Perversi, Claudio Felici

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In uscita il 2 /2022 (15, 0 euro)

Versione ebook in uscita tra fine 2022 ( ,99 euro)

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Perversi

CLAUDIO FELICI
ZeroUnoUndici Edizioni

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PERVERSI

Copyright © 2022 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-586-8

Copertina: Immagine Proposta dall’Autore Prima edizione Novembre 2022

A mia zia Ileana, ovunque sia ora.

CAPITOLO 1

«Vorrei precisare che l’unico motivo per il quale sono qui oggi, è che mi è stato ordinato da un giudice. Io non c’entro niente con voi, con le vostre storie, con le vostre motivazioni. Cristo, non so neanche chi siete! E sinceramente non credo proprio che questi incontri possano giovare alla mia condizione psichica, e a fare in modo che io riesca a uniformarmi alla società. La verità e che a me fa schifo questa società!»

Lo so, come biglietto da visita potrebbe non essere il massimo. Mi guardano tutti con occhi sbigottiti.

Posso sentire il frastuono dei loro pensieri. Poveri, miseri mentecatti che cercano la comprensione nello sguardo e nelle parole del prossimo per potersi sentire parte integrante di un sistema che li emargina, perché hanno osato gettare via per un attimo la propria maschera.

Ipocriti figli di puttana. Schiavi di una società che ti dice chi devi essere, come ti devi vestire, che lavoro devi fare, quali passioni devi avere. Io non sono come voi.

Io sono l’unico regista della mia vita, non ci tengo a farmi correggere le bozze da qualche burattinaio seguace della normalità, così che mi renda uniformato agli altri. Nossignore.

È tutto un grande show, un immenso Grande Fratello dove sai che devi fingere per piacere al pubblico, altrimenti ti fanno lasciare il programma. Devi accaparrarti le loro simpatie, devi assecondare il loro modo di pensare, fare tua la loro morale.

Ma io non sono così, a me non frega nulla delle regole del gioco, io partecipo a modo mio, altrimenti sarò ben felice di abbandonare la giostra.

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Non mi piegherete mai.

Non ci sono riusciti i miei genitori, né i miei amici, i colleghi di lavoro, le donne… non c’è riuscita neanche Emma.

E di sicuro non ci riuscirà questa cicciona con gli occhiali e l’aria compassionevole che mi fissa senza aprire bocca da quando mi sono seduto su questa sedia.

Perciò andate pure avanti. Raccontate le vostre patetiche vite. Umiliatevi di fronte a degli estranei, raccontando di come vi sentiate diversi, di quanto desiderereste cambiare, di come la vostra vita sia un inferno da quando avete deciso di mostrare il mostro che dimora nelle vostre anime a qualcuno del quale vi fidavate ciecamente.

Sapete una cosa? Non frega un cazzo a nessuno delle vostre patetiche storie da quattro soldi.

Quindi raccontatele in fretta, così che possa tornare a casa mia, alla mia vita, a godere della compagnia del silenzio. Alla fine è solo questo che voglio, vivere la mia vita sereno e lontano da tutto e tutti. Mi bastano poche cose per stare bene, mi basta avere un letto per dormire, un tetto sopra la testa e soprattutto mi basterebbe mio figlio.

Una volta avrei detto che l’unica cosa davvero importante era Emma.

Stare con lei era tutto per me. Ma se queste sono le conseguenze del voler amare una persona con tale intensità, be’, allora che si fotta anche lei.

Mio padre me l’ha sempre detto che le donne sono tutte una manica di puttane.

Avrei dovuto dargli retta fin da subito, e forse oggi non sarei qui.

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CAPITOLO 2

«Bene Lorenzo, credo che tu abbia espresso con chiarezza a tutti noi il tuo punto di vista iniziale. Da parte mia spero che, con il passare del tempo, potrai cambiare idea e interagire con noi in modo costruttivo, così da riuscire a integrarti con il resto del gruppo. Direi che se Lorenzo, al momento, non ha più nulla da aggiungere, possiamo anche passare a qualcun altro.»

Ecco, lo sapevo. Ti prego non guardare me, non me! Cerco di evitare in tutti i modi lo sguardo della dottoressa, fingendo di essere a mio agio, di non dare nell’occhio. Merda, e se invece si accorgesse di me proprio perché sembro troppo spensierato?

Potrebbe capire che sto fingendo, in fin dei conti è pur sempre una psicologa, o psicoterapeuta o quello che è, e loro questi trucchetti li conoscono bene.

Dio, quanto sono stato stupido!

Mi porto la mano alla bocca e comincio a sgranocchiarmi le unghie, subito dopo però mi rendo conto che è una dimostrazione di nervosismo, quindi tolgo di scatto la mano facendola sbattere sulla mia coscia, cosa che richiama l’attenzione della dottoressa. Ora il suo sguardo è su di me, e non solo il suo.

Non chiamarmi, ti prego, non sono ancora pronto. Ma come sempre, la fortuna ha deciso di girarmi le spalle. «Giorgio» accenna un sorriso tirato «vuoi raccontarci qualcosa tu?»

Il cuore si ferma per un secondo o due, poi dà un colpo secco talmente tanto forte che ho quasi l’impressione che gli altri ne abbiano sentito il rumore.

Un’ondata di sangue gelido mi attraversa il corpo.

La fronte si bagna di sudore freddo e la bocca si secca, come se tutta l’acqua contenuta nel mio corpo stesse uscendo dai pori della pelle.

La testa gira un pochino e il battito accelera.

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«Ah… e-ecco io…» comincio a balbettare. Incrocio gli sguardi degli altri partecipanti. Sono lì, pronti a giudicarmi. Uno di loro, il tizio che ha parlato prima con quell’aria strafottente, se la ride mentre mi fissa con un’aria di disprezzo totale.

Non ce la faccio a iniziare, non posso essere il primo. «S-se non le dispiace, do-dottoressa, preferirei ascoltare adesso.» Ho paura che non me lo conceda, che insista per farmi parlare o che mi schernisca di fronte a tutti gli altri. Che razza di codardo che sono.

