La verità e l'inganno, Emanuela Dal Prete

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EMANUELA DAL POZZO

LA VERITÀ E L’INGANNO

ZeroUnoUndici Edizioni


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LA VERITÀ E L’INGANNO Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-408-3 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Luglio 2020


Non è la piÚ vituperevole ignoranza quella che consiste nel credere di sapere ciò che non si sa? Socrate



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1 SIVIGLIA

Marzo 1528 Aquina Estrella de Barres giunse a Siviglia prima del tramonto. Per tutta la durata del viaggio, aveva rimuginato sul modo migliore per affrontare la città: sapere ciò che l'attendeva oltre le sue mura avrebbe potuto salvarle la vita. La spensieratezza giovanile dell'epoca, quando si recava al mercato di Siviglia, fiorente snodo di commercio, a comprare stoffe e profumi in compagnia dell'amica Sara senz'altro pensiero di godersi la vita e dimenticare il passato e i segni di morte che la peste portava con sé, avevano ritratto la città di generosa bellezza. Ora, la stanchezza del viaggio, le ombre del passato, l'incognita del futuro, la solitudine in cui si trovava, l'assenza di punti di riferimento, rendevano Siviglia ostile e potenzialmente nemica. Avrebbe utilizzato il lungo tirocinio medico per allertare i sensi, scrutare i visi, osservare i segni del potere nello spiegamento di guardie pronte a rompere gli spontanei assembramenti, capire le intenzioni che agitavano l'aria, sondare il benessere dell'anima e del corpo dei cittadini, indovinare i pensieri incompiuti, quelli che appestavano l'aria e quelli che l'alleggerivano. Superate le mura, ritrovò i colori che ricordava: le sete negli abiti di donne eleganti accompagnate a uomini che passeggiavano senza fretta, i vicoli stretti in salita che conducevano al quartiere arabo, i ponti gettati sul Guadalquivir che accoglieva le navi che risalivano dal mare, la folla stretta intorno alle anse del fiume che attraversava la città con guizzi lucenti, l'ondulare delle vele alla brezza pomeridiana, i numerosi camini dei tetti che sbuffavano fumo e che riempivano gli occhi ogni volta che da un punto più alto abbracciava quella città ricca e affollata. Estrella respirò profondamente e si tranquillizzò: non avrebbe faticato a mimetizzarsi in quella moltitudine di visi di varia fattezza, tra quei corpi di diverso ceto sociale che amavano intrattenersi affollando vie e ponti


6 prima che il sole morisse sull'acqua. Di fronte all'imponenza della torre della Cattedrale che dominava la città si fermò incantata: non la ricordava così alta e bella. Respirò di sollievo: la bellezza dell'arte poteva sconfiggere la paura. Tutto ciò che vedeva, ascoltava, annusava e respirava portava i segni di un incantamento che assorbiva interamente il suo corpo. Vagò per un poco lungo le vie, senza una meta precisa, accorgendosi che quando lo stordimento provocato da quelle nuove ventate di profumo e lo stupore per le macchie di colore che percorrevano le vie della città la abbandonavano a ridosso dell'angolo di qualche vicolo, nella sua mente improvvisamente sgombra riemergevano i nodi del passato. Riaffioravano dal cupo pozzo del tempo le domande che pensava di avere scacciato per sempre. “Doveva ancora temere il Vicario? L'inquisizione era ancora sulle sue tracce? Chi aveva ucciso Hernández e perché? Il suo tesoro era ancora dove l'aveva nascosto? Qualcuno ne era a conoscenza e lo stava cercando?”. Venne distratta dallo sventolio di un vessillo intorno al quale erano radunati alcuni cavalieri. Diverse guardie controllavano l'afflusso alla piazza di gruppi di persone festose. Altre bandiere erano conficcate in più punti della piazza, a indicare che si stava celebrando una festa. Il suo primo allarmato pensiero, che si trattasse di un autodafé simile a quelli cui aveva assistito da bambina a León, sparì nell'incrociare le espressioni dei visi sorridenti, gli sguardi sorpresi rivolti verso il centro della piazza, parzialmente coperto da una moltitudine di teste che si ammassavano. Alla vista della Cattedrale, maestosa e incombente, un brivido le attraversò la schiena, ricordando come i potenti sapevano impugnare l'arma della religione per soggiogare gli umili e castigarne il corpo fino all'estremo sacrificio. Quasi contemporaneamente un sussulto la fece sperare: forse nella Cappella Major di quella Chiesa, Inigo, l'uomo che cercava in quella città, era ancora intento al grandioso Retablo di cui le aveva parlato. Dietro di lei con passo frettoloso giungevano uomini, donne e bambini con l'indice sollevato e un'espressione radiosa in volto, altri ai balconi, alle finestre e sui tetti. Era una giornata luminosa, quasi estiva, che lasciava presagire un tramonto infuocato. Insolita per quella primavera appena iniziata. La luna appena percettibile si era già alzata e soffiava una brezza leggera. I tamburi rullarono. Estrella si avvicinò confondendosi tra la folla.


7 Un carro si era trasformato in palco aprendosi verso la piazza, innalzando al cielo un telo dipinto. Un buffone davanti al telo fingeva di piangere e di disperarsi, contorcendosi e rannicchiandosi, tra gli schiamazzi e le risa dei presenti. Indossava una giacca sbrindellata. Ogni volta che mostrava la schiena al pubblico, i pantaloni mettevano in evidenza un buco. «Vorrei un Signore che mi proteggesse come si deve. Non voglio più essere un buffone. Sono stanco di peregrinare da una corte all'altra e di non essere considerato per i miei talenti. Voglio smettere di fare questa vita! Voglio diventar giullare!». Un altro buffone gli chiese: «Come ti chiami, buffone, tu che vuoi diventare giullare?». «Il mio nome è Riquier e sono provenzale». «O signori, costui ha il talento e solo lui ce l'ha. Spiega, buffone, a questi generosi Signori qual è il tuo talento». «So d'arte, di poesia, so intrattenere con gli incantamenti e sono pronto a dimostrarlo». «Allora sia. Noi saremo il tuo Tribunale». I tamburi nuovamente rullarono. Un attore travestito da paggio cominciò a leggere una pergamena: «Questa è la storia della bella figlia del Sultano che invita Dante a un incontro notturno nel suo castello. Ecco la bella fanciulla che si affaccia alla torre e lo chiama». Dall'alto del palco comparve una loggetta fiorita protetta dall'ala di un tetto sfavillante. Una graziosa, scollata e imbellettata, dimenò i fianchi e invitò il buffone Dante a entrare nella cesta posta sotto la loggetta per raggiungerla. Poi la cesta legata a una corda, con l'uomo dentro, cominciò a salire fermandosi a metà altezza. Il buffone si dimenò. «Povero Dante» disse la ragazza, «sei troppo pesante e la corda si è inceppata». Il buffone protestò, si lagnò, si arrabbiò, chiedendo aiuto alla folla che accompagnava la scena con risate e schiamazzi. Ripristinò l'ordine il Sultano che si affacciò: «Chi fa questo chiasso?». «Padre mio, quest'uomo oltre che stolto è anche grasso» disse la giovane figlia dalla loggetta. La gente rideva sbeffeggiandolo. «Guardie accorrete! Tagliate la testa a quest'uomo che attenta all'onore della mia giovane figlia illibata!» rispose il Sultano. Arrivarono gli attori travestiti da guardie, ma il buffone, con strani segni disegnati nell'aria, creò la magia. Apparve prima il fuoco poi il fumo, che


8 con volute colorate sempre più dense avvolse l'uomo e la cesta. Il buffone scomparve, tra gli applausi generali. Il pubblico urlò al buffone di uscire e di continuare lo spettacolo, ma dal nulla comparve una figura, elegante e scolpita come una statua, con un liuto dal manico lungo e dalle corde metalliche, che prese a suonare e zufolare, scendendo infine dal palco con un balzo e zigzagando tra la folla, seguito dall'attore imbellettato che impersonava la bella figlia del sultano che invitava il pubblico a riempire la cesta: chi lanciava monete, chi un frutto, chi un pezzo di pane. Poco oltre un gruppetto di uomini e donne si attardava a discutere intorno a un tavolo. Un uomo invitava i passanti a indovinare dove sarebbe finita la moneta che teneva in mano regalandola a chi ci fosse riuscito. Ogni tanto una voce allegra gridava e s'intascava la moneta. Estrella si avvicinò, tentata da quel gioco, ma un arabo le passò accanto e la fermò: «Diffida delle apparenze. Spesso celano l'inganno» le disse. L'arabo le indicò un ladro che ripuliva le tasche e frugava le borse di quanti seguivano le mosse del prestigiatore. Poi le fece cenno di seguirlo in un luogo della piazza meno affollato. Quando pensò di essere abbastanza lontano da orecchie indiscrete le disse: «Sono Hamelin, l'indovino. Io ti posso aiutare». Estrella guardò l'uomo stupita e timorosa: «Tu mi conosci? Sai chi sono?». «So che dovevi arrivare, ma non sapevo quando, anche se ieri sera gli astri mi avevano avvertito». «Non devi temere» le disse. «So che sei straniera. Io ti posso offrire un luogo in cui riparare e molto di più». Con un gesto la invitò a seguirlo. Attraversarono la piazza oltrepassando il carro dei comici, poi l'arabo introdusse Estrella in una corte, oltre un portone. Attraversarono un giardino fiorito e presero una scala esterna laterale che dava su un'elegante palazzina con arabeschi che correvano lungo il perimetro. La porta d'accesso, appena accostata, immetteva in un ampio salone il cui pavimento dai disegni esagonali era per la maggior parte coperto di tappeti e cuscini. All'arrivo dell'arabo comparvero tre giovani fanciulle dal corpo fasciato di stoffe e veli: versarono del tè per l'arabo e l'ospite. L'uomo la fece accomodare tra i cuscini e accese tre candele profumate. Sul tavolo erano poggiate delle pergamene.


9 «È ora che ti dica chi sono e perché ti ho portato qui» disse l'uomo a Estrella. «Studio la scienza occulta, secondo la scuola di Cornelius, che mi ha iniziato a padroneggiare i misteri dell'universo, a riconoscere le qualità degli elementi e le loro mescolanze. Per questo posso operare prodigi. Conosco la chiarezza, la rarefazione e il movimento del fuoco, l'oscurità, la densità e l'immobilità della terra. So ridurre gli elementi impuri a puri, affinché la loro virtù sia sopra ogni cosa. Attraverso la magia naturale e quella celeste predico l'avvenire, sterminando i demoni e conciliando gli spiriti buoni. Mi sei apparsa in visione e attraverso il linguaggio dei simboli gli astri mi hanno parlato. So che hai incontrato molte difficoltà nel tuo cammino e altre ne incontrerai, ma io ti posso aiutare, perché tu sei un essere superiore. La Chiesa non crede al potere delle donne, dando credito alle tradizioni popolari che le vuole serve ignoranti, o chiuse nei conventi. Per questo le perseguita. Ma la nostra associazione le difende». L'uomo prese una pergamena dal tavolo e la porse a Estrella. «Leggi questo scritto di Cornelius, che ti convincerà di quanto ti ho detto». «Chi è Cornelius?» chiese Estrella «È colui che, penetrando i segreti della magia occulta, ignoti a tanti uomini istruiti, le divulga solo a un gruppo di prescelti, per evitare di nutrire bocche viziate di cibo corrotto, che imputridiscano la bellezza dell'arte magica, mescolandola a false credenze e superstizioni». Quindi Estrella lesse: «Tra tutte le creature non v'è spettacolo così meraviglioso, né miracolo tanto riguardevole, al punto che si dovrebbe essere ciechi per non vedere chiaramente che Dio radunò tutta la bellezza di cui è capace l'intero universo e lo diede alla donna, acciò che ogni creatura abbia buone ragioni per stupire di lei e riverirla e amarla». Quando Estrella finì di leggere l'uomo le disse: «Per questo non mi devi temere, né devi temere alcuno degli amici di Cornelius, che sanno esercitare le arti magiche, con il benevolo influsso dei corpi celesti, per ottenere gli effetti desiderati». L'arabo guardò intensamente Estrella e aggiunse: «Tu serbi nel cuore delle domande, alle quali non sai rispondere, che riguardano il tuo passato. Per sciogliere i nodi che impediscono la tua serenità, non di me hai bisogno, ma di colui che sappia riportarti indietro nel tempo e interrogare l'animo dei luoghi e delle persone che hai incontrato. Ti ospiterò per la notte, in attesa di portarti domani dal potente mago Ignazius, ma ricorda: la verità ha sempre due facce. Solo il tuo animo puro saprà discernere la verità


