Liberty, Michele Scalini

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MICHELE SCALINI

LIBERTY

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni www.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/

LIBERTY Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-413-7 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Settembre 2020


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CAPITOLO 1 - ALLA DERIVA

Ho vissuto la mia infanzia con la mia famiglia, su Europa, una delle lune che ruotavano attorno a Giove, il pianeta più grande del sistema solare. Essendo lontani dai pianeti terrestri, dove si trovava la sede del governo e il cuore della civiltà, la vita non era affatto semplice. Decenni prima, gli scienziati terresti e le compagnie aerospaziali decisero di avviare il processo di Terraformazione sui satelliti principali dei giganti gassosi del sistema solare. Una volta terraformati, portarono dei coloni con capi d’allevamento, qualche attrezzo agricolo e materiali per costruire le prime case, abbandonandoli poi al loro destino. Su quei mondi i coloni erano costretti a vivere alla giornata, arrangiandosi come meglio potevano o, se erano fortunati, ad avere un lavoro sottopagato e privo di condizioni di sicurezza. Alcuni, quelli più spavaldi, avviarono attività indirizzate a traffici illeciti, rapine e trasporto di fuggitivi, che permetteva loro di vivere, ma passavo gran parte della loro vita a nascondersi dagli uomini del governo e della flotta stellare, che pattugliavano quei mondi. Mio padre era uno di quelli che avevano un pessimo lavoro, un pessimo stipendio e una pessima salute, ma almeno viveva nella legalità, non doveva nascondersi da niente e da nessuno, e non aveva alcun problema con la legge. Lavorava nella miniera di metano, risorsa di cui quella luna è ricca, ed era costretto a turni assurdi e massacranti. A volte non lo vedevo per giorni, per settimane. Quando tornava a casa, era distrutto dal lavoro e dalla vita che quella colonia gli aveva riservato. Ma in fondo, gli leggevo negli occhi che non aveva molte alternative e, nonostante tutto, accettava quella condizione. Molti dei suoi colleghi quando uscivano dalla miniera, andavano in quei locali poco raccomandabili a ubriacarsi e a farsi coinvolgere in


4 stupide risse, ma non lui. Lui era migliore di quelle persone, lui era mio padre. Uscito dalla miniera, correva a casa e si lasciava alle spalle tutto quello schifo, di cui non si azzardava a parlare neanche con mia madre. Veniva da noi, la sua famiglia, e passava tutto il tempo che aveva a disposizione in casa, con la mamma e con me. Non era un uomo di tante parole, anzi, riduceva molto le sue conversazioni senza dilungarsi troppo e andando dritto al sodo. «Ricorda, figliolo» era solito dirmi «il lavoro che fai… che farai… non è quello che sei, è solo l’unico mezzo che hai per continuare a vivere in questo folle mondo.» Nelle sere d’estate era solito portarmi in cima alla collina che sorgeva dietro la nostra casa. Giunti in cima avevamo un posticino tutto nostro, sull’erba, lontano dagli alberi, dove passavamo intere nottate in silenzio, con il naso all’insù, a osservare le stelle. Era in quelle sere, sul tetto del mondo, che sognavo di viaggiare attraverso quelle stelle dove s’immergeva il mio sguardo, fantasticando con la mente su quanti mondi inesplorati avrei potuto visitare e, magari, scoprire. Restavamo su quella collina finché le prime luci del giorno comparivano per cancellare quei sogni, ricondurci alla realtà, e per interrompere quei momenti magici che trascorrevo con mio padre. Erano quelle prime luci a darci il segnale che era arrivato il momento di tornare alle nostre vite, alla nostra casa. Una di quelle sere, prima di sdraiarci a terra per iniziare a sognare, mio padre si avvicinò a me, s’inginocchiò, appoggiò le sue mani sulle mie spalle e guardandomi fisso negli occhi pronunciò quelle parole, che a distanza di tanti anni ancora porto con me, nel mio cuore, nella mia anima. «Nessuno sa cosa il destino abbia in serbo per te, neanche io che sono tuo padre… ma credo che tu sappia cosa ti aspetta su questa luna… quindi ti prego, anzi no ti supplico, fai di tutto… fai anche l’impossibile, ma trovati un’astronave, degli amici fedeli e vai. Vai tra le stelle e dimenticati questo posto.» Udite quelle parole, risposi con un sorriso a quell’uomo che mi guardava negli occhi con fiducia e speranza. Sapevo dove voleva


5 arrivare, capivo fin troppo bene il significato delle sue parole e del motivo per cui mi portava su quella collina. Quell’uomo, distrutto dalla sua stessa vita, mi diceva solamente che non doveva essere quella la strada da intraprendere, che avrei dovuto lottare per emergere da quel mondo e uscire, nello spazio, per crearmi un mio destino. «Ma ricorda, figlio mio, quando avrai un’astronave assicurati sempre che possa condurti ovunque tu voglia» concluse prima d’immergerci in quell’oceano stellato che era il cielo sopra di noi. Passarono diversi anni da quella sera, ma presi sul serio le parole di mio padre, così sul serio che mi ritrovai a bordo di una nave spaziale. La Liberty. Una piccola nave da trasporto che avevo acquistato insieme alla mia socia in affari Sarah, da un rivenditore su Io. Viaggiavamo per l’intero sistema solare, tenendoci a debita distanza dai pianeti centrali e dal governo, con il quale non avevamo un rapporto di amicizia. Pur di restare in volo, accettavamo qualsiasi tipo di lavoro, da quelli legali, come trasporto di passeggeri da una luna all’altra, a quelli che non erano necessariamente considerati legali, ma venivano pagati più che bene. Con me e Sarah viaggiavano due nostri amici d’infanzia. Ellen, una svitata, che a vederla non le si dava un soldo di fiducia ma era un genio in meccanica e riusciva a riparare i motori di una nave anche con del filo interdentale. Poi c’era quel vecchio pazzo di Frank, una testa calda, ma la sua conoscenza delle armi tornava spesso utile. Sarah era un ottimo pilota, aveva frequentato la scuola di volo che non aveva potuto completare poiché il suo istruttore non aveva accettato un banale pugno sul naso e un calcio nei cosiddetti gioielli di famiglia. Infine c’ero io. Per anni avevo lavorato su diverse navi commerciali che trasportavano le merci da un mondo all’altro. Ogni volta venivo scaricato al primo porto spaziale perché, per farla breve, non ero predisposto a prendere ordini, e i vari comandanti che avevo incontrato non apprezzavano questa mia caratteristica. Avevo seguito alla lettera le parole di mio padre, a parte un piccolo dettaglio, che per qualche motivo a me sconosciuto avevo tralasciato. Quel piccolo dettaglio ci portò a trovarci con i motori fermi e alla


6 deriva nello spazio, nonostante ci prendessimo cura della Liberty e non le facevamo mancare niente. «Ellen! Sei riuscita a riparare quel guasto?» gridai al meccanico, mentre mi avvicinavo alla sala macchine. «Potrei riuscirci, capitano» rispose la donna con la testa all’interno della scatola idraulica del motore «peccato che non hai voluto comprare quei ricambi… ricordi? Ti avevo dato una lista alcune settimane fa.» Ellen aveva ragione. Ricordavo bene quella lista di ricambi. In realtà l’avevo ancora nella tasca della giacca ma quando me la diede, su Titano, avevo ben altro a cui pensare. C’erano dei tizi che volevano crivellarmi di proiettili e nel mio tentativo di fuga, ben riuscito oltretutto, dimenticai del tutto i ricambi. «Sei tu la responsabile della sala macchine!» le urlai contro «sei tu che devi occuparti dei ricambi.» «Smettetela di litigare» intervenne Sarah «non cambierà la situazione in cui tu ci hai cacciati» disse puntandomi il dito contro. «Quindi adesso sarebbe colpa mia?» le risposi, allargando le braccia e scambiando lo sguardo con le due donne «ti ricordo che siamo soci al cinquanta percento… quindi in parte è anche colpa tua.» «Avete visto i miei biscotti al burro?» chiese Frank, comparendo quasi dal nulla. Ci voltammo tutti verso di lui, sorpresi ma non troppo per la sua totale indifferenza di fronte a quella situazione. Mi avvicinai a lui, appoggiai la mano sulla sua spalla, abbassai lo sguardo verso il pavimento e trattenendo la rabbia per la sua uscita poco pertinente con la motivazione principale del nostro litigio, tentai di parlargli. «Frank abbiamo i motori in avaria, non abbiamo pezzi di ricambio, siamo alla deriva nello spazio profondo da giorni e tu… tu… pensi a dei dannati biscotti al burro?» «Penso a sopravvivere» rispose lui alzando gli occhi verso il soffitto «prima o poi qualcuno passerà di qui e ci darà una mano.» «Frank, amico mio» intervenne Sarah «quale parte non hai capito delle parole “spazio profondo”? Ti ricordo che abbiamo preso questa rotta per nasconderci dopo l’ultimo lavoro e che in questa parte dello spazio non passano navi.»