Sono solo un verme, un viscido verme che non ha diritto a rimanere su questa terra. Un viscido verme che dovrebbe solo essere calpestato, schiacciato con il tacco delle scarpe. Già…

E se lo facesse lei mi renderebbe l’uomo più felice del pianeta. Quanto porterà di scarpa, un 38? Direi 39 al massimo, la mia taglia preferita.

Né troppo grandi né troppo piccoli. E a giudicare dalle dita delle mani, anche quelle dei piedi devono essere lunghe e affusolate come piacciono a me, con il secondo dito di poco più lungo dell’alluce.

Mentre le fisso le dita delle mani, scrive qualcosa sul block notes che tiene sulle gambe. Una sola parola, o comunque una breve frase, senz’altro su di me.

Cosa avrà scritto?

E cosa mi dirà di fare adesso?

Spero non metta qualche nota negativa perché devo per forza terminare queste sedute con una valutazione positiva, oppure potrei subirne le conseguenze.

«Non ti preoccupare, Giorgio. Qui nessuno vi impone di fare o dire niente, se non lo volete. Ognuno ha i suoi tempi, ma se posso darvi un consiglio: parlare, a prescindere da quello che racconterete, è il primo passo che vi condurrà alla meta, che può essere diversa per ognuno di voi» fa una breve pausa e ci guarda uno per uno, cercando di capire se la stiamo ascoltando sul serio. Poi continua: «Spesso si crede che chiudersi all’interno di un guscio, di una corazza, sia il modo migliore per difendersi, per impedire agli altri di farci del male. Invece è l’esatto contrario. Se ci si rinchiude in modo così

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ermetico all’interno del proprio io, si rischia di morire asfissiati. Dobbiamo fare dei piccoli buchi a quella barriera, solo così possiamo permettere all’ossigeno di entrare. Allora. C’è qualcuno che ha voglia di iniziare?» Spero davvero che qualcuno si faccia avanti, perché ho attirato già troppa attenzione su di me per i miei gusti.

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CAPITOLO 3

Ci avrei giurato, se non prendo in mano la situazione io, qui si rischia di rimanere in questa fase di stasi per un bel po’. C’è poco da fare, come dico sempre: Il mondo è diviso in tre categorie: le pecore, chiuse nel loro bel recinto, con i loro cervellini semplici, lo spirito remissivo, sempre alla ricerca di qualcuno che gli dica dove andare, cosa mangiare, quando dormire. Poi ci sono i lupi, che se ne fregano delle regole, sono spinti solo dai loro bassi istinti e se ne approfittano dei poveri ovini che vengono utilizzati come pietanze succulenti con le quali sfamare i loro appetiti. Infine ci sono i cani da pastore. Una razza nata per comandare e mantenere l’ordine delle cose, per indirizzare le pecore verso quello che è giusto per loro e fare il culo a qualsiasi lupo abbia intenzione di approfittarsi del gregge.

Ora, le pecore sono una moltitudine, il gregge può essere bello numeroso e rappresenta la maggior parte della gente. I lupi sono una quantità minore, ma possono essere pericolosi perché si muovono in branchi, e quando ti devi scontrare con qualche maschio alfa, può diventare un problema.

I cani da pastore invece sono una razza nobile, intelligente, forte, nata per comandare e mantenere l’ordine in ogni situazione e su qualsiasi territorio; ne basta uno solo perché tutto il gregge sia al sicuro, e ora questo piccolo gregge è in difficoltà. Abbiamo visto già la prima pecora muoversi paurosa e ignara di quello che l’aspetta; e abbiamo anche individuato il lupo che, ci scommetterei, ha già adocchiato la sua preda. Ora bisogna rimettere le cose in riga. Mostrare a tutti cosa vuol dire essere un leader.

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«Inizio io!» esclamo, fissando il lupo negli occhi, che ricambia lo sguardo distogliendo per un attimo la sua attenzione dalla povera pecorella.

«Dopotutto, adesso o più tardi, non ha nessuna differenza per me. Quindi tanto vale essere il primo.»

La dottoressa mi guarda con ammirazione, non se l’aspettava, deve essere abituata a tutto un altro genere di persone. Dubito che le sia mai capitato uno come me prima d’ora.

«Benissimo, Massimo. Inizia pure tu. Raccontaci la tua storia e cosa ti ha portato a essere qui con noi oggi.»

La sua voce è calda, parla in modo pacato scandendo bene le parole. Potrei anche farci un pensierino. Alla fine è una bella donna, poco sopra i quaranta. Non proprio il mio tipo, un po’ troppo magra, peserà sui cinquantacinque chili al massimo, e sarà alta un metro e settanta, ma ha qualcosa d’intrigante devo ammetterlo. E poi, quella delle terapeute è una categoria che mi manca. Mi è già capitato di andare a letto con un medico, ma era la mia oculista, una cosa semplice. Qui invece si tratta di una persona che tenta di analizzarmi e di capire cosa mi frulli nella testa. Vediamo se al termine di questo percorso riesco a tirare fuori quello che frulla nella sua. «Allora, direi di cominciare presentandomi» mi schiarisco la voce e accenno un sorriso privo di gioia. «Bella gente, come avete già sentito dalla dottoressa, mi chiamo Massimo, ho quarantacinque anni e sono qui per pura sfortuna, a causa di un gioco finito male. Non che mi dispiaccia la vostra compagnia, intendiamoci, ma diciamo che se avessi scelto io di avvalermi dei servigi della nostra splendida terapeuta, non lo avrei fatto di sicuro in compagnia di tutti voi. Senza offesa per nessuno, si capisce.» Alzo le mani e sorrido di nuovo, suscitando qualche risatina sommessa e timida. Almeno il ghiaccio è rotto. Se aspettavamo gli altri, qui avremmo fatto notte.

Ci sono altri tre pazienti oltre a me. C’è il lupo, un uomo della mia età, corporatura robusta, fisico asciutto, leggermente stempiato. Di statura media, con uno sguardo da folle che ti fa capire subito che non deve essere del tutto a posto.

