La Terza Verità, Pierfrancesco Prosperi

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PIERFRANCESCO PROSPERI

LA TERZA VERITÀ

ZeroUnoUndici Edizioni


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LA TERZA VERITÀ Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-465-6 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Maggio 2021


Il delitto è sempre volgare; la volgarità sempre delitto. Oscar Wilde



PARTE PRIMA



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CAPITOLO PRIMO ANCHE QUESTA SERA PIOVE

Anche questa sera piove. È una fine di novembre uggiosa, non troppo fredda ma dannatamente umida. E forse – forse – saranno i primi acciacchi dell’età, ma ho la sensazione che la cappa di umidità che avvolge il centro di Lucca come e più delle sue celebratissime mura mi stia penetrando lentamente nelle ossa e nelle giunture. L’età? Cristo, ma se non ho nemmeno quarant’anni. Però è come se sentissi qualcosa scricchiolare nella carcassa. Da un po’ di tempo in qua, mi prendono a volte strane fisime, come quando mi fisso a lungo nello specchio alla ricerca di nuove rughe, di nuove irregolarità nella pelle. O come quando borbotto trovando qualche altro capello nel pettine. Mi dico sempre che dovrei mettermi seriamente a praticare un po’ di sport, tipo fare il giro delle mura in bicicletta, o a frequentare una palestra. Poi rimando sempre. Mi chiamo Vasco Landucci, lucchese purosangue nato entro le mura, e faccio l’avvocato. L’avvocato civilista. Non posso dire di


8 aver avuto fin qui una carriera particolarmente brillante, ma i clienti non mi mancano e magari, se fossi stato un po’ meno pigro, se mi fossi impegnato di più, oggi potrei definirmi un legale di successo. Anche così, comunque, non mi posso lamentare. Benché lo Stato faccia del suo meglio per strangolare me e i miei colleghi con tasse, laccioli, adempimenti. A salute non sono messo male. Mi piace mangiare bene e bere meglio, e secondo il dottor Mengozzi, vecchio medico di famiglia, l’unico valore che dovrei veramente tenere sotto controllo è quello della pressione, che tende un po’ troppo spesso a passare da

“normale

alta”

dell’ipertensione.

In

a

“decisamente

effetti,

è

stato

alta”, uno

ai

limiti

scompenso

cardiocircolatorio legato alla pressione a portarsi via mio padre assai prima del tempo. A parte questo, comunque, nessun altro problema sanitario. Soffocando uno sbadiglio mi stacco dalla finestra, dai vetri rigati dalla pioggia che scende silenziosa sulla campagna. Sotto il soffitto di vecchie travi il camino del salotto scoppietta allegramente. Osservo la sagoma massiccia del mio amico Piero, chino a ravvivare le fiamme con un lungo attizzatoio. Piero Umiliani, vecchio lupo di tribunale, ha impiegato più di vent’anni e centinaia di arringhe per costruirsi questa solida realtà, questa casa di campagna alla periferia nord di Lucca in


9 cui rifugiarsi nelle pause delle battaglie legali. Con la moglie, due ragazzi ormai grandi, tre cani e tutti i suoi libri. Spesso lo invidio. Io sono ancora un cane sciolto. E magari lo resterò per sempre. È il momento di iniziare. Ho rimandato fino adesso, ma devo affrontare l’argomento. È per questo che sono qui stasera. «Piero, ci conosciamo da quindici anni.» Si raddrizza, lanciandomi uno sguardo in tralice, tra il faceto e il preoccupato. «Ohi ohi, Vasco… che brutto esordio. Cos’è, hai bisogno di soldi?» Scuoto la testa. «Ho bisogno di un consiglio. Di un buon consiglio. Lo sai, non mi sono mai occupato di penale, e tu sei il miglior penalista che conosco.» Si sprofonda in poltrona dopo essersi versato un bicchierino di porto. Lo ha offerto anche a me, ma preferisco mantenermi lucido. Il viaggio è lungo e tutt’altro che semplice. «Mi vuoi davvero spaventare, Vasco. Coraggio, cosa c’è?» «Ecco… ricordi l’incidente di Guido Corsi?» «Certo che lo ricordo. È stato all’inizio di ottobre, se non sbaglio.»


