Signora Madre, Morena Sterpone

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MORENA STERPONE

SIGNORA MADRE

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ SIGNORA MADRE Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-498-4 Copertina: immagine di Chiara Tomassetti Prima edizione Ottobre 2021


Non esistono il buono né il cattivo, siamo tutti martiri e tutti boia. È l’umanità che è fatta così.



A te Prof, che con la tua delicata sapienza sei stato il primo ad insegnarmi a non giudicare mai un libro dalla copertina, una persona dal sentito dire. Ti voglio bene da qui fin dove ora ti trovi. Ovunque tu sia.



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PROLOGO

Un dolore lacerante spaccò il centro esatto del suo petto, così insopportabile che per un istante l’idea di morire le sembrò un’invitante possibilità, e mentre tentoni cercava di far entrare ossigeno nei polmoni, mille piccole stelle esplosero nel buio assoluto delle palpebre chiuse; urlò di dolore e paura, paura di una consapevolezza sempre più tangibile che qualcosa in lei stava cambiando, per sempre. Una nuova fitta le mozzò il respiro a metà di un urlo, trasformandolo in un rantolo strozzato e qualcosa dentro di sé esplose, rompendo i solidi argini di rabbia e dolore costruiti con fatica in tanto tempo, mandandoli in frantumi, come un potente getto di acqua limpida e pura che spezza la grigia crosta del ghiaccio. D’un tratto tutto cessò. Non esisteva più nulla. Quasi non sentiva più il suo corpo, né il suo stesso respiro, finché un ticchettio sommesso non si fece strada nel silenzio ovattato che le riempiva le orecchie, dicendole che non era morta. Capì che era il rumore dei battiti accelerati del suo cuore. Un momento, il suo cuore? Era davvero lui a urlarle: “Ruth, gioisci! Sei viva!”? Nonostante tutto, la gioia di quel momento fu spazzata via in un attimo; con gli occhi della memoria rivide Gwenda di fronte a sé che la guardava seria. «Sei sicura di voler procedere? Se mai il tuo cuore tornerà a battere, la trasformazione che subirai sarà immutabile e sconosciuta.» ***


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Tarybrook, anno 1879 L’uomo guardava con tenera tristezza il visetto addormentato della neonata. Sapeva che sotto quelle palpebre dalle lunghe ciglia da bambola, gli occhi della bambina erano identici ai suoi, plumbei come il mare in burrasca. La bimba si mosse nel sonno, arricciando le piccole labbra rosse in un sorriso adorabile. Mr. Bolton, intenerito, sorrise a sua volta. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che si era concesso un sorriso? Troppo per dirlo con precisione. Quegli ultimi anni erano stati una corsa folle e inarrestabile verso un baratro di disperazione; tutto era cominciato quando gli affari di Villa Fondi Aria avevano preso ad andar male a causa della grandissima siccità che aveva messo in ginocchio Tarybrook e tutte le cittadine limitrofe, danneggiando irrimediabilmente i raccolti e facendo perire gran parte del bestiame. La famiglia Bolton, indubbiamente la più importante della cittadella, benestante e ben voluta da tutti, possedeva la maggior parte dei terreni di granturco e orzo, oltre che un considerevole allevamento di animali da latte e da macello. Erano molti i compaesani a cui Edmund Bolton aveva concesso un lavoro nelle sue terre, ma quando cinque anni prima la fortuna gli aveva voltato le spalle e tutto era stato bruciato e tramortito dalla grande siccità, l’uomo fu costretto a licenziare molti dei suoi contadini e cercare di risollevare le cose con i pochi braccianti che ancora poteva permettersi di pagare. Purtroppo non servì a nulla, i debiti iniziarono a stringerlo per il bavero come un farfallino inamidato troppo stretto. Non molto più tardi, sua moglie Carolyn si ammalò gravemente. Questo fu per lui un durissimo colpo, poiché amava la sua sposa più di chiunque altro al mondo; il loro amore era stato incontenibile e passionale sin dal primo sguardo, quando, poco più che ragazzini, i loro occhi innocenti si erano incontrati in chiesa durante una funzione natalizia. Da allora non si erano più divisi e nulla aveva mai incrinato il loro amore, nemmeno la notizia, dopo essersi sposati, che non avrebbero potuto concepire figli. In seguito era arrivata la malattia di Carolyn, un male che era riuscita a sconfiggere dopo anni di angoscia, ma che


