The lake, Giusto Senese

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In uscita il 2 /12/20 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine dicembre 20 e inizio gennaio 202 ( 99 euro)

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GIUSTO SENESE

THE LAKE IL LAGO

ZeroUnoUndici Edizioni


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THE LAKE Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-428-1 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Novembre 2020


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1 LA PROPOSTA

Quanti di noi, almeno una volta nella vita, non hanno desiderato tornare indietro nel tempo, e modificare eventi e circostanze, che hanno portato a conseguenze spiacevoli; quanti di noi almeno una volta nella vita non hanno desiderato spostare le lancette dell'orologio indietro per qualche minuto, ed evitare tragiche fatalità. L'incapacità dell'essere umano di non saper accettare il proprio destino, di non saper accettare le tragiche fatalità della vita, molto spesso ci induce ad assumere atteggiamenti irrazionali e ovviamente non risolutivi. Ma d'altronde la razionalità non appartiene al nostro genere, fortunatamente. Ma se mi si presentasse la possibilità di alterare lo spazio e il tempo, se avessi io quel potere di modificare gli eventi, non cambierei nemmeno un secondo di ciò che mi è successo in questi ultimi venti giorni, quegli ultimi venti giorni che mi hanno portato a giacere sul fondo di una piscina di una bellissima villa di Beverly Hills. Sì miei cari amici, chi vi sta parlando è un morto e devo dire che in fondo non si sta poi così tanto male qui. La sensazione di totale assenza di gravità e la sensazione di fluttuazione è un'esperienza che vi consiglio "caldamente". Ma perché voi possiate capire ciò di cui io sto parlando dovrò fare un salto indietro nel tempo, appunto di venti giorni, senza usare alterazioni temporali. Mi chiamo Nick (Nicola) Castaldo, mi sono trasferito dall'Italia negli Stati Uniti circa venti anni fa, insieme a mia moglie, ma purtroppo o per fortuna, la nostra relazione si è conclusa dopo dieci anni. Dieci anni passati tra incomprensioni, indifferenza e delusioni da parte di entrambi, come se l'amore che dimorava nelle


4 nostre vite fosse uscito piano piano dalle finestre della nostra casa, appena arrivati nel bel suol d'America. Quarantatré anni. La mia corporatura apparentemente robusta era originalmente sottile, ma con gli allenamenti avevo irrobustito gambe, braccia e spalle. I capelli neri, con qualche punta di bianco, ancora poco visibile, erano quasi sempre corti, per godere della sensazione di fresco in quel periodo. La mia altezza, almeno dall’ultima volta che un dottore mi aveva misurato, ovvero dopo il servizio militare circa venticinque anni fa, era di 185 cm. I miei occhi castani mi conferivano un aspetto assolutamente comune, quasi anonimo. Cosa che non mi entusiasmava fino a qualche tempo fa, ma dopo aver vissuto tutti quegli anni nella vita frenetica di una città, che tanto viene desiderata da chi viene da lontano, il desiderio di sparire tra la folla, era diventato una priorità. I primi anni di permanenza nel nuovo continente non furono facili, e riuscii a trovare un lavoro stabile solo dopo cinque anni come contabile in un'azienda di import ed export nei pressi del porto di Los Angeles, azienda per la quale ho lavorato fino a una ventina di giorni fa. Quindici anni di duro lavoro che mi hanno portato a una posizione economica invidiabile. L'azienda proseguiva a passi da gigante, il suo fondatore, Claude Fitzsimmons, padre di Harold, il mio datore di lavoro, iniziò con un furgoncino di consegne di materiale elettrico sessantacinque anni fa, e il figlio, dopo trent'anni di sviluppo, ebbe l'intuizione di proseguire implementando l'attività anche per terra, mare e cielo. Spedizioni in tutto gli USA di qualsiasi materiale elettrico e meccanico. La crisi che colpì gli USA otto anni fa fece calare le spedizioni del 25% ma nel giro di quattro anni l'azienda tornò a splendere come un tempo. Dopo la separazione (consensuale) con mia moglie cambiai casa e mi trasferii in un attico al 15° piano di un edificio a circa venti minuti di macchina dall'azienda dove lavoravo. In tutti quegli anni di lavoro posso tranquillamente dire di conoscere l'azienda meglio di qualsiasi altro dipendente che lavori lì dentro, al pari dello stesso Harold. Come appunto contabile, diciamo che una buona parte del lavoro svolto per il successo dell'attività era dovuta a me. E questo Harold lo sapeva benissimo. In dieci anni la mia vita aveva subito un'inversione di rotta. L'attività mondana, che facevo con la mia ex, si era trasformata in un quasi totale isolamento con il mondo esterno, a parte quello del lavoro, ovviamente, per il quale avevo dato tutto. L'unica valvola di sfogo era la palestra di arti marziali che avevo cominciato a frequentare


5 distrattamente anni fa, quasi come se avessi avuto bisogno di uscire dalla monotonia della vita nella quale stavo annegando, dopo l'orario di lavoro. Ero arrivato a non sopportare di tornare a casa e non vedere l'ora di tornare in azienda il giorno dopo. Assurdo vero? Ma la frequenza di quell’attività sportiva mi portò a ritrovare l'entusiasmo di vivere dopo l’orario di lavoro. Fu proprio questo entusiasmo a spingermi a raggiungere, anche in questa attività sportiva, degli ottimi traguardi. In sette anni riuscii a diventare istruttore di terzo livello avanzato e a insegnare a persone che necessitavano di una preparazione per l'autodifesa, in special modo bambini, donne e ragazze che purtroppo vivevano in quartieri della città abbandonati a se stessi, in condizioni di degrado umano e sociale. Molto spesso mi capitava di trattenermi in palestra fino alle 10.30 della sera, e fu proprio questo che mi diede l’occasione di parlare con persone di diversa estrazione sociale che frequentavano il mio corso, comprendendo cosa fosse veramente il disagio di vivere in zone ai margini della società, pur trattandosi della città cosiddetta delle luci, e tanto sognata e idealizzata da noi europei. Avevo quindi da tempo trovato una mia dimensione ottimale. Ma quella mattina di circa quaranta giorni fa, il destino entrò nell'ufficio al primo piano dove lavoravo, sopra l'enorme deposito dell'azienda sotto forma di un essere umano chiamato Harold. Harold era un uomo di sessantacinque anni magro, leggermente stempiato, capelli brizzolati e profondi occhi castani, un uomo apparentemente molto calmo, ma con il quale non ti saresti mai sentito di intraprendere una discussione. Convinto che fosse venuto quella mattina per parlarmi di alcuni problemi che avevamo avuto qualche settimana prima con delle spedizioni in Florida, iniziai a fargli vedere alcuni documenti che avevo stampato proprio all'inizio della mattinata, ma lui con la sua solita calma apparente fece un cenno con la mano di fermarmi. «Nick…» disse, sedendosi sulla scrivania torcendo leggermente il suo busto verso di me, comodamente seduto sulla mia poltroncina. «Da quanto tempo lavori con noi?» mi chiese. Una strana domanda dato che la risposta la conosceva molto bene.


