Sarò il tuo peggiore incubo, Silvia Di Giovine

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SILVIA DI GIOVINE

SARÒ IL TUO PEGGIORE INCUBO

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ SARÒ IL TUO PEGGIORE INCUBO Copyright © 2019 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-347-5 Copertina: immagine proposta dall’Autore


A mia madre, preziosa presenza nella mia vita.

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CAPITOLO 1

«Sophie!» «Ciao amore…» Fabio le si avvicinò. «Immaginavo che fossi qui» si sedette accanto a lei in silenzio, in attesa. «Non sarei potuta essere in nessun altro posto oggi.» Lui annuì. «Tua madre non può che essere fiera di te!» Sophie si sporse leggermente in avanti. Con la mano accarezzava quella vecchia foto che ritraeva la sua giovane mamma, che finalmente avrebbe avuto giustizia. «Ti sembrerà strano» disse, senza spostare lo sguardo dalla lapide di Beatrice «mi sembrava più facile accettare la sua scomparsa per colpa di un incidente, piuttosto che per un crudele e inutile assassinio… non riesco ad accettarlo.» Gli occhi le si riempirono di lacrime e Fabio si limitò a stringerla a sé. Sophie si alzò, si asciugò gli occhi e mandò un bacio sulla tomba di sua madre. Poi fece scivolare la sua mano in quella di Fabio, alla ricerca di conforto. Dopo alcuni istanti disse: «Andiamo, oggi sarà una giornata dura…» Fabio non poteva che comprenderla, quella triste storia non era finita con l’arresto del folle, c’era da riportare indietro il pensiero, c’erano da affrontare i terribili ricordi, la necessità di non dimenticare e il rischio di ricordare per sempre. C’era la rabbia e il desiderio di giustizia, che talvolta tra i pensieri più neri si confondevano con il bisogno di vendetta. Fabio le era stato accanto sempre, sulla sua pelle aveva vissuto la violenza di quell’uomo e l’ultimo dei suoi desideri era di trovarsi faccia a faccia con lui. Era un mostro, un individuo rabbioso che aveva generato paura e, coltivando crudeltà, aveva fatto della sua vita un baluardo di vendetta. Sophie lo avrebbe rivisto dopo sei mesi, ma questa volta le loro posizioni sarebbero state diverse. Molte volte aveva immaginato il loro incontro: lui sarebbe entrato nell’aula di giustizia accompagnato da due guardie, con le manette ai


6 polsi, non avrebbe avuto, stampato sul suo viso, quel ghigno divertito; sarebbe entrato a testa bassa e le avrebbe rivolto uno sguardo furtivo. E poi c’era la versione opposta: scortato dalle guardie, ammanettato, ma con lo sguardo fiero, orgoglioso per essere riuscito, almeno in parte, nel suo intento: cambiare per sempre la vita di molte persone. Sophie non poteva sapere come si sarebbe comportato. Quell’uomo era imprevedibile persino per se stesso. Lei continuava a rimproverarsi per non aver ascoltato il suo istinto, più di una volta il dubbio era balenato tra i suoi pensieri, ma le era mancato il movente, ed era stata quella l’unica ragione che ogni volta l’aveva fatta ricredere, mentre il suo stalker era sempre stato davanti ai suoi occhi. Fabio la prese per mano e insieme risalirono la ventina di gradini per accedere al palazzo di giustizia, Sophie era pronta e consapevole che presto molte ferite si sarebbero riaperte. Lui aveva un aspetto terribile, era dimagrito molto, aveva la barba trascurata e le profonde occhiaie di chi non dorme sonni tranquilli. Era un altro uomo, un essere più umano che forse aveva cominciato a prendere coscienza delle mostruosità compiute. L’avvocato difensore aveva portato un esperto di psichiatria criminale, ma la quantità di accuse mossegli non lo avrebbe scagionato per molto tempo. Sophie non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, lui sembrava svuotato, lo sguardo perso e il corpo privo di energia. Era come morto dentro, sembrava drogato e forse lo era. Continuava a domandarsi quanto reale fosse quel cambiamento. Forse lo tenevano calmo con dei farmaci, o magari era davvero frutto di un lavoro interiore, del suo pentimento. Non poteva saperlo, ma sperava si trattasse della seconda ipotesi. Lui non l’aveva mai guardata negli occhi, e mantenendo lo sguardo basso e inespressivo, aveva confessato tutte le sue colpe. Non aveva dato segni d’instabilità emotiva, ma dalla versione dei fatti si comprendeva quella che era l’insensata logica tipica dei folli. Aveva ammesso i due omicidi, la persecuzione e il tentato omicidio di Sophie, con la stessa tranquillità con cui si ammette di aver fatto un banale errore, sul suo viso non c’era contrizione, era impassibile, come inebetito.


7 Â Sophie non riusciva a non guardarlo, era arrabbiata, Fabio la teneva per mano, mentre le lacrime scendevano e i ricordi riaprivano recenti e, allo stesso tempo, antiche ferite.

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CAPITOLO 2

18 mesi prima «Eccomi qui, come sto?» «Sei bellissima, bambina mia…» Claudio l’abbracciò, era il giorno del diciannovesimo compleanno di Sophie e lui era molto emozionato. «Auguri piccola mia. Ecco, questo è il mio regalo per te!» Un pacchettino rosso era adagiato nella mano grande e forte di lui, Sophie era incuriosita. «Papà, eravamo d’accordo che mi avresti regalato la festa di compleanno…» Il padre sorrise. «Ci tenevo a farti una sorpresa, ma non ero certo di riuscire a portare a termine il mio obiettivo. Adesso apri il pacchetto, forza.» Il bigliettino che aveva aperto Sophie, parlava di un desiderio che suo padre avrebbe voluto soddisfare. Ancora non capiva. Lo aveva aperto, dentro c’erano due chiavi infilate in un cordino. Era sempre più perplessa. «Vai a cambiarti e seguimi, così capirai.» Sophie corse nella sua stanza, non stava nella pelle. Non erano le chiavi di un’automobile, sembravano più quelle di un appartamento, eppure era certa di non aver mai espresso il desiderio di lasciare la sua bella tenuta. «Eccomi papi, ma… non puoi darmi nemmeno un indizio?» Claudio le sorrise ancora. «Seguimi e vedrai…» Sophie non si capacitava, ma certamente non aveva alcuna intenzione di lasciare la sua abitazione. Viveva da sempre in quel cascinale meraviglioso, che da molte generazioni era appartenuto alla sua famiglia. Nata come semplice fattoria, con tanto di oche e galline nel cortile, nel corso degli anni si era ingrandita, diventando una vera e propria industria tra le meravigliose colline senesi di San Gimignano. La costruzione patriarcale che aveva vissuto del semplice lavoro della famiglia, si era trasformata in un’attività lavorativa con tanto di dipendenti. Erano stati


9 acquistati cavalli, si erano sviluppate competenze in merito, fino alla realizzazione di un bel maneggio con personale adibito all’insegnamento. Sophie adorava quella vita all’aria aperta, amava tutto di quell’ambiente in cui aveva avuto la fortuna di essere nata; lì c’erano tutti i suoi ricordi e, soprattutto, c’era la presenza della mamma, Beatrice, scomparsa quando lei era molto piccola, esattamente tredici anni prima, nel giorno del suo sesto compleanno. Sophie non se ne sarebbe mai andata da quel suo mondo fatto di sicurezze e ricordi. Claudio la prese sotto braccio e insieme s’incamminarono seguendo le mura interne della tenuta, verso l’abitazione dei nonni materni, mentre Sophie continuava a rigirarsi le chiavi tra le mani, cercando di comprendere il senso di quella passeggiata. Dietro la casa dei nonni, la costruzione proseguiva con un porticato riattato, che un tempo era stato un grosso fienile al fondo del quale c’era da sempre una vecchia costruzione in muratura, anticamente utilizzata come deposito per le attrezzature agricole. Negli anni era stata abbandonata a se stessa, ma negli ultimi tempi aveva subìto delle ristrutturazioni, e quando Sophie aveva chiesto spiegazioni in merito, erano stati tutti piuttosto vaghi. Claudio le aveva raccontato che quel locale ormai in disuso aveva una sua storia, e prima di essere un deposito per gli attrezzi, aveva ospitato le carrozze. Sophie poteva comprendere la motivazione per cui non fosse stato demolito, ma addirittura ristrutturarlo, questo l’aveva lasciata perplessa. Il suo stupore crebbe ancor di più, quando davanti al locale scorse i nonni materni: nonna Maria e nonno Guido che, vestiti di tutto punto, la stavano aspettando. «Buon Compleanno, tesoro!» «Grazie nonna.» «Buon compleanno, Sophie!» «Nonno…» Si abbracciarono, quei nonni erano per Sophie motivo di gioia, loro c’erano stati in ogni momento della sua vita. Claudio la prese per mano e, indicandole la porta della vecchia costruzione, la esortò ad aprire. Due giri di chiave, un click, la luce si accese da sola, mentre un bagliore improvviso colpì i suoi occhi. Sophie non riusciva a crederci, pervasa dalla stessa meraviglia che aveva vissuto dodici anni prima in occasione del suo settimo compleanno,