7 L’uomo rimase in silenzio per alcuni istanti. Si limitò a guardare me e a Sarah con la sua solita espressione distratta e distaccata. Sollevò nuovamente gli occhi verso l’alto, e inclinò leggermente la testa a destra e poi a sinistra, come stesse riflettendo su ciò che gli avevamo detto. «Scusate, lo avevo dimenticato. Capisco la situazione drammatica che stiamo affrontando ma… sapete dirmi che fine hanno fatto quei biscotti?» chiese infine, lasciandoci completamente spiazzati. Sarah divenne rossa in faccia per la rabbia, mentre alle mie spalle sentii che Ellen lasciò cadere a terra gli attrezzi che teneva in mano. Personalmente avrei voluto mettere mano alla pistola ma, purtroppo, non indossavo il cinturone quando mi trovavo a bordo della nostra nave. Pensai che sarebbe stato meglio riprendere in mano la situazione prima che degenerasse, per poi ripristinare l’ordine e l’equilibrio nel mondo. «Sarah!» dissi alla donna «sta’ calma… torna ai comandi e controlla il radar. Frank» poi mi voltai verso l’uomo «ripulisci la stiva senza discutere… Ellen tu inventati qualcosa, non so cosa ma cerca di far ripartire i motori in qualche modo.» «Certo» rispose Ellen sotto voce «lo sto facendo da giorni… magari userò uno di quei biscotti al burro.» Rimasi sulla porta d’ingresso della sala macchine a osservare Frank e Sarah che si allontanavano per andare a svolgere i compiti che avevo assegnato. Quella situazione non era proprio disperata, ne avevamo passate di peggiori, ma in quei casi era utile restare indaffarati, impegnati con la mente, per non cedere al nervosismo. Entrai, quindi, in sala macchine e mi diressi al pannello di controllo. Diedi un’occhiata alle strumentazioni e feci un check-up del sistema. Le batterie erano cariche al massimo e i sistemi di sopravvivenza erano perfettamente funzionanti. «Ho fatto il check-up ore fa» disse Ellen avvicinandosi a me. «I sistemi di sopravvivenza sono funzionanti senza problemi, e le batterie sono al massimo» risposi alla donna senza distogliere lo


8 sguardo dal monitor del computer «c’è ancora speranza. In realtà… abbiamo solo la speranza.» «Sì, hai ragione. Resteremo in vita, anche se alla deriva… finché avremo ancora del cibo e aria nei polmoni non avremo di che preoccuparci» concordò. «Potremo sempre contare sui biscotti al burro di Frank…» Dette quelle parole mi voltai verso Ellen. Ci guardammo per alcuni istanti senza dire niente, e poi scoppiammo a ridere. Non ci eravamo neanche accorti che Frank ci aveva dato la giusta distrazione per distenderci e allentare la tensione che stavamo vivendo. Frank, nel suo fare inopportuno, era stato un genio. «Cosa avete da ridere voi due? La situazione è disperata» Frank apparve d’improvviso all’ingresso «la stiva è in ordine… vado a vedere se Sarah ha bisogno di aiuto» si allontanò senza aggiungere altro, e senza aspettare una nostra risposta. Restammo a osservarlo mentre si recava in cabina di comando. «Ellen» dissi alla donna «fai del tuo meglio. So che non puoi riparare il motore senza quei ricambi, ma tienici in vita il più a lungo possibile… ne usciremo, non temere.» La donna mi diede una pacca sulla spalla e tornò al suo lavoro senza aggiungere altro. Tenerci in vita era la priorità, lei lo sapeva bene, e sapeva come farlo, questo era certo. Inoltre conosceva quella nave come le sue tasche, ogni circuito elettrico e idraulico. In quei momenti, non avremmo potuto lasciare le nostre vite in mani migliori. Lasciai la sala macchine e mi diressi verso la cabina di comando, dove trovai Frank a Sarah. La donna sedeva al posto del pilota, intenta a controllare la strumentazione, mentre Frank si era accomodato sulla poltrona del secondo pilota e stava lì senza fare niente di utile, come al solito. «Sarah» dissi appena entrato «trovato niente sul radar?» «Non ancora, Mike» rispose lei senza distogliere lo sguardo dalla strumentazione «potrei lanciare un impulso, ma non vorrei consumare troppa energia.»


9 «Non temere, abbiamo energia a sufficienza. Prova a lanciare un impulso e vediamo se appare qualcosa» le risposi «Frank… hai trovato quei biscotti?» «Impulso radar lanciato… e loro pensano ai biscotti» bisbigliò Sarah, mentre agiva sui comandi del radar. «Erano nella dispensa… allora? Trovato niente con l’impulso?» fece Frank mentre, comodo sulla poltrona del secondo pilota, giocherellava con dei pupazzetti di gomma, rappresentanti antichi animali che milioni di anni prima vivevano sulla Terra. «Frank» rispose Sarah abbassando la testa «tu lo sai come funziona un impulso radar, vero?» «Certo… lanci un impulso e se trova qualcosa torna indietro il segnale» rispose lui. «Frank… dalle tempo» gli dissi mentre lo osservavo incuriosito dal modo con cui giocava con quei pupazzetti. Distolsi lo sguardo da Frank e dai suoi giocattoli e mi avvicinai a Sarah, per osservare meglio i segnali del radar. Restammo con lo sguardo fisso sullo strumento, nella speranza che rilevasse qualcosa, anche un asteroide ci sarebbe stato d’aiuto, anche se non avrei saputo per cosa, ma sarebbe stato meglio che niente. Pochi istanti dopo anche Ellen ci raggiunse nella cabina di comando. Udii i suoi passi che si avvicinavano dietro le mie spalle. Si fermò di fianco a me e si mise a fissare il radar, speranzosa di trovare qualcosa. «Laggiù c’è qualcosa» disse Frank «forse un relitto, una nave in avaria o un asteroide.» «Impossibile» intervenne Sarah «il radar non rileva niente.» Frank appoggiò i pupazzetti sul vassoio porta oggetti della console che aveva di fronte, e si alzò dalla poltrona. Si avvicinò al parabrezza e guardò fuori, nello spazio profondo che si espandeva di fronte a noi. Restò a osservare per diversi istanti, quando d’un tratto sollevò la mano per indicare qualcosa. «Se vuoi andare a caccia usa gli occhi, diceva un tale» disse dal suo punto d’osservazione «Laggiù, guardate. C’è qualcosa.» Ellen si avvicinò al parabrezza e si mise a guardare nella direzione indicata da Frank. Restarono impalati con lo sguardo fisso nello


10 spazio che si espandeva dinnanzi a noi, senza dire e fare niente per diverso tempo. «Attiva gli infrarossi» disse Ellen a Sarah «credo ci sia qualcosa laggiù, ma non capisco bene cosa.» Sarah attivò dei comandi sulla console e abbassò le luci della cabina, che ci avrebbe permesso di poter vedere all’esterno con minori problemi. Nel frattempo, mi allontanai da lei e raggiunsi gli altri due. «Un attimo… sto rilevando qualcosa» disse Sarah «credo sia una navetta a corto raggio. Strano trovarla in questa zona… ma il segnale degli infrarossi è disturbato, come se quella cosa avesse una copertura stealth.» «Non è molto distante» valutò Frank «potremmo avvicinarci, attraccare e fare una visita a bordo.» «Non abbiamo spinta» intervenne Ellen. «Va bene, Ellen» rispose l’uomo che teneva gli occhi fissi sull’oggetto «se è abbandonato, e credo che lo sia, possiamo prendere i pezzi che ci servono dalla sala macchine.» «Non abbiamo spinta» ripeté nuovamente Ellen. «Ho capito, Ellen» rispose nuovamente «se guardi bene… siamo in rotta di collisione con quella dannata navetta. Se siamo fortunati potremmo avvicinarci abbastanza per salire a bordo.» «Va bene… mi arrendo» Ellen abbassò lo sguardo e sollevò le mani in segno di resa. «Frank» intervenne Sarah «non abbiamo spinta… significa che con i motori in avaria non potremmo tentare di avvicinarci.» «E anche se fossimo in rotta di collisione con quella navetta» intervenni in soccorso della donna nelle spiegazioni «non potremmo rallentare, quindi ci schianteremmo e avremmo danni anche allo scafo.» «Cosa credete! Non sono così stupido» disse voltandosi verso di noi «lo so che i motori sono andati, ma abbiamo ancora i razzi direzionali. Se togliamo energia alla stiva per dirigerla verso i compressori, avremo più potenza e potremmo usarli per puntare a quella cosa… non è difficile da capire, geni!» Sarah si alzò in piedi, incrociò le braccia sul petto e si mise a camminare avanti e indietro per la cabina, tenendo lo sguardo fisso


