Sull'isola, Walter Serra

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In uscita il 2 /2022 (15,50 euro)

Versione ebook in uscita tra fine 2022 ( ,99 euro)

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SULL’ISOLA

WALTER
SERRA
DESTINI INCROCIATI ZeroUnoUndici Edizioni

ZeroUnoUndici Edizioni

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SULL’ISOLA

Copyright © 2022 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-587-5 Copertina: Immagine Shutterstock.com Prima edizione Novembre 2022

PREFAZIONE

Sull’isola è una storia di persone, raccontata su tre livelli, in tre momenti e luoghi distanti fra di loro. Coppie diverse, amori imprevedibili, unico denominatore comune: l’isola.

L’isola è un luogo ideale, dove ognuno può ritagliarsi uno spazio proprio, perché l’isola nel comune immaginario è piccola, deserta, il rifugio dal disastro d’una vita piena di errori. Ma è anche un luogo nascosto, dove si cerca di difendere il proprio amore, lo si culla, lo si protegge. L’isola è infine il luogo ideale per le vacanze. Sole, mare, alberghi con tante stelle e magari un amore improvviso, inaspettato. Tutti aspetti, questi, che fanno da contorno alle tre storie.

Poi, che può accadere? Vi siete mai chiesti chi siano i pedoni che transitano lungo il marciapiede nel senso opposto al vostro? Vi sfiorano. Col braccio, con lo sguardo, oppure col pensiero. E chi sarà quell’uomo che vi fissa dal fondo dell’autobus dove siete saliti, o la donna in coda davanti a voi al supermercato?

Ecco che giunge un evento che rompe la separatezza di quelle vite: dopo le vicende che vengono narrate, i personaggi del romanzo si ritrovano assieme in un grande aeroporto. E così essi stessi diventano quei pedoni, quei passeggeri, quelle persone in coda. Possono incontrarsi, guardarsi negli occhi, interagire, perché le vite dapprima separate, da quel momento e per un breve spazio scorrono le une assieme alle altre, ne diventano interdipendenti.

Sì, ma il viaggio comune sarà neutro, piacevole oppure porterà novità o problemi da affrontare?

Un ringraziamento particolare all’amica e ottima scrittrice Francesca Ramacciotti di Livorno, con la quale ho condiviso parte della scrittura di Labyrintho.

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24 marzo 2015

Girgor sorseggia il suo Martini e ogni tanto fissa Vanessa. Sorride. Forse è davvero giunto il momento di cambiare vita. Lei ricambia il sorriso. Ha come gli occhi lucidi e non sembra particolarmente felice.

«Che hai?» le chiede.

«Nulla. Forse sono solo un po’ stanca. Spero di dormire sul volo.»

Girgor annuisce. Si distrae seguendo l’incedere di una dea alta e bellissima che sfila poco distante, al braccio d’un ragazzo che non regge il suo confronto.

Andrea sorride imbarazzata al suo uomo.

«Ci guardano tutti!»

«Guardano te, Andrea. Io sono solo un’anomalia sullo sfondo!» chiosa Gordias. Si gira per scorgere quegli sguardi lubrichi cui accenna la ragazza e vede invece una coppia chi si guarda attorno, come smarrita. «Andrea! Li vedi, quelli? Non stavano al telegiornale, un paio di giorni fa?» Ma lei li ha persi di vista, nascosti da un trasportino per valigie.

Jessica si stringe al braccio di Mattia.

«Mi fa paura questo volo. È come se dovesse ricominciare tutto daccapo e dovere rivivere ancora una volta la nostra disavventura. «Rilassati, amore. Siamo alla fine del nostro viaggio. Stasera arriveremo a casa tua e tutto sarà alle nostre spalle.»

Viene dato l’annuncio di presentarsi per l’imbarco e si affrettano al gate. Pochi istanti per il controllo documenti e passano dall’altra parte. Sono gli ultimi, hanno atteso per non restare ammassati agli altri.

Del trambusto li richiama a voltarsi: sta arrivando di corsa una strana coppia. Lei, infagottata in uno chador immacolato, si regge a stento su una pila di valigie traballanti, accatastate su un carrello che rischia di sbatterla a terra a ogni sobbalzo delle ruote. L’uomo che spinge quel caravanserraglio è piccolo, capelli ricci su una faccia tutta sudata. Urla wait! wait!

Mattia stringe il braccio di Jessica e la bacia sui capelli. Si lasciano alle spalle la misurata calma dell’aeroporto di Barcellona e s’avviano verso il lungo corridoio.

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PARTE PRIMA

IL SOGNO DELL’IMPOSSIBILE.

Andrea è il mio sogno impossibile. Lei è alta almeno quindici centimetri più di me. Slanciata, occhi nocciola che sembrano penetrarti, capelli castani leggeri e vaporosi. Le sue gambe le conosco centimetro per centimetro, così come le sue braccia, i glutei e i seni. Li avrò visti migliaia di volte. In costume da bagno o in biancheria intima, abitini leggeri estivi, tailleur invernali castigati, ampie sottane e short o minigonne vertiginose. Ho anche un suo calendario dove si mostra senza veli. Dodici scatti su cui ricamare mese per mese o per spararseli tutti d’un fiato, e poi sospirare di desiderio o scoppiare a piangere. Glieli ho fatti io, quegli scatti, così come decine di migliaia d’altri. Andrea è una modella molto ricercata e pagatissima. Io, suo amico da sempre, la seguo come un cagnolino, accontentandomi di un suo cenno, una parola mentre si cambia d’abito o un sorriso mentre sfila sulla passerella, si ferma un attimo per le foto, poi gira leggera su se stessa e scompare fra gli applausi. Perché la gente viene alle collezioni per lei, oltre che per vedere gli abiti che i migliori sarti del mondo le fanno indossare. Certo, poi ci sono anche le altre. Bionde, nasini arricciati, occhi azzurri, occhi verdi, seni piccoli, medi o grandi. Tutte rifatte, tutte anoressiche. Io scatto anche per loro, mi pagano per gli ottimi servizi che riesco a fare. Ma per cento foto che faccio alle altre, ad Andrea ne faccio mille. E nessuna da buttare, nessuna in cui lei venga a occhi chiusi, o spettinata, o in posizioni volgari come le altre. Andrea non sfila solamente, Andrea interpreta. E la gente si perde nelle sue movenze, pende da un suo sorriso compiaciuto. E quegli abiti diventano oro, diamanti. Dopo la sfilata, tutti a cena. Una bolgia infernale di gente, di commenti, di apprezzamenti. A volte la vedo partecipe, altre distratta, stanca. Come stasera, per esempio. Milano è afosa nonostante siamo solo ai primi di giugno. Laura Biagiotti ha strabiliato con le bluse invernali. Colori sgargianti, oppure bianco e nero e molta lana. Per appagare tutti i gusti, per buttare fuori mercato chi verrà dopo di lei. Stasera Andrea ha rischiato di cadere. Le si è staccato un tacco e ha avuto come un mancamento. Cosa di un attimo, ha subito ritrovato il bilanciamento e ha terminato il suo passaggio senza il tacco, tenendo su il piede che quasi non si notava il problema. Per lei applausi doppi, con le altre che schiumavano di rabbia. Un uomo s’è lanciato sul palchetto e ha preso il tacco come souvenir. Ho

