Requiem dell'alba, Gabriele Discetti

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In uscita il /2022 (15,50 euro)

REQUIEM DELL’ALBA

GABRIELE DISCETTI

ZeroUnoUndici Edizioni

Copyright © 2022 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-538-7

Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Settembre 2022

ZeroUnoUndici www.facebook.com/grouWWW.0111edizioni.comEdizioniwww.quellidized.itps/quellidized/

REQUIEM DELL’ALBA

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PROLOGO

Raccontare la storia della propria vita non è mai semplice. Probabilmente la difficoltà più grande sta nello scegliere il momento in cui essa è cambiata, cioè quando ha preso una determinata direzione, voluta o meno, ed è giunta sino a oggi, permettendoci di diventare quello che siamo ora, nel bene o nel male. Eppure, se ci penso, mi sembra così chiaro. La mia vita e quella della mia famiglia sono state segnate da quel maledetto giorno. Perciò concedetemi il tempo necessario per narrarvi la mia storia. Potrebbe essere l’ultima occasione.

«John la vuoi smettere d’importunare tua sorella?» «Ma papà è stata lei a cominciare!» rispondo. «Non è vero! Sei stato tu a tirarmi i capelli!» urla lei. «Perché tu mi hai preso i biscotti» replica lei, piccata. «Fatela finita entrambi!» grida papà, visibilmente arrabbiato. Mia sorella Chloe mi fa la linguaccia, poi mangia il biscotto che mi ha rubato poco prima. Io ne prendo due e li mastico. Quando diventano una bella poltiglia, apro la bocca davanti a lei e gliela mostro. «Ma dai! Che schifo!» esclama Chloe, disgustata. Dopo aver buttato giù tutto, scoppio in una grande risata. «Sei davvero un maiale» mi dice. «E tu una scema!» le ribatto. «Perché non andate fuori a giocare? È una bellissima giornata» dice papà, invitandoci ad andare via poiché stufo dei nostri litigi. «Papà, ma hai dimenticato la promessa?» chiede Chloe. «Quale promessa?» «Ecco appunto!» esclamo.

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«Calma, calma! Non urlare, Chloe» la riprende, poi si volta a guardare me: «E tu, John, quando hai imparato a prenderti gioco di tuo padre in questo modo?»

CAPITOLO 1

«Dovevi portarci al fiume con te per pescare» gli ricorda mia sorella. «Quando avrei detto questa cosa?» «Mamma!» chiamo, ma nessuno risponde. «Non infastidire tua madre» mi dice papà. «È impegnata.» «Dici così solo perché hai paura che venga qui e ti veda senza far nulla» lo canzono io, concedendomi un sorriso. «Paura? Ma che dici?» prova a negare l’evidenza. «Mamma!» grida Chloe.

«Ma la mamma lo dice sempre: “Quel fannullone di tuo padre sta tutto il giorno a perdere tempo. Dovrebbe trovarsi un lavoro serio, invece di stare su quella barca a pescare per quattro soldi”.»

«Eri troppo occupato a fare i tuoi conti per l’attrezzatura da pesca, che hai accettato qualsiasi cosa chiedessero i bambini pur di farli stare zitti. Ricordi ora, Jamal?»

La mamma si concede un sorriso, poi ci mette in guardia: «State attenti e fate quello che vi dice vostro padre, altrimenti vi punisco!»

Mio padre guarda un punto imprecisato di fronte a sé, come se stesse facendo mente locale, poi dice: «Credo di averne un vago ricordo…» La mamma gli dà un colpetto sulla nuca. «È più chiaro, ora?» chiede. «Chiarissimo!» esclama lui. «Comunque non mi sembra una buona «Daiidea.»papà!

Papà scuote la testa. «Oh che bella moglie che ho» commenta, Doposconfortato.alcuni istanti mia madre fa il suo ingresso. «Non urlate, che il piccolo sta ancora dormendo. Chi mi ha chiamata?» chiede distratta. «Noi, mamma!» gridiamo all’unisono io e Chloe. «Cosa c’è?»

«Forza, prendete le esche che ho messo in ripostiglio e andiamo, che si è già fatto tardi» ordina papà.

Papà si ferma per un attimo a pensare. Non ha la faccia convinta. Scuote leggermente il capo. «So già che me ne pentirò, ma va bene. Verrete con me» si convince infine. «Evviva!» Io e Chloe esultiamo felici.

«Questo è un colpo basso. Ma perché non me lo ricordo?»

In un battibaleno siamo tutti e tre sulla porta di casa, pronti per quest’avventura. È la prima volta che papà ci porta con sé. Non vedo l’ora d’imparare a pescare come lui.

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«Prometto di essere bravo per tutto il tempo che saremo sulla barca» asserisco, alzando le mani in segno di giuramento.

«E ti sembra una buona idea, amore?» domanda papà. «No, infatti te l’ho subito detto che eri uno stupido a promettere una cosa del genere ai bambini.»

«Siete troppo iperattivi e litigate in continuazione.»

«È vero che papà aveva promesso di portarci con lui al fiume?» chiedo. «Sì» annuisce.

Ce l’hai promesso!» insisto. «Non è sicuro» ribatte. «Dai papà!» ci riprova Chloe.

«Anch’io!» Chloe imita i miei gesti.

«Però in città ci sono tante cose belle» s’intromette Chloe.

«Quanto ci vuole?» chiedo.

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«Chi può dirlo» si stringe nelle spalle. «A volte delle ore intere…» Chloe lo guarda stralunata. «Ore?! E cosa facciamo nel frattempo?»

«A volte sì, però quando abboccano è una soddisfazione. Meglio stare qui che fare qualche lavoro, senza passione, in città.»

«Ogni giorno che cresci, diventi sempre più indisponente. Mi ricordi tua madre» commenta, ridendo.

Papà annuisce sconfitto. «Ok… ho capito che entrambi avete preso dalla mamma… Mettiamoci subito all’opera, altrimenti oggi non si Sistemamangia.»tre canne da pesca sui tre lati della barca. «Adesso dobbiamo aspettare che qualche pesce abbocchi» spiega.

Chloe fa una smorfia di disgusto. «Non c’è dubbio che non sia una nave da crociera. È tutta sporca!»

«Uffa!«Aspettiamo.»Nonpensavo fosse così noioso!» esclamo. «Cosa credevi? Che abboccassero subito?» sorride della mia ingenuità. Papà ha ragione, avremmo dovuto aspettarcelo; infatti lui resta fuori casa per l’intera giornata. Non sembra essere un lavoro molto «Quindientusiasmante.restitutto il tempo ad aspettare?» gli chiedo. Lui annuisce. «Esatto.» «Non ti annoi?»

Mette in ordine le sue cose, dopodiché slega la corda che tiene la barca attraccata al pontile.

«Non è una nave da crociera, ma fa il suo lavoro» dice sorridendo, mentre noi ci guardiamo intorno per esaminare la situazione.

La barca dista solo una decina di minuti a piedi da casa. Viviamo vicino al fiume, così papà può lavorare tutto il giorno per procurarsi il pesce da rivendere al mercato. Tuttavia la mamma non è mai stata contenta della sua decisione, e preferirebbe che avesse un posto di lavoro più tranquillo e più sicuro, magari in città, così da poter vivere in una casa più «Eccociconfortevole.arrivati. Fate piano quando salite a bordo, e non cadete in acqua; ancora non sapete nuotare» ci avverte papà.

«Neanche tu, papà» gli dico.

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«Non so che fare» gli confesso impaurito. «Fidati di me. Avvolgi piano la lenza, quando senti che tira troppo aspetta, altrimenti si spezzerà. Dobbiamo farlo stancare per poterlo tirare su.» E così dicendo cominciamo a ruotare il mulinello. D’improvviso il pesce strattona la lenza.

Di nuovo non dice nulla. Dopodiché va verso il motore dello scafo e lo fa ripartire senza nemmeno tirar su le canne da pesca. «Torniamo a casa» dice. «Di già? Abbiamo preso solo un pesce!» gli faccio notare.