6 «Be', circa una quindicina d'anni» risposi senza evitare di far trasparire una certa preoccupazione in ciò che Harold mi stava domandando. Sono proprio in quei momenti in cui il tuo datore di lavoro presentandosi inaspettatamente nel tuo ufficio ti annuncia che la collaborazione preziosa efficace e indispensabile, che finora avevi fornito nella sua azienda, purtroppo a causa di esubero di personale, non è più così indispensabile e si vede quindi costretto a riconsiderare il numero dei dipendenti. In quel momento Harold si fermò qualche secondo e mi mostrò la sua bellissima dentatura con un sorriso confortante. E proseguì: «Io credo che tu conosca questa azienda, forse meglio di me, e le tue capacità e intuizioni talvolta risolutive ci hanno consentito di ottenere sempre risultati ottimi sotto ogni punto di vista. Tu sai che sto cercando di ampliare questa azienda anche al nord degli Stati Uniti e quindi la mia presenza all'interno di questa sede potrebbe diventare molto saltuaria». Obiettivamente questa sua ultima frase cambiava il significato che io avevo attribuito alla sua presenza nell'ufficio quella mattina e quindi dentro di me, quella sensazione di timore purtroppo così impossibile da mascherare, si dissolse nel giro di pochi secondi. Harold continuò: «Mi chiedevo se te la sentissi in entrare in società con me, dividendo gli utili al 50%. Naturalmente per collaborazione si intende la quasi totale gestione di questa sede, quando io sarò a Seattle». Stavo per replicare prima ancora che lui potesse continuare, ma ancora una volta alzò la mano per bloccare ogni mio intervento, e proseguì: «Ovvio che la tua risposta prevede un tempo congruo per valutare la proposta e giungere a una qualsiasi tua decisione, pertanto ti consiglio magari un paio di settimane di ferie a partire da oggi». Rimasi senza parole. Continuai a fissarlo ammutolito per qualche secondo, poi il suo volto di nuovo si illuminò con un grande sorriso poiché il mio stupore era impossibile da nascondere. Ma come avrei potuto rifiutare un incarico del genere? Non avevo bisogno nemmeno di cinque secondi per valutare e decidere, e glielo dissi apertamente, ma lui non volle sentire ragioni e continuò: «Ora esci dall’ufficio e vai da Greta, compili il modulo ferie, e ti cerchi un posto dove passare questi giorni in totale relax, ho già parlato con lei... ti sta aspettando, non vede l’ora che tu diventi il suo diretto responsabile».


7 E di nuovo spalancò un sorriso disarmante che non mi consentì di replicare. Si sporse verso di me e mi strinse la mano mentre ancora non riuscivo a emettere una sillaba. Si alzò quindi dalla scrivania e si diresse verso la porta, la aprì e prima di uscire si voltò ancora una volta e mi salutò con un cenno del capo, poi uscì lasciando la porta aperta. Stavo ancora nuotando nel mare in tempesta nel quale Harold mi aveva appena gettato, con la sua inaspettata proposta; non riuscivo nemmeno a trovare la forza di dirigermi verso l’uscita del mio ufficio. Non necessitavo di tutto quel tempo per decidere se accettare o meno quella promozione, ma evidentemente Harold riteneva fondamentale un periodo di riposo per quello che sarebbe diventato il responsabile di quella sede. Qualche secondo ancora di smarrimento, e mi decisi a rimettere a posto tutte le carte che avevo messo in giro quella mattina, riponendole nelle loro cartelle, dentro i cassettoni, poi spensi il pc e uscii, dirigendomi verso l’ufficio del personale. Greta alzò gli occhi dalla scrivania e mi fece cenno di entrare. Entrai, chiusi la porta dietro di me e mi accomodai sulla poltroncina che aveva di fronte alla sua scrivania. Mentre cercava il modulo che avrei dovuto riempire esclamò: «Oggi è il suo giorno fortunato... non capita spesso che il capo venga qui a ordinare personalmente le ferie per un dipendente. Anzi a dire il vero penso sia la prima volta che capiti una cosa del genere da quando lavoro qui». Mi porse il modulo e mentre io mi avvicinai per prenderlo, mi fece un sorriso che probabilmente non avevo mai visto sul suo volto. Era veramente il mio giorno fortunato o così io pensavo. «Allora buone vacanze signor Castaldo... o posso già chiamarla capo?». Rimasi per qualche secondo a pensare quello che mi aveva appena proposto Harold, poi venne istintivo anche a me spalancare un sorriso e risponderle: «Assolutamente no... io non sono il capo di nessuno». Il mio dannato istinto democratico ancora una volta prese il sopravvento su di me. Presi il modulo e una penna dentro il classico portapenne da scrivania e cominciai a riempirlo mentre Greta continuava il suo lavoro; completai, e consegnai il foglio, quindi uscii dall'ufficio salutandola. Ecco, ero ufficialmente in ferie da quel momento, anzi in realtà mancava la firma di Harold, ma era una pro forma. Magari avessi


8 potuto fare a meno di quelle inutili ferie che mi avrebbero obbligato a fare il conto alla rovescia fino al loro termine. Ma mi sbagliavo, la noia non avrebbe mai fatto parte dei miei successivi giorni fino a oggi. A quel punto dovevo assolutamente cercare qualcosa che non mi facesse rimpiangere di aver riempito il modulo ferie. Poi mi ricordai che Sam Weazack, il capo magazziniere che dirigeva le spedizioni e gli arrivi, un uomo di quasi settant'anni prossimo alla pensione che lavorava in quella azienda da almeno trentacinque anni, tempo prima, mi aveva parlato di quando fino a una decina di anni fa andava a trascorrere un po’ di giorni con la famiglia in una baita in riva a un lago nel Wyoming, Stockton, un laghetto naturale, tra verdi colline, verso i confini con il parco nazionale di Yellowstone, dove pace e silenzio sono gli elementi che caratterizzano quei posti, e a poche miglia di distanza, un paesino con tutto quello che si necessita per la sopravvivenza, supermercato, ferramenta, bar, ristorante, caffè music bar e piccoli negozi di abbigliamento. Sembrava lo scenario ideale per isolarsi dalla frenesia e dalla noia della grande città. Raggiunsi quindi il capo magazziniere all'interno del suo ufficio. Sam era un uomo alto almeno 1,80 con una fisicità che potrebbe indurre alla fuga una qualsiasi persona che se lo trovasse di fronte con fare minaccioso, ma in realtà il suo aspetto era assolutamente ingannevole, poiché si trattava di un uomo di una bontà e di una semplicità disarmante. «Ciao Sam. Tutto bene?» gli chiesi tendendogli la mano. Lui si alzò dalla scrivania dove stava sistemando alcune carte e mi venne incontro con la mano tesa. «Ciao Nick, tutto bene» rispose. «Come mai da queste parti?». «Sembra che io sia obbligato a prendermi un paio di settimane di ferie». Il suo volto cambiò espressione e diventò quasi serio, come se temesse una mia non piacevole notizia. «No non ti preoccupare tutto a posto, vado veramente in ferie per un paio di settimane» proseguii stringendogli la mano. «E stavo pensando a quella località della quale tu mi parlasti qualche anno fa». Sam si sedette dietro la scrivania, guardandomi stupito per la domanda che gli avevo posto, pensò qualche secondo e poi: «Nick, mi cogli veramente di sorpresa. Mai avrei pensato che tu potessi chiedermi una cosa del genere... tutti ti conoscono per un uomo poco propenso allo spostarsi dalla propria città».


