Real Gaia Game, Simona Gervasone

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In uscita il 0/ /20 (15, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine VHWWHPEUH e inizio RWWREUH 2020 ( ,99 euro)

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SIMONA GERVASONE

REAL GAIA GAME

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni www.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/

REAL GAIA GAME Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-412-0 Copertina: immagine di Simona Gervasone Prima edizione Settembre 2020


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CAPITOLO 1

«Eddy Teddy!» «Piantala, Rusty. Non ho più quell’orsacchiotto da quando avevo due anni.» «Ma non è vero! Sei troppo bugiardo, Eddy! Te lo sei tenuto appiccicato fino alla prima elementare!» rincarò Krys. «Ma sei senza bici?» chiese ancora. «Eh già… da cosa l’hai capito, Sherlock?» «Lascialo in pace, Krys. Oggi non è giornata» lo avvertì Rusty. «Ma perché non arriva?» «Boh. Sua madre ha detto che lo chiamava subito. Forse era in bagno. Perché inizi ogni frase con un “ma”, Krys?» «Ma non è vero!» Scoppiarono tutti a ridere, mentre il sole caldo di fine primavera scaldava le loro spalle. Erano amici dal primo anno di asilo. Si erano subito trovati bene, avevano la stessa passione per le avventure in bicicletta, le gite nei boschi o al fiume, e soprattutto una vera avversione per calcio/basket/baseball ecc, in un mondo che quasi pretendeva che ogni bambino maschio amasse qualche sport da “uomo”. Da un po’ di tempo, però, erano preoccupati perché uno del loro gruppo si stava allontanando senza ragione, e questo era quasi inaccettabile. Il fatto che Richie passasse sempre meno tempo con loro era inspiegabile. Si faceva largo nei loro pensieri un senso di vuoto e anche di tradimento. Che diavolo gli stava succedendo? «Eccolo!» esclamò Krys, con le mani in tasca e ciondolando sulle gambe in una posa da vero duro. Richie camminava lentamente per il vialetto, guardandosi le scarpe quasi avesse timore di sollevare lo sguardo sui suoi amici fermi dietro il cancello. Anche sua madre gli aveva chiesto come mai aveva smesso di uscire con loro, ma lui non poteva e non voleva dirlo.


4 Qualcosa stava per succedere e lui non era pronto. «Sì, hai visto Deborah con l’acca come si è vestita ieri?» chiese Krys. «Vestita? Se quello era un vestito! Mia sorella è più coperta quando sta in spiaggia» osservò Rusty. «Mia zia dice che quella diventerà una…» «Shh!» li zittì Eddy. «Ciao» salutò Richie con scarso entusiasmo. «Ehi, tipo losco!» lo apostrofò Krys. Lo avevano soprannominato così dopo quella volta in cui si era fatto sorprendere vicino alla casa di Celia Chiara, una ragazza del college. Stava tornando dalla drogheria del signor Penbroock quando aveva sentito una musichetta strana provenire dal giardino di Celia Chiara. Si era affacciato dalla ringhiera e l’aveva vista intenta a fare yoga. Era tardi e la sua ombra aveva terrorizzato la vecchia nonna di Celia Chiara, che aveva subito chiamato la polizia per denunciare un maniaco. Non avevano mai scoperto chi fosse, perché Richie era corso via più veloce della luce, ma in paese tutti parlavano di un “tipo losco” che era rimasto fermo per ore a osservare Celia Chiara. In realtà erano stati solo pochi minuti, ma si sa che le notizie che passano di bocca in bocca diventano ogni volta più grandi e colorate. «Ehi, tipo losco!» lo salutarono in coro Rusty ed Eddy. «Vieni con noi? Stiamo partendo per una spedizione top secret a cui chiunque vorrebbe partecipare, e tu sei stato scelto tra tanti giovani audaci!» proclamò Krys. «Ehm, ho i compiti da finire» si scusò Richie, appoggiando le mani al cancello e guardandoli con espressione angosciata come fosse un carcerato in attesa di giudizio. «Ma scherzi? C’erano tre pagine di storia e una di matematica! Mia cugina di un anno li avrebbe finiti in un’ora!» sbottò Krys. Gli altri lo guardarono di traverso. Krys era capace di essere davvero aggressivo e pesante a volte. Non era per niente cattivo, anzi, era il paladino dei più deboli e non si tirava indietro se si trattava di difendere qualcuno, che fosse animale o persona. Avevano ancora tutti davanti agli occhi la scena che era entrata nella storia come “la capanna di Arty”. Arthur era un ragazzino di due anni più giovane di loro, con occhiali spessi come fondi di bottiglia. Il prototipo dello sfigato, quello con cui tutti se la prendono prima o poi.


5 Arthur era anche un ragazzino piuttosto sveglio però e, a dirla tutta, simpatico e ingegnoso. Per il natale precedente aveva aiutato i bambini dell’asilo a costruire la capanna del presepe utilizzando pezzi di cartone e paglia. Il risultato aveva sbalordito tutti, compresi gli insegnanti, ma aveva anche attirato le antipatie di qualche bulletto grande e grosso. Damian e Kyle avevano così architettato un piano per introdursi nel cortile interno dell’asilo e distruggere la capanna. Peccato che Krys avesse sentito parte del loro discorso durante l’intervallo. Si era fatto trovare davanti al cancello posteriore dell’edificio e aveva affrontato i due bulli come un vero eroe, rischiando anche di prendersele. Ma il suo atteggiamento così sicuro aveva funzionato come funzionano le strategie di difesa di certi insetti, che per sembrare più minacciosi allargano ali colorate o fanno versi agguerriti. Damian e Kyle se n’erano andati e la capanna di Arty era salva. Il giorno dopo, Krys si era molto vantato di questa sua impresa e in breve tutta la scuola era venuta a saperlo, eleggendolo di fatto come beniamino dei più deboli. Ma sapeva anche essere una serpe, e quando qualcosa non gli stava bene, il rischio che dicesse una cattiveria era molto alto. «Sì, ma ho avuto altro da fare» rispose Richie senza guardarli. Giocherellava con la punta della scarpa spostando un po’ di ghiaia, mentre si sentiva lo sguardo della madre sulle spalle. «Certo…» rincarò Krys. «Va bene, ma se ti va possiamo aspettarti. Sono solo le tre. Facciamo un giro e poi torniamo. Ce la fai in… diciamo mezz’ora a finirli?» chiese Rusty. Richie scosse la testa. «No, andate senza di me. Non ce la faccio.» I tre si guardarono infastiditi. «Allora ci vediamo domani a scuola» tagliò corto Eddy, che era quello più infastidito di tutti per un motivo molto semplice e materiale: se non veniva Richie, con la sua BMX con sellino doppio, non sarebbe potuto andare nemmeno lui. Krys lo guardò insistentemente, sperando di suscitare qualche reazione ma Richie continuava a giocare con la ghiaia, senza dargli la minima soddisfazione.