10 Non proprio all’inizio. Era il dodici. Pioveva anche quella sera, e un forte vento proveniente da nord faceva oscillare i lampioni. Non che ce ne fossero tanti in giro: Lucca è sempre stata una città dannatamente buia. Erano passate da poco le otto. Guido era uscito da porta San Pietro per andare a prendere l’auto e rincasare. Da qualche anno abitava fuori città. Il vento minacciava di portargli via l’ombrello, e glielo piegò al contrario un paio di volte mentre avanzava tra le pozzanghere nel parcheggio di piazzale Umberto. Anche quella sera sarebbe rincasato tardi, ma da un po’ di tempo non si sentiva stimolato a essere più presente, più puntuale nel rientrare in quella nuova casa che, dopotutto, aveva rappresentato il punto di arrivo dei suoi sogni. Non sentì l’auto che gli arrivava alle spalle, o meglio la sentì troppo tardi. Si girò per restare abbagliato dai fari e non ebbe il tempo di togliersi di mezzo. Ebbe appena il tempo, forse, di pensare che l’automobilista avrebbe frenato, che non poteva non averlo visto. L’urto fu violentissimo. Lo sollevò come un pupazzo mandandolo a sbattere contro un lampione, per poi scivolare a terra come una spoglia vuota. Il conducente dell’auto scura non si fermò, non rallentò neppure per guardare. Sparì nella pioggia veloce come il vento. Guido


11 morì quella notte all’ospedale San Luca, una settimana prima di compiere i cinquant’anni. Andai al funerale due giorni dopo. Quel pomeriggio il mondo era tinto di grigio uniforme. Sotto un’acquerugiola sottile piazza San Michele era gremita di gente, assai più di quanta mi aspettassi. C’era Janet, la moglie inglese di Guido, più giovane di lui di quasi quindici anni. Bionda, elegante e altera come sempre, all’altezza della situazione come sempre. Avvolta in una cappa nera, nascondeva gli occhi gonfi dietro un paio di occhiali scuri. C’era Silvio Pambieri, basso, rotondo e tracagnotto. L’editore milanese con cui Guido aveva collaborato per quasi vent’anni con le sue traduzioni. Corsi passava per uno dei migliori traduttori dall’inglese sulla piazza, avvantaggiato forse dal bilinguismo che praticava tra le mura domestiche. C’era la sagoma sottile e sfuggente di Umberto Dassi, un critico letterario veneto che conoscevo da qualche anno. Lo avevo incontrato a casa di Guido e sapevo che era noto in particolare per la sua lingua tagliente. E c’era soprattutto, inaspettatamente, Stanley Benson, il grande scrittore americano. Con la sua figura alta e massiccia svettava di quasi una testa nella piccola folla raccolta all’ingresso della chiesa. Ed era circondato dai chiacchiericci a bassa voce di chi, fino ad allora, lo aveva visto solo sui giornali o in TV. Da


12 qualche anno, almeno in Europa, il suo nome veniva accostato sempre più spesso a quelli di Wilbur Smith, Clive Cussler, Tom Clancy e altri autori di best seller avventurosi. Guido Corsi era la voce italiana di Stanley Benson. A partire dal secondo, aveva tradotto tutti i suoi romanzi, tutti pubblicati, a partire dal secondo, da Pambieri. Nell’ambiente editoriale i maligni mormoravano che i libri di Benson erano stati, per la piccola casa editrice milanese, ciò che i romanzi della serie Harry Potter di H.K. Rowling avevano rappresentato nei primi anni del secolo per la Salani: l’avevano salvata da un probabile fallimento portandola in pochi anni nell’empireo dei grandi editori. Dopo aver abbracciato fuggevolmente la vedova Corsi, inalando il suo profumo, un profumo che conoscevo piuttosto bene, mi ritrovai accanto a Dassi. Abbastanza vicino al centro dell’azione per ascoltare le condoglianze di Pambieri. «È una grave perdita per tutti noi, signora Corsi. E direi per il mondo della cultura in generale. Il vuoto che il povero Guido lascia è incolmabile.» Tirando su col naso, Janet si girò verso di me per presentarmi all’editore. Strinsi una mano umidiccia. «Molto piacere», biascicai. «Guido parlava spesso di lei.»


