava a casa. Si fermò a osservarlo, mentre lui la legava vicino alle altre. Spezzò quel silenzio imbarazzante trovando il coraggio di chiedergli da dove provenisse a quell’ora del mattino. Lui rimase silenzioso. I loro sguardi erano freddi, provocatori. All’interno del palazzo, lei gli camminava accanto, poi salirono la lunga scala di marmo color avorio. «La stessa cosa potrei chiederla io a voi, mia signora» azzardò lui. Giunsero davanti alla porta della loro camera, lei entrò e lui chiuse sbattendo la porta. Lanciò sul letto un sacchetto di cuoio pieno di monete che appena si posarono tintinnarono. «Questo è il mio guadagno di oggi. Io sono un medico e sono andato a visitare alcune persone malate di peste, tra cui anche Isadora Foscari» si rivolse alla moglie. Crisalide toglieva dal guardaroba un vestito pulito da dargli, anche se non si meritava il suo aiuto. «Sono salito solo per cambiarmi d’abito. Ho altre visite da fare» cercò una scusa, mentre si lavava il volto. «Certo. Sicuramente avete passato buona parte della sera a far visita agli ammalati, mentre l’altra parte della notte l’avete trascorsa insieme nel suo letto. A me non è sembrata affatto malata, quando mi ha aperto la porta, anzi… la vostra


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cara amante mi ha fatto capire ben altro. È inutile che cercate di farmi passare da stupida perché qui vi sbagliate. Se non potrò riavervi, lotterò con le mie forze per farvi finire sul patibolo» iniziò col dire lei, furiosa. I guaiti dei cani nel cortile coprirono le loro parole. Il terrore della punizione gli bloccò quel sorriso malizioso che aveva sulle labbra e gli occhi divennero sbarrati. Indossò un abito pulito, dopo aver gettato quello sporco sul pavimento. «Ora devo andare. Ne riparleremo al mio rientro» disse lui, lasciando la camera. Lo scalpiccio dei suoi stivali di cuoio giù per le scale si udiva nel palazzo. Raggiunse la sala da pranzo per una veloce colazione. Crisalide si accinse a raggiungere lo studio del padre, per cercare di parlargli. Il doge Raniero Loredan era in piedi davanti alla finestra a osservare oltre il canale. «Disturbo?» domandò lei restando ferma alle sue spalle. «No, figliola. Stavo osservando alcuni servi, che stanno caricando su una gondola dei corpi di altri servi morti stanotte di peste. Verranno condotti al cimitero per essere bruciati. Daranno fuoco anche alla gondola di servizio» la informò lui, spostando lo sguardo verso la figlia. Crisalide gli si avvicinò, mettendogli una mano intorno alle


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spalle. In triste silenzio la gondola si allontanò lentamente scivolando sul canale. «Ho assolutamente bisogno del vostro aiuto, padre» iniziò lei, spostandosi dalla finestra. «Ti ascolto, figliola!» rispose lui, dando l’ultima occhiata alla gondola che spariva in lontananza. «Mio marito mi tradisce con la nipote del vostro amico il notaio Nino Foscari. Come sapete l’adulterio va punito, quindi desidero che si faccia rispettare la legge» aggiunse lei molto decisa. «E sarebbe Isadora Foscari, la figlia di Pietro, il guardiano del faro?» domandò suo padre. Crisalide annuì. «Non hai pensato a tua figlia Camelia ancora piccola, che crescerà senza avere un padre vicino?» chiese lui, avvicinandosi allo scrittoio. «Sì, l’ho pensato a lungo!» affermò lei. «E sono arrivata a una soluzione che è meglio non avere un padre, che averlo sapendolo traditore della famiglia, che preferisce stare con un’altra donna che non con la propria madre». Il debole sole entrava nello studio e allungava le loro ombre sul pavimento. Il doge si passò una mano sotto il mento, per poi dire:


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«Ci penserò bene, figliola». «Fate rispettare la legge o sarò costretta a ucciderli». «Ora vai. Ti prometto che non ti deluderò» disse infine, lui seduto allo scrittoio. Un servo bussò alla porta e lui rispose di entrare. Lo avvertì che a palazzo con c'era più alcun servo morto di peste. Crisalide con un inchino si congedò dal padre e uscì. Dalla sala da pranzo arrivava la voce di Teodoro che parla con Camelia. Lei entrò e con un sorriso salutò la piccola. «Se hai finito la colazione, vai con Margherita» ordinò lei. «Non posso restare?» chiese la piccola. «No. Io e tuo padre dobbiamo parlare» aggiunse lei dandole una carezza. Camelia si alzò in silenzio e insieme a Margherita lasciarono la sala. «Non abbiamo più nulla da dirci» rispose Teodoro, che si versò nella tazzina del caffè bollente e ne versò dell’altro in una tazzina di porcellana porgendola alla moglie. La loro conversazione non poteva avere seguito. La fissò con sguardo truce e uscì. Lei rimase con i pugni sul tavolo, con lo sguardo fisso nel vuoto. Si ritirò in una piccola stanzetta, prese la tavolozza ovale dei colori, il cui profumo fresco era forte nell’aria. Si concentrò a dipingere una tela. Iniziò da un viso di donna, man mano


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che proseguiva a dipingere quel volto le sembrò che fosse il volto della morte, con uno sfondo di fiamme rosse infernali. Era la prima volta che la sua fantasia le dettava la morte. Era una grande pittrice veneziana e i suoi dipinti erano esposti nei musei della città. Ma quel dipinto era talmente particolare, che aveva deciso di mostrarlo al suo maestro di pittura, il grande artista Gregorio Tommasi. Il pittore girava Venezia con le sue tele sottobraccio in cerca di acquirenti e aveva sempre un gran successo. Crisalide passò alcune ore chiusa a dipingere. Guardò fuori dalla finestra e la sera stava calando. Qualche goccia di colore le aveva sporcato le mani, così le lavò con l’acqua del catino, le asciugò e uscì chiudendosi la porta alle spalle. Si ritirò nella sua camera per cambiarsi d’abito. Si diresse ad aprire l’anta dell’armadio e tirò fuori il vestito per la sera. Sentì delle voci provenire dal giardino, si avvicinò alla portafinestra e tirò le pesanti tende per osservare chi fosse: nel buio riusciva a vedere a malapena la persona che veniva in visita al doge. La vecchia Malvina entrò nella sala dello scudo e venne accolta dal doge. La invitò ad accomodarsi su una poltroncina color nocciola. Per prima cosa Malvina si scusò per essere arrivata senza un avviso, senza essere attesa. Il doge la guardò vedendola turbata.


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«Sua Serenissima» iniziò angosciosa Malvina, «purtroppo, mia nipote Isadora ha sbagliato, ed è pentita di avere una relazione con vostro genero, ma vostra figlia ha esagerato minacciandola di portarla sul patibolo, come se fosse una delinquente. Vi scongiuro, voi che siete saggio, salvate la vita di mia nipote, vi do la mia parola che non accadrà mai più» lo implorò lei, in ginocchio con le mani giunte, sapeva bene come raggirarlo. «Alzatevi, Malvina!» ordinò lui. «Non è un’assassina, è solo una giovane donna in cerca d’amore. Io vi pagherò fino all’ultimo zecchino che mi chiederete» disse lei, tirando fuori dalla tasca del vestito un fodero di velluto grigio e fece scivolare sul tavolo le monete. «Mi dispiace, ma devo eseguire la legge. Non posso assolutamente fare eccezioni. Prendete i vostri zecchini e andate». Malvina di colpo tossì sulle monete, che sollevarono una polvere, che entrò nelle narici del doge. Quella cenere lo stordì al punto da farlo accasciare sulla poltrona, mentre la donna gli sorrideva davanti. «Allora, doge dei miei stivali, cosa avete deciso?». «Va bene. Vostra nipote sarà salva» puntualizzò lui. «Scrivetelo su un pezzo di carta, perché le sole parole non hanno voce in capitolo».