6 «Eddy, tu che fai?» chiese Rusty. «E cosa vuoi che faccia? Me ne vado a casa. Grazie, Richie…» disse Eddy andandosene arrabbiato e prendendo a calci tutti i sassi che incontrava sulla strada. «Grande Richie! Sei riuscito a far arrabbiare Eddy Teddy!» Richie alzò le spalle e si voltò per andarsene. «Ma cos’hai? Ce lo vuoi dire?» gli gridò dietro Krys, ma Richie non si girò nemmeno una volta. «Boh. Io non lo capisco. Che cos’ha?» chiese Krys. «Forse ha le sue cose.» «Eh? E cosa vorrebbe dire?» «Non lo so, ma mio fratello lo dice sempre quando litiga con la sua fidanzata. Credo voglia dire che è arrabbiata per qualcosa.» «Allora ha sicuramente le sue cose.» «Che facciamo?» chiese Rusty. «Non lo so. Andiamo da me? Oppure andiamo lo stesso a farci un giro in bici.» «Giro in bici. Sono stufo di stare in casa.»


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CAPITOLO 2

Era consapevole di non essersi comportato da buon amico, e si vergognava per questo. Sentiva lo sguardo di disapprovazione dei ragazzi, che come un laser gli bucava il tessuto della maglietta azzurra. Forse sarebbe stato meglio parlare con loro e confidare il suo turbamento. No. Rusty e Krys lo avrebbero preso in giro sino alla morte. Era meglio mantenersi sul vago, anche se andando avanti di quel passo i suoi amici si sarebbero allontanati da lui. Non voleva finire come Cody. Non voleva rimanere solo per sempre, accidenti. Voleva solo un po’ di tempo per sé in quel periodo, ma non per sempre. Come poteva evitare di essere emarginato? Ogni tanto era stato tentato di andare da Cody e invitarlo per una merenda, ma gli altri avrebbero disapprovato. Aveva fatto l’errore di cominciare a frequentare altri ragazzi della scuola, grazie all’interesse comune degli scacchi. All’inizio il suo gruppo aveva fatto buon viso a cattivo gioco, ma dopo l’ennesimo rifiuto a uscire con loro era stato quasi cancellato dalla terra. Peccato che poi il club di scacchi fosse andato a gambe all’aria, per non si sa bene quali misteriose ragioni, e Cody fosse rimasto solo. Aveva provato più volte a riavvicinarsi, e se fosse stato per Richie non ci sarebbero stati problemi, ma purtroppo non la pensavano tutti come lui. La zia di Rusty aveva sentenziato che un amico che ti volta la faccia una volta, lo farà ancora e ancora e ancora… e lei era un’adulta, quindi ci si poteva fidare della sua opinione, no? Rientrò in casa cercando di fare meno rumore possibile. Sua madre era in cucina e non voleva che gli leggesse in faccia la frustrazione. Era un maschio, accidenti. Non poteva mica piagnucolare come una femminuccia! C’era già quell’impiastro capriccioso di sua sorella che ci pensava a quello.


8 La mamma diceva sempre che presto avrebbe smesso di essere così frignona, ma ormai aveva due anni e a Richie pareva che ogni giorno fosse peggio di quello precedente. Adesso era con la nonna, quindi non c’era pericolo di ritrovarsela attaccata ai pantaloni. Quando gli avevano comunicato che avrebbe avuto una sorellina, era rimasto interdetto. Non sapeva bene cosa pensarne, non era felice ma nemmeno infelice. Quando aveva iniziato a vedere la pancia della mamma, aveva anche cominciato a pensare a se stesso da fratello maggiore, e quello che aveva immaginato non poteva essere più lontano dalla realtà. Aveva immaginato di insegnare alla piccola un sacco di giochi divertenti, che avrebbero fatto fronte comune davanti ai “no” dei loro genitori, che lo avrebbe adorato solo per il fatto di essere il suo fratello maggiore. In realtà sua sorella si era rivelata fin da subito una rompiscatole. Giocava solo a quello che voleva lei, e se non le davi retta, strillava e piangeva finché qualcuno non gliela dava vinta. Rovinava tutto quello che toccava. Aveva rosicchiato l’action figure di Spiderman. Vomitato sulla sua coperta preferita, buttato nel water uno dei suoi fantastici disegni di Iron Man. Richie non aveva un ricordo preciso di quando avesse cominciato a detestarla, ma gli sembrava fosse da sempre, per cui era più che felice di rientrare in casa sapendo che lei non c’era. Purtroppo, però, sapeva che non sarebbe durata quella pace. Come al solito avrebbe monopolizzato i suoi genitori fino a che non sarebbero caduti sfiniti sul divano e, a quel punto, mamma e papà sarebbero stati così esausti da non riuscire più a dargli retta. Non ricordava quando era stata l’ultima volta che avevano giocato tutti insieme a carte o a un gioco da tavolo. Per fortuna nel weekend suo padre si ritagliava sempre del tempo da passare con lui in santa pace, lontano dalle femmine della famiglia. Gli spiaceva che non potesse partecipare anche la madre, ma sapeva bene che non si poteva lasciare da sola quel parassita bavoso. E adesso ci mancava anche la notizia peggiore che avesse mai ricevuto. Non sapeva ancora che sua sorella presto sarebbe stata l’ultimo dei suoi problemi.


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CAPITOLO 3

La scuola era ancora ammantata dal silenzio. Era arrivato per primo quella mattina, per cui gli altri avrebbero dovuto dargli un pezzo della loro merenda. Richie sorrise per quella vittoria. Si sedette sui gradini davanti all’ingresso, in attesa. Erano le sette e quaranta. Ormai non avrebbero tardato ancora molto. Il primo ad arrivare fu Eddy, con una faccia grigia da far spavento. «Ehi.» «Ehi, paga pegno.» «Hai dormito qui?» «Può darsi.» Eddy lasciò cadere la pensante cartella davanti ai piedi e si sedette di fianco a Richie. «Che c’è che non va?» «Mmh?» «Ho chiesto che c’è che non va?» «Il solito…» rispose scuotendo la testa. «Sei di nuovo in castigo?» chiese Richie con stupore. Eddy era un bravo ragazzo, ma chissà perché i suoi genitori lo punivano per qualsiasi cosa. Secondo lui non era così che si dovevano comportare dei bravi genitori. «Che hai fatto stavolta?» «Non ci crederai mai… ho dimenticato di portare fuori la spazzatura.» Richie sgranò gli occhi, incredulo. Non ricordava proprio quante volte era capitato a lui, ma se l’era cavata con una ramanzina. «E qual è la punizione?» «Non posso uscire per due giorni.» «E la bici? Te la fanno usare di nuovo?» «No, mancano due settimane alla fine di quella punizione.» La bici per Eddy era una chimera. Gliel’avevano regalata l’anno prima, per il suo compleanno a ottobre, e da allora era riuscito a usarla forse


10 due o tre volte. Per il resto era sempre chiusa in cantina, perché lui era costantemente in punizione. Richie sospettava che gliel’avessero regalata apposta per avere qualcosa da togliergli durante le eterne punizioni. L’ultima volta gli era stata tolta perché aveva dimenticato di far firmare un compito in classe, e non con un brutto voto. Aveva preso nove in quel compito. Ma che colpa ne aveva Eddy se era totalmente smemorato? Erano genitori davvero troppo severi a suo avviso. Sempre presi dal loro lavoro e dalle regole. Il secondo ad arrivare fu Rusty. Raccontarono anche a lui della nuova punizione di Eddy, e il ragazzino sbuffò, roteando gli occhi. «Sai cosa dice mia zia?» «No, cosa?» chiese Eddy malvolentieri, gli aneddoti di zia Marybeth erano all’ordine del giorno. Era una donna grande e grossa, con folti e spessi capelli biondi con grandi boccoli. La faccia piena come la luna e una boccuccia piccola e spesso imbronciata. Non si era mai sposata per scelta. Diceva che gli uomini sono come gli ospiti e come il pesce, dopo qualche giorno te ne devi liberare perché puzzano. «Che se tieni un cane con una catena troppo corta, appena può scappa e non torna più.» Assentirono entrambi. Anche quella volta la zia di Rusty non aveva torto. Già immaginavano Eddy a sedici anni prendere una Harley e fuggire via, con il vento tra i capelli rossi e un tatuaggio con un teschio sul bicipite. «Chi è il primo?» chiese Krys, arrivando di corsa. «Io!» gridò felice Richie. Era la prima volta in tutto il mese che riusciva a essere il primo. «Mmh bravo. Ma adesso ci vuoi dire che ti prende?» Ecco, Richie sperava proprio che non gli facessero quella domanda. Che fare? Confessare rischiando le prese in giro, oppure confidare nel loro buon cuore? Richie optò per la seconda, quando suonò la campanella d’entrata. Non si era reso conto che nel frattempo si era formata una nutrita folla attorno a loro. Fece spallucce. «Ne riparleremo in un altro momento.»