«Anche tante cose brutte, piccola mia» aggiunge papà. «Quando crescerete, ve ne renderete conto. Ora vedete solo le cose belle, ma il mondo lì fuori sa essere anche dannatamente crudele.»

«Ecco! Allentiamo un po’ la presa e poi riprendiamo a tirare.» Ora gira il mulinello nel senso contrario, come se volesse lasciare andar via la preda. Quando la forza diminuisce, ricomincia ad avvolgere e questa volta riusciamo a spuntarla. Dall’acqua balza fuori un pesce bello grosso. Papà lo mostra trionfante. «Guarda qui cos’hai preso! È enorme!» esclama, con gli occhi che «Siamobrillano.grandi!» urlo, alzando le braccia al cielo. «Anch’io! Anch’io!» dice Chloe. «Il prossimo voglio prenderlo io!» Aveva ragione. Non è poi tanto male pescare. Un’esplosione alle nostre spalle interrompe quel momento di gioia. Non è molto vicina, ma il forte rumore fa volare via uno stormo di «Cos’èuccelli. stato, papà?» chiedo, un po’ timoroso. Lui non risponde. Una nuvola di fumo nero si alza al di sopra degli «Daalberi.dove viene?» domanda Chloe.

Resto sorpreso da quest’affermazione, e non capisco a cosa si riferisca. Si gira verso di noi e nota le nostre facce stranite. «Perdonate vostro padre. Ogni tanto fa finta di essere serio» dice, abbozzando un sorriso D’untirato.tratto la canna alla mia destra comincia a muoversi. «Papà! Ha abboccato!» gli urlo, indicandogliela. «Vieni che lo prendiamo!»

Mi tira verso la canna e mi mette la mano sul mulinello, con la sua appoggiata sopra a farmi da guida.

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«Per oggi può bastare così. Mangeremo altro.» È spaventato, ma non vuole dirci perché. Io e Chloe restiamo in silenzio. Mentre ci dirigiamo verso casa, una canna si tende come se qualcosa avesse abboccato. «Papà, la canna!» grida Chloe, correndo verso di essa per prenderla. «Lasciala stare, Chloe!» le urla papà, ma ormai è troppo tardi. Lei si aggrappa alla canna che viene tirata giù dalla barca, trascinandola in Papàacqua.spegne

Io sono solo.

subito il motore e si getta a recuperarla senza pensarci due volte. Io resto fermo a guardare. Non vedo più nessuno dei due, e la barca si muove ancora per qualche metro in avanti, mentre il motore smette di funzionare. Li cerco con lo sguardo, ma non riemerge nessuno. Terrorizzato, mi accorgo che l’acqua sta diventando nera. Uno strano liquido oleoso si riversa nel fiume, coprendo tutto. Il nero circonda la barca, nasconde il fondale, inghiotte la vegetazione. Tutto Papà…scompare.Chloe… dove siete?

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«Agli ordini, comandante Annie!» Scatto sull’attenti e imito un saluto «Riposo,militare. soldato!» lei sta al gioco. «Datti una lavata e raggiungi tuo Prendo«Saràfratello.»fatto!»imiei

vestiti e mi catapulto in bagno. Una doccia veloce e, in men che non si dica, sono in cucina.

«Siamo in ritardo di dieci minuti!» commenta quasi isterico.

«Sì!» afferma secca lei.

Ma come, è già mattino?

«Non fare lo stupido. Ha l’esame oggi. Lo sai che è un tipo ansioso. Non vuole andare con l’autobus proprio perché ha paura di fare tardi. Quindi corri subito a lavarti e comportati da bravo fratello.»

CAPITOLO 2

«Fammi dormire ancora, mamma.»

«Che vada a piedi» ribatto, rigirandomi nel letto e nascondendomi sotto al cuscino per coprire la luce che proviene dalla finestra, che lei ha aperto per costringermi ad alzarmi.

Ci penso su qualche minuto. «Devo proprio?» domando, nella vana speranza di ricevere una risposta negativa.

Non mi resta che cedere. Con un briciolo di forza di volontà tolgo le coperte ed esco dal letto. «Quanta pazienza che ho» commento ridendo e stropicciandomi gli occhi.

«John svegliati!»

«È la quarta volta che ti chiamo.»

«Farai tardi al lavoro, e devi anche accompagnare tuo fratello a scuola.»

«Con calma, fratello. Vivi la vita più tranquillamente.»

«Ah! Ce l’hai fatta!» mi dice Nabil.

«Poverino!» mi canzona. «Dai muoviti, altrimenti Nabil inizia a spazientirsi. Sarebbe capace di andare davvero a piedi pur di non aspettarti per altri cinque minuti.»

«Però l’ho superato in modo brillante» ribatto. «Ma sei hai preso a stento la sufficienza!» insiste lui, guardandomi «Massimosconvolto. risultato con il minimo sforzo.» Gli concedo un occhiolino.

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«Lo «Allaso.»faccia della modestia, Nabil.»

«E qui ti sbagli» gli faccio notare. «Ha ragione John» s’inserisce mia madre, che fino a quel momento era rimasta ad ascoltare dal salotto. «Dovresti mangiare qualcosa.»

Salutiamo la mamma e usciamo. Saliti in auto, metto in moto e partiamo. Nabil agita la gamba con fare nervoso. Forse dovrei dirgli qualcosa per aiutarlo a stemperare la tensione. «Sai, non è poi così tragica» esordisco.

«Lo chiamerei più fare il minimo indispensabile.» «Sei troppo pignolo, fratello caro.»

Scuote la testa. «Tu sì che sai come tranquillizzarmi.»

«La«Cosa?»situazione. Vivila più serenamente.»

«Ne discuteremo dopo. Vogliamo andare, sì o no?» domanda, scuro in viso e sull’orlo di una crisi di nervi. Annuisco, divertito. «Sì, va bene.»

«Perché, a differenza mia, tu non volevi continuare gli studi all’università» sottolinea Nabil.

«Non c’è di che, fratellino» gli dico, mentre siedo a mangiare. «Hai fatto «Assolutamentecolazione?»no. Ho già lo stomaco sottosopra, figuriamoci se mi metto a pensare al cibo.»

«Tu? Ma se sei il migliore della classe, anzi della scuola.»

«Che saranno mai… Devi solo fare un esame da cui dipende la tua possibile iscrizione all’università, e quindi segnerà il resto della tua vita. Niente di serio.»

«E se dovessi fallire?»

Butto giù la colazione in fretta. Non ce la faccio a vederlo così terrorizzato. «Ho finito» gli dico dopo un minuto scarso. «Andiamo, prima che salga l’ansia anche a me. Non ricordo di essere stato così impaurito quando è toccato a me.»

«Lo farò quando sarà tutto passato.»

Andare via da qui? Non ci ho mai pensato sul serio. Di tanto in tanto mi balena quest’idea per la testa, ma la scaccio subito via. Per quanto le cose non funzionino, questa è pur sempre la mia casa. Ho un lavoro, una famiglia e la salute. Cosa mi manca? Forse una persona con cui condividere la vita, ma per quella c’è ancora tempo, non ho bisogno di «Ciaocorrere. John!» mi saluta una donna mentre parcheggio l’auto, destandomi dai miei pensieri.

«Davvero?» mi domanda sorpreso, scrutandomi a lungo. «Non ti ho mai visto preoccupato per un esame o altro.»

Mi stringo nelle spalle. «Solo perché sono bravo a nasconderlo.» «Insegnami allora!»

«Ciao Maryam» le rispondo dopo averla riconosciuta. «Tutto bene?» mi domanda. «Sembravi come in trance.»

«Scusami, ero distratto. Stamattina mi sono svegliato presto e sono ancora «Infattiassonnato.»èstranovederti già al lavoro a quest’ora» sorride.

«Avrei preferito dormire ancora un’altra mezz’ora» scendo dall’auto.

Il traffico è sempre assurdo, complice la scarsa manutenzione delle strade. Sono passato per cinque incroci e nemmeno uno dei semafori era funzionante. Quanto vorrei vivere in una città dove tutto funziona, magari in qualche Paese europeo.