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aveva assorbito tutta la forza e l’energia della donna, lasciandola per sempre fragile; Edmund si era preso cura di lei con ancor più fervore, come una cupola di cristallo che protegge dal vento freddo le piantine più delicate del semenzaio. E proprio in quei giorni di ripresa, un miracolo si era affacciato nelle loro vite, quando a Carolyn comparve una perfetta rotondità nella pancia piatta: finalmente il bocciolo del loro amore stava germogliando contro ogni previsione. Purtroppo la mala sorte non abbandonò Villa Fondi Aria, e il medico di famiglia fu categorico: la donna era troppo debole per affrontare la gestazione. Edmund cercò con ogni mezzo di convincere la sua amata a interrompere la gravidanza ma Carolyn era una donna coraggiosa e risoluta, l’aveva amata da subito anche per questo, e non ci fu verso di farle cambiare idea, avrebbe messo al mondo quel bambino a rischio della sua stessa vita. E così fu. Il corpo bellissimo e ancora tiepido di sua moglie ora giaceva sotto un cumulo di terra, poco distante dalla villa, e a lui non restava altro che una promessa a cui non avrebbe voluto tener fede: quella di risposarsi e dare una mamma alla bambina appena nata. Era stato costretto a dare la sua parola a una Carolyn in fin di vita, per congedarla dignitosamente e con serenità da questo mondo. La neonata dalla pelle vellutata e la testolina dai già folti capelli scuri, che avrebbe tanto voluto odiare per essere stata la causa del suo dolore, e che invece aveva amato incondizionatamente dal primo istante in cui era venuta al mondo, si era appena svegliata e lo guardava con una scintilla di comprensione negli occhi grigi e profondi. Sua figlia Ruth. Mentre ripensava alla moglie, sfinita e felice che stringeva tra le mani quel piccolo fagottino prima di spirare e lasciarlo per sempre, una lacrima agrodolce gli solcò il viso. «Mr. Bolton, ci sono visite per voi.» L’uomo si asciugò quel rivolo umido dalla guancia, senza voltarsi in direzione della domestica, poi schiarendosi la voce e ricomponendosi annunciò guardando finalmente la donna: «Bene, tata Katy. Conduci pure l’ospite nel mio studio. Sarò lì tra un momento.»


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La donna chinò appena il capo e sparì oltre l’uscio. Edmund si versò un goccio di scotch ambrato in un bicchierino che vuotò tutto d’un fiato, e si pulì le labbra con il dorso della mano, assaporando quel gusto deciso che gli infuse un po’ del coraggio di cui necessitava per affrontare una nuova orda di galantuomini corsi a porgere le loro condoglianze. Guardò sua figlia abbassando piano il velo della culla a baldacchino. «Dormi bene, uccellino» sussurrò facendole l’occhiolino, e uscì dalla stanza.


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CAPITOLO 1

Tarybrook, 1889 Il cielo limpido di un azzurro abbagliante preannunciava una splendida giornata. L’aria pungente del primo mattino gonfiava le tende delle finestre già spalancate di Villa Fondi Aria, e faceva luccicare al sole i vetri di quelle ancora chiuse, lucidi e puliti, quasi a dimostrare che i domestici di casa non erano certo dei fannulloni. La villa si ergeva maestosa e imponente sulla collina che dominava Tarybrook, con i suoi tre piani a vista e un seminterrato, era circondata da un immenso giardino e proprio sul lato est di quello, una donna corpulenta, fasciata in un candido grembiule bianco, stava china su un’aiuola, intenta a raccogliere qualcosa. «Buongiorno, Rosaline!» A sentirsi chiamare, si voltò ma non vide nessuno. «Quassù!» Alzò il capo e scorse una figuretta che agitava il braccio in segno di saluto dalla finestra più alta dell’edificio. «Signorina Ruth, per l’amor del cielo, siete già sveglia a quest’ora?» gridò di rimando scuotendo il capo con fare materno, ma la sua risposta si perse nell’aria frizzante perché la bambina era già corsa via dalla finestra, e dopo qualche minuto la raggiunse. «Il nuovo cuscino di lana che ieri ho imbottito personalmente non è di vostro gradimento per buttarvi giù dal letto a quest’ora, signorina?» fece la donna con le mani sui fianchi in una posa fintamente corrucciata. «Oh, no. No. Il cuscino è perfetto. Morbidissimo! Solo non potevo restarmene al chiuso in una giornata tanto bella!» La vecchia cuoca sorrise all’innocente ingenuità di quella risposta, la piccola Ruth non aveva colto la sua battuta e credeva di averla offesa.