10 quando suo padre, dopo lunga agonia per quella che era stata una scelta sofferta, l’aveva stupita con un regalo di eccezione: Red, il suo primo cavallo. Era rimasta senza parole. «Papà… ma come hai fatto?» gli gettò le braccia al collo, ed entrambi fecero un grande sforzo per impedirsi di commuoversi. «È il tuo sogno!» Per lei era davvero il sogno che voleva realizzare, un desiderio che prima era appartenuto a sua madre. Entrò in quella stanza bianca e linda, in cui tutto aveva una precisa collocazione. Con le dita sfiorò la superficie del tavolo lungo e liscio. Si fermò a guardare il microscopio, la bilancia, i termometri, la centrifuga, l’incubatrice e tutte le piccole attrezzature ancora incellofanate. Sorrise, un camice bianco piegato e imbustato era lì ad attenderla, appoggiato sullo schienale della sedia girevole. Finalmente avrebbe avuto la possibilità di sperimentare le conoscenze acquisite grazie ai numerosi seminari che aveva cominciato a frequentare già un anno prima, da quando era diventata maggiorenne. Si trattava d’incontri non universitari ma liberi a tutti con quota d’iscrizione, che di fatto le permisero di dedicarsi alla sua passione, avendo acquisito sufficienti conoscenze per i suoi obiettivi. Che prima di lei, erano stati della madre e che sentiva il desiderio di portare avanti. «Grazie davvero per la fiducia, farò del mio meglio!» Il nonno le sorrise. «Sono sicuro che se c’è qualcuno che merita la nostra fiducia, quella sei proprio tu» estrasse dalla tasca dei pantaloni una busta bianca e gliela consegnò «questo è il nostro regalo per te.» Aveva parlato con tono deciso, dando spessore a ciascuna delle sue parole. Sophie era sempre più stupita, fu la nonna a incoraggiarla ad aprirla. «Apri e capirai…» Senza perdere tempo, aprì quella che a tutti gli effetti appariva come una lettera, ma che di fatto era un atto di donazione che attestava un passaggio di proprietà da parte dei nonni. Con quel documento Sophie diventava proprietaria ufficiale della terra che da sempre era appartenuta a loro, terra che con infinito amore stavano adesso donando a lei. Come si fa con un oggetto scomodo, cercò di restituire la lettera. «Non posso accettarlo, è tutto quello che avete…» ma il nonno fu categorico:


11 «È tua! Sappiamo che l’amerai e ne avrai la giusta cura, continuando a lavorarla con amore, così come a suo tempo aveva fatto tua madre. Credimi, Beatrice sarebbe stata felice della nostra decisione.» Sophie annuì, certa che nessuno più di lei avrebbe amato quella bella terra. Più tardi nella sua stanza accese il computer e andò a ricercare tutte le più recenti relazioni riguardanti la coltivazione biodinamica. Aveva aperto le cartelle con il nome di Beatrice e aveva trovato tutte le informazioni che sua mamma aveva raccolto in seguito alle sperimentazioni che, purtroppo, non era riuscita a portare a termine. Claudio bussò alla porta della stanza. «Papà!» Con la coda dell’occhio Claudio colse la schermata aperta sul monitor. «Sophie… oggi è il tuo compleanno, non vorrai pensare al lavoro?» Lei lo rassicurò: «Per me non è un lavoro, è un sogno. Lo so che dovrei concentrarmi sulla festa di questa sera, ma questo progetto ha la priorità assoluta!» Era tornata alla scrivania mentre Claudio si era limitato a seguirla, scuotendo la testa. «Vedi, papà, è tutta una questione di equilibri e di rispetto, la terra non va sfruttata, la rotazione è necessaria e poi si deve creare il giusto compost» era così felice «e poi, non ti affascina sapere come alcuni pianeti e la luna possono influenzare la crescita di alcune parti della pianta?» Claudio annuì. «Negli anni ‘50 una famosa studiosa tedesca, Maria Thun, fece proprio questa scoperta: ogni elemento di una pianta si sviluppa in modo differente in base al periodo della semina. Per esempio, una radice cresce di più se la semina viene fatta quando la luna si trova nel segno della Vergine, del Toro o del Capricorno, mentre il frutto si svilupperà di più, con la luna che transita nei segni di fuoco: Ariete, Leone e Sagittario…» Claudio le accarezzò il viso, e Sophie si lasciò andare a quella carezza forte e rassicurante. Lui condivideva il pensiero di quella figlia giovane e saggia, anche se lo trovava al quanto utopico, era una bella filosofia, una meta che l’uomo avrebbe dovuto valutare, ma che purtroppo non mancava d’insidie


12 dettate più che altro dal potere del dio denaro, che non guarda in faccia nessuno. «Sophie il tuo progetto è ammirevole e noi siamo con te» una breve pausa prima di continuare: «ma adesso, tesoro, credo tu debba occuparti della tua festa, non credi?» Sophie l’aveva quasi dimenticata. «Il nonno mi ha detto che sarebbe andato lui a ritirare la torta, e Stefania e Giada verranno nel pomeriggio ad aiutarmi a preparare la sala. Il vestito l’ho già provato, cosa dimentico papà?» Claudio scoppiò a ridere. Sophie era davvero originale. *** Anche quella mattina, come sempre, Sophie si era recata alla scuderia. Luna, la sua bella cavalla, la stava aspettando scalpitante. Luna era la figlia di Red, il suo primo cavallo, un Baio ordinario dal manto rossiccio con le estremità e il crine neri. Erano un paio di anni che Red era a riposo, e Luna lo aveva degnamente sostituito. Era bella e slanciata, con un portamento fiero che la faceva sembrare una principessa tra i cavalli. I colori erano gli stessi di suo padre, ma si differenziava da lui per una marcatura bianca sulla fronte a forma di luna, che per l’appunto le aveva dato il nome. Dopo averle spazzolato il manto lucidissimo e averla sellata, avevano condiviso la loro cavalcata quotidiana. Dopo la corsa la riportò alla scuderia, le tolse i finimenti, l’asciugò e la portò nel campo di trifogli. Era lì che la conduceva ogni volta dopo la passeggiata, ed era lì che ritrovava il suo primo amore, Red, che ormai anzianotto si godeva il meritato riposo. Dallo zainetto prese una carota tutta per lui e si abbandonò agli antichi ricordi. Era tornata indietro nel tempo, a dodici anni prima, quando proprio nel giorno del suo settimo compleanno, Claudio glielo aveva fatto trovare con tanto di fiocco rosso intorno al collo. Sophie era impazzita dalla gioia e da allora non c’era stato giorno che non si fosse presa cura di lui. Red era ancora attento a ogni sua parola a ogni suo gesto, in attesa di un comando, di una nuova indicazione, nonostante il tempo passato, nonostante l’età. Non era più il cavallo baldanzoso di dodici anni prima, ma per lei restava l’amico speciale di sempre.


13 Quando rientrò casa, si concesse una bella doccia. Aprì l’armadio e capì che era giunto il momento di scegliere l’abito per la sua festa. Raccolse i capelli in un asciugamano e si chiese: “Bene, cosa metto questa sera?” Con la mano spinse la lunga fila di pantaloni, alla ricerca di qualunque indumento degno della serata, quando in un angolino remoto avvistò un vestitino bianco, semplice e fresco. Le stava molto bene, era un tubino corto che le scivolava lungo il corpo modellandosi perfettamente. Quando tolse l’asciugamano dai capelli, una cascata di riccioli ramati le scivolò sulla schiena. Si cosparse di crema idratante sul viso e scese in cucina per mostrarsi a suo padre. Era stato allora che lui l’aveva invitata a seguirlo per mostrarle quello che per lei, più che un regalo, sarebbe stato la realizzazione di un sogno. Nel primo pomeriggio, poi, come tutte le domeniche da quando erano cominciati i corsi di equitazione, Sophie aveva dato lezione ai suoi ragazzi, a cui insegnava a montare e cavalcare. La tenuta, oltre tutto, aveva una convenzione con alcuni psicoterapeuti che segnalavano la struttura a dei bambini con alcuni problemi a livello psicologico, rendendosi conto che l’ippoterapia riusciva a sbloccare alcuni meccanismi, soprattutto a livello di autostima, e a correggerne altri che si manifestano specie durante la fase pre-adolescenziale. I ragazzi erano molto diversi tra loro. Melissa era una ragazzina timida e riservata, con grandi difficoltà nelle relazioni, approdata al maneggio grazie alla sua psicoterapeuta, che le aveva consigliato un corso d’ippoterapia, certa che le avrebbe giovato. Francesco era l’esatto opposto, un indisciplinato cronico, senza regole, anarchico per natura, con alle spalle una famiglia poco equilibrata, laddove un padre padrone decideva e una madre succube ubbidiva. Il padre aggressivo e autoritario lo aveva spinto alla totale ribellione, pur di non ritrovarsi un giorno vittima come sua madre. Poi c’era Stefano, appassionato di cavalli, che aveva deciso di imparare a cavalcare solo per puro piacere, esattamente come il ragazzino che decide di giocare a calcio. Inizialmente Stefano era stato l’unico a mostrarsi entusiasta, Melissa aveva manifestato qualche resistenza, proprio a causa della sua natura diffidente; mentre Francesco non si era smentito. Si era mostrato arrogante e disinteressato, palesando proprio quegli atteggiamenti che suo padre desiderava correggere e che lui ostentava ancora di più.


14 Non era stato facile per Sophie, ma non si era lasciata scoraggiare dal dispotismo del ragazzo, le era bastato scambiare poche parole con suo padre per comprendere che se Francesco non avesse trovato il modo per sfogare la rabbia, forse non sarebbe diventato una vittima del padre ma probabilmente si sarebbe trasformato in un uomo duro, proprio come lui. Era uno di quei ragazzi che non si sentono importanti per nessuno, e che per non piangere imparano a ridere di tutto, a deridere la vita stessa. Uno di quei ragazzi che etichettano qualunque esperienza nello stesso modo: nella totale indifferenza. Aveva fatto silenziose richieste d’aiuto che nessuno aveva mai ascoltato, ma Sophie aveva guardato oltre l’apparenza e lo aveva conquistato. Nella scelta del cavallo da affidare ai ragazzi, Sophie metteva tutto il suo impegno, grazie anche ai suggerimenti degli psicologi. Li portava nella scuderia e, osservandoli con discrezione, cercava di cogliere l’approccio cavaliere-cavallo, poi decideva. A suo tempo per Francesco aveva scelto Apache, un cavallo pezzato di grande statura, molto docile e facile da gestire, ma quando si era confrontata con Claudio, lui non era stato troppo convinto. «Sai, credo che per quel ragazzino ci vorrebbe un cavallo come Attila o Fulmine. Un cavallo difficile potrebbe fargli rendere conto di quanto possa essere frustrante non sapere come fare ad arrivare all’altro.» Sophie aveva compreso le ragioni di suo padre ma Francesco avrebbe potuto arrendersi, avrebbe subìto l’ennesimo scacco matto a se stesso e alle sue capacità, lei aveva un’altra teoria: «Non sono d’accordo, credo che Francesco abbia bisogno di sentirsi importante, secondo me quel ragazzino non ha bisogno di una lezione ma di fiducia.» Claudio le aveva sorriso e nel tempo si era reso conto di quanto fosse stata azzeccata la scelta di Sophie. Anche Melissa era cambiata molto, sempre più forte e determinata, su Fulmine si sentiva invincibile. Ci voleva coraggio per tenerlo a freno e per fargli sentire chi comandava, anche per lei Fulmine, giovane cavallo sauro dal manto tinta zenzero, testardo e cocciuto, era stato la scelta giusta. Stefano aveva ricevuto in affido Cannella, una cavalla propensa all’obbedienza, un sauro ordinario con manto e crini color cannella; per lui la scelta era stata decisamente facile. Francesco aveva preso l’abitudine di arrivare al maneggio mezz’ora prima, e non perché non avesse nulla di meglio da fare, come cercava di