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«In bocca al lupo, fratellino. Dai il tuo meglio.»

«Scusa, non volevo dire questo. Sono consapevole di essere capace, ma è più forte di me. In queste situazioni l’ansia ha il sopravvento. Puoi dirmi qualsiasi cosa, sarò sempre terrorizzato.» «Ti capisco» annuisco, guardando la strada. «Ammetto di essere anch’io vittima di ansia qualche volta.»

«Se solo sapessi farlo» ridacchio. «Non sei di aiuto, John.»

«Crepi il lupo. Ci vediamo stasera, se non sarò morto d’infarto.»

Scende dall’auto e fila dritto verso l’ingresso. Io mi rimetto in viaggio verso il lavoro.

«Come darti torto, ma intanto sono riuscito a distrarti e a fermare la tua gamba che si muoveva all’impazzata. Inoltre siamo arrivati, questa è la tua Nabilfermata.»sigira alla sua destra e si rende conto di essere già davanti alla scuola. «Non me n’ero accorto» confessa.

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«Dai, almeno ci facciamo compagnia prima di cominciare il turno.» «Questo non mi dispiace» le dico, e lei sorride di rimando. Non mento. È davvero un piacere stare in sua compagnia. Ho tanti colleghi fastidiosi, lei è l’unica con cui poter scambiare quattro chiacchiere in libertà.

«Come mai ti sei alzato presto?» mi chiede, e nel frattempo ci incamminiamo verso gli uffici. «Ho accompagnato mio fratello a scuola.» «Ha gli esami, giusto?»

Rifletto alcuni istanti sulle sue parole, c’è del vero in quello che dice. «Va bene i giochi, gli amici e tutte le cose belle» concedo «ma lo studio? Mi vengono i brividi solo a vedere i libri di mio fratello. No, grazie Maryam. Per me è stato abbastanza diplomarmi. Di studiare non ne voglio più sentir parlare» scuoto la testa, come a scacciare «Ioquell’idea.riprenderei anche subito!»

«Che«Sì.» bello!» esclama lei. «Cosa?» mi stupisco del suo entusiasmo. «Gli esami e la scuola. Quanto mi mancano!» commenta con aria felice e «Dicinostalgica.sulserio? Io non rimpiango per niente quei giorni» ridacchio. «Come puoi dire una cosa del genere, John?» mi guarda sconcertata. «È uno dei periodi più belli della vita. La spensieratezza dei giorni in cui eravamo dei bambini non tornerà più. I giochi, i compagni di classe, gli amici, lo studio, i professori, il crescere tutti insieme. Se solo ci ripenso, mi viene da piangere» scuote la testa e fa per toccarsi l’angolo dell’occhio, come se avesse una lacrima affacciata lì. «Quando si diventa grandi, tutte queste cose sono perse per sempre. Restano solo nei nostri ricordi.»

Resto senza parole. Non so che dirle e alla fine mi limito a salutarla, poiché le nostre strade si dividono una volta giunti all’ingresso. Sono stato uno sciocco. Avrei dovuto immaginare che Maryam non aveva le possibilità economiche per continuare gli studi dopo il

«Perché non lo fai?» le chiedo senza pensare alla più ovvia delle «Adrisposte.avercene di soldi per studiare» mi risponde. «Di certo non sarei qui a pulire cestini e a lavare le stanze di questo palazzo.»

«Ti ringrazio per i tuoi consigli amorosi, Salim, ma non ne ho bisogno al momento. Sto bene come sto.»

«Nonostante tutto, cosa?» incalza lui.

«Perché non sto mai zitto?» mi domando ad alta voce mentre mi cambio nello spogliatoio, credendo di essere da solo. «Non chiederlo a me» dice qualcuno alle mie spalle, facendomi voltare di scatto per la paura.

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Lo guardo sconvolto. «Non essere sciocco, Salim. Non ci penso proprio a chiederle di uscire insieme. Cos’ha da offrirle un addetto alle «Be’,pulizie?»fate lo stesso lavoro…»

«Credo di sì…» gli confesso. «È successo qualcosa?»

«In che senso?» gli chiedo, stupito da quella strana affermazione. «Si vede lontano un miglio che ti piace.»

diploma. Mi sono accorto fin dal nostro primo incontro di non essere di fronte a una donna qualunque. Intelligente, simpatica e carina. Di primo acchito mi sono subito chiesto cosa ci facesse una come lei in questo posto, tuttavia è così chiara la motivazione. Lavora qui per la mia stessa ragione: i soldi. Ne abbiamo tutti bisogno per vivere, e forse lei ne ha più necessità di altri.

«Ciao «BuongiornoSalim.»John. Tutto bene?»

«Me ne sono accorto. Mi sei passato di fianco e non hai nemmeno risposto al mio saluto. Parlavi da solo?»

«Nulla di grave, ma credo di aver fatto una brutta figura con Maryam.» «Chi? Quella ragazza carina che pulisce il secondo piano?» mi domanda, ma è chiaro che sa già la risposta. «Indovinato» annuisco.

«Ahia! Allora è grave davvero. Te la sei giocata.»

«Sì, scusami non ti avevo visto.»

«Nonostante tu abbia la testa solo per dividere le orecchie» gli dico e «Va’rido. al diavolo John!» esclama infastidito. «Almeno io non ho paura di prendere l’iniziativa con una donna.»

«Sì, ma lei è su un altro livello. Se tu le parlassi, anche solo per un minuto, te ne renderesti conto, nonostante tutto…»

«Come desideri, John. Tieni questo e andiamo» dice, avvicinando a me il carrello per le pulizie.

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Uscito dall’ascensore inizio il mio solito giro. Ieri c’è stato un gran trambusto per non so quale ragione, e hanno richiesto per oggi pulizie straordinarie, approfittando del fatto che sono tutti a casa.

«Inizia un’altra splendida giornata» commento io. Con la mia attrezzatura salgo in ascensore e mi dirigo all’ultimo piano, quello dei pezzi grossi. Non so se sia una fortuna pulire gli uffici dei più alti funzionari. Qualche collega ha confessato d’invidiarmi, ma mi è sembrato così assurdo. In fin dei conti sporcano e fumano come qualsiasi altro dipendente di questo palazzo, anzi oserei dire di più. Sarà proprio il ricoprire ruoli di spicco a renderli più arroganti, spocchiosi, superbi e menefreghisti nei confronti dei loro sottoposti. Perciò quale onore può esserci nel pulire i loro luoghi di lavoro?

«Sì, lo ricordo. Ma credi che interessi davvero a qualcuno delle conseguenze? Una tangente di qualche milione e ammazzerebbero i loro stessi figli» risponde l’altro.

«Ti darò un consiglio da amico: tieni la bocca chiusa, se ci tieni alla tua vita e a quella della tua famiglia. Sai meglio di me che fine fanno quelli che vogliono giocare a fare gli eroi in questo Paese.»

La giornata non potrebbe andare meglio. Con nessuno fra i piedi posso muovermi liberamente, svuotare i cestini e passare lo straccio bagnato a terra senza che qualcuno passi subito lì dove ho appena lavato.

«Se non facciamo qualcosa, rischiamo un altro incidente. Ricordi cos’è successo l’ultima volta?» chiede un uomo.

«Non ci riesco» confessa, singhiozzando.

«Inconcepibile. Stiamo distruggendo tutto.»

«Problemi tuoi. Io non ne voglio sapere nulla. Ora vado via, prima che ci veda qualcuno.»

Eppure sento delle voci provenire dall’ufficio in fondo al corridoio. Dunque deve esserci qualcuno, nonostante tutto. Mi avvicino incuriosito alla porta socchiusa, cercando di non fare il minimo rumore, e resto in ascolto.

Devo correre a nascondermi. Raggiungo il carrello che ho lasciato all’inizio del corridoio, prendo lo straccio e m’infilo nel primo ufficio. Nella tasca ho un paio di cuffie che metto alle orecchie, fingendo di ascoltare musica, anche se non ho nemmeno il cellulare con me. Metto

L’altra persona esce dall’ufficio e mi si avvicina. «Perdonalo. Non è molto educato» dice, indicando l’altro ormai lontano con un cenno del «Simento.figuri signore. Non è un problema.»

