Tre vecchiette e un computer, Cristina Chinaglia

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CRISTINA CHINAGLIA

TRE VECCHIETTE E UN COMPUTER

ZeroUnoUndici Edizioni


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TRE VECCHIETTE E UN COMPUTER

Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-522-6 Copertina: immagine proposta dall’Autore Prima edizione Gennaio 2022


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CAPITOLO 1 – L’E-MAIL

«Dell’altro tè?» domandò Margaret, facendo per alzarsi. «No, grazie» declinò il suo ospite, con cortesia. «Un biscottino?» riprovò lei, allungando un piattino colmo di biscotti secchi dalla forma perfetta, stretti e lunghi. «No» rifiutò ancora l’altro, sorridendo dolcemente e alzandosi a sua volta per aiutarla a sparecchiare tazze e piattini. «È ora di andare». «Certo»» annuì Margaret, abbozzando un sorriso comprensivo. Appoggiò le stoviglie sporche nel lavello, ripromettendosi di sciacquarle non appena fosse rimasta sola. «Mi mancherete» affermò poi, con una leggera nota di rammarico nella voce. Si voltò verso il ragazzo per lasciargli un’affettuosa carezza sulla guancia. «Hai dei begli occhi» aggiunse, osservando le sue iridi azzurre e chiare. L’altro sorrise dolcemente e abbassò lo sguardo. «Mamma» sospirò poi, pensando che tutti glielo ripetevano da sempre. «Sono i tuoi stessi occhi». Il pendolo sopra la porta della cucina suonò le cinque. «Devo proprio andare» concluse lui, con una certa urgenza nel tono, gettando un’occhiata al quadrante del pendolo. «David» lo trattenne lei per un braccio. «Tornerete durante l’estate?» «Non sono sicuro» ammise il giovane. «Avrò delle ferie in agosto, ma vorrei restare il più possibile vicino ad Ashley: il bambino


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dovrebbe nascere a fine estate, poi riprenderà la scuola… Probabilmente ci rivedremo al Ringraziamento». «Oh» considerò Margaret con una nota di rammarico che non riuscì a nascondere. «Chissà quanto crescerà la bambina…» «Mamma» replicò David, sorridendo per sdrammatizzare e roteando gli occhi. «Siamo nel ventunesimo secolo, ci sono le videochiamate: ci sentiremo ogni volta che vorrai!» «Non è la stessa cosa» obiettò lei, con una voce improvvisamente più stridula. Da un lato pensava sul serio che sentirsi in videochiamata o al telefono fosse diverso dal parlarsi di persona, ma il motivo principale della sua protesta era non voler ammettere che lei e le “nuove tecnologie” non avevano molta affinità. Suo figlio si passò una mano sul mento lucido e ben rasato, nascondendo un sorrisetto divertito. Sua madre aveva passato anni a ripetere quella stessa frase per qualunque pezzo di tecnologia fosse arrivato dopo gli anni Settanta e lui si era divertito sin da piccolo a rinfacciarglielo insieme a suo padre. Lei, però, dando fondo a tutto il suo self control, aveva sempre mantenuto un atteggiamento stoico nei confronti di quelle bonarie provocazioni, senza mai ammettere la sua incapacità nell’uso di un cellulare o un personal computer. «Guarda» ricordò il ragazzo, avvicinandosi al frigorifero e indicando uno dei fogli attaccati allo sportello con un magnete. «Ti ho scritto qui le istruzioni per accendere il portatile e accedere al tuo account. Questa è la posta» continuò, indicando una riga rossa. «Questo è il calendario» fece scorrere il dito fino a una riga verde. «Sul retro trovi le password… In caso te le dimenticassi». «La mia memoria è ottima, giovanotto!» fece presente Margaret, spalancando gli occhi per un istante. Non si era offesa, perché era abituata a quel genere di allusioni sull’età e aveva imparato a sopportarle. Suo marito, più anziano di lei di qualche anno, le lanciava quelle provocazioni da quando erano dei ventenni e lui


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aveva continuato a mantenere il suo senso dell’umorismo fino all’ultimo, anche quando il cancro lo aveva consumato lentamente fino a ucciderlo. «Cosa ti succede?» domandò David, con far premuroso, notando che il volto di sua madre si era improvvisamente rabbuiato. «Pensavo a tuo padre» ammise l’anziana, con un sorriso nostalgico. Anche il figlio abbassò lo sguardo per un istante, scacciando i ricordi dalla mente. Aveva sofferto molto per la scomparsa del padre, tre anni prima, anche se non lo aveva mai ammesso apertamente. Loro due avevano sempre avuto un bel rapporto, un’intesa particolare, passioni in comune, soprattutto la pesca, e per David, nonostante fosse fuori casa già da tempo, era stata dura quando suo padre era passato a miglior vita. Senza rispondere, preferì cambiare argomento; indicò un altro foglio, con delle scritte viola, e continuò: «Questi sono i nostri numeri di cellulare; sono salvati nel tuo telefono, ma se per caso non riuscissi a farlo funzionare… Il che ci porta a questo» spostò la mano, indicando un post-it vicino. «Le istruzioni per accendere il cellulare». «Quella scatoletta infernale…» borbottò la donna, incrociando le braccia al petto. «Mille volte meglio un normale telefono fisso, con un bel filo». «Sì» replico l’altro, un po’ rude, «ma se un ladro entra in casa e taglia i fili del telefono tu puoi comunque chiamare la polizia con il cellulare!» «Perché mai un ladro dovrebbe entrare qui in casa?» chiese ingenuamente Margaret «Qui non c’è nulla da rubare, e io di certo non apro agli sconosciuti». «Non guardi mai il telegiornale?» ribatté il ragazzo, in tono duro, incrociando le braccia «Ultimamente nel quartiere girano un sacco di malintenzionati».