11 Le ore di lezione passarono piuttosto lente, anche se quel giorno c’erano le sue materie preferite: matematica, geometria e scienze. Suo padre soleva dire che tutto è matematica. Da un buon soufflé all’aereo che ti porta in vacanza. Tutto è basato su di essa. Per questo l’amava. Suo padre gliel’aveva fatta amare. Quando suonò l’intervallo, Richie si riscosse dai propri pensieri e recuperò la merenda dallo zaino poggiato ai suoi piedi. Quel giorno sua madre gli aveva preparato un panino con la frittata; uno dei suoi preferiti. Vide che i suoi amici lo stavano aspettando davanti alla porta e si sbrigò ad alzarsi. Sapeva che sarebbero tornati sull’argomento, e si preparò mentalmente ad affrontarli. «Sbrigati, se no ci fregano il posto vicino al cancello» lo ammonì Eddy. Avevano un loro posto dalla prima elementare, ed era il gradino di cemento vicino al cancello grande, sul retro della scuola. A dire il vero a nessuno era mai fregato nulla di quel posto in particolare, perché non è che fosse speciale per qualche ragione, ma da quando loro avevano preso ad andarci ogni giorno, qualcuno aveva deciso che invece lo fosse e tentava di arrivare prima di loro per accaparrarselo. Incredibile a dirla tutta. Era un po’ come vedere qualcuno che, solo perché tu mangi la sabbia, decide che è meglio quella della focaccia. «Ci hanno fregati» piagnucolò Eddy, sbuffando. «Ma accidenti. Adesso vado lì e li faccio alzare di peso!» esordì Krys. «Lascia stare, non ne vale la pena» intervenne Rusty, che anche se di solito spiccava per bellicosità, riusciva spesso a stupire tutti con quelle perle di saggezza. Si accomodarono sullo stesso gradino di cemento, ma più in fondo, verso il muro della scuola. «Adesso spara e dicci cosa c’è che non va» continuò Rusty. «Ok…» rispose Richie un po’ a disagio. All’improvviso gli si era chiuso lo stomaco. «Non è niente di grave… insomma… niente di irreparabile» si congratulò con se stesso per aver trovato un posto a quella parola sentita di recente. «Dunque?» si spazientì Krys. «Sapete che mio padre va spesso via per lavoro?» Tutti annuirono in attesa. «Presto partirà per un viaggio di lavoro e starà via per circa sei mesi.»


12 Eddy fu l’unico a capire al volo le implicazioni di quella notizia, perché sapeva più di chiunque altro quanto Richie fosse legato al padre. «E allora?» chiese Krys. «Non ve lo volevo dire proprio per questo!» s’innervosì Richie, ma Eddy fu pronto a intervenire: «Ragazzi significa che lui starà da solo con sua madre e quella rompi di sua sorella per sei mesi! Niente gite. Niente giochi da maschi. Niente di niente!» Rusty continuava a non capire e aggrottava la fronte con forza. «Ok, ho capito, ma non è la fine del mondo. Pensa a quello che invece potrai fare. Per esempio, avrai più tempo per uscire con noi!» concluse. Eddy scosse la testa, sconsolato. Lui capiva quello che stava provando Richie. Invidiava, in senso buono, il rapporto che aveva con suo padre, e sapeva che lui si sarebbe sentito anche peggio nella stessa situazione. Gli mise una mano sulla spalla, comprensivo. «Sì, io lo capisco. Davvero, passerà. Zia Beth ti direbbe che bisogna vedere sempre il lato positivo» concluse Rusty, poco prima che suonasse la fine dell’intervallo. Quella sera a cena, Richie era silenzioso e non aveva molta fame. La madre lo aveva spronato a finire il passato di verdure almeno una decina di volte, prima di rinunciare e togliergli il piatto davanti. Notò poi uno sguardo d’intesa tra i suoi e si chiese che cosa stessero tramando. Lo scoprì poco dopo mentre, incredulo, ascoltava una proposta che gli avrebbe cambiato la vita.


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CAPITOLO 4

Il padre tolse le ultime stoviglie dal tavolo, mentre il parassita col moccio al naso correva dietro alla madre per convincerla a giocare con i palloncini colorati. Richie guardò di sfuggita l’orologio, sperando che fosse ormai ora di spedirla a letto, ma purtroppo mancava ancora almeno mezz’ora. Finito di sparecchiare, il padre tornò con un voluminoso fascicolo. «Ecco.» «Ecco cosa?» chiese Richie stralunato. Sperava non intendesse propinargli qualche compito di archiviazione, perché in quel caso sarebbe andato lui a letto seduta stante. «Questo è il progetto a cui ho lavorato nell’ultimo anno. È anche il progetto che mi vedrà impegnato nei prossimi mesi a Tokyo. Tu sei sveglio e capace, e io ho bisogno di un aiutante che lavori sodo e che mi dica quali sono i pregi e i difetti di questo progetto. Che mi faccia rapporto ogni giorno in modo da essere più preparato possibile. Te la senti?» Richie era sempre più incredulo. «Ma…» Il genitore alzò una mano per zittirlo. Richie avrebbe voluto protestare che aveva già la scuola, i compiti, gli amici e che ogni tanto avrebbe voluto anche giocare. «Non sei obbligato. Io ti dico di cosa si tratta e tu scegli se farlo o no. D’accordo?» Richie assentì, titubante. «Questo è RGG3000, o meglio Real Gaia Game. Non è un gioco qualsiasi. È un videogioco interattivo e tutto quel che succede al suo interno dipende unicamente dalle scelte del giocatore. Non c’è niente di prestabilito. È il primo del suo genere, ed è studiato per ragazzi dai dieci ai diciassette anni, e se non sbaglio tu ne hai undici…» disse sorridendo «ti faccio vedere come funziona. Vieni.»