13 «Era un amico, oltre che un prezioso collaboratore. Le sue traduzioni resteranno per sempre un modello di pulizia e di aderenza all’originale.» «Quite so! Io lo so bene.» Il vocione di Benson irruppe nel piccolo cerchio. Avvolto in un cappotto peloso che accentuava la sua somiglianza con un orso ammaestrato, il gigante si chinò ad abbracciare la vedova. «Non riesco a crederci, Janet. Meno di un mese fa parlavamo dei nostri progetti nel suo studio, e adesso…» «E adesso non c’è più, Stanley. Non c’è più.» Singhiozzi soffocati. Feci un passo indietro, sentendomi di troppo. Pestai un piede a Dassi. «Scusi», mormorai. Accennai con il capo a Benson. «Non mi sarei aspettato di vederlo qui. Sarà venuto apposta da New York?» Il critico scosse il capo. «No, avvocato, credo che fosse già da queste parti. Oggi come oggi passa più tempo in Europa, e in Italia in particolare, che a casa.» Mi arrivarono brani di conversazione tra Pambieri e lo scrittore. «Siamo tutti in attesa del suo prossimo romanzo, mister Benson.» «Dovrà avere ancora un po’ di pazienza, caro Pambieri. Il libro c’è, ma al presente mi trovo in un momento delicato. Non sono troppo convinto della prima stesura, e la revisione mi sta prendendo più tempo del previsto.»


14 Accanto a me, Dassi riprese a sputare fiele. «È sempre in giro per il mondo, il grand’uomo. Del resto può permetterselo… Resta solo da scoprire dove trova il tempo per scrivere i suoi libri.» «Tra un jet e l’altro, si direbbe», replicai soffocando uno sbadiglio. D’un tratto quella recita collettiva mi era apparsa insopportabile. Mi spostai lentamente verso i bordi della piccola folla, mentre il feretro usciva dalla chiesa e veniva issato sul carro funebre. Quando il corteo partì, mi svincolai dirigendomi verso uno dei due bar della piazza, con Dassi attaccato alle costole. «Si direbbe che lei Benson non lo apprezzi in modo particolare, caro Dassi. O meglio, per niente. Eppure…» «…Eppure vende milioni di copie in tutto il mondo. È questo che intende dire? Vede, a volte il successo ha poco a che fare con la qualità letteraria.» Entrammo nel bar. «Inoltre», proseguì il critico, «io Benson lo conosco da anni. È sempre stato un personaggio chiassoso e mondano, che le studiava tutte per balzare in evidenza nelle cronache, ma le posso assicurare che fino a qualche tempo fa era… come dire? incapace di tenere la penna in mano.» Ordinai due cognac. «Deve aver imparato bene, però; ha infilato cinque best seller uno dopo l’altro. Non è la prima volta che uno scrittore esplode quando ha raggiunto una certa età.»


15 «Oh», Dassi scosse il capo buttando giù il liquore, «più che altro deve essersi dato da fare con le persone giuste. Un abile pubblicitario, questo sì, e con un agente in gamba, ma quanto al valore… In America, di scrittori “medi” come lui ne trova a decine.» Sorseggiai il mio bicchiere. «Non sono un esperto del settore, ma… ho letto un paio di suoi romanzi e non mi sono dispiaciuti affatto.» «Bah. Un certo mestiere gli va riconosciuto, a livello artigianale. Ma la qualità letteraria è altra cosa. Prenda uno come Corsi, per esempio: a parte gli addetti ai lavori, chi lo conosce?» Dovetti ammettere che era noto quasi esclusivamente per le traduzioni di Benson, e poco più. «Eppure», proseguì lui vivacemente, «è stato uno dei maggiori studiosi di letteratura inglese. Il suo saggio sui poeti canadesi del dopoguerra è semplicemente… come dire? fondamentale. Ma per vivere era costretto a tradurre i romanzetti di gente come Benson.» Non sapevo cosa replicare. «E il suo The green ants in the P. White’s poetry?» insistè il critico. «Lo ha letto… o almeno lo conosce?» «No… e no», confessai. «Ecco, appunto», concluse trionfante. «Un testo imprescindibile degli ultimi dieci anni.»