15 far credere a tutti, ma perché era diventato per lui un momento importante della settimana, un evento atteso da domenica a domenica. Quel giorno Sophie stava sbattendo la tovaglia del pranzo, quando lo aveva visto arrivare sulla sua bicicletta blu. Era in anticipo di un’ora, non poteva crederci, era riuscita nel suo intento: Francesco si era “innamorato” di Apache e Apache di lui. Aveva cominciato a prendersi cura del “suo” cavallo con dedizione, cosa che non aveva fatto mai con nessuno. Nella sua vita non c’erano stati, fino ad allora, affetti significativi, interessi e passioni durature. «Buongiorno Francesco!» «Ciao Sophie, posso?» le chiese, indicando la scuderia. «Vai pure» lo incoraggiò lei «se vuoi, puoi portare Apache nel campo di trifoglio.» Francesco s’illuminò. «Sì! Ok, grazie!» Sophie rientrò in casa con un evidente sorriso sulle labbra. «Tutto bene, tesoro?» le chiese suo padre. «Perfetto papà, mentre ero fuori ho visto arrivare Francesco…» «Di già?!» «Già! Francesco ha fatto un cambiamento incredibile, non pensi?» non gli aveva dato il tempo di replicare «mi piace molto quel ragazzino, tanto quanto non mi piace quel manichino arrogante e pieno di sé che si definisce padre. Quell’uomo non se lo merita proprio un figlio come lui, e sua madre poi, possibile che non possa fare niente?» Una brevissima pausa che aveva permesso a Claudio d’intervenire, contenendo gli slanci eccessivi della figlia. «Hai ragione, ma sono fatti così. Lui è un uomo presuntuoso e lei una vittima incapace di reagire, ma noi non conosciamo nulla della loro vita» si avvicinò a Sophie, e preoccupato continuò: «Sophie, dimmi che ne resterai fuori, d’accordo? Lavora su Francesco, ma non intrometterti in quella che è la loro vita familiare, me lo prometti?» «Sì papà, ma dico solo che… dovrebbero…» «Sophie!» Claudio la guardò negli occhi, cercando di essere il più incisivo possibile. «Non puoi cambiare il mondo, non puoi… ma puoi dare il tuo contributo e nello specifico lo stai già facendo. Da quando è qui, Francesco ha avuto l’occasione di sperimentare che c’è altro. Questa esperienza sarà fondamentale per la costruzione di una personalità equilibrata, ma ti prego, non pretendere di stravolgere la sua vita. Accontentati di fornirgli


16 gli strumenti per poter scegliere con maggior consapevolezza quando ne avrà l’occasione, e poi ricordati che i genitori non sono perfetti…» Sophie aveva compreso, suo padre in quel momento non stava parlando dei genitori di Francesco, ma di se stesso. «Spesso si crede di agire per il bene dei propri figli e si sbaglia. L’ho fatto anch’io con te.» Sophie lo abbracciò. «Papà capivo che avevi paura e che non volevi che andassi a cavallo a causa dell’incidente della mamma, eppure nonostante tutto un anno dopo mi regalasti Red, ho sempre saputo con quanta apprensione mi facesti quel dono, grazie papà! Comunque stai tranquillo, seguirò il tuo consiglio.» Un attimo dopo Sophie uscì e prese una cavezza per Apache, dirigendosi alla scuderia. Appena entrata sentì Francesco che in lacrime si stava confidando con il suo cavallo a proposito di qualche scelta fatta da suo padre. “Povero ragazzo” pensò lei, mentre le parole di Claudio riecheggiarono nelle orecchie. Lei avrebbe voluto intervenire, ma aveva fatto una promessa a suo padre e l’avrebbe mantenuta. «Eccomi Francesco, vuoi preparare tu Apache? Ti ho portato la cavezza…» gliela consegnò e lui l’afferrò senza voltarsi. Le sembrava così ingiusto non poter fare nulla. «Ok, se hai bisogno ci sono. Vi aspetto al campo di trifogli…» Non poteva fare di più. Dopo qualche istante Francesco comparve sul sentiero insieme ad Apache, avevano raggiunto il recinto, lui gli aveva sganciato la lunghina e lo aveva esortato alla libertà. «Vai, corri, sei libero!» ma Apache rimase lì, immobile, senza alcuna intenzione di allontanarsi dal suo giovane amico. «Dai cavallo, corri sei libero…» e per rafforzare il senso delle sue parole, gli aveva dato una pacca sulla coscia. Lui non si mosse. Sophie aveva osservato quella scena piuttosto inusuale. «Arrenditi…» gli aveva suggerito Sophie «credo proprio che il tuo amico si muoverà solo al tuo fianco!» Francesco sorrise per un attimo, poi riaffiorò il suo personaggio: «Figurati…» «Provaci…» insistette lei. Francesco fece spallucce con il solito scetticismo, ma la curiosità ebbe la meglio. Fece qualche passo verso il centro del campo, e con la coda dell’occhio vide Apache muovere qualche passo dietro di sé.


17 Sorridendo per quella scena si voltò, spalle al sole, e vide le loro ombre allungarsi una accanto all’altra. Il ragazzo socchiuse gli occhi, felice. Apache non era un cavallo addestrato, ma si comportava come se lo fosse, tra i due c’era un’incredibile empatia. Sophie si era allontanata, mentre tra i denti aveva dato voce al suo pensiero: «Ben fatto Francesco!» *** Poco più tardi, i tre allievi erano pronti per uscire in passeggiata. Il paesaggio era accattivante, colline brulle appena ondulate, caratterizzate da querce e cipressi solitari, lasciavano il posto a grandi coltivazioni di grano e verdeggianti distese. Avevano attraversato sentieri silenziosi assaporando la quiete, i profumi e i colori della natura, poi una volta raggiunta la vallata, erano partiti al trotto che pian piano si era trasformato in galoppo e, nei pressi di una coltivazione di girasoli, si erano fermati in contemplazione di quello che era uno spettacolo balsamico per la mente. Una volta scesi da cavallo camminarono al loro fianco accarezzandoli. Sophie rammentava spesso l’importanza di quel gesto di riconoscenza, come ripetevano spesso gli psicologi. «La gratitudine» ribadivano, «non costa nulla ma contribuisce a migliorare e mantenere qualunque rapporto.» Approfittando di quel momento in cui era sola con i ragazzi, chiese loro se si fossero divertiti. Melissa fu la prima a intervenire, spiegando anche le sue più profonde emozioni, come se si stesse sbloccando: «Mi sono sentita sicura, ma è così che mi sento ogni volta che mi lancio al galoppo, quando sono in sella sto bene, è che… non so come dire, è che mi sento…» Sophie sorrise, forse Melissa pensava di non sapersi esprimere, ma il concetto era arrivato forte e chiaro a tutti. «Ho capito» aggiunse Sophie «sai cosa faccio io quando mi sento un po’ in difficoltà? Vado alla ricerca di quell’emozione, recupero la forza e la grinta provata durante la cavalcata e ritrovo il coraggio. Provaci, è un esercizio che può tornarti utile.» Melissa annuì. Quando era arrivata, all’inizio era come un pulcino impaurito, capace di arrossire per un sì o per un no, e in pochi mesi era


18 stata capace di spogliarsi delle sue ansie più profonde, per condividere le emozioni più vere. «E tu Stefano?» chiese Sophie. Lui era radioso. «Io ho pensato che se potessi esprimere un desiderio, vorrei avere un cavallo tutto mio da accudire e cavalcare ogni giorno!» Aveva tutta la sua comprensione. «Capisco, sono cresciuta tra i cavalli e li amo da sempre, quando ero piccola avevo il tuo stesso desiderio» Sophie si voltò verso Francesco «e tu Francesco, come stai?» Non era il tipo da entusiasmarsi o manifestare le proprie emozioni. In passato l’indifferenza e la strafottenza erano state il sistema per celare i propri stati d’animo e proteggersi, ma qualcosa stava cambiando. «Io… io vorrei che i miei genitori mi vedessero, che per una volta mi credessero capace di fare qualcosa. Vorrei sentirmi sicuro nella vita, poterlo dimostrare agli altri come lo dimostro a me stesso quando sono qui con voi… ma so che non è possibile, non succederà mai!» Sophie avrebbe voluto suggerirgli tante cose, ma le parole di suo padre l’avevano fermata ancor prima che potesse aprire bocca. «Sapete cosa facciamo? Pensavo che non sarebbe male organizzare un saggio per mostrare alle vostre famiglie i risultati che avete raggiunto, non potranno che esserne fieri!» Francesco si era illuminato, pensando che forse anche nel suo mondo le cose sarebbero potute andare diversamente. Se Sophie aveva voluto regalargli un sogno, ci era riuscita. L’inequivocabile rumore del motorino di Stefania annunciò il suo arrivo. Stefania e Giada erano le sue più care amiche, quelle con le quali fin da bambina aveva condiviso la vita. Avevano frequentato le stesse scuole fino al mese prima, fino a quando con la maturità liceale avevano concluso il loro percorso scolastico, dopodiché ognuna aveva fatto le sue scelte. Stefania aveva deciso d’iscriversi a matematica, mentre Giada, da buona crocerossina, aveva superato gli impossibili test d’ingresso a medicina, ed era pronta a catapultarsi nei lunghi anni di studio che l’attendevano. L’unica che non aveva compiuto una scelta precisa, o meglio, non aveva fatto una scelta universitaria, era Sophie. Ne aveva lungamente parlato con suo padre, lui avrebbe desiderato che continuasse gli studi, la riteneva una ragazza dotata e si dispiaceva nel vedere sprecate le sue