14 Richie seguì suo padre al piano di sopra, e si sedettero davanti al computer. «Ovviamente ci sarà anche una versione per PS, ma per ora dovrai adattarti al PC. Dopo aver avviato internet, vai su questa icona e clicchi due volte.» «Lo so come si fa, papà…» protestò Richie. «Ok, scusa. Dimentico sempre che voi ragazzi siete cresciuti con la tastiera e il mouse sotto le dita. Comunque… entri e inserisci user name e password. Le trovi sulla prima pagina del fascicolo se dovessi dimenticarle.» Dopo qualche secondo sul monitor apparve una mano sventolante. «Questa è Gaia che saluta» spiegò il papà con un sorriso soddisfatto «adesso Gaia aspetta di sapere cosa vuoi fare. Vediamo… attiviamo il microfono e parliamo con lei.» «Gaia?» «Sì?» rispose una vocetta. «Sono Dave. Ciao.» «Ciao Dave! Che piacere risentirti.» «Ci vediamo vicino alla fermata del bus, così decidiamo che gioco fare?» «Ok. Arrivo subito!» rispose allegra. «Ok… ora metti gli occhiali per la realtà virtuale e seguì le indicazioni per la fermata del bus» gli spiegò il padre mentre indossava a sua volta gli occhiali. «Wow…» si lasciò sfuggire Richie, che era del tutto senza parole. Sembrava di essere in una città vera, con veri negozi, veri passanti, un vero gatto che si strusciava su cespuglio di fiori rosa. Era impaziente di incontrare Gaia. «Eccola!» disse l’uomo indicandola. Era una ragazza minuta con un paio di bermuda variopinti e una canotta blu larga. Aveva un cappello da baseball calato sugli occhi e i capelli biondi raccolti in una coda. «Ciao Gaia, come stai?» domandò Dave. «Bene! Sono tanto stanca di andare a scuola. Menomale che siamo quasi alla fine dell’anno!» sorrise lei. «I tuoi stanno bene?» «Sì certo. Sempre indaffarati.»


15 «Gaia ti presento mio figlio Richie. Io dovrò andare via per un po’, ma ci penserà lui a tenerti compagnia.» «È un piacere, Richie. Dove vai Dave?» «Via per lavoro. Tokyo.» «Accidenti, è molto lontano! Chissà come sei triste, Richie» disse con dolcezza. Richie non riusciva a credere a quello che stava vedendo e sentendo. Era reale a tutti gli effetti, ed era persino più sensibile dei suoi amici. «Sì, un po’…» rispose impacciato. «Ascolta, Gaia, ora vi lascio soli così potete conoscervi, ma alle nove e mezza andate tutti e due a nanna perché domani c’è scuola, ok?» «D’accordo. Ciao, Dave. Passa a salutarmi prima di partire. Se riesco ti porto una fetta di torta al limone.» «Va bene, Gaia. Ciao.» Mise un momento in standby il gioco e disse al figlio di prendere confidenza con qualche funzione prima di posargli un grosso bacio sui capelli e scendere al piano di sotto. «Cosa vogliamo fare, Richie? Possiamo giocare a quello che ci pare, possiamo chiacchierare, possiamo incontrare altri amici.» «Non saprei… ti va di fare due chiacchiere prima?» «Sì, volentieri!» «Quanti anni hai?» «Undici, e tu?» «Anch’io. Come si chiamano i tuoi genitori?» «Raul e Nadine.» «Che lavoro fanno?» «Hanno una pasticceria qualche via più in giù» disse, indicando la strada di fronte «se vuoi un giorno ti porto a fare merenda da loro.» «Grazie, sarebbe bello. Che giochi sai fare?» Gaia lo guardò un po’ incuriosita. «Tutti i giochi che sai fare tu.» «Ok. Per esempio basket?» «Oh sì! Adoro il basket! C’è un campo dietro la scuola. Vieni» gli prese la mano. Giocarono e risero. Gaia era in gamba nel basket e piuttosto simpatica. Non frignava se cadeva e non parlava solo di bambole e lustrini, per cui era facile trovarsi a proprio agio con lei. Erano 21 pari quando guardò accigliata l’orologio di plastica bianca.


16 «Devo andare, Richie. Si è fatto tardi e domani devo alzarmi presto» annunciò con tono dispiaciuto. «Sì, anch’io devo andare.» «Ci vediamo domani?» chiese lei. «Perché no? Cercherò di fare tutti i compiti e di esserci per le otto e mezza, cosa ne dici?» «Benissimo! Ti aspetto al solito posto?» «Intendi davanti alla palina del bus?» «Sì.» «Ok.» Gaia si allontanò saltellante prima di girarsi un ultima volta. «Sogni d’oro, Richie.» Nonostante la sua avversione per gli sport, si era divertito a giocare con Gaia. Si addormentò con un sorriso rilassato; era la prima volta che si sentiva sereno da quando il padre gli aveva detto del viaggio. Forse quell’impegno lo avrebbe davvero aiutato a superare quel periodo.


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CAPITOLO 5

«Non mi entra in testa, Richie!» Rusty era uno dei ragazzi più cocciuti che si fossero mai visti. Se una materia non gli andava giù, non riusciva a memorizzare nemmeno il concetto più semplice. Richie era l’unico con tanta pazienza da studiare con lui, ma quel giorno era a tanto così dal farlo uscire di casa passando per la finestra chiusa della sua camera. Sdraiato sul letto, con il busto penzoloni, il libro gettato per terra che non degnava nemmeno di uno sguardo. «Se non t’impegni nemmeno un po’, non lo capirai mai! Dai, Rusty! Non voglio stare qua tutto il pomeriggio! «Perché? Oggi hai intenzione di uscire con noi?» chiese Rusty con tono canzonatorio. In realtà Richie voleva finire presto di studiare, fare una doccia, cenare e poi giocare con Gaia, ma Rusty riuscì a farlo sentire in colpa per il solo fatto di preferire un’entità astratta ai suoi amici in carne e ossa. Forse poteva rimandare la visita a Gaia; in fondo suo padre sarebbe partito a giorni e il tempo non gli sarebbe mancato, soprattutto durante i fine settimana. Sì, forse l’idea di andare a fare un giro con i suoi amici non era poi così assurda. «Sì.» «No! Non ci credo! Come mai hai finalmente deciso di uscire dal monastero?» «Eh?» «Lascia stare… come mai oggi hai deciso di uscire?» «Perché avete ragione. È un po’ che non esco con voi e tanto mio padre ora non c’è, quindi stare a casa non avrebbe senso.» «Ottima scelta, tipo losco! Qualche idea su cosa fare?» Richie fece spallucce. Gli andava bene qualsiasi cosa e sapeva che Rusty avrebbe organizzato tutto al meglio senza bisogno di suggerimenti, e infatti pochi istanti dopo s’illuminò come una fiaccola.