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La pecora è un uomo sui trentacinque, alto, sarà poco più di un metro e ottanta. Gambe e braccia magre, così come il viso abbastanza scavato, ma una bella pancetta molle di quelle da bevitore di birra incallito. Non deve essere proprio uno sportivo. Ha gli occhi impauriti ed evita sempre lo sguardo del suo interlocutore e delle altre persone in generale. Poveraccio.

La terza è una ragazza, avrà massimo vent’anni. Carina, con un fisico non esuberante, forse con qualche chiletto di troppo ma che non le sta poi male.

Due begli occhi azzurri e capelli biondi che tendono al rossiccio. Si vede lontano un chilometro che, tra tutti noi, è quella che ha meno voglia di stare qui.

Chissà cosa avrà combinato per essere costretta a questa terapia nonostante la giovane età.

«Ti ringrazio per la tua presentazione, Massimo. E gradirei, se possibile, che anche tutti voi vi presentaste al gruppo dicendo il vostro nome e la causa che vi ha condotti qui da me oggi. Prego Massimo, continua pure.»

Lo sapevo, gli anni passano ma non perdo un colpo. La bella terapeuta sta già subendo il fascino del vecchio Max. Vediamo di portare l’opera a compimento nel minore tempo possibile.

«Dunque, come stavo dicendo, il fatto è che purtroppo sono stato vittima delle circostanze e diciamo che stavolta il gioco mi è un tantino sfuggito di mano.»

Non faccio in tempo a finire il mio discorso che il lupo sferra il suo primo attacco: «Cos’hai fatto, hai barato a Monopoli e hai rubato dei soldi dalla banca centrale?»

La dottoressa lo riprende subito: «Lorenzo, per favore. Se volete intervenire, vi chiedo la gentilezza di alzare la mano, altrimenti rischia di diventare una banale rissa da salottino televisivo, e non un confronto con degli scopi più alti.»

«Non si preoccupi dottoressa» la rassicuro. «Se il qui presente Lorenzo sente l’impellente bisogno di far sentire la sua voce, posso

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benissimo lasciargli spazio. Sarei curioso di sentire la sua storia, se crede che sia più interessante della mia.»

Se credi di farmi paura, caro il mio lupacchiotto spelacchiato, ti sbagli di grosso, e te lo farò capire in qualche modo. «La mia storia non è affar tuo, damerino.»

«Benissimo» rispondo, mantenendo sempre il contatto visivo.

«Allora ti pregherei di startene seduto e in silenzio fino a quando non avrò finito.»

Mi lancia un’occhiataccia furiosa. «Mi stai forse dando degli ordini, pupazzo?»

«Signori, per favore» interviene la dottoressa, cercando di placare gli animi.

«Tu cosa dici?» gli rispondo con un sorrisetto di sfida.

«Signori…»

«Ehi, vedi di fare poco il furbo con me!» esclama, alzando la voce e puntando il dito contro di me, mentre allunga il busto in avanti come un gallo che cerca di gonfiare il petto alla presenza di un rivale.

«Signori!» La voce autoritaria della dottoressa riporta tutti all’ordine.

Non ha proprio urlato, ha alzato il tono quel tanto che basta per richiamare la nostra attenzione e farci capire che non è un pesce rosso in mezzo agli squali, e ci è riuscita.

Mi piace sempre di più, adoro le gattine da domare, soprattutto quando mostrano le unghie.

«Prego Massimo. Continua pure.»

Il suo tono di voce è tornato quello di prima, il suo volto adesso è rilassato.

«Bene, come stavo dicendo sono qui per un gioco finito male, una stupidaggine, ma si dà il caso che la protagonista di questo gioco sia imparentata con un mio grandissimo amico, o almeno credevo che lo fosse, e che ha minacciato di denunciarmi se io non fossi venuto qui, quindi… è come dicevo, una sciocchezza.»

La dottoressa mi guarda negli occhi dopo aver letto qualcosa dal quaderno che ha in mano.

«Se non sbaglio, Massimo, la “sciocchezza” come la definisci, ha fatto finire in ospedale una giovane donna, e tu sei stato oggetto di

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un’indagine da parte della procura. Non direi che “sciocchezza” sia termine adatto per definire quello che è successo…»

Le parole della dottoressa per un attimo mi lasciano ammutolito. Sapevo che avremmo dovuto toccare questo tasto prima o poi, ma non pensavo in questo modo, non immaginavo che potesse prendere lei le redini della questione.

Devo riprendere il controllo della situazione, ormai ho scoperto le mie carte, tanto vale cambiare strategia e puntare sull’attacco. «Ha ragione, forse ho usato il termine sbagliato, e mi scuso se sembra che abbia mancato di delicatezza, non era mia intenzione. Quello che voglio dire è che quanto è successo non era intenzionale, o almeno non nell’intensità in cui è sfociato il tutto» mi sto agitando e non va bene. «Permettetemi di ricominciare daccapo il mio racconto.»

«Basta che ti sbrighi, non abbiamo tutta la sera…»

Non degno il disturbatore neanche di una minima attenzione. È la mia scena questa, è su di me che sono puntati i riflettori.

«Mi chiamo Massimo, sono quello che in gergo sessuale si definisce un master o dominatore. Sono qui perché durante un incontro sessuale con una ragazza, le cose ci sono sfuggite di mano e la mia partner ha rischiato di rimetterci la pelle.»

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CAPITOLO 4

E io che pensavo di essere strana… Se non altro questo incontro servirà a farmi capire che al mondo ci sono persone peggiori di me, il che non è male, anche se non è che mi consoli poi più di tanto. Un dominatore.

Ho sempre sognato d’incontrarne uno vero, ma tutte le volte mi sono trovata di fronte a gente che si autodefinisce in un modo, per poi dimostrarsi del tutto al di sotto delle aspettative. Forse è la mia generazione che è sbagliata, ma tutti i diciottenni di oggi sono solo degli enormi palloni gonfiati che si vantano in giro di storie ingigantite solo per cercare di guadagnarsi il rispetto dei poveri ebeti che li stanno ad ascoltare.

Chissà, forse questo tizio è diverso. Dopotutto è di un’altra epoca, di quando ancora non era così facile e immediato usufruire di qualsiasi tipo di materiale pornografico esistente, in qualsiasi momento e a qualsiasi età.