19 potenzialità, ma Sophie era stata irremovibile. Aveva deciso di prendersi un anno sabbatico durante il quale avrebbe frequentato tutti i corsi possibili inerenti alla coltivazione biodinamica, avrebbe lavorato alla tenuta, avrebbe continuato a seguire i suoi ragazzi al corso di equitazione, e soprattutto avrebbe avuto il tempo per decidere cosa fare nella sua vita. Lavorava con la terra e pensava di voler proseguire gli studi intrapresi vent’anni prima da sua madre; lavorava con i ragazzi del suo corso di equitazione e pensava a quanto avrebbe voluto possedere maggiori competenze per poterli aiutare. La facoltà di chimica era allettante per raggiungere i suoi obiettivi agricoli, mentre quella di psicologia le sembrava interessante poiché vedeva tutto il lavoro che facevano gli psicologi con i ragazzi, e il modo in cui venivano aiutati. Era stato difficile scegliere, ma dopo un primo momento di sconforto aveva preso la sua decisione: non si sarebbe iscritta all’università. Non sarebbe stato un anno perso ma un anno formativo, fatto di esperienze e riflessioni, e questa era stata la convincente spiegazione data a suo padre. «Sophie, ma sei ancora così?» esclamò Stefania. La ragazza fece spallucce. «C’è ancora un sacco di tempo prima di questa sera…» Quella leggerezza mandava in tilt Stefania, diciannovenne più tradizionale. «Ma guardati, sembri appena scesa da cavallo. Muoviti dai, vai a farti una lunga doccia, poi ai tuoi capelli ci penso io… ho portato…» Sophie la interruppe: «Buona Stefi, stai tranquilla. E per la cronaca, io sono appena scesa da cavallo…» Giada scoppiò a ridere, le sue due amiche non potevano essere più diverse l’una dall’altra. «Scusa Sophie» continuò Stefania «è che vederti così mi manda in fibrillazione, ma come fai a restare calma, tra meno di tre ore arriveranno i tuoi ospiti e tu sei tutta da mettere a posto!» «Mettere a posto? Ma non sono mica un oggetto da aggiustare, no?» risero di gusto e Sophie si sbilanciò in un affettuoso abbraccio che Stefania non gradì. «Dai, abbracciami. Credi che non sappia che in quello zainetto ti sei portata mezzo armadio per cambiarti?» Stefania dovette cedere, ma proprio non sopportava l’odore del cavallo.


20 «Ok, ti voglio tanto bene, ma adesso vai a farti questa benedetta doccia con tanto bagnoschiuma. Intanto Giada e io cominciamo a preparare la sala. Vai, fila!» «Vado, vado…» Sophie si era appena voltata, quando l’amica l’aveva richiamata. «Ah, Sophie, posso chiederti un favore?» «Dimmi.» «Ti ricordi quel ragazzo, quel certo Max di cui ti ho parlato? È un problema se viene anche lui questa sera? Lo so che non lo conosci, ma se vuoi te lo racconto, è alto, è bello… è…» Sophie non la lasciò proseguire: «Certo che può venire. Se piace a te, piacerà anche a me, e se non mi piace, pazienza, importante che piaccia a te!» «Mi piace…» «Allora sarà il benvenuto, adesso però è meglio che vada in doccia, dov’è finita tutta la tua fretta?» «Giusto… grazie mille Sophie…» Giada e Stefania andarono ad allestire la sala per la festa, i tavoli erano da sistemare e le panche da recuperare in un’altra ala della tenuta. «Stefania l’hai preso il regalo?» le domandò Giada. «Sì, certo! È nella borsa blu, tu l’hai fatto il biglietto?» «Sì, l’ho scritto almeno una decina di volte, ricordati che devi firmarlo ma prima leggilo, credo di essere stata un po’ prolissa…» Stefania sorrise. «Sarà bellissimo, avevamo detto che doveva ricordare la nostra lunghissima amicizia, come poteva essere breve? Ci conosciamo da tutta la vita!» «Mentre scrivevo pensavo proprio a questo» precisò Giada «siamo amiche da sempre, e non è sempre facile essere un trio, no?» Stefania annuì. «Tra noi c’è sempre stato un buon equilibrio, siamo tanto diverse ma ci rispettiamo. Rispettiamo le nostre differenze, accettiamo i nostri limiti e… ci vogliamo bene!» «Già!» Il biglietto più che una lettera era un romanzo, ma Stefania lo aveva letto con piacere. Giada possedeva la grande capacità di tradurre le parole in poesia. Ripercorrere i ricordi era stato un vero e proprio viaggio nel tempo e persino Stefania non era stata capace di trattenere la commozione. Con la lettera c’era anche una vecchia fotografia che le ritraeva insieme quando erano molto piccole.


21 Si erano studiate attentamente per risalire al tempo di quello scatto. La piccola Giada aveva capelli biondi e lisci che portava intrecciati, gli occhiali sul naso e la frangetta; era la tipica “brava bambina”, ubbidiente, studiosa, timida e sempre un po’ ansiosa. A diciannove anni era una giovane donna con gli occhiali sul naso e la frangetta senza trecce. Era di una bellezza delicata e discreta, aveva un fisico sottile, slanciato e un portamento elegante ma poco disinvolto a causa della sua timidezza. Dentro di lei era rimasta intrappolata la bambina insicura che non aveva ancora trovato il coraggio di spiccare il volo. Proprio l’opposto era Stefania e il suo caratterino era già evidente nella fotografia; nata per sfidare il mondo. Un piglio che mostrava determinazione da vendere e voglia di esistere. Era una brunetta con grandi occhi color nocciola, lunghi capelli sciolti che portava con la riga da una parte, cosa piuttosto insolita per l’età, ma per lei non esistevano codini o trecce, riusciva a scioglierli ancor prima di arrivare a scuola. Sua madre si era presto arresa, la babysitter si era arresa, e persino la maestra si era arresa. Stefania era una testarda non facile da gestire, e in fatto di testardaggine era rimasta proprio come allora. Era caparbia, ogni cellula del suo corpo esprimeva sicurezza, era bella e si sentiva bellissima, una giovane donna economicamente fortunata che sapeva ostentare tutto ciò che possedeva. Giada e Stefania erano la notte e il giorno. «Guarda Sophie!» esclamò Giada «ti ricordi? La chiamavamo Pippi…» «Me lo ricordo eccome, per i capelli rossi, le lentiggini e quel modo assurdo di vestirsi!» Giada annuì, mentre un velo di tristezza attraversò il suo sguardo. «Sai, credo che questa foto risalga al giorno del suo sesto compleanno, il giorno del terribile incidente… quando Beatrice morì.» Stefania le si avvicinò per dare un’altra occhiata alla fotografia. «Potrebbe essere…» Ma Giada ne era certa. «Sì, era il giorno del suo sesto compleanno, di questo sono sicura. Vedi il suo abbigliamento alternativo?» «Eh, in effetti…» Stefania sorrise. «Vedi…» continuò Giada «quella gonnellina rossa gliel’avevo regalata io, ricordo che lei l’aveva indossata immediatamente senza nemmeno togliersi i pantaloni, ed era rimasta così per tutta la festa. Beatrice le aveva detto che era davvero molto buffa abbigliata in quel modo, e lei per tutta risposta ci aveva abbracciate e aveva chiesto a sua madre di scattarci una foto.»


22 Stefania annuì e da lì a poco entrambe ricordarono come, quella che era cominciata come una bellissima giornata, si fosse conclusa con un drammatico epilogo. «Adesso basta con i tristi ricordi!» sentenziò Stefania «siamo qui per festeggiare Sophie!» Giada stava disponendo i bicchieri sul tavolo, quando le parole che per anni erano state solo pensiero, trovarono voce. «Mi sono sempre domandata cosa ci trovassero due come voi in una come me.» Stefania si voltò di scatto, alla ricerca di una spiegazione: «Cosa vorresti dire?» «Quello che ho detto.» Stefania le si avvicinò in attesa di chiarimenti. «Voglio dire, voi siete state due bambine piene di personalità e ora siete due ragazze con personalità da vendere; mentre io che ero una bambina anonima, sono rimasta anonima» abbassò il capo e Stefania glielo risollevò per guardarla negli occhi. Andò alla ricerca delle parole più vere e incisive. «Sei la persona più dolce che conosca, sei tollerante, una delle poche persone di cui la gente parla solo in termini di affetto. Vai d’accordo con tutti, sei gentile e intelligente, sei una che piace…» Giada sorrise timidamente. «È che a volte mi sento invisibile…» Stefania continuava a non capire. «Voglio dire, tu sei così sicura, senza peli sulla lingua e puoi piacere o no, ma sei così, forte.» «Ah, potrei non piacere?» la rimbeccò con ironia. «Sophie è estroversa, alternativa, sempre piena d’idee, con un sacco di progetti. Io invece mi sento invisibile anche a me stessa.» Stefania conosceva da anni le fragilità di Giada, ma non l’aveva mai considerata invisibile. «Ma tu sei quella dolce, quella riflessiva, davvero non capisco perché dubiti tanto di te stessa.» In realtà non c’era un motivo preciso, quelli erano i pensieri che le appartenevano e che di tanto in tanto riaffioravano. Giada era così, timida e insicura, proprio come in quello scatto di tredici anni prima. «Scusami per lo sfogo, Stefi. Lo vedi che sono proprio una lagna?» L’amica la abbracciò, cercando tra i pensieri le parole giuste per accrescere la sua autostima.