16 Con questo, mi ero definitivamente squalificato ai suoi occhi. Dassi sembrò capire che non avevamo più niente da dirci. Si eclissò con un saluto mentre facevo la coda alla cassa. Erano entrati altri tre avventori che conoscevo di vista. Una coppia di mezza età e un loro amico un po’ più anziano. Mentre ordinavano, nell’uscire mi arrivarono le loro chiacchiere. «Povera signora Corsi… Adesso cosa se ne farà di una casa così grande?» Era la moglie. «Per me la vende.» L’amico. «Sempre che il marito abbia finito di pagarla…» Il marito. «Vero, avvocato?» Feci finta di non aver sentito e mi richiusi la porta a vetri alle spalle. Ma, come avvocato di famiglia, sapevo bene che l’aveva pagata

tutta.…………………………………………………


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CAPITOLO SECONDO SU VILLA ORSINI

Su villa Orsini, in frazione San Macario, campagna a nord-ovest di Lucca, si potrebbe scrivere un libro. Anzi, è probabile che qualcuno lo abbia scritto. Per quello che ne so io, risale alla fine del XVI secolo, quando il cardinale Orsini la commissionò all’architetto fiorentino Tofanelli. Interrotti i lavori per la morte del committente, il cantiere passò nelle mani dell’abate Miniati che vi pose a lavorare l’architetto urbinate Muzio Oddi, lo stesso che in quegli anni ristrutturò la celebre villa Mansi. Variamente rimaneggiata e ampliata nel corso dell’Ottocento, cambiò più volte proprietario fino a cadere in abbandono nel secondo dopoguerra. Mal restaurata da un’impresa che voleva ricavarne degli appartamenti, era rimasta tristemente chiusa e sfitta fino all’alba del nuovo secolo, quando sul suo portone avvolto dalle ragnatele si era affacciato Guido Corsi. Mentre seguivo quella mattina – il giorno dopo il funerale di Guido – il viale sterrato, fiancheggiato da doppia fila di


18 regolamentari cipressi, che portava alla villa, riflettevo sulle giravolte delle umane sorti. Guido Corsi, nonostante il suo valore di critico letterario esaltato da Dassi, se l’era passata piuttosto male fino a quando la sua strada non aveva incrociato quella di Stanley Benson. Con le traduzioni dei primi romanzi e con l’esplosione del “fenomeno Benson” anche le sue fortune erano decollate. E in pochi anni si era trovato in grado di realizzare i suoi sogni: un lavoro gratificante, una moglie invidiabile, colta e raffinata, che parlava la sua lingua di elezione, una bella casa in campagna dove poter vivere tranquillo tra i suoi libri. Peccato che fosse durata così poco. Fermai la Nissan ibrida nel piazzale davanti all’ingresso e suonai. «È in casa la signora Corsi?» «Venga, avvocato.» Come scivolando su invisibili pianelle lungo i pavimenti incerati, la fida Cesira, perpetua dall’età indefinibile proveniente se ben ricordo da Segromigno, mi precedette fino al salone. «Vai pure, grazie», sentii dal corridoio la voce di Janet quando mi ebbe annunciato. Janet indossava un semplice tailleur color malva. Truccata in modo impeccabile, anche se non mi risultava avesse in programma di uscire. Era semplicemente il suo modo di affrontare le giornate. Si alzò dalla poltrona e mi tese le mani.