10 dall'inganno, con l'aiuto di questo talismano che saprà proteggerti». L'indovino le porse una pietra ovale violacea. «Questa pietra ha assorbito le qualità occulte prendendole dal sole, dalla luna, dai pianeti e dalle stelle, superiori ai pianeti. Tienila sempre con te e nei momenti di smarrimento ti aiuterà a trovare la via». «Perché fai questo per me?» chiese sorpresa la donna. «Tu sei l'ultima, sotto il segno del fuoco, che devo incontrare. Domani la congiunzione degli astri è propizia per fare ciò che tu chiedi». Prima di congedarsi disse: «Questa notte gli spiriti buoni veglieranno su di te e il tuo sonno sarà tranquillo, per permetterti di affrontare la prova di domani». Prima di ritirarsi l'arabo batté le mani. Comparvero le tre fanciulle, le portarono la cena, poi l'accompagnarono nella stanza in cui avrebbe passato la notte. La stanza aveva una finestra che dava sulla piazza della Cattedrale, dalla quale Estrella osservò a lungo gli attori che, protetti dalla vista dei passanti, provavano la scena del giorno dopo. La recita questa volta riguardava l'impresa di Virgilio, in cerca del libro dei saggi, in cima alla montagna. Il buffone si divertiva a scuotere una bottiglia fingendo che dentro ci fosse nascosto qualcuno, uno spiritello sembrava, capace di aiutare Virgilio nell'impresa. «Liberami» diceva lo spiritello, «e io ti aiuterò a combattere contro il demone a guardia del libro dei saggi». Un telo dipinto raffigurava l'alta montagna da conquistare. In alto svettava un demone, pronto ad allontanare qualsiasi intruso con la forca. Il saltimbanco che provava il personaggio del diavolo si esibì in una serie di piroette, prima di assumere posizioni grottesche, impossibili per qualsiasi corpo, quasi che le braccia e le gambe fossero staccate dal corpo e per magia danzassero intorno a esso, slegate dal tronco. Il buffone era intento alle trasformazioni di colore e di forma dello spiritello liberato dalla bottiglia che infine diventò un fuoco danzante. Poi dal fuoco sbucò una fanciulla, simile a un essere in carne e ossa, ma senza vita. L'automa fanciulla veniva animata sotto i vigili occhi degli altri comici divertiti. Un terzo buffone si aggirava avanti e indietro, commentando in versi la storia. Il suo poetare scaturiva dalla lettura di immagini di un canovaccio. Quando la nuova rima trovata gli piaceva, la ripeteva più volte, declamandola all'uditorio che ascoltava, annuiva o disapprovava. Un quarto, che osservava il lavoro da vicino, gli suggeriva le battute


11 quando questo sembrava non ricordare, a tratti ridendo delle invenzioni di tutti. A un certo punto i comici decisero che le prove sarebbero proseguite l'indomani e si avventarono sul cibo lasciato nella cesta dagli spettatori. *** Il giorno successivo, in tarda mattina, l'arabo ed Estrella s'inoltrarono tra le vie di Siviglia. Dopo un lungo tratto di strada ricco di svolte, nel labirintico dedalo del quartiere più vecchio della città, giunsero in un punto talmente stretto che le case dei due lati del vicolo che imboccarono quasi si toccavano, tanto che il cielo era completamente oscurato dai tetti prospicienti, o dai camini che come ampi cappelli proteggevano dal sole. In quel luogo pareva che le ore non scorressero e che la notte si sovrapponesse al giorno, tale era l'oscurità. L'arabo, intuendo il disagio di Estrella la tranquillizzò: «Diffida delle apparenze e guarda all'essenza delle cose. Siamo comunque arrivati». L'uomo scostò un portoncino e le fece cenno di seguirlo. Discesero una scala a chiocciola fiocamente illuminata da un candelabro e giunsero in un antro con volta a crociera sostenuta da quattro colonne. Al centro della stanza vi era una pietra quadrata e levigata, contornata agli angoli da quattro fiaccole accese. L'arabo fece cenno a Estrella di entrare. Quando la sua sagoma diventò visibile alla luce delle fiaccole, Estrella si accorse che la pietra era incisa da lettere, numeri e simboli indecifrabili. Una voce profonda dall'ombra la salutò: «Sii la benvenuta, donna. Avvicinati alle candele, perché possa vedere la tua ombra. Mi dirà se ti manda il male, o se la tua anima è pura». Estrella tremò, girandosi istintivamente verso il suo accompagnatore che pareva essersi dissolto nel nulla. Al suo posto un uomo dalla pelle chiara e lunghi capelli e barba bianchi le si avvicinò: «Qual è la tua richiesta?» le chiese. «Mi interessa un uomo che appartiene al mio passato. È un uomo malvagio che mi insegue, ma non so se ho ragione di temerlo ancora». Il vecchio tacque e chiuse gli occhi. «Vedo che quell'uomo che temi non è l'unico pericolo che incombe su di te. Quello che chiedi non è facile. Le ombre del passato nascondono pericoli. Ma io sono l'unico capace di aiutarti. Entrerai in un sogno, ma


12 con la mente vigile. La tua vita scorrerà, insieme a quanti hai incontrato. Leggerai i tuoi e i loro pensieri; conoscerai fatti di cui sei all'oscuro; vedrai i colori e i luoghi che in passato hai frequentato e altri di cui non sapevi, ne capirai gli umori e le intenzioni: avrai così risposta alle tue domande. Questo svelamento sarà simile a un viaggio. Sarà capace di dissipare i tuoi dubbi, ma alla fine del viaggio dovrai decidere tu e solo tu come proseguire la strada». Il mago prese una brocca piena d'acqua e la versò in una bacinella intarsiata, poggiata sulla pietra, prese il dito indice di Estrella, lo incise, finché alcune gocce di sangue si mescolarono con l'acqua, poi estrasse un libro dall'ampio vestito che indossava pronunciando alcune parole sconosciute. Si voltò verso Estrella. «Io invoco lo spirito che vaga libero per l'aria io invoco la forza che interroga le forme io invoco il fuoco che scorge le cose che sono nascoste s'intreccino i loro poteri nell'acqua e la visione si elevi in verità». Prese quindi i frammenti di una pietra, li passò sulla fiamma delle quattro fiaccole, recitando per ognuna un'invocazione e li lasciò scivolare nella bacinella insieme a un liquido dal profumo intenso che a contatto con l'acqua liberò una nuvola di vapore immergendo Estrella nelle immagini della sua casa d'infanzia. Estrella si lasciò andare in un'allucinazione che diventò reale quanto l'antro in cui si trovava. Poteva vedere e toccare i mobili e gli oggetti dei suoi primi anni di vita, riconoscere le stanze in cui era nata e vissuta, riconoscere le azioni della madre mentre rassettava la stanza, del padre mentre meditava seduto al fuoco del camino.


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2 LEÓN

ESTRELLA Dicembre 1488 Estrella era nata in un cupo giorno d'inverno. Il cielo, prima grigio, si era via via oscurato e lampi guizzavano accecanti nell'illuminare un giorno diventato notte, tra i cigolii delle assi e il fischio del vento che sembrava scuotere la casa, nonostante l'abitazione, addossata ad altre simili in una via del centro di León, fosse ben protetta da ambo i lati. Adelita aiutava Evida come meglio poteva tra i lumi a petrolio accesi qui e là, mentre i bambini al rumore di ogni tuono nascondevano la testa sotto le coperte. Il padre Gaspar si aggirava inquieto fuori dalla camera ove giaceva la moglie, lasciando alle due donne il compito di fare ciò che andava fatto. Il mercante aveva accettato l'esito di quell'ennesima gravidanza in silenzio, con rassegnazione. Non si poteva fare nulla contro il volere di Dio. Non erano ricchi, alla faccia di ciò che i più poveri non dicevano con il loro sguardo eloquente. Avevano poco da invidiare! Se ci fossero state meno bocche da sfamare se la sarebbero passata meglio, perché il mercato aveva un'anima multiforme, fluttuante e per quanto condotto sulla terraferma, senza i rischi del mare, risentiva di imprevisti cali più che di improvvise impennate. Perciò aspettava preoccupato il momento del parto sperando nella buona sorte. Finalmente Adelita era uscita dalla camera con un involto tra le braccia esclamando: «È femmina». Gaspar si era rintanato in un cantuccio della casa, meditando su quella nuova disgrazia che aggiungeva alla bocca in più da sfamare un vago presentimento di impotenza. Come avrebbe potuto aiutarlo una femmina? Poi però, passato il primo momento di sconforto, era tornato dalla moglie e l'aveva guardata senza rimprovero, ricambiando il suo sguardo esausto da partoriente scampata anche a questo nuovo parto, entrambi speranzosi fosse l'ultimo.


14 «Non tutto viene per nuocere» le aveva detto. «Questa figlia porterà la quiete in casa. Avrai un aiuto nelle faccende domestiche. C'è solo da sperare nel suo buon carattere». Se l'avesse sorvegliata, tacitando ogni minimo sentore di capriccio, picchiandola se necessario e insegnandole a rispettare l'autorità paterna sarebbe cresciuta dritta, nel modo giusto e una volta grande non si sarebbe allontanata dalla strada maestra. Evida aveva annuito con rassegnazione: la morbidezza di una femmina poteva tornare utile, a dispetto di quanti pensavano che le femmine portassero solo guai. C'era il rischio che non si fosse maritata, pesando sulle casse della famiglia, ma di contro avrebbe potuto risultare utile, lavorando sodo. La piccola si era subito rivelata caparbia. Dormiva poco ma in compenso non piangeva. Appena imparò a stare in piedi era la prima che girava per casa, strattonando la madre dormiente per piegarla al proprio volere. Il padre sbuffava, la madre sospirava e si alzava per evitare che il padre la picchiasse. Così Estrella era cresciuta, a suon di rimbrotti e bastonate, anche se i genitori avevano ormai capito che quell'ultimo dono del cielo sarebbe stato più impegnativo di tutti gli altri quattro figli maschi messi insieme. Evida guardava i suoi riccioli neri ribelli e scuoteva la testa per nulla contenta. Se solo la bambina avesse imparato ad abbassare quello sguardo fiero che ostentava, avrebbe potuto evitare i manrovesci di Gaspar. Non poteva biasimare il marito se si era intestardito nell'impresa di raddrizzarla e la incolpava di eccessiva indulgenza, quando si accorgeva che le porgeva di nascosto un tozzo di pane quando Estrella veniva mandata a letto senza cena, il che succedeva la maggior parte delle sere. Come se non bastasse si erano anche messe le vicine a soffiare sul fuoco. Appena Estrella compariva alla loro vista la redarguivano con lo sguardo urlandole insolenze e incitando Evida a usare il bastone. Le rare volte in cui la bambina riusciva a sgattaiolare fuori dalla porta di casa si andava a rifugiare da Adelita, l'unica che sembrava non esserle ostile. Adelita sospirava, ricordando il giorno della sua nascita: gli elementi si scatenavano come se l'ira di Dio si abbattesse sulla terra. Se avesse dato retta alle chiacchiere avrebbe dovuto pensare che quello era il segno divino che indicava come fosse posseduta dal demonio. Estrella non sembrava una bambina normale, piuttosto precoce. Aveva imparato presto a camminare e ancor prima a parlare. A cinque anni la


15 sua lingua era sciolta come quella di un'adulta. Spesso la trovavano immobile a osservare aldilà del muro di casa senza sapere cosa stesse guardando, incantata e sorda ai richiami. Ma Adelita non poteva credere che una semplice bambina come Estrella avesse poteri di strega, così, quando Estrella per scampare alle botte del padre furtivamente si nascondeva in qualche angolo della sua casa, lei faceva finta di non vedere per non diventarne complice, nel caso in cui fosse stata scoperta. Le vicine non erano altrettanto accomodanti. Con diverse scuse si presentavano all'uscio di casa, desiderose di entrare. Se Evida vietava loro l'ingresso sbirciavano dentro chiedendo come stesse la bambina. Evida aveva imparato a mantenere le distanze da quando si era accorta che con i pretesti più vari controllavano il corpo della bambina, per riconoscere i segni inequivocabili del diavolo: cicatrici, nei bitorzoli, rossori o qualsiasi strana reazione della pelle. Le facevano sollevare le gonne con la scusa di controllare la qualità della stoffa o si offrivano di massaggiarle le braccia per calmarla, accarezzandole i capelli e sollevando le ciocche con fare indagatore. Quando non vedevano la bambina spingevano lo sguardo verso la dispensa, per scoprire se fosse pane ebreo quello pronto per la mensa. Si presentavano il venerdì per vedere se Evida si era cambiata d'abito ed erano stati accesi i lumi nella stanza, pratiche ebree che sarebbero state prontamente riferite alle autorità. Evida non si capacitava di quei sospetti intorno alla sua famiglia. Lei e il marito, dopo la conversione, si erano sempre comportati da buoni cristiani, andando alle funzioni, rispettando le feste comandate e prendendo i sacramenti. Allo stesso modo stavano crescendo i figli. Nessuno poteva accusarli di essere tornati alle vecchie pratiche ebree o di dedicarsi alla stregoneria. Gaspar era convinto che la conversione avrebbe giovato ai suoi affari: le sue referenze sarebbero aumentate, i suoi contatti si sarebbero moltiplicati e nuovi danari sarebbero entrati nella sua borsa. Evida pensava che quella certezza fosse solo del marito. Il musulmano Abduk Farah intrecciava ottimi affari grazie alla propria abilità nel mercanteggiare e non aveva meno clienti dei venditori ebrei. Al contrario ora si rendeva conto di come quella nuova direzione intrapresa grazie alla conversione fosse irta di difficoltà. I cattolici erano molto severi: ponderavano le parole e i comportamenti. Le autorità socchiudevano gli occhi e in quel modo sembrava penetrassero nella mente a sondarne


16 anche i pensieri. Chiunque in ogni momento e senza motivo avrebbe potuto denunciarli alla Suprema. Se non si fossero convertiti però avrebbero dovuto abbandonare la Spagna, rinunciando a tutti i propri beni o avrebbero rischiato di finire come quel gruppo di ebrei messi al rogo ad Avila perché accusati di avere ammazzato un bambino cristiano, di averlo crocifisso il venerdì santo e di avergli strappato il cuore. Gaspar le diceva che in qualunque modo la vita era piena di pericoli. Il suo compito più importante era quello di scansarli in tempo. Se volevano salvarsi e stare lontani dai tribunali non dovevano commettere errori: parlare il meno possibile, partecipare alle funzioni religiose ed evitare di frequentare gli ebrei. Ma il suo cruccio maggiore era Estrella che, a differenza dei fratelli sembrava essere venuta al mondo per contraddirlo, per minare la sua autorità, per canzonarlo di fronte alla gente. Più cresceva, più crescevano le sue preoccupazioni se quella bambina, foriera di guai, non si fosse calmata. La moglie cercava maldestramente di difenderla, quando loro due erano soli, rassicurandolo sulla buona indole della bambina, ma Gaspar cominciava a pensare che l'esistenza di quella bambina fosse una sorta di colpa da espiare, una disgrazia contro la quale poco si poteva fare. Contro la sua natura era impossibile e inutile combattere, visto che le botte per raddrizzarla non servivano e le parole, che lui non trovava, si sarebbero comunque sperse nel vento.