23 «Ecco, trovato! Sai cosa sei tu per noi? La mitigatrice! Tu sai controllare i nostri eccessi, e nel trio sei indispensabile!» Giada concordò, quel ruolo le calzava a pennello. Intanto, sotto la doccia, Sophie si era concessa un attimo di relax. L’acqua che scivolava sul suo corpo le donava belle sensazioni. Era felice, la vita le stava regalando momenti impagabili e nulla avrebbe potuto rovinare il suo idillio. Ma a volte la vita riserva imprevisti inaccettabili, bivi che cambiano il corso degli eventi, e Sophie non poteva nemmeno immaginare come e quanto quella giornata avrebbe messo un punto alla sua spensieratezza. Si era asciugata e dopo aver indossato un calzoncino e una maglietta, con la leggerezza dei suoi diciannove anni, aveva raggiunto le amiche. «Eccomi qua!» «Wow, che look! Spero che non sia quello scelto per la festa… la tua festa!» criticò Stefania. «Perché no?» «Tu… tu, mi farai impazzire!» poi rivolgendosi a Giada: «cerchiamo di finire alla svelta, credo che avremo un gran lavoro da fare con la festeggiata.» Giada annuì, pensando che qualunque cosa avesse indossato, Sophie sarebbe stata comunque bellissima. Le tre amiche trascorsero il resto del pomeriggio a provare abiti, truccarsi e pettinarsi, ma mentre Stefania e Giada erano intenzionate a raggiungere la perfezione, Sophie non aveva perso occasione per giocare e divertirsi con abbigliamenti bizzarri e acconciature improbabili, poi, sotto le infinite pressioni di Stefania, verso sera dovette capitolare. Infilò l’abito bianco e i suoi inseparabili stivali estivi, e sciolse i suoi riccioli ramati. Anche il momento del trucco era stato movimentato dal continuo controbattere delle due amiche. Laddove Sophie, poco avvezza al trucco, non aveva alcuna intenzione di eccedere, Stefania che aveva fatto del trucco un’opera d’arte, aveva continuato a insistere per trasformarla in una femme fatale. Alla fine Sophie aveva fatto com’era nel suo stile: di testa sua. Un filo di eye-liner sulle palpebre e un po’ di lucidalabbra, poi nel cassetto della bigiotteria aveva cominciato la sua estrosa ricerca. Collane di bottoni colorati, braccialetti a cerchio e orecchini in tinta per sdrammatizzare un look troppo serio per lei.


24 Prima di scendere ad accogliere gli altri ospiti, Stefania e Giada le avevano dato il loro regalo. Era un portachiavi di acciaio, costellato da pendagli a forma di quadrifoglio, ferri di cavallo, elefantini e cornetti, di buon auspicio. «È bellissimo! Grazie, metterò le chiavi…» s’interruppe un istante realizzando il motivo di quel regalo, poi continuò sotto gli sguardi finti ingenui delle sue amiche «allora sapevate del regalo di mio padre…» «Certo, tuo padre ci aveva parlato della sua idea! È un mito, non potevamo deluderlo, e così, sue complici, abbiamo collaborato portandoti via nei giorni in cui erano arrivate le attrezzature…» «E poi» aggiunse Giada «abbiamo pensato: quale regalo migliore di un portafortuna per il tuo progetto… ed ecco il portachiavi!» «Siete davvero matte, ma siete state brave a non farvi sfuggire nulla. Metto subito le chiavi del laboratorio.» A quel punto le consegnarono il biglietto di auguri con tanto di fotografia. Sophie esclamò incredula: «Ma siamo noi! Oh mamma, è di un milione di anni fa, ma guarda quanto eravamo belline!» «Era il giorno del tuo compleanno…» disse Giada. «Lo ricordo molto bene» la sua voce assunse un tono nostalgico, ma poi la magia di quella giornata riprese il sopravvento. «Forza ragazze!» esclamò Sophie «venite qui e facciamoci una foto insieme, mettiamoci nella stessa posizione, con la promessa di ritrovarci tra altri tredici anni, nel giorno del mio trentaduesimo compleanno per una nuova foto insieme… d’accordo?» «Dai, è un’idea grandiosa. Chissà come saremo e come sarà la nostra vita…» Giada era entusiasta di quella proposta. Ognuna di loro aveva immaginato se stessa trasportata a tredici anni dopo. Con un sorriso intriso di grandi aspettative e speranze, si erano regalate un bellissimo autoscatto e, come avevano fatto negli ultimi anni, si erano scambiate la loro promessa di eterna amicizia. «Nulla ci dividerà, non la gelosia, non l’invidia, non i soldi… mai gli uomini!» urlarono divertite. *** La festa era riuscita molto bene, e al momento della torta Sophie aveva rinnovato la vecchia tradizione delle fotografie: almeno una con i numerosi familiari e almeno una con tutti gli amici. Queste erano le


25 obbligatorie, poi durante la serata c’erano stati tutti gli altri scatti spontanei, quelli capaci d’immortalare l’attimo, capaci di fermare e tramandare un ricordo. Sophie amava le fotografie, le faceva ancora sviluppare e le infilava all’interno di un album. Stefania canzonava questa pratica un po’ fuori moda, mentre Giada da buona romanticona, condivideva con Sophie la ricercatezza e il gusto di sfogliare un album. Al momento della foto con gli amici, Sophie era andata alla ricerca di Stefania, che sembrava essersi dileguata nel nulla. Così la chiamò al cellulare. «Momento torta, momento fotografia?» domandò l’amica, colta in flagrante assenza. «Sì» rispose Sophie, preoccupata di non riuscire più a tenere in posa gli amici «ma si può sapere dove sei finita?» «Scusami Sophie, sono in strada. Sto aspettando che arrivi Max, mi ha chiamata perché non trovava l’ingresso della tenuta.» «Ok, speriamo che arrivi alla svelta, perché io aspetto te, lo sai che qui non si taglia la torta senza la foto con tutti gli amici…» Stefania sorrise, quando un bagliore illuminò la strada. «Ecco, potrebbe essere lui, vedo dei fari. Sì, rallenta, ok è lui… attacco, arriviamo!» «Ok, vi aspettiamo.» La porta della sala si aprì e fecero il loro ingresso Stefania e Max. Lei si precipitò al tavolo sul quale l’invitante torta attendeva l’ultimo scatto. «Eccomi, eccomi…» Max le lasciò la mano e Stefania lo guardò incuriosita. «Forza vieni, dobbiamo fare la foto.» Lui sembrava titubante e lei insistette: «Dai vieni, altrimenti questa torta la mangeremo con la cannuccia…» Era spiazzato, non era il tipo desideroso di attirare l’attenzione su di sé, e prima che gli sguardi si posassero nuovamente su di lui, prese posto accanto a Stefania. «Sorriso…» suggerì Claudio «ok, fatta!» «Sophie, Max; Max Sophie…» Stefania partì con le presentazioni, mentre Sophie, dal canto suo, cercò di mettere a suo agio il nuovo ospite. «Max serviti pure, fai come se fossi a casa tua…» «Grazie» fu la sua risposta. Le sorrise e il suo sguardo perse di espressività. La stava fissando, ma era come se non la vedesse. Sophie era pronta a tagliare la torta quando Stefania le si avvicinò.


26 «Allora, che ne pensi? Carino vero?» «Sì…» le rispose Sophie «ma non mi avevi detto che era così… così grande, quanti anni ha?» «Ventisette.» «È tanto grande!» Stefania sembrava confusa. «Ma dai Sophie, non sei tu quella che dice che i ragazzi della nostra età non ti piacciono perché li trovi banali?» Sophie si ritrovò a darle ragione. «Giusto, hai ragione. Comunque l’importante è che piaccia te!» «E a me piace…» Ridendo e scherzando avevano trovato il ritmo giusto per servire la torta: Sophie faceva le porzioni, Giada metteva il cucchiaino e Stefania le distribuiva. Con un piattino tra le mani, Sophie si sentì sfiorare e pensando che si trattasse di Stefania si voltò per darglielo, ma si ritrovò a meno di un passo da Max, pronto a offrire la sua collaborazione. Nel passaggio del piatto le loro mani si sfiorarono e lui tentò di trattenersi in quel gesto, creando un certo imbarazzo. Max continuò a guardarla per tutta la sera, Sophie si sentì spesso osservata e ogni volta si domandava cosa avesse da guardare in quel modo. Lui non era un ragazzo, era un uomo e la stava mettendo in difficoltà. Non erano stati sguardi casuali, lentamente si erano trasformati in attenzioni che andavano oltre il lecito, aveva percepito i suoi occhi addosso e non le era piaciuto affatto. Stefania e Giada alla fine della festa si erano fermate a dormire da Sophie alla tenuta, Stefania aveva accompagnato Max al cancello e poi era ritornata dalle amiche, curiosa di conoscere le loro opinioni. «Allora? Cosa ne pensate?» «Secondo me è troppo grande…» ribadì Sophie, mentre continuava a domandarsi cosa non le piacesse realmente di lui. Era tutto molto strano, Giada e Sophie erano abituate a una Stefania mangia uomini, che amava divertirsi, per nulla romantica, che non credeva nel colpo di fulmine, e all’improvviso si erano ritrovate davanti a una giovane donna innamorata dell’amore, bersaglio dell’inevitabile freccia di Cupido.


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CAPITOLO 3

Le settimane trascorrevano, era tempo di vacanze e la vita di Sophie era piena di progetti. Stefania e Giada, in procinto di partire per una breve pausa alle Canarie, l’avevano supplicata affinché mettesse tra le sue priorità anche quel viaggio, ma lei era stata irremovibile. A malincuore le amiche dovettero accettare. «Comunque se cambi idea…» «Non questa volta, mi sono presa degli impegni e devo rispettarli.» Stefania sbuffò. «Ma ti ricordi di avere solo diciannove anni? Possibile che tu non riesca a liberarti di tutte queste responsabilità? Tuo padre capirebbe benissimo. Anzi, sono certa che sarebbe felice per te, sei tu quella strana…» Sophie annuì. «Sono sicura che mio padre capirebbe, ma sono io che non me la sento, lui mi sta dando fiducia e io voglio dimostrargli che non è malriposta.» Giada taceva sorridendo, invidiava e ammirava Sophie per la sua determinazione, per il suo modo di mantenere ferme le sue convinzioni senza lasciarsi condizionare. «Fai come credi» si arrese quindi Stefania. Così, l’ultimo sabato di agosto, Sophie le accompagnò all’aeroporto. «Ciao ragazze, fate buon viaggio e divertitevi. Ci vediamo tra una settimana, sarò qui ad aspettarvi!» «Ciao testona» la salutò Stefania «speravo che avresti cambiato idea e che alla fine ci avresti fatto una sorpresa… che illusa, eh?» Sophie le abbracciò. «Ci vediamo qui tra sette giorni… adesso andate e divertitevi tanto!» L’aereo decollò e Sophie rientrò alla tenuta. «Partite?» «Sì papà, sono partite.» «Non capisco perché tu non sia andata con loro, si sarebbe trattato solo di una settimana…» Claudio era dispiaciuto per Sophie, che continuava a farsi carico di responsabilità sempre troppo grandi per lei.