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anche la sua foto, la metterò nella mia collezione personale assieme a tutte le altre che parlano di Andrea. Ho scattato anche durante la cena. Terminata la serata, Andrea dovrà pensare alla prossima sfilata, con Valentino, fra quindici giorni a Parigi. E a quella con Armani, fra una settimana appena. È sempre così, un lavoro dopo l’altro. Penso che negli ultimi tre anni si sarà concessa non più di venti giorni di vacanza. Diversi week end e una settimana in Sardegna, dopo l’ennesima sfilata. A volte non la capisco: potrebbe rallentare, dire di no a qualcuno, rimandare e alzare il prezzo. È come se fosse stata catturata da un delirio, da una paura: lasciare per una volta e perdere tutto quanto. Una volta sola l’ho vista incerta. Era in camerino, intenta al trucco. Io scattavo quasi di nascosto, perché dice che quelle foto non servono al suo lavoro. Ma servono a me, nelle lunghe serate dove non ho niente da fare. Lei studia gli abiti, i passi, i volteggi e le soste. Io ho solo le sue fotografie su cui ricamare. È stato un paio di mesi fa, alla prima della sfilata di Luis Vuitton, ancora a Parigi. Se ne stava di fronte allo specchio, il pennellino del rimmel a un centimetro dall’occhio, lo sguardo fisso allo specchio come se dovesse guardarsi dentro, e forse davvero l’ha fatto, perché è scoppiata improvvisamente a piangere. Sono corso da lei, l’ho abbracciata in ginocchio e le ho chiesto cos’avesse. «Niente» aveva risposto. Aveva preso un tampone per pulirsi e aveva ripreso a truccarsi, la mano ferma come sempre. Niente, eppure ho sentito qualcosa incrinarsi dentro di lei…

La serata volge al termine. I brindisi, gli auguri, gli applausi e i complimenti. Poi la comitiva si scioglie e arriva il momento in cui le ragazze vanno in discoteca, all’Old Fashion. Mi sento abbracciare da dietro.

«Sono stanca, torno in albergo. Alla prossima. Grazie, sei sempre un angelo.» Mi bacia sul collo. Sento le sue labbra bollenti che mi bruciano la pelle. Sento il suo fiato caldo che mi evapora addosso. I suoi seni premono sulle mie spalle, liberi sotto il vestito leggero. Con una mano le prendo la punta delle dita e le porto alla bocca, per un bacio che per me ha il sapore di mille vittorie. Attimi che durano eternità, dentro di me, capaci di stritolarmi per l’emozione.

«Io esisto solo grazie a te. Riposati, mi sembri davvero stanca.» La sento allontanarsi, lascio la presa alle dita e lei mi gratifica con un lento strusciare sulla spalla, un distacco che è quasi una rinascita. Fossi diverso, alla sua portata, non l’avrei lasciata, quella mano. Ti amo, le avrei detto, Ti accompagno all’albergo e resto con te, a vegliare sul tuo sonno, anche se non faremo l’amore. Invece me ne resto qui, distante, imbronciato

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come un bambino, deluso e triste, triste come chi ha un sogno e non può mai viverlo in prima persona. Mestamente, guadagno anche io l’uscita. Il mio albergo è meno prestigioso, fuori città, quasi proletario. Perché io vivo per Andrea, e Andrea mi consuma dentro. Spendo un quarto dei miei guadagni da un analista, anche se ho il sospetto che lui se li intaschi senza fare granché per guarirmi dalla malinconia. Si può far cessare alla gallina dalle uova d’oro di deporle?

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«Mmm… Pronto?» Mi ronza la testa. Colpa del vino e del cicchetto che mi sono fatto a un bar sulla strada per il mio albergo. Qualcuno mi ha chiamato al cellulare e io mi sento più rintronato d’una campana. È Andrea. Sta piangendo. All’improvviso mi passa tutto. Sbronza, malinconia, mal di pancia.

«Piccola, che hai?» La sento singhiozzare e tirare su col naso. «Non ne posso più, Gordias, non ce la faccio ad andare avanti con questi ritmi!»

«Sei in albergo? Resta in camera, giusto il tempo di chiamare un taxi e sono da te!» Ho già gli abiti in mano e cerco con lo sguardo dove ho buttato le calze.

«Non voglio. Non posso. Non c’è più niente che tu possa fare per me. Hai presente quando un sogno s’è infranto? Ecco, mi è appena accaduto. Non voglio più sfilare, non voglio più vedere nessuno. Basta. Ho chiuso!»

«Se è tutto qui, ok, allora. Dov’è il problema? Basta dire che sei stanca e che ti prendi una lunga pausa.»

«Tu non capisci. Non mi lasceranno mai in pace, mi staranno addosso come mastini. I produttori, i paparazzi, i giornalisti. Ho bisogno di sparire, ma non ne ho alcuna possibilità. Sono in crisi bestiale!»

La mia mente vola per trovare soluzioni, ma è proprio la prima ad affacciarsi che mi pare la più naturale.

«Io posso portarti in un posto fuori dal mondo, dove nessuno ti conosce e dove nessuno verrà a cercarti. Potrai riposare, prendere il sole, tuffarti in un mare cristallino, come se fossi in un altro mondo.»

«Non esiste un posto simile. Oggi il mondo è globale. Fosse anche al centro della terra, mi troverebbero.»

«Mettimi alla prova. Non ti deluderò.»

«Caro Gordias. Tu se l’unico al mondo che non mi ha mai chiesto nulla. Sei un buon amico, anche se la tua passione per me a volte ti rende ridicolo. Non sai quanto ti voglio bene, voglio fidarmi. Di te devo fidarmi. Cosa vuoi che faccia?»

«Sono le quattro del mattino. Fa la valigia e poi un bel bagno rinfrescante. Alle sei scendi nella hall, paga il conto e fa chiamare un taxi. Fatti portare alla Stazione Centrale e prendi un biglietto per Rimini, ma scendi a Imola. Primo depistaggio. Io sarò lì a prenderti. Quanto il treno si ferma a

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Bologna, però, manda un messaggio al tuo agente e disdici tutti gli impegni futuri. Dì che sei stanca, che hai bisogno di un lungo periodo di riposo. Lo chiamerai fra qualche tempo. Poi spegni il telefono. Ricordati, è importante. E se qualcuno ti chiama prima, non rispondere. Tutto chiaro?»

«E poi?» sento ansia nella sua voce. «Poi? Prendo un’astronave e ti porto sulla Luna. Tu fatti trovare a Imola, al resto penso io. Ti faccio davvero sparire nel nulla, e dopo potrai rilassarti. Per i maggiori dettagli, a voce è meglio. A dopo, devo partire anche io, se voglio essere puntuale all’appuntamento. Tutto chiaro? Tutto accettato?»