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«Venite qui, mia cara» la invitò, tornando a volgersi verso l’aiuola. Ruth non se lo fece ripetere, adorava starsene in giro per il brolo a cogliere ortaggi ed erbette con la cuoca della villa; le aveva insegnato sin da piccola a distinguere le diverse spezie in base alle caratteristiche e agli odori di ogni piantina, ormai era diventata tanto ferrata in materia che sapeva dov’erano il basilico e il coriandolo, l’alloro e la maggiorana solo dando un’annusatina. Insieme portarono in cucina un fresco e profumato bottino di menta e rosmarino, più un ciuffo delle più belle foglie di salvia. Rosaline si mise subito all’opera, armata di uova, acqua e farina, intenzionata a preparare una palla di pasta fresca, e intanto ascoltava la vocina allegra della bambina che le stava spiegando minuziosamente le regole di un gioco inventato da lei e dal signor Thomas, il giardiniere. Un’altra domestica, una donna minuta con corti capelli bianchi, entrò in quel momento; le braccia cariche di buste marrone piene di cibarie. «Ti do una mano io, tata Katy!» cinguettò Ruth, precipitandosi ad afferrare qualcuno dei sacchetti. «Benedetta ragazzina, se non ci foste bisognerebbe inventarvi!» declamò la tata, attraversando la cucina e aprendo con un piede la porta che dava alla dispensa. «Rosaline, sai di chi è la carrozza ferma fuori l’ingresso principale?» chiese la donna mentre riponeva barattoli e scatole sugli scaffali. La cuoca che stava impastando energicamente il panetto giallo si fermò, perplessa. «Non ne ho idea. Saranno ospiti appena arrivati, perché prima non c’era nessuno» rispose sicura, riprendendo a manipolare la pasta. «Sarà meglio abbondare con uova e farina, nel caso in cui dovessero fermarsi per il pranzo!» aggiunse afferrando il mattarello. «A giudicare dalle fattezze del calesse, si direbbe qualcuno di molto ricco, non c’è dubbio» riprese la tata. Ruth corse fuori dalla veranda ma da lì non riusciva a scorgere quasi nulla. Non dovette aspettare molto per soddisfare la sua curiosità, perché più tardi scoprì che, in sala da pranzo, al grande tavolino che di solito condivideva con il padre, erano sedute altre due persone: un


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uomo molto anziano dall’aria severa, e una bella dama che la guardava sorridendo. «Vieni avanti, uccellino. Questi sono Mr. Phil Damond, mio associato in un grande affare, e sua figlia, Miss Eliza. Signori, questa è mia figlia Ruth» presenziò suo padre, sollevando le sopracciglia in direzione della bambina per ricordarle le buone maniere. Ruth balbettò una scusa e fece una perfetta riverenza in direzione degli ospiti. «Come stavamo dicendo, Mr. Damond, l’affare che abbiamo concluso si è rivelato vantaggioso per entrambi. Questo mi porta a pensare che potremmo rilevare anche altri terreni nella zona di Ducks; dai rilievi eseguiti ci sono buone speranze di poter aprire altre miniere in quel territorio.» Mentre suo padre e Mr. Damond continuavano a parlare di affari e cose noiose per una bambina di dieci anni, Ruth rimestava svogliatamente la purea di patate nel piatto, osservando la bella dama che ogni tanto le sorrideva. Lei cercava di ricambiare ma per qualche strana ragione non si sentiva per niente rassicurata da quei gentili sorrisi che, invece di metterla a proprio agio con la sconosciuta, le facevano rizzare i peli sulle braccia; le sembrava che nonostante la donna sollevasse spesso gli angoli delle labbra carnose nella sua direzione, i suoi occhi restassero freddi e impenetrabili. «Non mangi, bambina?» La voce improvvisa della donna la riscosse. Il suo tono era melenso, e nonostante fosse stata una domanda Ruth sollevò il cucchiaio e riprese a mangiare come se le fosse stato impartito un ordine preciso. Miss Eliza annuì soddisfatta e continuò a fissarla con occhi gelidi e il sorriso ancora stampato sulle labbra. Non c’erano dubbi, quella donna la intimoriva. Dopo pranzo la conversazione degli uomini si spostò in salotto, e Ruth fu raccomandata da suo padre di tenere buona compagnia a Miss Eliza e di mostrarle il roseto. Arrivate in giardino, senza proferire parola si fermarono nei pressi della fontana. «Sono molto accaldata, sediamoci su quella panchina» fece la dama, avviandosi senza aspettare Ruth, che la seguì a testa bassa. «Bene, raccontami qualcosa della tua famiglia, bambina.»


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Ruth alzò lo sguardo e incontrò gli occhi freddi della donna. Non le piaceva essere chiamata bambina, ma si sforzò di ignorare le sue sensazioni negative e si sedette accanto a lei. «La mia famiglia, dite?» Miss Eliza scoppiò in una risata argentina. «Certo, è quello che ti ho chiesto. Da quanto tempo è morta tua madre?» chiese a bruciapelo, gelando il sangue nelle vene di Ruth. La domanda era stata talmente inaspettata e scioccante che rispose senza quasi rendersene conto: «Dieci anni fa. Qu… quando sono nata, Miss Eliza.» La donna alzò un sopracciglio perfetto e disse sibilando: «Quando ti rivolgi a me devi chiamarmi signora, intesi?» Ruth annuì. «Sì, signora.» Miss Eliza parve soddisfatta. «Comunque, come mai tuo padre non ha mai pensato di risposarsi?» La bambina era sempre più disorientata da quella conversazione: «Io… non lo so.» La dama sbuffò interdetta, poi volse il viso al sole e chiuse gli occhi. Sembrava che la conversazione fosse finita lì; erano passati pochi minuti quando ricominciò a parlare piano, con quel suo tono mellifluo: «Sai, a tuo padre non dispiaccio. Potrei diventare la tua matrigna un giorno…» detto ciò si voltò a guardare la reazione della bambina, che dal canto suo era rimasta immobile. «Io non amo i ragazzini. Specialmente quelli che s’intromettono in cose che non li riguardano. Tu sei una brava bambina però, non è vero?» Ruth non rispose e la donna continuò: «Perciò, se non darai fastidio e te ne starai al tuo posto, potremmo andare d’accordo!» concluse allegra. Poi spostò lo sguardo appena oltre la spalla di Ruth, e il suo sorriso si addolcì ulteriormente. «Qui!» gridò. La ragazzina si voltò e scorse suo padre e Mr. Damond in lontananza andare verso di loro. Appena furono vicini, Miss Eliza le accarezzò una guancia. «Ruth è davvero una signorina incantevole, Mr. Bolton, non mi sorprende che l’adoriate tanto!» fece con espressione tanto sincera che Ruth stessa fu tentata di crederle. Quella fu la prima di una lunga serie di visite. Passarono così alcuni mesi e arrivò il giorno in cui tata Katy fu mandata a svegliare la signorina Ruth per aiutarla a vestirsi con i suoi abiti migliori. In cuor