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Lui le disse di passargli un foglio che c’era sullo scrittoio. Malvina afferrò il pennino d’oca intinto nell’inchiostro e il foglio. Il doge scrisse tutto ciò che lei gli dettava. Al termine, lei glielo strappò di mano e in calce firmò al posto del doge. «Grazie. Ero certa della vostra benevolenza e comprensione. Il vostro cuore è grande» terminò la donna che si ritirò con un inchino. Malvina era una vecchia strega, come quasi tutta la sua famiglia. In passato avevano accusato i loro parenti di alcuni omicidi tramite questo rito. La mattina seguente Crisalide era seduta a tavola a mangiare la colazione. «Stamattina siete così elegante, mia signora, da far invidia a tutte le donne che incontrerete» le fece un bel complimento la governante Adalgisa, mentre le versava il latte caldo nella grande tazza. «Grazie Adalgisa. Devo recarmi dal mio maestro di pittura per chiedere un parere sul mio ultimo dipinto» commentò lei, bevendo un sorso di latte. «Copritevi bene, fa molto freddo oggi» la informò la governante. «Grazie» disse lei. Dopo un quarto d’ora si alzò e lasciò la sala.


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Il suo abito color turchese in damasco e broccato si ampliava ad arco dei fianchi e toccava il lucidissimo marmo del pavimento del lungo corridoio. Bussò alla porta della sala dello scudo e attese che suo padre dicesse avanti. Poi abbassò la maniglia ed entrò. La grande pendola segnava le nove e il servo stava attizzando il fuoco nel caminetto. «Ho graziato Isadora Foscari» rispose il padre. «Che cosa avete fatto?» urlò lei, quando seppe che non ci sarebbe stata alcuna sentenza. «Non mi avete dato ascolto. Avete tradito vostra figlia per una salvare una…» s’interruppe con rabbia. Lui smise di leggere una lettera e alza lo sguardo in direzione della figlia. «La mia decisione è indiscutibile» affermò lui. «Mi avete delusa, padre». Lui riprese a leggere lasciandola colma di rabbia. «Vado alla bottega del maestro Gregorio Tommasi. Al mio rientro ne riparliamo» propose lei. «Non c’è bisogno, mia cara. Non cambio idea» ribadì lui. Con riverenza lo salutò e uscì. Quella mattina di gennaio si ghiacciava. Decise di non farsi accompagnare con la carrozza, voleva fare due passi. L’aria gelida le sferzò il viso, mentre camminava con l’andatura decisa. Aveva il pesante mantello color scarlatto per


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proteggersi dal gelo. Camminava veloce per i calli, sollevando la lunga gonna di raso per non cadere. Varcò il Ponte del Rialto, e guardò l’acqua del canale che era diventata ghiaccio. I passanti si vedono poco con la nebbiolina. Camminò lungo il ponte fino a scendere dall’altro lato della strada, le botteghe della seta erano aperte e le tessitrici erano sedute a lavorare. Le lanterne illuminavano le calle. Le taverne erano aperte e i garzoni stavano pulendo i marciapiedi sporchi di ogni genere di escrementi, umani e animali. Un garzone urlò richiamando l’attenzione delle guardie, avvisandoli che un ladro dopo aver derubato una donna l’aveva spinta nel canale. Subito allertarono i vicini gondolieri per salvarla, ma poco dopo recuperarono il corpo della donna senza vita. Una negoziante di abiti offrì un pesante mantello in modo da coprire quel povero corpo adagiato sul marciapiede. Le guardie riuscirono ad acciuffare il ladro. La pena per un ladro era minima, ma vista la gravità di un delitto correva il rischio di essere impiccato. Il popolo chiese di giustiziarlo subito nella piazza, ma le guardie dovevano attenersi alla legge di corte. Ogni giorno recuperavano dei corpi nei canali in cui le persone si buttavano buttarsi per lavarsi. Con le mani guantate teneva il quadro, a passo spedito Crisalide cercò di raggiungere la bottega di Gregorio. Superò