28 «È vero che sarebbe stata solo una settimana, ma è una delle settimane in cui si lavora di più, e poi a dire il vero non vedo l’ora di dedicare un po’ di tempo agli studi fatti dalla mamma. Tranquillo papà, io sono molto felice di essere qui!» Claudio la strinse a sé. «La mamma sarebbe orgogliosa di te. Io lo sono moltissimo.» In quel periodo di vacanza alla tenuta c’era un gran fermento. Venivano ospitate famiglie e coppie desiderose di trascorrere qualche giorno, o settimana, nella pace e nella tranquillità di un paesaggio da favola, immerso nel verde, circondato dalla natura. Era il luogo adatto per rilassarsi, assaporare dell’ottima cucina a conduzione familiare, fare esperienze adrenaliniche a cavallo, o semplici passeggiate. Si poteva sperimentare la mungitura a mano e visitare il caseificio annesso per vedere il processo di trasformazione dal latte al formaggio, fino alla degustazione; tutto in un clima familiare, accogliente e di grande disponibilità. Sophie non sarebbe mai partita, la sua presenza era indispensabile. Lei si occupava delle passeggiate a cavallo e dei corsi full immersion, accoglieva di ospiti e assegnava loro le stanze. Di sera spesso si occupava della sala per la cena e, quando necessario, serviva ai tavoli. Le giornate scorrevano fin troppo velocemente, Sophie trovava molto interessante rapportarsi ai suoi momentanei inquilini e non perdeva occasione per confrontarsi con loro. Tra un impegno e l’altro la settimana era trascorsa e, come promesso, si era catapultata all’aeroporto ad aspettare le sue amiche. Stefania per telefono le aveva anticipato che c’era una cosa importantissima della quale voleva parlarle, e da quel momento Sophie non aveva smesso di formulare ipotesi, dando spazio alla sua laboriosa fantasia. Aveva anche tentato di corrompere Giada, ma lei era stata ermetica. Arrivata in aeroporto, parcheggiò e scese dall’auto. Chiudendo la portiera si accorse che, riflesso nel finestrino, c’era un uomo proprio dietro di lei. Si voltò di scatto. «Ti ho spaventata?» «Direi!» esclamò Sophie «ma che…» non riuscì a finire la frase poiché si rese conto della reazione esagerata e si scusò «scusa, sì… mi sono spaventata.»


29 Max la stava guardando, lei era rimasta inchiodata con la schiena contro la sua auto e i pochissimi centimetri che li dividevano le stavano suscitando una sensazione fastidiosa. «Scusami, non volevo farti paura, ti ho vista e sono venuto a salutarti. Penso tu sia qui per lo stesso motivo…» Sophie era a disagio e la cosa la innervosiva. Divincolandosi per trovare una sorta di libertà più mentale che fisica, rispose: «Immagino di sì.» «Scusami ancora Sophie, davvero, non volevo…» Quel ragazzo aveva qualcosa che proprio non la convinceva, le sue parole non coincidevano affatto con il suo sguardo, mimica e parole non andavano nella stessa direzione. Definirlo ambiguo sarebbe stato un complimento. «Ok va bene, ma adesso andiamo a prenderle. L’aereo sta per atterrare.» Fu allora che Max la afferrò per un braccio. «Sì, ma ci vorrà ancora del tempo, dovranno prendere le valigie. Che ne dici se ci fermiamo a prendere un caffè?» Sophie detestava l’invadenza e con quel gesto Max era andato persino oltre. Non avrebbe voluto essere sgarbata ma proprio non le piaceva e con lui sarebbe stata chiara, irremovibile. «No, grazie, io vado…» e liberatasi dalla stretta aggiunse: «ma tu vai pure a prendere il caffè!» Forse era stata cinica ma pazienza, di sicuro era stata limpida nelle intenzioni e senza alcuno spazio per la replica. Almeno era quello che credeva. «Va bene, vengo con te…» concluse lui «avremo altro tempo per prendere un caffè… insieme…» Era insopportabile. Era impossibile che non avesse capito quello che per chiunque altro sarebbe stato inequivocabilmente chiaro ma Sophie non aveva voluto polemizzare e si era limitata a un sorriso di circostanza, quindi aveva allungato il passo, non vedendo l’ora di uscire da quel parcheggio troppo silenzioso e solitario. Giunti nella sala d’attesa riuscì finalmente a rilassarsi. Il movimento della gente, il suono delle voci intorno la tranquillizzarono e dopo qualche secondo avvistò le sue amiche. «Sophie!» «Ragazze! Ma quanto siete belle, abbronzatissime… dovete raccontarmi tutto!» Sophie le aiutò a prendere i bagagli e si diressero verso l’uscita. Solo in quel momento si rese conto dell’assenza di Max. Sembrava essersi


30 dileguato e la cosa non le dispiaceva affatto. Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dalle parole di Giada che non aveva perso tempo a raccontarle del ragazzo che aveva conosciuto ma che purtroppo viveva a Pavia. Sophie l’ascoltava, ma non riusciva a non pensare a quanto era accaduto nel parcheggio poco prima. Stefania invece sembrava poco presente, in attesa di qualcosa o di qualcuno, per niente attenta a quanto le accadeva attorno. Sophie stava per chiederle cosa avesse, quando d’un tratto la vide illuminarsi. Cercò nella direzione dello sguardo dell’amica e tutto le fu chiaro. Max era a pochi metri da loro e le stava raggiungendo con un sorriso ammiccante e una rosa rossa tra le mani. “Purtroppo non è sparito” pensò Sophie. Stefania, trasognante, gli buttò le braccia al collo mentre lui, apparentemente incurante della presenza delle amiche, la stringeva a sé. Quando la ragazza fu tra le sue braccia, però, cercò l’attenzione di Sophie. C’era una sorta di strana provocazione nel suo sguardo e Sophie aveva provato un’improvvisa preoccupazione. Quel ragazzo la turbava ma almeno per il momento avrebbe tenuto per sé quel pensiero. «Avevo paura che non riuscissi a venire…» «Ho fatto i salti mortali… ma ne valeva la pena.» Sophie era sconcertata, nel parcheggio non gli aveva dato l’idea di uno che si fosse scapicollato per essere in orario. Ma continuavano a essere sue considerazioni, e tali sarebbero rimaste. Giada si era avvicinata e in tono confidenziale disse: «Ecco la novità! Forza Stefi, racconta…» Sophie s’irrigidì. «Sophie…» cominciò l’amica con l’enfasi che si usa per le grandi occasioni «Max mi ha chiesto di andare a vivere insieme!» Silenzio. Stefania si era aspettata un minimo di entusiasmo, ma Sophie in realtà stava solo cercando di articolare un qualunque pensiero che non fosse di totale disapprovazione. «Non dici niente?» Sophie non riusciva a comprendere la metamorfosi dell’amica. «No, scusami, ma è una vera e propria sorpresa, così… inaspettata…» Avrebbe voluto farle un milione di domande, farsi dare un milione di risposte, ma non era il momento. Max aveva colto il suo stato d’animo e le aveva sorriso con un atteggiamento vittorioso, consapevole di averle creato una certa inquietudine.


31 Un brivido l’attraversò. Guardò entrambi poi rivolta a lui, con tono ironico, disse: «Rendila felice ok? Perché… io ti tengo d’occhio!» «Uh… la tua amica mi fa quasi paura…» Entrambi avevano parlato in modo scherzoso, ma era chiara per tutti e due l’autenticità di quelle parole. Sophie si era ritrovata a sperare che il suo disappunto fosse solo il frutto di un’epidermica antipatia, perché di fatto, sarebbe stata la cosa meno grave. Max si avvicinò a Stefania e si congedò: «Ciao tesoro, adesso devo proprio scappare…» la strinse tra le braccia, mentre il suo sguardo si posava su Sophie, sui suoi occhi, sulle sue labbra, su di lei, provocandole un terribile fastidio. “Scappa, bravo, sparisci…” pensò lei continuando a domandarsi perché mai non se ne fosse rimasto a Firenze. Max era un libero professionista, faceva il fotografo e si era da poco trasferito a Siena per una buona offerta di lavoro. Da quando erano salite in macchina Sophie non aveva fatto altro che sentir dire da Stefania quanto fosse bravo, dolce e adorabile il suo Max. Più volte l’aveva osservata dallo specchietto retrovisore, Stefania era così diversa. Guardava la sua rosa come se non ne avesse mai vista una, mentre meno di un mese prima, probabilmente avrebbe colto quella galanteria in tutt’altro modo. Sophie non riusciva a capire cosa la rendesse tanto riluttante nei confronti di Max, né cosa lo facesse apparire così meraviglioso agli occhi dell’amica. Era lo stesso uomo eppure appariva loro così diverso. Era come se Stefania fosse stata vittima di un sortilegio, era così evidente che la stesse abbindolando. «Allora ragazze, che mi dite? Non siete felici per me? Io non sto più nella pelle!» Sophie tratteneva a fatica quello che la testa, il cuore e la lingua avrebbero voluto dire, mentre Giada, seduta nel sedile accanto a Sophie, si era voltata e con il suo sorriso ingenuo l’aveva sostenuta. «Certo che siamo felici per te, non ti ho mai vista così entusiasta, quasi non ti riconosco…» Quella frase era stata l’occasione giusta e Sophie non se la fece sfuggire. «Già sei proprio irriconoscibile!»