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suo la bambina sapeva già cosa aspettarsi, perciò, per quanto si sforzasse, non riusciva a tenere a bada le lacrime. «Signorina Ruth, vi prego, non fatemi preoccupare. Vi sentite male? Se è così, chiederò a vostro padre di avvertire il medico» disse la tata preoccupata, asciugandole il viso. Le parole che Miss Eliza le aveva ripetuto in quelle ultime settimane nei loro incontri solitari, le risuonarono distintamente nella testa: «Io e tuo padre presto convoleremo a nozze, sta solo aspettando il momento migliore per dirtelo. Non dimenticare, bambina, se qualcosa dovesse andare storto, saprò con chi prendermela.» Il solo ricordo di quelle parole le impose di trattenere l’ennesimo singhiozzo e di asciugare velocemente le lacrime. Doveva accettare che suo padre stesse per sposare una persona tanto malvagia, ma che riusciva a far credere a tutti di essere buona e gentile. Punto. Aveva troppa paura di quella donna per contraddirla, ma ancor di più era la paura di ferire suo padre andando contro la sua scelta dopo tutto quello che aveva sempre fatto per lei. «Sto bene tata Katy, era solo un crampo alla pancia» disse cercando di essere convincente; si lasciò vestire e una volta pronta entrò nel salone dove Mr. Bolton, con una mano di Miss Eliza tra le sue, l’aspettava sorridendole radioso.


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CAPITOLO 2

Undici anni dopo Il rumore di un sassolino contro il vetro fece sobbalzare la giovane donna che, nonostante l’ora tarda della notte, allungata nel suo letto non dormiva. Non stava aspettando altro che quel segnale. Si affacciò e scorse una sagoma scura e familiare. «Ruth, mi vedi?» bisbigliò l’ombra in giardino. Lei rise piano e poi sussurrò: «Certo! Aspetta un momento.» La stanza da letto era rischiarata dalle fiamme del camino, per cui non aveva bisogno di accendere un lume per orientarsi, meno luce e rumore avrebbe fatto, e più alte erano le possibilità di farla franca senza farsi scoprire. Si chiuse piano la porta alle spalle e scese i tre piani di scale in punta di piedi, dirigendosi verso il portone d’ingresso, ma poi cambiò idea e scese di un altro piano, fino al seminterrato che portava in cucina e all’ingresso di servizio. Da lì sarebbe stato più sicuro. Quando finalmente fu fuori, respirò a fondo l’aria della sera, settembrina e fresca. Non ebbe bisogno di guardarsi attorno perché lo scorse subito. «Jostein!» Questi, sentendosi chiamare, si voltò e corse ad abbracciarla. «Che sconsiderata, uscire a braccia nude con questo freddo!» disse sfilandosi il mantello e posandoglielo sulle spalle. Ruth sospirò tristemente. «Cosa c’è, amore mio?» chiese lui sfiorandole il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. Lei sorrise malinconica: «Nulla. Adoro quando fai questi piccoli gesti, ultimamente ti sento così… distante…» Jostein restò spiazzato dalla sincerità di quelle parole, si fermò per accarezzarle il bel volto baciato dalla luce lunare. «Oh Ruth, non devi pensare neanche per un istante che io possa vivere senza di te.»