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la calle San Giorgio e dopo alcuni passi entrò in un cortile. La luce delle candele, all’interno della bottega illuminava l’oscurità. Bussò leggermente alla porta, poi entrò. Nella stanza alcuni oggetti di pregio erano ammassati dentro l’armadio dalle ante rovinate. Si sentiva l’odore dei colori che si confondeva con quello sgradevole del vino rancido. Vide l’uomo già al lavoro a dipingere una tela a olio raffigurante una madonna con i suoi angeli. Lui smise poggiando il pennello sulla tavolozza. Esaminò la tela che Crisalide gli mostrò alla luce della candela con quegli occhi grigi dietro ai grandi occhiali inforcati. Fece un breve lamento aggrottando la fronte con le folte sopracciglia. «Qualcosa vi turba, maestro?» domanda lei, notando il suo strano comportamento. «Hai un talento migliore del mio» fu la risposta del pittore. Lei ammirava la sua lealtà nel dire le cose positive, alle volte anche pessime. «Questo sembra il volto della morte. Sono certo che ti aiuterà in qualcosa, ma non so cosa» disse d’un tratto lui, allontanando quel dipinto così profondo e oscuro dalle sue mani. Lui si ritrasse di qualche passo, dicendole di andare via portandosi quel nefasto dipinto. Fu la prima volta che lei lo vide quasi terrorizzato. Senza aggiungere parola, lo afferrò e


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uscì di corsa con un lieve sorriso. Un vento gelido soffiava sulla città: l’acqua alta impediva di attraversare le calli e i veneziani frettolosi camminavano verso le loro case prima che l’acqua inondasse tutto. Una lavandaia versava l’acqua del canale sui vestiti sporchi; sotto la gonna color bronzo, spuntavano i piedi con un paio di scarpe bagnate. Crisalide Entrò in una chiesa per pregare, e avvertì una presenza alle spalle, ma non si voltò. Intinse le dita nell’acquasantiera e si fece il segno della croce. Nel suo mantello color melanzana il giovane canonico don Bastiano accendeva le candele per illuminare la chiesa. Malvina udì delle voci provenire dalla cucina, si fermò e cercò di origliare dietro la porta chiusa, rimanendo qualche istante in ascolto. Trattenne il respiro per un tempo breve. Sentì distintamente le voci di Isadora e di Teodoro che stavano progettando di uccidere il doge. «Se tutto andrà per il meglio, io sarò il nuovo doge» disse sicuro lui, camminando su e giù per la stanza. Era così invidioso del doge e divorava il suo odio nel profondo del suo cuore nero. Malvina abbassò la maniglia della porta ed entrò. «Ieri sono stata a Palazzo Ducale, ho parlato con il doge


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illustrando la mia richiesta e mi ha promesso che non ci sarà alcuna punizione per voi due. Questa è la conferma di ciò che mi ha promesso» disse mostrando il pezzo di carta. «Grazie, cara nonna!» la baciò sulla guancia Isadora. «Mi è venuta un’idea. Voglio scrivere un documento dove lui stesso accusa la figlia di stregoneria, poi falsificherò la sua firma. Farò di tutto per consegnarlo all’ufficio Inquisizioni, ma dopo averlo ucciso, così la sua adorata figlia non potrà essere difesa» disse il machiavellico Teodoro, bevendo tutto d’un fiato il vino, che il padre di Isadora gli aveva versato. Furono d’accordo in tutto e dovevano agire con molta cautela. «Devo ritornare a Palazzo da mia moglie, cercherò di farmi perdonare così posso eseguire il nostro piano» disse Teodoro posando il calice sul tavolo. «Mi sembra un’ottima idea» accettò Pietro. «A me sembra rischioso. Quell’uomo è potente, ha tutti gli uomini ai suoi comandi. I magistrati faranno di tutto per salvare la sua adorata figlia» disse Isadora contraria. «Farò in modo che tutti credono alla versione della stregoneria, è la nostra unica salvezza» cercò di calmarla Teodoro. Isadora, per il loro amore, a malincuore dovette concordare ogni sua decisione.


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Il doge, sotto pressione di Crisalide, diede ordine di catturare Isadora perché doveva essere ugualmente punita. La condussero nella sala del santo tribunale, dove si svolgevano le sedute. La sala era gremita di gente e Crisalide era seduta in prima fila: voleva assistere alla condanna. Il doge volle risparmiarla dalla morte, ma nello stesso tempo, decise di farla marchiare a vita con il fuoco con la scritta sulla spalla destra: peccatrice. «Non può cavarsela così» urlò Crisalide alzandosi in piedi, «solo con una bruciatura sulla pelle» protestò Crisalide. Il doge cercò di zittirla, altrimenti avrebbe dato ordine di farla uscire dalla sala. «Avete scritto su un foglio che mi avreste salvata. Lo avete consegnato firmato a mia nonna» iniziò col dire Isadora con occhi spaventati. «Sì, mi ricordo. Vi ho salvata dalla morte, ma non dalla punizione a fuoco» puntualizzò l’uomo. Il doge Raniero usava il pugno di ferro contro chiunque non rispettasse le leggi. Isadora era terrorizzata al solo pensiero di dover soffrire con dolori atroci, avrebbe preferito la morte. Dopo la sentenza definitiva il doge ordinò alle guardie di portarla via. Venne portata nella piazza principale, dove ad attenderla