«Mia madre è d’origine britannica» gli confesso. «Ecco spiegato il perché. D’altronde anch’io ho un nome come il tuo. Piacere, Earnest.» Allunga la mano, attendendo una stretta da parte mia.

«Un«John.»nome tipicamente inglese» nota lui.

«Finisci sempre la frase con signore?» «Sì, «Comesignore.»tichiami?» mi chiede.

il jack delle cuffie in tasca, sperando basti per simulare la presenza di un L’uomotelefono.passa e si accorge di me. Mi fissa, ma io continuo a lavorare e muovo la testa a tempo di musica, come se non l’avessi nemmeno visto. Passa un intero minuto a guardarmi, poi va via. L’ho scampata davvero per poco. È uno di quei classici momenti in cui sei nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non avrei dovuto ascoltare quella conversazione. D’improvviso, i miei pensieri vengono cancellati da un tocco sulla spalla. Mi giro ed è ancora lui. Mi fa segno di togliere le cuffie. «Buongiorno» gli dico.

Va via senza neanche salutare. Ecco dimostrata l’arroganza di cui parlavo. Non sa il mio nome, non sa come lavoro e minaccia di licenziarmi. Grazie mille. Che poi di cosa stava parlando con l’altro tizio? Un possibile incidente, tangenti, corruzione. A cosa si riferiscono? Sarà meglio non indagare. Se quello lì rischia la vita, figuriamoci se sia un problema togliere di mezzo un addetto alle Vadanopulizie. tutti al diavolo, tanto lo sanno tutti che sono dei venduti. Nessuno ha a cuore la vita o il futuro degli altri, a meno che non si tratti della propria famiglia.

«Volevo dirti solo di pulire per bene, perché gli uffici sono ridotti male. Mi raccomando, fai il tuo lavoro oppure te ne torni a casa.» «Certo signore» rispondo semplicemente.

«Vuoi dire che ci sei abituato?» mi domanda. «Oramai sì, signore.»

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«Fa nulla. La prossima volta, però, non voglio sentirla più.» «Va bene.»

Chiudi la bocca per una volta, John. Lo lascio andare via senza aggiungere altro.

La prendo e noto che non è nemmeno sigillata. Dentro c’è un foglio e un messaggio dalla grafia pessima, forse perché è stato scritto in fretta.

C’è solo un modo per saperlo. Riprendo l’ascensore, incrociando per un attimo Salim. «Ehi, John, dove vai? Non hai ancora finito?» mi chiede. «Ho dimenticato il cellulare su» gli rispondo in fretta, senza fermarmi.

Mi punta un indice contro. «Chiamami Earnest, ti prego. Non dire più quella Sorridoparola.»eannuisco. «Buona giornata, signor Earnest.»

«Mi ha fatto piacere conoscerti, John. Ora devo andare via. Grazie per il lavoro che fai. Buona giornata» mi saluta, concedendomi un sorriso. «Buona giornata a lei, signore.»

Mi sorride e mi accorgo che ha gli occhi lucidi. Mi ricordo che poco prima l’avevo sentito singhiozzare. Sarebbe troppo pericoloso chiedergli di cosa parlassero.

Finisco la mia giornata di lavoro e ritorno allo spogliatoio. Rimettendo a posto il carrello, mi accorgo che la punta di quella che sembra essere una lettera sporge da sotto il secchio.

Mi accorgo di averla detta lo stesso e lui inizia a ridere. «Mi scusi» dico.

Cosa sarà mai? Come mai non l’ho vista prima?

Titubante contraccambio.

“Ti ho visto che origliavi, ma non preoccuparti non ti succederà nulla. La mia vita, invece, è in pericolo. Se hai a cuore questo Paese, vai nel mio ufficio. Ho lasciato una cartellina sulla mia scrivania. Prendila e fanne nascere ciò che vuoi. Dipende solo da te.”

Possibile che l’abbia scritta Earnest per me? Forse sto viaggiando con la fantasia. Potrebbe essere la lettera di chiunque indirizzata a chissà chi. Però se fosse vero?

Guidando verso casa, la suoneria del mio telefono mi fa sobbalzare dalla paura, tuttavia è soltanto mio fratello.

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«Grande!«Sì.»

Senza indugio la prendo, la nascondo sotto i vestiti e con passo felpato ritorno giù. Mi cambio e in meno di dieci minuti sono fuori, raggiungendo in un lampo l’auto. Meglio essere lontani il prima possibile, per evitare d’insospettire qualche occhio indiscreto. Ho evitato pure d’incontrare Salim, che di certo è un grande amico, ma spesso troppo impiccione.

«Sì, ho finito. Quanto tempo vuoi farmi aspettare ancora qui?» «E com’è andata?» gli chiedo, ansioso di conoscere il risultato. «Come vuoi che sia andata? Ovviamente bene!» risponde lui, saccente. «Sei sempre il solito. Il migliore della scuola?»

Arrivo subito, traffico permettendo.» Riaggancio. Almeno a uno di noi due la giornata è andata bene, fratellino. Per giudicare la mia devo aspettare di capire in che guaio mi sto cacciando. Tuttavia, se brucio la lettera e la cartellina nessuno verrà mai a sapere che sono stato io a prenderla. Come potrebbero scoprirmi? Ma se Earnest confessasse sotto tortura? No, sto impazzendo. Non so cosa ci sia in quella cartellina, potrebbe essere tutto uno scherzo. Un ragazzino mi fa segno con la mano. È Nabil, quasi non lo riconoscevo. Sto dormendo a occhi aperti. Mi fermo poco distante da lui e sale in auto. «Pensavo stessi tirando dritto» mi dice. «Sei sempre pronto a fare scherzi, non perdi occasione.»

Raggiungo l’ultimo piano, imbocco il corridoio assicurandomi che non ci sia nessuno nei paraggi. Apro la porta e, com’era scritto nella lettera, la cartellina è proprio lì.

«Di già?»

«Eh sì…» commento, cercando di controllare il tono nervoso della mia Qualevoce. scherzo, Nabil. Se solo sapessi cosa mi è successo, capiresti perché non ti avevo visto.

«Carissimo Nabil, quale lieta novella porti?» gli domando, mascherando la tensione che mi ha assalito nell’ultima mezz’ora. «Vieni a prendermi?»

«Mah! Credo ingegneria.»

Nabil sorride. «Grazie, papà.»

«Se la metti così, però, sembra brutto» nota lui.

«Hai la faccia bianca. Tutto bene al lavoro?» mi chiede, dopo avermi scrutato per alcuni istanti.

«Lo è. Io ti odierei profondamente fossi in loro.»

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«Non volevi iscriverti a medicina?»

«Forse perché sei un immaturo.»

«Ho cambiato idea» risponde secco.

Annuisco e sospiro. «Sì, certo. Sono solo stanco. Ma perché non parliamo di te che hai umiliato tutti i tuoi compagni di classe?»

«Ok. A ogni modo hai ancora tempo, riflettici bene» gli consiglio. «Lo Dopodichéfarò.» cala il silenzio. Nabil starà pensando al futuro, a cosa gli si prospetta nella vita, se farà l’una o l’altra scelta universitaria. Io invece sono più pratico. Devo pensare all’immediato, ad aprire quella cartellina, vedere cosa c’è all’interno e cosa fare di conseguenza.

«Che bastardo, volevo dirglielo io!» s’infuria. «Non mi piace aspettare per vendicarmi. Meglio farlo subito o me ne dimentico» sussurro, facendogli l’occhiolino.

«Sì, ma non spifferare tutto subito. Facciamoli tribolare per un poco.» «Tribolare? Non è che vuoi iscriverti a lettere e diventare uno scrittore?» gli chiedo, prendendolo in giro. «Sempre meglio che accontentarsi di fare l’addetto alle pulizie.»