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«Uff, e va bene!» cedette l’altra, alzando gli occhi al cielo. Forse David aveva ragione, considerò tra sé, era bene avere un cellulare a portata di mano, almeno per quando andava in giro. Anche se non le andava molto di sorbirsi i rimproveri e i discorsi come se fosse stata una bambina, non si sentiva di biasimare David: in fondo, era solo un figlio premuroso che si preoccupava per la propria madre. «Infine» riprese l’uomo, con far conclusivo, spostandosi verso il calendario, appeso alla sinistra della porta, «ti ho segnato le date delle gare di Sarah. Chiamala il giorno prima per incoraggiarla o il giorno dopo per chiederle com’è andata: le farà piacere sentire la nonna». «Perbacco» commentò l’anziana, sfogliando le pagine del calendario alla ricerca di tutte le date segnate. «Quella bambina ha troppi impegni con lo sport!» «Ma no» cercò di obiettare l’altro. «È normale: i bambini di oggi amano l’attività sportiva». «Ha solo sette anni, non può fare gare ogni settimana…» «Solo durante l’estate» replicò lui, inarcando un sopracciglio e lasciando tacitamente intendere che non voleva tornare sul discorso. Margaret si era spesso prodigata in consigli utili per gestire le diverse situazioni in cui David e sua moglie Ashley si erano trovati nel crescere la loro bambina, ma per alcune cose, come lo sport, non erano mai stati d’accordo. L’anziana continuava a tirare fuori i racconti dei suoi tempi, di come l’agonismo sportivo non fosse all’ordine del giorno per un bambino delle elementari, ma l’altro sottolineava l’importanza dell’attività fisica anche per i piccolissimi. «Lei si diverte» rincarò la dose lui, sapendo che quell’argomento – la felicità della bambina – era l’unico capace di mettere a tacere ogni obiezione. Si voltò verso la madre e le prese le mani con far


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rassicurante, fissandola negli occhi e sorridendo dolcemente. «Sarah starà bene, vedrai» le assicurò poi. «E anche noi». Margaret annuì, facendosi a sua volta comparire un sorriso, ma di circostanza. In cuor suo già percepiva la nostalgia che avrebbe provato dopo pochi giorni, ma si sforzò di mantenere un’aria più distaccata possibile, come pensava si confacesse al suo ruolo in quel momento. Non era cresciuta in una famiglia particolarmente affettuosa, emigrata in America quando lei, prima di sette figli, era una ragazzina, e le avevano sempre insegnato a non mostrare mai troppo le sue emozioni: non si addiceva a una giovane di origini inglesi, le ripetevano spesso. Nel suo animo, però, sentiva un legame profondo con il figlio, al quale voleva un bene sincero, un sentimento che solo una madre può provare. Gli appoggiò una mano sulla spalla, invitandolo a spostarsi nell’anticamera, appena fuori dalla cucina: era arrivato il momento dei saluti. David recuperò dall’appendiabiti un cappellino da sole sportivo e afferrò gli occhiali scuri che aveva infilato nel taschino della camicia, poi si spostò verso la porta. «Ci rivediamo presto» salutò, stendendo il braccio sulla maniglia e inforcando gli occhiali. «Guida con prudenza» si raccomandò l’anziana, in tono vagamente ansioso. «Certo» assicurò l’altro. «Per qualunque cosa chiamami pure». Abbassò la maniglia e tirò la porta verso di sé, mentre con l’altra mano si calava il berretto in testa. Fece per muovere un passo fuori, ma si bloccò subito, notando due signore anziane che, ferme sulla soglia, erano sul punto di suonare il campanello. «Abby» salutò velocemente con un cenno, scansando le due e uscendo. «Amelie». «Ciao» salutò ancora una volta Margaret, alzando una mano e seguendo con lo sguardo il figlio che si allontanava lungo il


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vialetto. Quando David ebbe superato il cancelletto cigolante che dava sulla strada, la sua attenzione si concentrò finalmente sulle nuove arrivate. Le due erano rimaste imbambolate, una con la mano a mezz’aria sulla strada per il campanello e l’altra a fissare il vuoto con aria smarrita. «Abby, Amelie» le accolse la padrona di casa, sorridendo cordialmente. Si fece da parte per permettere alle sue ospiti di entrare in anticamera, poi richiuse la porta alle loro spalle. «Come state?» La prima delle due si precipitò dentro come se fosse stata un topolino in fuga da un gatto randagio, rischiando di inciampare sul gradino dell’ingresso. La seconda, invece, si fece avanti con più calma, sollevandosi leggermente la lunga gonna scura per evitare di replicare la figuraccia dell’amica. «Abby, perché non fai più attenzione?» la riprese Margaret, ma con gentilezza: non era sua intenzione sembrare scortese e rimbrottare la sua ospite, ma Abby era sempre così sbadata che, inciampando di qua e di là, rischiava di farsi male. «Mi dispiace, mi dispiace» si scusò l’altra, levandosi un ridicolo cappellino rosa pastello con un fiore di plastica che svettava sulla sommità. «Basterebbe che guardassi dove metti i piedi» fece presente Amelie, con naturalezza, togliendosi un golfino di lana scura e sistemandolo sull’appendiabiti, accanto al cappellino di Abby. «Chissà dove ho la testa» sospirò la sbadata, con una voce più acuta del solito, sforzandosi di apparire divertente. «Magari l’ho dimenticata a casa». Abbozzò una risatina stridula e sforzata, ma nessuna delle altre due fece altrettanto: ormai quella battuta, che Abby ripeteva ogni volta che commetteva una sbadataggine, non era più divertente.


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Tutte insieme, le tre anziane si spostarono e accomodarono in salotto. Non era una stanza vera e propria, perché non era separato dall’anticamera da una parete, bensì da una strettoia tra le scale e l’entrata della cucina, ma comunque era un ambiente confortevole e tranquillo. «Volete del tè?» domandò Margaret, restando in piedi mentre le amiche si sedevano una accanto all’altra su un divanetto rivestito da un telo rossiccio. «Sì, sì» annuirono all’unisono Abby e Amelie, fissando stranite la loro amica, come se avesse posto una domanda assurda. «Bene, ho l’acqua ancora calda» concluse la padrona di casa, incamminandosi verso la cucina con più lentezza di quanta avrebbe voluto. Da un po’ di tempo, qualche mese ormai, capitava che Margaret facesse fatica a muoversi, a causa di un intermittente dolorino all’anca che non le dava pace. Chissà perché, poi: ancora non era riuscita a spiegarselo. Non ricordava di essersi mai rotta le ossa, né di avere subito traumi particolarmente violenti da giustificare quel fastidio. Più probabilmente, era solo quello che le persone comuni classificano come “acciacco della vecchiaia”. Da un armadietto in legno sopra il lavello recuperò due tazze con rispettivi piattini e cucchiaini, piacevolmente sorpresa di non essere stata assalita dal consueto bruciore alla spalla, poi appoggiò tutto ordinatamente su un vassoio. Prese il bollitore dalla piastra elettrica ancora calda e versò l’acqua bollente nelle tazze. Scelse due bustine ai frutti di bosco da un cestino che stava accanto ai barattoli delle spezie, le scartò e le mise in infusione nelle tazze. Sapeva che le sue amiche non apprezzavano particolarmente il gusto del vero tè, non senza zucchero, almeno; ma, visto che l’età avanzava e che il diabete sembrava essere una minaccia sempre più concreta, per evitare dolcificanti era meglio preferire un infuso dal gusto meno deciso.