Siamo una generazione che a quindici anni ha già visito così tante depravazioni da sviluppare una certa forma di assuefazione verso il sesso, così convinti di dover dimostrare di essere all’altezza dei video che si trovano online, da dimenticarsi dell’esistenza delle cose più semplici giudicate ormai banali.

Se non hai provato qualsiasi tipo di esperienza entro i diciotto anni, ormai ti senti un emarginato. Il problema è che poi devi vivere una vita intera con nient’altro da sperimentare… niente sa di nuovo, tutto è già stato provato e rimani in balìa del vortice della noia.

Ogni tanto, però, succede che qualcosa catturi la tua attenzione, qualcosa di nuovo, che speri possa portare un pizzico di pepe alla tua vita insipida.

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Chissà, magari è solo un altro galletto che esulta alle prime luci dell’alba, e che una volta privo di piumaggio si rivelerà il solito pollo d’allevamento.

Però almeno è carino, assomiglia a un cantante che mi piace, quindi diciamo che ha guadagnato un paio di punti a suo favore, anche se rimane pur sempre un uomo.

Non mi aspetto grandi cose dalla gente, soprattutto dagli uomini, una razza che sembra nata solo per distruggere tutto quello che di buono esiste al mondo.

Almeno l’avessero fissata di mattina questa seduta, avrei saltato un giorno di scuola, invece neanche quello, mi ha solo fregato un pomeriggio che avrei utilizzato volentieri per dormire un po’, visto che da una settimana dormo solo un paio d’ore a notte e stasera devo anche uscire.

E dire che non ne ho neanche voglia, ma ho promesso alla mia amica Ester che l’avrei accompagnata, perché lei deve vedersi con un tipo per la prima volta e non le andava di andare da sola. Mi tocca anche fare il bodyguard reggi moccolo. Comunque le ho già detto che se dovesse capitare che io mi ritrovi da sola con qualche coglione che fa lo splendido e inizia a provarci con me, dando per scontato che visto che il suo amico e la mia amica stanno flirtando come piccioncini, dovremmo farlo anche noi, io me ne vado via e l’abbandono lì.

Tanto so già che tipo mi ritroverò davanti.

Per ora i ragazzi che ho conosciuto si dividono in due categorie: gli sfigati che non riescono a tenermi testa neanche minimamente perché hanno dei caratteri deboli e si fanno manipolare come voglio io; oppure quelli ancora più sfigati che sono così pieni di sé da sprizzare il proprio ego dai pori della pelle a ogni movimento. Idioti che si credono il padreterno e si vantano di quanto sono fighi, delle cose che fanno, degli amici che hanno, delle esperienze che hanno avuto.

Poi, quando li conosci per bene, ti rendi conto che la maggior parte delle cose dette sono stronzate ingigantite fuori ogni misura.

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Ecco, trovassi invece un vero dominatore, qualcuno che mi faccia sentire davvero sua, che riesca a tenermi testa non solo da un punto di vista fisico ma anche e soprattutto mentale, be’… Diciamo che lì sarei anche disposta a rivedere la mia posizione sul genere maschile.

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CAPITOLO 5

«Bene, Massimo, vai pure avanti con il tuo racconto.» Ho ripreso il controllo della situazione. L’attenzione delle pecorelle è tutta su di me, e anche il lupo ha abbassato la coda e ha deciso di ascoltare la mia storia. Che abbia riconosciuto in me un possibile maschio alfa? Non mi stupirebbe. Questi bastardini amano mostrare un po’ i denti, ma quando si accorgono che i tuoi sono più affilati dei loro, richiudono subito la bocca. Ricomincio la mia storia, con la speranza che l’affascinante dottoressa possa rimanerne piacevolmente colpita. «Ho scoperto la mia indole da dominatore verso i venticinque, ventisei anni. Prima di allora non pensavo potesse interessarmi un certo genere di approccio al sesso. Oserei dire che la consapevolezza di ciò che ero, coincide con il mio passaggio alla completa maturità sessuale. «Insomma, credo che ognuno di noi sia cambiato sotto quel punto di vista rispetto a quelli che sono i suoi esordi. Impariamo a conoscere il sesso, il nostro corpo, quello del partner, a seguire i nostri istinti, ad ascoltare le nostre pulsioni più profonde. All’inizio è tutto un infilare qualsiasi buco ci si presenti davanti, con la foga di un coniglio in calore, poi con gli anni decidi che hai bisogno di dedicarti più tempo, che l’importante non è prenderti la sbronza come un adolescente che butta giù tutto d’un fiato uno dopo l’altro degli shot di pessima vodka da due soldi comprata in qualche supermercato, ma inizi con la ricerca dei vini pregiati, e un vino pregiato non puoi stapparlo e berlo dal collo della bottiglia fino a vuotarla. Devi farlo respirare, saggiarne il colore, la consistenza, l’aroma, e accompagnarlo con i cibi giusti. Ed è allora, solo allora

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che scoprirai qual è la tua cantina preferita, e ti servirai soltanto da quella. A me l’ha fatta scoprire una ragazza, Gabriella.»

«Possiamo anche evitare i nomi di persone non presenti se vogliamo» m’interrompe la dottoressa. Scuoto la testa. «E perché mai? Ci tengo che questa persona si prenda i suoi meriti, e comunque dubito che qualcuno in questa stanza possa conoscerla. Con Gabriella era una storia clandestina, io ero fidanzato, lei pure. Lei era però in una relazione aperta, con il suo ragazzo si amavano alla follia ma ognuno poteva concedersi degli svaghi, per me invece non era così.

«Non sono mai stato un tipo troppo fedele, se qualcosa attirava la mia attenzione, la seguivo. Se si dimostrava intrigante, allora era un’esperienza da vivere. La vita è così breve e monotona, eppure spesso ci priviamo della possibilità di vivere delle esperienze irripetibili, e in nome di cosa? Siamo poveri stolti che hanno un intero pianeta da visitare eppure decidono di vivere la loro piena esistenza senza allontanarsi dalla propria nazione, dalla propria città, dal proprio quartiere.