11 verso il pavimento. Sicuramente Frank le aveva fatto scattare qualcosa e stava interpretando le informazioni ricevute, per trovare quella soluzione che ci avrebbe permesso di avvicinarci alla navetta. «Abbiamo circa sei ore per raggiungere quella navetta» disse dopo un lungo silenzio di riflessione «deviare l’energia della stiva verso i compressori non è molto complicato… però dovremo essere precisi quando manovreremo la Liberty, o rischiamo di scaricare troppo le batterie e rimanere senza energia per il sistema di sopravvivenza.» «Fin qui niente di complicato» intervenne Ellen «ma come possiamo rallentare la Liberty? I retrorazzi funzionano con i motori che sono in avaria… rischieremo di passarle accanto oppure di schiantarci.» Risolto, in parte, un problema, ecco che se ne presentava un altro, ma sentivo che eravamo nella direzione giusta. Per tutto il tempo ero rimasto in silenzio ad ascoltare il loro piano. Secondo me poteva anche funzionare, Sarah era un ottimo pilota e poteva compiere le manovre richieste senza consumare troppa energia. Era delicata sui comandi, per questo l’avevo scelta come pilota, ma il problema era come fermare la nostra nave. «Non ci siete ancora arrivati, eppure la soluzione è semplice» intervenne Frank mentre prendeva di nuovo i suoi giocattoli «con le tute spaziali.» «Ma certo!» esclamò Sarah toccandosi la fronte con la mano «come ho fatto a non pensarci prima? Con le tute potremmo ammorbidire l’impatto. Frank… per favore!» «I razzi delle tute!» esclamai «non siamo così veloci e l’assenza di gravità gioca a nostro favore… io e Frank potremmo andare là fuori e rallentarla con quelli… geniale! Mettiamoci a lavoro!» «Direi che è un’idea folle» intervenne Ellen dall’arco della porta che conduceva verso il corridoio che portava alla sala macchine «ma di idee folli ne abbiamo avute in abbondanza, in passato. Secondo me, vale la pena tentare viste le alternative.» Senza perderci in ulteriori discussioni, ci mettemmo subito al lavoro. Sarah tornò al posto di pilota e azionò i comandi che le servivano per deviare l’energia verso i compressori, ma fu più prudente del previsto e scollegò una batteria, convogliando la sua energia verso i sistemi di sopravvivenza, in modo tale da permetterci di sopravvivere


12 qualche giorno in più nel caso in cui il nostro piano non avesse funzionato. Ellen corse nella sala compressori per controllarne l’efficienza. Io e Frank andammo nella camera di compensazione a preparare le tute. Per non correre rischi decidemmo di prendere i razzi delle altre tute per installarli sulle nostre. Avremmo avuto più spinta per rallentare e fermare la Liberty. In teoria era un buon piano, forse uno dei migliori che avevamo mai congegnato, in pratica era tutto da vedere, come ogni volta che ne escogitavamo uno. Ma, come aveva già detto Ellen, non avevamo molte alternative e valeva la pena tentare anche l’impossibile pur di uscire da quella situazione.


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CAPITOLO 2 - IL VASCELLO FANTASMA

In perfetta sintonia ci stavamo preparando al meglio per attraccare a quella nave che si avvicinava sempre di più. Ellen era riuscita a deviare l’energia dalla stiva verso la sala compressori, mentre Sarah aveva manovrato la nostra nave per portarla in rotta di collisione con il nostro obiettivo. Con piccole e delicate manovre, riuscì a inclinare la Liberty, in modo tale da tenere l’altra nave sul nostro fianco, per permetterci poi di agganciarci e salire a bordo. Io e Frank avevamo passato tutto il tempo nella camera di compensazione a preparare le nostre tute spaziali. Come deciso ore prima, avevamo rimosso i razzi direzionali dalle tute di riserva e li avevamo installati sulle nostre per avere maggiore spinta, che secondo i nostri calcoli avrebbe permesso di rallentare la nostra nave alla deriva. Indossate le tute agganciammo le funi di sicurezza alle nostre cinture, ci avvicinammo al portellone di uscita e attendemmo l’ordine dal pilota. «Ci siamo» dissi a Frank «ora dobbiamo solo uscire, fare la nostra parte e salire a bordo di quella nave.» «Dovrebbe andar bene» disse lui «comunque…» «Comunque?» chiesi. «Comunque… se dovesse andare storto qualcosa, non avrete modo di prendervela con me.» «Ma se è stata una tua idea!» esclamai sorridendo «se qualcosa dovesse andare storto, per forza di cose ce la prenderemo con te.» «Sì, è vero… ma voi avete accettato» mi puntò l’indice contro «e questo fa di voi i miei complici. Di conseguenza, la colpa ricadrà anche su di voi.»


14 Sorrisi alle sue parole e gli diedi una pacca sulla spalla. Ero piuttosto convinto che fosse un buon piano e che avrebbe funzionato. Nonostante tutto eravamo una buona squadra, certo, a volte ci punzecchiavamo, altre volte litigavamo, ma quando pensavamo nella stessa direzione o avevamo un lavoro da fare, univamo i nostri sforzi per raggiungere l’obiettivo. Non potevo desiderare un equipaggio migliore. Sulla nostra nave, però, avevo qualcosa da ridire. Aveva uno scafo forte e robusto, ma i motori si guastavano troppo spesso per i miei gusti, e succedeva sempre quando eravamo lontani dalla civiltà. Tuttavia, quando si viaggia nello spazio si accetta tutto ciò che capita, e avere sempre un asso nella manica è importante, o – come diceva mia madre – conta molto anche una buona dose di fortuna. «Siamo in posizione e ci stiamo avvicinando al vascello» tuonò la voce di Sarah all’interfono «iniziate a prepararvi, il portellone è sbloccato.» Indossammo i caschi e ci assicurammo che le corde di sicurezza fossero agganciate alle cinture delle tute. Mi avvicinai al portellone che dava sull’esterno e appena la luce verde si accese, allungai la mano per afferrare la maniglia e mi voltai verso Frank. «Sei pronto?» gli chiesi. Lui non rispose, si limitò a sollevare il pollice della mano per confermarmi che potevamo uscire. Così azionai la maniglia e aprii il portellone. Uscito all’esterno della nave, azionai i magneti degli stivali e mi misi in piedi sullo scafo. Frank mi seguì facendo lo stesso. Camminammo lentamente sullo scafo della nave fino ad arrivare sul fianco che dava verso il vascello che ci stava aspettando. Giunti in posizione, ci sdraiammo sullo scafo e agganciammo le nostre tute con dei magneti. Eravamo letteralmente spiaccicati sullo scafo della nostra nave. Azionai quindi i comandi della tuta per mettere in posizione i razzi, e mi assicurai che fossero perfettamente operativi. «Sarah, siamo pronti» dissi alla radio. «Bene» rispose lei «facciamo un piccolo test, azionate i razzi per alcuni secondi, vediamo se riescono a rallentare la Liberty.»