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Piazzò sul vassoio anche il piattino con i biscotti avanzati e una vecchia zuccheriera mezza vuota, che presentava più per abitudine che per reale bisogno. Sollevò il tutto con cautela e si avviò a passi lenti verso il salotto. Quasi a metà strada, sentì rifarsi viva una leggera fitta al braccio, e quando finalmente appoggiò il vassoio sul tavolino tra i due divanetti del salotto fu un sollievo. «Eccoci qua» sospirò poi, sedendosi di fronte alle sue ospiti e facendosi comparire un sorriso di circostanza per nascondere una mezza smorfia di dolore. Le due ringraziarono con voce stridula, prendendo ciascuna una tazza. Tolsero la bustina per lasciarla sul piattino e diedero una mescolata al loro tè senza un vero motivo. Abby riappoggiò subito la sua tazzina, senza nemmeno assaggiare il tè, mentre Amelie prese a sorseggiarlo lentamente. «È ancora troppo caldo per me» si giustificò la prima, come al solito. Margaret sorrise quasi divertita: la sua amica aspettava sempre che il tè si intiepidisse, prima di cominciare a berlo. «Allora, cara» si informò Amelie, appoggiando la sua tazza ormai vuota per metà. «Come ti senti?» La padrona di casa sospirò profondamente, pensando alle parole da usare per rispondere. Sicuramente entrambe le sue ospiti si preoccupavano per il suo stato d’animo, ma erano anche delle curiosone pettegole, molto interessate a sapere tutto di tutti e a raccontarlo in giro. «Sto bene» rispose infine, cercando di convincere più se stessa che loro. «Certo, David mi mancherà molto… E anche Ashley, è una così cara ragazza». «Per non parlare di Sarah» si intromise Abby, con ingenuità e naturalezza.


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«Soprattutto Sarah» puntualizzò Margaret. «E dovrò aspettare fino al Ringraziamento per conoscere il nuovo bimbo! Ahhh, i nipoti sono qualcosa… di insostituibile». «Come ti capisco, cara» replicò l’altra, comprensiva. «Già» concordò Amelie, con aria più distaccata. Lei non aveva mai avuto figli, anche se per un periodo aveva badato a quelli di sua sorella. L’esperienza non le era affatto dispiaciuta, ma i bambini erano una grande responsabilità, che non si poteva gestire da soli, e lei non aveva mai trovato uno straccio di marito. Non che fosse diffidente nei confronti degli uomini, semplicemente sembrava che tutti gli uomini che aveva incontrato avessero diffidato di lei. «Passiamo a cose più urgenti» Margaret cercò di sviare il discorso su un altro argomento. «Come sapete» prese a spiegare dopo una pausa per assicurarsi l’attenzione delle amiche, «tra una decina di giorni si aprirà il mercatino della nostra parrocchia. L’allestimento è già arrivato a un ottimo punto, ormai mancano solo pochi dettagli, ma dobbiamo ancora risolvere il problema più grosso: trovare dei facoltosi e generosi donatori». «Eh sì…» farfugliò Amelie, annuendo con sguardo perso. «Ora» riprese l’altra, scandendo bene ogni parola. «Mi servono delle idee». «Potremmo organizzare una pesca di beneficienza!» saltò subito su Abby, entusiasta, scuotendo il suo caschetto di capelli ricci e scuri. «Ce l’abbiamo già» ribatté Amelie, con il tono esasperato di chi sta ripetendo la stessa cosa per l’ennesima volta. «Non ricordi?» «Oh» trasecolò la sua vicina. «Devo essermi confusa». «Ci servono idee concrete» precisò Margaret, «Non supporteremo la nostra missione in Amazzonia con solo una pesca di beneficienza. Dobbiamo trovarci… degli sponsor. Insomma, persone abbienti che possano donare cifre consistenti».


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«Noi non conosciamo nessuno di abbastanza ricco» fece presente Amelie, scuotendo la testa sconsolata. «Potremmo chiedere al signor Clint» propose Abby, di nuovo con slancio. «È un po’ burbero, ma ha un grande cuore». «Ha un cuore molto fermo, anche» la contraddisse Amelie, un po’ cinica. «Il signor Clint ha avuto un infarto l’anno scorso». «Già» confermò Margaret, alzando gli occhi al cielo con aria distratta. Normalmente sarebbe stata lei la prima a proporre una valida idea, ma quel pomeriggio non sapeva proprio cosa inventare. In quell’ultimo periodo le erano successe molte cose emozionanti: David le aveva comunicato del suo imminente trasferimento solo pochi giorni prima; la presidentessa del gruppo terza età della parrocchia, una signora ultracentenaria, era di recente passata a miglior vita, e lei era stata scelta per succederle. Certo, quella era una grande responsabilità. Per una persona organizzata come lei non era difficile allestire dei banchi di vendita per il mercantino, ma trovare persone di buon cuore disposte a donare qualcosa senza i contatti nel “bel mondo” che avevano altri, era tutta un’altra storia. «Mi dispiace» si scusò, reclinando leggermente la testa per guardare verso il soffitto. «Non sono molto concentrata, oggi». «È a causa di David?» domandò Amelie, con poco tatto. «Credo di sì» ammise l’altra. «Non mi è dispiaciuto quando è andato a vivere per conto suo e poi si è sposato, ma adesso… Insomma, si trasferisce dall’altra parte del Paese, da un giorno all’altro: è successo tutto così in fretta». «Lo supererai» intervenne Abby, in tono duro, che mascherava però una nota di dispiacere. «C’è di peggio, nella vita». Abbassò gli occhi sconsolata, lasciando spazio a un silenzio imbarazzante. In paese tutti sapevano che Abby non vedeva i suoi due figli da diversi anni, da quando cioè, entrambi teenager, erano