19 Gliele presi tutte e due. «Janet…» mormorai attirandola verso di me. «Come sono stati lunghi questi giorni, Vasco…» Un attimo dopo mi strinse fra le braccia propinandomi un bacio profondo, che ricambiai avvinghiandomi a lei. Si staccò ansimando. «Ti voglio, Vasco», aveva negli occhi quella luce che avevo imparato a conoscere così bene. «Anch’io.» «Cosa aspettiamo, allora?» Si sfilò la giacca del tailleur, e sotto non portava niente.


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CAPITOLO TERZO ABBIAMO SCOPATO SELVAGGIAMENTE

«Abbiamo scopato selvaggiamente. In salotto, davanti al camino acceso, sul tappeto che poi era una pelle d’orso. Un orso polare la cui testa sembrava fissarci con aria di disapprovazione.» Piero mi scruta con aria decisamente seria. Sento di avere catturato la sua attenzione in modo definitivo. «Perbacco», dice alla fine. «Avevo sentito delle voci su te e la vedova Corsi, ma credevo fossero le solite malelingue…» «Per una volta, non erano voci campate in aria.» «E… da quanto tempo andava avanti?» «Da un bel pezzo. Quasi due anni. E credo che Guido non abbia mai sospettato niente. Non sarebbe stato capace di restare indifferente.» Il mio amico riflette. Ha estratto dalla giacca da camera la sua pipa e vi comprime il tabacco con fare pensieroso. «Se mi racconti tutto questo, Vasco», deduce poi, «significa che si tratta di una storia estremamente seria.»


21 «Puoi dirlo. Perché non riguarda solo la morte di Guido, ma anche quello che è successo dopo… a villa Corsi.»

Boccheggianti e sudati, eravamo stesi sulla pelle d’orso mentre il calore del camino ci asciugava lentamente la pelle. Come sempre, era l’ora della sigaretta, un classico del post-coito. La vidi accendere la sua con il suo accendino d’oro, regalo di nozze di Guido – così mi aveva detto –, poi chinarsi verso di me per accendere la mia. I suoi seni mi sfiorarono il petto coi capezzoli ancora eretti, provocando più in basso una blanda reazione. Ma ero troppo stremato per ricominciare. Si stese accanto a me sbuffando fumo. «Che cos’hai?» mi chiese. «Niente. Cosa dovrei avere?» «Non lo so. Non sei del tuo solito umore. Ti sento… ti sento teso.» «Se vuoi saperlo», confessai, «adesso che Guido è morto mi sento più in colpa di prima. Buffo, no?» Tirò una profonda boccata prima di rispondere. «Beh, è comprensibile. Adesso che non dobbiamo più nasconderci – almeno da lui, perché con la gente di Lucca è tutto un altro discorso – viene a mancare il fascino del proibito, il timore di essere scoperti… e tutto sembra troppo facile. Inoltre, il fatto che


22 foste amici accresce il rimorso di averlo ingannato. È una reazione naturale.» Ci rivedemmo nei giorni seguenti, a intervalli irregolari. Anche adesso che non eravamo più, tecnicamente, adulteri dovevamo proteggere il nostro ménage dalle orecchie di Cesira e dalla curiosità pettegola dei concittadini. Ufficialmente, come avvocato di famiglia mi recavo dalla vedova per aiutarla a sbrigare le tante incombenze legali e amministrative legate a un trapasso prematuro e imprevisto. E qualche volta era lei a venire da me. Sospettavo che i residenti del quartiere San Paolino avessero subodorato la tresca e ci ricamassero sopra, ma… continuassero pure a farlo. In questi casi c’è una sola tattica possibile: negare, negare, negare sempre e comunque. A una settimana dal funerale, trovai Janet insolitamente assorta e pensierosa. La fumata post-coitale assunse un carattere particolare. Eravamo sul lettone a baldacchino della camera principale, e anche qui c’era un caminetto acceso. «Che cosa c’è?» chiesi. Esitò a lungo prima di rispondere. «Devo dirti una cosa, Vasco. Benson mi ha chiesto di vendergli la casa.» «Ma no?» «Ma sì. Mi ha offerto tre milioni di euro.»