«Mi fai sorridere, Gordias. Mi sento già più serena e con una via di fuga fra le mani. A più tardi, allora.»

«A più tardi, piccola.»

«Bacio.»

Bacio… Me ne resto col telefono spento attaccato all’orecchio, poi uno sbadiglio mi riporta alla realtà. Spero solo di non fare cazzate. Andrea può tornare nel giro quando vuole, io rischio grosso, se manco per troppo tempo. Ma per lei andrei anche all’inferno…

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Ho visto Andrea scendere dal treno con un trolley grande quanto lei. E altrettanto pesante. Che cosa devono portarsi dietro, le donne, che noi uomini non abbiamo, poi. Cammino svelto fra la gente, puntando verso di lei ma senza farmi vedere. All’ultimo, le intimo di stare zitta e parlo io. «Taxi, signorina? Prego, venga con me.» Ci saranno migliaia di tassisti abusivi, nel mondo, posso per un momento spacciarmi per uno di loro e per una buona causa?

Prendo il trolley e inizio a trascinarlo lungo i binari. Andrea mi segue come un cagnolino, a debita distanza. Giunto alla mia auto, le apro lo sportello dietro. Lei rimane interdetta per un momento, poi sale composta. Infilo il trolley nel bagagliaio della mia Audi e parto senza tanti complimenti.

«Hai mandato il messaggio?»

«Tutto fatto. Poi ho spento il telefono come hai chiesto.»

«Rimpianti?»

«Per il momento ancora no. So che arriveranno, assieme ai rimorsi. Di questo, dovremo parlarne, ma prima voglio sapere dove hai intenzione di portarmi.»

«Ti piacerà, vedrai. Ora, mi aspetto una telefonata da un momento all’altro. Del tuo agente, degli organizzatori delle prossime sfilate, che non vogliono rinunciare a te. Lo sai che hai un calendario fitto fitto, no? Io dirò che non ne so niente. Probabilmente dovrò essere presente alla prossima sfilata di fine mese, a Roma. Tanto per confondere le acque, ma non ti troveranno, mi gioco le mie macchine fotografiche.»

Per me è come giurare sulla Bibbia, e lei lo sa.

«Per il momento ti porto in un villino in campagna, che è di un mio amico sempre all’estero. Lo uso ogni tanto, quando mi voglio rilassare lontano da casa mia.»

«Donne?» chiede garbatamente, ma con un sorriso sulle labbra che tradisce un poco di gelosia.

«Come se piovesse! No, niente donne. Giro per i campi e i fiumi alla ricerca di soggetti da fotografare. A volte incontro anche ragazze, ma nessuna che si lasci rimorchiare.» Annuisce. Da quel che so, in questi tre anni non l’ho mai vista in compagnia di qualcuno in particolare. Non ha

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mostrato segni di avere un fidanzato, insomma, solo tanti galletti che le si fanno attorno ogni tanto, garbatamente allontanati.

«Tu, invece, non hai nessuno da salutare?» le voglio rendere la pariglia, tanto per ricambiare lo scherzo, ma la vedo incupirsi e quasi stare per mettersi a piangere.

«Scusa, non volevo. Io pensavo che…»

«Niente, è passato. Tu non sai quasi nulla di me, del mio privato, intendo. Meglio così. Sei perdonato, tranquillo, la colpa è mia che non ho mai voluto parlare con nessuno della mia vita. Forse un giorno ci riuscirò. Un giorno…»

Stacca gli occhi dallo specchio retrovisore e prende a guardare fuori dal finestrino. I chilometri scorrono e non c’è più verso di cavarle niente.

«Adesso usciamo dalla statale e prendiamo per le campagne. Tu sdraiati sul sedile. Magari fa finta di dormire. Meglio che nessuno ti veda, sei troppo appariscente.» «Ok.»

La vedo sparire dalla mia vista. Vedo solo le sue ginocchia muoversi fra i due sedili anteriori fino a trovare una posizione più comoda. Squilla il mio cellulare.

«Pronto?»

«Gordias, sono Matteo, l’agente di Andrea.»

«Ciao, Matteo. Cosa mi racconti di bello?»

«Andrea ha tagliato la corda!»

«In che senso, scusa?»

«Mi ha mandato un messaggio. Dice che è stanca e che vuole togliersi dal giro per qualche tempo. Per un bel po’ di tempo. Ma ti pare? Abbiamo sette sfilate già prenotate per i prossimi due mesi, mica è possibile dire che ci siamo stufati e chiuderla lì!»

«Dammi due minuti, la chiamo e cerco di capire che sta succedendo. Cercherò di farla ragionare.»

«È inutile, ha il telefono staccato. In albergo dicono che se n’è andata stamattina molto presto.»

«Questo è strano. Non l’ho vista particolarmente stanca. Magari meno euforica delle altre volte. Non so che dire. Provo a chiamarla e poi ci sentiamo.»

«Grazie per lo sforzo, anche se so che sarà inutile.»

A ogni buon conto chiamo per due volte il cellulare di Andrea, poi richiamo Matteo.

«Hai ragione tu, non è raggiungibile. Che significa?»

«C’è qualcosa sotto. Io chiamo la polizia. Forse è nei guai.»

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«Diamole qualche ora. Poi si farà viva. Io sono in autostrada, faccio una deviazione e provo a casa sua. Magari è lì che fa le valigie per andare in qualche posto.»

«Quando pensi di arrivare?»

«Mm, occhio e croce fra due ore almeno. Rimini è dall’altra parte rispetto alla mia strada. Per fortuna sono ancora in tempo per prendere l’A14. Ci sentiamo più tardi. Se hai notizie, chiamami subito. Intanto io penso a chi sentire, avesse notizie di lei.»

«Io farò lo stesso, ciao.»

Ciao!

Ciao un cazzo, rompicoglioni. E voleva pure chiamare la polizia.

«Dobbiamo cambiare il programma, piccola. Matteo è molto preoccupato. Dobbiamo fare un salto a casa tua. Non è una cattiva idea. Prendiamo altri vestiti più consoni e lasciamo questi. Poi accendi il cellulare e aspetti che ti chiami. Poche parole, gli dici le stesse cose del messaggio e che s’arrangi lui con gli stilisti. Non sei in condizioni di sfilare. Se non hai la testa a posto faresti un cattivo servizio e questo non lo vuoi e non lo vuole nemmeno il cliente. Secca, poi chiudi. Poi chiami me e infine lo richiamo per dire che ti ho sentita e che te ne vai via per un po’. Fine dei misteri. Sei viva e ti sei licenziata. Poi si riparte col piano fissato.»

«E quale sarebbe?»

«Un’isola deserta o quasi. Uno scoglio battuto dal vento e una spiaggia per due persone sole. Mare cristallino, pesce fresco tutti i giorni. Niente cellulare, non c’è linea. Né tv né elettricità. Vivremo allo stato semi selvaggio finché vorrai. Finché resisterai.» La guardo negli occhi. Mi aspettavo un commento, magari una critica feroce, invece nulla. Distoglie lo sguardo.