18 «Idea! Andiamo alla Cascata del Gigante. Ho sentito che ci vanno spesso Celia Chiara e le sue amiche a prendere il sole…» Richie si sentì ribollire. Celia Chiara era… fantastica. Era alta, con i capelli rossi e lucidi e due occhi verdi grandi come quelli di un manga giapponese, ed era dolcissima. Tutti sapevano del suo debole per Celia Chiara e a causa sua si era guadagnato il nomignolo di “tipo losco”. Era consapevole di essere troppo piccolo per poter anche solo sperare di essere notato da lei, ma anche solo vederla e scambiare due parole era una specie di conquista, senza contare che per i suoi amici era spassoso vederlo in difficoltà davanti a quella che avevano soprannominato la Dea delle ninfe, da cui derivava l’acronimo “DDN” che usavano tra di loro per non suscitare troppe curiosità indesiderate. All’improvviso nemmeno lui aveva più voglia di studiare. Chiuse il libro con un tonfo e sbuffò. «Tanto è tempo sprecato. Andiamo a chiamare gli altri» propose, sapendo di sfondare una porta aperta, e infatti non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che Rusty si era già rimesso le Sneakers e lo aspettava fuori dalla stanza. Abitavano tutti piuttosto vicini, nel giro di due isolati a malapena, per cui furono veloci a radunarsi tutti insieme davanti all’entrata del piccolo parco giochi. Eddy era, come sempre, senza bici e Krys era arrabbiato per i troppi compiti assegnati dalla professoressa di matematica. Rusty era al settimo cielo per averli terminati in tempi record con l’aiuto di Richie. Peccato per le ultime nozioni di geometria, che proprio non aveva capito. Per fortuna Richie aveva la vecchia BMX di suo padre con un sellino enorme, adatto a portare un’altra persona, e per fortuna Eddy era abbastanza gracile da non fargli fare troppa fatica. La strada per arrivare alla cascata del Gigante non era tanto in salita, ma quanto bastava per farti arrivare a destinazione sudato come un calzino dopo una partita di calcio ad agosto, e per questo Richie aveva preso dalla mensola del padre un deodorante al muschio bianco che gli piaceva in modo particolare. L’ultima cosa che voleva era arrivare alla cascata e far sentire a Celia Chiara uno sgradevole odore. Suo padre sarebbe rientrato non prima delle dieci a causa dell’ultima riunione prima della partenza. Quando glielo aveva detto si era arrabbiato non poco. Non con lui, ma con i suoi capi. Che bisogno c’era


19 di tenerlo lontano dalla famiglia fino a tarda sera sapendo che sarebbe stato via per mesi? Per Richie era incomprensibile e intollerabile una cosa del genere, e per questo pensava di aver deciso che non avrebbe mai lavorato per nessuno. Sarebbe stato il capo di se stesso e avrebbe deciso lui come e quando stare lontano dalla sua famiglia… e il pensiero lo riportò a Celia Chiara… la vedeva in un vestito leggero, estivo, turchese mentre preparava dei waffle con salsa di fragole e panna. I loro bambini giocavano nel prato davanti casa, e quando lo vedeva gli elargiva uno dei più bei sorrisi mai visti sulla terra «Ciao» gli diceva. «Ciao Richie» ripeteva. «Richie? Tutto bene?» Senza rendersene conto erano arrivati a destinazione, e ancor prima di posare le bici si erano imbattuti in Celia Chiara e le sue amiche. Celia Chiara lo guardava un po’ preoccupata, con le sopracciglia aggrottate. «Richie? Ti senti bene? Ma guarda, sei tutto sudato. Dovresti approfittare dell’acqua fresca del laghetto. Oggi è fantastica. Fresca ma piacevole.» Non faceva ancora così caldo da fare un bagno vero e proprio, ma erano già molti quelli che nei mesi di marzo e aprile si rinfrescavano mentre prendevano il sole, e quell’anno la primavera era arrivata in anticipo e le giornate erano piacevolmente calde, senza però togliere il fiato. «Sì, Celia Chiara… scusami, ero sovrappensiero. Come stai? Non credevo fossi già qui ad abbronzarti» mentì. «Sì, è presto in effetti, ma quest’anno la primavera è stata clemente e sai quanto mi piace essere un po’ meno pallida di come sono normalmente» gli fece l’occhiolino e rise civettuola. In effetti Celia Chiara aveva la pelle bianchissima. Non rosa, ma proprio bianca. Sembrava fatta di porcellana, in netto contrasto con quella massa lucente di capelli rossi. I suoi occhioni verdi lo fissavano divertiti. «Stavi andando via?» chiese Richie, cercando di nascondere la delusione. «No! Siamo appena arrivate, ma Suzanne ha lasciato in auto la crema solare, per cui stiamo andando al parcheggio a prenderla.» «Tutte insieme?» Le ragazze erano strane. Affascinanti ma in ogni caso strane.


20 Celia Chiara rise divertita. «Sì, perché Suzanne ha detto che nessuna può iniziare a prendere il sole senza di lei.» Non ricordava di preciso quando aveva cominciato a interessarsi alle ragazze. Era certo che poco prima non gli piacessero affatto, e un attimo dopo invece ne era affascinato. Solo Eddy sembrava immune per il momento. Forse i suoi genitori gli avevano intimato di starne alla larga. Cosa che peraltro aveva fatto anche la zia di Rusty, con una delle sue frasi a effetto: “hai tempo per instupidirti dietro a una gonna, tanto quanto ne hanno le ragazze per instupidirsi dietro a un paio di pantaloni. Pensate a giocare adesso”. Ogni volta che la zia di Rusty se ne usciva con quelle perle di saggezza, calava il silenzio tutt’attorno e lei era convinta che fosse dettato dal fatto che stessero riflettendo profondamente sul senso delle sue parole, e questo la portava a sorridere compiaciuta, invece nessuno fiatava per non far trasparire le risate a stento trattenute. A volte aveva ragione, ma spesso non era così. «Volete unirvi a noi? Abbiamo coperte, una torta di mele fatta in casa dalla mamma di Lorraine e crema solare in abbondanza.» Richie lo avrebbe tanto voluto, ma sapeva che: a) I suoi amici non lo avrebbero apprezzato affatto; b) Si sarebbe sentito fortemente a disagio; c) Era probabile che Celia Chiara glielo stesse chiedendo solo per una forma di cortesia; d) Non poteva sopportare quella pressione emotiva a lungo; e) E basta… «No grazie Celia Chiara, avevamo in programma un lungo giro in bici. Ma grazie per l’invito, davvero» cercò di avere la voce ferma e decisa. «Ok. Ci vediamo ragazzi» li salutò, allontanandosi in direzione della strada. Richie continuò a guardarla finché non scomparve alla vista e sentì Eddy sbuffargli sul collo. Continuarono a pedalare tutto il pomeriggio, gareggiando per stabilire chi fosse più veloce e chi facesse le curve più spericolate. Fecero merenda con le merendine al cioccolato portate da Krys e poi tornarono a casa esausti e sudati.


21

Una doccia, cena e poi Richie si allungò sul divano. Voleva aspettare suo padre sveglio, ma in pochi minuti si addormentò nonostante la puzzolente petulante che strillava. Per un momento, uno soltanto, pensò di andare a giocare un po’ con Gaia, solo perché glielo aveva promesso il giorno prima, ma poi si ricordò che in fondo era solo un gioco. Che ne poteva sapere lei di quanto tempo passava da una volta all’altra?