15 Guardai Frank che teneva lo sguardo su di me, mi fece segno di aver capito e che era pronto per quel test. «Bene» dissi «azioniamo i razzi per un paio di secondi e incrociamo le dita.» Feci un cenno del capo a Frank e, quasi contemporaneamente, azionammo i razzi delle tute. Sentii la forza dei razzi spingermi verso il metallo dello scafo. Mi stavano schiacciando così forte il petto che respiravo a fatica. Rimasi concentrato e contai il tempo. Due, uno e spensi i razzi. Ripresi fiato e contattai Sarah. «Sarah… dicci qualcosa.» «Sto controllando gli strumenti» rispose «non noto niente… la velocità sembra invariata.» «Forse abbiamo bisogno di più tempo…» ipotizzò Frank. «Sì, giusto, non arrendiamoci. Proviamo per cinque secondi» risposi. Così azionammo nuovamente i razzi delle tute e contai il tempo. Questa volta, però, trattenni il respiro prendendo una bella boccata d’aria prima di accendere i razzi. Cinque, quattro, tre, due, uno e spensi i razzi. Restammo tutti in silenzio radio. Nell’attesa mi voltai verso quel vascello che ci aspettava a qualche centinaio di metri davanti a noi, notai che non aveva alcuna bandiera, né simboli identificativi sullo scafo. Mi chiedevo a chi appartenesse, cosa trasportasse e, soprattutto, cosa ci facesse così lontano. «Ha funzionato! Sta funzionando!» esclamò Sarah alla radio «la Liberty sta rallentando! Per una volta hai avuto un’idea geniale, Frank!» Dagli strumenti vidi che la velocità stava diminuendo. Non avrei mai creduto che quel sistema potesse funzionare e, invece, dovetti ricredermi. Quei piccoli razzi che permettevano alle tute di muoversi nello spazio, erano riusciti a rallentare la nostra nave. «Bene ragazzi» dissi alla radio «ci troviamo a cento metri e stiamo rallentando. Dobbiamo essere precisi per attivare il ponte di attracco. Quindi vi dirò quando attivare nuovamente i razzi.» Mi spostai al computer e, agendo sulla tastiera, iniziai a inserire i dati per permettergli di calcolare quando avremmo potuto azionare di


16 nuovo i razzi delle tute. Premuto il tasto enter attesi alcuni istanti per ricevere le informazioni che ci servivano. «Bene» dissi «secondo il computer potremmo azionare i razzi per cinque secondi ogni venti metri. Faremo l’ultimo tratto molto lentamente, quindi siate pazienti e, con molte probabilità, l’impatto non sarà proprio dolce… per cui dovrete rientrare in fretta dopo l’ultima attivazione dei razzi.» Dopo quasi tre ore di manovre e tentativi vari, riuscimmo ad avvicinarci a sufficienza al vascello. Ellen, dall’interno della nave, azionò il ponte per l’attracco che andò a circondare il portellone d’accesso di quel vascello. Nel frattempo io e Frank eravamo tornati a bordo della nostra nave e avevamo già tolto le tute. «Guarda un po’, ha funzionato. Avrei dovuto chiederti di più quando mi hai ingaggiato» borbottò Frank appena tolto il casco. «Frank… prendi già il dieci percento! Che non è poco rispetto a quanto pagano gli altri equipaggi!» esclamai stupito dalla sua affermazione «e hai un alloggio privato con bagno… ricordi quando volavi con Johnson?» «Me lo ricordo benissimo» rispose abbassando lo sguardo «condividevo la stanza con un tizio che aveva un alito insopportabile, ma almeno la nave di Johnson non si rompeva così spesso come la tua.» Lasciai perdere quell’inutile discussione con Frank. Raccolsi le tute che avevamo appoggiato sulle panche attaccate alla parete della camera di compensazione, per metterle al loro posto all’interno degli armadietti. Indossati gli stivali e il cinturone con la pistola, lasciai quella camera per raggiungere Ellen che stava tentando di aprire il portellone di quella nave. La trovai con cacciaviti in mano intenta a lavorare al pannello elettrico. «A bordo del vascello c’è ossigeno, non avremo bisogno dei respiratori» disse Ellen senza distogliere lo sguardo dal pannello. Poco dopo ci raggiunse anche Sarah e ci trovò intorno a Ellen che aveva da poco smontato il pannello di comando. Una volta aperto lo sportellino che proteggeva i comandi, scollegò tutti i cavi e li controllò uno per uno, con le relative morsettiere che erano


17 all’interno, e si mise a ricollegare il tutto, nel tentativo di bypassare i comandi e le sicurezze, per permetterci di aprire il portellone e, finalmente, salire a bordo. Alcuni minuti dopo ci fece segno di indietreggiare, dopodiché aprì il portellone, sorridendo. «Sarah con me…» dissi mentre il portellone si apriva di fronte a noi «Ellen tu vai in sala macchine e vedi di recuperare tutto ciò che ci serve per ripartire. Frank tu perlustra la nave, dirigiti verso le cabine dei passeggeri.» Aperto il portellone entrammo nella sala che si presentò di fronte a noi. Appena ci trovammo all’interno le luci si accesero automaticamente, permettendoci di capire dove ci trovassimo. Era la sala di accesso della nave, dalla quale partivano i corridoi che conducevano al suo interno. Alla nostra sinistra si trovava il corridoio che portava alla cabina di comando, sulla destra quello che conduceva alla sala macchine, infine, di fronte a noi c’era il corridoio che conduceva alle cabine dei passeggeri. Dopo esserci guardati intorno, timorosi che qualcuno venisse a darci il benvenuto, ci addentrammo attraverso i corridoi, ognuno diretto alla propria destinazione. Con Sarah al mio fianco, mi diressi verso la cabina di comando. Attraversammo il corridoio fino a raggiungerla. Una volta entrati trovammo la console di comando e due poltrone, una per il pilota e l’altra per il secondo. Due corpi immobili, in tute da volo, erano seduti su quelle poltrone. Lentamente, presi la pistola dalla fondina e mi avvicinai con passo felpato, facendo segno a Sarah di coprirmi le spalle. Mi avvicinai alla poltrona del pilota, tenendo gli occhi fissi su di lei, muovendoli verso il vetro per osservare quel tizio che era seduto ma che non si muoveva. Con la pistola in mano mi portai al suo fianco e lo osservai mentre gli puntavo contro l’arma. «Non ti muovere… ma… è morto!» dissi sollevando lo sguardo verso Sarah. La donna restò a guardarmi per alcuni istanti, mise la pistola nella fondina e si avvicinò all’altra poltrona per vedere il tizio che si trovava seduto lì.


18 «Morto anche questo qui» disse dopo averlo guardato bene. «Direi che… sono morti da almeno un paio di settimane» valutai, osservando i volti dei cadaveri «guarda… indossano divise della flotta stellare, ma non vedo alcun grado.» Osservai da vicino il cadavere del pilota. Non aveva fori di proiettile, né segni di percosse. Il volto non presentava colorazioni insolite. Mi chiesi cosa li avesse uccisi. Sarah attirò la mia attenzione, stava prendendo sottobraccio il cadavere del secondo pilota per tentare di sollevarlo. Diede un paio di strattonate e infine riuscì a sollevarlo, per poi lasciarlo scivolare sul pavimento, accompagnandolo leggermente. Lo lasciò lì a terra, si strofinò le mani e poi, con noncuranza, lo scavalcò. «Grazie tante per l’aiuto» disse sollevando lo sguardo su di me. «Se magari avessi chiesto qualcosa» risposi disturbato. Fece segno con la mano di lasciar perdere e andò a sedersi sulla poltrona che aveva appena liberato. Guardò con attenzione i vari comandi e monitor che si trovavano di fronte a lei. Pochi istanti dopo allungò la mano verso una pulsantiera e pigiò un tasto. Poco sotto la sua mano uscì un cassetto contenente una tastiera. Allungò le mani su di essa e digitò i vari tasti, che fecero comparire sul monitor alcune informazioni. «Quei due sono… o meglio erano del governo, non proprio della flotta» disse alcuni istanti dopo «ma non c’è un piano di volo, nessun porto di partenza e neanche un porto di arrivo. È insolito… nessuno vola così, senza una rotta prestabilita.» «Non hanno un piano di volo? Ne sei certa?» chiesi incuriosito. «Sì, ho controllato più volte» rispose mentre continuava ad agitare le mani sulla tastiera del computer «niente di niente… però qui c’è qualcosa.» «Cosa?» chiesi. «Documenti credo, ma sono criptati. Hanno il sigillo del governo, ma non posso aprirli senza una password.» ***


19 Camminavo lentamente attraverso il corridoio che conduceva agli alloggi dell’equipaggio con la pistola in mano. Man mano che avanzavo le luci si accendevano automaticamente al mio passaggio. Avevo già controllato un paio di alloggi e non avevo trovato niente di utile, a parte effetti personali e qualche credito nei cassetti. Arrivai in fondo al corridoio e trovai una porta. Sulla destra c’era il pannello di controllo per l’apertura. Richiedeva il riconoscimento delle impronte digitali. Tentai la sorte e appoggiai la mano sul pannello, che divenne rosso lasciando comparire la scritta “accesso negato”. «E adesso come faccio?» borbottai sottovoce. Mi allontanai di pochi passi e puntai la pistola contro il pannello, dopo aver attivato il silenziatore. Non volevo farmi sentire dagli altri, conoscendoli, avrebbero pensato che avessi incontrato problemi, mentre io volevo solo aprire quella porta. Stavo per sparare quando dei passi dietro di me attirarono la mia attenzione. Mi voltai di scatto e puntai la pistola. Davanti alla canna dell’arma trovai la fronte di Ellen. «Questa nave è abbandonata a se stessa» disse guardandomi con la pistola in mano «abbassa quell’arma… pazzo squilibrato.» «La sala macchine è da quella parte» le dissi, turbato dalla sua presenza e indicando con la mano in fondo al corridoio dal quale era arrivata. «Stai calmo, sto cercando un bagno per signore» fece lei agitando la mano destra in aria «vado via, non temere… apro quella porta, faccio i miei bisogni e me ne vado.» Mi spostai verso la parete e lasciai passare la donna. Sotto il mio sguardo attento e incuriosito, si avvicinò al pannello di comando con disinvoltura. Lo guardò per un po’ chinando la testa prima a destra e poi a sinistra, senza toccare niente. Dopo alcuni istanti prese la pistola dalla fondina, tenendola in mano dalla parte della canna. Si voltò verso di me, mostrando un sorriso beffardo, e poi colpì con forza il pannello diverse volte. Dopodiché, la porta si aprì. «Visto come si fa?» disse con aria soddisfatta «con queste cose servono le buone maniere.» Sotto il mio sguardo stupito, Ellen infilò l’arma nella fondina, si strofinò le mani e, dopo essersi voltata verso il corridoio che l’aveva