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c’erano il boia e il fabbro. Li guardava pesantemente, mentre si dimenava cercando di liberarsi. Aveva la veste lacerata, cosicché si potevano vedere i seni e le spalle esposti alla curiosità della folla. «È la volontà di Dio. La legge della chiesa: chi sbaglia paga» sentì dirsi Isadora dalla voce di Crisalide alle sue spalle. Mentre il boia la teneva ferma, il fabbro posò il ferro caldo sulla pelle. Era vomitevole sentire la carne bruciata. «Non ci sono scuse per una peccatrice!» disse Crisalide, voltandosi dall’altra parte mentre la carne bruciava. «Da amica, ora sei diventata mia nemica» riuscì a parlare rabbiosa elevando un urlo dal dolore. Le avevano bruciato la pelle, ma no lo spirito di vivere. Le mancarono le forze, non stava in piedi e il dolore era veramente tanto. Le guardie la tirarono su a forza, cercando di tenerla sveglia. Lasciarono che cadesse sul terreno, in modo che i passanti la vedessero. Lei rimase china, senza alzare lo sguardo, mentre la vista si era annebbiata. Una popolana con una cuffietta sporca in testa gridò che era giusto che lei morisse, perché aveva avuto una relazione anche con suo marito. Isadora sentì che delle mani la toccarono delicatamente. Alzò la testa lentamente riuscendo a vedere a malapena chi fosse: era sua nonna Malvina.


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«È svenuta» disse il canonico don Bastiano facendosi il segno della croce. «No. È solo debole» le rispose la donna. Isadora pianse lacrime amare, ma di gioia nel vedere una figura familiare. Malvina l’aiutò a salire sulla carrozza, abbassando il predellino. La pioggia si abbatteva su Venezia. I palazzi sembravano una sfilata di silenziose facciate quando la carrozza li superava. Appena mise piede a casa, chiese subito di essere portata nella sua camera per riposare. Accompagnata da Malvina, salì lentamente la scala che conduceva al piano rialzato e tremante sui gradini respirava a fatica. Al suo interno l’aiutò a sdraiarsi sul suo letto. Gli scuri della finestra erano aperti, chiese a sua nonna di chiuderli. Malvina si avvicinò al capezzale e le bendò la ferita dopo averle messo un unguento. Le toccò la fronte, che scottava come fiamme. Le appoggiò degli asciugamani bagnati d’acqua fresca, cercando di far scendere la temperatura poco alla volta. Isadora sorrise e la ringraziò per le sue cure amorevoli. Teodoro entrò aprendo lentamente la porta, restando silenzioso. Ai piedi del letto vedeva soffrire la sua amante. «Che voi siate maledetti» bisbigliò quella frase rivolta alla moglie. Malvina lo guardò dritto negli occhi, lui cercò di capirne il


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significato e abbassò il capo. «Malvina, voi prendetevi cura di lei, mentre io mi prenderò cura di quei due. A malincuore chiederò perdono a quella maledetta» accennò lui, a bassa voce per cercare di non disturbare Isadora. A differenza di Teodoro, la voce di Malvina tremava quando gli sussurrò qualcosa. Poi, ritornò a prendersi cura della nipote.