«Be’, io non sono così. Andai con Gabriella e fu un’esperienza della quale non mi pentirò mai. Liberi da vincoli, da etichette dettate dalla società in cui viviamo, eravamo solo due persone che si attraevano sessualmente e avevano deciso di godere uno della compagnia dell’altra il più possibile per quanto ci era concesso. E così facemmo.

«Con lei mi sentivo libero di esprimermi come meglio credevo, sotto il punto di vista sessuale, e scoprii molto di più su me stesso in quell’anno che la frequentai di quanto non avessi mai fatto nei venticinque precedenti. Sapevo che avrei potuto farle e chiederle qualsiasi cosa, e lo stesso poteva fare lei con me.

«Fu grazie a lei che capii che mi piaceva un certo tipo di sesso, quello violento, che mi piaceva dominare, prendere il controllo della situazione, portarla a fare tutto quello che desideravo perché lei stessa lo voleva.

«Il primo paio d’incontri servì a conoscerci e a tarare le nostre armi, il periodo che venne dopo invece è stato il miglior sesso che abbia mai fatto in tutta la mia vita.»

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Interrompo un attimo il racconto. Era tanto che non pensavo a Gabriella, non credevo nemmeno che a distanza di tutti questi anni il suo ricordo potesse coinvolgermi ancora così tanto.

Se ne accorge anche la dottoressa, che approfitta della mia breve pausa dal racconto per intervenire: «Questo tuo rapporto con Gabriella lo ricordi come qualcosa di bello, come qualcosa che ha arricchito la tua esistenza mi pare di capire.» Annuisco. «Assolutamente sì.»

«Però affermi anche che da quel momento non hai più provato, con le tue successive partner, le stesse sensazioni, lo stesso coinvolgimento che provavi con lei, è esatto?»

«Sì, è così.»

La dottoressa annota degli appunti sul suo bloc notes, poi continua: «Posso chiederti come finì questa storia con Gabriella?» Non credevo che la mia storia con Gabriella potesse interessarle così, chissà cosa le interessa davvero sapere. Questi analisti ti fanno le domande più inaspettate per poi trarre conclusioni del tutto visionarie, ma decido di vedere il suo gioco.

«Certo. Credo che la storia giunse al termine perché per quanto fantastico fosse, il sesso con lei stava diventando comunque qualcosa di monotono. A questo aggiungiamo anche il fatto che lei un giorno mi fece capire che si stava innamorando di me, così ho deciso d’interrompere i rapporti, almeno quelli sessuali, così avrei evitato di farla soffrire. Sono comunque uno che ci tiene alle altre persone.»

Ma sì, giochiamoci pure la carta di quello che empatizza con il prossimo, male di certo non può fare.

«Perché tu eri già innamorato di un’altra, dico bene?»

«Diciamo piuttosto che ero sentimentalmente impegnato.»

«Non eri quindi innamorato della tua compagna?»

«Non ricordo bene se in quel periodo fossi ancora innamorato della ragazza con cui stavo, ma forse, se ho deciso di andare a letto con un’altra, si vede che non lo ero» scrollo le spalle, come se fosse una considerazione ovvia.

La dottoressa continua a prendere appunti. Mi piacerebbe leggere quello che scrive, sembra quasi che stia redigendo le mie memorie.

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«Questo non è sempre vero e scontato» risponde mentre continua a scrivere, con lo sguardo concentrato sul suo quaderno. «Esistono molte forme di amore e molte definizioni di questo sentimento. L’amore è l’unica emozione che ogni persona è in grado di provare ma che nessuno sa di preciso come descrivere. A differenza di odio, disprezzo, felicità, tristezza, gioia e di tutte le altre emozioni più o meno uguali per ognuno di noi, le persone provano amore in maniera diversa, come se fosse un sentimento personalizzato, mai uguale, proprio come due cristalli di neve a confronto. Questa Gabriella, per esempio, hai detto che era innamorata del suo fidanzato, me lo confermi?»

«Così mi disse lei.»

«E io non avrei motivi per non crederle. Esistono i cosiddetti poliamorosi, delle persone in grado di amare più di un individuo allo stesso tempo. Tra l’altro non è quello che facciamo tutti di continuo? Chiunque abbia più di un fratello, o più di un figlio, o che abbia tutti e due i genitori può confermare che, almeno per un breve periodo della sua vita, ha amato più di una persona allo stesso tempo. E credimi, non so se tu sei padre, ma l’amore di un genitore per i figli non sarà mai inferiore a quello che si può provare per qualsiasi partner.»

Ecco, ci mancava solo la versione maestrina che mi fa la lezioncina sull’amore.

Preferirei che me la facesse su un tipo di amore un po’ più fisico. Annuisco, anche se sono contrariato. «Capisco. Non sono d’accordo, ma capisco. Quello che non capisco e dove vuole arrivare.»

La dottoressa finisce di scrivere e stacca finalmente lo sguardo dal quaderno, fissando i miei occhi con un’espressione che definirei penetrante.

«Non voglio arrivare ancora da nessuna parte, per il momento.» Si prende una breve pausa, durante la quale continua a fissarmi. «Quello che vorrei chiederti, però, è se hai mai preso in considerazione la possibilità che il tuo allontanamento da Gabriella non fu a causa del fatto che la ragazza in questione si fosse innamorata di te, ma che tu ti stessi innamorando di lei, e che per

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questo hai deciso di soffocare quel sentimento, un sentimento forte, arrivato come un fiume in piena che non eri in grado di affrontare.»

«No, lo escludo del tutto» esclamo, ridendo di gusto.

«Per quale motivo? Non saresti il primo a sacrificare i propri sentimenti per paura di esserne travolto. Una sorta di autolesionismo inconscio: ci puniamo perché non ci riteniamo meritevoli di provare determinate emozioni, per poi privarcene e passare tutta la via alla costante ricerca di quelle sensazioni perdute.»

Ascolto le sue parole e non riesco a credere a quello che sento. Innamorato di Gabriella? Ma dico, scherziamo? È stata una persona importante, ci sono stato bene, credo anche di aver provato dell’affetto per lei, ma innamorato è una parola grossa. No, è del tutto fuori strada.