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Ruth sorrise sollevata. «Sì, me lo ripete di continuo anche Margaret.» Il viso di Jostein si adombrò. «Parli con Margaret di me?» chiese irritato. Ruth si fermò per scrutarlo bene. «Certo Jos, è la mia migliore amica, lo sai; è normale che parliamo anche di queste cose!» esclamò sconcertata ma decisa. Odiava discutere per cose tanto banali. Il viso di Jostein si rischiarò alla stessa velocità di come si era oscurato. «Hai ragione, sono cose tra donne. Perdonami se sono stato sgarbato, è solo che voglio proteggerti. Sai cosa accadrebbe se la tua matrigna venisse a sapere di noi, vero? La figlia del signorotto del paese innamorata di un bracciante. Quale onta! Quale disonore per la magnifica Mrs. Eliza Bolton!» fece imitando una pomposa voce dal timbro ufficiale che la fece ridere a crepapelle. Jostein le prese una mano e se la portò alle labbra, baciandole il piccolo palmo. Il cuoricino d’argento che lui le aveva regalato tempo prima brillò ai raggi lunari, e Jostein lo sfiorò con affetto; lo aveva acquistato con qualche sacrificio e Ruth, da allora, lo portava al polso infilato in un semplice cordoncino. Frequentava di nascosto Jostein da oltre un anno, ma negli ultimi due mesi le era sembrato distratto; i loro incontri furtivi erano tutto ciò che potevano permettersi, ma le era parso che negli ultimi tempi il ragazzo avesse sempre la testa altrove. Quella era la prima sera in cui riusciva finalmente a tirare un sospiro di sollievo. “Jostein mi ama, sono io che lavoro troppo di fantasia. In fondo è normale se a volte è pensieroso, con tutti i problemi che ha a casa, il lavoro estenuante per mettere da parte qualcosa e aiutare i suoi genitori a crescere i suoi fratelli. Oh, se solo potessimo uscire allo scoperto! Ma ahimè, Mrs. Eliza farebbe di tutto per dividerci”. Allontanò i cattivi pensieri, agitando una mano davanti al viso, come a scacciare un moscone fastidioso, e abbracciata al suo amato, si diresse con lui nel lato ovest del giardino, il suo preferito, quello più selvatico e incolto, dove spesso si rifugiavano e nascosti dalle fronde si allungavano sull’erba a guardare le stelle, scambiandosi baci e promesse d’amore, parlando di mille cose e sperando che l’alba, e con essa il momento di dirsi addio, arrivasse il più tardi possibile.


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La mattina successiva, Ruth faticava a tenere gli occhi aperti durante la colazione. Diede il buongiorno con un bacio a suo padre e fece una riverenza verso Mrs. Eliza, che non diede segno di averla notata, poi sedette a tavola trattenendo uno sbadiglio, dispiegò il tovagliolo e prese un sorso di succo dal suo bicchiere. Solo allora la donna parve accorgersi della sua presenza. «Bambina, non sai che è buona cortesia pulirsi la bocca sia prima sia dopo aver bevuto o mangiato qualcosa?» disse Mrs. Eliza pazientemente, come se stesse spiegando qualcosa di elementare a una scolaretta indisciplinata. «Sì, signora» rispose Ruth prendendo il fazzoletto e facendo quanto le era stato detto. «Oggi, Edmund caro, farò delle commissioni in città per comprare tutto ciò che ci occorre per la festa di sabato sera» continuò la donna, staccando lentamente lo sguardo da Ruth. L’uomo alzò appena gli occhi dal fascicolo di documenti che stava esaminando mentre beveva la sua tazza di caffè. «Un’altra festa?» chiese disinteressato. «Ma certo, caro. Hai forse dimenticato che avevamo deciso di organizzare la festa dell’Equinozio qui da noi? Ci sono ancora molti dettagli da definire, inviti da mandare, il menù da scegliere. Come al solito dovrò fare tutto da sola» sentenziò risentita. Edmund posò la tazza vuota sul tavolo, si alzò con il fascicolo sottobraccio e si diresse verso sua moglie. «E come al solito sarà una festa meravigliosa di cui tutti nostri amici parleranno per un pezzo» disse gentile, baciando teneramente la donna sulla fronte. «Ti prometto che finirò presto di lavorare e quando tornerai dalle tue commissioni, ti aiuterò con la lista degli invitati e il menù» la rassicurò. Passò accanto a sua figlia baciando sulla fronte anche lei. «Ci vediamo più tardi, uccellino!» poi uscì dalla sala da pranzo, lasciando le due donne da sole. Mrs. Eliza spezzò un po’ di pane con le mani, e intinse il coltello nella confettura. «Allora, bambina. Poco fa Romuald mi ha rivelato una notizia assai curiosa. Dice di averti vista rientrare dalla porta di servizio stamane all’alba.» Ruth impallidì.