9 Aveva perfettamente ragione, ma in quel momento purtroppo la condizione mi imponeva di agire in quel modo e quasi rassegnato all'idea di dover lasciare l'ufficio per due settimane, gli ribadii il concetto, delle ferie forzate e che mi conveniva scegliere un posto piacevole e tranquillo. «Credo tu sia una di quelle rarissime persone che prendono le ferie controvoglia» continuò Sam. «Ma ti aiuterò a trovare informazioni su quel posto di cui ti avevo tanto parlato. E sono sicuro che mi ringrazierai». Sam aprì il cassetto della sua scrivania, prese un foglio bianco e scrisse l'indirizzo della località dell'agenzia immobiliare, con la riserva che questa potesse non esistere più, poiché l'ultima volta che aveva avuto contatti con l'ufficio fu, come diceva lui, almeno una decina di anni prima. Si alzò dalla poltroncina davanti alla scrivania e mi porse il foglio. In stampatello c'era l'indirizzo dell'agenzia e il numero telefonico: "Hampton & Hearst house and building, Lowell Street 145Lake Stockton- Wy. Ph.:505-234678". Rimasi qualche secondo a leggere ancora in piedi davanti alla scrivania di Sam. Lui rimase in silenzio a guardarmi, aspettando una mia reazione; mi accorsi del suo sguardo quando alzai il mio verso di lui e accennai un sorriso, dopodiché lo ringraziai, mi avvicinai a lui e gli strinsi la mano. «Grazie Sam, li contatterò quanto prima» gli dissi. Sam si infilò le mani in tasca e strinse le spalle accennando un senso di rassegnazione e poi rispose: «Spero che l'agenzia esista ancora. Onestamente mi sono trovato molto bene con loro in passato, e attualmente è difficile trovarne una di cui potersi fidare pienamente». Non potevo dargli torto. Anche se era molto tempo che non avevo avuto più a che fare con agenzie immobiliari, ebbi non pochi problemi per la ricerca della casa dove mi stabilii anni fa, dopo la separazione. Uscii dall'ufficio di Sam, piegai il biglietto e lo infila in tasca. Prima di uscire dall'azienda passai davanti all'ufficio registro e con un cenno della mano salutai Michael, l'impiegato addetto all'accettazione. Quel giorno di giugno, il caldo cominciava a far sentire la sua inesorabile e spietata morsa e, di lì a poco, avrebbe spinto orde di bagnanti sulla spiaggia di Santa Monica e Venice Beach. I turisti provenienti da tutte le parti del mondo, più di quanto già non ve ne


10 fossero durante tutto l'anno, avrebbero completato l’opera del demonio. L’idea di dover passare quei quindici giorni di ferie nell’assurda e insensata apocalisse, che Dante non avrebbe potuto descrivere nemmeno usando la sua impareggiabile metrica, mi spinse ad affrettarmi a contattare l’agenzia per la prenotazione di quel posto in riva al lago, così osannato da Sam per tanti anni. Ma il vero motivo di quella mia fretta, era l’illusione che quei dannati quindici giorni potessero passare il più velocemente possibile, per ritrovarmi finalmente in azienda, luogo in cui ho abbandonato, o meglio, fugato, tutte le mie insoddisfazioni e sentimenti di nullità che mi avevano afflitto nei primi dieci anni di vita nella “Grande Terra delle Opportunità”. Una fuga, con la speranza di tornare il prima possibile e sedermi sulla poltrona dirigenziale. Fuori dall’azienda, sul piazzale già infuocato dal sole della mezza mattinata, le auto scintillavano, riflettendo gli spietati raggi che colpivano le loro scocche metallizzate. Dopo aver piazzato il cappellino sulla testa già madida di sudore, mi diressi velocemente verso la mia “carrozza”, una Toyota Corolla del 2016, di colore giallo ocra metallizzata. Avvertii una sensazione di disagio nel momento in cui il mio fondoschiena si appoggiò sulla poltroncina rovente della mia auto, provocandomi un sobbalzo che non seppi controllare. Poi, lentamente mi accomodai, rassegnato al lento ambientamento a cui ero costretto ogni qualvolta che mi trovavo in quelle situazioni. Quasi contemporaneamente avviai il motore e il tasto del climatizzatore, per poi allontanarmi dal piazzale dell'azienda. La tangenziale era come sempre impraticabile, e il vapore del calore sul cemento del piano stradale, creava il classico tremolio, distorcendo qualsiasi immagine nelle sue vicinanze, quasi come fosse un miraggio sotto il cielo infuocato del Ghibli. Dopo tutto Harold non aveva sbagliato a offrirmi l'occasione di andarmene lontano da questo paradiso al contrario; paradiso da cui fuggivo volentieri. Arrivai al numero 1345 di Park Avenue, la palazzina di quindici piani, dove da otto anni avevo arredato un appartamento di circa 120 mq, secondo le mie esigenze che non ero mai riuscito a soddisfare. L'atrio della palazzina, austero, asettico e comunque sempre molto pulito, quasi strideva con la presenza di due palme nane ai lati dell'ascensore. Salii i cinque gradini che terminavano davanti alla lobby del portiere e poi mi diressi verso le ante chiuse. Dovetti aspettare almeno un paio di minuti per trovarlo libero e quando vi entrai, percepii il tipico odore di chi


11 aveva appena portato del cibo con una quantità industriale di cipolla e tabasco. Sfiorai il numero sette e le porte si chiusero facendo piombare la cabina dell'ascensore nel totale silenzio. Il lieve brusio del motore mi accompagnava al piano, e nel mio stomaco percepivo la chiara sensazione del trasporto simile alla momentanea mancanza di peso, mentre mi scorrevano davanti agli occhi ancora le immagini di Harold che, seduto sulla mia scrivania, torceva il busto verso di me e pronunciava quelle parole che mai mi sarei mai aspettato di udire. Forse il mio stupore era solo la bassa stima di me stesso, unito alla consapevolezza che ciò che stavo facendo e che avevo fatto per l'azienda, non fosse così importante da meritare una proposta del genere. Quella mattina l'aria climatizzata all'interno dell'ascensore funzionava a fasi alterne e la sensazione di caldo cominciava a bagnare la mia pelle; quando l'ascensore si fermò al piano e le porte si aprirono, un'ondata di aria ghiacciata, almeno così io la percepii, mi avvolse gelando il sudore su tutta la schiena. Velocemente uscii dalla cabina, estrassi le chiavi dalla tasca e aprii il portone di casa richiudendomelo alle spalle. Una sensazione di fresco, sicuramente meno aggressivo di quello presente sul pianerottolo nel palazzo, mi diede un'estrema sensazione di piacere, ma fu tutt'uno togliermi i vestiti di dosso e infilarmi, finalmente, dentro la doccia. Ancora con l'accappatoio che mi accarezzava il corpo dopo una corroborante doccia, estrassi dalla tasca dei pantaloni, lasciati sul letto, il bigliettino che mi aveva dato Sam con l'indirizzo e il numero di telefono dell'agenzia immobiliare: Hampton & Hearst house and building. Sollevai la cornetta del telefono fisso e composi il numero. Aspettai quattro o cinque squilli. Dall'altra parte del ricevitore una voce di donna rispose: «Hampton e Hearst House and building sono Theresa, come posso aiutarla?». «Buongiorno, mi chiamo Nick Castaldo, mi è stato fornito questo numero da una persona che ha già usufruito della vostra agenzia per delle vacanze estive, in particolare per la baita che si trova sulle sponde del Lago presso la vostra località». La donna rimase per qualche secondo in silenzio e poi proseguì. «Ma lei parla del Cottage sul lago Stockton a circa quindici miglia da Jefferson?».


12 Questo voleva significare che l'immobile era ancora esistente e probabilmente ancora disponibile, e pertanto, mi fece ben sperare in un'immediata disponibilità. «Sì» risposi senza mostrare alcun entusiasmo. «Probabilmente è lo stesso Cottage che mi è stato consigliato tempo fa da una persona di mia conoscenza». La signora proseguì: «mi dica in cosa possa esserle utile». Mi sedetti sul letto ancora con l'accappatoio addosso e le risposi: «Volevo sapere se c'era disponibilità partendo prima possibile». La voce di donna dall'altra parte del ricevitore rispose con voce sicura e professionale. «Il cottage non viene più considerato un immobile per eventuali vacanze da almeno un paio d'anni, ma si potrebbe chiedere ai proprietari la possibilità di ripulirlo e inserirlo sul mercato». Questa sua risposta mi faceva pensare che probabilmente ci sarebbe voluto un po' di tempo prima di poter effettuare una prenotazione precisa. «Potrebbe gentilmente farmi sapere quando e come poter prenotare per circa due settimane?» proseguii. La donna sempre con voce ferma e professionale mi rispose gentilmente: «Può lasciarmi un suo nome e recapito le faccio sapere il prima possibile». Dopo aver fornito alla signora il numero di telefono e le mie generalità e concluso la conversazione telefonica, non mi rimase che sdraiarmi sul letto ancora con l'accappatoio umido addosso, per provare ancora la sensazione di fresco. Non so per quale motivo, pur avendo riposato bene la notte precedente, mi addormentai come se qualcuno mi avesse cloroformizzato: erano circa le 11.30 del mattino. Probabilmente, la forte emozione che Harold mi aveva appena provocato con la sua proposta, mi assorbì tutte le forze quella mattina. Forse sognai. Forse. Mi ricordo che qualcosa si muoveva intorno a me e io non riuscivo a distinguere cosa fosse. Tentando di liberarmene, mi contorcevo, sentivo un suono che mi echeggiava nelle orecchie e di sottofondo il lieve scrosciare di onde sulla spiaggia. Volti che non conoscevo ma che sembravano somigliare a vecchie conoscenze, mi guardavano contorcermi, ma non emettevano alcun suono. Misteriose somiglianze all'arenarsi dell'incubo. Poi il suono acuto diventava sempre più insopportabile. Era un suono che apparteneva al mio stato