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scappati di casa per raggiungere il padre senza un motivo apparente. Il marito di Abby aveva abbandonato la sua famiglia così di punto in bianco, inseguendo il suo sogno di andare a vivere su un’isola tropicale, e nessuno in paese lo aveva mai più rivisto. Per lei era stata dura tirare avanti lontana dai suoi affetti, senza nemmeno sapere perché i suoi figli avessero preferito stare con quello spiantato del padre in qualche isoletta sperduta nell’oceano, ma non si era persa d’animo. Aveva deciso di non risposarsi e si era gettata a capofitto nel lavoro, facendo turni extra in ospedale, dove lavorava come infermiera, e arrivando perfino a fare delle informali visite a domicilio agli anziani del quartiere, dando loro consigli utili per tenere a bada gli acciacchi. «Ah, bei tempi» sospirò poi, rompendo il silenzio. «Quando i nostri figli erano piccoli, dico. Allora tutto andava benissimo». «Hai proprio ragione» concordò Margaret, annuendo. «Mi ricordo che passavamo spesso il sabato tutti insieme e facevamo il barbecue in giardino. Oh» si rivolse ad Amelie, «c’erano anche qui i tuoi nipoti in quel periodo, vero?» «Sì» confermò l’altra, che nel frattempo aveva finito il suo tè, riappoggiando la tazza vuota sul proprio piattino. «Mia sorella era convalescente dopo un incidente stradale e non poteva badare ai bambini, così li mandò a stare da me… Owen e Philip. Chissà quanto saranno cresciuti: l’ultima volta li ho visti quando il più grande stava per partire per il college!» «Avevo capito che Philip fosse partito per l’Europa» ricordò la padrona di casa. «Spagna o Francia…» «Infatti» annuì Amelie, fiera. «È ricercatore presso l’università di Barcellona». «Voi almeno avete la consolazione di sapere cosa fanno i vostri ragazzi» saltò su Abby, con una vocetta lamentosa. «Io non ho più rivisto i miei da quando se ne sono andati. Nemmeno una foto, una cartolina…»


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«Coraggio, cara» cercò di consolarla Amelie, appoggiandole una mano sulla schiena in segno di cordoglio. «Vedrai che un giorno vi rappacificherete». «Speriamo» singhiozzò Abby, prendendo un fazzoletto ricamato dalla borsetta. «Chissà quanto sarà diventata bella Maddy, e quanto è cresciuto Simon… Chissà se si sono sposati, se hanno dei figli, che lavoro fanno… Erano così cari e buoni, da piccoli, chissà perché sono scappati…» «Fatti forza, Abby» intervenne anche Margaret, forse con troppa durezza, ma con la sincera intenzione di tirare su di morale l’amica, distraendola dalle sue preoccupazioni. «Metti via quel fazzoletto e basta pensare al passato! Concentriamoci sul presente, che Dio vede, Dio provvede». «Hai ragione» annuì l’altra, passandosi il fazzoletto sul volto come per asciugarsi il sudore. «Il nostro problema era… ?» «Trovare donatori» ricordò Amelie, alzando la voce come se stesse parlando con una sorda. «Giusto, donatori. Per cosa?» «Abby» esclamò Margaret, sconcertata. «Ma dove vivi, sulla Luna? Stavamo parlando del mercatino della parrocchia, la nostra missione in Amazzonia…» «Oh, ma certo» la interruppe Abby, battendosi una leggera pacca sulla fronte. «Sono così sbadata, scusate». «Oh, ho un’idea!» saltò su Amelie, sgranando gli occhi entusiasta. Si sistemò sul bordo del divano, prese a gesticolare nell’aria tutta eccitata e continuò: «Vi ricordate quel ragazzino che abitava in fondo alla strada quando facevamo le grigliate del sabato? Quello mingherlino dall’aria sempre malaticcia». «Già» bofonchiò Margaret, strizzando gli occhi e richiamando alla mente i ricordi di quel periodo, più di vent’anni prima. «Sì» annuì poi, convinta, «Mark, si chiamava. Mark Miller».


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«È vero, me lo ricordo pure io!» aggiunse anche Abby, felice di ricordarsi qualcosa una volta tanto «Quello pestifero con le lentiggini che tirava sempre la coda al gatto di Amelie». «Ma no» la contraddisse la sua vicina. «Quello era il figlio più piccolo dei McCrane. Una vera peste!» aggiunse, sgranando gli occhi e stendendo le mani per invitare la sua vicina a non continuare: quel ragazzino dispettoso era uno dei dettagli di quel bel periodo che era meglio dimenticare. «Oh» commentò l’altra, mortificata. «Mark era un tipo tranquillo, molto chiuso e molto studioso, che cercava di andare d’accordo un po’ con tutti» chiarì Margaret. «Ma con questo?» chiese Abby, cercando di sviare il discorso «Dove vogliamo arrivare? Cosa c’entra questo… Mark?» «Lo abbiamo incontrato l’estate scorsa» spiegò Amelie. «Lo ricordo come se fosse ieri. Era tornato qui in paese per festeggiare i quindici anni dal diploma. Anche David partecipò a quella rimpatriata di ex studenti e fu proprio lui a presentarci Mark, in quell’occasione». «Ma certo» aggiunse la padrona di casa. «Mi ricordo anch’io. Dopo che Mark ebbe finito la scuola, la sua famiglia si trasferì al nord e lui non era più tornato fino all’anno scorso. Mi aveva anche lasciato il suo biglietto da visita… Era diventato un importante dirigente di azienda, o qualcosa del genere». «Esattamente» sorrise Amelie. «Questo significa che è diventato una persona importante e ricca». Spalancò gli occhi, marcando volutamente la parola “ricca”, lasciando sottintendere che avrebbe potuto fare loro una donazione più che generosa. «Ohh, capisco» sorrise anche Abby, annuendo, mentre Margaret si sforzava di ricordare dove avesse appoggiato quel biglietto da visita. «Chiederemo a lui di farci una donazione» concluse, sorniona.