23 «Accidenti», commentai. «È una cifra decisamente robusta… almeno un terzo più del suo valore.» «Lo so.» Tirò una lunga boccata, prima di riprendere: «È per questo che ho accettato.» Mi tirai su a guardarla. «Ma dici sul serio?» «Ci ho pensato su. Vedi, è una casa enorme per me, e costa un sacco mantenerla. I soldi lasciati da Guido, i suoi diritti, si esauriranno pian piano adesso che non sono più alimentati da nuovi lavori. Mi è sembrata un’occasione da non lasciar perdere.» Mi allungai a schiacciare la mia cicca in un piattino, contrariato. Il fatto di affrontare quella discussione nudo come un verme accresceva il mio nervosismo. «Accidenti, avresti anche potuto consultarmi. Almeno come avvocato, diocristo. Era davvero così urgente?» Appariva imbarazzata, ma non troppo. «È vero. Ma non saresti riuscito a farmi cambiare idea. Lo sai, qui non ci sono mai stata troppo volentieri. Restavo solo per far piacere a Guido…» Nemmeno un accenno al sottoscritto come possibile motivo per rimanere in zona. «Inoltre, Benson ha posto una condizione: avere la casa subito, così com’è. Quindi devo andarmene. Porto via solo le mie cose…»


24 «E dove ti sistemi?» Per un attimo, per un fuggevole attimo, pensai che volesse chiedermi ospitalità. E benché eccitante da un lato, la prospettiva non mancò di spaventarmi. «Non è un problema. Francesca mi ospiterà per un po’.» La fissai cercando di indovinare cosa avesse in mente. «Dopo di che?» Lei continuava a fumare. «Il tempo di firmare il contratto e sbrigare le scartoffie della successione, e torno in Inghilterra.» Chinai il capo per assorbire la botta. «Ah, è così.» Sorrise leggendomi la delusione in volto. «Andiamo, non fare quella faccia. Ascolta… devo farti una proposta. Perché non vieni con me? Adesso ho un bel po’ di soldi, potrei aiutarti ad aprire uno studio a Londra.» Era l’ultima cosa che avrei potuto desiderare. «Che cosa?… No, no. Non è così semplice.» «Non mi dirai che ti senti troppo vecchio!» «Non è questo. Il fatto è che tutte le mie conoscenze, i miei clienti, i miei interessi sono qui. Dovrei mettermi a studiare il diritto inglese che è completamente diverso, con la loro dannata common law… Non ho voglia di ricominciare da capo, Janet.» «Nemmeno per me?» Spense la sigaretta e mi appoggiò le mani sul petto.


25 «A te ci tengo. Ma non puoi chiedermi questo.» Feci una pausa, prima di partire in contropiede. «D’altra parte… se anche tu ci tieni a me… perché non resti tu? Potremmo mettere su casa insieme in campagna, una villetta normale e non un palazzo, e al diavolo le malelingue.» Non rispose. Si limitò a scuotere lentamente la testa. Il messaggio era: non mi capisci. E poco dopo, mentre me ne andavo, e sentivo il suo sguardo seguire la mia auto dalla finestra, capii che la sua decisione era definitiva. Fino ad allora, pensai, doveva essersi sentita in prigione. Le mancava troppo la vita di una grande metropoli. Iniziata male, la giornata continuò peggio. Mentre uscivo dalla sede dell’Ordine in via Galli Tassi, incontrai Umberto Dassi. Ero convinto che se ne fosse andato, che avesse fatto ritorno alla sua nebbiosa Verona. «Com’è che la trovo ancora qui, Dassi?» «Ho deciso di fermarmi qualche altro giorno, avvocato. Devo fare delle ricerche. Per un saggio che sto scrivendo. Ah, sa la novità? Benson ha comprato la casa della vedova Corsi.» Rassegnato, mi avviai con lui lungo via Santa Giustina. «Ah sì? E chi glielo ha detto?»