«No, Nabil. Sono solo più sincero degli altri. Comunque ora hai libera scelta dell’università. Qualche idea?»

Sento i passi della mamma che accorre. «Bravissimo!» grida entusiasta e lo abbraccia. «Jamal vieni qui.»

«Arrivo!» si sente la voce di papà che si avvicina. «Ho sentito l’urlo di John. Complimenti, Nabil! Ora nulla ti è precluso. Puoi scegliere ciò che più desideri fare nella tua vita.»

«Questa me la segno» lo minaccio, puntandogli l’indice contro il viso. Apro la porta di casa e subito mi vendico: «Mamma!» urlo. «Nabil è stato il migliore!»

«Sembra quasi tu stia nascondendo qualcosa» dice d’un tratto Nabil. «Io?» gli concedo una rapida occhiata. «Ma figurati. Non sono capace di mentire, vuoi che riesca a mantenere un segreto? Non essere sciocco. Dai, che siamo arrivati. Andiamo a dare la bella notizia.»

Esco di scena e mi chiudo in stanza. Tiro fuori dai vestiti la cartellina. Solo ora mi accorgo che è davvero leggera. La apro e dentro c’è un solo foglio. Bianco. «Ma che cavolo è? Uno scherzo?»

Lo sfilo dalla cartellina. Effettivamente c’è solo questo. Infuriato lo giro e trovo un messaggio. Un indizio semplice e al tempo stesso Sentocrudele.una fitta al cuore, come un coltello che mi trapassa il petto. Nero su bianco è scritta una data: 5 aprile 2010. Perché? Perché proprio quel giorno? Lo stesso in cui è morta mia sorella.

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Bello partecipare a questa manifestazione di affetto familiare, ma la mia testa è altrove. Devo andare via con una scusa plausibile e aprire la «Iocartellina.vadoa darmi una ripulita» m’intrometto nella gioia comune. «Sì John, vai. Sarai stanchissimo. Hai una faccia distrutta» dice «Sìmamma.èvero. È stata una giornata dura.»

CAPITOLO 3

Colto dalla paura, aveva dimenticato di tirare su le canne da pesca e mia sorella si aggrappò a una di esse, credendo che qualche pesce avesse abboccato. In realtà, la lenza si era solo impigliata in qualche rifiuto sul fondo del fiume.

Il 5 aprile 2010 mi trovavo in barca con mio padre e mia sorella Chloe. Stavamo pescando, quando un’esplosione rovinò la nostra tranquilla uscita in famiglia.

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Chloe fu trascinata a fondo con la canna. Purtroppo non sapeva nuotare, e lo stesso valeva per me e mio padre. Nonostante tutto lui si lanciò in suo soccorso, come avrebbe fatto qualsiasi genitore. Il suo tentativo fu comunque inutile, perché quando il destino si accanisce, sa essere davvero L’esplosionecrudele.che

avevamo sentito poco prima, veniva da una conduttura di petrolio di uno stabilimento poco lontano da casa nostra. In pochi minuti, tonnellate di liquido nero oleoso si erano riversate nel fiume, inghiottendo anche mio padre e la mia povera sorella. Furono i minuti più lunghi della mia vita. Restai da solo sulla barca per un quarto d’ora, credo. Mio padre spuntò fuori dall’acqua senza più fiato, tutto ricoperto di nero. Nonostante il liquido non permettesse di vederlo bene in viso, riuscivo chiaramente a distinguere le sue lacrime e la disperazione per non essere riuscito a salvare TrovammoChloe.mia sorella due giorni dopo, sulla riva del fiume, a circa un chilometro da dove l’avevamo perduta. Quella tragedia ha cambiato in modo radicale le nostre vite. Mio padre abbandonò il fiume, ma fu una scelta obbligata. L’incidente aveva rovinato per sempre le acque, la vegetazione e la fauna del luogo. Non

A quel tempo non avevo idea di cosa fosse successo, ma mio padre lo sapeva bene, quindi mise in moto il motore per allontanarci il più in fretta possibile, raggiungendo il punto d’attracco più vicino, cioè il pontile dinanzi la nostra vecchia casa.

c’era più nulla lì da pescare. Inoltre, ogni volta che vedeva la barca, scoppiava in lacrime.

Fu così che ci trasferimmo in città, a Port Harcourt per la precisione. Mio padre si trovò un lavoro più sicuro, come aveva sempre desiderato la mamma, divenendo un operaio della stessa società che amministrava lo stabilimento dove qualche anno prima era esplosa la conduttura. Lui l’ha visto come segno. Avrebbe vigilato affinché in futuro non capitassero tragedie come la nostra. Io, però, non l’ho mai accettato. Lavorare per chi ha ucciso tua figlia. Come puoi farlo, papà?

L’ultimo giorno nella vecchia casa, papà decise di darle fuoco. Non sopportava più la sua vista.

La mamma ha reagito in maniera diversa alla morte di Chloe. È come se non fosse mai esistita. Non ne parla mai, e quando qualcuno la nomina lei fugge, come se si parlasse di un’estranea. Anche tu, mamma, come hai potuto cancellare Chloe? Nabil invece era troppo piccolo. Ricorda vagamente la sorella e non ha problemi a parlare della sua scomparsa. Solo con lui sono libero di Ora,menzionarla.dopotanti

anni, la lettera di quell’uomo riporta alla mente la tua morte, Chloe. Sono qui davanti alla tua tomba, l’unico luogo dove la mamma viene ancora e si ricorda di te. Lei ha trovato conforto nella religione e papà lo stesso. Io non ci riesco. Può mai esserci un senso in tutto questo? Quale assurdo piano di quale fantomatico Dio prevede la morte di una bambina innocente in un modo così crudele? Se esiste un Dio del genere, io non voglio averci a che fare in alcun modo, figuriamoci venerarlo e ringraziarlo per il male che permette ogni giorno in questo mondo ingiusto. Sapevo che la morte di Chloe non sarebbe mai caduta nell’oblio. Nulla accade per caso. Dovevo essere in quell’ufficio oggi e prendere quella cartellina. Non ho altri indizi, ma è chiaro che l’incidente è legato a qualcosa di più grande e voglio scoprirlo. Troverò i responsabili e gliela farò pagare per il dolore infertomi.***

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Io annuisco e lui mi accarezza la spalla destra. Mio fratello intuisce dove sia andato, pur non avendo sentito le sue parole, ed evita di aggiungere altre sciocchezze.

Si sposta in cucina e io approfitto per tirare un sospiro di sollievo. Non poter parlare di Chloe in sua presenza è davvero una tortura, ma non voglio procurarle altro dolore.

«Scusa mamma, sono stato…» mi fermo un istante, perché non voglio nominare Chloe davanti a lei «da un amico. Avevo dimenticato di restituire a Salim il camice.»

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Mi siedo tra lui e papà, il quale avvicina la sua bocca al mio orecchio: «Sei andato da lei?»

«Certo! Dobbiamo festeggiare il risultato di Nabil come augurio di un radioso futuro» risponde papà.

«John, tutto bene?» mi chiede mamma appena chiudo la porta di casa. «Sei uscito così di fretta. Dove sei andato?»

Cala il silenzio, rotto solo dall’arrivo di mamma. «Eccomi. Stasera mangeremo Moi Moi1 e riso al cocco con gamberi» esordisce, poggiando sulla tavola così tanti piatti da chiedermi come abbia fatto a portarli in una sola volta con sole due braccia. «Wow!» esclamo. «C’è una festa?»

«Scusatemi per il ritardo.»

«Ero da un collega» rispondo secco, senza guardarlo. «A fare cosa?» insiste ancora lui. «A parlare di scope?» «E di palette» aggiungo, non cadendo nella sua provocazione, così subito demorde.

«Finalmente sei tornato!» esclama Nabil. «Dove sei stato tutto questo tempo? Ho una fame esagerata.»

«Ma non ne hai uno tuo?» domanda.

1 Budino di fagioli al vapore. Piatto tipico della Nigeria (NdE).

Lei ci pensa su qualche secondo di troppo. «Va bene» dice infine, chiudendo per fortuna l’argomento, poi aggiunge: «Vai pure in salotto. Papà e Nabil sono già di là. Aspettavamo solo te per cenare.»