20 condotta fin lì, se ne andò per la sua strada, guardandosi intorno in cerca di un bagno. In silenzio, rimasi a osservarla percorrere quel corridoio, mentre si allontanava con tutta la calma del mondo. «Sai cosa ti dico? Mi chiedo spesso chi sia il vero pazzo squilibrato in questo equipaggio ma credo di averlo scoperto e non sono io!» dissi ad alta voce allungando il collo verso di lei. Tornai alle mie cose ed entrai in quell’alloggio. Era ben arredato con un letto grande al centro della stanza. Sulla sinistra c’era un bagno, grande quanto gli altri alloggi che avevo visto poco prima, mentre sulla destra c’era un’altra porta. Curioso di scoprire cosa nascondesse mi avvicinai e la aprii, agendo sul pulsante che si trovava sulla destra. Trovai una scrivania di legno lavorato e un uomo morto sulla poltrona che si trovava verso la parete. Giaceva con il capo all’indietro e la bocca semi aperta, indossava un abito scuro di una discreta eleganza, e aveva i capelli bianchi. Mi avvicinai al cadavere e notai immediatamente la spilla governativa attaccata al bavero della giacca. Dalla bordatura dorata pensai che fosse un membro di alto rango del governo, ma non ne ero molto sicuro, poiché non conoscevo bene quel mondo. Osservai meglio per tentare di capire le cause della morte; notai che non aveva fori di proiettile, né segni evidenti di una qualche violenza. Dal colorito del viso e delle labbra scartai l’idea che fosse stato avvelenato. La sua morte era un mistero per me. Mentre osservavo quel corpo, notai che sopra le sue gambe, nascoste dal piano della scrivania, c’era una valigetta di pelle nera, con una catenella che andava a finire sul suo polso destro. Spostai leggermente indietro la poltrona, per portare alla luce la valigetta. La osservai con attenzione e seguii con lo sguardo la catenella. Senza indugiare troppo, presi la pistola dalla fondina e sparai un colpo per spezzarla. Posai la pistola e mi guardai intorno, poi presi la valigetta e la poggiai sulla scrivania. «Senza offesa, signore» dissi rivolgendomi al cadavere «ma a te non serve più e io sono troppo curioso.» Appoggiai le dita sui pulsanti della serratura della valigetta, ma non servì a niente, non riuscivo ad aprirla. Notai che aveva delle rotelline numerate, probabilmente per inserire la combinazione, composta da


21 quattro numeri che non potevo conoscere. Titubai alcuni istanti, poi misi mano alla pistola. Feci un passo indietro e la puntai contro la serratura. Con delicatezza appoggiai il dito al grilletto e presi la mira. Stavo per sparare, quando mi venne in mente che avrei rischiato di rovinare il contenuto, così sbuffai e misi via la pistola. Presi la valigetta, avrei tentato di aprirla una volta a bordo della Liberty, e pensai che sarebbe stato meglio controllare se c’era qualcos’altro di interessante in quell’alloggio, prima di andarmene. Mi guardai intorno per l’ufficio, quando notai un piccolo armadietto di legno sulla mia destra e mi avvicinai per controllare il suo contenuto. Una volta aperto, un sorriso di soddisfazione apparve sul mio viso. «Ora sì che si ragiona» borbottai, sorridendo. Al suo interno trovai ben quattro confezioni di biscotti al burro. Andavo matto per quei biscotti, che si scioglievano letteralmente in bocca ed era estremamente difficile resistergli. Allungai le mani e li presi, prima di lasciare quell’alloggio per tornare dal resto dell’equipaggio. *** «Avanti, prendi gli hard disk» dissi a Sarah «non voglio restare troppo a lungo su questa nave.» «Hai ragione. Forse so chi potrebbe decriptare questi documenti» rispose la donna. Si abbassò sotto la plancia della console, aprì uno sportello di metallo e dopo aver smanettato al suo interno, ne uscì con gli hard disk in mano. «Ora possiamo andare» disse. Uscimmo dalla cabina di comando per dirigerci verso l’atrio, dove trovammo Frank con una valigetta in mano e i suoi dannati biscotti. «Da non credere» gli dissi, tenendo gli occhi fissi su quelle confezioni «non mi dire che sono biscotti al burro.» «Esattamente, capitano» rispose gonfiando il petto in segno di soddisfazione «e c’era anche questa, ma non sono riuscito ad aprirla» concluse, mostrandoci una valigetta di pelle nera. «Una valigetta?» chiesi incuriosito.


22 «Sì, l’ho trovata in uno degli alloggi. Era legata a un cadavere che indossava una spilla governativa… apriremo la valigetta una volta in volo.» «Un membro del governo a bordo di una nave senza piani di volo… interessante» dissi pensieroso «la controlleremo una volta in volo. Ellen? Che fine ha fatto Ellen?» «Eccomi! Sto arrivando, datemi un secondo.» Con uno scatto, ci voltammo tutti e tre nella direzione da cui proveniva la voce della nostra amica. Dal corridoio che proveniva dalla sala macchine, vedemmo Ellen avvicinarsi a noi con un carrello della spesa, pieno di pezzi di motore al suo interno. «Ellen» fece Frank vedendola «cosa ci fai con un carrello della spesa nello spazio?» «Da qualche parte dovevo metterla questa roba» disse lei come se niente fosse «e le mie braccia delicate non erano sufficienti.» «Almeno hai trovato i pezzi che ci servono per ripartire?» chiese Sarah. «Certo, sorellina» rispose sorridendo «ci permetteranno di ripartire, ma al primo porto spaziale dovrò fare altri interventi ai motori.» «Bene» dissi «torniamo a bordo della nostra nave e andiamocene il più presto possibile.» Tornammo a bordo della Liberty e ci sganciammo da quella nave. Ellen e Frank andarono alla sala macchine per adattare i pezzi trovati ai nostri motori, mentre io raggiunsi Sarah in cabina di comando. «Ora che si fa?» chiese dopo aver chiuso la porta della cabina. Mi misi a sedere sulla poltrona del secondo pilota e osservai quella nave là fuori. «Intanto preoccupiamoci di rimetterci in volo, poi andremo su Titano» risposi «dobbiamo chiudere il lavoro di Simmons e, soprattutto, dobbiamo farci pagare.» «E riguardo agli hard disk? Vuoi sapere cosa contengono?» «Ci stavo pensando… ci sarebbe anche quella valigetta trovata da Frank.» «Per i documenti criptati, pensavo di contattare un mio vecchio amico… una volta era un bravo hacker, sono sicura che ha la strumentazione adatta. Mi deve diversi favori… mi aiuterà.»