«Andiamo avanti. Hai ragione tu: per starmene in pace dovrò rinunciare a qualche comodità. C’è almeno acqua per lavarsi?»

«Un pozzo, una cisterna e un mastello di legno dove fare il bagno o la doccia. Calda o fredda, si può scegliere.»

«E dove sarebbe questo paradiso?»

«Dovresti conoscere le mie origini greche. Dunque?»

«La Grecia. Ma come ci arriviamo? Occorrono documenti, un traghetto o un aereo, mi riconosceranno. E allora? La tua copertura sarà saltata in cinque minuti!»

«Lascia fare a me. Mio nonno contrabbandava sigarette e così mio padre dopo di lui. Ho navigato diverse volte sulle rotte fra Bari e le coste greche. Ci vuole una giornata di navigazione fra traversata e spostamento sull’isola giusta. È quasi abbandonata, non c’è terra da coltivare. Nemmeno le pecore possono prosperare. Ci sono solo tre abitazioni su

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quello scoglio, una è della mia famiglia. Non ci vado da anni, stavolta tocca a me!»

«E non pensi che questo darà nell’occhio a qualcuno?»

«Basta farli guardare da un’altra parte e nessuno ci vedrà passare. Ho molti amici e tanti hanno un conto aperto con la giustizia. Nessuno farà casino, non conviene. Anzi, saremo protetti.»

Nel frattempo, ho ripreso l’autostrada. Le due ore saranno appena sufficienti per portare avanti il piano B.

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Rimini non la vedevo da anni. Migliorata per certi aspetti, come la circolazione stradale interna, tante rotatorie, per il resto mi è sembrata decadente. Sporcizia, extracomunitari irregolari dappertutto, degrado. I cartelli vendesi o affittasi dovrebbero avere arricchito qualche stamperia, per quanti se ne vedono in giro. Molto dipenderà dalla crisi globale, ma non tutto.

Andrea abita in una vecchia palazzina a due passi dalla stazione. Un attico dove lei rischia di sbattere la testa a ogni passo. Io no, ci starei quasi comodo. L’appartamento è carino, ma non adatto a lei. Meriterebbe di meglio, molto meglio. E potrebbe anche permetterselo, ma invece vive come una cameriera ai piani.

«È che sono fuori quasi tutto l’anno – si giustifica alla mia domanda diretta. – Che me ne farei di un attico da un milione di euro? E poi ci sono affezionata, ce l’ho da quando sono andata via di casa, a diciott'anni e un giorno.» Intanto sta ammassando abiti, scarpe e mille cose come dovesse traslocare. Prendo le sue mani fra le mie.

«Lascia fare a me» le propongo.

Scelgo abiti leggeri, scarpe da tennis, costumi da bagno, qualche asciugamano da mare e per asciugarsi. Poche altre cose, tutte improntate all’essenziale e al luogo dove stiamo andando. Le consento cinque cose fuori budget. Sceglie un paio di sandali, un cappello di paglia che sembra un ombrellone, due libri da leggere che mi fa contare per uno solo e un piccolo binocolo. Da ultimo, quasi di nascosto, infila nella borsa personale con chissà quante altre cose, un cellulare che dimostra dieci anni e relativo carica batteria.

«Questo numero ce l’ha una persona sola, che nessuno dei miei amici ha. Senza di questo, non vengo!» precisa, risoluta. Capitolo, tanto sull’isola non c’è segnale, ma questo già lei lo sa. La valigia non è nemmeno pesante e mi avvio per le scale, tre piani senza ascensore.

«Il resto lo prenderemo sul posto - le ricordo. – Adesso devi fare la telefonata a Matteo.»

Ripassiamo le cose da dire e lei è brava. Racconta quel che abbiamo concordato e poi chiude con un saluto secco. Poi chiama il mio cellulare e rispondo, anche se stiamo in silenzio per un paio di minuti. Poi tocca a me recitare la mia parte. Chiamo Matteo e gli rifaccio il riassunto di quel

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che sa già. Ci lasciamo con la promessa di avvisarci non appena la sentiamo di nuovo. Il suo cellulare rimane sul tavolo, tutto smontato. Siamo pronti per andare via. La vedo tentennare sul pianerottolo, poi chiude con mandate secche, come a volersi lasciare tutto alle spalle, per sempre.

«Adesso ti porto alla casa che ti dicevo. Io devo lasciarti qualche ora per preparare le mie cose. Tornerò questa sera tardi. Fra una settimana, dopo la sfilata di Armani, dove io sarò presente come sempre, partiremo per Bari e ci imbarcheremo. Domenica prossima saremo liberi e lontani da tutto.»

Non sembra gradire molto il mio discorso, da quando siamo partiti tortura il filo del carica batteria del cellulare.

«Devi fare una telefonata, vero?» Lei non ha più segreti, per me, a forza di inquadrarla nell’obiettivo, alla ricerca dello scatto migliore, ho imparato a interpretare le sue smorfie, le occhiate, i muscoli tirati della faccia o i pugni stretti. Se si morsica la lingua, poi, è incazzata di brutto. Stavolta si è limitata a ripetere quel gesto ossessivamente, come volesse strappare quei cavi. C’è una piazzola poco avanti. Accosto e predispongo il carica batteria della macchina. Ho proprio idea che quel cellulare non venga usato molto spesso. Andrea mi guarda, grata. Afferra il telefono e si affanna ad accenderlo, poi pasticcia col codice, infine è pronta. «Faccio due passi…» annuncio mentre scendo dalla macchina. Lei sorride e abbassa lo sguardo. Ecco, fumassi, sarebbe il momento adatto. Faccio il giro dell’auto e mi appoggio all’angolo posteriore. Guardo la campagna avvolta dal sole di mezzogiorno. Sull’autostrada camion e automobili rombano e fischiano al passaggio. Mi sento uno stupido. La donna che amo sta nella mia macchina e con molta probabilità sta telefonando al suo amante e io me ne sto qui, in disparte e la lascio fare. Anche se la porterò nel mio rifugio segreto, so che non sarà mai mia veramente. Un’opera d’arte appoggiata a un treppiede. Da guardare, ammirare, su cui sospirare e fantasticare. Ma da adeguata distanza. Un tocco, un leggero sfiorare e basta. Sento Andrea parlare con tono concitato. Alza la voce e ripete più volte la stessa frase. Sembra tedesco, ma da qui fuori, con tutto il via vai dell’autostrada non si sente bene. Infine si calma, parla con un tono basso e trasognato. Prima la suocera, poi l’amante? Sarà maschio o femmina? Biondo o una nera africana? Scuoto la testa per cacciare via i pensieri cupi. Provo a rilassarmi. Chiudo gli occhi e inizio a contare le macchine che passano, dividendole in base al rumore che fanno. A trentasette Andrea apre lo sportello. «Gordias, possiamo andare. Scusa.»