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«Non so dove sia finito il suo biglietto» cedette Margaret, non riuscendo proprio a ricordare dove lo avesse messo. «Fa lo stesso» esclamò Amelie, scattando in piedi sull’onda dell’entusiasmo. «Se è diventato famoso lo troveremo di sicuro cercandolo in internet». «In internet?!» esclamarono sbigottite le altre due, all’unisono. L’idea aveva perfettamente senso, ma usare internet significava accendere un computer o un cellulare… E nessuna di loro aveva un gran bel rapporto con la tecnologia. «Ma certo» ribadì Amelie. «Una volta ho cercato Philip, e ci ho trovato subito tutto il suo curriculum professionale. Non è mica difficile, basta digitare il suo nome sul motore di ricerca, e i risultati saltano fuori da soli!» «Sì, ma…» cercò di obiettare Margaret, mentre Abby, ancora scioccata, ascoltava con l’espressione assente di uno stoccafisso. «Oh, suvvia» borbottò l’altra, muovendo una mano per aria come per schiacciare a terra un pallone. «Non può essere così difficile!» «Be'… D’accordo» cedette infine la padrona di casa, considerando tra sé che David le aveva appena appeso al frigo le istruzioni per usare il computer apposta per situazioni del genere. «Vado a prendere il portatile, allora» concluse, alzandosi. Le altre due fecero altrettanto e, abbandonando sul tavolino del salotto le tazze sporche e il piattino, ancora pieno, dei biscotti, seguirono Margaret in cucina. Mentre le due ospiti si sedevano, la padrona di casa passava nello stanzino vicino, al quale si accedeva tramite una porta in fondo alla cucina, sulla sinistra. Normalmente, quel luogo era adibito a dispensa, ma era molto tempo che Margaret non teneva più in casa grandi scorte di cibo, quindi aveva pensato di utilizzarlo come sgabuzzino. Era certamente più comodo avere alcuni oggetti utili a portata di mano, anziché tenerli nel seminterrato, per il quale bisognava scendere delle scomode scale.


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Dopo la morte del marito, l’anziana aveva relegato lì il computer, che lei non usava spesso. David era già sposato da qualche anno, quindi in casa non era rimasto nessuno a cui un computer potesse servire. Margaret recuperò in un attimo il portatile dall’armadietto in cui l’aveva rinchiuso, come se fosse stato un formaggio da far stagionare, e tornò in cucina trasportandolo in braccio come un neonato. Lo appoggiò sul tavolo tra le due amiche e aprì lo schermo: quello sapeva farlo anche senza bisogno di istruzioni. «Non ricordo con precisione dove sia il cavo di alimentazione» affermò poi, avvicinandosi al frigo per prendere il post-it che le aveva scritto David. «Spero che abbia sufficiente carica». «In caso cambieremo la batteria» buttò lì Amelie, passandosi le mani sulla testa per assicurarsi che nessun ciuffo fosse uscito dal suo chignon. «Non funziona così» fece presente Abby, che tra le tre era quella con maggiore esperienza in campo tecnologico. «La batteria si ricarica di volta in volta, attaccando il computer alla corrente». Margaret prese una sedia dall’altro lato del tavolo e, reggendo in mano il suo foglio di istruzioni, si sedette tra le altre due. «Dunque…» prese a dire poi, decifrando la scrittura del figlio «Per prima cosa bisogna accendere il computer. Basta premere il tastino con questa specie di “Q” rovesciata, quello in alto a sinistra». «È questo qua» affermò Abby, indicando il pulsante di accensione. «Be', questo potevamo capirlo anche da sole» borbottò Amelie. Un po’ si sentiva una sciocca a dover seguire delle istruzioni, ma, visto che non era capace di usare il computer, poteva anche accettarlo. Almeno accenderlo, però, quello era capace a farlo! «Giusto» concordò Margaret, schiacciandolo. «Appena comparirà la schermata di accesso dovremo inserire la password» continuò,


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voltando il foglio. «Le password sono scritte qui dietro, ma quella del computer non è difficile da ricordare». «Sarà il nome di David, al massimo la sua data di nascita» ipotizzò Abby. «Anch’io usavo sempre i nomi dei miei figli per le password». «Questa è una cosa che non vi riguarda» replicò la padrona di casa, schiacciando i tasti con un dito solo e molto lentamente. Il sistema operativo si caricò più in fretta di quanto Margaret ricordasse e aprì subito una finestra internet. «Forza» esortò Abby, con una certa impazienza nel tono. «Cercalo, cercalo!» «Sì, adesso» tergiversò l’altra, cominciando a digitare le prime lettere nella barra di ricerca. «Mark…» ragionava intanto, a voce alta «Emme, a…» «Miller» ricordò Amelie, mentre Margaret cominciava a scrivere anche il cognome. «Sì, sì, me lo ricordo». Proprio come previsto, non appena schiacciarono il tasto invio, comparve un elenco di numerosi risultati, quasi istantaneamente. Amelie suggerì di provare con il primo, sostenendo che il nome dell’azienda comparso nell’anteprima del sito le ricordava qualcosa. Margaret cliccò sul titoletto in blu, poi scorse la pagina verso il basso, perdendo il controllo del touchpad per qualche istante, finché non intravide il nome che aveva cercato. «Ecco qua» lesse Amelie, indicando un punto abbastanza centrale dello schermo. «Mark J. Miller, direttore associato, eccetera, eccetera…» «Oh, qui c’è un numero di telefono» osservò Abby, indicando la sequenza di numeri in fondo alla pagina, nella sezione “contatti”. «Sono quasi le cinque e mezza» fece presente Amelie. «Se ci sbrighiamo, con un po’ di fortuna, lo troveremo ancora in ufficio».


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«Giusto» annuì Margaret, afferrando un pennarello dal barattolo al centro del tavolo per trascrivere il numero. «Telefoniamogli subito». Tutte e tre si avviarono quasi in processione verso il telefono, un vecchio modello dai tasti enormi, poggiato su un tavolino a fianco delle scale. «Avanti» esortavano ansiose le altre due, mentre Margaret schiacciava i diversi tasti, fermandosi dopo ognuno a controllare di avere scritto la cifra esatta. Finita la digitazione, si portò il ricevitore all’orecchio e le altre due si fecero più vicine per ascoltare la conversazione. «Squilla libero» affermò Margaret, sollevata che l’ufficio non avesse ancora chiuso. «Smith & Co. assicurazioni, buongiorno» rispose una voce metallica dall’altra parte del filo. «Buongiorno» rispose educatamente Margaret, parlando lentamente e scandendo bene le parole, poiché sapeva che il suo apparecchio era vecchio e distorceva spesso i suoni. «Sono Margaret Moore, cerco il signor Mark Miller». «Signora Margaret!» esclamò sorpresa la voce, facendosi più acuta. «Si ricorda di me? Sono Stacey Wilson, abitavo a un paio di case dalla sua». «Ma certo, cara» replicò subito l’anziana. Si ricordava perfettamente della famiglia di Stacey, che era venuta ad abitare lì accanto quando David aveva iniziato le superiori. Nel circondario erano stati tutti felici di quei nuovi vicini: tranquilli, silenziosi, rispettosi e con dei bambini studiosi e educati. Come dimenticarsi di Stacey, la ragazzina con gli occhiali quadrati e l’apparecchio ai denti? «Stacey Wilson» ripeterono Amelie e Abby, borbottando tra loro e annuendo per dare a intendere che se la ricordavano.