«Hai detto che il sesso con Gabriella stava diventando monotono, ed è per questo che hai deciso di rompere con lei, è esatto? Però hai poi passato tutta la tua vita a ricercare proprio quel tipo di sesso, dico bene? Lo stesso che ti ha fatto scoprire Gabriella, lo stesso che hai deciso di abbandonare perché ritenuto monotono.»

«È un discordo diverso…» dico, passandomi una mano tra i capelli, a disagio.

«Ah sì? Puoi spiegarmi il perché?» Questo suo incalzare comincia a infastidirmi.

«Cosa diavolo c’è da spiegare?» chiedo, con più nervosismo di quanto desideri. «Per quale motivo i divi del cinema, i modelli, le persone più belle del mondo si lasciano? È lo stesso discorso: monotonia. La minestra riscaldata, per quanto buona, a nessuno fa piacere mangiarla tutti i giorni. Delle volte si ha bisogno di sapori meno raffinati, ma che portino nuove emozioni al palato. Non mi sembra ci sia niente di strano.»

«Forse no, o meglio, di sicuro nulla di strano» risponde la dottoressa, riaprendo il suo quaderno. «Forse hai ragione tu, ma devo farti notare che il tuo atteggiamento, così come il tuo tono di voce, sono cambiati molto quando ti ho elencato la prospettiva che forse stai cercando quell’amore perduto del quale non ti sei accorto. Atteggiamento e tono di voce che sono rimasti stabili per tutto il tempo precedente, anche durante il piccolo screzio con il nostro

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Lorenzo. Credo che la questione Gabriella sia da approfondire. Qualunque essa sia, sono convinta che questa particolare conoscenza ha avuto un ruolo fondamentale nella tua storia.»

Rimango di sasso. Sto vivendo qualcosa mai provata prima d’ora. Ho sempre avuto il controllo della situazione in qualsiasi circostanza, è la prima volta che una persona, una donna comune, riesce in qualche modo ad avere la meglio su di me, facendomi dubitare di me stesso.

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CAPITOLO 6

Che figura da coglione!

Il damerino che si sentiva un superuomo, con quel suo sorrisetto tronfio stampato in faccia, e quell’atteggiamento da io sono un dominatore, zittito e ridicolizzato da una femmina. Alla fine devo ammettere che questo incontro si sta rivelando più divertente del previsto, ora speriamo solo che non duri in eterno, e che questa pagliacciata finisca il prima possibile. Come se uno non avesse niente di meglio da fare che starsene qui rinchiuso con questi quattro sfigati. È tutta colpa di questo Paese di merda, comandato da una classe politica di pagliacci. In Paesi seri ed evoluti come la Russia o la Cina, queste cose non si vedono, nossignore, lì le persone sono libere di vivere la loro vita, a meno che non commettano qualche stronzata seria, e lì sono legnate. Democrazia del cazzo. Una dittatura, ecco quello che ci vorrebbe. Sembra che il nostro supereroe non abbia più tanta voglia di raccontare i fatti suoi al prossimo. Che peccato, proprio ora che mi stavo appassionando alla sua storia. Imbecille.

La strizzacervelli si guarda intorno, distogliendo l’attenzione da quel fesso impomatato. «Allora, direi che come inizio non è male. Lascerei il tempo al nostro Massimo per riflettere su quella che è la sua situazione, per capire se riesce a visualizzare la sua vita da una prospettiva diversa» fa una breve pausa e ci guarda a turno. «È questo l’esercizio che vorrei spingere ognuno di voi a svolgere oggi: guardare la propria storia da un altro punto di vista» dice poi, tenendo stretto a sé il suo inseparabile bloc notes. «Non è detto che questo possa cambiare le vostre situazioni o le vostre opinioni in merito, ma di certo vi può

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aiutare a capire molto di voi stessi. Spesso siamo convinti di conoscerci per bene, ma ognuno di noi tende a celare dei segreti a se stesso. Il nostro Io è spesso come un bambino pauroso, che si nasconde all’interno della nostra mente, in profondità, e ci mostra solo quello che gli sembra più adatto per affrontare le varie situazioni di disagio al quale viene sottoposto. Cercate sempre d’instaurare in voi stessi dei dubbi, perché è solo facendosi delle domande che possiamo trovare le risposte che cerchiamo. Allora, chi di voi vuole continuare? Lorenzo, voi proseguire tu?»

E ti pareva. Lo sapevo che questa cagna sarebbe tornata da me, l’ho capito subito da come mi ha guardato prima, in modo diverso rispetto agli altri. Ha fatto finta di rivolgere la sua attenzione a tutti, ma era me che voleva, fin dall’inizio. Cagna. Cagna bugiarda. Come tutte, del resto. «Perché dobbiamo cambiare?» chiedo, guardando il damerino. «Mi stavo appassionando al racconto del nostro amico. Ero curioso di capire in quale circostanza si fosse comportato da dominatore, perché finora non ha dato l’idea di esserlo.»

Il pivello mi lancia un’occhiataccia di sfida che accolgo in pieno, poi riabbassa subito lo sguardo, fissando il pavimento tra le sue gambe. «Torneremo senz’altro a parlare con Massimo, ma per ora vorrei che anche voialtri prendeste a turno la parola. Dopotutto siamo tutti qui per raccontare qualcosa di noi, per capire bene chi siamo.» Aggiunge un sorriso, invitandomi a parlare.

«Vuol dire che a un certo punto ci racconterà anche lei delle sue perversioni?» le domando, sghignazzando.

«Quelle che tu chiami perversioni, sono soltanto differenti espressioni della nostra sessualità. Non c’è niente di patologico nell’avere certi desideri, purché si rimanga entro determinati limiti, e ti posso garantire che tutti, compresa me ovviamente, hanno dei gusti sessuali ben precisi, che rientrano in quelle che possono essere considerate pratiche inusuali o non canoniche.»

«Uh, peccato che lei non sia il mio tipo, altrimenti quest’affermazione mi avrebbe eccitato» la provoco.