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Rientro. Ha gli occhi rossi. Ha pianto. E si morde la lingua. È incazzata e ancora giochicchia col cavo.

«Tutto bene?» provo a sondare.

«Un giorno o l’altro te ne parlerò. Non ora, sono troppo agitata.» Annuisco e parto a razzo per anticipare una lunga fila di camion.

Arriviamo nella campagna di Meldola con dei tramezzini sullo stomaco. Mi sono concesso solo una breve sosta in un grill di mezza tacca per prendere qualcosa da mangiare per pranzo e dei biscotti per il pomeriggio.

«Ecco la tua dimora. Una casetta per le bambole e per incontri clandestini. Pensa, in origine era una porcilaia. Poi il mio amico è riuscito a farsi approvare un progetto di ristrutturazione e a farsi questo villino.»

«Sempre porcilaia è rimasta, se lo usate solo per incontri fugaci!» osserva Andrea.

«Touché. Comunque io ci sono sempre venuto da solo, al massimo con degli amici. Vieni, ti mostro la casa.»

C’è poco da esporre, tempo dieci minuti e sono già in partenza.

«Ti senti tranquilla? Starò via solo poche ore.»

«Niente di che. La casa è ben chiusa, sono al sicuro. Guarderò la televisione, oppure dormirò qualche ora. Per cena cosa mi porti?»

«Ostriche e champagne?»

«Pizza e una coca cola» mi corregge, dandomi un bacio sulla fronte. La cosa non mi fa impazzire, mi ricorda che lei è una spanna più alta di me e mi mette a disagio. Se ne accorge e rimedia sulla porta, mentre sto per andare via.

Mi abbraccia forte e già mi sento meglio.

Mi sorride e mi guarda negli occhi, maliziosa.

Mi bacia svelta sulle labbra e mi mette alla porta, prima che possa prendere una qualsiasi decisione.

«Fa attenzione» raccomanda.

«Mi bacerai ancora così?» la stuzzico da dietro l’inferriata chiusa. «Solo se mi porterai una pizza ancora bollente.»

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In realtà riesco a tornare solo a notte fonda. Colpa del traffico, della valigia che non ne voleva sapere di chiudersi e delle decine di telefonate che ho ricevuto. Tutti a chiedere di Andrea, che fine aveva fatto, se sapevo qualcosa, se potevo fare qualcosa per farla tornare. Insomma, un Venerdì Nero per l’alta moda, sembra che tutti si siano talmente abituati ad avere Andrea come testimonial, che temono di fallire tutta una stagione, senza di lei. Ridacchio. Molto meglio, quando deciderà di tornare, potrà chiedere qualsiasi somma e loro gliela concederanno. Poi mi assalgono i dubbi: tornerà? E quando? Un mese, sei, un anno? Sarà sempre la stessa oppure il lungo digiuno dalle passerelle le avrà fatto perdere lo smalto? E se poi ingrassasse per contrastare la malinconia, cosa accadrebbe? Mi accorgo di essermi preso una grande responsabilità e dei rischi. L’unica cosa che conta è la serenità di Andrea, e per quella so che darò il massimo.

Per fortuna che conosco Meldola come le mie tasche e so come muovermi. Ho telefonato con anticipo e adesso mi sto precipitando da Andrea coi vetri della macchina che si stanno appannando per via delle pizze appena sfornate.

Il sorriso che mi sale al pensiero di rivederla mi si gela in faccia quando arrivo al villino. Il portone di casa è aperto e le luci sono accese. Lascio la macchina in moto per illuminare i campi attorno.

«Andrea!» chiamo, un po’ preoccupato. «Sono qui…» spunta dall’angolo della casa, un gatto nero fra le braccia. «Perché sei uscita?»

«Piangeva. Si sarà perso. È tutto solo e affamato, come me. Ci siamo fatti compagnia a vicenda. Su, non farmi il broncio. Qua attorno non c’è nessuno e Tigre mi avrebbe difeso!»

Guardo il gatto e mi scappa da ridere. Ma quello non pare averla presa bene. Si gonfia tutto e soffia da fare paura. I suoi occhi gialli diventano spaventosi. Meglio non insistere.

«Entriamo, sennò le pizze si raffreddano e poi prendi la scusa per non baciarmi.»

Lei si ferma sull’ingresso, il gatto fra le braccia. «Davvero ci tieni così tanto, a un mio bacio?»

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La guardo, le labbra strette.

«Un giorno o l’altro te ne parlerò. Non ora, sono troppo agitato.» Le ripeto la frase con cui ha chiuso l’argomento nel pomeriggio.

«Touché» commenta lei, ridendo. Appoggia il gatto a terra e prepara una tazza per il latte da dargli, visto che nella busta della spesa ne ha visto un paio di contenitori.

«Hai fatto tardi» si lamenta. La metto al corrente dei problemi che ho incontrato e lei si incupisce al pensiero di tanta gente che si sta preoccupando per lei.

«Manderemo una cartolina coi saluti. Fra un mese gli passerà, vedrai. L’importante e che tu riposi. Il resto può aspettare.»

Due pizze per tre bocche affamate. Per fortuna che i gatti non bevono coca cola…

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Una settimana dopo Il viaggio è stato problematico per via del mare mosso. Il porta-container Akropolis sembrava lento come una lumaca e lasciava la sua scia di bava dietro di sé, quasi a segnalare la presenza di clandestini a bordo. Andrea è rimasta chiusa in cabina per tutta la traversata, per via dei marinai che la cercavano con lo sguardo ogni volta che si mostrava in coperta. Imbacuccata col cappellone di paglia e i grandi occhiali da sole, era per loro irriconoscibile. D’altronde, erano uomini più avvezzi a calcare il bancone delle bettole ai porti, piuttosto che le sale delle sfilate. Questa me la paghi! Aveva sibilato Andrea nel varcare la soglia del piccolo locale maleodorante, e io m’ero chiuso in un sorriso sornione. Grazie al potere dei favori incrociati, nessuno aveva fatto caso a due turisti che erano scesi in un pomeriggio infuocato da una nave mercantile e ai dock di imbarco merci a Patrasso. Il mio amico Kallistos ci aspettava con una Fiat Ritmo di colore blu tutto scrostata e dagli interni talmente logori che usciva fuori l’imbottitura dalle cuciture. Kallistos peserà oltre un quintale e con noi e le valigie l’auto faticava a stare in strada. Nel suo stentato italiano, si sbracciava per decantare la bellezza del suo mezzo, vent’anni di vita e quasi un milione di chilometri sulle spalle. Per fortuna che il viaggio è durato non più di dieci minuti, il tempo di arrivare a un porticciolo poco distante, dove ci aspettava un potente motoscafo. Andrea sembrava crollare da un momento all’altro e io temevo iniziasse a pentirsi di avermi dato retta. Ancora quattro ore, le ripetevo, poi saremo liberi…

La costa non si vede più da un pezzo e Andrea ha smesso di guardarsi attorno per capire dove la stiamo portando. Il pilota è fratello di Kallistos, anche se non sembra. Magro come un fachiro, sfoggia due baffoni anni Settanta e sorride sempre, quando non è impegnato a fumare. Andrea si accosta ancora di più a me. L’alta velocità del motoscafo solleva spruzzi salati che le arrivano addosso e il vento minaccia di farle saltare via cappello e occhiali. Io non chiedo di meglio che stringerla. «Resisti. Manca ancora poco. Mezzora, non di più. L’isola Apasa è laggiù, mi pare di vederla. Fa parte di un piccolo arcipelago di quattro isole ed è la più piccola. A causa della crisi mondiale e dell’assenza d’infrastrutture, nessun turista viene più da queste parti. Sono anni che la

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usiamo come se fosse nostra, di famiglia. Fino a quattro, cinque anni fa affittavamo la proprietà per parecchi mesi l’anno, a ricconi russi, tedeschi, olandesi. Alcuni la tenevano per tutta la stagione e noi andavamo a portare le provviste due volte la settimana…» Andrea annuisce ma non dice nulla.