13 onirico, o a una realtà che conduce all'arenarsi dell'incubo? Quel fastidioso suono acuto era il mio cellulare che inesorabilmente mi riportava fuori dallo stato onirico. Mi alzai velocemente dal letto richiudendo l'accappatoio che nel frattempo si era asciugato, per proteggermi dal fresco che mi aveva quasi assiderato, prodotto dal mio climatizzatore. Il numero che compariva in entrata sul cellulare, era lo stesso che avevo chiamato qualche minuto prima. Dall'altra parte del ricevitore la stessa voce di donna. «Signor Castaldo?». «Salve, si sono io» risposi. «Di nuovo buongiorno. La chiamo in merito alla sua richiesta di disponibilità per il Cottage sul lago». «Ah bene... mi dica» risposi sorpreso. «L'immobile non viene più affittato da circa tre anni, ho mandato il mio collaboratore sul posto per accettarne le condizioni, e se non dovessero essere così gravi, entro una giornata riusciremo a renderlo di nuovo abitabile». Rimasi stupefatto della velocità con la quale l'agenzia aveva chiamato per darmi tutte queste informazioni. Quindi risposi: «Suppongo che io debba quindi attendere l'esito del sopralluogo e l'eventuale tempo per rendere il cottage abitabile». La donna sempre con un tono molto professionale rispose: «Signor Castaldo, se vuole può già inviarci tramite email i suoi documenti e stabilire la data del suo check-out in modo che una volta disponibile l'appartamento, potrà essere fermato con una caparra del 20% dell'importo totale. Il costo del cottage sul lago, compreso la fornitura di cherosene e di acqua potabile per circa due settimane, è di 90 dollari al giorno». La donna rimase in silenzio ad aspettare una mia risposta. Mi sembrava un ottimo prezzo, dato il periodo, e quindi non esitai ad accettare l'offerta. Dopo aver stabilito gli ultimi accordi, fornii alla signora il mio indirizzo email, rimanendo in attesa di una sua comunicazione. Una volta conclusa la telefonata gettai il cellulare sul letto e continuai provare stupore per la velocità con la quale l'agenzia aveva risposto. Poi l'occhio mi cadde sull'orologio digitale, posto sul comodino, alla destra del mio letto e guardai l'orario: 2:55 del pomeriggio. Cavolo, erano passate quasi tre ore e mezza da quando


14 avevo chiamato la prima volta l'agenzia, ma la loro capacitĂ di fornire informazioni, almeno in questo caso, rimaneva comunque ammirabile.


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2 JEFFERSON

Il mio volo per il Wyoming partì con quindici minuti di ritardo dall'aeroporto di L.A. alle 11.30 del giorno, dopo la mia prenotazione. Erano anni che non mi concedevo una vacanza, e tanto meno uno spostamento così importante: due ora e mezza circa di volo. Ma in fondo la distanza di 1200 miglia era più che sufficiente per concentrarmi sulla proposta di Harold, allo stesso tempo per allontanarmi dal frastuono della città, e isolarmi sul leggendario lago Stockton che Sam mi aveva sempre decantato. L'aeroporto era a circa venti miglia da Jefferson, un piccolo centro a circa 300 m s.l.m. e avevo pertanto preso a noleggio un pick up nelle adiacenze della struttura aerea, a un prezzo accessibile per le mie possibilità, poiché avrei dovuto portare con me tutto il necessario per la mia permanenza al cottage sul lago. Con me avevo già un big trolley con il necessario immediato, ma per il resto avrei dovuto rifornirmi in store, con cui la stessa Jefferson serviva i propri abitanti, suggerito dalla stessa signora dell'agenzia immobiliare, che aveva provveduto a inviarmi, tramite email, una dettagliata mappa e relativo elenco dei servizi di prima necessità. Nella mappa era anche segnata l'esatta posizione del cottage sul lago. Erano altre dodici miglia di curve che si insinuavano, come un serpente, tra la folta vegetazione che circondava il lago, per poi scendere al livello dello specchio d'acqua fino al largo spazio di ghiaia, su cui era stato realizzato il cottage anni fa. O almeno così sembrava dalla mappa. Mi ci vollero circa venticinque minuti per poter prendere possesso del pick up, dopo aver ritirato il trolley dal nastro dell'aeroporto. Una volta nell'abitacolo dell'auto, posizionai il mio smartphone sull'alloggiamento


16 predisposto, attivai il navigatore dell'auto e digitai la destinazione: agenzia immobiliare Hampton & Hearst. Giunsi a destinazione verso le 3,30 del pomeriggio, dopo circa trenta minuti di guida, a 40 miglia/h, i limiti di velocità da quelle parti erano forse un po' troppo severi, e la strada presentava già una discreta elevazione in salita, poiché anche Jefferson, il piccolo centro abitato, di circa 8000 abitanti, si trovava a circa 270 m. S.l.m. Una ridente cittadina moderna e ordinata, con un traffico regolare e proporzionato alla sua dimensione, con le tipiche strade ortogonali e il viale principale, dove le molte zone verdi conferivano al luogo un aspetto gradevole e una vita a misura d'uomo. Aveva tutto ciò che si poteva pretendere da un centro urbano di quelle dimensioni: verde, negozi, strutture ricettive, parcheggi, cinema, e un bel centro commerciale. La sensazione di pace e relax che provai nel viaggiare su quelle strade, seguendo comodamente il GPS, non mi fece assolutamente rimpiangere la Città degli Angeli, che se non fosse stato per il mio lavoro, avrei abbandonato per sempre. E Jefferson Wyoming sarebbe potuta essere la mia definitiva meta. Trovai parcheggio nell'area di sosta della stessa agenzia immobiliare. Scendendo dal pick up, provai una sensazione gradevole, per la mite temperatura dovuta all'altitudine del luogo. Chiusi l'auto e mi diressi verso le porte vetrate dell’agenzia e le aprii spingendo. L'insegna Hampton Hearst House & Building era impossibile da non notare. Di fronte, a circa tre metri dall'entrata, il desk di prima accoglienza, e dietro una donna di circa quarant'anni con occhiali, lunghi capelli ricci di colore biondo cenere, raccolti con un fermaglio, concentrata sul monitor del pc e la mano sul mouse. Si accorse della mia presenza solo quando fui proprio quasi appoggiato al bancone. Alzò il capo e mi guardò togliendosi gli occhiali che le servivano per leggere. Poi spalancò un bel sorriso e… «Buongiorno, posso esserle utile?». «Buongiorno, sono il signor Castaldo e…». Prima che potessi continuare lei mi interruppe, quasi entusiasta di vedermi. «Ohhh signor Castaldo, sì, lei ha prenotato il cottage giù al lago. Guardi, proprio stamane abbiamo completato i rifornimenti necessari per il funzionamento di tutto ciò che le serve. Gas, cherosene per il gruppo elettrogeno e acqua potabile. Il serbatoio dell'acqua ha circa quindici mila litri di autonomia, lo vedrà proprio accanto allo stesso