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«Bene, parliamo di questo: qual è il tuo tipo, Lorenzo?» chiede, sistemandosi gli occhiali sul naso, pronta per scrivere. Sta giocando con me. Sta facendo i suoi fottuti giochetti da strizzacervelli, lo sento. Ma io non ci casco. «Perché non lo chiede alla ragazzina qui davanti, prima. È l’unica che non ha aperto becco da quando ci siamo seduti qui» mi volto verso la ragazza e chiedo: «Per quale motivo sei qui, ragazzina? Qualcuno ha usato le tue Barbie come giocattolo sessuale?»

Lei mi rivolge uno sguardo carico d’odio.

«Fottiti brutto…»

La dottoressa la ferma in tempo: «Lucia, per favore, non accettare le provocazioni di Lorenzo. E tu Lorenzo, ti prego di rispettare gli altri partecipanti.»

Guardo la ragazzina divertito, lei in tutta risposta mi mostra il dito medio.

Un bel caratterino, devo riconoscerlo. Forse è quella con più palle qui dentro, ma non per questo deve essere privilegiata rispetto a noi. «Non intendo mancare di rispetto a nessuno, ci mancherebbe, non sono proprio il tipo.»

«Già, un Santo…» esclama il damerino, sempre fissando il vuoto tra le sue gambe.

«È che non vedo perché noi dobbiamo raccontare i fatti nostri e lei no, tutto qui.»

Vediamo come risponde la dottoressina, se la mettiamo in questo modo, ossia sui diritti e l’uguaglianza.

«Ognuno avrà il tempo di raccontare la sua storia» annuisce, cercando di calmarmi.

«Sì, sì, certo, solo che non vedo perché non possa farlo lei adesso. Voglio dire, capisco che è una femmina, ma avete voluto voi la parità dei sessi, giusto? Io lo faccio solo per sostenere le battaglie delle femministe, tutto qui, è solo per questo.»

La dottoressa scuote la testa. «Il fatto che Lucia sia una donna non c’entra nulla, tutt’al più è la sua giovane età che le dà diritto a una maggiore delicatezza nei suoi confronti. Fosse stato un ragazzo di diciotto anni anziché una ragazza, sarebbe stato lo stesso.»

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«Be’, io dico comunque che non è giusto. Ha appena detto che ha diciotto anni, è maggiorenne, quindi per il nostro Paese è considerata un’adulta, quindi io esigo che sia trattata da adulta. Ma capisco che al di là della sua età anagrafica sia solo una bambina e vogliate in qualche modo proteggerla.»

«Non sono una bambina» sbotta lei, guardandomi con odio.

«Lucia, per favore…»

«Tesoro, non te la devi prendere con me, è quello che ha detto la dottoressa, lei vuole solo proteggere una piccola cucciolotta indifesa, e la capisco…»

«Non sono indifesa, e non ho bisogno di protezione da parte di nessuno!» alza il tono di un paio di tacche.

«Lucia non devi accettare le provocazioni…»

«Ma figuriamoci, nessuna provocazione» dico io, facendo un gesto con la mano come a scacciare le sue parole. «Anzi, mi scuso se la ragazzina si è sentita provocata, e devo dire che mi sono pienamente convinto che proteggerla sia la scelta giusta da fare. Continuo pure io, chiedo scusa, ho sbagliato a sollevare la questione, anche se il mio era solo un discorso di giustizia, di pari diritti e opportunità per tutti.»

La dottoressa sembra spazientirsi. «Lorenzo…»

Lucia però la interrompe: «No, mi va benissimo» esordisce, guardandola con decisione. «Tocca a me, ha ragione lui, non voglio trattamenti di favore. Tanto dobbiamo parlare tutti prima o poi, dico bene?»

Lei annuisce, non del tutto convinta da questo cambio repentino di attenzione. «Sì, fa parte del percorso…» «Bene. Allora non serve a niente rimandare. Se questi omoni grandi e grossi si vergognano a raccontare i fatti loro, gli dimostrerò quanto una ragazzina possa essere più virile di loro.»

Sono sicuro che, se potesse, questa piccola vipera mi staccherebbe volentieri le palle per farmele ingoiare, in questo momento. Bene, bene. Mettiamoci comodi e sentiamo quanti bei peccatucci confesserà la giovane gattina.

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Quel maledetto stronzo mi guarda divertito ed eccitato come se stesse aspettando l’inizio di uno spettacolo di spogliarelliste. I tipi come lui non li ho mai sopportati, tali e quali a quell’uomo inutile di mio padre. Adesso non posso più tirarmi indietro, ma la verità è che mi farei sparare piuttosto che raccontare i fatti miei a questi quattro sconosciuti.

So benissimo che qui il più pulito ha la lebbra, non mi vergogno di quello che sono o di quello che posso sembrare ai loro occhi. È il dovergli dare un pezzo di me che mi scoccia, il dover condividere qualcosa d’intimo con persone delle quali non so niente, che fino a ieri neanche avevo mai visto, di cui uno si è rivelato persino un’emerita testa di cazzo.

Ho sempre tenuto molto alla mia privacy e adesso, per colpa di qualche idiota che si crede Dio sceso in terra, devo stare qua a sbandierare ai quattro venti cose che neanche mia madre sa. Adesso però non posso fare scena muta, farei la figura della fessa. Neanche posso inventarmi una storia di sana pianta, questa tipa ha dimostrato di non essere una stupida, probabilmente lo capirebbe subito e sarebbe peggio.

Devo dargli qualcosa in pasto, giusto per placare la loro fame, senza però scoprirmi troppo.

Devo condurre io i giochi. Non è un problema, è quello che ho sempre fatto, anche se non con qualcuno tosto come questa dottoressa.

Vediamo un po’ come va. Alla fine devo solo pensare che non rivedrò più queste persone per il resto dei miei giorni, quindi fanculo, si divertiranno ad ascoltare un po’ di fatti miei, poi chiusa questa storia, dimenticherò una volta per tutte quest’esperienza. Inizio. «Mi chiamo Lucia, ho diciotto anni.»