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Nei giorni che precedettero, Teodoro aveva chiesto perdono a Crisalide, affermando d’essersi pentito, d’aver sbagliato. Lei lo perdonò, ma in cuor suo non c’era più nulla che potesse riunirli. Un pomeriggio di febbraio, Teodoro si chiuse nella sala privata del suocero e iniziò a realizzare in assoluto segreto il suo piano. Afferrò un foglio bianco, lo posò sullo scrittoio senza togliere le dita con cui lo teneva. Volse lo sguardo verso il caminetto e vide un servo che lo puliva togliendo la cenere. Visibilmente irritato lo fermò ordinandogli di versargli del vino rosso. Il servo si avvicinò e frettolosamente afferrò la bottiglia di cristallo versando una quantità nel calice. Poi, tornò al suo lavoro. «Lascia stare il camino e vai via. Lasciami solo» gli ordinò lui tenendo la testa china sul foglio. Il giovane servo uscì frettolosamente. Con il calamaio in mano alla fine si decise con coraggio di iniziare a scrivere. Quando ebbe lo firmò con il nome del


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doge. Cercò di non lasciare tracce o fogli scritti errati buttati sul pavimento. Quell’uomo alto e robusto stringeva il foglio in un pugno, lo piegò in due e lo infilò in una tasca interna della giacca lunga fino al ginocchio, impreziosita da bottoni dorati. Trangugiò il vino in un solo sorso. Era quasi soddisfatto, mancava l’ultimo tassello per completare il suo piano infernale. Quando uscì dalla sala si scontrò con Antonio Manin, il medico di fiducia del doge. «Come sta il mio Illustrissimo suocero?» domandò Teodoro al medico, anche se già sapeva che il doge stava morendo. «L’Illustrissimo doge sta migliorando. Per fortuna sono riuscito ad analizzare una goccia del suo sangue e sono venuto a conoscenza…» di colpo s’interruppe con un mezzo sorriso. «Perché vi siete interrotto? Continuate pure, dottore…» disse lui. «Niente, caro collega. Mi sono ricordato di avere un paziente da visitare» disse l’uomo, che estrasse il suo orologio. «Si è fatto tardi» aggiunse congedandosi. Teodoro rimase zitto e freddo, accompagnandolo fino all’uscita. Quando chiuse il portone, la notizia del miglioramento del doge lo mise in allarme. “Non doveva migliorare… devo fare qualcosa” pensò mentre saliva la scala con la mano appoggiata al corrimano.


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Giunto in cima alla scala, entrò nella sua stanza. “Mio caro suocero, dovrò aumentarvi la dose di cianuro. La vostra dipartita non deve attendere molto” si disse, osservandosi allo specchio. Si avvicinò al piccolo comodino, aprì il cassetto e prese un flaconcino di vetro. Aprì lo scomparto segreto del suo anello e versò una maggiore quantità di veleno, giusta per provocare la morte. Lo richiuse e lo infilò nell’anulare destro, poi rimise il flaconcino al suo posto e uscì chiudendosi la porta alle spalle. I servi erano tutti occupati nelle faccende domestiche. Lo salutarono con un inchino che lui ricambiava con un mezzo sorriso. Raggiunse la stanza del doge e dopo aver bussato, abbassò la maniglia ed entrò. Le tende era tirate, nel letto il suocero stava dormendo. Non c’era nessun servo nella stanza, così prese una sedia e l’avvicinò al capezzale. Nel sentire rumore il doge si svegliò di colpo e girò la testa dal lato dove Teodoro era seduto, fissandolo. «Come vi sentite oggi, illustrissimo suocero?» chiese lui. «Un po' meglio, grazie!» affermò lui. «Avete sete?». «Sì!» affermò l’uomo. «Bene!» Teodoro fece con un sorriso maligno. «Mi avete sempre evitato come medico, scegliendo di farvi curare da


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Manin, così adesso è arrivato il vostro momento» gli sussurrò quasi con un rimprovero in un orecchio. Il doge aveva sempre preferito le cure del dottor Manin, deludendo così ogni aspettativa del genero. Teodoro si alzò, si avvicinò al tavolino e versò dell’acqua nella coppa. Girato di spalle per non farsi accorgere, aprì lo scomparto dell’anello facendo scivolare le gocce di cianuro. Come niente fosse, si avvicinò all’uomo e lo fece bere. La testa del doge si ritrasse nuovamente sul cuscino. Teodoro attese qualche minuto, per vederlo morire. Prese un tovagliolo di stoffa bianca e pulì la coppa cercando di non lasciare nessuna traccia di veleno. Vide il suocero con gli occhi sbarrati. Afferrò il polso e non sentì più i battiti. Tirò fuori dalla tasca il foglio e lo lasciò cadere sul pavimento, in modo che chiunque fosse arrivato nel momento in cui lui dava la notizia, lo avrebbe visto. Fece un lungo sospiro, sperando in cuor suo che tutto funzionasse come programmato. Attese qualche minuto e uscì dalla camera, poi annunciò ad alta voce che il doge stava morendo. La notizia si diffuse in tutto il palazzo. I servi lasciarono i propri compiti e accorsero. «Presto, vai a chiamare il dottor Manin» ordinò a un servo. Il servo abbassò la testa e uscì di corsa. Teodoro rimase al capezzale del suocero, in silenzio, in