17 cottage. Quando avrà messo in moto il gruppo, funzionerà anche la pompa per la pressione all'interno». La cordialità di un piccolo centro urbano non ha paragoni. Le risposi contraccambiando con un largo sorriso e poi mi informai: «Suppongo che all'interno del cottage ci sarà un frigorifero per fare provviste per qualche giorno». Con un altro cordialissimo sorriso la signora mi rispose. «Signor Castaldo mi creda, a parte i viveri di prima necessità, lei troverà tutto». Poi si voltò e nello scaffale che aveva dietro al bancone prese un paio di chiavi e me le porse gentilmente nella mia mano destra. «Questa è la chiave della barra di accesso al viale che conduce giù al cottage, e quest'altra più grande è del portone di entrata» disse, separando con le dita le chiavi unite da un anello di acciaio. Poi, da un contenitore di documenti prese la ricevuta del versamento di caparra che avevo effettuato e me lo mostrò. «Il saldo poi avverrà al check out quando tornerà qui per la restituzione delle chiavi. Se dovesse avere bisogno di altro rifornimento non deve fare altro che chiamarci signor Castaldo». Non avevo altro da chiedere, la sua esaustiva spiegazione mi aveva ammutolito. Mi venne istintivo sorridere e stringendo le chiavi in mano la salutai. «Buona permanenza da noi, signor Castaldo» concluse la donna. Uscii dall'agenzia tirando verso di me la porta vetrata, e rimasi sorpreso come la differenza tra la temperatura interna del locale e quella esterna fosse quasi inesistente, abituato contrariamente alla mia città dove il consueto sbalzo di temperatura, tra gli ambienti interni raffreddati e l'esterno, era solitamente troppo elevato. Dopo aver sbloccato il sistema di protezione del pick up con il telecomando, aprii lo sportello e mi accomodai sulla poltrona, lievemente scaldata dalla temperatura interna, ma senza provare alcuna sensazione di fastidio, come poteva succedere in quella stagione a L.A. Rimasi seduto, dopo aver abbassato i cristalli, pensando a cosa mi sarebbe più convenuto, se recarmi al centro commerciale e comprare già qualcosa per il cottage, oppure se recarmi direttamente alla mia dimora per le vacanze e fare un eventuale lista di ciò di cui potevo avere bisogno, tornando in città nel pomeriggio


18 più tardi per la spesa. La cosa migliore sarebbe stata la seconda opzione; misi in moto l'auto, e dopo aver impostato il navigatore con destinazione consigliata dall'opuscolo dell'agenzia, inseriti la freccia e partii, seguendo le indicazioni del dispositivo integrato nel pick up. Nel giro di pochi minuti mi trovai sul viale principale che portava all'esterno della cittadina. Dopo un paio di incroci con semaforo, lasciai alle spalle il centro abitato, e gli edifici di recente realizzazione scomparvero alle mie spalle. Davanti a me, sul lato destro della strada, un cartello con caratteri bianchi su sfondo verde recava una scritta: "State lasciando Jefferson, speriamo di rivedervi". La strada cominciava a salire e dovetti affrontare due tornanti per poi riprendere di nuovo un percorso rettilineo con una discreta pendenza. Iniziava a intravedersi una discreta vegetazione di alberi su lato sinistro della strada mentre sulla destra notavo delle pareti rocciose come quando si percorre una strada di montagna. Sul navigatore del pick up vedevo chiaramente il percorso che si insinuava all'interno di una zona verde e la vegetazione intorno a me aumentava notevolmente, e alcuni altri tornanti mi portarono a un'altezza che cominciava a superare i 400 m.s.l. Ebbi, in quell'attimo, la netta sensazione di ritrovarmi in quei magici posti dove da bambino trascorrevo le mie vacanze con i miei nonni, al nord Italia, immerso nel verde e circondato da quell'aria rarefatta, tipica dei luoghi di montagna, mentre le città grondavano di umidità e smog, lontano dalla follia urbana e dalle insonni notti passate ad aprire il frigorifero, per trovare refrigerio, poiché il climatizzatore era ancora un lusso, solo per benestanti. Più mi allontanavo dal ricordo della mia città, più non ne sentivo la mancanza. Harold era il mio eroe in quel momento. Avrei voluto chiamarlo e ringraziarlo. Ma evitai. Il navigatore indicava ancora sette miglia rimanenti, il percorso sullo schermo si faceva sempre più tortuoso. In un rettilineo, sempre in leggera pendenza, la parete rocciosa, stavolta sul lato destro, tendeva a sparire, lasciando il posto a una fitta vegetazione, tanto da sembrare di essere sotto un tunnel fatto di rami e foglie. Poi raggiunsi la serie finale di curve che mi portarono a una discreta altezza e la vegetazione tendeva a diradarsi. Fu in quell'attimo, che scorsi per pochi secondi, il riflesso del sole su uno specchio d'acqua, poi altri alberi coprirono di nuovo la mia veduta. Accusai un senso di ansia, dovuta all'inusuale, almeno per me, emozione di essere quasi nelle prossimità di quel leggendario lago. Gli ultimi tornanti si snodavano tra la vegetazione da


19 un lato, e la parete rocciosa dall’altro, mista ad altra vegetazione. Poi, la visione. La strada mi portò in una posizione, la più alta di quella zona, al di sopra degli alberi e delle loro folte chiome, e lì più in basso rispetto alla mia posizione, apparve IL LAGO. In tutta la sua grandezza e imponenza, mi tolse il fiato e non so perché l'emozione mi giocò uno scherzo inaspettato: i miei occhi si bagnarono, anche se non scese alcuna lacrima. Stavo per perdere il controllo del mezzo e dovetti riprendersi la mia usuale fermezza e riportate il pick up in corsia. Sul display del navigatore il percorso mi faceva proseguire ancora per due miglia e la strada cominciò a scendere notevolmente ritornando alla folta vegetazione. Arrivai, dopo qualche minuto, al punto in cui avrei dovuto svoltare e imboccare la stradina privata. Durante il breve viaggio incrociai poche auto nel senso opposto e nessuna davanti a me. Inserii la freccia a sinistra e imboccai la stradina sterrata, fatta di polvere e brecciolino, in discreta pendenza, verso il basso. Questa doveva condurmi direttamente al lago, sullo slargo dove mi aspettava il cottage. Dovetti fermare l'auto e scendere, poiché mi trovai, dopo pochi metri, come precisato dalla signora dell'agenzia, la barra da sollevare, per l'accesso privato. Il silenzio di quel luogo mi avvolse totalmente e il lieve brusio delle foglie degli alberi ad alto arbusto, mosse dal vento, era l'unico rumore udibile, dal momento che il pick up era un modello ibrido, e a marcia ferma il motore era praticamente impercettibile. Dopo aver bloccato l’auto con il freno a mano e aperto lo sportello, scesi e mi avvicinai alla barra chiusa da un lucchetto, ma dovetti tornare indietro poiché, assorto da quell’atmosfera di pace e tranquillità, avevo dimenticato le chiavi che mi aveva consegnato l’agenzia, e avevo riposto nel vano porta oggetti vicino al freno a mano. Feci finalmente scattare il lucchetto e sollevai la sbarra che, con il contrappeso, diede uno strappo improvviso e si posizionò verticalmente, lasciando pendere in basso l’asta con la quale riabbassarla. Mi riaccomodai in auto, per spostarla all’interno del viale, oltre la barra, per poi di nuovo scendere e richiuderla. Quindi proseguii guidando sul sentiero in discesa, circondato da alberi alti, senza riuscire a identificarne la specie. Dopo un centinaio di metri, gli alberi si diradavano, e si scorgeva tra i loro arbusti il riflesso della superficie del lago. Eccomi, arrivo, piccolo grande lago, che per oltre dieci anni sei stato nella mia immaginazione,