32 Purtroppo il tono aveva fatto la differenza e Stefania percepì chiaramente la sua intenzione. «Colgo una nota di disappunto o mi sbaglio?» «No, non ti sbagli!» Sophie si era sbilanciata, dallo specchietto retrovisore cercava lo sguardo di lei «Stefi, sembri davvero un’altra persona, ma che ti succede?» cercò di prenderla un po’ alla larga, ma Stefania si era irrigidita. «Cosa vuoi che succeda, sono felice. Max non è il solito ragazzino, è un uomo e mi tratta da donna. Ha le idee chiare, mi piace, mi fa sentire importante, unica… mi dici cosa c’è di male in tutto questo?» Sophie avrebbe voluto esporre le sue perplessità, ma consapevole del fatto che non sarebbe servito a nulla, si limitò alle considerazioni oggettive. «Hai detto bene, non è un ragazzino. Avrà molta esperienza, saprà come arrivare a te, io spero solo che sia come lo vedi tu… ma quello che mi domando è, perché non aspettare ancora un po’? Perché non conoscervi un po’ meglio prima di andare a vivere insieme? Da quanto tempo vi conoscete, un mese, due? La convivenza è un passo importante e poi ne hai parlato con i tuoi?» Stefania aveva cambiato espressione, era seccata, non era solita farsi rimproverare, era sempre stata lei quella dell’ultima parola e proprio non riusciva ad accettare gli insensati dubbi dell’amica. «Sì, ma sai come sono i miei, no? A loro va sempre tutto bene, non mi hanno mosso alcuna obiezione, mica come te, signorina so tutto io…» Sophie incassò il colpo, avrebbe potuto ferirla molto se solo avesse voluto, se solo le avesse detto ciò che veramente pensava, ma non sarebbe stato utile rammentarle che forse ai suoi andava tutto bene perché non vedevano l’ora che se ne andasse di casa, così si era limitata a esternarle la sua preoccupazione. «Scusami, è il bene che ti voglio che mi fa pensare poco e parlare troppo, ma lo sai che sono fatta così. Scusami se ho esagerato, spero solo che questa storia non ti faccia soffrire…» invece di recuperare la situazione, con quell’ultima considerazione aveva scatenato la fine del mondo. «Bene, grazie tante, grazie di cuore amica, ma si può sapere che ti prende? Me la stai forse tirando? Possibile che tu non possa semplicemente gioire per me?» Stefania sembrava un treno in corsa. «Ah, ma adesso mi è tutto chiaro. Tu sei gelosa! Cosa c’è, pensi che possa allontanarmi da te? Oppure non mi ritieni abbastanza in gamba per badare alla casa e procedere con l’università? Dimmi cosa ti turba!» fece


33 una breve pausa: «e poi sai cosa c’è? C’è che se voglio posso sempre decidere di non andare all’università! Non sei tu che ti sei presa un anno sabatico? Eppure qui nessuna di noi ti ha giudicata, nessuno ti ha detto “ma che razza di idea, perdere un anno dietro uno stupido progetto”, non è vero?» Era stato davvero troppo, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Sophie fermò l’auto e si voltò verso l’amica dando libero sfogo ai suoi pensieri. «Brava, quindi è questo che pensi della mia scelta? Perché non me lo hai detto prima?» solo un attimo di silenzio per riordinare le idee, poi concluse: «e comunque, sappi che io non ti sto affatto giudicando, casomai vorrei proteggerti. Max non mi convince e se non te l’ho detto prima, è stato solo per non ferirti… lo trovo finto, ecco! Questo è ciò che penso di lui! Ti stimo e questo lo sai e ti assicuro che se ti parlo così è solo perché ti voglio bene… e comunque il mio non è per nulla uno stupido progetto» una punta di amarezza aveva accompagnato le sue ultime parole. Un sorriso appena accennato comparve sul viso di Stefania e solo allora, non appena gli animi si furono quietati, intervenne Giada. «Vi rendete conto che state litigando perché vi volete un sacco di bene?» le ragazze annuirono, ma fu Sophie a riprendere la situazione in mano. «Scusami sono stata troppo precipitosa con i giudizi, ti auguro davvero di essere felice!» Stefania si addolcì: «Per quanto mi riguarda, questa discussione non è mai avvenuta, è tutto come prima.» Facendo fatica, a causa dei sedili dell’auto che le separarono, si strinsero in un abbraccio e Sophie non poté che sperare di essersi sbagliata. I dissapori di quella giornata si erano dissolti, Sophie si era ripromessa di non dire più nulla, in fondo le sue erano solo sensazioni. Stefania era ormai adulta e proprio come lei aveva il diritto di fare le sue esperienze, giuste o sbagliate che fossero. Sophie doveva mettere da parte i suoi preconcetti e cominciare a guardare Max con occhi diversi e, per il bene di Stefania, sarebbe riuscita a farselo piacere. ***


34 Le settimane trascorrevano serenamente e Sophie coltivava il suo progetto con massimo impegno. Aveva stabilito e organizzato un calendario delle semine, per garantirne la migliore produzione. Annotava costantemente la crescita delle piantine, si dedicava all’analisi del terreno – così come aveva imparato grazie ai seminari – e alla scelta dei concimi naturali. Parallelamente, aveva continuato a seguire i suoi tre allievi per i corsi di equitazione, che a poco a poco erano diventati così bravi da farle pensare di poterli mettere in gioco con semplici esercizi, una sorta di saggio attraverso il quale avrebbero mostrato gli apprendimenti avvenuti nell’arco di un anno. Di comune accordo avevano ipotizzato come data per la rappresentazione il periodo delle vacanze di Natale, durante il quale sarebbero stati meno impegnati con la scuola, e avrebbero potuto dedicare qualche ora in più alle loro esercitazioni. Francesco era molto cambiato negli ultimi tempi, si era addolcito, aveva smussato un’infinita serie di spigolature e Sophie era molto soddisfatta, considerando di aver partecipato con un piccolo contributo a quella trasformazione. Avevano chiacchierato spesso, Francesco era un bravo ragazzo che usava l’aggressività come difesa, a lui mancavano gli strumenti per costruire sane relazioni e spesso poteva apparire egoista e pieno di sé, ma di fatto si trattava di un adolescente inquieto e incapace di esprimere sentimenti positivi, quegli stessi che gli erano venuti a mancare nel corso della sua giovane vita. Proveniva da una famiglia benestante e non gli erano mancati i soldi nelle tasche e la soddisfazione di qualsivoglia capriccio, ma nessuno si era veramente occupato di lui. Un padre padrone che da lui aveva solo pretese e una madre assente, uno dei peggiori connubi. Ma finalmente quell’esperienza nata per caso, si era rivelata la chiave di svolta e gli stava regalando nuove e inaspettate emozioni. Tra lui e Apache si era creato un feeling importante, fatto di reciproche attenzioni che avevano fatto breccia in lui, facendogli scoprire un mondo interiore fino ad allora sconosciuto. Anche Melissa era cambiata, restava una ragazza riservata, ma con un sacco di cose belle da dire, finalmente aveva cominciato a mettersi in gioco, aveva accresciuto l’autostima concedendosi d’investire nel prossimo con maggiore fiducia e serenità. Sophie aveva sempre pensato che gli animali nella vita dell’uomo avessero un ruolo fondamentale che non aveva nulla a che vedere con l’alimentazione. Non biasimava chi mangiava la carne, ma per lei era


35 Â impossibile nutrirsi di qualcuno che solo qualche ora prima aveva pascolato in un prato, beccato in un cortile, respirato; qualcuno che aveva vissuto proprio come lei. A quattordici anni aveva intrapreso la sua battaglia familiare per diventare vegetariana e si era documentata, portando dati concreti a sostegno del fatto che si potesse vivere in ottima salute anche senza mangiare la carne, da allora erano trascorsi cinque anni e Sophie era sempre piĂš convinta della scelta fatta.

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36

CAPITOLO 4

L’estate era passata, l’aria si era rinfrescata, ma la vita all’aria aperta restava ancora molto piacevole. Stefania era assorta dalla prospettiva della sua nuova vita, anche se il suo progetto sembrava andare a rilento a causa della difficoltà nel trovare un appartamento idoneo, soprattutto dal punto di vista economico. Max aveva un buon lavoro, ma gli affitti erano piuttosto elevati e per poter vivere sarebbero stati necessari due stipendi. Fino a quel momento Max aveva condiviso casa con un altro ragazzo, ma decidendo di andare a vivere con Stefania, priva di reddito, sarebbe stato necessario trovare un appartamento più economico. Stefania, per contribuire alle spese della casa, si era impegnata nella ricerca di un lavoretto e finalmente a fine estate il duro lavoro di ricerca era stato premiato. Come di consueto, le tre amiche si erano ritrovate il martedì pomeriggio, in un piccolo caffè nel centro di Siena. «Ragazze, ho una grande notizia!» esclamò Stefania. «Aiuto…» commentò sottovoce Sophie, mentre Giada anticipò la novella. «Hai trovato lavoro?» «Sì, ma come hai fatto a indovinare?» «Era quello che stavi cercando, no?» Sophie si ritrovò a sorridere, considerando che a fronte di tutte le possibili sorprese quella fosse ancora la meno tragica. «Dai, forza, racconta…» la esortò Sophie. «Allora, intanto comincerò a gennaio, si tratta solo di quattro ore al giorno, cosa che mi permetterà di frequentare l’università tranquillamente e… giratevi un po’» Stefania indicò fuori dalla vetrina ma non c’era nulla, poi Sophie capì. «Il negozio di Carla?» «Sì! Che ve ne pare?» «Ma sei impazzita?» azzardò Giada.