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attesa che arrivasse il medico. Il medico arrivò correndo ed entrò nella stanza con l’affanno. «Ho cercato di aiutarlo, ma come ben sapete lui ha solo fiducia in voi, dottor Manin» iniziò a dire Teodoro. Il dottore si avvicinò per constatare il suo stato di salute. «È morto!» disse, accertandone la morte. Teodoro fece finta d’essere addolorato. Si chinò e raccolse la lettera che giaceva sul pavimento. «Guardate dottore, ho trovato questo foglio che sicuramente dev’essergli caduto dalla mano» disse lui, mostrandoglielo. «Cosa c’è scritto?» domandò il dottore, mentre abbassava le palpebre del doge Raniero. «Ecco, leggetelo voi» disse Teodoro, porgendoglielo. Il dottore lo afferrò e lo lesse nella sua mente. «Ma è uno scherzo?» domandò guardando Teodoro. «Non saprei. Ditemi cosa c’è scritto?» lo invogliò lui con insistenza. «L’illustrissimo doge accusa sua figlia Crisalide di essere una strega?» lo informò il dottore, scettico. «Ah!» esclamò Teodoro, cercando di rimanere stupito. «Posso averlo?». Il medico porse il foglio e l’uomo fece finta di leggere il contenuto. «Che intenzione avete su vostra moglie?» chiese il dottore


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ancora incredulo. «Non saprei. Come avete detto voi, sicuramente è uno scherzo. Andrò a riflettere e prenderò una decisione» disse infine lui e uscì dalla camera. Mentre governava la sua imbarcazione tra le onde del canale, Teodoro pensò che ora non avrebbe avuto problemi a liberarsi di Crisalide. Non doveva tradirsi da solo, doveva rimanere calmo, concentrato sul da farsi. Si diresse verso la casa del magistrato Vitale Ziani, per comunicargli la morte del doge. Si introdusse furtivamente nello studio del magistrato senza attendere di essere presentato dal segretario. Seduto davanti all’uomo, Teodoro iniziò informandolo che il doge Raniero Loredan era morto. L’uomo rimase dispiaciuto per tale notizia. «Prenderò io il posto dell’illustrissimo doge Raniero Loredan, che Dio l’abbia in gloria» accennò Teodoro. «Per quanto riguarda il successore del doge, si dovranno riunire tutti i consiglieri, non spetta di certo a voi decidere di voler prendere l’incarico» cercò di fargli capire l’uomo. La protesta di Teodoro di voler a tutti i costi l’incarico lo rese iracondo. Gli mostrò il foglio, mettendoglielo sotto il naso. Il magistrato lo lesse e restò sorpreso. «Per quanto riguarda mia moglie, che intenzione avete?» si accertò lui, fissandolo negli occhi neri come la notte.


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Il magistrato attese un minuto prima di rispondergli. «Non posso di certo lasciar perdere una tale confessione. A malincuore dovrò dare l’ordine di arresto» gli comunicò lui, con un sospiro. Teodoro a quella decisione rimase soddisfatto. «È mia moglie. Ma la vostra decisione non è discutibile. Fate ciò che dovete» disse infine lui, alzandosi in piedi pronto per andarsene. «Mi dispiace. Ma devo…» gli disse infine. «So perfettamente, che ogni vostra decisione verrà presa con diligenza del buon padre di famiglia» terminò Teodoro. L’uomo si alzò dalla scrivania e salutò Teodoro, che abbassò la maniglia e uscì. Non appena fu fuori dalla stanza, sorrise. Sua moglie sarebbe stata arrestata per stregoneria. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE 1 ...................................................................................3 2 .................................................................................22 3 .................................................................................38 4 .................................................................................55 5 .................................................................................71 6 .................................................................................88 7 ...............................................................................104 8 ...............................................................................123


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