20 che cercava di configurarsi un paesaggio che mi era stato più volte raccontato da Sam. Una strana sensazione mi assalì. Ma non riuscii a spiegarmela. Davanti a me, uno slargo tra la vegetazione di quel posto, che terminava sulle rive del lago, dove le minuscole onde lambivano la battigia, e sul lato sinistro, si ergeva il cottage, tutto in legno, con tre scalini che portavano al portico coperto da una tettoia. Una porta di entrata e diverse finestrature, davano forma a una semplice e gradevole architettura, che ottimamente si inseriva nel contesto naturale del luogo. Fermai l’auto a pochi metri dalla mia dimora di questi miei dodici giorni di vacanze, e dopo essere sceso rimasi per un attimo a guardare lo splendido paesaggio che circondava il luogo. Il lago si estendeva per un raggio di circa tre miglia, forma che poteva essere assimilata a una macchia circolare, con una folta vegetazione che lambiva probabilmente quasi tutto il perimetro e la zona verde intorno; secondo quello che vedevo dalla mappa satellitare sullo smartphone, era almeno di settantacinque acri, i nostri trenta ettari. E in mezzo, solo piccoli sentieri. Non sembrava un lago vulcanico, troppo piccolo, e il terreno che formava le sponde del lago era di colore chiaro. Volgendo lo sguardo sul lato destro del lago, proprio sulla riva, a circa 100 m., notai una costruzione, che tendeva ad allungarsi dentro l'acqua, probabilmente in legno. Mi avvicinai, e realizzai che si trattava di un piccolo pontile, che serviva per pescare o usare quale mezzo per navigare il lago. Fui sorpreso nel vedere che alla fine di quella struttura in legno, poggiato su palafitte, era legata con una fune, una piccola barca con remi. Dal pontile, il cui tavolato si trovava a circa una cinquantina di centimetri al di sopra della superficie dell'acqua, cercai di mettere il piede dentro la piccola imbarcazione, ma dovetti desistere, poiché il mio abbigliamento era un po' troppo formale per ciò che mi accingevo a fare, e probabilmente sarei finito per esibirmi in un numero da circo per evitare di perdere l'equilibrio. Da quel punto si vedeva il fondale del lago: limpido, cristallino, misto a sabbia e ciotoli, a circa un metro di profondità. Mi voltai sulla sinistra in direzione del cottage e realizzai che ancora dovevo ispezionare il mio alloggio rupestre. Avevo in mano ancora le chiavi e con passo deciso mi diressi verso il suo portico, per prenderne finalmente possesso. Non mi preoccupai di richiudere il pick-up poiché in quella zona così desolata, probabilmente forse solo un orso si sarebbe potuto infilare nell'abitacolo. L'entrata era rivolta verso il lago e la stradina, da cui ero arrivato con l'auto, sulla


21 sinistra del cottage. Salii i tre gradini e infilai la chiave nella serratura facendola scattare tre volte, pertanto spinsi la porta e l'interno si illuminò. Il locale a un unico vano rettangolare, era arredato con un tavolo, anche questo rettangolare, quattro sedie, un divano letto, alcune credenze, un armadio, un angolo cottura, un bagno su lato destro e una serie di finestre sui due lati maggiori delle pareti, coperte da semplici tendine finto merletto, probabilmente di materiale acrilico. Era tutto molto semplice, ma pulito. Anche l'angolo cottura era piccolo ma ottimamente attrezzato, insomma non un grand hotel, ma un posto accogliente e gradevole. Al di fuori di una delle finestre che dava sul retro, riuscii a scorgere il grande serbatoio di plastica di colore azzurro, contente l'acqua, al di là del quale dopo circa tre o quattro metri iniziava il bosco. Il frigorifero accanto all'angolo cottura era aperto e ovviamente spento; avrei dovuto avviare il gruppo elettrogeno, che l'agenzia aveva provveduto a rifornire di gasolio. Mi avvicinai al divano e mi abbandonai su di lui come un elefante marino, che gentilmente si accomoda in acqua per sentirne il refrigerio, sotto il caldo sole africano. Ma si trattava di tutt'altro che Africa. La temperatura non superava i 24°/25° e l'ambiente interno era forse anche a una temperatura inferiore. Reclinai il capo, appoggiandolo sulla spalliera del divano e chiusi gli occhi, lasciando le braccia morbide lungo i miei fianchi. Rimasi probabilmente una quindicina di minuti in quella posizione, riuscendo a non pensare più a nulla. Poi li riaprii e mi decisi a fare il necessario che occorreva per stabilirmi in quel posto. Sollevai il mio peso di 78 kg, appoggiando i pugni chiusi sul divano e facendomi leva con le braccia. Uscii velocemente ed entrai nell'auto; feci scattare l'apertura del bagagliaio, ed estrassi il grosso trolley, trascinandolo dentro il cottage. Poi presi i fogli delle istruzioni che inizialmente l'agenzia mi aveva inviato, tra le quali, come far partire il gruppo. Cosi, con un po' di ingegno e un pizzico di abilità, feci partire il congegno che avrebbe prodotto l'energia per non so quanto tempo. In effetti fu estremamente semplice: il motore si avviava con un pulsante rosso, attaccato a una piccola batteria come quelle delle auto, e la partenza fu immediata. Il rumore che produceva era sopportabile, anzi, al ricordo di molti gruppi che avevo notato nelle varie bancarelle che si trovano ogni tanto nei mercatini rionali, questo sembrava quasi


22 inesistente. A pochi metri dal gruppo, c’era il grosso serbatoio dell’acqua potabile, e accanto a esso la pompa con il motorino. Cercai per qualche secondo e poi trovai l’interruttore, per poter metterlo in moto; lo feci scattare e questo partì per poi spegnersi dopo qualche secondo, dal momento che non vi era nessun uso dell’acqua. Rientrai nella "CAPANNA DELLO ZIO TOM" e con enorme soddisfazione notai che si erano accese le luci internamente, e il frigorifero aveva iniziato a funzionare; pertanto lo chiusi prontamente. Ecco, ora potevo iniziare a sistemare i miei effetti personali. Dopo averlo aperto, dentro l'armadio trovai le lenzuola per il divano letto, gli asciugamani, un telo per la doccia, sei grucce e tre cassettoni. Impiegai circa una mezz'ora per svuotare il trolley e sistemare tutto. Ora potevo tornare in città e comprare tutto ciò che mi sarebbe servito per la mia permanenza. Percorsi il tragitto a ritroso con il pick up, e richiusi la barra del vialetto.


23

3 MAGGIE

Erano circa le 6 del pomeriggio quando arrivai al centro commerciale, e a quell’ora il parcheggio aveva quasi tutti i posti occupati. Non era una struttura enorme, ma ottimale per il numero degli abitanti di Jefferson. Scorsi da lontano un’auto che stava abbandonando un posto, e mi affrettai a raggiungerlo, prima che qualcun altro me lo portasse via. Chiusi l’auto, mi avvicinai alla fila di carrelli parcheggiati nei pressi dell’entrata e ne prelevai uno. Dentro la struttura, che conteneva diverse attività commerciali, c’era il grande supermercato, e fu lì che mi diressi. La temperatura interna era gradevole, la climatizzazione non provocava quel trauma, classico di quei luoghi. Pensai a cosa avrei potuto prendere, dal momento che mi mancava tutto, al LAGO, e non avevo fatto nemmeno una nota. Probabilmente avrei fatto meglio a cenare direttamente in qualche locale sul posto e se avessi comprato molti prodotti che dovevano essere conservati in frigorifero, sarei dovuto tornare entro poco tempo. Quindi decisi di acquistare solo prodotti non da frigorifero, come acqua, birra, e il necessario per la colazione, come latte a lunga scadenza, biscotti, zucchero etc. Girando per le corsie del supermercato, discretamente affollato a quell’ora, riempii il carrello in poco tempo, dato che le bottiglie d’acqua e le birre occupavano uno spazio consistente. Arrivai con il carrello pieno nei pressi del pick up, aprii il capiente baule, vi caricai tutto ciò che avevo comprato, e poi mi avvicinai all’ingresso per lasciarlo. Uscii dal parcheggio, e imboccai il viale principale, con il navigatore mi avvicinai al centro cittadino, e parcheggiai nei pressi di un piccolo slargo, vicino a un viale alberato, che aveva su entrambe i lati, una serie di negozi e attività ristoratrici.