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“Maledetta porta di servizio! Maledetto capomastro!”. Cercò di mandare giù il boccone di scones che rischiava di soffocarla, aiutandosi con un sorso di latte freddo e poi, cercando di ostentare una sicurezza che non aveva, sorrise. «Sì, sono uscita solo una manciata di minuti a camminare in giardino, mi sono svegliata di soprassalto da un incubo e avevo bisogno di camminare un po’ all’aria aperta» rispose, sperando di essere stata convincente. L’espressione di Mrs. Eliza era imperscrutabile, forse aveva creduto a quella scusa. O forse il capomastro aveva visto lei e Jostein assieme e aveva già messo la donna al corrente di tutto. Questo pensiero le fece venire un senso di vertigine ma s’impose di restare calma. «Non mi piace che tu te ne vada in giro da sola a un’ora tanto insolita, potrebbe accaderti qualunque cosa e nessuno sarebbe nei paraggi!» esclamò la donna. Ruth si sbagliava, o Mrs. Eliza aveva calcato un po’ troppo sulla parola sola? «Non facevo nulla di male» si giustificò. La donna si alzò da tavola mettendo fine al dibattito. «Non discutere, bambina, sai che…» «E poi cosa potrebbe accadermi di tanto brutto?» «Ruth Bolton, te l’ho detto più di una volta: detesto che mi s’interrompa» sibilò furente. Ruth chinò la testa. «Vai in camera tua. Non ne uscirai sino a quando io non lo riterrò opportuno. E visto che non ti preoccupi di essere tanto sfacciata, per buona misura salterai il pranzo e anche la cena, e domani vedremo se la tua arroganza sarà sparita. Altrimenti dovrò rammendarti io stessa le buone maniere.» Ruth si portò istintivamente le braccia dietro la schiena, come uno scudo. La sua schiena conosceva sin troppo bene i metodi educativi di Mrs. Eliza e del suo frustino. Mrs. Eliza si voltò. «Riflettici, bambina.» Con questo si diresse alla porta, lasciando Ruth a stringere i pugni fino a imprimersi sui palmi delle perfette mezzelune di rabbia e sulle labbra le parole che più odiava al mondo: «Sì, signora.» Molte ore dopo, qualcuno bussò leggermente alla porta. Ruth, distesa sul letto con gli occhi gonfi e arrossati, si alzò a sedere: «Avanti» l’uscio si aprì e ne entrò furtiva tata Katy, con un fagotto bianco tra le mani. Si richiuse la porta alle spalle e fece girare la


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chiave nella serratura. «Signorina, non potevo permettere che rimaneste senza cibo così a lungo! Ecco la vostra cena!» srotolò il fagotto da cui ne uscì una piccola pagnotta di pane, un pezzo di formaggio stagionato e un salame, oltre che a una fiaschetta con dell’acqua fresca. Dalla tasca del grembiule tirò fuori un coltellino con cui iniziò ad affettare pane e salame. Ruth circondò la donna in un abbraccio riconoscente. «Grazie, tata. Sei così buona con me!» esclamò di nuovo sull’orlo delle lacrime. La tata posò tutto sul letto e prese il viso di Ruth tra le sue mani. «Voi siete una donna meravigliosa. Mi fa male vedervi vittima delle tirannie dissennate di Mrs. Eliza, non lo meritate. Perché non ne parlate una volta per tutte con vostro padre?» Ruth si sciolse gentilmente dalla carezza della tata, e senza rispondere prese a sbocconcellare un po’ di formaggio. La donna restò a tenerle compagnia per un po’, dopodiché riavvolse i resti della cena nel lenzuolo e se ne andò. Quella notte Ruth non chiuse occhio, restò appostata accanto alla finestra finché il rumore sordo di un sassolino non si abbatté sul vetro. Con il cuore scalpitante aprì velocemente la finestra e quando scorse Jostein nell’oscurità, un alone di gioia l’avvolse nonostante tutto. «Jos, devi andare via!» sussurrò tristemente. Jostein sembrò interdetto ma non rispose, restò lì a fissare a distanza il suo volto. «Mrs. Eliza mi ha di nuovo messa in punizione ma questa volta credo che abbia scoperto qualcosa di noi. Non possiamo correre rischi, dobbiamo stare lontani. Almeno per un po’» aggiunse triste. Jostein la guardò a lungo, poi lentamente annuì, le mandò un bacio silenzioso e sparì di corsa nel buio della notte. Ruth tornò al suo letto più confusa che mai; era vero, era stata lei a dirgli di andare via ma si aspettava che opponesse una qualche resistenza, che le dicesse una parola di conforto o inveisse contro Mrs. Eliza, invece era sembrato felice di fuggire via da lei. Perché le era sembrato proprio che fuggisse. Forse era egoista a pensare questo, ma in quel momento non le importava. Così, cullata dai pensieri tristi che l’avevano abbandonata solo la sera precedente e che ora tornavano


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più pressanti che mai, si addormentò sul cuscino intriso di lacrime e interrogativi dolenti. Il sabato mattina la casa ferveva di preparativi, la servitù sistemava splendide decorazioni autunnali con sapiente metodica, sotto l’attenta guida di un’infervorata Mrs. Eliza; Ruth era in giardino ad aiutare Margaret ad attaccare alcuni pendenti a goccia ai rami più bassi dei salici piangenti. Le due ragazze erano amiche sin da bambine, poiché Margaret era figlia di una delle lavandaie della villa e da quando anche lei aveva preso di tanto in tanto a lavorare con sua madre, riuscivano a vedersi piuttosto spesso; avevano all’incirca la stessa età, ma la ragazza, a differenza di Ruth che era alta e slanciata con lunghi capelli scuri, era minuta e formosa e con una criniera di indomiti riccioli biondi. «Questo è scheggiato» disse rigirandosi tra le mani un ninnolo con la punta della goccia spezzata. «Pensi che se Mrs. Eliza se ne accorgesse farebbe una scenata delle sue?» chiese Margaret con un lampo di preoccupazione negli occhi azzurri. Ruth si finse pensierosa. «Mmh… probabilmente sì!» risero e fecero sparire l’oggettino in uno dei grandi sacchi d’immondizia sistemati lì vicino. «Allora, dimmi, come vanno le cose tra te e Jostein?» chiese Margaret, sorridendo mentre esaminava con attenzione un’altra goccia. «Non ne voglio parlare» fece secca Ruth, e la ragazza alzò lo sguardo sorpresa. Posò il cristallo sull’erba e si avvicinò all’amica. «Mi dispiace Ruthy, non volevo essere inopportuna.» Ruth sorrise debolmente: «Perdonami, è solo che… credo non mi ami più.» Margaret la strinse con forza. «Non dire così» fece imperiosa. «Sappiamo entrambe che Jos ti ama. Sarà solo un periodo, magari lavora troppo, o forse avrà altri pensieri.» Ruth sospirò, voleva tanto poter credere senza riserve alle parole della sua amica, ma in cuor suo si diceva che qualcosa non andava. «Sarà come dici tu» rispose affranta. Restarono per un po’ in