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CAPITOLO 7

«Cucciola…»

«La vuoi smettere, ritardato?» sbotto, guardando male quell’idiota. Dio quanto lo prenderei volentieri a ginocchiate nei coglioni! «Lorenzo, ti prego…» lo richiama la dottoressa. Il tono della dottoressa è risoluto, una sorta di ultimatum non ufficiale. Deve averlo capito anche lui, perché alza le mani in segno di resa. Lo spero bene. Mi schiarisco la voce e proseguo: «Mi chiamo Lucia, e il motivo per cui sono qui è che… Dio, non so bene neanche come spiegarlo… Diciamo che ho una sorta di attrazione per il sangue…» L’idiota ridacchia. «Però, abbiamo una giovane Hannibal Lecter qui!»

«La vuoi smettere d’interrompere ogni due minuti per favore?» interviene Massimo prima che io possa apostrofarlo con epiteti non degni di una giovane donna. «Credo che nessuno di noi abbia voglia di stare qui, ma se continuiamo di questo passo, l’incontro durerà molto più del previsto, quindi se anche tu vuoi tornare a casa il prima possibile fai un favore a noi tutti e soprattutto a te stesso: taci!»

Un altro punto a favore del mio bel dominatore. Aveva perso qualcosina quando prima la dottoressa lo aveva incalzato, ma devo dire che continua ad avere un certo fascino. Di sicuro più degli altri due presenti in questa stanza, il ritardato con manie di protagonismo e disturbo dell’attenzione, e il disagiato che non ha spiccicato parola.

«Vai pure avanti Lucia» mi incita la dottoressa. Mi stringo nelle spalle. «Be’, non c’è molto altro da aggiungere. Mi piace la vista del sangue, e questo per il resto delle persone cosiddette “normali” è strano. Per questo mi hanno mandata qui.»

«Ti piace la vista del tuo sangue o di quello degli altri?» Eccola che comincia a scavare. Dopotutto sapevo che non le sarebbero bastate un paio di risposte vaghe.

«Mah, il sangue in generale direi» rispondo, senza addentrami nei dettagli.

«Quindi anche se vedi scene di sangue in un film, o quello che cola da una bistecca dal banco della macelleria?»

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«Ma no, no» scuoto la testa. «Quello delle bistecche non mi fa né caldo né freddo, e neanche quello degli animali in generale. Anzi, se vedo un animale che perde sangue, forse sto più male di lui. Per quanto riguarda i film, invece, dipende.»

«Da cosa?»

«Dipende dal film. Cioè, al cinema so che è tutta finzione, quindi in genere non mi fa nessun effetto. Però alcune scene, se sono fatte bene e la ferita è abbastanza reale… Per esempio lo sa che Leonardo di Caprio si è ferito davvero la mano durante una scena di Django? Ecco, vedere quella scena, sapendo che è sangue vero, e per come la interpreta lui… be’ sì, lì mi fa un certo effetto.»

«Che tipo di effetto ti fa?» Sbuffo. «Uff… non lo so, mi fa effetto, tutto qui. Non saprei come descriverlo.»

«Provi delle pulsioni di tipo sessuale al riguardo?»

Deglutisco a fatica. «Sì, anche. Cioè… non sempre. Dipende da chi è e come lo fa, dal tipo di ferita, dal sangue che esce. Non è una cosa così semplice e immediata.»

«Ok. Però ti chiedo scusa se torno di nuovo sull’argomento, ma non hai mai fatto caso se, sessualmente parlando, ti sentivi più attratta dalle ferite degli altri o da quelle tue?»

La dottoressa qui comincia a esagerare, sta spingendo un po’ troppo, è ora di darle una regolata.

«Mi scusi, ma non credo che questo sia un dettaglio fondamentale.»

Lei afferra il suo block notes con entrambe le mani, protraendosi in avanti con il busto, assumendo una postura più aggressiva.

«Al contrario. Penso che questo sia un dettaglio fondamentale, visto che il motivo per il quale sei qui oggi è che due settimane fa hai rischiato di morire dissanguata a causa dei tagli sui polsi che tu stessa ti sei procurata. La persona che ha chiamato l’ambulanza, un ragazzo che ha dichiarato di essere un tuo amico, ha confessato ai medici che non si trattava di un tentato suicidio, ma di un gioco sessuale per il quale avete perso il controllo.» Mi guarda con una tale intensità da mettermi a disagio. Attende alcuni istanti prima di continuare: «Una perdita di controllo come quella che ha avuto

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Massimo, per sua stessa ammissione, e com’è successo a ognuno di voi.»

Ci guarda a turno e io faccio altrettanto, guardando uno per uno i miei compagni di terapia. Poi la dottoressa prosegue: «Come già precisato, io non sono qui per giudicare le vostre abitudini o fantasie sessuali, ci mancherebbe. Sono qui per evitare che voi possiate superare determinati limiti, che dovrete imparare a conoscere per evitare di fare del male a voi o ad altri. Credimi Lucia, se ti domando qualcosa di specifico non è perché voglio farmi i fatti tuoi, o quelli di voi tutti, ma perché da un punto di vista clinico ogni dettaglio può essere fondamentale per definire con esattezza il vostro caso e poterlo trattare in modo adeguato. Quindi ti ripeto la domanda: sei più attratta dalle ferite degli altri o da quelle tue?»

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INDICE
1 ...................................................................................... 5
2 ...................................................................................... 7
3 .................................................................................... 10
4 .................................................................................... 15
5 .................................................................................... 18
6 .................................................................................... 24
7 .................................................................................... 28
8 .................................................................................... 32
9 .................................................................................... 37
10 .................................................................................. 41
11 .................................................................................. 43
12 .................................................................................. 51
13 .................................................................................. 59
14 .................................................................................. 63
15 .................................................................................. 66
16 .................................................................................. 74
17 .................................................................................. 79
18 .................................................................................. 83
Capitolo
19 .................................................................................. 89
20 .................................................................................. 96
21 ................................................................................ 102
22 ................................................................................ 110
23 ................................................................................ 114
24 ................................................................................ 119
25 ................................................................................ 123
26 ................................................................................ 128
27 ................................................................................ 131
Capitolo
Capitolo
Capitolo
................................................................................ 133
................................................................................
Capitolo 28
Capitolo 29
137 Epilogo ...................................................................................... 143

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