24 Passeggiando senza meta, sotto quel viale, era come se avessi veramente staccato la spina senza che ne avessi mai sentito il bisogno. Che strano, certe volte, ciò di cui veramente necessitiamo lo ignoriamo totalmente, e passiamo una parte della nostra vita, quasi sprecandola, sostituendola a un’altra esistenza che forse non ci appartiene. La cittadina non era poi così piccola, dal momento che lungo il viale, perpendicolare a esso, si diramavano molte altre strade più piccole, con ingressi ad abitazioni e ad altri negozi. Quando guardai il mio orologio da polso, con stupore, notai che erano già le 7 e mezza; il tempo mi era volato. A quel punto non mi restava che cercare un posto dove poter mettere qualcosa sotto i denti per la sera. Ritornai quindi sul viale alberato che mi ero lasciato alle spalle, dal momento che avevo notato alcuni esercizi commerciali tipo bistrot e piccoli ristoranti. Ce ne erano diversi che esponevano i vari menù, ma nessuno che potesse suscitare in me particolare interesse. Non ero di gusti difficili, ma sembrava che sul luogo ci fosse una discreta scelta, pertanto proseguii nella ricerca di un locale che potesse stuzzicare il mio non eccessivo appetito. Dopo aver percorso quasi fino in fondo il viale, ero passato davanti a un locale chiamato “The Wood”, IL BOSCO. Il locale aveva anche dei posti all'aperto, direttamente sul passaggio pubblico, ed esponeva un ricco menù. Sulla vetrata che faceva intravedere anche alcuni tavoli all'interno, c'era una locandina che annunciava una serata Dancing, con un DJ set e musica revival. La mia profonda ignoranza in materia di musica non mi consentì di giudicare il locale attraverso lo spettacolo che era annunciato, ma il ricco menù invece mi invitò a mettere il piede all'interno per dargli un'occhiata. Anche questo era tutto realizzato in legno, per non tradire il nome che gli era stato dato, sembrava molto accogliente e assolutamente non piccolo, con una trentina di tavoli da quattro persone e un bancone di circa sei o sette metri di lunghezza. In fondo, da un angolo poco illuminato della sala, un uomo sulla cinquantina, circa 1 metro e settanta, con una folta capigliatura bianca, occhi neri, mi vide sulla porta e si avvicinò. «Buongiorno signore, posso esserle utile?» mi chiese in modo estremamente gentile. «Buonasera, stavo cercando un posto per mangiare e ho dato un'occhiata al vostro menù» risposi sorridendo.


25 «Le posso assicurare che si tratta del locale più gettonato qui a Jefferson e per diversi motivi» replicò il signore, che sembrava essere il gestore di quell'attività. Alcuni clienti erano già seduti ai tavoli e i giovani camerieri stavano prendendo le ordinazioni. C'era musica di sottofondo che non disturbava affatto. Il signore rimase senza dare segni di impazienza, ad aspettare una mia risposta. Il menù offriva una scelta di tutto ciò che poteva essere commestibile. La sua professionalità mi persuase. Gli rivolsi un sorriso che, inequivocabilmente, evidenziava la mia decisione di assaggiare la loro cucina locale. Mi fece un cenno con la mano e si diresse verso uno dei tavoli, indicandone alcuni dove avrei potuto accomodarmi. Scelsi quello che poteva sembrare più lontano dalla vista di tanta folla. «Le faccio portare immediatamente il menu, signore» disse sempre sorridendo e allontanandosi tra i tavoli del locale. C'era una luce tenue e soffusa all'interno, ma sufficiente per poter notare l'arredo, che tendeva a conferirgli un aspetto accogliente e pulito. Altre persone continuavano a entrare e alcune di esse si fermavano a parlare con i dipendenti, che sembravano già conoscere, per poi accomodarsi ai tavoli. Ancora pochi minuti e probabilmente non avrei avuto la possibilità di sedermi, senza dover aspettare a lungo. Un giovane cameriere si avvicinò velocemente, mi porse gentilmente il menu e mi ringraziò con un cenno del capo, per poi ritornare al bancone, dove altre persone sedevano per una frugale consumazione. Cominciai a sfogliare la lista delle varie proposte che offriva la casa, e ci avrei messo un po' di tempo per cercare di farmi venire l'appetito che ancora tardava a manifestarsi. Ma la mia attenzione cadde sulla vasta scelta di birre locali che probabilmente non si trovano facilmente nei supermercati. Ce ne erano veramente un numero consistente di diverse marche, e tipi, mai sentite nominare: IPA, APA, BLANCHE, SAISON, DUBBEL,TRIPEL. La scelta diventava complessa e dovetti chiedere a uno dei dipendenti che servivano ai tavoli, per poter arrivare a una decisione. Dopo almeno una decina di minuti di saggio sulle birre nazionali e internazionali, e sul loro metodo di distillazione e conservazione in botti speciali da parte dell'esperto, avevo le idee ancora più confuse, ma convinto che qualsiasi birra avessi preso, fosse


26 sicuramente buona. Optai quindi per una APA di colore ambrato, come mostrava la foto sulla carta delle birre, con una gradazione di circa 7 gradi e mezzo. Nel frattempo mentre decidevo quale piatto poter accompagnare con quella birra, il locale si era completamente riempito e il brusio delle persone aveva coperto il suono della musica di sottofondo. Più che controllare il menu mi guardavo continuamente intorno con molta disinvoltura senza dover dare nell'occhio, per cercare qualcuno che avesse già ordinato qualcosa che potesse aiutarmi nella scelta, come se l'aspetto del cibo potesse essere un indicatore di qualità. Cominciai quindi a sorseggiare la mia; era fredda saporita e veramente gustosa, almeno per me, un'ottima scelta; quel sapore così aromatico, e quella gradazione alcolica, mi fecero dimenticare il menù sul tavolo, lasciandomi godere l'atmosfera di quel locale, e realizzai che erano almeno 24 ore che non controllavo più il mio cellulare, lo avevo quasi dimenticato, se non per l'uso del satellitare al di fuori dell'auto. Sarà stata l'atmosfera e i succhi gastrici mossi dall'alcol che l'appetito iniziò a fare capolino dal mio stomaco, e fu proprio in quel momento che incominciai a notare che alcuni dipendenti stavano portando dei piatti ai tavoli di chi aveva già ordinato. Era un po' difficile distinguere cosa potesse essere. Nel frattempo il locale si era veramente riempito e molte persone sostavano in piedi davanti al bancone. Il volume della musica era aumentato e la selezione musicale era più ritmata, iniziai a provare una sensazione di disagio poiché non ero più abituato ai locali fortemente frequentati. I brani che venivano scelti non erano sicuramente di nuova uscita, poiché li ascoltavo tanti anni fa quando ero ancora in Italia, anche se non conoscevo nemmeno un titolo. Fui finalmente pronto a ordinare: uno stufato con alcune spezie e un contorno di patate al forno con una salsina vegetale che sembrava invitante solamente nella descrizione sul menù. Sollevai la mano per attirare l'attenzione di uno dei dipendenti che serviva ai tavoli che fortunatamente rispose subito e nel giro di pochi secondi tornò al bancone con la mia ordinazione. Nel frattempo il mio boccale di birra era quasi terminato e sicuramente ne avrei dovuto prendere un secondo per accompagnare il piatto, che chissà quando mi sarebbe stato servito. Poi all'improvviso, alcuni camerieri fecero alzare alcuni clienti della sala per spostare i tavoli e fare uno spazio, quasi in prossimità del mio dare inizio alla serata Dancing come programmata nella locandina. Nella mia scelta del locale, era compresa la consapevolezza che sarebbe