Certo che sì, mamma, questa è una scusa. Cerca di non insistere… «Si è macchiato di caffè prima che iniziassi il turno. Ne aveva uno in più e me l’ha prestato. Però non volevo abusare della sua gentilezza e gliel’ho ridato subito.»

«Mi basta solo vedere le notizie, puoi anche togliere l’audio» insiste papà e alla fine lei cede.

«Sì…» mi riscuoto. «È solo che l’ho visto proprio oggi. Pensare che sia stato ucciso mi mette i brividi… Era una persona così gentile.»

«Incredibile. Hanno ucciso anche la sua famiglia» mia madre scuote la testa e poi si volta verso di me. «Tutto bene, John? Sei diventato Hobianco.»ilcuore che batte all’impazzata. Rileggo più volte quelle parole a caratteri cubitali: EARNEST GOODLUCK TROVATO MORTO IN CASA CON LA EarnestFAMIGLIA.èmorto, proprio come aveva predetto il tizio con cui parlava. Mio padre mi stringe la mano. «John, ci sei?»

«Sì, era l’unico di cui ci si poteva fidare in mezzo a tutti quei corrotti» aggiunge mio padre. «L’avranno voluto far tacere per sempre e lanciare un monito per tutti quelli come lui.»

Era da un po’ di tempo che non passavamo una serata spensierata e gioiosa come questa. Tra il mio lavoro, quello di papà e gli studi di Nabil, a stento riuscivamo a cenare insieme. Mi mancava stare in famiglia così.

In un attimo compaiono le immagini in TV e le poche parole in sovrimpressione al telegiornale mi fanno gelare il sangue nelle vene. «Hai visto chi è morto?!» grida papà. «Lo vedo. Non c’è bisogno di urlare» gli dice mamma. «È stato sicuramente ucciso» commenta Nabil.

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«Non è la prima volta che succede, John, e non sarà l’ultima» commenta. «Si è sempre occupato dell’ambiente e sai meglio di me

«Come parli forbito» lo prende in giro mamma.

«Annie potresti accendere la TV sul canale del notiziario?» chiede papà. «Non sono riuscito ad avere un attimo per sentire le novità.» «È proprio necessario?» chiede mamma. «Siamo tutti insieme, che ci serve sapere cosa accade fuori di qui?»

«Ah! L’ego di vostro padre è smisurato» commenta mamma, alzando gli occhi al cielo e provocando l’ilarità di tutti.

«Infatti è tutto merito mio se Nabil è intelligente» commenta, pentendosene subito a causa dell’occhiataccia che mamma gli lancia. «Sbaglio o lei era migliore di te a scuola?» gli faccio notare. «Solo perché io avevo tutti geni in classe che mi facevano sfigurare» si difende lui.

Una volta a letto mi ritrovo a elaborare intricati piani per scoprire informazioni. Domani ci sarà un gran movimento di persone nell’ufficio di Earnest. Infilarsi per trovare indizi è fuori discussione, ma in fondo cosa ho in mano? Nulla. Solo una data. Ma lui non poteva sapere che valore avesse per me. Contava su di me per far uscire dal suo ufficio delle notizie. Tuttavia, non capisco perché lasciarmi solo un indizio insignificante. Che sia una traccia? Ma dove devo cercare? Non potevi essere più chiaro, dannato Earnest? Devo fare tutto da solo. Fossi stato in lui avrei dato un percorso, un sentiero da seguire, invece brancolo nel buio.

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quanti affari loschi ci siano in questo Paese. Tanti da far sì che chiunque metta i bastoni tra le ruote alle grandi società, sia ucciso senza «Mapietà.»cosa può aver mai fatto?» chiede con tono innocente mio fratello. «Meglio non saperlo» chiosa mia madre, con mio padre che annuisce. No, mamma! Io voglio saperlo. Voglio capire cosa c’entra quella maledetta data con la morte di Earnest oggi. Non mi fermerò fino a quando non troverò i responsabili della morte di Chloe. Dovessi impiegarci un’intera vita, avrò la mia vendetta. La notizia dell’omicidio passa in secondo piano e ritorniamo a cenare come prima, con me che fingo di aver dimenticato l’accaduto, ma in realtà il mio pensiero è fisso sulle prossime mosse da fare.

Sarà meglio dormire e incrociare le dita per un colpo di fortuna domani.

Arrivato a destinazione, mi rendo conto di aver pronosticato l’inevitabile futuro. Il palazzo brulica di poliziotti. Faccio finta di nulla, e mi reco come al solito agli spogliatoi. Salgo in ascensore per raggiungere l’ultimo piano. Aperte le porte, un uomo in divisa mi blocca la strada.

Quanto avrò dormito? Credo due o tre ore al massimo. Che nottataccia. Senza troppi convenevoli saluto mia madre, mi vesto ed esco per andare al lavoro, come ogni mattina da ormai due anni.

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CAPITOLO 4

Solo la domenica posso riposare, e lo faccio per tutta la giornata. Mamma tenta ogni volta di convincermi ad andare a messa, ma fallisce sempre. Sono un tipo testardo, fermo nelle mie decisioni. Difficilmente cambio idea, eppure lei non demorde mai.

«Si fermi! Questo piano è sotto sequestro della polizia. È pregato di ritornare indietro» mi dice. «Mi scusi, ma io ci lavoro qui. Mi occupo delle pulizie» cerco di «Nongiustificarmi.sipreoccupi. Ha il permesso di tornare a casa, oggi non è tenuto a Lolavorare.»guardo stranito. «Dice sul serio?» «Signorsì. Vada pure.» Senza indugiare, preme il tasto dell’ascensore per farmi ritornare giù. Tanto meglio. Sapevo di non poter concludere nulla oggi con le mie indagini, l’avevo già preventivato. Almeno ho guadagnato un giorno di “festa da lavoro”, che non fa mai male. Mentre mi cambio, arriva Salim con un’aria distrutta. «Come fai a essere fresco come una rosa?» mi domanda, guardandomi a lungo in «Semplice:faccia.nonho fatto assolutamente nulla» rido. «Cosa?»

Chiudo l’armadietto dello spogliatoio e faccio un cenno verso di lui. «Allora ci si vede, Salim, io vado via.»

«Sono salito e un poliziotto mi ha detto di andar via, come se avessi già finito il turno. Tutto a causa dell’omicidio di quell’uomo di cui parlano ai telegiornali. Dunque oggi giornata libera.»

Alzo le mani in segno di resa. «Su questo argomento passo. Ho ancora la testa concentrata su altri pensieri.»

«Magari! Quei poliziotti girano come se fossero i padroni del palazzo e buttano immondizia dappertutto. Ho dovuto lavare quattro volte l’atrio, perché facevano cadere in continuazione il caffè. Nemmeno i bambini sono così sporchi e indisciplinati.»

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«Ciao Maryam. Hai cambiato turno?» le chiedo. «Ciao. No, mi hanno vietato l’ingresso e hanno detto di andare.» «È successo anche a me. L’ultimo piano è completamente chiuso.» «Per via dell’omicidio, giusto?»

Scuote la testa. «Ma dai! Hai una sfortuna sfacciata!»

Gli do una pacca sulla spalla, capendo la sua frustrazione. «Visto che sono libero, ti va di bere qualcosa insieme?»

«Che padre premuroso. Noto che non vedi l’ora di riabbracciare i tuoi figli» lo prendo in giro.

«Ok, ok! Non c’è bisogno di arrabbiarsi. Era pura curiosità.»

«Tipo gli affari miei» rispondo seccato.

«Tu cosa hai combinato?» gli chiedo. «Sei stato investito da un treno?»

«No, John. Ti ringrazio, ma passo. Voglio solo tornare a casa e rilassarmi prima che arrivino le pesti da scuola.»

«Per carità, li amo. Però una pausa di tanto in tanto è una benedizione. Tu quando pensi di mettere su famiglia?»

«Tipo?» chiede.