«Quando saremo arrivati, Stephanos ci aiuterà con i bagagli, poi tornerà indietro. Abbiamo provviste per almeno una settimana, lo rivedremo dopo otto giorni. Potremo divertirci, pescare e riposarci. In caso di necessità abbiamo a disposizione un piccolo motoscafo, comunque in grado di portarci alla vicina isola di Modi, dove c’è una cittadina.» «E… niente telefono?» Dal tono di voce mi sembra preoccupata. «Te l’avevo detto. Niente telefono, non c’è campo. – Faccio una pausa a effetto, poi proseguo con la bella notizia. – Però mi sono procurato un telefono satellitare. Quando avrai necessità di chiamare chi vuoi, sarai in grado di farlo. Però non potrai chiamare le stesse persone che contatto io. Sono ufficialmente in ferie e ad Atene, presso parenti, quindi sono contattabile. Tu, invece, sei davvero scomparsa dalla faccia della terra!» Sorride, più per il telefono satellitare che per la mia battuta. Si allunga un poco e mi bacia sulla guancia. Stephanos si batte una mano sulla coscia e ride. Chissà che si immagina, due piccioncini in vena di fare follie, è lontano anni luce dalla verità. L’isola infine ci appare, abbacinata dal sole al tramonto. È una cresta arida, lunga e frastagliata. Vi crescono bassi cespugli, tamerici, ginestre e qualche olivo. La nostra casa ne è circondata, sono utili per mitigare il vento che soffia forte e per dare ombra ai villeggianti. Non vedo l’ora di mostrarla ad Andrea.

Stephanos rallenta e dirige il motoscafo verso una spiaggetta sassosa. Di lato, tirato in secca, un piccolo motoscafo con la chiglia in alluminio riluce e mostra tutte le sue ammaccature. L’uomo salta in acqua e fissa una corda a uno scoglio. C’è bassa marea e il mare è una tavola di smeraldo.

Andrea si guarda attorno, fissa il nulla che ha di fronte e l’orizzonte vuoto alle spalle. Sembra indecisa, sconcertata. L’isola fa questo effetto, appena sbarcati. Quando poi si prende il sentiero che risale il costone, una lenta peristalsi a ritroso, ancora di più assale il pensiero di avere sbagliato vacanza. Ma, giunti in cima, dalla spianata posta davanti alla casa, si vede il panorama a 180 gradi, sul mare e sulle isole vicine. Gli arredi esterni catturano la fantasia, le tende che sfilacciano al vento offrono mezz’ombra per riposare e rilassarsi. L’odore del mare è forte, aspro, riempie i polmoni e spinge a respirare a bocca aperta. Ma Andrea gradirà tutto questo?

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La ragazza si lascia prendere per i fianchi da Stephanos, che la deposita sullo scoglio senza nemmeno farle bagnare la punta dei piedi.

«Dove l’hai rimorchiato, questo fiore?» mi chiede in stretto dialetto, che anche io fatico a decifrare del tutto.

«È una mia amica, solo amica. Ce ne stiamo qualche tempo in pace, senza rotture di coglioni. Comprendi?»

Stephanos si apre in un sorriso complice.

«Certo che comprendo. Se le tue sorelle mi chiedono qualcosa, dirò che sei qui con degli amici, uno più brutto dell’altro, contento?»

«Dai portiamo su i bagagli, la ragazza è molto stanca.»

Abbiamo due valigie e diverse scatole di viveri e attrezzature. Su, a mezza costa, è stato posizionato un piccolo verricello, ci eviterà di romperci la schiena del tutto.

«Vieni, piccola, saliamo. Un ultimo sforzo e sarai ripagata. Come ti senti?»

«Mah, sono a pezzi. Credo che dormirò per una settimana, prima di cacciare il naso fuori dalla stanza. Non mi aspettavo molte comodità, visto il tuo resoconto, ma il viaggio è stato davvero stancante. L’isola però è bella e selvaggia, mi piace. Dammi solo un letto soffice, silenzio e del cibo. Non mi lamenterò più.»

«Allora andiamo. Portiamo su noi il bagaglio, avviati per il sentiero.» Stephanos prende una valigia e una grossa scatola portata a spalla. Sbuffa come un mantice per restare al nostro passo. Non si perde un solo ancheggiare della ragazza, benché fasciata da un pantalone alquanto ampio. Io porto la sua valigia, che è la più leggera e credo di essere in grado di portarla fino alla casa. A ogni svolta noi rimaniamo più indietro e Andrea ci canzona. Stephanos ormai non lo sento più. Oltrepasso il cavo del verricello e mi appresto all’ultima fatica. Ancora alcuni tornanti e arrivo in cima. Trovo Andrea sdraiata su un divanetto di vimini che sorseggia una bibita fresca. Sul tavolo c’è un bel cesto di frutta e varie caraffe termiche. Caffè caldo, varie bibite e succhi. Leggo un cartello posizionato lì accanto, in greco e inglese. Buon soggiorno a casa Charisteas, recita la versione inglese. Goditi l’isola e la prossima volta fatti vedere, brutto stronzo!, riporta invece quella greca. Deve essere opera di Rita, la mia sorella minore. Quest’anno era il suo turno di venire all’isola e gliel’ho fatto saltare. Ma non deve lamentarsi, lei lo sa che io sono rimasto indietro da anni, per cui… «Io da qui non mi muovo più, sappilo. Mi porterai i pasti in terrazza, assieme al letto. Mi farai da schiavo se ci sarà troppo sole o vento forte. Mi sono già innamorata del posto e ancora non ho messo piede in casa e

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nei dintorni. Avevi decantato la bellezza del posto, ma è ancora più bella delle tue descrizioni.»

«Ne sono felice, Andrea. Buon soggiorno anche da parte mia. Riposati, intanto aiuto Stephanos a issare i bagagli. Il resto delle cose è stato portato qui nel primo pomeriggio.»