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«Signora Margaret, quanto tempo» sospirò la ragazza in tono nostalgico, alludendo al fatto che da un paio d’anni si fosse trasferita in città per lavoro. Poi, con far più serio, riprese: «Mi dispiace, ma il signor Miller è fuori città per occuparsi di un cliente, tornerà solo nel fine settimana. Di cosa ha bisogno, posso aiutarla? Sono la sua segretaria personale, gestisco io tutti gli affari e i contatti dell’ufficio. Le interessa forse stipulare una polizza assicurativa?» «No, mia cara» spiegò Margaret, con naturalezza, sempre parlando lentamente. «Volevo chiedergli se potesse essere così generoso da fare una donazione alla parrocchia del paese per supportare una missione in Amazzonia. Noi organizziamo un mercatino ogni primavera, ma le spese sono tante e...» «Ma certo, capisco bene» la interruppe l’altra, un po’ bruscamente, dal momento che il suo orario di lavoro era già finito da qualche minuto e doveva staccare. «Mark... Cioè, il signor Miller, frequentava spesso la parrocchia, come tutti, qui in paese, così abbiamo pensato che potesse...» «Ma certo» intervenne di nuovo l’altra. «Sono sicura che sarà più che felice di staccarvi un assegno non appena tornerà dal suo viaggio». «Non c’è modo di contattarlo prima?» domandò Margaret, considerando tra sé che la riunione con il circolo anziani sarebbe stata l’indomani. «Temo che non sia possibile» replicò Stacey, improvvisando una voce affranta. Per la verità, le dispiaceva davvero di non poter accontentare Margaret, che con lei era sempre stata gentilissima, ma aveva molta fretta di tornare a casa. «Non posso passarle il suo numero privato… Cerchi di capirmi, signora, si tratta di un dato sensibile, che non può essere condiviso per una questione di privacy».


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L’anziana storse il naso, mentre le sue amiche ridacchiavano, alla parola “privacy”. Vivendo negli Stati Uniti da molti anni, si era abituata a sopportare l’accento americano, ma alcune parole, come quella, le mal sopportava. Tutti a dire “praivasi”, borbottava sempre tra sé, quando anche David la pronunciava così: “privasi”, così come si scrive. Cosa ci voleva?! «E poi» aggiunse la ragazza dopo un istante, «È via per occuparsi di un cliente, è probabile che non possa rispondere al telefono». «Ma a noi serve al più presto» protestò Margaret, con decisione. Non voleva passare per cafona, ma l’intero gruppo anziani contava su di lei per trovare una donazione al più presto e non voleva deludere nessuno. «Be'…» tergiversò la segretaria, prima di cedere «Facciamo così: vi lascio la sua e-mail privata, potrete scrivergli lì e appena avrà tempo vi risponderà. Sia chiaro che lo faccio solo perché ci conosciamo». «Certo, grazie mille!» esclamò soddisfatta Margaret, facendo cenno ad Abby e Amelie perché le passassero qualcosa per scrivere. «Mark punto Jonas…» cominciò a dettare Stacey, con rapidità, impaziente di mettere giù la cornetta e andare finalmente a casa. «Capito» concluse l’anziana, annuendo mentre finiva di scarabocchiare l’indirizzo sullo stesso foglio con il numero dell’ufficio. «Grazie, cara Stacey, grazie mille davvero. Speriamo di rivederti presto, passa pure a trovarci, se torni in paese». «Certo, certo» tagliò corto l’altra. «Scrivete tranquillamente al signor Miller per spiegargli la situazione, io gli lascerò un messaggio telefonico per avvisarlo». «Grazie ancora. Arrivederci». Margaret fece appena in tempo a riappoggiare la cornetta del telefono al suo posto, che già le altre due le mettevano fretta.


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«Scriviamogli subito» incitava Amelie, muovendo per aria le mani in maniera scoordinata, come un insetto agitato. «Ohh, sì, forza, dai» le faceva eco Abby, battendo le mani come una bambina. «Ma certo» concordò la padrona di casa, sperando così di rabbonirle. Si avviò lentamente verso la cucina, mentre le amiche, che non avevano alcun problema di deambulazione, la precedevano. Si rimisero tutte e tre attorno al computer, questa volta con Abby al centro. Nonostante fosse un po’ distratta, era anche la più capace tra loro a lavorare con la tecnologia: a lei non servivano istruzioni, per aprire la casella di posta elettronica e inviare una mail. «Cosa gli scriviamo?» domandò, una volta aperta l’app apposita. «Be', potremmo cominciare con un “egregio signor Miller”» propose Amelie. «No» la contraddisse Margaret. «Troppo formale. Non è completamente uno sconosciuto, e poi Stacey mi ha assicurato che lo avrebbe avvertito, quindi quando leggerà la mail si sarà già fatto un’idea della nostra richiesta». «Va bene» borbottò Amelie, contrariata e vagamente offesa. «Scrivi quello che ti pare». «Ecco, ecco, ce l’ho» affermò Margaret, facendo cenno ad Abby di scrivere. Si mise a dettare con una certa lentezza, come se fosse stata una maestra che proponeva un esercizio a un allievo. L’amica schiacciava i tasti del computer con un’abilità formidabile agli occhi delle altre, cancellando gli errori e riscrivendo più volte, mentre Amelie teneva le braccia conserte e sbuffava di tanto in tanto con aria seccata. Alla fine, rilessero a voce alta il testo che avevano scritto, facendo qualche piccola correzione e aggiustamento qua e là:


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Gentile signor Mark, sono Margaret Moore, si ricorda di me? Ci siamo incontrati l’estate scorsa alla festa in paese. Vorrei chiederle un favore, un grosso favore, che potrà aiutare molti bisognosi. Le ricordo gentilmente che essere generosi fa sempre bene agli altri, ma anche a noi stessi e alla nostra anima. Pertanto, le chiedo una donazione; possibilmente, mi permetta, una cospicua donazione. In fondo, lei è ora un uomo importante e facoltoso, con un’attività di successo, che ha certamente avuto grandi soddisfazioni nella sua vita lavorativa. Una buona azione non può che giovare alla sua immagine, senza pesare troppo sul portafogli: sono sicura che avrà a cuore anche il benessere di molti derelitti! Potremmo incontrarci e parlarne a voce? Attendo una sua risposta e il suggerimento di una data per un nostro incontro. Cordialmente, Margaret Moore

«Spediamo subito» esclamò Amelie, impaziente, mentre Margaret stava ancora finendo di rileggere i saluti. «Oh» osservò poi, indicando la barra vuota per l’oggetto e i destinatari. «Hai dimenticato l’indirizzo». «Oh, ma chissà dove ho la testa» sospirò Abby, aggiungendo subito “donazione” come oggetto e borbottando mentre scriveva anche l’indirizzo mail sul foglio. «Mark punto Jones…» «Non saremo state troppo sfacciate? Forse potremmo fare ancora qualche aggiustatina» propose la padrona di casa, non del tutto convinta che il testo funzionasse al meglio. «Magari spiegare qualche dettaglio in più».


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«Ma no» brontolò Amelie, facendo con la mano un gesto come per gettarsi alle spalle una cartaccia. «Sei stata chiarissima, lui capirà di certo. E poi, sei la madre di un suo caro amico e vi siete incontrati solo l’anno scorso, se lo ricorderà!» «Be', d’accordo» cedette Margaret, ancora poco convinta, mentre Abby schiacciava sul tasto “invia”. «Ecco fatto» affermò quella, sfregandosi le mani con aria sorniona. «Spedita». «Bene» concluse Amelie, soddisfatta. «Non ci resta che aspettare la risposta».


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CAPITOLO 2 – LA SPESA

«Margaret!» strillò sguaiata la voce rauca di Amelie, accompagnata dal suono di un vecchio clacson, che assomigliava al versaccio di un corvo. «Eccomi, eccomi» borbottò l’altra, spalancando la porta di casa e alzando una mano per fare cenno di aspettarla. «Uff» brontolò Amelie, seguendo dal finestrino l’amica che chiudeva a chiave la porta e percorreva zoppicando il vialetto del giardino. Lei e Abby si erano già messe in auto da un pezzo, pronte a partire per fare la spesa. Di solito, David faceva loro da autista e le accompagnava al supermercato in periferia, ma, visto che lui era partito, d’ora in poi avrebbero dovuto arrangiarsi. Così, avevano stabilito che Abby, l’unica con una patente di guida ancora valida, avrebbe portato tutte quante a destinazione. «Forza, forza» esortò Amelie, mentre Margaret apriva la portiera del macinino rosso di Abby, portando con sé solo la sua borsa e un sacchetto di stoffa per la spesa. «Arrivo, calmati» ribatté l’altra, entrando in macchina e richiudendo la portiera. «Allora, possiamo andare?» domandò Abby, voltandosi verso i sedili posteriori. «Sì, sì» permise Amelie. Mentre l’autista girava la chiave nel quadro del cruscotto, Margaret si allacciava la cintura di sicurezza. Fissò il suo riflesso


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nello specchietto retrovisore, controllando che i capelli fossero in ordine, poi si lasciò andare contro il proprio schienale, sospirando. «Perdonatemi» si scusò dopo avere ripreso fiato, sistemandosi una cioccia di capelli dietro l’orecchio. «Ero alle prese con il purgante» spiegò poi, abbassando la voce. «Bah, quel veleno!» sbottò la sua vicina, incrociando le braccia imbronciata. «Dovresti buttare via quella robaccia, anziché tenerla addirittura in cucina!» «Così è a portata di mano» si giustificò l’altra. «Si parte!» esclamò improvvisamente Abby, con entusiasmo, interrompendole. Schiacciò sull’acceleratore prima che Margaret avesse il tempo di raccomandarle di guidare con prudenza. Il motore emise un tonfo sordo, poi uno scoppio, infine l’auto partì in retromarcia. Percorse una decina di metri, poi Abby frenò di colpo, proprio pochi centimetri prima di colpire lo steccato di casa sua. «Oh, dimenticavo di togliere la retromarcia» ridacchiò lei, mentre le altre due anziane borbottavano qualche protesta. «Chissà dove ho la testa». Spostò la leva del cambio, poi schiacciò di nuovo il piede sull’acceleratore. Questa volta, l’auto partì in avanti, inizialmente con un’andatura lenta e incerta, accelerando man mano che procedeva. «Ahh» sospirò Margaret, alzando gli occhi al cielo. «Non sarà più lo stesso, d’ora in poi». Scambiò un’occhiata di intesa con Amelie, che annuì. Entrambe sapevano che la guida di Abby non era proprio l’ideale per loro: a lei piaceva adottare un tipo di guida sportiva, poco adatto a delle persone anziane; inoltre aveva il brutto vizio – o solo la grande sfortuna, chissà – di beccare sempre tutte le buche.


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«Già» concordò Abby, non cogliendo l’allusione al suo pessimo modo di guidare. «Se fosse per me andrei ancora da panettiere, lattaio, macellaio e fruttivendolo». «Suvvia, cara» replicò Amelie, gesticolando con fare artificioso e atteggiandosi a esperta. «Dobbiamo modernizzarci. E poi, al supermercato troviamo tutti i prodotti che ci servono nello stesso posto e i prezzi sono più bassi. È più conveniente». «Forse la nostra salute varrà ben qualche dollaro in più» bofonchiò Margaret, coprendo il suo commento con un colpetto di tosse. Non voleva che Abby si offendesse, anche perché era stata così carina da accompagnarle, ma la sua guida e il suo vecchio macinino erano un vero pericolo per le loro delicate ossa di ultrasettantenni. «Oh, sapete anche cosa non sarà più lo stesso?» saltò su Amelie, pensando che quello fosse il momento più propizio per comunicare la notizia alle amiche. Attese qualche istante, affinché la curiosità crescesse, poi rivelò: «Ci siamo liberate del matto del villaggio». «Matta a chi?!» protestò Abby, che, concentrata sulla strada, non aveva fatto caso al discorso e credeva che Amelie stesse parlando di lei. «Non tu» chiarì immediatamente l’altra, un po’ seccata che Abby non avesse prestato abbastanza attenzione a quanto diceva. «Sto parlando di quel tipo strano, sempre sciatto, che era andato ad abitare in campagna, vicino alla fattoria dei Whitehead». «Certo, io me lo ricordo bene» aggiunse Margaret, annuendo. «Si era trasferito in una catapecchia che cadeva letteralmente a pezzi, per farne quello che definisce ancora oggi il suo “laboratorio segreto”. Mi sembra di aver capito che stesse costruendo la macchina del tempo». Abby scoppiò in una risatina stridula e fastidiosa, bofonchiando parole sconnesse come “macchina”, “tempo”, “pazzo”. Certo