Esco dall’edificio e mi avvio all’auto. Qualche passo più avanti mi precede Maryam.

«Sì…» rispondo senza guardarla. Poi mi schiarisco la voce e chiedo: «Invece tu che mi dici? Perché ti hanno mandato via?»

«Ciao, John.»

«Sì» «Lavoravarispondo.altuo piano?»

Sempre impiccione Salim, non si smentisce mai.

Rido, facendolo infuriare ancora di più.

«Non ne ho idea, però ho visto che c’erano tanti poliziotti e sembravano cercare qualcuno.»

Lei sorride e annuisce. «Sì.» «Sì?» le faccio eco.

Lei scoppia a ridere, portandosi la mano davanti alla bocca. «Va bene» dice Sospiroinfine.edeglutisco a fatica. «Ciao Maryam. Ti andrebbe di fare una «Certo,passeggiata?»John» risponde sorridendo. «Bene, andiamo.»

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«Ma ne sei contento, o no?» chiede ancora perplessa. «Sì, certo» tento di sorridere, a disagio. «Cioè nel senso che se tu non avessi voluto, non ci sarebbe stato nulla di male. Il mio era solo un invito…» farfuglio.

«No! Cioè sì, non voleva essere una cosa formale. Una semplice chiacchierata tra amici. Insomma che ne dici se ricominciamo daccapo?» biascico, con il volto in fiamme.

«Volevi dicessi no?» mi domanda stupita. «No, scusa è che sono sorpreso. Non mi aspettavo dicessi di sì.»

«Hai impegni ora? Ti va di fare una passeggiata?» chiedo di getto, rendendomi conto subito dopo di essere terrorizzato da un suo possibile rifiuto, ma non capisco perché.

«…Tanto per dire?» m’interrompe lei.

Sembro«Ok.» un rincitrullito. Ma cosa combino? «Stavolta sono andato meglio?» le chiedo. «Molto meglio. Non ti facevo così impacciato, John. Sembri sempre così sicuro di te.»

«È che non ci conosciamo molto, altrimenti sapresti quanto sono «No,stupido.»non intendevo quello» ridacchia. «Sei spesso taciturno e quindi è difficile per me inquadrarti» mi confessa. «Sei abituata a inserire in categorie tutte le persone che incontri?» le domando curioso.

«Dici un possibile indiziato?» avanzo un’ipotesi. «Chi lo sa!» si stringe nelle spalle. Segue un silenzio imbarazzante, con sguardi persi nel vuoto. Che scemo! Devo dire qualcosa.

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«Come dici?»

«È ingiusto. Dovremmo tutti avere il diritto di fare ciò che vogliamo nella nostra vita.»

«Ma ci sono anche delle responsabilità, John. Non siamo più dei «Sì,bambini…»nonlometto in dubbio. Resta comunque ingiusto.»

«Non devi mica demoralizzarti così.»

«Sai» le dico «è vero che non ci conosciamo molto bene, però mi hai sempre dato l’impressione di una donna dotata di una certa cultura.» «Davvero?» domanda stupita e visibilmente felice del complimento. «Giuro» annuisco convinto. «Mi sono sempre chiesto che ci facessi a lavorare in mezzo a persone come me.»

Se fossero scritte, le sue parole risulterebbero convincenti, ma la sua voce la tradisce. È tutt’altro che contenta della sua situazione attuale. Facile rendersene conto.

«Mi sarebbe piaciuto continuare gli studi in psicologia all’università, ma varie vicissitudini non me l’hanno permesso.»

«Cosa intendi?»

Annuisce. «In genere sì. Se so chi ho davanti, mi rapporto meglio. Sarà un difetto di una professione che in realtà non ho mai fatto.»

«Non scherzo, Maryam. Ora che ci troviamo a parlarne, non vorrei essere maleducato, ma mi piacerebbe sapere come mai non hai continuato gli studi. Se non ti va di rispondere, puoi benissimo mandarmi a quel paese.»

«Sarà come dici tu, però è davvero un peccato» commento io, mentre continuiamo a passeggiare senza meta intorno all’isolato.

«Ma no, figurati. Non ho problemi a parlartene. È una storia molto banale, non aspettarti grandi colpi di scena. Mio padre lavorava all’ufficio anagrafe fino a un anno e mezzo fa. Però un incidente d’auto l’ha costretto a lasciare l’impiego, ed essendo figlia unica non c’era nessun altro che potesse provvedere a sostenere la famiglia. Fortuna ha voluto che un amico abbia trovato questo lavoro come addetta alle pulizie, e dunque ho lasciato l’università. Forse sarei anche riuscita a mantenere entrambi gli impegni, ma le spese sarebbero state troppe. Mio padre con il suo lavoro riusciva a malapena a pagare tutto, e arrotondava con qualche lavoretto nelle case dei suoi colleghi. Figuriamoci se potevo permettermi di studiare» mi spiega di getto, gesticolando durante il racconto.

Inarca un sopracciglio. «Che?»

«Francamente non mi pare. Ci vorrebbe almeno un piano» commenta scettica. «Ne hai uno?»

«Non«In«Cambiamolo.»chemodo?»loso,però

«L’anagrafe, giusto?» le chiedo, per dimostrare di essere stato attento al suo «Esatto.racconto.Sioccupava di trascrivere i nomi di tutte le persone che nascevano.»

“Fanne nascere ciò che vuoi”. Non può essere una coincidenza! La data e il biglietto potrebbero riferirsi proprio a un documento nascosto nell’ufficio anagrafe. Forse sto viaggiando con la fantasia, perché Maryam mi ha parlato del padre

«Ci sto! Però dammi il tempo necessario. Qualcosa accadrà, lo sento» dico, fermandomi alla mia auto.

«Cosa proponi di fare?» chiede irritata dai miei commenti. «Cambiamo il mondo.»

«Ci spero!» esclamo, cercando di convincere più me stesso che lei.

volerlo cambiare non è forse un buon inizio?»

Nascevano… stranamente la parola mi risuona nella mente, come un suono familiare.

Prendo le chiavi dell’auto e mi blocco mentre le infilo nella portiera. Nascere? Ma certo! Però, cavolo, ora non posso andare. Maryam ha detto che il suo piano era pieno di poliziotti. Eppure sono sicuro sia la giusta traccia.

«Ti ringrazio. Ammiro questa tua fiducia nel futuro. Se mi guardo intorno, mi sembra tutto sempre uguale. Può davvero esserci qualcosa di meglio nel nostro domani?»

«Sì, ma non impiegarci troppo. Ora devo andare. Torno a casa dai miei, così approfitto per aiutare mia madre.» Getta uno sguardo al palazzo dove ogni giorno passiamo ore e ore della nostra vita e aggiunge: «Sai, mio padre lavorava proprio nell’ufficio che oggi io pulisco.»

«Non ancora, ma quando ce l’avrò, sarai la prima a saperlo.»

«Allora ci spero anch’io. Male che vada posso prendermela con te, se nulla cambia.» Mi lancia un’occhiata divertita.

«Ci vediamo, John. Mi ha fatto piacere parlare con te. Alla prossima!» Mi saluta con la mano e un grande sorriso.

30

«Ciao Maryam. A presto.»

Di primo mattino mi fiondo al lavoro, e dopo i soliti preparativi mi reco dapprima alla mia postazione. È vero che l’idea dell’anagrafe sembra la migliore, ma sarà meglio dare una sbirciata anche all’ufficio di Earnest. Potrebbero esserci degli indizi interessanti. Tutti gli impiegati sono al loro posto, dando l’impressione che il giorno prima non sia successo assolutamente nulla. È la normalità. Muore una personalità importante, qualche finta indagine e poi tutto tace di nuovo. Chi scava troppo a fondo fa una brutta fine. Per tale ragione, i giornalisti ne restano alla larga e i poliziotti pure. Per questi ultimi, poi, basta qualche tangente nemmeno tanto esagerata. Il silenzio qui si compra per quattro soldi. D’altronde, dove dilaga la miseria, anche un pezzo di pane raffermo vale oro.