26 «Proprio lui, il grande scrittore. Alloggiamo nello stesso albergo e non posso fare a meno di incontrarlo. Personalmente lo trovo… ecco, piuttosto sgradevole.» Era anche la mia impressione, ma non volli dargli spago. «Senta», continuò, «non per impicciarmi degli affari altrui, ma… cosa sa dei rapporti fra il nostro Stanley e la vedova? Voglio dire, Corsi era molto più vecchio di lei, no?» Ecco un tema inedito. «Cosa sta cercando di insinuare?» chiesi, forse un po’ troppo bruscamente. «Niente, solo che Benson ha fatto delle allusioni… Gliel’ho detto, è una persona sgradevole.» «E lei… ci ha creduto?» «Beh, ho sentito dire che si è ripassato tutte le donne che gli sono capitate a tiro. Tutte, capisce? Comprese le mogli degli amici.» «Davvero? Non ci credo.» Di nuovo, forse fui troppo precipitoso. Allargò le braccia. «Di sicuro, comunque, tiene molto a questa fama. Secondo me, è una voce che ha messo in giro lui stesso.» Ormai eravamo arrivati in piazza del Salvatore. «Lo credo anch’io», replicai aprendo il mio portone. «Ci vediamo, Dassi.» Lo guardai poi dalla finestra del salotto mentre si allontanava in direzione di San Michele. Cominciava di nuovo a piovere. Le mogli degli amici.


27 Non ci credevo, naturalmente. Ero convinto che fossero menzogne. Però… Però, mentre Janet tradiva suo marito con me, Guido non aveva mai sospettato niente. Come si dice? Il marito è sempre l’ultimo a saperlo. E alla notizia della morte di Guido mi ero chiesto istintivamente se se ne fosse andato convinto di avere una moglie fedele. Ma non tenevo conto del fatto che quando una donna tradisce, ed è brava a dissimulare… Mi chiesi per la prima volta se fosse possibile che… Quella notte dormii poco e male. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE PARTE PRIMA ............................................................................ 5 Capitolo primo .......................................................................... 7 Anche questa sera piove....................................................... 7 Capitolo secondo..................................................................... 17 Su villa Orsini .................................................................... 17 Capitolo terzo .......................................................................... 20 Abbiamo scopato selvaggiamente...................................... 20 Capitolo quarto ....................................................................... 28 Qualche giorno dopo .......................................................... 28 Capitolo quinto ....................................................................... 35 Era uno degli autunni più piovosi del secolo ..................... 35 Capitolo sesto .......................................................................... 40 Erano anni che non tornavo a Viareggio............................ 40 Capitolo settimo ...................................................................... 44 Il tempo stava guastandosi di nuovo .................................. 44 Capitolo ottavo ........................................................................ 57 L’incendio fu attribuito a un fulmine ................................. 57 Capitolo nono .......................................................................... 62 A Milano non pioveva ....................................................... 62 Capitolo decimo ...................................................................... 66 Il fuoco si va spegnendo .................................................... 66 PARTE SECONDA .................................................................... 71 Capitolo undicesimo ............................................................... 73 Dal ponte di Waterloo ........................................................ 73 Capitolo dodicesimo ............................................................... 78 Cinema Odeon, Leicester Square ....................................... 78 Capitolo tredicesimo ............................................................... 81 Abbiamo vinto ................................................................... 81


Capitolo quattordicesimo ........................................................ 86 Mi sono chiesto a volte ...................................................... 86 Capitolo quindicesimo ............................................................ 89 Dal Tower Bridge .............................................................. 89 Capitolo sedicesimo ................................................................ 92 La telefonata è arrivata verso mezzogiorno ....................... 92 Capitolo diciassettesimo ....................................................... 102 È passata quasi mezz’ora ................................................. 102 Capitolo diciottesimo ............................................................ 107 Il traffico in Sussex Gardens ............................................ 107 Capitolo diciannovesimo ...................................................... 112 Il doppio interrogativo ..................................................... 112 Capitolo ventesimo ............................................................... 115 Presto ci trasferiremo a Hempstead ................................. 115


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AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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