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CAPITOLO 6

Aveva avuto una settimana molto impegnata. Tra compiti in classe e compiti a casa, il tempo libero si era ridotto al minimo e tutto quello che rimaneva aveva voluto passarlo con suo padre. Infine era arrivata la domenica. Il giorno della partenza di suo padre. Lo avevano accompagnato all’aeroporto nel tardo pomeriggio, la madre cercava di trattenere le lacrime da quando si era alzata la mattina, lui non riusciva quasi a parlare a causa del magone che gli serrava la gola. L’unica che non aveva smesso di sbraitare, ridacchiare e fare la stupida era sua sorella perché non capiva niente. Richie era convinto che non fosse del tutto “normale” e, se già la tollerava poco nelle giornate tranquille, quel giorno l’avrebbe chiusa volentieri dentro l’asciugatrice con il programma rapido inserito. Tutto il suo blaterare, i capricci e i pianti stavano togliendo tempo a lui e suo padre. Perché mai la madre non l’aveva lasciata alla nonna almeno per quel giorno? Girovagarono per l’aeroporto, sgranocchiarono qualcosa al messicano e poi arrivò il momento dei saluti e fu straziante. Richie non riuscì più ad arginare la tristezza e le lacrime, e si lasciò andare nell’abbraccio caldo e rassicurante di suo padre. Naturalmente non riuscì a far durare quel momento più di qualche minuto, perché intervenne la piccola cagona, insinuandosi tra loro con il suo pannolone puzzolente. Cercò di allontanarla senza che sua madre se ne accorgesse, ma la mocciosa iniziò a sbraitare nel suo vocabolario incomprensibile e la madre gli intimò di lasciarle spazio. La detestava. Richie osservò il padre allontanarsi, poi vide l’aereo decollare e tutto il peso della solitudine gli piombò addosso schiacciandolo a terra. Non aveva nemmeno la forza di odiare sua sorella in quel momento. Tornarono a casa in completo silenzio. La madre aveva gli occhi lucidi e quando parlava le tremava la voce. La zavorra piagnona dormiva nel suo seggiolino sul sedile posteriore. Grazie al cielo la macchina la faceva sempre dormire.


23 Quella notte lesse fino a tardi, ma senza comprendere in pieno il senso delle parole perché la sua mente vagava per i fatti suoi come una barca in balìa delle correnti. Quando spense la luce erano ormai le due del mattino. Il giorno dopo le ore di scuole gli parvero più lunghe e più tediose del solito. L’intervallo passò in un attimo, e non prese impegni per il pomeriggio. Non aveva voglia di uscire con i suoi amici, ma solo di starsene a casa a piangere su se stesso e magari finire la torta al cioccolato avanzata. «Richie?» lo chiamò la madre dal piano di sotto «scendi per favore?» «Arrivo» sbuffò svogliato. «Che c’è?» chiese senza nascondere il fastidio. «Potresti controllare tua sorella mentre vado a comprare le aspirine in farmacia?» «Che? No, no, no… no! Non mi dà retta e non fa che strillare quando rimane sola con me.» «Magari se tu provassi a giocare un po’ con lei questo non accadrebbe, non credi?» «Non puoi portarla con te?» «Faccio più veloce se resta qui. E poi comincia a essere stanca, quindi rischia di addormentarsi in macchina e sai come diventa se si sveglia. Dai, Richie! Non ti sto chiedendo la luna, no?» «E va bene! Tanto non ho scelta, giusto? Perché me lo chiedi se poi tanto non posso dire di no? Tanto vale che tu mi dica che devo guardarla e basta!» «Faccio più veloce possibile» tagliò corto lei, senza ribattere a quella che in effetti le sembrava una contestazione più che logica. Proprio mentre la donna chiudeva la porta di casa, squillò il telefono. «Pronto?» «Richie, sono Eddy. Abbiamo pensato di andare alla cava a fare qualche salto con le bici. Partiamo tra dieci minuti. Vieni anche tu?» Richie ci pensò su un attimo. «No, devo guardare mia sorella. Mia madre è uscita e non so quando tornerà. Andate pure senza di me. Ci vediamo domani a scuola.» «Ok, però sappi che gli altri non la prenderanno bene. Se continui a stare per i fatti tuoi alla fine ti escluderanno.»


24 «Eddy… davvero non mi va. Se vogliono escludermi che lo facciano. Non me ne frega niente. A te frega solo perché sei senza bici…» aggiunse, pentendosene subito dopo. «Senti… scusa, Eddy. Non sono dell’umore e mi dispiace per la battuta sulla bici.» «Certo. Fa’ come vuoi» e chiuse la comunicazione. Eddy non era il tipo da prendersela per un nonnulla, ma questa volta Richie era riuscito a farlo arrabbiare davvero. Non gli piaceva stare a casa, perché tutti i giorni sua nonna andava a casa loro perché i suoi non si fidavano a lasciarlo da solo. Non avevano fiducia in lui più di quanto Richie ne avesse in sua sorella. Se usciva doveva farlo in compagnia di qualcuno e se stava a casa non poteva mancare la nonna, che non era una nonna amorevole con il solo desiderio di viziarlo, ma una vecchia arpia, severa e bisbetica proprio come sua madre. Eddy non era fortunato se si trattava di famiglia, e averlo offeso non gli rendeva onore. Avrebbe dovuto chiamarlo e scusarsi ancora, ma come diceva sua madre: le parole non si possono cancellare. Sono come proiettili, una volta che ti hanno colpito, le puoi estrarre con le scuse, ma la cicatrice rimarrà sempre e ti ricorderà ogni giorno il dolore che hai provato. Era vero. Il senso di colpa lo fece sentire ancora peggio. Sua sorella giocava sul tappeto con delle costruzioni gommose e diceva parole incomprensibili. Non si avvicinò e, anzi, cercò di starle alla larga in modo da non distrarla. Più si concentrava sul suo insulso gioco e più lui poteva starsene tranquillo. Per questa ragione non si accorse che stava masticando lo specchietto di una macchina di plastica. Quando passò di nuovo davanti al tappeto in punta di piedi, la vide riversa a terra, il faccino blu, immobile. «Oh mio Dio! Oh mio Dio!» gridò preso dal panico, con le mani tra i capelli. Il cuore gli balzò nel petto e fece il giro della morte. Sentì il proprio sangue abbandonarlo e scivolare verso i piedi. Provò a sollevarla, ad aprirle la bocca, a scuoterla, a darle pacche sulla schiena. Niente. Era inerte, non respirava. In quel momento, mentre Richie urlava e piangeva senza sapere cosa fare, entrò sua madre e subito si rese conto di quello che stava succedendo. Prese la bambina, strappandogliela via dalle braccia e con una manovra apposita dal nome incomprensibile le fece espellere l’oggetto.


25 Senza dire una sola parola, con le lacrime a rigarle le guance e uno sguardo che lo passò da parte a parte, uscì di casa con sua sorella in braccio. Richie era privo di forze, le mani gli tremavano violentemente, il respiro era affannoso. Se ne fosse stato a conoscenza, avrebbe potuto dargli un nome: attacco di panico. Si lasciò andare sul tappeto come un sacco vuoto e prese a stringersi con le braccia, dondolandosi avanti e indietro. Sua madre lo avrebbe odiato per il resto dei suoi giorni, ne era certo. Gli voleva bene, ma sua sorella era la preferita. Su questo non aveva dubbi. Finalmente arrivarono le lacrime, quelle vere, copiose come una diga appena crollata. Suo padre era all’altro capo del mondo, i suoi amici lo stavano abbandonando, la madre lo odiava e sua sorella era del tutto inutile, anche se non avrebbe dovuto pensarlo dopo quello che era appena successo. Cosa gli rimaneva? La risposta era al piano superiore: Gaia. Si alzò sulle gambe malferme e salì le scale, reggendosi forte al corrimano. Sua madre era di certo andata al pronto soccorso e probabilmente ci sarebbe rimasta tutto il pomeriggio, considerando l’affluenza ordinaria in quel posto maleodorante e deprimente. Era tutta colpa sua. Avviò il PC quasi senza accorgersene, come in trance e si stupì quando vide il desktop con l’icona di RGG3000 in bella vista al centro dello schermo. Cliccò due volte e il programma si avviò. Si sistemò la visiera con il microfono e attese di andare a Marshmallow City, la città di Gaia.