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silenzio a guardare i riflessi del sole danzare nelle gocce di cristallo tra i rami. «Dai, ti accompagno in camera tua a prepararti, voglio vedere cosa indosserai questa sera. Sono sicura che sarai stupenda!» fece Margaret, strappando un sorriso a Ruth, e insieme si avviarono verso l’ingresso della villa. «Il blu è il tuo colore, ti dona moltissimo!» esclamò Margaret entusiasta, stringendo il corsetto dell’abito dell’amica. «Questo vestito era di mia madre» fece Ruth sfiorando il tessuto setoso con affetto. «Mio padre non fa che raccontarmi di quando ha avuto il permesso ufficiale da nonno Arthur per poter uscire con lei. L’aspettava agitato ai piedi della scalinata, quando la vide scendere con quest’abito addosso» passò delicatamente le dita sul merletto dorato della vita. «Riesci a immaginare la scena, Marge?» chiese all’amica con aria sognante. «Ruth, non per infierire, ma secondo il mio modesto parere è proprio per questo che le cose con Jostein non vanno molto bene; un amore come quello che legava i tuoi genitori è cosa rara. Tu, ragazza, sei troppo romantica, un’inguaribile sognatrice e forse pretendi troppo da lui.» Ruth si sentì gelare. Era abituata alla schiettezza di Margaret, ma a volte la sua amica era davvero indelicata, in fondo non le aveva detto solo poco prima che non aveva voglia di affrontare il discorso? Respirò a fondo per mantenere la calma, come spesso le capitava di fare con Mrs. Eliza, e si voltò ad aprire il cofanetto portagioie. Ne estrasse una spilla dorata con grandi pietre blu, ma non riuscì ad appuntarla al vestito, tanto le tremavano le mani. Margaret, sedendosi sul morbido letto dell’amica, continuò ignara della tempesta che le aveva scatenato dentro: «Magari ultimamente gli stai troppo addosso.» Ruth non ce la fece più a contenere il suo sdegno, si voltò a guardarla furibonda. «Tu credi davvero che gli sto con il fiato sul collo, Margaret? Lo sai che ci vediamo pochissimo, quindi anche se volessi non potrei stargli addosso. Non per difendermi ma inizialmente veniva ogni sera e quando non potevo scendere da lui poco importava, se ne restava appostato sotto la mia finestra e parlavamo di mille cose sino all’alba. Ora viene sempre più di rado,


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appena trova il modo di fuggire scappa via, ma se provo a parlargli nega con forza ogni mio dubbio. Non vuole che usciamo allo scoperto perché Mrs. Eliza non consentirebbe mai la nostra unione, e non vuole neanche che ne parli con mio padre perché ha paura di mettermi in difficoltà» si fermò a riprendere fiato, rossa in volto. «In difficoltà di cosa, poi? A me sembra un mucchio di sciocchezze! Io lo amo, farei qualunque cosa per stare con lui, cerco di aiutarlo come posso, con i miei personali risparmi e trafugando cibo dalle dispense e, tanto perché tu lo sappia, non gli ho mai dato addosso, per tanto tempo mi sono tenuta dentro il peso e il dolore di ogni incertezza; ora non ce la faccio più. E forse sarò anche una sognatrice, ma non sono un’illusa. Per questo non riesco più a far finta di niente» la voce le si spezzò e grosse lacrime iniziarono a scendere contro la sua volontà. Margaret capì di aver esagerato e si alzò dal letto, stringendola in un abbraccio affettuoso. «Oh, Ruthy, mi dispiace. Sono una iena. Certo che non è colpa tua. Dai, vieni qui.» Prese tra le mani la spilla blu e oro e l’appuntò al corpetto dell’amica con un sorriso. «Questa spilla è davvero magnifica! Anche questa è di tua madre?» aspettò che Ruth si calmasse. Ruth si asciugò le guance e fece una smorfia. «No, me l’hanno regalata mio padre e Mrs. Eliza per la maggiore età.» Restarono in silenzio per un momento, poi Margaret le si avvicinò, scrutandola bene in volto, e assunse un’aria preoccupata. «Stai indossando una spilla che ti ha regalato Mrs. Eliza? Oh, Ruthy, devi essere davvero sconvolta!» *** Mrs. Eliza, in una nuvola rosso corallo di tulle e crinoline, stringeva con forza il ventaglio coordinato; agitata continuava a camminare su e giù per l’ingresso, fermando l’ennesimo domestico: «Per l’amor del cielo, qualcuno sa dirmi dove diavolo si è cacciato mio marito?» Il pover’uomo si guardò attorno, scuotendo impercettibilmente il capo ed esibendo un veloce inchino corse in salotto, al riparo dalla furia della sua impaziente padrona. Qualche istante dopo, la voce