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3

Ottobre 1496 Era il primo mercoledì di ottobre del 1496. Estrella aveva otto anni, la veste lunga fermata da una cintura e i capelli neri sulle spalle, mentre sgattaiolava per le vie della Città di León. Il mercato del mercoledì era la cosa più interessante. Spiava curiosa i forestieri con i loro vestiti eleganti e variopinti; inalava avida gli aromi che impregnavano l’aria; si concentrava sulle smorfie dei negozianti che invitavano a trattare la mercanzia e che la bimba osservava con gli occhi sgranati, lontana dalla sottana di donna Evida. Si fermò in uno slargo, alla confluenza di due strade a immaginare, mentre pestava i piedi e misurava lo spazio: “Quando diventerò grande acquisterò una bancarella qui e tutti si fermeranno perché sarò la più bella, la più ricca e la più divertente. Chiamerò i giocolieri che usciranno con fragore dalla loro carovana, il cantastorie declamerà in versi la storia di León, stendendo i canovacci davanti alla mia bancarella, accorreranno i forestieri, si accorgeranno di me e mi sorrideranno perché sarò alta, bella e adorata”. Estrella sorpassò lo slargo e si mischiò alla folla continuando le proprie fantasie. “Mio padre non mi picchierà più, perché tutta la cittadinanza si opporrà. E comunque sarò troppo grande e forte e amata per venire picchiata. Avrò diciannove anni e molti uomini arriveranno alla mia casa a chiedermi in moglie, ma io li guarderò bene e li caccerò se saranno poveri o stupidi, o se mi accorgerò che non amano come me i colori del mercato di León”. Era giunta alla bancarella delle polveri colorate, quelle che interessavano i pittori delle città vicine, con le ciotole di terracotta ricolme dei riflessi del sole, troppo vicine e invitanti per passare inosservate o essere superate senza nemmeno una fermata obbligata, quando Donna Evida le prese con forza il braccio, facendola urlare e trascinandola verso casa, a ritroso. «Quando la smetterai di fare la selvaggia!» le soffiò nelle orecchie, prima ancora che la bambina potesse riprendersi dalla sorpresa.


18 «Da domani mi aiuterai a portare la cesta alla fontana. Sei diventata abbastanza grande. Imparerai a reggere il peso sulla testa e ti servirà per tenere diritta la schiena e mettere a posto le idee» le disse. «Sono stanca delle chiacchiere sul tuo conto» aggiunse, scaricando in parte la tensione accumulata nell’inseguimento della figlia. «Sono ancora piccola» sgranò gli occhi Estrella, «la cesta è pesante». «Otto anni sono più che sufficienti per imparare un lavoro. Quindi taci e portami rispetto» rispose Evida in modo perentorio, strattonando la ribelle per tutta León. Malvolentieri i suoi passi uno dopo l’altro riattraversarono la piazza in senso contrario, mentre dai comignoli sbuffava il fumo in cerca di libertà e le tegole rivendicavano luminose la propria presenza. La piazza quadrata con i suoi giochi di luce sparì in un attimo ed Estrella si trovò inghiottita dal viottolo scuro che conosceva fin troppo bene, con l’acciottolato a chiazze grigie e marroni, per via degli asini che lo percorrevano più facilmente dei cavalli, lasciando la propria scia odorosa. Una comare osservava alla finestra la scena di madre e bambina, approvando con il capo, prima che qualcuno dall’interno della casa la chiamasse, mentre un carrettiere le avvisava di scansarsi perché gli asini non avevano in dote il dono dell’educazione. Il sole stava per scomparire dietro ai tetti e i rumori delle cucine venivano amplificate dall’aria quasi estiva che entrava nelle case basse, dalle quali uscivano ragazzetti vocianti e scalzi per celebrare il piacere della sera. «Le cicale non cantano più» commentò tra sé e sé Estrella, allargando le braccia enfaticamente. Nei rari momenti di silenzio era bello sentirle cantare all’unisono. Le tenevano compagnia nei momenti tristi, perché quei suoni non educati, non erano né giusti né sbagliati e si levavano in aria solo perché le cicale vivevano. In compenso dalle corti sbucavano i gatti, lunghi e magri, che la guardavano con gli occhi sbarrati. Il giorno dopo la madre venne a svegliarla presto per ottemperare alla sua decisione. Estrella caricò la cesta su una spalla. La madre era rimasta a osservare e quando la figlia varcò la soglia per uscire le urlò: «Sulla testa!», così Estrella si trovò sulla via lastricata, lungo la quale era solita slanciarsi libera come l’aria, con un peso in fronte che le faceva socchiudere gli occhi e brontolare a bassa voce:


19 «Perché devo fare questa inutile fatica? Non sarebbe più facile rotolare la cesta per la discesa?». In quel momento ebbe l’idea. Ormai vicina alla fontana, presa la rincorsa, arrivò a destinazione dritta dentro l’acqua, attorno alla quale già da tempo le comari lavavano i panni, suscitando la loro ira tra gli schizzi. Quel nuovo gioco le piacque e divenne un'abitudine. Estrella, dopo il bagno nella fontana, prima di rincasare, si tuffava nell’erba del campo, oltre la via, rimanendoci fino a che le vesti non erano asciutte. Se il sole non c’era, Estrella tornava a casa in punta di piedi, varcava la soglia di nascosto e stendeva sul filo accanto al letto il suo vestito, insieme a tutta la biancheria appena lavata. Se la madre se ne accorgeva le dava dei manrovesci sulle guance, o qualche schiaffone sulla schiena, se Estrella era così veloce da voltarsi per schivarli. Gaspar non sapeva capacitarsi di avere una figlia femmina con forza e modi maschili. Bastava che la figlia gli ronzasse intorno, saltasse o facesse movimenti improvvisi che istintivamente agitava su di lei il bastone, fino a che Estrella non rimaneva in silenzio, appiattita al muro. Le donne di León tenevano stretti alla gonna i propri figli, giurando loro vendetta e ogni sorta di tragico destino qualora avessero imitato i suoi avventati comportamenti. Un giorno una comare, incrociando la madre di Estrella, brontolò: «Donna Evida, mettete il basto a vostra figlia se volete domarla e fatela camminare al trotto finché non abbia imparato la docilità». «E se non sapete come fare chiedete a vostro marito che di cavalli se ne intende» ridacchiò un’altra che si trovava nei pressi. «Anche se per una donna meglio nascere docile asino che ribelle cavallo!». Il mattino dopo Evida affrontò il marito. «Sono stanca di Estrella» gli disse. Gaspar annuì. «Non passa giorno che le comari abbiano da ridire». «Ce l'abbiamo e ce la dobbiamo tenere» allargò le braccia il marito. «Visto che le botte non servono». «Si potrebbe mandarla dal parroco. Ho sentito che dà lezioni a chi vuole imparare a leggere e a scrivere, anche se femmina». «Farla studiare invece che farle imparare un mestiere? Questa sì è un'idea originale» brontolò il marito. «Pensa ai vantaggi. Togliamo Estrella dalle chiacchiere e imbastiamo


20 un'amicizia con il frate. Forse ci lasceranno in pace e finiranno gli interrogatori e i sospetti». Gaspar rimase pensoso. «Imparare a leggere e a scrivere nel commercio è una buona cosa» ammise. Estrella fu mandata in canonica a ricevere i primi rudimenti della scrittura e della lettura. La madre ricambiava il frate con i prodotti che quasi spontaneamente la terra elargiva. In cambio di qualche uovo fresco, frutta di stagione, marmellata di castagne e una volta al mese una pagnotta condita, giusto per sottolineare che le vecchie abitudini ebree erano state abbandonate per sempre, Estrella nutriva la propria mente. Ma Evida sapeva che non sarebbe bastato. Anche se convertiti, gli ebrei non sarebbero mai stati considerati alla pari dei cattolici. Lo capiva dalle occhiate complici dei veri cattolici, dai moniti dei frati dal pulpito, quando scuotevano la testa nel vedere fiorire matrimoni tra cattolici, moriscos e conversos, pensando che nulla di buono poteva nascere da quelle piante ibride innestate. Da quei matrimoni misti sarebbero stati colti frutti acerbi e rinsecchiti. La Chiesa accoglieva tutti era vero, ma se l'avesse ritenuto conveniente avrebbe strappato le erbacce prima di rovinare anche le piante sane del raccolto. Evida sentiva che li avrebbero aspettati al varco, certi che prima o poi sarebbero caduti nell'errore. *** Dopo un anno di lezioni presso la sagrestia della Basilica di San Isidoro di León, il frate convocò il padre di Estrella. Gaspar era riluttante a presentarsi al suo cospetto. Aveva già brontolato con la moglie la sera precedente rinfacciandole quella strampalata idea dello studio che, certo, teneva impegnata la figlia, ma la esponeva al giudizio altrui. Impossibile che il frate non si fosse accorto del suo caratteraccio; se si era deciso a convocarlo chissà quali guai poteva avere combinato Estrella, approfittando della libertà che non avrebbe dovuto avere. Sarebbe stato meglio confinarla in casa a ravvivare il fuoco e ad apprendere tutte quelle faccende domestiche che una donna doveva conoscere per maritarsi, per quanto il pensare che qualcuno la chiedesse in moglie fosse più un miraggio che una speranza. Infine il suo onore di padre e il pensiero di non essere stimato quale buon cattolico se non ci


21 fosse andato erano prevalsi e si era avviato con passo fermo, già meditando il castigo esemplare che ne sarebbe seguito. Il frate, seduto alla scrivania intento alla lettura, alzò appena gli occhi salutandolo: «La piccola sa leggere e scrivere e ha imparato senza difficoltà. Potrei raccomandare la bambina a Fra' Sisto, se desideri che continui a studiare, nei pressi del Monastero di Santa Maria di Sandoval. S'impara il latino e nel silenzio della natura si ascoltano le Sacre Scritture, ma la sede si trova fuori città. Mi chiedevo se hai i mezzi... perché possa essere ospitata. Io posso scrivere una lettera, mettere una buona parola, ma per le spese ci devi pensare tu» concluse il parroco. Gaspar, impreparato alla piega di quel discorso, lo ascoltava sorpreso, incapace di pronunciarsi. Fece una lunga pausa. «Non lo so» disse infine. «Se non fosse troppo gravoso l'impegno... se lo studio non la danneggiasse...». «Scriverò a Sisto e ti farò sapere la sua decisione e le sue condizioni. Non è la prima volta che gli invio un allievo e non me ne sono mai pentito, nonostante l'eccezionalità della proposta, trattandosi di una femmina» lo liquidò. Gaspar, dopo il primo attimo di perplessità, non era dispiaciuto. Si presentava l'occasione per liberarsi della figlia per un po' e far tornare la tranquillità in seno alla famiglia. Forse il frate sarebbe riuscito ad addomesticarla. Meno contenta della notizia era stata la madre. Un conto era che Estrella sapesse leggere e scrivere, strumenti utili nella pratica del commercio, un altro quello di avviarla a conoscenze più sofisticate ed esclusive, appannaggio di altri. Lo studio per Estrella non poteva essere che fonte di guai e avrebbe finito per alimentare ancor più le chiacchiere. Ma poiché spettava al capo famiglia decidere, Estrella partì e, nonostante gli stentati pagamenti, anche l'anno successivo fu riammessa per intercessione di Suor Maria, che sostituiva Frate Sisto quand'era impegnato in altre faccende e che l'aveva presa a cuore, notando come la piccola si applicasse con risultati brillanti. «Cos'è, Evida, questa nuova storia?» ironizzavano le comari. «Né tu né tuo marito siete stati capaci di domarla e l'avete spedita aldilà delle mura? Non servirà, non servirà...» scuotevano la testa ridendo. Evida sapeva che finché avessero riso non sarebbero state pericolose. La vita di Estrella non era facile, tra altre compagne ricche e pettegole. Se mancava qualcosa dalla tavola al momento del pranzo, o se qualche allieva si lamentava, sentiva gli occhi puntati su di lei in atto accusatorio