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CAPITOLO 7

Si ritrovò accanto al negozio di dolci di Apple drive, e si guardò intorno alla ricerca della ragazza. «Gaia?» provò a chiamare. Bastò un solo richiamo e la ragazza si materializzò in fondo alla via. «Ciao» disse un po’ sulle sue. Richie era stranito dal suo tono di voce. Sembrava una ragazza arrabbiata, ma com’era possibile? «Ehm, ciao. Cosa stavi facendo?» Domanda idiota visto che prima era semplicemente spenta, ma suo padre gli aveva raccomandato di trattarla come una persona vera, e quindi… «Niente di che. E tu?» «Anch’io niente di che.» Gaia guardò l’orizzonte, il viso imbronciato. «C’è qualcosa che non va Gaia?» azzardò Richie. «No, niente.» “Oh signore! Mio padre ha proprio fatto tutto come nella realtà! Perché le femmine non dicono mai cosa c’è che non va? Perché la loro risposta è sempre la stessa: niente? Ma poi ti trattano come se avessi appena ucciso il loro gattino?”, pensò Richie sospirando. Avrebbe fatto un ultimo tentativo e poi sarebbe tornato alla realtà. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era una realtà virtuale più angosciante di quella “vera”. «Con me puoi parlare se vuoi.» Tentò con l’approccio morbido, anche se l’ultima cosa di cui aveva voglia era giocare allo psicologo. «Come mai non sei più venuto a trovarmi? Se non sbaglio tuo padre aveva detto che mi avresti tenuto compagnia tutti i giorni» rispose continuando a guardare l’orizzonte, accigliata.


27 Quella risposta lo prese in contropiede. Non ricordava che suo padre gli avesse detto una cosa del genere, ma non era certo nemmeno del contrario. «Ho avuto molto da fare. Mi spiace, ma ora sono qui.» «Hai la voce triste» constatò Gaia, girandosi verso di lui. «Non sono di ottimo umore in effetti.» «Perché?» Richie le spiego tutto quello che era successo, dalla partenza di suo padre all’incidente di sua sorella, e stranamente si sentì meglio dopo aver finito. La cosa bella di poter parlare con una ragazza era che non dovevi per forza far finta di essere un duro. Potevi lasciarti andare perché i sentimenti per loro non erano un tabù come per i ragazzi. Il fatto che lei fosse una ragazza, e per giunta di un mondo a se stante, rendeva la cosa migliore perché non avrebbe mai potuto raccontarlo ad altri. I suoi segreti e le sue debolezze erano al sicuro. Gaia lo aveva ascoltato silenziosa, a tratti quasi preoccupata. Lo aveva abbracciato e consolato, assicurandogli che sarebbe andato tutto a posto. «Ti va di fare qualcosa in particolare?» chiese dopo averlo ascoltato con attenzione e avergli dato il conforto necessario. Richie ci pensò su, ma non aveva voglia di fare nulla in realtà. Scosse la testa costernato, rendendosi conto di non essere una buona compagnia nemmeno per una ragazza virtuale. «Allora decido io. Andiamo a esplorare il bosco dei sospiri!» propose euforica. «E cosa sarebbe?» chiese Richie, aggrottando la fronte. «Lo vedrai!» lo incitò Gaia, saltellando davanti a lui. Se non ricordava male, suo padre gli aveva detto che c’erano vari livelli di gioco a seconda dell’età. Gaia riconosceva il giocatore e l’età immessa al momento della registrazione, e apriva nuovi livelli a seconda anche della disposizione mentale e umorale del suo “amico reale”. Gaia trotterellò via felice e lui le corse dietro per non perderla di vista. Camminarono fino alla fine della strada e poi entrarono in una cabina. Gaia l’azionò e questa prese a salire su un pendio ripido, tirata dai fili d’acciaio sospesi per aria. Tutto in quel gioco sembrava reale; i materiali, le luci riflesse, i rumori. Era incredibile pensare che fosse suo padre il creatore di tutto quello


28 che vedeva e sentiva. Era il suo idolo. Un uomo che aveva fatto della sua passione il proprio lavoro e che lo faceva meglio di chiunque altro. Gli mancava da morire, ma si sentì meglio quando pensò alla mail che gli avrebbe mandato quella sera. Sorvolarono una pineta immensa. Le punte degli alberi ondeggiavano al vento, creando disegni di luci e ombre. Il sole era alto nel cielo e una sensazione di calore lo pervase. «Ci siamo quasi» lo avvertì lei. Il viaggio era durato non più di due minuti, ma era stato stupendo. Aveva goduto di un senso di libertà e di pace. Di sollievo addirittura. Era stato benefico per lui decidere di giocare. Scesero dalla cabina e si addentrarono nella grande pineta silenziosa. Solo qualche fruscìo di rami e lo scricchiolio degli aghi di pino sotto le loro scarpe. Non aveva ancora capito che gioco fosse. «Di cosa si tratta, Gaia?» Gaia ridacchio. «È un gioco di paura. Ti piacciono, vero? Ora dobbiamo raggiungere la casetta di legno e difenderla dagli gnomi malvagi. Sono terribili! Sono cattivissimi. Se riescono a entrare ci divoreranno vivi. Questo è il loro territorio. Ci sono delle regole naturalmente. Non si può stare sempre chiusi in casa, altrimenti sarebbe troppo facile. Ogni volta che loro ci attaccano, abbattono sulla nostra casetta le loro asce bipenne e noi, per ripararla, dobbiamo uscire usando il passaggio sotterraneo. Ma loro ogni volta se ne accorgono, perché la botola fa un rumore del diavolo. Bisogna essere veloci, correre verso l’uscita, trovare gli oggetti di cui abbiamo bisogno per riparare e tornare indietro prima che loro ci raggiungano o che riescano a fare un buco abbastanza grande da riuscire a entrare. Tutto chiaro?» Richie sorrise euforico. Gli piaceva. Quel gioco era quello di cui aveva bisogno per non pensare alle brutture degli ultimi tempi. Guardandosi attorno con circospezione, si avvicinarono alla casetta. Era interamente in legno e un po’ malandata. Le finestre erano sbarrate da assi inchiodate e dal piccolo comignolo usciva un filo di fumo. Più tardi ne avrebbe capito il motivo. Sentiva già l’adrenalina scorrergli nelle vene. Con uno scatto, Gaia balzò verso la porta appena oltrepassato un grosso sasso a forma di freccia. Richie capì che avviava il gioco e seguì Gaia volando verso la porta che lei teneva aperta.