23 «Ottimo. Allora contatta il tuo amico e fissa un incontro al più presto.» «Purtroppo non si trova su Titano, vive in un paesino sperduto su Encelado» disse. «Quindi dovremo separarci. L’idea non mi dispiace, daremo meno nell’occhio» dissi alzandomi in piedi «andremo su Titano, con Frank incontrerò Simmons. Consegniamo la merce, ci facciamo pagare e cerco anche di trovare dell’altro lavoro, abbiamo bisogno di soldi. Nel frattempo Ellen rimetterà in piedi la Liberty, e spero che questa sia l’ultima volta. Tu andrai su Encelado dal tuo amico. Ti contatteremo appena saremo pronti per decollare.» «Finalmente» disse la donna «starò qualche giorno lontano da voi… avevo bisogno di una vacanza.» «Ma non ti divertire troppo» le risposi «cerchiamo di capire cosa contengono quegli hard disk. Spero sia qualcosa di valore.» «Ci siamo!» urlò la voce di Ellen all’interfono «possiamo partire!» *** Andai al mio posto da pilota. Controllai la strumentazione e vidi che i motori stavano girando. Aumentai leggermente la potenza per poter partire. Azionai la cloche per allontanarci dalla nave del governo e procedetti a bassa potenza per alcune centinaia di metri. Feci quella manovra per testare i motori, ma anche per non lasciare una traccia termica evidente del nostro passaggio. Se fosse arrivata una nave del governo, da quella traccia sarebbero risaliti a noi e ci avrebbero reso la vita impossibile, oppure, se ciò che avevamo preso aveva il valore sperato, avrebbero accorciato le nostre vite e, avendo già fin troppi problemi con quelli del governo, non volevo aggiungerne altri. Raggiunta un’adeguata distanza da quella nave, mi voltai verso Michael che era rimasto con me a osservarmi manovrare la nostra nave. «Ho impostato la rotta per Titano» gli dissi «al tuo ordine, capitano.» «Massima potenza, andiamocene al più presto e… non chiamarmi capitano» rispose sorridendo. «Non fare così» sorrisi anch’io «lo so che ti piace.»


24 Afferrai la leva che comandava la potenza dei motori, la strinsi con forza e decisione, per spingerla in avanti per poter partire. Sentii i motori salire di potenza, quando un boato provenne dalla sala macchine spegnendo i motori. Portai indietro la leva e mi volta verso Michael che era seduto al posto del secondo pilota. Vidi nel suo sguardo la delusione. «Scusatemi!» urlò Ellen dalla sala macchine «colpa mia… un attimo, non agitatevi… trovato il problema, va bene partiamo!» «Tu sei pazza!» sentimmo urlare Frank, che stava aiutando la donna nella sala macchine «prima o poi ci farai esplodere!» Michael mi fece segno con la testa di provare nuovamente a partire. Così mi voltai verso la strumentazione, strinsi nuovamente la leva della potenza dei motori e la spinsi in avanti. Questa volta si udirono i motori salire di potenza e la nave partì senza problemi. Lasciai la leva e mi spostai verso il computer del pilota automatico. Impostai la rotta verso Titano e attivai l’automatismo. Tolsi le mani dai comandi e mi appoggiai allo schienale della poltrona. «Siamo di nuovo in volo» dissi sorridendo a Michael. «Ottimo lavoro» rispose «ma riduci leggermente la potenza, meglio non correre ulteriori rischi.»


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CAPITOLO 3 - TITANO

Dalla nostra posizione, per raggiungere Titano sarebbero bastati tre soli giorni di navigazione, ma noi impiegammo quasi una settimana. Fummo rallentati da surriscaldamento dei motori, guasti vari e riparazioni fatte al momento con i pezzi prelevati da quel vascello e, ovviamente, dalle nostre continue incomprensioni, dovute soprattutto allo stress procurato da quella situazione. Alla fine arrivammo alla nostra destinazione, come ogni volta. Ci trovavamo in orbita intorno a quella luna e potevamo ammirare Saturno con i suoi affascinanti anelli. «Contatta il porto spaziale e chiedi il permesso per atterrare» dissi a Sarah dopo averla raggiunta nella cabina di comando «digli che staremo a terra per due o tre giorni… al massimo quattro.» La donna non perse tempo e accese la radio. Selezionò la frequenza del porto spaziale e si mise in contatto con l’addetto delle piattaforme di atterraggio. «Qui nave da carico Liberty. Chiediamo il permesso per atterrare. Ci fermeremo due o tre giorni, al massimo quattro. Passo.» «Qui porto spaziale di Titano» rispose una voce alla radio dopo alcuni istanti «va bene, nave da carico Liberty. Piazzola di atterraggio quarantaquattro, permesso di stare a terra per quattro giorni accordato. Chiudo e benvenuti su Titano.» «Va bene… resteremo quattro giorni» disse Sarah voltandosi verso di me. «Ottimo, avremo tutto il tempo» risposi camminando verso il parabrezza «hai contattato il tuo amico hacker?» «Sì, alcuni giorni fa. Smith mi sta aspettando.» «Bene… molto bene» mi allontanai dalla cabina di comando «riunione in cucina appena atterrati.»


26 Lascia la cabina di comando in mano a Sarah, che avrebbe dovuto manovrare la nave per farci atterrare, e andai nel corridoio che conduceva alla sala macchine. Insieme a Ellen avrei voluto controllare le condizioni dei nostri motori, e organizzare le sue attività di manutenzione una volta atterrati su Titano. Mentre camminavo lungo quel corridoio, alcuni scossoni piuttosto violenti mi scaraventarono addosso alla parete, per poi fammi rimbalzare contro l’altra sul lato opposto. «Sarah!» urlai. Cercando di rimanere in piedi, tenendo le braccia e le gambe allargate e pronte ad affrontare quegli scossoni, corsi indietro verso la cabina di comando, mentre la nave oscillava a destra e a sinistra. Non feci in tempo a entrare in cabina che vidi dei pezzi di metallo staccarsi dal muso della nave e volare via. «Cosa sono quelli?» chiesi a Sarah indicando il parabrezza. «Quello che hai visto era il pannello paraurti principale» rispose lei mentre tentava di tenere dritta la nave, manovrando con forza sulla cloche di comando «poco fa si sono staccate anche parti delle barre stabilizzatrici.» «Come sarebbe a dire?» domandai allertato «cosa significa si sono staccate parti delle barre stabilizzatrici?» «Semplice» rispose Sarah con tutta naturalezza «dammi un attimo che ti spiego… ecco, ci sono… cinque minuti fa c’erano e ora non ci sono più.» «Fai del tuo meglio… portaci a terra» le dissi e uscii dalla cabina per avvisare gli altri che l’atterraggio sarebbe stato difficoltoso. Incontrai Frank che correva a fatica verso di me. «Ci stiamo schiantando?» chiese «non ho voglia di schiantarmi oggi.» «Frank non temere, organizzeremo uno schianto solo quando sarai disponibile. Per ora vai nella tua cabina e legati. Dov’è Ellen?» «Sono in sala macchine, capo!» urlò Ellen dal fondo del corridoio «mi sono legata, voi fate con comodo.» In occasioni come quelle, ero solito chiedermi se il mio equipaggio fosse composto da perfetti squilibrati mentali oppure da persone fiduciose nelle capacità degli altri. Onestamente dalle risposte che


27 davano ero più propenso per la prima opzione, ma avrei avuto occasioni migliori per rifletterci. In quel momento dovevo preoccuparmi che la Liberty non si schiantasse al suolo. Tornai in cabina per assistere Sarah nel tentativo di manovrare la nave che aveva iniziato a ruotare su se stessa. Mi misi a sedere sulla poltrona del secondo pilota, indossai la cintura di sicurezza e appoggiai le mani sulla cloche. «Dimmi come posso aiutarti!» urlai a Sarah. «Ora ti spiego… grazie per l’aiuto» rispose senza distogliere lo sguardo dai pannelli che aveva di fronte «fai l’esatto contrario di quello che faccio io. Se viro a destra, tu vira a sinistra… se viro a sinistra, tu vira a destra.» «Fammi capire» le dissi perplesso «lo stai dicendo per darmi l’impressione che sai come uscirne, oppure solo per farmi sentire utile?» «Fai quello che ti ho detto senza discutere, dannazione!» urlò mentre azionava tutti i comandi che aveva a disposizione per stabilizzare la nave. Strinsi con forza la cloche e iniziai a seguire alla lettera le istruzione che mi aveva dato Sarah, tenendo lo sguardo sulla sua cloche e le sue mani. Così, quando lei virava a destra io viravo a sinistra, se lei virava a sinistra io viravo a destra. Facevo l’esatto contrario di quello che faceva lei. Dopo vari minuti di quelle manovre assurde, la nave finalmente si stabilizzò e smise di ruotare sul proprio asse. Sarah azionò i carrelli per l’atterraggio e, con estrema delicatezza, ci portò a terra sani e salvi. Spenti i motori sentimmo un forte boato provenire dall’esterno e, pochi istanti dopo, il silenzio calò all’interno della nave. In quell’istante pensai al peggio, l’esplosione di un motore, oppure un’ala spezzata o chissà che altro. Invece quando mi avvicinai al parabrezza vidi che tutte le persone che si trovavano lì, quel giorno, in quello spazioporto, stavano applaudendo al nostro atterraggio. «Abbiamo dato spettacolo» disse Sarah mentre slacciava la cintura di sicurezza.