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profonda e autorevole del padrone di casa risuonò nella stanza. «Mi dispiace Mr. Grace ma credo abbiate frainteso lo scopo di questa festa.» Mr. Bolton era appena entrato dal portone principale, seguito da un giovane tanto elegante quanto gracile e impacciato. «Ma ve… veramente Mr. Bolton, l’invito era piuttosto chiaro su questo punto» balbettava il ragazzo, stringendo la tesa del suo cilindro come fosse un’ancora di salvezza. Non appena Mrs. Eliza udì le parole del giovane, andò subito incontro a suo marito con un sorriso tirato. «Caro, ti stavo cercando» disse con tono adulatorio, baciandolo lievemente sulla guancia rasa. «Salve, Mr. Grace, sono felice di avervi nella nostra umile dimora. Prego, vogliate accomodarvi da questa parte» disse rivolta all’ospite, spingendolo gentilmente verso il salotto e coprendo con il suono melodioso della sua voce le deboli proteste del ragazzo. Quando furono soli, Mr. Bolton guardò serio sua moglie negli occhi. «Allora, c’è forse qualcosa di cui dovrei essere messo al corrente? Qualcosa che riguarda il futuro di mia figlia, per esempio?» pronunciò ogni parola con durezza ma Mrs. Eliza non si lasciò intimorire, riusciva sempre ad avere la meglio su quell’uomo tanto autorevole con tutti; non con lei, che sapeva farlo sciogliere come ghiaccio al sole soltanto con un sorriso. «Vedi caro, credo che Ruth abbia già passato da un po’ l’età giusta per il matrimonio…» Mr. Edmund alzò un sopracciglio, scettico. «C’è un’età giusta per potersi sposare, mia cara?» Mrs. Eliza sospirò pazientemente e gli carezzò il viso, lo sguardo comprensivo: «So che è la tua unica figlia e che la ami tantissimo, ma non puoi continuare a considerarla una bambina, Edmund. Ruth ha ventun anni e molte delle sue coetanee sono già convolate a nozze da tempo. Se continua così, resterà zitella!» fece, sottolineando l’ultima parola con stizza. «Devi pensare a lei, non a te stesso e alle tue insulse gelosie genitoriali. Vuoi davvero che la tua unica figliola resti sola? Noi non ci saremo per sempre.» Mr. Bolton parve spiazzato da quel ragionamento. Si passò una mano sulla fronte come a volersi schiarire le idee.


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“Forse sono davvero un padre egoista” pensò mesto; prese a camminare a lunghe falcate per tutta la lunghezza del corridoio. «Se avessi trovato il tempo che mi avevi promesso per stilare gli inviti, avremmo discusso la cosa insieme. Ma al solito ho dovuto fare tutto da sola, e ho pensato di mettere in ogni invito una postilla in cui specificavo chiaramente che Miss Bolton, essendo in età da marito, avrebbe gradito la presenza di pretendenti. Le ho soltanto fatto un favore, credimi» rincarò Mrs. Eliza convinta. Mr. Bolton si fermò e accennò un sorriso alla moglie; dopotutto aveva ragione, Ruth era cresciuta e lui doveva accettare il fatto che la sua bambina era divenuta ormai una donna e che presto, qualcun altro che non era lui, se ne sarebbe preso cura. «Bene. Allora non indugiamo oltre, non c’è altra ragione per restare qui a discutere. Andiamo in giardino a dare il benvenuto ai nostri ospiti, cara.» Mrs. Eliza afferrò soddisfatta il braccio del marito e insieme uscirono fuori verso il nutrito capannello di ospiti, formato soprattutto da baldi giovani, che si era radunato ai piedi della scalinata esterna, e nessuno notò il suo ghigno gongolante. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

Prologo .......................................................................................... 7 Capitolo 1 .................................................................................... 11 Capitolo 2 .................................................................................... 16 Capitolo 3 .................................................................................... 31 Capitolo 4 .................................................................................... 43 Capitolo 5 .................................................................................... 58 Capitolo 6 .................................................................................... 67 Capitolo 7 .................................................................................... 76 Capitolo 8 .................................................................................... 82 Capitolo 9 .................................................................................... 91 Capitolo 10 ................................................................................ 100 Epilogo ...................................................................................... 111 Ringraziamenti .......................................................................... 113 Indice ........................................................................................ 115



AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quarta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2022) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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