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c’era un motivo, in effetti, se quel tipo veniva soprannominato “il matto del villaggio”. «Comunque sia» riprese Amelie, sperando che questa volta la loro autista la ascoltasse con maggiore attenzione e senza interrompere, «non lo troveremo più a importunarci mentre facciamo la spesa». «Mi pare ovvio» bofonchiò Abby, che stavolta si era concentrata sul racconto dell’amica. «Noi lo incontravamo sempre il venerdì pomeriggio, quando facevamo la spesa con David, ma oggi è giovedì mattina, visto che domani dobbiamo partire. Quindi, è logico presumere che non lo vedremo». «Non è questo» puntualizzò l’altra. «Il matto è sparito questa notte. Mi ha telefonato Lucy Whitehead proprio quando stavo per uscire di casa, apposta per dirmelo. La cosa strana è che ha lasciato lì tutte le sue cianfrusaglie, portandosi via solo la sua giacca con le… “medaglie” e la sua capra». «Ma è terribile» considerò Margaret, sconcertata, ma non riuscì a nascondere un sorrisetto divertito nell’udire il riferimento alle cosiddette medaglie e alla capra di quel tipo. «Vi ricordate di quella volta che è venuto al negozio sfoggiando le sue medaglie?» intervenne Abby, sghignazzando «Aveva detto di averle ricevute da George Washington in persona per le sue gesta eroiche, ma in realtà si trattava solo di vecchie calze attaccate alla giacca!» «E quando si portò dietro la sua capra domestica?» rincarò la dose Amelie, lacrimando dalle risate «Quell’insopportabile animale puzzolente una volta divorò l’intero reparto giardineria del supermercato, e si pappò anche il cappellino di una signora che cercava una moneta che le era caduta!» «Che strano, però» ribadì Margaret, passandosi ripetutamente una mano sul mento, con aria meditabonda. «Sparire così da un giorno all’altro… Ma hanno avvertito la polizia?»


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«No, non ancora» spiegò sommariamente Amelie, tornando seria all’improvviso. «È scomparso solo stanotte e non è improbabile che, strambo com’è, quel tipo abbia preso medaglie e capra e se ne sia andato a spasso da qualche parte». «Magari la sua macchina del tempo funziona davvero» scherzò l’altra, facendosi comparire un sorrisetto. «Ah, è più probabile che si sia perso in campagna» fece Amelie, muovendo la mano dall’alto verso il basso, come per fare una schiacciata. «Poverino, però. Speriamo che lo ritrovino presto». «Pensate che ridere se lo ritrovassimo noi» ridacchiò Abby, per sdrammatizzare. «Magari ci piomberà davanti per tagliarci la strada quando saremo in viaggio per il campeggio». Il giorno successivo, di buon’ora, tutte e tre sarebbero partite per andare in campeggio al lago, come ai bei vecchi tempi, quando ci portavano i bambini. Un vecchio amico del marito di Margaret l’aveva ricontattata pochi giorni prima, per invitarla a un ritrovo dei membri del circolo “Amici della Pesca”. Lei non aveva mai fatto parte di alcuna associazione simile, ma, proprio in onore di quei vecchi tempi, era stata invitata. L’anziana aveva accettato di buon grado, a condizione di potersi presentare in compagnia delle sue amiche, e nessuno aveva fatto obiezioni. Anche se nessuna di loro tre era una patita della pesca, trovarsi con vecchi conoscenti, quelli che allora venivano definiti “amici delle vacanze”, e passare un fine settimana tutti insieme sarebbe stata una bella distrazione. «Dovremmo comprare delle provviste» suggerì Margaret, dopo qualche istante di silenzio, in cui ebbe modo di riflettere e organizzare nella sua testa le idee per l’indomani. Per quanto avesse fiducia nelle capacità dei vecchi amici, era sempre meglio prevenire ogni situazione, compresa quella in cui i provetti


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pescatori non fossero riusciti a procurare abbastanza pesce per tutti. «Ci riforniremo di scatolame» affermò Amelie, intuendo le preoccupazioni della sua vicina e considerando tra sé che a lei il pesce proprio non piaceva. «Porteremo via vettovaglie per un intero esercito!» «Be', senza esagerare, però» replicò l’altra, conoscendo l’abitudine dell’amica di eccedere. «Ecco, ci siamo» annunciò Abby, di nuovo incurante delle chiacchiere delle altre due. «Adesso faccio manovra e parcheggio l’auto». «Non è che potremmo scendere prima?» domandò Amelie, improvvisandosi attrice tragica. «Oh, che ridere» commentò l’autista, sarcastica e senza entusiasmo, rallentando per entrare nel parcheggio del supermercato. Con inconsueta abilità, Abby si posizionò nel primo posto libero che trovò, governando la macchina alla perfezione e riuscendo a parcheggiarla entro le linee al primo tentativo. «Tsè», borbottò poi, con vaga aria di superiorità. «Visto?» Le tre scesero dall’auto e si diressero verso l’entrata del supermercato in fila indiana, poi, appena giunsero davanti alle porte scorrevoli, si ridisposero: Margaret davanti e le altre due a braccetto alle sue spalle. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

CAPITOLO 1 – L’E-MAIL ............................................................. 3 CAPITOLO 2 – LA SPESA ........................................................... 25 CAPITOLO 3 – L’APERITIVO...................................................... 47 CAPITOLO 4 – INCIDENTI DI PERCORSO .................................... 68 CAPITOLO 5 – QUANTO ZUCCHERO, CARO? .............................. 88 CAPITOLO 6 – LA RISCOSSA ................................................... 118 EPILOGO................................................................................. 143



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Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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