28 «Questa nave ha dei problemi» commentai, appoggiandomi allo schienale della poltrona. «È una buona nave» ribatté Sarah «ha bisogno di manutenzione.» «Riprendiamo fiato e vediamoci in cucina» dissi. Sarah si alzò in piedi, appoggiò le mani dietro la schiena e si piegò all’indietro. Rimase in quella posizione per un paio di minuti, poi si voltò verso di me e si avvicinò. Appoggiò la mano sulla mia spalla prima di andarsene fuori dalla cabina di comando. Rimasi solo, nel silenzio più assoluto. Anche il boato all’esterno era finito, tutti erano ritornati alle loro cose, dimenticandosi di noi. Decisi di alzarmi e raggiungere il resto dell’equipaggio in cucina, dove mi stavano aspettando. Una volta lì trovai Frank intento a mangiare i suoi famosi biscotti al burro. Ellen e Sarah stavano conversando e ridacchiando, come era loro solito. Rimasi a osservare quel quadretto per alcuni istanti. Nessuno di loro aveva notato che mi trovavo lì, sulla soglia della porta. In quell’istante capii quanto fossi fortunato a viaggiare con quelle persone. Era il meglio che mi poteva capitare e li amavo con tutto me stesso. Mi feci avanti e mi misi a sedere di fronte a loro. «Siamo su Titano» dissi. «E, cosa più importante, siamo ancora vivi» m’interruppe Frank mentre masticava uno dei suoi biscotti. «E siamo ancora vivi» sorrisi «come ci ha fatto notare Frank.» «Ora che si fa?» chiese Ellen. «Io e Frank andremo da Simmons. Abbiamo un lavoro da chiudere e dobbiamo farci pagare» iniziai a spiegare il mio piano «Sarah prenderà la prima navetta per Encelado. Prenditela comoda, noi ti raggiungeremo lì. Ellen rimetterà in sesto la nave… hai quattro giorni per farlo, procurati i ricambi e mettiti al lavoro.» «Quattro giorni non bastano» intervenne Ellen «mi serve più tempo… diciamo almeno un paio di settimane.» «No» le risposi «farai in quattro giorni il lavoro di due settimane. Trova i pezzi e assumi qualcuno che ti possa aiutare qui in giro ma assicurati che sappia fare il lavoro.» «Assumere qualcuno?» fece lei «e come lo paghiamo? Abbiamo a malapena i soldi per i ricambi!»


29 «Li pagheremo come al solito» intervenne Frank «un colpo in testa e una buca profonda fuori dalla città.» «Sei serio?» chiese Sarah, che era rimasta in silenzio tutto il tempo. «Sta scherzando, ovviamente» intervenni «trova qualcuno, fatti aiutare. Mi farò dare qualcosa da Simmons.» «E Sarah?» chiese Frank «cosa va a fare su Encelado? Noi qui a sgobbare, mentre lei va in vacanza?» «Incontrerò un mio amico, è un hacker» spiegò lei «farò decriptare i documenti trovati su quella nave, anzi, dammi anche la valigetta che hai trovato, potrebbe essermi utile.» «Non ci provare!» esclamò Frank, puntandole il dito contro. «Se contiene qualcosa di valore ti darò il settanta percento» rispose Sarah sicura di sé, conoscendo bene l’uomo che aveva di fronte. «L’ho trovata io, quindi facciamo ottanta» ribatté Frank, allungando la mano. Sarah sorrise e gli strinse la mano Così facendo avevano stretto un accordo, di conseguenza Frank avrebbe avuto la sua parte, a patto che all’interno di quella valigetta ci fosse qualcosa di valore, altrimenti entrambi sarebbero rimasti senza niente. «Frank dai la valigetta a Sarah» dissi alzandomi dal tavolo «poi prepara il pacco di Simmons e contattalo. Digli che saremo da lui per pranzo.» «Tu dove stai andando?» chiese Ellen. «Vado a pagare lo spazioporto» risposi «voi preparatevi nel frattempo.» Lasciai la cucina e andai nella mia cabina. Socchiusi la porta dietro di me e andai all’armadietto dove tenevo le mie cose. Aprii il primo cassetto e presi le banconote che c’erano all’interno. Un migliaio di crediti, la cifra sufficiente per pagare il parcheggio in quel porto spaziale. Intascai i soldi e presi il taccuino dove segnavo le entrate e le uscite. In cassa avevamo circa cinquantamila crediti, e dovevamo pagare le riparazioni della nave, fare rifornimento di carburante e dovevo anche pagare l’equipaggio. Mi resi conto che non navigavamo in buone acque. Il lavoro che ci doveva pagare Simmons ci avrebbe permesso di coprire alcune spese, ma dovevo trovare altro.


30 «Intendi prendere altro lavoro da Simmons?» chiese Sarah che mi aveva raggiunto nella mia cabina. «Con l’ultimo incarico pagheremo a malapena le riparazioni della nave» le risposi mentre tenevo gli occhi sul taccuino «dobbiamo pagare l’equipaggio, fare rifornimento e vorrei anche mangiare del cibo vero per una volta… siamo con l’acqua alla gola… dobbiamo accettare più lavori possibili finché non ci rimettiamo in pari.» «Ce la faremo… non temere» e uscì dalla cabina. Indossai la giacca e, dopo aver lasciato la mia cabina, andai verso l’uscita della nave. M’incamminai attraverso lo spazioporto, tra decine di persone che lavoravano in quel posto immenso, tra equipaggi di astronavi o altri in cerca di lavoro. Non curandomi troppo di quelle persone, mi recai all’ufficio dei pedaggi. Era una baracca di legno, verniciata di blu, con un’insegna luminosa. Entrai al suo interno e andai dall’impiegato che mi stava aspettando dietro il bancone. Mi avvicinai e mi presentai. «Piazzola quarantaquattro, astronave Liberty per quattro giorni» dissi. «Bene, Liberty… fanno mille crediti» rispose il tale senza neanche sollevare lo sguardo verso di me. «Mille crediti?» domandai sorpreso. «Certo… quattro giorni fanno mille crediti» rispose prontamente. «E con quello spettacolo di atterraggio, unico nel suo genere, non mi fate nemmeno uno sconto?» replicai indicando con la mano verso la finestra «dai, amico, quando vi ricapita.» Il tizio spostò lo sguardo su di me, si aggiustò la cravatta, e sbuffando si alzò in piedi. «Avete fatto un atterraggio spettacolare, non ci sono dubbi, ma vi rendete conto quanto ci sarebbe costato se vi foste schiantati?» «Ma siamo atterrati, nel bene o nel male… e vi siete divertiti. Facciamo settecento crediti?» mi giocai le carte della contrattazione. Mi tenni basso, lo facevo sempre, attendevo il suo rilancio, che sarebbe stato inferiore al prezzo dovuto, ma che avrei potuto ritrattare senza problemi. «Facciamo ottocento.»


31 «Sette e cinquanta e non ne parliamo più» rilanciai prontamente, allungando la mano. Dapprima l’uomo abbassò lo sguardo e sbuffò nuovamente. Poi, comprendendo che non mi sarei mai arreso, afferrò la mia mano e la strinse. Aveva accettato la mia proposta, come pensavo. «Ottimo, eccoti i soldi» dissi prendendo le banconote dalla tasca «lasciami la ricevuta.» Il tizio prese i soldi e li infilò in un cassetto. Poi prese la penna, un taccuino e si mise a scrivere la mia ricevuta, che mi diede dopo averla strappata a malincuore da quel taccuino. «Grazie, amico» presi il foglietto «al prossimo atterraggio.» «Non fatelo mai più o mi manderete in bancarotta» rispose sorridendo. Intascai la ricevuta e lasciai l’ufficio. Sulla destra della porta c’era una panchina e decisi di sedermi per aspettare Frank. Dalla tasca della giacca presi il pacchetto di sigarette, ne estrassi una e l’accesi. Fumavo con tutta calma mentre osservavo quello spazioporto, senza pensare a niente di particolare, quando apparve Frank con un pacco in mano. «Simmons ci sta aspettando» disse guardandomi. «Bene… siediti un minuto, abbiamo ancora tempo.» «Vuoi farlo innervosire prima della contrattazione?» chiese incuriosito. «Il prezzo era già stato concordato all’ingaggio… lui cercherà di abbassarlo, come fa ogni volta… allora rilanceremo e ce ne andremo con un dieci percento in meno» gli risposi tra una boccata e l’altra. «Dieci percento in meno?» replicò sorridendo «come al solito.» «Come al solito… abbiamo bisogno di soldi… dobbiamo accontentarci di quello che ci pagano» dissi irritato dal suo atteggiamento «ci faremo dare qualche altro lavoro.» «Spero che questa volta sia previsto l’uso delle armi» commentò, estraendo la pistola dalla fondina «la mia piccola non si sfoga più da troppo tempo.» «Ma che fai? Metti via quell’arma… vuoi farci arrestare?» «Tranquillo, Mike… non ci sono sbirri da queste parti.»