29 L’interno era spazioso. Il pavimento di legno, come tutto il resto. Un grosso e spesso tavolaccio occupava il centro della stanza con due sedie malridotte ai capi. Un divanetto sfondato era addossato alla parete in fondo, vicino a un grosso camino acceso. Accanto al camino, diversi attrezzi da fabbro erano poggiati a terra. Alle pareti c’erano vecchi quadri impolverati, raffiguranti mazzi di fiori di ogni colore che non avevano nulla a che vedere con l’ambiente circostante. In un angolo, una scopa, un grosso martello, un’accetta e una manciata di chiodi. Quello era il loro arsenale di partenza. «Shh!» fece Gaia, tendendo le orecchie «arrivano.» Richie trattenne il fiato, e nel silenzio totale udì risatine maligne e passetti veloci che si avvicinavano. Sbirciò dalla finestra, tra un’asse e l’altra. In principio non vide nulla. Solo il tappeto marroncino di aghi di pino, qualche tipico funghetto bianco e le chiazze di luce solare che ondeggiavano. Scosse la testa rivolgendosi a Gaia che aveva gli occhi sgranati come se avesse davvero paura. Quando si voltò di nuovo verso la finestra, due occhi grandi iniettati di sangue lo fissavano malevoli. Richie fece un salto all’indietro, terrorizzato. Lo gnomo era poco più basso di una bottiglia di acqua da un litro, aveva la testa grossa, sproporzionata rispetto al corpo. I capelli secchi e crespi gli ricadevano smorti sulle orecchie grosse a punta. Un cappello a punta ne copriva la sommità. Il viso era rugoso, scuro come quello dei marinai a fine estate, le labbra spesse e grinzose si aprivano in un ghigno odioso a mostrare denti marci e aguzzi. Erano orribili e sporchi, e sicuramente puzzavano, ma grazie al cielo gli odori non si sentivano. Richie deglutì diverse volte prima di prendere il martello e mettersi in posizione di difesa. Fu facile capire la prima mossa da fare. Lo gnomo più vecchio – o almeno così sembrava – prese a dare martellate ai chiodi che sporgevano all’esterno, cercando di togliere le assi dalla finestra all’altro lato della casa. Richie corse in quella direzione e iniziò a colpire le teste dei chiodi che vedeva sporgere troppo. La battaglia fu dura, lo gnomo era veloce e forte. Con un solo colpo riusciva a far uscire il chiodo per metà della sua lunghezza, mentre lui doveva usare tutta la sua forza e dare almeno quattro colpi per farlo rientrare.


30 Nel frattempo Gaia si occupava dell’altra finestra, usando un attizzatoio. Quando lo gnomo più vecchio se ne andò, apparentemente sconfitto, Richie raggiunse Gaia e la aiutò con il martello. Uno dei chiodi si era rotto. Richie ne prese uno dall’angolo e lo piantò al posto. La prima ondata aggressiva sembrava terminata. Il martello era in pessime condizioni. La botola si aprì con un cigolio. Richie non l’aveva vista prima. Era davanti al divanetto e una ripida scala portava nel buio più assoluto. «Andiamo!» lo incitò Gaia, raggiungendo la botola e fiondandosi all’interno. Si ritrovarono in un tunnel circolare scavato nella terra. Sembrava respirare e pulsare a ogni loro passo. Richie pensò che sembrava un intestino, e questo lo fece quasi sorridere. Forse era perché a scuola stavano studiando l’apparato digerente. Corsero a perdifiato, svoltando, scendendo, salendo e svoltando di nuovo. Sembrava non finire mai, ma poi finalmente una tenue luce indicò che erano quasi arrivati all’esterno. «Ora cerca qualsiasi cosa che ti sembri utile. In genere gli oggetti utili sono un po’ più luminosi del resto. Ok?» «Ok. Quanto tempo abbiamo?» chiese Richie su di giri. «Due minuti. Hai il timer sull’orologio virtuale» spiegò Gaia, indicandogli un orologio che non aveva mai visto prima. Stupefatto assentì e partì di corsa, zigzagando tra i tronchi degli enormi alberi. Dapprima trovò una scatola piena di chiodi sottili, poi un martello piccolo e due assi di legno integre. I due minuti stavano per scadere quando raggiunse di corsa l’apertura. Qualche rumore lo avvertì che non era solo. Di fronte a lui due gnomi agguerriti lo fissavano astiosi con le loro asce in mano. «Gaia!» gridò Richie in preda al panico. Un secondo dopo lei era al suo fianco. S’inoltrarono nel tunnel, richiudendosi alle spalle la botola di ferro un attimo prima che gli gnomi calassero le asce. Richie aveva il cuore a mille. Correva a perdifiato con il suo bottino tra le braccia. Appena richiusa la botola di legno della casa si sedette a terra, tirando un sospiro di sollievo. «Ragazzi… è pazzesco! Devo riprendere fiato» disse, asciugandosi il sudore dalla fronte.


31 «Non c’è tempo, bello mio. Arrivano!» gridò Gaia, tenendo d’occhio la finestra di sinistra. L’aggressione ricominciò. Fusero il ferro e fecero nuovi chiodi con lo stampo trovato da Gaia. Aggiustarono il martello grande e usarono quello piccolo. Contrastarono gli attacchi, corsero di nuovo a cercare oggetti, fino a che il primo livello non giunse al termine e Richie crollò sul pavimento ridendo come un pazzo. «È stato fichissimo! Fantastico! Incredibile! Sono esausto, ma ne è valsa la pena. Grazie, Gaia. Mi ci voleva proprio!» Gaia rise con lui. «Sono contenta che ti sia divertito. Vuoi continuare?» Richie guardò l’orologio; erano quasi le sette di sera. No, doveva tornare alla realtà, pur senza averne alcuna voglia. «Devo andare. È tardi.» Gaia non disse nulla e gli fece cenno con la mano di seguirla all’esterno. Passeggiarono con calma per raggiungere la cabina. Risero, parlarono di strategie per il secondo livello e godettero della compagnia l’uno dell’altra. Le grida di qualcuno giungevano attutite alle orecchie di Richie. «Senti qualcosa?» chiese a un tratto. «Cosa?» domandò Gaia, senza capire. «Delle grida. Senti delle grida?» Gaia rimase in silenzio ascoltando. «No» rispose sorridendogli con dolcezza. Ma le grida c’erano eccome. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

CAPITOLO 1 ................................................................................ 3 CAPITOLO 2 ................................................................................ 7 CAPITOLO 3 ................................................................................ 9 CAPITOLO 4 .............................................................................. 13 CAPITOLO 5 .............................................................................. 17 CAPITOLO 6 .............................................................................. 22 CAPITOLO 7 .............................................................................. 26 CAPITOLO 8 .............................................................................. 32 CAPITOLO 9 .............................................................................. 36 CAPITOLO 10 ............................................................................ 43 CAPITOLO 11 ............................................................................ 51 CAPITOLO 12 ............................................................................ 57 CAPITOLO 13 ............................................................................ 62 CAPITOLO 14 ............................................................................ 68 CAPITOLO 15 ............................................................................ 70 CAPITOLO 16 ............................................................................ 75 CAPITOLO 17 ............................................................................ 76 CAPITOLO 18 ............................................................................ 79 CAPITOLO 19 ............................................................................ 82 CAPITOLO 20 ............................................................................ 86 CAPITOLO 21 ............................................................................ 94 CAPITOLO 22 ............................................................................ 96 CAPITOLO 23 ............................................................................ 98 CAPITOLO 24 ............................................................................ 99 CAPITOLO 25 .......................................................................... 105 CAPITOLO 26 .......................................................................... 107 CAPITOLO 27 .......................................................................... 111


CAPITOLO 28 .......................................................................... 112 CAPITOLO 29 .......................................................................... 116 CAPITOLO 30 .......................................................................... 117 CAPITOLO 31 .......................................................................... 119 CAPITOLO 32 .......................................................................... 123 CAPITOLO 33 .......................................................................... 129 CAPITOLO 34 .......................................................................... 133 CAPITOLO 35 .......................................................................... 137 CAPITOLO 36 .......................................................................... 143 CAPITOLO 37 .......................................................................... 145 CAPITOLO 38 .......................................................................... 151 CAPITOLO 39 .......................................................................... 153 RINGRAZIAMENTI ................................................................ 155


AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO La 0111edizioni organizza la Terza edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2020) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.



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