Raggiungo uno sperone di roccia dal quale si allunga il treppiede dell’argano. Strattono la corda un paio di volte e ricevo il segnale che posso tirare. Isso la mia valigia e la deposito a terra, facendo ruotare l’asta. Stessa cosa per le scatole. Infine, mi sporgo nel burrone per salutare l’amico.

«Ti ringrazio, Stephanos. Ci vediamo fra otto giorni, come concordato. Saluta tuo fratello e bevete alla mia salute.»

«Buon divertimento, ragazzaccio. Divertiti col tuo fiore. Fa comunque attenzione, qui siete isolati. Ricordati che hai la pistola, in casa. Ciao.» Ciao… Mi lascia con questo assillo addosso. Proteggere Andrea, girare armato. Non ci avevo pensato, ma ha ragione. Approdasse qualcuno, chi potrebbe dire con quali intenzioni? Inghiotto le mie preoccupazioni e raggiungo Andrea. C’è da preparare la casa e la cena.

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S’è fatta sera e la cena si sta freddando sul tavolo. Andrea dorme tranquilla sul divano, le gambe che sporgono dal bracciolo imbottito di cuscini. La osservo seduto cavalcioni su una sedia. Sembra una dea greca, oppure una ninfa. Vorrei toglierle le scarpe per renderla ancora più pura, spostare quella ciocca di capelli che le pende di traverso sulla fronte, oppure sistemarle il braccio, leggermente scomposto. Ma questo potrebbe significare la fine dell’incanto e non lo voglio. Un usignolo inizia a cantare fra le fronde di un ulivo. Dolce, soave, melodioso. Andrea si sveglia serena, sbatte le palpebre un paio di volte poi gira la testa e mi vede.

«Sono in Paradiso?»

«Una sua dependance, piccola. Dormito bene?»

«Mai stata meglio. Sarà l’aria di mare, la camminata, o forse la stanchezza. Mi sento rilassata e gratificata. Che c’è per cena?»

«Avrei dovuto svegliarti prima, ma mi sembrava un delitto. La pasta si sarà freddata, ma gli antipasti di pesce sono ancora in fresco.»

«Allora andiamo, non perdiamo tempo!»

Mi segue sotto al portico e prende posto alla sedia che scosto per farla accomodare. Accendo delle lanterne per dare una parvenza di modernità e complicità assieme. In realtà c’è anche un piccolo gruppo elettrogeno che dà corrente al frigorifero e a qualche elettrodomestico, ma svelerò il segreto al momento più opportuno. Stappo una bottiglia di buon prosecco italiano e glielo servo, fresco al punto giusto. Lei non fa una piega.

«Abbiamo un sacco di cose da fare. Sistemare i bagagli, preparare le stanze, sistemare le provviste. Dovevi svegliarmi!» mi rimbrotta bonariamente.

«Mangia tranquilla, è tutto a posto. Questa è la tua vacanza, sarai la regina dell’isola.» Lei sorride nella penombra, un poco imbarazzata. Però gradisce tutto quanto, anche la pasta fredda. Pomodoro e basilico freschi così non credo che li abbia mai assaggiati.

«E io cosa devo fare, in cambio di tanta ospitalità? Perlomeno devo contribuire alle spese, non farmi storie!»

«Ne parleremo poi. Non almeno finché avremo provviste. Ci possiamo prendere tutto il tempo che vogliamo. Nessuna fretta, nessuna ansia. Qui

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si sta bene anche a ottobre, abbiamo mesi davanti a noi, di estate e relax. Temo che finirai presto i tuoi libri, dovremo procurarne altri.»

«Tu che farai, nel frattempo?»

«A parte il tempo che dedicherò alla tua contemplazione? Cucinerò, ti starò vicino mentre nuoti o passeggi sull’isola.»

«Mi starai a guardare anche quando farò pipì fra gli arbusti?»

«Solo per evitare che ti pizzichi qualche insetto strano. Scherzo, abbiamo una specie di bagno, non siamo così arretrati.» Mi fermo per un attimo per guardarla, poi proseguo con le raccomandazioni.

«Sull’isola non ci sono pericoli, se si escludono i dirupi e le correnti marine. Occorre stare attenti ai turisti che possono sbarcare sull’isola all’improvviso. Gli faremo capire bonariamente che questa zona è privata e se ne dovranno andare. – faccio una pausa a effetto – Con le buone o con le cattive.»

«Guardaspalle, cuoco, cameriere. Sei proprio un amico a tutto tondo…» L’usignolo canta ancora un po’, poi frulla le ali e si sposta oltre il costone. Riprende la sua melodia. Così mi pare anche Andrea, a volta entusiasta di stare qui, altre la sento diffidente, come se si sentisse prigioniera di questa gabbia dorata che lei stessa ha richiesto. E condizionata dalla mia presenza.

«Fissiamo le regole. Tu prendi la stanza matrimoniale, io il letto nel soggiorno. Cuciniamo assieme, se vuoi, e se vuoi stiamo assieme quando siamo fuori casa. Per il resto, una volta che hai imparato a muoverti sull’isola, io posso restare a distanza, giusto la sicurezza di intervenire se ne avessi bisogno, specie quando fai il bagno. Qui l’acqua è profonda e le correnti a volta sono imprevedibili. Lo so che sei un’abile nuotatrice, ma io conosco l’isola e i suoi capricci, tu no. La cucina è dietro quella parete di canne. Oltre c’è la doccia esterna. L’acqua si riscalda col sole, per cui è possibile lavarsi fino a sera inoltrata. Il bagnetto in casa è da usare soprattutto per un utilizzo notturno. Di giorno sarebbe effettivamente meglio andare per campi. Ma questa regola non vale per gli ospiti. Prendi confidenza con la casa, domattina. Adesso, se vuoi, ti porto a passeggiare sulla spianata, a guardare il mare e le stelle.»

«Davvero ho bisogno che tu mi regga, quel vino mi ha dato alla testa!»

A lato della casa si eleva una scaletta di pochi gradini intagliati nella pietra e di lì parte un comodo sentiero che porta sulla sommità dell’isola. Là, riparate da un muretto a secco, sono state posizionate delle panchine per stare al sole o per prendere il fresco di sera. Le raggiungiamo. «Mi vorresti dire che tu vedi davvero dove metti i piedi, con questo buio?» Andrea se ne sta aggrappata al mio braccio, mentre io la guido sicuro fra un cespuglio e muretti di pietra.

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«Io qui ci vengo fin da bambino. Tutto è immutato, potrei correrci anche di notte. E comunque, basta tenere d’occhio alcuni riferimenti e non ti perdi.»

Ci sediamo, lei appena un poco distante. Mi sono fatto l’idea che tema una mia avance, cosa che non avverrà mai. Io mi ritengo appagato dall’averla accanto, tutta per me. Se mi sfiora sono contento, se mi parla m’incanto. So stare al mio posto, mi gratifica fare qualcosa per lei, per poi riconsegnarla alla sua vita e tornarmene nel mio cantuccio a ricamare sui ricordi. Forse un giorno m’innamorerò di una ragazza qualsiasi e la potrò dimenticare. Forse…

«Conosci anche il nome di quelle stelle?»