32 *** Preparai la mia borsa da viaggio, ci infilai all’interno gli hard disk, dopo averli impacchettati per bene, e la valigetta di Frank. Indossai la giacca e andai da Ellen per salutarla. «Vado su Encelado» le dissi «tu controlla quei due… vedi che non si mettano nei guai.» «Non temere, Sarah… non li perderò mai di vista» rispose sorridendo. Salutai Ellen e lasciai la nave. Una volta fuori m’incamminai attraverso lo spazioporto, recandomi verso l’uscita, per dirigermi poi verso l’area adibita all’imbarco dei normali passeggeri. Intravidi Michael e Frank, seduti su di una panchina, fuori dall’ufficio dei pedaggi. Li osservai per un po’ chiedendomi di cosa stessero parlando e se mi avessero vista nonostante la lontananza, ma niente, erano presi dalla loro conversazione e non mi videro affatto. Poco male, ci eravamo già salutati, quindi, borsa in spalla e pistola nella fondina interna della giacca, m’incamminai verso la mia destinazione. Giunta alla biglietteria entrai e mi recai alla cassa. Trovai una donna grassa, con capelli mal pettinati e un’espressione di disgusto, che mi osservava da quando era entrata. Sulla sua scrivania vidi una scatola con delle ciambelle, una tazza di caffè freddo e un computer per i biglietti. «Dove desideri andare, dolcezza?» chiese non appena mi vide. «Un biglietto per Encelado, per favore» risposi gentilmente. «Encelado. Andata e ritorno? O solo andata… con il ritorno c’è uno sconto del dieci percento.» «Solo andata.» «Sicura? Le costerà di più.» «Solo andata» risposi spazientita. «E solo andata sia» rispose pigiando i tasti della sua tastiera «il volo è di dodici ore… vuole una cabina singola o le va bene la corsia?» «In corsia, grazie.» «Aspetta a ringraziarmi, dolcezza» fece lei senza alzare lo sguardo dal monitor «motivo della visita?»


33 «Affari personali… ma perché lo chiede? Deve inserirlo nel biglietto?» «Certo che no. Non è importante per il biglietto» fece lei «mi stavo solo chiedendo cosa vada a fare una donnetta come te su Encelado.» «Scusa… come mi hai chiamato?» domandai, disturbata dal suo modo di fare. «Donnetta… sei sorda?» replicò «lo vuoi il biglietto o no?» disse mentre indicava le altre casse piene di gente. «Certo che lo voglio e capisco anche perché qui non c’è nessuno» borbottai. «Ecco qui, donnetta, il tuo biglietto… cento crediti» disse tenendo il biglietto in mano e sventolandolo sotto i miei occhi. Presi i soldi dalla tasca, li appoggiai sul tavolo e le strappai letteralmente di mano quel dannato biglietto per infilarlo poi nella tasca della giacca. Senza neanche salutare o ringraziare, le voltai le spalle e me ne andai. La sentii dire qualcosa, ma lasciai correre, non avevo né il tempo, né la voglia di litigare con una persona del genere. Uscita dalla biglietteria lanciai un’occhiata al tabellone delle partenze, dove trovai il mio volo con tanto di orario. «Non è possibile» borbottai «devo anche aspettare quattro ore!» Quattro ore di attesa erano tante, non me l’aspettavo. E pensare che qualcuno, sulla Liberty, mi aveva detto che partiva una navetta ogni ora. Sì, certo, ne partiva una all’ora solo nei loro sogni. Tornare alla nave non avrebbe avuto senso, sarei arrivata per poi tornarmene indietro. Mi serviva qualcosa per passare il tempo, senza mettermi nei guai. Rimuginando sul lungo tempo di attesa mi guardai intorno. Per mia fortuna, otre le biglietterie e le varie sale d’attesa, in quel posto non mancava nulla per intrattenere i viaggiatori annoiati. Sale per il gioco d’azzardo, da evitare a priori per le probabili risse, alberghi, perlopiù visitati da persone che cercavano compagnia, già, proprio quel tipo di compagnia… ristoranti e saloon. Tra le varie opportunità per passare il tempo per i passeggeri dei voli, pensai che fosse meno impegnativo e più salutare, recarmi al saloon. Avrei preso qualcosa da bere e, magari, anche qualcosa da mangiare


34 per il viaggio. Così, borsa in spalla, mi avviai tra la folla verso il saloon. Arrivai alle porte a spinta in legno e lanciai un’occhiata all’interno. La sala non era troppo affollata, c’erano viaggiatori in attesa, come me, che sedevano ai tavoli e alcune persone al bancone. Spinsi le porte e mi decisi a entrare. Tutti si voltarono verso di me. Mi sentii quasi schiacciata da quegli sguardi, ma feci finta di niente e mi avvicinai al bancone. Presi il primo sgabello libero, appoggiai la borsa a terra, vicino ai piedi, e mi misi a sedere. Il barista, un tizio sulla quarantina con i baffi e una camicia bianca appena stirata, mi vide dal fondo del bancone dove stava servendo da bere ad alcuni clienti e mi fece segno che sarebbe arrivato presto. «Qualcosa da bere?» chiese appena giunto da me. «Sì… un’aranciata ghiacciata, grazie.» Il barista si diede subito da fare. Andò al frigorifero che aveva dall’altra parte del bancone e prese una bottiglietta di aranciata. Tornò da me l’appoggiò sopra al bancone, tra le mie mani, poi, con molta grazia, prese un bicchiere, una cannuccia e li mise vicino alla bottiglietta. Fece quelle operazioni sorridendo e senza troppa fretta. Presi la bottiglietta e versai l’aranciata fino a riempire metà bicchiere. Infilai la cannuccia e mi misi a bere con tutta calma. Me ne stavo tranquilla e rilassata, quando un tizio si mise a sedere sullo sgabello vicino a me. Appoggiò un gomito sul bancone dopo aver accavallato le gambe e, per tutto il tempo, non mi tolse lo sguardo di dosso, mentre io, senza neanche voltarmi, lo controllavo con la coda dell’occhio aspettandomi un suo tentativo di approccio. «Una bella donna che beve da sola» disse dopo intensi attimi di esitazione «dovrebbe essere considerato un crimine nell’universo.» Mi aspettavo una mossa del genere, non era il primo e, di certo, non sarebbe stato l’ultimo. Ogni volta, in ogni saloon in cui entravo da sola e mi sedevo a bere, un tizio si avvicinava e iniziava a disturbarmi. Non lo sopportavo più da anni, ma cosa ci potevo fare, gli uomini – certi uomini – erano così e non si potevano cambiare. «Se continui a disturbare la bella donna che beve da sola» gli dissi senza alzare lo sguardo dal bancone «lei commetterà un crimine in


35 questo posto sperduto dell’universo» e allargai la giacca per fargli vedere la pistola. Quel tizio non disse altro, si alzò dallo sgabello e se la diede a gambe. Il barista aveva assistito a quella scena e scoppiò a ridere quando vide quel tizio che scappava con la coda tra le gambe. Quando scomparve, smise di ridere e venne di fronte a me. Appoggiò le mani al bancone e s’inchinò in avanti. «Offre la casa» disse sottovoce indicando la bibita con lo sguardo «quel tizio si meritava una lezione… ora goditi l’aranciata.» *** )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

Capitolo 1 - Alla deriva…………..……………………..3 Capitolo 2 - Il vascello fantasma……..………………..13 Capitolo 3 – Titano……………………..……………...25 Capitolo 4 - Ognuno al proprio posto……………..…...40 Capitolo 5 - Recupero crediti……………..……………49 Capitolo 6 - Il messaggio del governo……..………......59 Capitolo 7 – Encelado………………………..………..68 Capitolo 8 - Giulia Taylor……………………..……….76 Capitolo 9 - La prima astronave………………..………85 Capitolo 10 - La sala del criosonno…………..………...93 Capitolo 11 – Europa………………………..……..…102 Capitolo 12 - Fuggire dalla noia……………………...110 Capitolo 13 - Verso Mercurio………………..…….....120 Capitolo 14 - La Dark Star………………….……......128 Capitolo 15 - Rotta per Saturno…………….……......138 Capitolo 16 - L’ultima deviazione……….…………...145 Capitolo 17 - L’ultima astronave………….…...……..153 Epilogo……………………………………………….161


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