22 e qualche risatina sussurrata: «È stata l’ebrea», come se ignorassero che lei ebrea non lo era mai stata, poiché la conversione dei suoi genitori era avvenuta prima della sua nascita. Estrella preferiva non reagire alle loro provocazioni, per non essere allontanata dallo studio. Quando Suor Maria si ammalò e morì, dovette riempire la sacca e tornarsene in famiglia. La madre parò il colpo e la accettò in silenzio, ma il padre non perdeva occasione di rinfacciarle colpe che lei non aveva. Passavano i giorni. Estrella cresceva. Vedeva i suoi vicini di casa rientrare sempre più appesantiti dagli impegni del commercio. Le poche amiche d’infanzia si erano allontanate, com’era conveniente fosse, giacché la vita riservava a tutti il proprio destino ed era giusto che le ragazze in età da marito imparassero a rassettare la casa, a ricamare, ma soprattutto il rispetto dei genitori e degli anziani, che accudivano col corpo, poiché il pensiero vagava altrove, ma mai troppo lontano: il destino era lì, alla loro portata. Difficilmente la provvidenza divina mutava d’un tratto la retta via segnata dalla loro nascita. Estrella passava nella via e le indovinava sedute oltre le mura porgere lo scialle, cucinare, ravvivare il fuoco se il tempo volgeva al peggio e immaginare la loro storia futura. Un giorno, attraversando la piazza principale di León, aveva notato un giovane forestiero diverso dagli altri, con uno strano berretto rosso in testa, calcato in modo che i suoi lunghi capelli risultassero incollati alle guance. Da quel giorno lo vide spesso sgusciare frettoloso e assorto nell'imponente Cattedrale, per poi sparire in qualche porticina del fondo, ignaro della sua presenza. Non aveva avuto il coraggio di chiedere informazioni su di lui e serbava il segreto di quella sua insolita conoscenza, in attesa che qualcosa di nuovo accadesse. Vedendolo un giorno parlottare in gruppo nel sagrato della piazza, esibendo dei disegni e prodigandosi in gesti, aveva intuito dovesse essere il pittore incaricato di un piccolo affresco nella Cappella principale, di cui a León si parlava. Con la curiosità dell’imprevisto che si ammanta di fascinose prospettive, Estrella aveva cominciato a pensare a lui, alle sue peregrinazioni di città in città, al mondo visto attraverso i suoi occhi, ai complessi pensieri che irradiavano dalla sua mente e infine al destino di lei, come sua compagna. Quale meravigliosa combinazione sposarsi con un uomo che amava i colori e che faceva del colore la propria ambizione di vita! Forse


23 lei stessa avrebbe passato il tempo a pulire le ciotole sporche, a mescolare le terre, a riordinare i pennelli, a riporre gli stracci? Forse avrebbe posato per lui ore e ore e avrebbe ispirato le sue opere? Lo avrebbe accompagnato nei suoi viaggi, o sarebbe rimasta a casa ad accudire ai figli aspettando il suo ritorno?


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4 LUCERO

Novembre 1500 L'Inquisitore Lucero, comodamente seduto nella stanza più grande della sua residenza di Córdoba, guardò lo stipo che conteneva le informazioni delle famiglie più in vista della città, accanto ai documenti dei processi e all'interminabile elenco dei testimoni pronti a giurare al suo cospetto. Tutte cose utili ma non bastevoli, se voleva adempiere fino in fondo al suo servizio, ricambiando la fiducia riposta in lui dal Gran Inquisitore Diego de Deza: sradicare l'eresia e zittire la tracotanza dei marrani che non perdevano occasione per sbeffeggiare la Chiesa. Sapeva perfettamente che Córdoba era la città del peccato; che la notte gli ebrei convertiti si riunivano in luoghi segreti per dileggiare le ostie consacrate, immolare animali, organizzare orge sataniche, sacrificare bambini e ordire trame per sovvertire l'ordine, e che per riuscire in questo gli ebrei si servivano di conoscenze cabalistiche, alchemiche e astrologiche, influendo sugli eventi nel nome di Satana. Per questo, appena nominato Inquisitore di Córdoba, nel settembre dell'anno prima, aveva moltiplicato i controlli, aggiornato i registri, annotato nomi e cognomi, indagato sui fatti e i misfatti dei sospetti, osservato i segni occulti del maligno, invitato la popolazione alla denuncia, istruito i parroci e riempito le stanze dell'Alcazar de Los Rejes Cristianos di eretici in attesa di processo, tanto che il Palazzo del Santo Uffizio, gentile concessione dei Re cattolici Isabella e Ferdinando, poteva vantarsi “baluardo della cristianità spagnola”. Lucero, stretto tra le possenti mura della costruzione, fissò un punto immaginario lontano. La Spagna era vasta, ben oltre la propria giurisdizione e il male non rispettava i confini: si spandeva come l'aria oltre le città, insinuandosi nelle campagne come un mostro in cerca di nuovo nutrimento; irretiva le donne trasformandole in streghe; i fauni la notte danzavano imprigionando le anime dei pellegrini; gli ebrei rapivano i bambini, e li


25 facevano a pezzi, mescolavano il loro sangue con le ostie e lo bevevano; liquidi putrescenti bollivano nell'attesa di essere condivisi. Egli non poteva ignorare ciò che molti sapevano e di cui per paura non parlavano. Ritornò con la mente in quella stanza misurandola a passi precisi e cadenzati. La potenza del male godeva anche dell'appoggio di ecclesiastici con cariche di prestigio: non erano forse alcuni, tra gli stessi Inquisitori, ex ebrei convertiti? Non era legittimo pensare che quella stessa carica che ricoprivano fosse stata agevolata dal diavolo per meglio servirlo? Si sedette accarezzandosi il mento. Se avesse voluto affondare fino in fondo il coltello nella piaga blasfema, accrescendo il potere della Chiesa e il proprio Ministero, avrebbe dovuto affiancare al disbrigo di tutto ciò che gli competeva un'indagine capillare e segreta, cominciando proprio da quelle Università che con gli insegnamenti insinuavano il maleficio a opera di docenti dall'anima corrotta. Era un'impresa che implicava un'eccezionale mole di lavoro e che necessitava di un braccio fidato: non uno dei tanti servitori pronti a eseguire gli ordini, ma un uomo capace di pensare e di agire, svincolato da obblighi famigliari o da richieste di servizi e privilegi, qualcuno che vivesse all'ombra di un campanile, abituato alla penombra delle stanze di un monastero, allenato all'obbedienza e lontano dagli scandali, capace di imporsi e di comandare. Tra le poche opzioni disponibili alla fine la sua scelta era caduta sul Priore del vicino Convento di Sant'Agostino. Quell'uomo schivo e colto, capace di dirigere secondo i propri interessi, enigmatico sulla propria vita privata, abile nel dirimere controversie stroncandole sul nascere, più attento al fine che ai mezzi, senza complicazioni familiari o nipoti da favorire, era l'uomo adatto a rivestire il ruolo che intendeva affidargli.


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5 IL VICARIO DI BURGOS

«Ti ho fatto chiamare» disse Lucero all'uomo che gli stava di fronte, dalla poltrona sulla quale era accomodato, «perché so di poter contare sulle tue doti, doti che mi possono essere preziose in questo momento. Non che non mi manchino i mezzi, o i testimoni, o i collaboratori... So come far confessare gli eretici, come costringerli a fare nomi, a rivelare circostanze dettagliate, opere e malefatte, anche quando sembra che nulla possa far sospettare il peccato. So come stanare il diavolo nelle finte sembianze umane, come liberare le coscienze, castigare la carne fino all'estremo sacrificio... ma ho bisogno anche di persone fidate, nei luoghi strategici di controllo, che possano diventare i miei occhi e le mie orecchie». Il Priore del Convento di Sant'Agostino, visibilmente inquieto per quella straordinaria convocazione di cui nulla aveva presagito, inginocchiato annuì con il capo, sollevando leggermente il mento in direzione di Lucero, munificente nella sua veste autorevole, all'apice della scalinata. Lucero si alzò, scese verso di lui e gli toccò la testa mentre l'uomo aspettava di sapere quale missione lo attendesse. «Una fortuita coincidenza vuole che l'Arcivescovo di Burgos sia indisposto al punto di non poter esercitare le proprie funzioni. Occuperai quel posto, in qualità di Vicario. Burgos è una città vivace. Sono sicuro che saprai scoprire gli intrighi che si celano sotto la sua superficie... nei salotti e nelle residenze più umili». Dopo averlo attentamente osservato proseguì: «L'operato della Santa Inquisizione viene messo in dubbio, dando credito alle proteste giudee che in nome del diavolo infangano il mio nome... l'autorità del mio compito. Per questo voglio che sia tu a sorvegliare, a riferire e se fosse necessario, a estirpare in mia vece il male, con ogni mezzo, per l'autorità che ti viene conferita dalla Chiesa, con il beneplacito della Corona». Lucero lentamente risalì la scala per recuperare una pergamena poggiata sul tavolo.


27 «Prendi questo lasciapassare papale che ti spianerà la strada laddove troverai delle resistenze. Sii a me grato per la nuova vita che ti attende. Oggi stesso ti trasferirai nella Residenza Arcivescovile di Burgos e ne prenderai pieni poteri». «C'è un'altra cosa altrettanto importante» aggiunse l'Inquisitore prima di licenziare il Priore. «Come ti dicevo dovrai essere i miei occhi e le mie orecchie, laddove io non posso essere, pubblicamente per il ruolo che rivesti nella tua giurisdizione, ma più discretamente all'interno delle Università. Lì svelerai i complotti, carpirai i segreti che si annidano nelle stanze, smaschererai l'eresia sul nascere, prima che travolga le menti degli uomini, senza farti ingannare dall'abito, dal titolo e dall'apparenza». Il Vicario si grattò il mento e gli lanciò un'occhiata penetrante: «in particolare mi interessa l'Università di Alcalà de Henares. Mi interessa sapere cosa abbia in mente Cisneros quando parla di rinnovamento, mentre dirige i lavori di ampliamento e ancor più capire quali siano i nemici della Spagna che si nascondono dietro le cattedre ad aizzare gli animi degli studenti. Per ottemperare a ciò, ti autorizzo di servirti di mezzi e di persone dei quali mi terrai informato». Il Priore incredulo fece fatica a controllare il proprio entusiasmo. Improvvisamente la sua vita avrebbe preso una piega diversa. Avrebbe abbandonato l'anonimato per emergere alla luce, lasciato l'umidità delle celle per farsi accarezzare dal sole. Non osava per ora spingere il proprio sguardo oltre, ma lo trafisse il ricordo di quell'uomo in partenza per avventure di mare, in attesa del benestare della Regina Isabella, ospite alcuni anni prima nel vicino Convento di Santa Maria della Mercede nel quale egli si recava come Confessore. Forse anch'egli un giorno sarebbe salpato per una meta ignota e tornato ricco e potente. Si trattava solo di aspettare e di saper cogliere la giusta occasione, ma soprattutto di non deludere le aspettative di Lucero, alla cui persona era strettamente legata la propria fortuna.


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6 JOSÉ BARRAGUETE

Marzo 1501 Al porto di Malaga il Vicario di Burgos aveva deciso di lasciare la propria postazione per avvicinarsi al mare. Dopo pochi passi tra la folla di donne, uomini e bambini che affollava la piazza si era appoggiato al muro di un'abitazione. Anche da quella postazione il porto non nascondeva segreti. Affascinato guardava le onde rovesciarsi e trasformarsi in spuma bianca. Ma era l'irrefrenabile desiderio di respirare profumo salmastro la prima delle ragioni che lo spingevano a Malaga, strettamente intrecciata alla seconda: l'evocazione di quel profumo che lo catapultava aldilà dell'orizzonte, verso le terre straniere ricche di tesori inafferrabili. Addossato al muro inalava quell'aroma nutrendo i polmoni, concentrato nell'inspirazione tanto quanto il suo sguardo avido di colore lo era nel seguire il brivido della luce contro lo scafo della caracca che si stava avvicinando, mentre si insinuava prepotente l'idea di un doppio fondo in quell'imbarcazione, capace di contenere segreti che si voleva celare agli occhi altrui. Aveva l'unico rammarico di non potersi avvicinare. Doveva stare lì fermo, poggiato al muro, per alleviare la stretta dei calzari alle caviglie che avevano cominciato a dolere già nell'attraversamento della piazza. Da lì abbracciò la maestosità dell'orizzonte costellato di alberi maestri a vele quadre e vele latine triangolari, per poi soffermarsi sull'imbarcazione durante le manovre di attracco. Quale genere di mercanzia trasportava in segreto quella barca? Quale contrabbando capace di arricchire nobili, potenti e temerari, nascondeva quello scrigno galleggiante, oltre l'ufficialità di quanto avrebbe scaricato sotto il cielo? Una figura snella scese agilmente dalla caracca, saltando a terra senza bagaglio. Zufolando s'inoltrò nella folla verso la sua direzione.