«Di alcune sì. Quello è il Cigno, là sotto, più piccolo, il Delfino, là c’è l’Aquila, poi Boote e là in fondo l’Ofiuco… Tutta quella distesa spumosa che sembra sporcare il cielo è la Via Lattea. Notevole, vero? L’hai mai notata, a Roma o a Milano?»

«Mai in vita mia. Sono sempre vissuta in luoghi molto luminosi di notte o con l’aria sporca. Conosco la Luna, per il resto c’è qualche puntino luminoso qua e là, stelle, galassie o pianeti, non ho mai indagato.»

«Quello infatti è Venere e laggiù c’è Giove. Una sera veniamo qui col binocolo e guardiamo meglio. Avvertiamo di essere molto piccoli, dopo, e per qualche minuto ci sentiamo contenti della nostra vita. Poi passa, come una sbronza.»

«Sì, come una sbronza!» Ride un po’ scomposta. «Troppe bollicine?»

«Il vino era davvero fresco. Dove lo tenevi, in qualche camera segreta piena di ghiaccio?»

«Questa capanna è colma di risorse. Lascia ancora qualche meraviglia per domani.»

«Vorrei fare una doccia e andare a dormire. Credi che l’acqua…» «Sarà ottima. Scendiamo, preparo quanto occorre.»

La discesa è ancora più problematica. Nonostante le scarpe da tennis, Andrea sembra una giraffa che cammina su tacchi immaginari. Caracolla a destra e a manca, si appoggia a me, mi tira avanti e indietro. Troppe bollicine…

Arriviamo alla casa senza inciampi. Porto delle lanterne dentro la sua stanza e una a far luce accanto alla doccia. Lei arriva con la biancheria. La stringe addosso, come se si vergognasse di mostrare mutandine e reggiseno. Come se non l’avessi mai vista in lingerie o a seni nudi. Quante volte mi sono intrufolato nei saloni dove le sarte e le stiliste preparano in fretta e furia le modelle per un’uscita dietro l’altra. C’è talmente tanto chiacchiericcio e confusione che posso restarmene indisturbato a scattare fotografie, quasi senza che se ne accorgano e senza

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malizia. Ogni scatto viene consegnato alle proprietarie e si decide quanto possa venire pubblicato per rappresentare i back stage della sfilata. Un book promozionale per le ragazze e per gli stilisti. Andrea è fra le ragazze che più amo fotografare. Non solo per questa mia insana infatuazione per lei, ma perché sa muoversi senza ostentare, plastica, fluida, mai uno scatto improvviso o una stonatura. Vestita o seminuda che sia. D’altro canto, io non ho mai abusato del mio ruolo, né flirtando con una ragazza del gruppo, né allungando le mani o l’obiettivo su una posa troppo torbida. Sono apprezzato anche per questo. «Usi un piede per fare leva sul rubinetto. Ti bagni, ti insaponi e poi ti sciacqui. Tutto semplice. Niente temperatura da regolare o vapori da smaltire. Quest’acqua è piovana e viene dal mare e al mare ritorna.» La lascio, poco convinta della praticità della cosa. Intanto sistemo le stoviglie, così possiamo andare subito a dormire. Dopo un po’ mi sento chiamare.

«Gordias…»

Mi avvicino circospetto e la vedo come un’ombra scura dietro la tenda debolmente illuminata dalla lanterna. «Gordias, mi gira la testa. Mi laveresti la schiena?»

«Appoggiati alla parete, vengo subito.»

Getto lo strofinaccio e mi libero delle scarpe. Oltrepasso la tenda e soffio sulla lanterna, portando un più comodo buio fra di noi. Mi basta la luce della luna che fa capolino dalle rocce, per vedere quanto basta. «Resta appoggiata e rilassati.»

Un piede sulla staffa del rubinetto, l’altro piantato accanto a lei, la sciacquo prima di insaponarla. La spugna è di quelle naturali, morbida e piena di doccia schiuma. Applico un massaggio dalle spalle ai polpacci. Morbido, lento, lasciando scorrerle addosso la schiuma allungata dall’acqua. Collo, spalle, schiena, glutei, cosce e polpacci, più volte, andata e ritorno. Alla fine, quando la sciacquo per bene, si lascia sfuggire un sospiro.

«Adesso intendo meglio cosa volevi dire con la storia della regina. Sei stato bravissimo e molto discreto. Ero un po’ titubante al pensiero di trovarmi sola con te. Credo di conoscerti bene, ma so anche che io ti piaccio oltre ogni immaginazione. È un po’ l’effetto che faccio a parecchi uomini e questo mi crea problemi a non finire. Ricevo continuamente offerte, avance, proposte di matrimonio, soldi per una nottata d’amore, viaggi attorno al mondo, di ogni. Tu sei diverso e ti apprezzo per questo. Grazie.»

Inaspettatamente, mi abbraccia e mi bacia, lasciandomi addosso l’impronta del suo corpo nudo e turgido. Poi scappa via, in uno svolazzo

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di asciugamani, e io resto con i piedi ammollo nella schiuma e il suo odore addosso. Scuoto la testa e m’infilo vestito sotto la doccia. Gocciolante, mi butto sul divano all’aperto e lascio che il mormorio del vento mi asciughi e porti i cattivi pensieri al largo, per poi sprofondarli nel mare che fu di Poseidone.

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Indice Prefazione .................................................................................... 3 Parte prima: Il sogno dell’impossibile. ....................................... 7 1 ................................................................................................... 9 2 ................................................................................................. 12 3 ................................................................................................. 14 4 ................................................................................................. 18 5 ................................................................................................. 21 6 ................................................................................................. 23 7 ................................................................................................. 27 8 ................................................................................................. 32 9 ................................................................................................. 37 10 ............................................................................................... 41 11 ............................................................................................... 43 12 ............................................................................................... 46 13 ............................................................................................... 48 14 ............................................................................................... 50 Parte seconda: Sull’isola ........................................................... 55 1 ................................................................................................. 57 2 ................................................................................................. 61 3 ................................................................................................. 64 4 ................................................................................................. 69 5 ................................................................................................. 70 6 ................................................................................................. 77 7 ................................................................................................. 80 8 ................................................................................................. 87 9 ................................................................................................. 92 10 ............................................................................................... 95 11 ............................................................................................... 98 12 ............................................................................................. 101
13 ............................................................................................. 104 14 ............................................................................................. 106 15 ............................................................................................. 110 16 ............................................................................................. 113 17 ............................................................................................. 117 Parte terza: Labyrintho ............................................................ 119 1 ............................................................................................... 121 2 ............................................................................................... 124 3 ............................................................................................... 128 4 ............................................................................................... 130 5 ............................................................................................... 132 6 ............................................................................................... 136 7 ............................................................................................... 140 8 ............................................................................................... 144 Parte quarta: Destini incrociati ................................................ 147 Postfazione dell’autore. ........................................................... 159

AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI

La 0111edizioni organizza la Quinta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2022)

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Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.

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