27 arrivato anche quel momento, ed ero quindi preparato a vedermi volteggiare davanti ballerini alla John Travolta stile Night Fever. Ma così non fu. Dopo aver creato lo spazio necessario la musica si interruppe bruscamente e ne inizio un'altra sempre ritmata; un vecchio successo che aveva scalato le graduatorie mondiali quando avevo circa otto anni. Non mi ricordo quale titolo avesse, ma il ritornello ripeteva molto spesso: “Don't Bring Me Down” e devo dire che era veramente piacevole riascoltarlo. Quasi simultaneamente, una decina di persone si schierarono in fila nello spazio vuoto, e incominciarono a seguire la musica con passi simultanei e con una sincronizzazione straordinaria, come dei ballerini che avessero provato quel ballo già molte volte, se non fosse che invece provenivano da diversi tavoli del locale e avessero vestiti assolutamente non idonei a quei movimenti. Rimasi piacevolmente sorpreso dalla loro capacità di seguire il ritmo della musica in maniera perfetta e mi venne quasi voglia di invidiarli. Mentre compiaciuto ammiravo la loro esibizione altre persone si aggiunsero al gruppo, tra cui una giovane donna di circa trentacinque o quarant'anni altezza media, con capelli castani lisci che le ricoprivano le spalle che attirò la mia attenzione proprio perché sembrava non avere nulla a che fare con quel posto, sia come abbigliamento, sicuramente più curato delle persone che si trovavano lì dentro, che come portamento. La clientela di quel locale sembrava essere molto semplice, in certi casi addirittura spartana, come d'altronde quel tipo di ambiente sembrava prediligere. In alcuni momenti del ballo, a poco più di un metro dal mio tavolo, tutto il gruppo si voltava in varie direzioni e quando si trovò dalla mia parte, quella donna fermò per qualche attimo il suo sguardo su di me e successivamente sul mio boccale vuoto, continuando a volteggiare e a seguire i passi in perfetta sincronia con il gruppo. Continuai ad ammirarli che si muovevano ondeggiando in maniera leggiadra, con quel brano che mi riportava veramente indietro di parecchi anni e che ebbe su di me un bellissimo effetto, anche se non amavo molto rifugiarmi in ricordi passati. Non era per un fatto nostalgico, ma perché obiettivamente il brano era veramente coinvolgente, e associato a quel ballo acquistava qualità. Poi di nuovo lo sguardo di quella giovane donna si incontrò con il mio, un po' più a lungo, e in un volteggiamento successivo, il suo viso si contrasse in una


28 smorfia di disapprovazione, guardando il mio bicchiere vuoto. Qualche minuto più tardi venne finalmente servito il mio piatto e il brano terminò, pertanto tutte le persone ritornano ai loro tavoli. Non ebbi il tempo di ordinare un secondo boccale di birra, poiché l'appetito era aumentato in maniera considerevole, e iniziai a gustare lentamente il mio stufato, veramente delizioso. Mentre assaporavo quella delizia, cercavo di guardarmi intorno e cercare qualche dipendente libero per ordinare il secondo boccale, ma sembravano tutti estremamente impegnati per potermi dare retta. Fu dopo qualche minuto che vidi avvicinarsi uno dei camerieri con un vassoio e due boccali di birra rossa; mi venne istintivo seguirlo con lo sguardo cercando di capire a quale tavolo fossero diretti, per poter poi ordinare a lui la birra che cominciava a mancarmi. Rimasi sorpreso quando vidi il cameriere appoggiare il vassoio con i due boccali sul mio tavolo. «Credo ci sia un errore» dissi al giovane dipendente, sorridendogli. Ma lui mi rispose con un altro sorriso e scosse la testa con un no. Appoggiò i due boccali sul tavolo e portò via il vassoio, scomparendo tra la folla, prima che io potessi replicare. La mia espressione di sorpresa, probabilmente dovette aver colpito qualche mio vicino di tavolo, che guardava i due boccali e poi sorrideva guardando me, gettandomi in una profonda situazione di imbarazzo. Dopo qualche secondo vidi sbucare, tra la gente che girava fra i tavoli, la giovane donna, che si avvicinò al mio tavolo e rimase in piedi a fissarmi sorridendo. Il misterioso benefattore, che aveva notato il mio quasi disperato tentativo di attirare l'attenzione di qualcuno che mi portasse da bere, era lei. Mi venne istintivo sorriderle, pertanto spostò la sedia indietro, davanti a me, e si sedette. Allungò il braccio e mi tese la mano e così feci io stringendogliela. «Ciao, sono Maggie» si presentò sfoggiando un largo sorriso. Un bel volto le contornava dei bellissimi occhi verdi, la corporatura era proporzionata alla sua altezza, circa 1,65 o poco più, e nonostante l'ambiente ameno, i suoi occhi languidi e malinconici contrastavano con il contesto. «Nick» risposi contraccambiando il sorriso. Lei proseguì: «Ero quasi preoccupata dal momento che si notavo che stavi morendo di sete, e l'atmosfera, così carina, di questo locale, sarebbe stata rovinata da un'autoambulanza che ti avrebbe dovuto portare via».


29 Mi venne istintivo farmi uscire una sonora risata. E poi presi in mano i due boccali, uno lo porsi a lei e feci un cenno a un brindisi. Sorseggiammo tutti e due la birra: anche questa, diversa da quella precedente, era veramente buona. «Ottima... davvero... Complimenti per la scelta» dissi appoggiando di nuovo il boccale sul tavolo. Anche lei lo appoggiò, mi guardò sorridendo, e con un cenno del dito sul suo labbro, mi fece capire che avevo ancora un po' di schiuma sulla bocca. Con molta disinvoltura presi il tovagliolino che avevo a fianco al mio piatto, e lo passai delicatamente sulla bocca. «Nick, è la prima volta che vieni in questo locale?». Rimasi in silenzio per qualche secondo lasciandole il dubbio, contraendo la mia bocca in modo da non farle capire la risposta. Ma durò poco, poiché non riuscivo a nascondere la verità e sorridendo risposi: «Be' suppongo che, da come riuscivi a muoverti insieme al gruppo di ballo, tu invece sia abbastanza di casa da queste parti, e che tu conosca già la mia risposta». Sembrò leggermente infastidita da questa mia non risposta, e pertanto proseguii: «Sì, è la prima volta... Anzi è la prima volta che vengo in questo Stato e quindi in questa città». Riuscii a recuperare alla grande poiché la sua espressione di disappunto scomparve, per lasciare spazio al suo bellissimo sorriso. Le sue mani affusolate e ben curate iniziarono a giochicchiare con il tovagliolino che era stato portato insieme alla birra. «Cosa ti spinge da queste parti... intendo dire... un posto così anonimo e così piccolo, non di certo per lavoro... immagino.». Sembrava leggermente emozionata quando mi parlava, come se stesse facendo qualcosa che non avrebbe dovuto fare. Dovevo prodigarmi nell'impostare una conversazione che potesse metterla a suo agio, anche se non si era fatta alcuno scrupolo ad avvicinarsi al mio tavolo offrendomi una birra. Un comportamento contraddittorio, e ben lontano da me dal poterlo capire. Ma risposi alla sua domanda. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

1. LA PROPOSTA ................................................................................. 3 2. JEFFERSON..................................................................................... 15 3. MAGGIE .......................................................................................... 23 4. IL LAGO .......................................................................................... 37 5. DOVE SEI? ...................................................................................... 49 6. UNA BARA D'ACQUA................................................................... 54 7. DOVE STIAMO ANDANDO? ........................................................ 72 8. ATTO PRIMO .................................................................................. 84 9. ATTO SECONDO............................................................................ 88 10. ULTIMO ATTO. ............................................................................ 97 11. NUMERO 27 ................................................................................ 110 12. LINEA DI SANGUE .................................................................... 115 13. LA VILLA .................................................................................... 135



AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO La 0111edizioni organizza la Terza edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2020) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.



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