29 Il Vicario lo sondò più attentamente: non più ragazzo, come inizialmente aveva pensato per le movenze scattanti e i riflessi pronti, era già uomo fatto e sembrava avere da tempo abbandonato l'ingenuità tipica dell'inesperienza. Aveva l'aria di essere straniero, eppure di trovarsi a proprio agio nel porto di quella città. Quando gli passò accanto il Vicario colse al volo l'occasione e lo bloccò con la mano. L'uomo si fermò un attimo e lo guardò con curiosità mista a rispetto per l'abito. Visto che il Vicario non accennava a prendere parola, l'uomo fece per allontanarsi con sguardo sospettoso. «Cerco delle informazioni» gli si rivolse il Vicario. «Non sono del luogo e non so come potrei esservi utile» rispose l'uomo con reticenza mal celata, cercando di guadagnare terreno. Il Vicario gli sbarrò il passo costringendolo a guardarlo negli occhi. Passò un lampo nel suo sguardo che il Vicario immediatamente riconobbe. Con un sorriso sollevò il mantello facendo tintinnare una sacca legata alla cintura, assicurandosi che l'uomo la notasse. «Avete bisogno di me?» si ammansì l'uomo. Il Vicario annuì e gli fece cenno di seguirlo. L'uomo si affrettò docile dietro di lui, verso il centro della città, rimuginando tra sé e sé quale fosse il modo migliore per lasciargli intendere di sapere il fatto suo. «Eccellenza, per seguirvi rinuncio al mio lavoro e alla paga» aveva infine borbottato. Il Vicario aveva risposto: «Non te ne pentirai». Arrivarono a un locale affollato, quel tanto per mescolarsi senza dare troppo nell'occhio, dirigendosi verso un tavolo in penombra nel fondo. Con l'ampia veste alle spalle, finalmente seduto, il Vicario allungò le gambe, roteò le caviglie e socchiuse gli occhi, facendogli cenno di sedersi nella sedia di fronte. L'uomo lo guardò con timore misto a impazienza. Il Vicario gli restituì lo sguardo. «Voglio che mi racconti chi sei, da dove vieni e perché ti sei imbarcato. Sono un uomo potente, che ti conviene farti amico». Mentre l'interlocutore scioglieva la lingua, il Vicario lo sondò attentamente: i suoi abiti non tradivano un'origine nobile e pur non sembrasse un benestante, si spiegava con facilità. La mente sembrava essere sveglia come il corpo. Gli aveva detto di chiamarsi José Barraguete e di essere nato a Salamanca, ma di avere viaggiato per così tanto tempo in mare da non


30 ricordarsi più nulla della città d'origine. «Hai studiato?» gli chiese a bruciapelo. «Il mio studio è quello che proviene dalla vita» aveva risposto. «Hai imparato più dal levar del sole che dai libri?» aveva commentato sorridendo il Vicario. «Non è del tutto esatto» aveva risposto lui, «ma è in parte la verità. Ho imparato anche dai libri, eppure non sono andato a scuola». Aveva riso. Il Vicario considerò per qualche tempo quella risposta sibillina, poi gli chiese con curiosità: «Com'è andare per mare?». «È come cavalcare le onde a caccia di tesori!» sbottò divertito l'uomo, incuriosendo ancor più l'interlocutore. «Ero ancora ragazzo quando mi hanno offerto un posto di mozzo su un vascello. Ci sono notti in cui il mare è nero come la pece e calmo, la luna piena luminosa e i marinai cantano e ballano, bevendo con spirito allegro. Allora i miei pensieri possono spingersi lontano, molto più lontano di qualsiasi pensiero che possa nascere in terraferma; notti in cui il vento improvvisamente si alza e bisogna correre alle vele, slegare le funi, svuotare l'acqua imbarcata, le onde si alzano e il mare fa paura. Allora si pensa solo che tutto finisca in fretta, di sopravvivere fino all'alba e che torni il sereno. E poi c'è la vita di tutti i giorni, sotto in coperta, quella che mi ha permesso di imparare a leggere e a scrivere, di saper distinguere il contenuto di un libro da un altro» aggiunse allusivo. «Quali libri?» chiese stupito il Vicario. «Quello che ho imparato lo devo a un mercante di libri avanti in età e bisognoso di un aiutante. Io gli portavo i sacchi pesanti quando scendeva a destinazione, lui in cambio mi insegnava a leggere e a scrivere e a volte mi permetteva di sbirciare tra la sua mercanzia e quando non me lo permetteva lo facevo di nascosto» ammiccò José. «Mi vuoi dire che hai imparato il mestiere?» chiese incuriosito il Vicario con un brillio negli occhi. L'uomo tossicchiò. «Se per mestiere si intende se so distinguere il valore di un libro da un altro, allora sì» rispose. «E pensi che questo dei libri sia un mercato redditizio?» chiese interessato il Vicario. «Più rari e ricercati sono i libri, più la faccenda diventa interessante» rispose l'uomo. «È un terreno pericoloso» sondò cautamente il Vicario. «Se non lo fosse, non ci sarebbe guadagno» sorrise furbamente José. «E poi ci sono i libri all'indice...» sottolineò eloquente il Vicario.


31 «E poi ci sono i libri all'indice» confermò Barraguete con un sorriso. «Non hai mai pensato di dedicarti a questo mercato, invece che rischiare la vita sull'acqua?» gli chiese il Vicario. «Sto per mare da talmente tanto tempo che non so paragonarlo a una vita diversa sulla terraferma. E poi ci vogliono amicizie influenti, relazioni importanti e monete sonanti per esercitare con decoro e con giusta ricompensa un lavoro come quello del libraio» rispose l'uomo vagamente allusivo. «Potresti anche non fare il libraio, ma prestare ad altri le tue conoscenze e i tuoi servizi» sorrise il Vicario. «Sempre se le tue conoscenze fossero d'altrui interesse». «Io viaggio e conosco cose. L'eco del mare mi porta i messaggi di luoghi lontani, raccolgo le confessioni di chi incontro, fisso nella mente ciò che agita l'animo umano, conosco la sete della conoscenza che è un pozzo senza fondo, ho gli appigli per percorrerlo senza smarrirmi, ma soprattutto conosco linguaggi segreti» sussurrò l'uomo con lo sguardo lontano. Il Vicario rapito lo ascoltava. «Quali linguaggi segreti?» mormorò. «Il linguaggio dei segni scritti, legati alla divinazione e all'interpretazione magica» spiegò Barraguete. La mente del Vicario di Burgos cominciò a veleggiare lontano, affascinata dall'idea che secoli di esperienze e conoscenze fossero depositati in codici finalmente tradotti, alla portata di quanti avevano voglia di conoscere e non avevano paura di nuove verità. Ma celava nel proprio cuore anche un segreto: voleva scoprire la fonte dell'eterna giovinezza, che era convinto dovesse trovarsi in qualche luogo di là dal mare e che fosse la vera ragione che spingeva migliaia di avventurosi a sfidare le tempeste marine e la natura selvaggia del nuovo mondo a rischio stesso della propria vita. Il Vicario fece una lunga pausa, guardando dritto negli occhi Barraguete. «Sei capace di ascoltare, senza essere visto, di mentire, senza essere scoperto, di mantenere un segreto? Saresti disposto, se ben pagato, a correre dei rischi?» gli chiese a bruciapelo. «Che genere di rischi?» chiese Barraguete, interessato ma conscio di camminare su un terreno pericoloso. «Di qualsiasi genere, come eliminare una vita per proteggerne un'altra» rispose il Vicario. L'uomo soppesò un attimo la cosa. Mancava di esperienza in quel settore.


32 «Certamente» rispose. «Ho dimestichezza con le armi. Mi devo proteggere». «Ho un piano per te» concluse assorto il Vicario, «ma devo essere sicuro del tuo silenzio». L'uomo sorrise in modo enigmatico. Il vicario gli fece cenno di avvicinarsi e sussurrò: «C'è un mercante di libri che mi interessa: il suo nome è Diego Hernández». Lo guardò allusivo. «E il mio compito quale sarebbe?» rispose attento l'uomo. «È importante che tu lo segua e al momento giusto ti impadronisca della sua merce» si grattò il mento il Vicario. «Potrai usare qualsiasi mezzo per raggiungere l'obiettivo: lascio alla tua discrezione l'arma, se necessaria, ma dovrai essere svelto, colpire nel segno e sparire, senza che niente o nessuno conduca a te. È un compito che richiede coraggio, determinazione, precisione, qualità che non so se hai, ma se riuscirai nell'intento sarai lautamente compensato e non è detto che tu non possa offrirmi altri servigi che ti allieteranno la vita a lungo». «Possiamo stringere il patto» allungò la mano l'uomo verso la custodia di denaro alla cintura del Vicario, che gli allungò alcune monete facendole tintinnare sul tavolo. «Queste per suggellare l'accordo» rispose severo il Vicario. «In seguito se veramente sei capace come dici di essere, rimarrai alle mie dipendenze». «Dove posso trovarlo?» chiese ancora l'uomo. «Vive a Burgos ma viaggia. A te il compito di scoprire dove si trovi ora» sorrise. «Più velocemente assolverai al compito, prima avrai il premio» aggiunse battendo la sacca di denari. L'uomo non prese nemmeno un attimo in considerazione la possibilità di un fallimento. «I libri sono il mio mestiere» commentò. «Dove posso trovarvi quando tutto sarà fatto?». «A Burgos» concesse il Vicario facendogli cenno di andare. Il Vicario si stirò soddisfatto, rimanendo a contemplare il sole morente sul mare. Forse aveva trovato l'uomo capace di impadronirsi della mercanzia di Hernández e di rispondere alle richieste di Lucero. José Barraguete, inviatogli improvvisamente da Dio, grazie all'abilità di parola e di pensiero, avrebbe potuto facilmente entrare sotto mentite spoglie nell'Università di Alcalà e occuparsi di altri suoi progetti, servendo contemporaneamente due padroni.


33 Grazie a Barraguete si sarebbe trovato nelle Biblioteche delle UniversitĂ , nella tana del lupo, nel fulcro del pensiero e dell'azione, anello di congiunzione tra il passato e il futuro, a sciogliere gli intrighi e i complotti per conto di Lucero e i nodi della conoscenza per conto proprio: nuove raritĂ letterarie, titoli di libri proibiti... come e dove averli.


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7

Aprile 1501 L’esecuzione di quel mese di aprile durò tre giorni in occasione dell’arrivo del Gran Confessore di Corte Juan Jiménez de Cisneros, che ne avrebbe poi reso dettagliato resoconto al Re Ferdinando d'Aragona, particolarmente interessato allo svolgimento di quelle Feste che amava conoscere nei particolari. Tre giorni avevano intrattenuto il popolo nei diversi punti della città, sotto la vigile supervisione delle autorità delle città e di quelle ospiti, cui spesso venivano dedicate quelle cerimonie. In quei tre giorni Estrella si era aggirata tra i banchetti di marmellate, pani, dolci e fichi secchi, allestiti per l’occasione e aveva immaginato d’intingere il suo dito nel contenitore del miele, approfittando della distrazione del venditore, ma era stato più facile rubare una ciotola di marmellata di prugne infilandolo sotto la tunica larga. Era fuggita senza voltarsi, poi era scivolata silenziosa come una serpe a ridosso dei muri della città, dai quali poteva guardare i nobili palazzi affacciati nelle piazze, con i balconi adornati a festa di fiori e un tavolo imbandito per gli ospiti. In altri punti i cittadini giungevano a frotte, assiepandosi nella piazza in attesa, chi in silenzio preparando l'animo al rito, chi ciarliero a fugare antiche ombre, a ritrovare vecchie conoscenze, a scambiarsi notizie. Ogni tanto volava in aria qualche detto, qualche nuovo motto coniato lì per l'occasione, puntualmente accolto da risate perché ciascuno di questi nuovi modi di dire nascondeva una mezza verità, un tratto nuovo in qualcosa di già conosciuto. Nella piazza era stata innalzata una struttura quadrata capace di accogliere il Tribunale, i cui membri avevano il compito di accertarsi del pentimento dei condannati, di leggere le sentenze definitive, di sorvegliare perché tutto fosse fatto secondo previsto. Il carro con una quindicina di uomini con i capelli rasati aveva percorso le strade cittadine. Dalla folla i più curiosi si facevano largo a spintoni per vedere il colore dell'abito. Qualcuno aveva urlato: «Al rogo! Al rogo!».