L’ufficio di Earnest è il prossimo. Apro la porta e, contrariamente alle mie aspettative, non c’è nessuno. Con il numero di poliziotti che hanno smosso ieri, mi sarei aspettato almeno un altro giorno d’ispezione, oppure un ufficio chiuso al pubblico. Invece nulla. Allora è proprio vero che qui si muore nell’assoluto silenzio. O forse hanno già trovato quello che cercavano, e quindi questo ufficio non ha più nulla d’interessante da offrire.

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«Le chiedo scusa. Mi è scappato di mano, non l’ho fatto di proposito» le dico, accorgendomi di averla mancata per poco con lo straccio per i pavimenti. Ero immerso nei miei pensieri, e a dirla tutta non mi ero reso nemmeno conto che ci fosse qualcuno nella stanza. «Ci mancherebbe!» grida in modo scorbutico. Sarà meglio non continuare la conversazione e andare via. Non ho proprio voglia di attaccar briga ora.

che lavorava proprio lì? Purtroppo non posso fare nulla ora. Non resta che attendere domani.

Ma io non mi fermerò. Non sarò come loro. Non mi mischierò alla massa. Non resterò in silenzio. Non mi renderanno schiavo. Continuerò ad avanzare, fino a che non avrò trovato e ucciso gli assassini di mia «Ehi!sorella.Stai attento!» mi urla una donna.

***

Entro e socchiudo la porta. Chiuderla del tutto potrebbe destare sospetti. Non posso escludere che qualcuno mi stia spiando.

Inizio a spazzare e al tempo stesso getto un occhio sulla scrivania. Solo due penne e qualche foglio bianco in pila, un ordine perfetto che stona con l’accaduto di ieri. Provo ad aprire l’archivio dietro la porta, ma è TentoMaledizione!chiuso.conicassetti della scrivania. Niente da fare. Ci vuole una chiave, ma dove potrei mai prenderla?

32

Prendo l’ascensore e invece di tornare giù mi fermo all’anagrafe. A quest’ora saranno tutti in pausa pranzo, quindi non dovrei avere problemi di testimoni.

Con passo svelto mi dirigo agli archivi. L’unica traccia che ho è cercare tra gli atti di nascita del 2010, ma almeno andrò a colpo sicuro. Su ogni cassetto è riportato l’arco temporale di riferimento. Trovato quello che mi serve, apro l’archivio e prendo il registro del 2010. Scorro tutti i nomi di gennaio, febbraio, marzo e infine arrivo ad aprile. Il 5 aprile 2010 sono nati tredici bambini. Non c’è nulla di strano qui. Ho fatto un buco nell’acqua! Non ci posso credere! Analizzo i nomi uno per uno. I primi sei non destato sospetti. Il settimo tuttavia mi fa sobbalzare. Earnest Goodluck – Data di nascita: 5 aprile Non2010.può essere un caso! Come fa Earnest a essere nato nel 2010? Accanto alla data è riportato tra le note: “Vedi atto di nascita AN10-4”. È un’altra traccia. La nota fa riferimento alla posizione dell’atto. Mi sposto nella stanza dove sono conservati i singoli atti di nascita. Trovo il fascicolo che mi serve. Lo apro e alla data del 5 aprile ritrovo gli stessi nomi del registro nel medesimo ordine. Tuttavia ce ne sono soltanto dodici. Il mancante è proprio quello che cercavo.

«Mi scusi. Ho sbagliato ufficio» dice infine.

D’improvviso la porta si apre. Io faccio finta di nulla e continuo le pulizie. Con la coda dell’occhio vedo le scarpe di un uomo. Resta fermo per cinque lunghissimi secondi sulla soglia della porta, senza proferire nulla.

«Non si preoccupi» replico, ma neanche il tempo di finire la frase e alzare lo sguardo che è già andato via.

Sarà stato un caso? Mi stava controllando? Meglio andare via. Sto rischiando troppo e qui non ho più nulla da fare. Vada per il piano B.

«L’atto di nascita di mio fratello» dico senza pensarci. «Ma ho già fatto, non preoccuparti.» «È nato nel 2010?» mi chiede. «No» rispondo troppo in fretta. «E allora perché cerchi lì?» mi domanda, giustamente. «No… insomma, era per questo che ho imprecato» balbetto. «Ho preso il fascicolo sbagliato, però poi ho trovato quello che volevo e stavo giusto rimettendo a posto questo che avevo buttato per terra.»

33

L’avrò convinta?

Con espressione dubbiosa, mi aiuta a riporre in ordine gli atti.

«Sì, l’ho visto anch’io. Non hanno molta cura di questi documenti» le «Già…»rispondo.commenta con disappunto. «Sarà meglio andare. Si è fatto tardi.»

«Dannazione!» urlo per lo sconforto, lanciando il fascicolo per terra con tutti gli atti di nascita di quegli sconosciuti.

«C’è il bordo rotto qui, guarda» mi fa notare lei, indicando proprio l’angolo che ho distrutto pochi minuti fa con tanta foga.

Quando tocca terra, sento un rumore metallico; strano per una cartellina. La riprendo e guardo meglio all’interno. Nulla. La tocco in ogni punto e alla fine l’occhio conferma quello che la mano destra ha già scoperto. In un angolo è stato nascosto qualcosa, chiudendolo con un pezzo di carta dello stesso colore. Senza indugio, rompo il rappezzo grande quanto un mignolo e all’interno trovo quello che fino a qualche ora fa non sapevo nemmeno di star cercando: una chiave.

Sembri sorpreso eppure sei tu che stai sconfinando nel mio reparto. Stavo andando via, quando ho sentito qualcuno imprecare da questa stanza.»

«Che cosa ci fai qui?» mi domanda una voce femminile alle mie spalle. Sobbalzo e mi giro di scatto, chiudendo nel pugno destro il frutto della mia «Sì.«Maryam?»ricerca.Sonoio.

Mi schiarisco la voce. «Sì, perdonami. Avevo bisogno di un documento e siccome non sono molto pratico di archivi, ho sbagliato «Vuoiinnervosendomi.»unaiuto?Cosa cerchi?»

Cavolo. Sono stato un idiota a urlare. Ero convinto di essere da solo. Devo inventare qualche scusa.

34

«Hai da fare?» mi domanda. Ho ancora la chiave stretta nel pugno. La cosa più ovvia sarebbe tornare nell’ufficio di Earnest e tentare di aprire i cassetti. Vorrei andarci subito, ma se ci fosse ancora quell’uomo entrato all’improvviso? Forse è meglio aspettare qualche giorno, affinché le acque si calmino? «John sei ancora qui con me?» mi sollecita Maryam. «Scusami. No, non ho impegni urgenti» le rispondo infine. «Andiamo a bere qualcosa?»

INDICE Prologo .......................................................................................... 3 Capitolo 1 ...................................................................................... 5 Capitolo 2 .................................................................................... 10 Capitolo 3 .................................................................................... 21 Capitolo 4 .................................................................................... 26 Capitolo 5 .................................................................................... 35 Capitolo 6 .................................................................................... 41 Capitolo 7 .................................................................................... 46 Capitolo 8 .................................................................................... 48 Capitolo 9 .................................................................................... 55 Capitolo 10 .................................................................................. 65 Capitolo 11 .................................................................................. 67 Capitolo 12 .................................................................................. 72 Capitolo 13 .................................................................................. 79 Capitolo 14 .................................................................................. 86

Capitolo 15 .................................................................................. 94 Capitolo 16 ................................................................................ 101 Capitolo 17 ................................................................................ 105 Capitolo 18 ................................................................................ 113 Capitolo 19 ................................................................................ 122 Capitolo 20 ................................................................................ 132 Capitolo 21 ................................................................................ 139 Capitolo 22 ................................................................................ 144 Capitolo 23 ................................................................................ 149 Capitolo 24 ................................................................................ 154 Capitolo 25 ................................................................................ 161 Epilogo ...................................................................................... 167

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Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.

AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI

”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2022)

La 0111edizioni organizza la Quinta edizione del Premio

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