37 Sophie non era riuscì a trattenersi: «Ma è la persona più odiosa che conosciamo, è insopportabile e cattiva, perché vuoi infilarti in quella situazione? Stefi, ma che ti prende, andare a lavorare per lei?» Poi fu Giada a completare il pensiero di Sophie: «Quella lì è un’arpia, ma lo sai come ti tratterà?» Stefania sapeva molto bene che le sue amiche avevano ragione, ma con coraggio tentò la sua arringa a sostegno della sua scelta: «Ok ragazze ma eravamo piccole, anche Carla sarà cresciuta…» non riuscì a terminare la frase che Sophie la interruppe: «Eravamo piccole un anno fa, quando ha umiliato Giada pubblicamente?» Giada abbassò lo sguardo, in memoria di quel brutto ricordo. «O forse eravamo piccole all’ultimo compito di latino, quando la prof ci ha dato un quattro a causa delle domande della verifica trovate sotto il nostro banco, che guarda caso ci aveva messo Carla?» Stefania non aveva potuto fare altro che annuire. «Ok, avete ragione: è proprio una grandissima stronza, noi lo sappiamo e io sono preparata. Quel lavoro però mi serve proprio. Dopotutto, cosa potrebbe inventarsi ancora?» Giada scosse la testa incredula. «Sei davvero molto coraggiosa, io non mi ci avvicino nemmeno al suo negozio.» Sophie fu più diretta: «Tu sei matta! In quel negozio ti troveresti nella condizione peggiore. Lei è il tuo capo e tu ti domandi cosa potrebbe inventarsi? Stefania ti prego, esci da questo corpo…» Stefania era cambiata, ma restava sempre la solita testarda. «Non la temo, quel lavoro mi serve, e poi, me la caverò! Ricordatevi chi sono…» Sophie sorrise rassegnata. «Già, in un tempo nemmeno troppo lontano non avrei avuto dubbi su chi tu fossi, ma ora…» non riuscì a portare a termine il discorso poiché nel locale fece il suo ingresso Max. Era entrato alla ricerca di qualcuno e dopo qualche secondo aveva incrociato lo sguardo di Sophie. «Oh, ragazze!» esclamò quando fu in prossimità del loro tavolo. Stefania era saltata in piedi quasi sull’attenti. «Ciao! Che bella sorpresa, che ci fai qui?» «Passavo da queste parti per un lavoro, un cliente, quando mi sono ricordato del vostro appuntamento del martedì…» una breve pausa prima di continuare: «non vi dispiace se mi unisco a voi per un caffè?»


38 Quell’atteggiamento mieloso che ostentava faceva venire il vomito a Sophie, che in realtà non aveva creduto nemmeno per un istante alla scusa del cliente. «Ragazze?» chiese Stefania, dietro un sorrisino angelico. «Ma certo!» rispose la prevedibile Giada, alla quale in effetti andava sempre tutto bene. «Accomodati pure…» disse Sophie, con una punta d’ironia. «Grazie!» «Max, ho raccontato alle ragazze del lavoro, sono felici per me…» Sophie alzò gli occhi al cielo, cercando di ricordare il momento in cui Stefania aveva potuto cogliere la loro gioia per quella scelta. Era confusa, la sua amica doveva essere sotto l’effetto di una stregoneria, o avere subìto un trapianto di cervello, perché quella ragazza non c’entrava niente con Stefania. Ordinarono i loro caffè e quando Max guardò l’ora, Sophie sperò che fosse giunto per lui il momento di andare, ma capì di essersi sbagliata quando lo vide abbracciare Stefania. Poi, senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Sophie, Max disse: «Stefania, non volevamo chiedere una cosa a Sophie?» Sophie sgranò gli occhi. «Giusto!» esclamò lei «ecco, pensavamo che non sarebbe male se fossi proprio tu ad affittarci un bilocale alla tenuta…» Sophie era sbiancata. “Ma che faccia tosta” pensò guardando il viso soddisfatto di Max. «Non ci avevo pensato…» non lo aveva fatto perché la loro convivenza era l’ultimo dei suoi desideri, inoltre, in più di un’occasione aveva sperato che Stefania potesse aprire gli occhi, ma purtroppo Max era un uomo convincente e manipolatore. «Allora?» Stefania non stava nella pelle e Sophie doveva ammetterlo, non l’aveva mai vista così felice. Era preoccupata per lei ma se avesse abitato alla tenuta, avrebbe potuto tenerla d’occhio. «Ok!» decise infine «datemi il tempo di parlarne con mio padre, devo verificare che non li abbia impegnati tutti con i ragazzi dell’università…» Stefania era al settimo cielo, tutti i suoi progetti stavano prendendo forma. «Max, hai sentito? Avevi ragione tu, dovevamo chiederglielo prima!»


39 Sophie non aveva smesso di tenerlo d’occhio, pronta a cogliere qualunque atteggiamento poco convincente, ma lui era stato impeccabile. «Grazie Sophie, te ne siamo infinitamente grati…» “Troppo mieloso… così mieloso da sembrare falso” pensò lei. «Bene ragazze, si è fatto tardi, il lavoro mi chiama» si alzò e baciò Stefania sulla fronte e, con il sorrisino vittorioso di chi ha raggiunto il suo obiettivo, se ne andò. Sophie aveva capito che in quell’incontro, in quella conversazione, non c’era stato nulla di casuale. «Grazie amica mia, mi hai fatto un fantastico regalo… ma perché non te l’ho chiesto prima?!» Sophie si era limitata a uno sguardo imbarazzato per quella scenetta inverosimile, mentre Giada aveva continuato a crogiolarsi nel romanticismo. Lei era felicissima per la sua amica e se doveva dirla tutta, Stefania le piaceva molto più di prima, si era addolcita così tanto da sentirla più vicina alle sue corde. Sophie non perse tempo e la sera stessa, come promesso, ne parlò con suo padre. Claudio, però, aveva colto una nota di preoccupazione nel suo racconto e le chiese spiegazioni. «Non è nulla» spiegò lei «sarà questo repentino cambiamento che non mi convince. Comunque averla qui mi fa sentire più tranquilla.» Tradotto da Claudio, fu più o meno così: «Quel ragazzo non ti piace?» «La verità? Non molto» si sbilanciò «lo trovo un gran manipolatore…» «Sophie! Gli stai muovendo un’accusa forte…» «Lo so, ma è solo una mia sensazione. Mi raccomando, papà, non facciamone parola con nessuno, tanto Stefania in questo momento non vede oltre la punta del suo naso…» Claudio la abbracciò. «L’amore… il problema è che quando ci sei dentro vedi solo quello che vuoi vedere…» «Papà, il problema è che Stefania non ha solo delle fette di salame davanti agli occhi, lei è diventata proprio un’altra persona…» Suo padre le sollevò il viso per guardarla negli occhi. «Ascolta, Stefania non è una bambina, forse ha visto in lui qualcosa che tu non vedi, e se non sarà così, Max diventerà parte delle sue esperienze di vita. Ricorda, non puoi proteggere nessuno che non lo voglia, ed è giusto che sia così!» poi, a sostegno delle ultime riflessioni, continuò:


40 «anche tu sei una bella testarda, dopo la morte della mamma avrei tanto voluto impedirti di montare a cavallo, ma ci sono forse riuscito? Certo che no! E tu avevi appena sei anni. È stato faticoso per me accettare la tua passione, ma non potevo privarti di qualcosa che ti rendeva tanto felice, il mio dolore e le mie paure non dovevano interferire con la tua vita, così me ne feci una ragione.» Sophie si strinse a lui come quando da bambina sentiva il bisogno di essere rassicurata. Claudio era lì, c’era sempre stato, era un padre attento e rispettoso e lei non poteva che essergli grata. «Non ti nego» proseguì lui «di avere ancora una certa apprensione quando esci in passeggiata, non ti nego di aspettare il tuo ritorno con impazienza, ma quando rientri il tuo sorriso radioso mi ripaga di tutte le preoccupazioni.» Claudio le accarezzò il viso. «Resta così bambina mia, e lascia agli altri quella libertà che tanto ami. Stefania proprio come chiunque dovrà affrontare la vita con le sue gioie e i suoi dolori, con le soddisfazioni e i fallimenti. Non sei tu quella che sostiene che è molto meglio una vita fatta di rischi piuttosto che rimpiangere di non aver vissuto?» Sophie annuì, suo padre aveva ragione, le sue erano solo sensazione e solo lei poteva tenerle a freno. Quella chiacchierata con suo padre le aveva fatto bene e l’aveva alleggerita di una buona dose di responsabilità. Il giorno dopo Sophie aveva telefonato a Stefania per comunicarle la buona notizia, Claudio le avrebbe offerto uno dei bilocali più belli della tenuta, con tanto di terrazzino a un prezzo sorprendente. «Non ci posso credere!» esultò Stefania «devo dirlo subito a Max, quando possiamo vederlo?» A Sophie era chiara la gioia dell’amica e si era ripromessa di condividerla mettendo da parte qualsiasi preconcetto. «Quando volete, anche questo pomeriggio. Io sono qui, vi aspetto allora?» «Sì, ci saremo! Grazie Sophie!» un attimo di silenzio, poi cambiando tono proseguì: «ascoltami Sophie, so che Max non ti piace, ma per me è davvero molto importante, mi fa sentire unica. Non so se sia amore o no, mi fa stare bene e io voglio viverlo.» «Capisco…» rispose lei senza troppa convinzione: «senti Stefania, tu sei sicura di non voler far vedere l’appartamento ai tuoi prima di prenderlo?»


41 «Grazie per l’interessamento, ma i miei sono in Grecia e non credo che l’appartamento nel quale andrò a vivere possa essere una loro priorità. Grazie comunque, ci vediamo nel pomeriggio.» «Ok Stefi, a dopo!» La conosceva da tutta la vita e si era sempre domandata come facessero i suoi genitori a partire in continuazione per lunghi viaggi di lavoro o di piacere, lasciandola sempre molto sola. Fin da bambina aveva vissuto più con i nonni e con le babysitter che con i suoi genitori, di cui già allora non parlava molto e per i quali adesso non aveva alcuna considerazione. Con gli anni Stefania era diventata una ragazza piuttosto cinica, poco avvezza ai sentimentalismi, all’apparenza forte e sicura, usava sarcasmo e superficialità per proteggersi dal suo smoderato bisogno d’amore. Forse Max era davvero la risposta ai suoi bisogni, si era ritrovata a pensare Sophie, e se così fosse stato, lei lo avrebbe accettato. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO La 0111edizioni organizza la Seconda edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2019) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.



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