35 Dalle file più vicine erano partiti insulti e sassi. Poi il carro si era fermato. I tamburi avevano rullato; un giudice aveva letto i capi d'imputazione, ordinando loro di abiurare. I prigionieri con le mani legate erano stati fatti scendere. Flagellati avevano ammesso le proprie colpe. Tra le urla di dolore avevano dichiarato di essersi macchiati di eresia; sollecitati avevano rinnegato le proprie idee, chiedendo perdono a Dio e al popolo. Al tramonto del terzo giorno una grande folla aveva seguito i prelati colpevoli di eresia. Le fiamme avrebbero successivamente avvolto il corpo senza vita dei rei confessi e un grande chiarore avrebbe illuminato la fantasia di quanti non avrebbero potuto assistere allo spettacolo. Estrella rientrò prima dell'arrivo del carro, guardando senza vedere dalla finestrella della sua camera, tra le lenzuola stese e il crepitio del camino che annunciava la vicina notte. Gaspar rincasò più tardi, mentre le ombre del buio penetravano nelle stanze, costringendo le fiamme delle candele a levarsi più alte. Si prese una bella fetta di spazio intorno al fuoco del camino. Gli occhi della famiglia erano rivolti a lui, attoniti e curiosi. L'uomo sembrava avere impresso lo stesso silenzio solenne che aveva accompagnato l’ultimo atto dei condannati, durante il quale il pentimento era atteso come l’ultimo rantolo che restituiva l’anima a Dio. «Mai vorrei lasciare così la terra che calpesto» mormorò alla moglie. Evida non disse nulla. Sapeva come dall’alto si volesse piegare l’ultima fiamma di vita in quei frangenti, mentre la pena era retaggio degli umili, delle famiglie decapitate del padre, monche del fratello, della figlia, e non era una consolazione che anche i conventi e i frati predicatori, benedetti dalla Chiesa e da Dio, cadessero in errore e fossero per questo puniti e arsi vivi. Donna Evida si chiedeva se gli Inquisitori non seminassero appositamente nuove incognite per eliminare un po’ di conversos, con gli elenchi dei divieti ai cattolici che s’allungava ogni domenica, insieme a quello dei peccatori e delle loro penitenze, additando a monito i sanbenitos svolazzanti all’ingresso, pronti tutti i sabati. Aveva cambiato alcune abitudini, come quella di attardarsi sulla via del ritorno, poiché le ombre della notte nascondevano gli inviti al peccato. Si diceva che il diavolo adescasse le donne per convertirle al suo volere e se una donna, vergine o no che fosse, si aggirava dopo il tramonto in campagna, con la scusa di raccogliere erbe, veniva additata come strega. Aveva sentito bisbigliare dalle vicine che erano stati visti aggirarsi satiri


36 in cerca di bambini indifesi da bollire. Le loro interiora servivano alle streghe per preparare intrugli fetidi da offrire ai nuovi adepti. Da quando la voce circolava con sempre maggiore insistenza c’era una certa reticenza ad accettare bevande sia da sconosciuti sia da vicini, poiché si conosceva la potenza del Diavolo e la debolezza della carne. La stessa Cattedrale era considerata avere poteri speciali nello scacciare il male e sembrava fungesse come protezione contro le streghe. Per questo motivo, dalla porta aperta dall’alba al tramonto, drappelli di donne avvolte in ampi scialli e uomini col cappello in mano confluivano dalla piazza ai banchi di preghiera, per poi uscirne con passo leggero e animo aperto e il viso rivolto al Cielo. Durante il giorno Evida teneva le finestre accostate perché ogni casa doveva essere unica testimone dei propri segreti. Le parole avrebbero potuto rotolare nell’aria e giungere distorte a orecchie allertate e poco obbiettive. Nei pomeriggi, se il sole scaldava il cuore allontanando i pericoli, ascoltava volentieri i predicatori sul sentiero verso Santiago che facevano tappa a León e si fermavano a riposare sotto la grande quercia della piazza. La notte preferiva recitare il rosario, insegnando le preghiere ai figli, per spianare loro la strada della salvezza in quei tempi incerti, tanto quella del corpo che quella dell’anima.


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Settembre 1501 Quel giorno uggioso di settembre qualche pallido raggio di sole penetrò a fatica tra le nubi annunciando un autunno ormai prossimo. Evida raccolse i suoi cinque figli, tenendo Estrella stretta al fianco, diretta verso la piazza nella quale un carro con tre condannati era appena giunto. I giorni precedenti i banditori avevano annunciato l'imminente esecuzione invitando il popolo a presenziare. Dai pulpiti si era raccomandato di pregare e digiunare per non incorrere nel peccato e nel castigo. Nei negozi non si parlava d'altro che di quell'imminente festa che avrebbe portato in città molti stranieri, curiosi di toccare con mano il corso della giustizia dell'Inquisizione e di assaggiare le specialità che per l'occasione erano in bella vista tra i banchi del mercato. La gente aveva cominciato a radunarsi nella piazza molte ore prima dell'arrivo dei condannati, temendo di perdere il vantaggio delle prime file: chi poteva godersi lo spettacolo da casa aveva invitato parenti e amici. Le donne erano accorse trascinando con sé i propri figli ed Evida non era stata da meno. Quale migliore occasione di vedere e comprendere con l'esempio, capace di educare meglio di qualsiasi parola? Né erano valse le proteste di Estrella, che avevano toccato tutte le corde possibili per smuovere la madre da quella determinazione, pur di non assistere a un rito che sapeva poi avrebbe segnato i suoi sogni le notti seguenti. Proteste che avevano avuto l'unico merito di farle giungere tardi, quando ormai un folto gruppo di teste era avanti a loro e il carro con i condannati era già fermo nella piazza. I tre condannati con le mani e i piedi legati furono fatti scendere e poi fatti salire sul patibolo tra le ingiurie della gente e la severità delle guardie. Una delle guardie lesse le colpe e la pena. Non si trattava di eresia, ma sempre di crimine di lesa maestà, come d’altronde l’eresia, reato religioso e politico. L’esecuzione sarebbe stata più spedita. Non si rendeva necessario il pellegrinaggio nelle piazze e le


38 pubbliche dichiarazioni così come era successo l'aprile precedente, perché i tre condannati non avevano predicato. Si erano opposti al pagamento dei tributi; avevano fomentato disordini, preso parte a rivolte, osato disobbedire ai decreti regi. La pena prevedeva la morte per decapitazione immediatamente dopo la lettura della sentenza. Alla lettura della pena calò il silenzio. Tutto si fermò. Gli sguardi si rivolsero verso le basse nuvole dell’orizzonte, sotto le quali il Signore di León stava ritto a presenziare. Egli guardò soprappensiero un attimo la folla, poi fece un cenno di assenso alle guardie. I tamburi rullarono. Non ci volle molto perché tutto fosse finito. Il Signore di León si accarezzò il mento soddisfatto. La folla delusa abbandonò la postazione per riprendere le occupazioni di sempre. Troppo poco era durato lo spettacolo. Le loro colpe, seppur gravi, erano mitigate dal loro stato di nobiltà, pensava la gente. Avevano goduto del beneficio di una morte istantanea o quasi, senza le terribili torture che spesso in questi casi precedevano l’esecuzione. «Fortunati due volte» disse brontolando un commerciante prima di tornare al proprio negozio. «La prima perché sono nati di primo pelo, agiati e raffinati, la seconda perché l’incappucciato ha già esperienza di taglio d’ascia di almeno dodici. E ve lo dico io che ero in prima fila. Il taglio è stato netto, caricato del giusto peso. Insomma è stato un taglio da maestro». Fu in quel preciso istante che si levò il canto melodico di Estrella, sfuggita alla sorveglianza della madre. S’impennò contro l’interdetta Evida che, disorientata, cercava di brandirla tra la folla, s'innalzò oltre il disappunto delle vicine comari, proruppe in suono argentino sullo stupore della folla. Estrella si allontanava e cantava, disegnando una spirale nella piazza. La folla sbandò, accompagnata da un brusio che si trasformò in tramestio, poi in disturbo, infine in chiasso. Il signorotto di León decise per la seconda volta di affacciarsi al balcone del palazzo e controllare di persona ciò che stava succedendo. Il suo regno era relativamente tranquillo in confronto alle sollevazioni dei territori vicini. Mai avrebbe voluto che la fomentazione abbracciasse anche il regno di León e proprio nel giorno in cui un importante ospite alloggiava presso di lui, un personaggio utile e bene introdotto, che rispondeva al nome di Diego Hernández.


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9 DIEGO HERNÁNDEZ

Le preziosità letterarie che Hernández aveva portato al Signore di León erano accumulate in bella mostra sul tavolo della sala. Diego Hernández non amava parlare di sé, né attirare l'attenzione altrui sulle proprie faccende. Oltre a preservarsi in questo modo da chiacchiere pericolose, trasmetteva l'idea di essere uomo riservato e affidabile. Nobili e uomini di Chiesa erano sempre molto curiosi di conoscere le novità del mercato e preferivano un confidente tranquillo, discreto e bene introdotto negli ambienti stranieri, per rimpinguare le proprie biblioteche. Aveva scelto una professione pericolosa, anche se di quei tempi qualsiasi commercio avrebbe potuto esserlo. Se avesse commerciato in preziosi avrebbe dovuto assicurare la merce e guardarsi le spalle; se fosse andato per mare, oltre che guardarsi dai venti e dalle insidie che il destino poteva inviargli, una tempesta o uno scoglio improvviso capace di speronare l'imbarcazione e di mandarla a fondo, avrebbe dovuto guardarsi dai pirati. I libri, la merce di cui si occupava, sommavano tutti i rischi impliciti degli altri lavori: quelli del mare, quando provenivano da terra straniera, quelli di terra, negli occhi di chi osservava e sapeva, sia che intendesse rubarglieli per trarne profitto, sia che controllasse il suo operato per riferire ad altri, altolocati e potenti. I libri erano zeppi di insidie e lo obbligavano a combattere su diversi fronti, dovendo scegliere, di volta in volta, se usare l'astuzia, l'intuizione o la prontezza di riflessi. Doveva sapere quando era il caso di nascondersi o di scappare e quando di attaccare, quando di demordere e quando di insistere per stanare il nemico. Il nemico stesso si celava sotto sembianze diverse ed era difficile dire quale potesse essere il più temibile: se il lestofante che agiva al soldo di qualcuno, il letterato che intendeva espropriarlo a proprio modo, o l'autorità ecclesiastica che aggiornava la lista dei libri consentiti, pronto a denunciare qualsiasi trasgressione, presunta o reale.


40 Era venuto a sapere che nel distretto di Granada Cisneros aveva dato ordine di bruciare tutti i libri stampati in arabo, esclusi quelli di medicina, sull’onda di quanto aveva fatto qualche anno prima la Suprema, ordinando al Tribunale di Valencia di bruciare i libri in ebraico o che parlavano di ebrei, nonché diversi trattati di medicina, di chirurgia e di scienza. Ora si diffidava anche delle bibbie in volgare, tradotte dai teologi e commentate dai linguisti. Dovevano essere passate al setaccio e confutate dall’Inquisizione, se non volevano prendere la strada del fuoco. Perciò doveva essere bene informato per non incorrere nei trabocchetti della giustizia e scaltro per non farsi soffiare gli affari dalla concorrenza. Ma prima di tutto era necessario lavorasse solo. Non si sarebbe potuto fidare di nessun altro al di fuori di se stesso. Hernández spiò la disponibilità del Signore di León che in quel momento guardava la piazza dal balcone, più attento alle manifestazioni del popolo che concentrato sulla sua mercanzia. Il nobile, decisamente infastidito che il mercante di libri fosse testimone di inciviltà che minavano la sua autorità e la sua immagine, fece un lieve cenno alla guardia che sorvegliava l’ingresso del palazzo. La guardia accorse. Hernández, che si era gustato divertito la scena, intuendo le sue intenzioni, lo aveva fermato con eleganza: «Suvvia, non metterete la “maschera” a una bambina solo perché ha voglia di cantare!». «Bambina o no, l'ordine va rispettato. Se non potrò punire la bambina insolente, punirò la madre che non ha saputo impedire alla figlia di fare chiasso» sentenziò il nobile signore dal portamento fiero e la pancia esuberante. L’ospite aveva già assistito alla tortura della maschera, di cui non condivideva l’uso se non in casi eccezionalmente gravi. Riteneva non avesse alcuna utilità mutilare una persona con quel castigo. Talvolta veniva mozzata la lingua, altre volte ne risultavano mutilate la bocca e il naso. Ma se la maschera intrappolava anche parte del corpo, la schiena si piegava, le articolazioni non erano più capaci di assecondare gli ordini della mente, le gambe si strascicavano se venivano lesi punti nodali. La consuetudine voleva castigare le donne in tale modo. Come avrebbero potuto poi rendere servizi all’uomo parimenti alle altre donne? Decise di giocare d’astuzia, per mutare il volere del Signore del Castello, che indubbiamente nel suo Regno poteva agire come meglio credeva.


41 Perciò rispose: «E voi che siete così lungimirante e giusto e retto avrete così giustamente difeso la legge e l’onore della città di León». «È ciò che intendo fare infatti» asserì lusingato il castellano. «Però...» obiettò subito l’ospite, quasi sussurrando come fosse una meditazione personale di scarsa importanza, lasciata lì sospesa a insinuare il dubbio. «Però cosa?» gli si rivolse attento il nobile. «Cosa racconteranno di questa vicenda?» sorrise, accarezzandosi la peluria sul mento. «La verità» rispose il regnante stupito. «Esatto: la verità... Il Signor di León ha castigato chi ha turbato la tranquillità del Regno… Il Regno è stato messo in dubbio dai capricci di una fastidiosa bambina…». «Ah! E cosa dovrei fare allora?» chiese l’interlocutore sollevando le braccia in atto di resa. «Fate finta che nulla sia successo. Voi manterrete strette le redini della Città e nessuno potrà dire che siate stato minacciato. Vedete?» aggiunse indicando la piazza che si stava svuotando. «Già tutto è tornato tranquillo. Tutti hanno dimenticato». «E così sia» decise il padrone del Castello e fece strada all’ospite dentro la sala, mentre un tramonto infuocato abbracciava la piana, nel punto in cui gli occhi non distinguevano più nulla sul filo dell’orizzonte.


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Il mattino successivo la Città di León brulicava di attività, come se l’esecuzione del giorno precedente avesse rinvigorito gli animi e rinnovato le energie. C'era un gran daffare davanti alle botteghe, con i venditori che si facevano spazio nell'andirivieni continuo, interrotto dalle urla dei banditori. Ogni tanto la voce si accompagnava a un braccio che gesticolava, un bambino sgusciava dalle gambe della madre, altri correvano per la via saltando, lanciandosi sassi e sfidandosi in giochi improvvisati. Era giorno di mercato. Diego Hernández si fece strada a fatica sul proprio cavallo, tra le strette vie che si snodavano intorno al Castello, occupate dai banchetti e dalle mercanzie. Passò davanti a un banco di frutta e verdura e guardò la bambina accovacciata tra le gambe della madre che lo fissava intimorita, a un carro colmo di lana, tra i cui sacchi un uomo si aggirava bofonchiando parole incomprensibili, subitamente cacciato in malo modo dal padrone del banco che appena lo vide lo invitò a gran voce a scendere da cavallo e a toccare la mercanzia. Hernández indirizzò il cavallo verso il banco vicino, occupato da un uomo corpulento che subito gli si piazzò davanti bloccandogli il passo. Hernández lo dissuase in modo perentorio. L'uomo arretrò e si rivolse altrove. Più in là un'altra voce possente stonava con la delicatezza delle erbe aromatiche esposte: «Semi, foglie e radici per i gusti più esigenti e le tasche meno piene» diceva, rivolgendosi a un immaginario uditorio e sfregandole per renderne più pungente l'aroma. Hernández lo guardò di sottecchi per il tempo di scorgere la moglie all'ombra, seminascosta da un drappo, mentre mostrava in silenzio un cassetto nascosto a un frate, che sembrava conoscere. Avvicinandosi sentì la donna sussurrare «Semi speciali» e il frate rispondere: «Donna Alba, dove diavolo trovate tutte queste risorse, che io vedo solo l’avena ingiallita che si stende al sole, già trasformata in fieno per asini e


43 cavalli?». La conversazione diventava interessante. Del mercato di erbe egli conosceva poco, a parte quell'alone di mistero nel quale erano spesso avvolte, e non poteva non percepirne l'assonanza con quello dei libri: entrambi a due facce come le monete, una lecita e l'altra subdolamente nascosta. La donna stava ridacchiando: «Volete rubarmi il mestiere, frate Gerolamo? Mentre voi pregate, io li cerco questi aromi, piegando la schiena qui e là. La mia pazienza e la mia fatica vengono premiate dal Signore che da lassù mi vede. Dio mi manda i raggi del sole per illuminare le piante che raccolgo durante il giorno, per arricchire il gusto della vostra mensa». Aggiunse a bassa voce: «Invece di notte raccolgo il resto». Il frate sorrise e Hernández guardò la donna con attenzione. Si diceva che alcune streghe fossero state viste aggirarsi tra i cespugli sotto il chiarore della luna, pronunciando parole sconosciute e blasfeme, ma né Hernández né il frate credevano che quella donna fosse una strega: entrambi sapevano della malizia della gente, sempre pronta a vedere il peccato anche dove albergava l'innocenza. Il frate mise in tasca un pugno di quei semi, fiducioso che avrebbero portato frutti. Hernández oltrepassò il banco, in cerca di uno slargo che gli permettesse di orientarsi. Dall'altezza del suo cavallo poteva vedere lo snodarsi delle vie affollate da una moltitudine di colori. Le donne con passo frettoloso recavano ceste di abiti, i marmocchi zigzagavano in tunica lunga, stretta alla vita da una corda, gli uomini passeggiavano con flemma. I moriscos dai turbanti colorati gesticolavano per convincere i passanti a raggiungerli oltre una tenda, dietro la quale si divertivano a contrattare. Li facevano accomodare, come se il proprio negozio fosse frutto di una piacevole chiacchierata e infine ottenevano ciò che volevano, secondo il detto abile come un morisco. Hernández pensò alla differenza con il suo mercato, condotto nel tranquillo silenzio di qualche sala elegante, nella quale scivolava senza destar nell'occhio, lontano da occhi indiscreti. Tra poco si sarebbero stese le ombre della sera. Gli effluvi aromatici del vino si sarebbero sparsi fuori dai tini, richiamando gli assaggi e i contro assaggi. Le discussioni si sarebbero animate, qualche voce si sarebbe levata, qualche veste sarebbe sbucata da una colonna dietro la quale non sarebbe dovuta essere e nel


44 mescolarsi delle razze e delle culture qualche gesto avrebbe potuto diventare ostile o ribelle, qualche alterco si sarebbe potuto trasformare in rissa, qualche bocca si sarebbe potuta esprimere con retoriche poco clericali. Qualcuno avrebbe osservato in silenzio, per poi riferire. Non avrebbe voluto trovarsi lì quando questo fosse successo. Hernández fermò un uomo con l'autorevolezza del suo abbigliamento. «Donde está la pequeña cantante?» chiese Hernández a un passante. Alcune donne voltandosi verso di lui mormorarono qualcosa e scoppiarono a ridere, mentre un'altra seria si faceva il segno della croce. L'uomo indicò la tenda del commerciante due vie dopo sulla destra. Il signore scese da cavallo e si rivolse all'uomo seduto davanti alla porta. «Abita qui la pequeña trovera?» chiese con piglio deciso. Il pover'uomo si alzò e lo guardò allarmato. Inchinandosi rispose: «Sono il padre, Signore». «Allora siediti. Voglio discutere d’affari con te» gli ordinò Diego Hernández. L'uomo sorpreso si risedette nella panca di fronte al cavaliere, sondandolo. «Ho sentito che tua figlia canta. Dicono abbia una bella voce. Ho sentito che la sua voce molesta gli abitanti di León» proseguì il forestiero. Gaspar si morse il labbro. Non poteva certamente asserire il contrario e temette il peggio. Forse era stato mandato dalle autorità a rendere conto delle avventatezze della figlia. Forse lo si voleva punire per non averla tenuta sotto controllo. Guardò titubante il forestiero. «Io vorrei trarre d’impaccio sia te che la pequeña. Vorrei portarla via con me, in un luogo sicuro, sempre che abbia una costituzione robusta, tale da sapere affrontare il viaggio senza crearmi troppi fastidi» continuò il cavaliere. «La porterete in prigione? La volete punire?» chiese tremante. Il cavaliere sorrise. «Nulla di tutto ciò. Vostra figlia mi serve. La voglio comprare» gli rispose guardandolo dritto negli occhi. «Mi serve una giovane a servizio, dalla tempra forte, che allieti i miei momenti con le sue canzoni. Non sa cantare?» commentò con leggera ironia il cavaliere. «Oh sì, sa cantare, aiutare in casa, sa scrivere, leggere e ha un ottimo carattere» commentò Gaspar, ricordandosi improvvisamente le regole del commercio. «Questo è davvero interessante» rispose il cavaliere accarezzandosi il mento. «In questo caso potrei darti… diciamo cinquemila maravedís…


45 Pensi che tua figlia possa sostenere il viaggio fino a Burgos?». Gaspar annuì. «Bene. Allora posso considerare il negozio concluso» disse il cavaliere, estraendo da una sacca la somma pattuita. «Passo a prenderla domattina qui a quest’ora». Quindi uscì, salì a cavallo e riprese la strada maestra dalla quale era arrivato, conscio dello sguardo del suo debitore. Il mattino successivo presto Estrella, istruita dal padre, si alzò, radunò qualche biancheria, si vestì con l’unico abito buono, si fasciò i lunghi capelli neri e salutò i quattro fratelli. Donna Evida, prima che scomparisse alla sua vista, prolungò un’occhiata più dolce del solito e le fece una carezza sulla testa, che Estrella ricordò come unica carezza ricevuta dalla madre. Intuì essere stata la carezza dell’addio. Il viaggio che stava per affrontare era impegnativo, ricco di incognite e non prevedeva ritorno. Lo straniero apparve, in groppa al proprio cavallo, al fondo della strada, diritto come un condottiero. Scese da cavallo e i due si guardarono diritti negli occhi: Estrella intuì che non sarebbe stata picchiata; il Cavaliere capì che la bambina non sarebbe stata arrendevole, entrambi ignari di essere seguiti e spiati.


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11 IL VIAGGIO VERSO BURGOS

Estrella, concentrata sulla groppa del suo cavallo, si rilassò un attimo per abbracciare la piana gialla che si stendeva intorno. Il ricordo andò a un dolce che la madre preparava nel giorno della festa di León, che per forma e colore assomigliava a quella calma distesa. Lo stesso colore paglierino d’erba secca le riportò alla mente la bancarella del mercato di polveri ed essenze. Poi improvvisamente apparvero le case di Corrion de Los Condes, come le disse Hernández chiamarsi quella cittadina, che attorniavano l'Iglesia de Santa Maria dove Estrella credeva fossero diretti. Hernández aggirò l'agglomerato per dirigersi invece verso il Monastero di San Zoilo. Un frate s’affrettò ad aprire all’atteso ospite. Lo fece entrare pregandolo di aspettare il padre Priore. Estrella docile lo seguiva, guardando con curiosità i frati che scivolavano furtivi nel chiostro, a testa bassa sui loro libri di preghiere. Doppie colonne correvano lungo il perimetro a pianta quadrata, arricchite di volti scolpiti. Al centro il terreno appariva coltivato e ben tenuto. Estrella, a debita distanza del suo accompagnatore, camminava rasente il muro, un po’ in soggezione del nuovo ambiente e della oscurità che proveniva dagli stanzoni interni. Nell’attesa guardava, alla fioca luce delle candele, la forma regolare delle pietre, il colore e la messa in posa una sull’altra, ricordando i giochi di luce creati dalle colorate vetrate della Cattedrale di León e il lavoro degli uomini arrampicati sulle alte navate. Hernández le disse: «Ora vai con i cavalli e aspettami. Può darsi che io tarda quindi tu nel frattempo, quando hai legato i cavalli alla mia maniera, mettiti comoda e se ti viene sonno dormi con loro nella stalla. Se avrò bisogno di te ti chiamerò». Detto questo sparì oltre la porta indicatagli dove il Priore lo stava


47 aspettando. «Siate benedetto voi e le vostre preziose cose» lo salutò. «Venite qui al fuoco che vi veda meglio e scioglietevi dall’impiccio» lo invitò, insistendo perché Hernández si togliesse il tabarro e gli stivali, segno che sarebbe stata una lunga nottata. «Cosa mi avete portato di buono?» gli chiese piantandogli un paio di occhietti vispi in faccia e brandendo una sedia per farlo accomodare. «Ma soprattutto quali nuove dai vostri viaggi?». «Il mondo fuori da queste mura non è molto diverso da quando lo avete lasciato indossando la vostra divisa» sorrise Hernández. «Consideratevi fortunato di non correre il pericolo di venire arrestato in quanto affamato, perché si sa che la fame può portare ad azioni irregolari e per procacciarsi il cibo si è disposti alla sommossa o al vilipendio della proprietà, o ancor peggio alla disobbedienza del versamento delle tasse al Re e ai suoi emissari». Hernández fece una pausa, pensando al processo cui aveva assistito a León. «D’altra parte gli Inquisitori devono pur fare il loro mestiere. C’è sempre qualcuno da cacciare e qualcun altro da additare come esempio, se si vuole mantenere strette le redini dell’ordine» sorrise, pensando a chi avrebbe potuto imporre la maschera a Estrella e che poi, grazie al suo intervento, aveva cambiato idea. «Insomma il mondo va così, apparentemente in subbuglio, ma di fatto sempre uguale. Una carestia là, una pestilenza da un’altra parte, l’imposizione delle guardie laddove la semplice sorveglianza non basta più. Quanto agli uomini, c’è qualche stella che brilla all’orizzonte, o che si fa strada nelle nostre Università, ma i frutti del loro pensiero verranno raccolti in futuro. Intanto la Chiesa medita e altri scrivono per fissare sulla carta i punti cardinali dell’esistenza, sperando di non venire tacitati sul nascere». Il Priore sorrise: «Già, già... Oggi zittire sembra essere più importante che ascoltare». Subito dopo aggiunse: «Però non è che noi si viva qui al di fuori di tutto, anche se qualcuno vorrebbe relegarci alla preghiera e alla comunione segreta nel silenzio. Anche noi viviamo quotidianamente le nostre torture e quelle spirituali a volte procurano una ferita più lancinante di quelle fisiche. La Chiesa ci pone le sue condizioni e noi vi facciamo fronte come meglio possiamo, ma non siamo contenti. I nostri desideri, le nostre aspirazioni vorrebbero levarsi al Cielo con maggiore determinazione e la nostra mente fatica a discernere la via giusta tra tanti predicati. Però ci prova».


48 «Non dovreste preoccuparvi con Cisneros dalla vostra parte. Si vocifera che voglia chiedere al Papa una riforma della Regola». «Ne ho avuto sentore, ma temo che il dire non sarà altrettanto facile che il fare» sospirò il Priore. «Io ho già una certa età e preferisco intrattenermi con l’intelligenza delle letture piuttosto che con i piaceri della carne, ma per i frati giovani sarà un duro colpo… Le fustigazioni possono anche venire accettate in segno di penitenza, se non vi è obbligo e ciascuno potrà deciderne tempi e modi; lo stesso dicasi per i ritiri spirituali e l’allontanamento dalla vita pubblica, ma non rispondo della reazione generale sull’obbligo alla castità…». «Vorrà dire che i conventi si svuoteranno» sorrise Hernández. «Non è detto che tanti spiriti lasciati liberi non impiegheranno il tempo cercando di migliorare il mondo in cui viviamo». «Purché non si mettano a predicare con stile personale» commentò il Priore, più preoccupato per la sorte del malcapitato che per la parola di Dio. Fece una pausa e con un sorrisetto astuto disse al letterato: «Avete visto il nostro orto? Frate Guglielmo se ne prende cura in modo che non manchi nulla, tanto alla mensa del corpo quanto a quella dello spirito e ha un rimedio per ogni male. Le erbe mediche accompagnano quelle aromatiche, così possiamo curare i nostri affanni e servire meglio il Signore». «Uhm, qualche maligno afferma che i mali dello spirito andrebbero curati diversamente, perché sembra che queste pozioni producano effetti esagerati, visioni e illuminazioni non suffragate da valide motivazioni… più simili alle allucinazioni da combattere con rimedi per il corpo» controbatté con ironia Hernández. «Il diavolo mette sempre la coda» ribatté serafico il Priore, pensando che sarebbe stato bello finalmente trovare una via pacifica per sanare la controversia tra ebrei e cattolici. Forse le “illuminazioni”, cui faceva riferimento il mercante di libri, erano solo le avvisaglie di una nuova Chiesa, più attenta alla purezza di cuore che alla manifesta celebrazione della propria potenza. Non era forse per questo che il Vescovo Cisneros desiderava riformare l’Ordine? «Ma bando alle chiacchiere. Veniamo dunque all’armamentario che avete raccolto. Saremo lieti, anche in questo piccolo luogo del Signore, di accogliere i nuovi pensieri che giungono dal mondo e di dare il nostro umile tributo nell’apprendere, perché noi crediamo che la conoscenza sia migliore dell’ignoranza... in particolare alcuni frati mi hanno chiesto libri di medicina…».


49 «Avete cerusici nel vostro convento?» chiese stupito Hernández. «No… è che sapete ci sono certi malanni, che si prendono con il giacere con le donne… che sembrano preoccupare non poco. Come vi dicevo la carne è debole e quella delle donne anche infetta». «Comprendo» disse Hernández sforzandosi di essere serio. «Al momento non ho nulla del genere, ma vi prometto che mi informerò… e vi porterò qualcosa di utile nel mio prossimo viaggio». Il Priore chiese a Hernández di rovesciare la borsa sul suo giaciglio e di illustrargliene il contenuto, avendo intenzione di acquistare, per conto del Monastero, quanto avrebbe ritenuto utile. Hernández lo esaudì senza indugio. All’alba l’ospite scivolò fuori dal convento, controllò la legatura dei cavalli che aveva insegnato alla sua nuova aiutante, la svegliò, le diede una fetta di pane e formaggio preparato dai frati e si riavviarono lungo la strada per Burgos. Camminarono ad andatura leggera per buona parte del tempo senza parlare. L’irrompere del giorno era annunciato da strisce rosa e rosse. Sarebbe facilmente piovuto. Stava arrivando la stagione fredda. Gli uccelli sorvolavano la strada e volavano rasenti la terra. Una luce metallica illuminava ogni tanto piante sconosciute. Dopo avere attraversato il lungo Ponte Fitero che attraversava il Pisuerga e oltrepassato il Monastero di San Francisco, a ridosso di un centro abitato, gli occhi di Estrella si persero verso l’orizzonte vuoto e piatto che sembrava non finire mai. La piana di León, simile a una grande tavola, le regalarono una sensazione di infinito fino ad allora ignota. Verso sera procedettero lungo i viottoli che costeggiavano le case di un centro abitato, già scolorite dal crepuscolo, per fermarsi davanti al profilo di un palazzo. Avvicinandosi, la facciata decorata spiccava illuminata da una fila di torce che segnavano un sentiero. Un gentiluomo, affacciato su un balcone fiorito, accolse a braccia aperte il viaggiatore. «Ti aspettavo con ansia» sussurrò il giovane Signore, precedendolo nel palazzo verso la tavola imbandita, mentre Estrella a occhi sgranati seguiva quella figura la cui casacca corta, lasciava intravedere buona parte delle calzamaglia colorate che fasciavano le gambe, e il cui mantello, abbondante e ripiegato, sottolineava le movenze eleganti e gentili. «Abbiamo saputo della deliberazione del Malleus Maleficarum e non vediamo l’ora di leggere le altre novità che giungono dalla Germania.


50 Ma è poi vero che l’Opera è stata vagliata dall’Università di Colonia?». Hernández guardò il giovane. Pareva sinceramente preoccupato del compito di potere amministrare bene la giustizia. «Potrete controllare voi stessi. L’ Approbatio che precede il testo è datata 19 maggio 1487». Hernández estrasse dalla borsa il prezioso volume e lo porse all’interlocutore che passò l’indice ammirato sulla sua copertina, prima di scorrerne le prime pagine. «L’approvazione è stata totale» confermò il mercante «e, badate, non si tratta solo di una dissertazione teorica! È un esplicito invito all’azione, con la benedizione di Innocenzo VIII e la protezione dell’imperatore Massimiliano 1 d’Austria. Vi posso anticipare che è diviso in tre parti. Nella prima parte si dimostra la vera esistenza delle streghe e i loro rapporti con Satana. Nella seconda parte si prendono in esame i poteri delle streghe con i relativi rimedi per difendersene e nella terza si danno istruzioni per i processi». «Ah, questo sì sarà interessante per il prossimo convegno e spero taciterà le interminabili discussioni che sorgono quando l'animo dello studioso ha il sopravvento su quello inquisitore. A volte ci sono dei cavilli che sembrano portarci lontano dalla meta piuttosto che illuminare il percorso. Invece sarebbe utile per tutti una maggiore chiarezza che ci indichi come procedere» s'infervorò il nobile che non condivideva il dubbio sull'esistenza delle streghe, ritenuto superstiziose credenze popolari anche da eminenti ecclesiastici. «È stato scritto da Institoris su sollecitazione del Papa. Credo proprio possa diventare un manuale a uso e consumo di tutti gli inquisitori d’Europa» lo tranquillizzò Hernández illuminandosi. «Volete anche il Canon Episcopi?». «Già lo conosco e so che lì mancano delle indicazioni di ordine pratico. È giusto sapere con precisione chi siano queste streghe e i modi in cui praticano le loro magie. Non interessa a nessuno divagare su una presunta colpevolezza o considerarle vittime, come alcuni vorrebbero, se poi siamo testimoni del male che spargono. Gli effetti rimangono. I colpevoli vanno puniti. Il Diavolo va mortificato. I suoi tentativi di acquistare potere devono essere impediti... senza giustificazione alcuna. Non lo credete anche voi?» chiese stupito con una punta di attenzione in più, sondando il libraio. Si sapeva che chi difendeva le streghe era egli stesso complice e contagiato dell’identico male. Hernández rispose prudentemente: «Quello dell’Inquisitore è un difficile


51 compito. Non ho le doti per poterlo adempiere. Ringrazio Dio siano altri a occupare quel posto di così alta responsabilità». Continuarono così a chiacchierare amabilmente sulle novità letterarie di Hernández, mentre Estrella dormì nelle stalle con i cavalli. Il mattino successivo il suo padrone venne a svegliarla per rifocillarla e riprendere il viaggio. Dopo alcune ore si diressero verso la fontana di Boadilla del Camino per abbeverare i cavalli. Attraversando la piazza, Estrella vide due uomini scalzi dalla lunga barba incatenati a quello che poi seppe essere il Rollo Jurisdizional, una costruzione sottile e svettante verso il cielo. Le magre gambe che uscivano dalla veste erano coperte di ferite, i piedi sanguinavano e dal capo reclinato usciva ogni tanto un flebile lamento. Indovinò dovessero essere stati frustati. Ripresero la strada silenziosi, sotto il passaggio delle nuvole bianche che spostava le ombre degli alberi. A un certo punto un sibilo leggero impensierì Hernández che arrestò il cavallo e tese le orecchie, guardandosi intorno. La strada che percorrevano era deserta. Si sentiva solo il canto del vento scuotere le fronde degli alberi, accompagnato dallo stropiccio delle foglie calpestate dagli zoccoli dei cavalli. La campagna solitaria non offriva punti di riferimento, stendendosi per un ampio tratto. Ci si sarebbe potuti nascondere solo oltre una siepe che delimitava un bosco. Ebbe l'impulso di verificare se quella sensazione di compagnia fosse fondata e indirizzò il cavallo in quella direzione, ma tutto sembrava essere tornato silenzioso e rinunciò. «Hai sentito nulla?» chiese a Estrella. Estrella negò perplessa. Nascosto tra i rami di una macchia colorata un paio di occhi scuri osservava i due viaggiatori, cercando di intuirne le mosse e le intenzioni. José Barraguete scivolò nell'ombra delle querce che costeggiavano la strada, in un punto abbastanza lontano dal quale poter guardare senza essere visto. Da León seguiva il libraio senza decidersi ad agire. La ragazza che aveva al seguito costituiva un problema. Non era stato informato che viaggiasse in compagnia. Avrebbe aspettato il momento giusto, quando si fossero separati. Hernández proseguì. Dopo un tratto di strada si profilò un gruppo di case che additò a Estrella come Castrjeriz. Barraguete pensò che probabilmente avrebbe passato la notte lì. Quello sarebbe stato il momento d'agire. ),1( $17(35,0$ &217,18$


INDICE

1. SIVIGLIA ................................................................................... 5 2. LEÓN ........................................................................................ 13 3 .................................................................................................... 17 4. LUCERO .................................................................................. 24 5. IL VICARIO DI BURGOS ....................................................... 26 6. JOSÉ BARRAGUETE ............................................................. 28 7 .................................................................................................... 34 8 .................................................................................................... 37 9. DIEGO HERNÁNDEZ............................................................. 39 10 .................................................................................................. 42 11. IL VIAGGIO VERSO BURGOS ............................................ 46 12 .................................................................................................. 52 13. BURGOS ................................................................................ 57 14 .................................................................................................. 59 15 .................................................................................................. 63 16 .................................................................................................. 65 17 .................................................................................................. 68 18 .................................................................................................. 70 19 .................................................................................................. 72 20 .................................................................................................. 77 21 .................................................................................................. 80 22 .................................................................................................. 84 23 .................................................................................................. 86 24 .................................................................................................. 89 25 .................................................................................................. 91 26. TOLEDO................................................................................. 93 27. IL CONVENTO DI TOLEDO.................................................. 97 28. FRANCISCO JMENEZ DE CISNEROS ............................. 103 29 ................................................................................................ 112


30 ................................................................................................ 114 31. PADRE PEDRO.................................................................... 116 32 ................................................................................................ 118 33 ................................................................................................ 122 34 ................................................................................................ 124 35. CÓRDOBA ........................................................................... 126 36 ................................................................................................ 128 37 ................................................................................................ 131 38 ................................................................................................ 135 39. IL RITORNO DI HERNÁNDEZ ......................................... 137 40 ................................................................................................ 140 41 ................................................................................................ 146 42 ................................................................................................ 148 43. LA VILLA DI SARA ............................................................ 153 44. INIGO CONSALVES ........................................................... 158 45 ................................................................................................ 160 46 ................................................................................................ 164 47 ................................................................................................ 167 48. SANCHO PÉREZ ................................................................. 170 49 ................................................................................................ 175 50 ................................................................................................ 182 51 ................................................................................................ 188 52. ALONSO MANRIQUE ........................................................ 190 53. IL PROCESSO...................................................................... 195 54. LA FUGA ............................................................................. 208 55 ................................................................................................ 212 56 ................................................................................................ 214 57 ................................................................................................ 217 58. L'ARRESTO DEL VICARIO ............................................... 222 59. L'EX LAZZARETTO ........................................................... 224 60 ................................................................................................ 229 61. SIVIGLIA ............................................................................. 234 62 ................................................................................................ 242


AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO La 0111edizioni organizza la Terza edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2020) www.0111edizioni.com

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